Marina Caffiero, Legami Pericolosi. Ebrei e cristiani tra eresia, libri proibiti e stregoneria, Einaudi, Torino 2012. Quando una ricostruzione storica si fonda su una ricca base documentaria, analizza e interpreta documenti d'archivio in parte inediti e fonti ancora poco studiate, non vi è dubbio che il risultato sia di grande interesse ed utilità; ciò vale sicuramente per l'opera di Marina Caffiero, Legami pericolosi. L'opera, partendo dalle carte conservate negli Archivi della Congregazione per la Dottrina della Fede, in quelli della Comunità Ebraica e dell'Archivio Capitolino, punta a ricostruire le relazioni tra la minoranza ebraica, la Chiesa e la società cristiana in età moderna. Il quadro che emerge contribuisce ad arricchire un capitolo poco noto della storia sociale e a rivedere o attenuare alcune posizioni storiche consolidate, secondo le quali l'istituzione dei ghetti nelle città dello Stato della Chiesa aveva portato ad una netta separazione della minoranza ebraica dalla società cristiana, con scambi e reciproche influenze ridotte al minimo, e di carattere esclusivamente conflittuale. L'Autrice indaga soprattutto tre ambiti nei quali tale incontro si verificò, quello dottrinale e di fede, quello sociale e quello economico: non si tratta di ambiti del tutto distinti, ma connessi da una fitta trama di relazioni che li riconduce sempre alla materia dottrinale e di fede, di cui l'Autrice si occupa nei primi capitoli dell'opera. Proprio qui troviamo il primo aspetto interessante che dovrebbe essere ancor più studiato: il ruolo svolto dai colti neofiti che, grazie ad una perfetta conoscenza della lingua ebraica e della letteratura rabbinica erano il tramite del rapporto della Chiesa con le Comunità ebraiche; erano infatti loro ad avere gli strumenti per decodificare tra i tanti volumi che si trovavano nelle case degli ebrei (fossero quelle di dotti rabbini, o anche di gente più umile), i libri giudicati in contrasto con la dottrina cattolica: le copie del Talmud sopravvissute ai sequestri e ai roghi della metà del XVI secolo, i libri di preghiere con citazioni talmudiche e i testi di origine cabbalistica, dai contenuti ermetici ed esoterici. Delle loro conoscenze la Chiesa si serviva per estirpare dal patrimonio degli ebrei la cultura rabbinica, che nel Talmud aveva trovato la sua più alta espressione; alla loro opera ricorreva, affidandogli il compito di tenere le prediche coatte, affinché in alternativa alla esegesi talmudica proponessero quella figurata del Vecchio Testamento, da interpretare unicamente come anticipazione del Nuovo. I neofiti come Andrea Del Monte, Lorenzo Filippo Virgulti e Giovanni Antonio Costanzi, solo per citarne alcuni, nella prospettiva della Chiesa erano proposti agli ebrei come figure esemplari in quanto ormai liberi dagli errori della vecchia fede; ma, in quanto esperti della cultura e della mentalità ebraica, a loro veniva demandato il compito di persuadere e convincere i loro ex correligionari alla nuova fede. Le vicende dei neofiti colti rappresentano sicuramente il primo tassello di quei legami pericolosi tra due mondi e due società, perché senza il loro contributo la Chiesa non avrebbe potuto intervenire nell'opera di censura, di repressione e di proselitismo; non avrebbe potuto essere introdotta nella conoscenza del mondo ebraico verso il quale, accanto al disprezzo di vecchia data, non poteva non sussistere anche la curiosità verso riti, culti e tradizioni che i neofiti contribuivano a divulgare contrapponendo al celebre testo di Leone Modena Historia de' riti ebraici, una tendenziosa descrizione dell'ebraismo ormai presentato come superstizione. Nell'ordine di tempo “l'arresto dei libri” precede l'arresto delle persone, quest'ultimo possibile non certo per l'ascrizione agli Ebrei del reato di eresia, visto che non erano battezzati, ma dietro l'accusa non solo di aver fatto o detto qualcosa di lesivo delle verità dottrinali della Chiesa 1 Cattolica (il reato del cosiddetto contemptus fidei), ma anche di dimostrare, col possesso dei libri proibiti, considerazioni contrarie a quel comune patrimonio di fede che univa ebrei e cattolici e che si considerava adulterato dalla cultura rabbinica. Gli archivi della Comunità di Roma peraltro contrappongono ai ragguagli sui libri proibiti redatti dai neofiti, le richieste di restituzione e memoriali in cui gli stessi rabbini reagivano a sequestri o arresti, intervenendo in difesa sia di libri che di persone. Osserva l'Autrice che l'ossessione per la ricerca dei libri proibiti nasceva e si amplificava proprio nel clima della Controriforma, accompagnato dal timore da parte della Chiesa di un altro legame pericoloso, quello tra gli ebrei e i riformati, questi ultimi sospettati di introdurre con malizia i testi ebraici messi all'indice, al fine di ancorare le loro dottrine eretiche alla tradizione ebraica, conferendo loro autorevolezza e legittimazione. L'indagine condotta da Marina Caffiero sui titoli che compongono i ragguagli dei libri finiti all'Indice mostra la frequente ricorrerenza di titoli interessanti: oltre ai libri talmudici e a quelli inerenti alle Toledot Jeshu (Storie di Gesù) vi figurano in abbondanza libri inerenti alla demonologia, alla divinazione, quelli relativi alla interpretazione dei sogni, insieme a testi che, innocui ad uno sguardo superficiale, ad un attento esame contenevano indicazioni per rituali magici. E qui si pone un altro aspetto interessante del libro, quello che cerca di ricostruire anche da questi elenchi, le varie sfaccettature della religione e della cultura ebraica in Italia, per comprendere un patrimonio stratificato di tradizioni, riti e credenze formatisi dal Tardo Antico al Medioevo; credenze che attingevano sia al filone mistico degli scritti cabbalistici, ma anche a tradizioni popolari e a rituali condivisi dai gentili; insomma un patrimonio sincretistico, ancora poco studiato, che esponeva di nuovo gli ebrei all'accusa di seguire credenze estranee al patrimonio di fede comune, e individuava in loro una fonte di contagio eretico da debellare; tanto più che la Chiesa era impegnata anche sul fronte interno a debellare qualsiasi contaminazione della Dottrina di fede con pratiche divinatorie e riti magici, già dal 1586, anno che aveva visto la pubblicazione da parte di Sisto V della Bolla Coeli et terrae Creator. Capitolo molto interessante dell'opera è anche quello in cui l'Autrice racconta i legami tra le persone: gli ebrei, sebbene obbligati a risiedere in ghetto durante la notte, erano liberi di muoversi durante il giorno sia per la città che al di fuori, qualora glielo avessero consentito i loro mezzi economici o lo avesse richiesto la loro attività. E ciò li predisponeva ad una serie di incontri di vario genere con il mondo cristiano, persino quello dei conventi (interessante l'episodio della monaca giudaizzante di origine ebraica che agli ebrei si era rivolta per uscire dal convento); da questi incontri potevano scaturire discussioni in materia religiosa, scambi di libri proibiti, occasioni conviviali, la cui memoria si è conservata nelle carte dei processi che seguivano alle denunce o alle autodenunce, queste ultime assai frequenti, vista la ben nota clemenza del tribunale dell'Inquisizione verso gli “sponte comparentes”, ovvero coloro che si autodenunciavano. Davano vita a storie particolari per i risvolti picareschi che spesso avevano, le unioni proibite di coppie miste in cui non sempre l'identità del coniuge o del convivente ebreo era nota a quello battezzato. Si trattava spesso di donne ebree rimaste sole, che si erano allontanate dal loro paese natale e per sopravvivere si erano viste costrette a inventare una nuova identità, in cui un altro nome, imposto con un battesimo, vero o inventato che fosse, una nuova religione e nuove abitudini si sovrapponevano alla precedente esistenza; altre volte erano uomini ebrei che si univano a donne cristiane convivendovi per lunghi periodi; il più delle volte casi di questo tipo finivano davanti all'Inquisizione, le cui carte ci mettono a conoscenza di vicende così avventurose da ingenerare il sospetto che fossero parzialmente costruite per sfuggire alle condanne dell'Inquisizione. Queste 2 identità plurime, un po' come in tutta Europa avveniva con i marrani, potevano coesistere senza difficoltà ed emergere ora l'una ora l'altra allo scoperto a seconda dell'ambiente frequentato, riuscendo a protrarre a lungo rapporti e convivenze proibite. Infine la Caffiero individua un ultimo tipo di relazione che caratterizzò la vita della società nei secoli XVI-XVIII, la concorrenza che i “corpi” delle Comunità, ovvero le organizzazioni comunitarie che godevano di monopoli e concessioni perpetue, avevano con le corporazioni cristiane. Man mano che ci si avvicinava alla fine del XVIII sec., quando la Rivoluzione Francese e l'esperimento della Prima Repubblica Romana furono alle spalle, il XIX sec. vide una Comunità e i suoi “corpi” più forti e consapevoli dei diritti che potevano rivendicare in nome di un'eguaglianza e di una parità che, sebbene non cancellassero secoli di cultura del disprezzo, almeno non sembravano più come in passato una meta irraggiungibile. I terreni contesi erano i privilegi e le concessioni che le organizzazioni della Comunità rivendicavano e difendevano entrando dunque in concorrenza con le corporazioni cristiane. E queste di certo non rinunciavano a ricorrere ai vecchi pregiudizi e a stereotipi che nel tempo si erano ben consolidati, al fine di arginare un desiderio imprenditoriale che finalmente si faceva strada nei ghetti; le vecchie accuse di veneficio, facili da credere giacché gli appalti più antichi per gli ebrei erano quello di “fagottari” e quello di mercanti di droghe e spezie, li esponevano alle frequenti denunce di voler diffondere morbi infetti e di vendere merce non controllata o avariata; e la parola “perfidus” passava così da un impiego teologico dei secoli addietro, con cui si voleva indicare il mancato riconoscimento di Gesù in quanto Messia, a quello di commerciante o negoziante disonesto, che in quanto privo di “fides” non risultava credibile per la conduzione di un buon affare. L'archivio dello Stato di Roma abbonda di atti di denunce e controdenunce, ma spesso a difendere e tutelare gli ebrei in questa faticosa strada verso la conquista dei diritti erano avvocati cristiani che ne curavano gli interessi. Segno che, come nei secoli passati, per ogni conflittualità vi era spazio anche per una relazione. Ma ormai il XIX secolo preparava l'integrazione degli ebrei, almeno sul piano teorico dei diritti; più duri a morire e mai del tutto sconfitti erano il pregiudizio e lo stereotipo, entrambi traghettati fino al XX secolo. Se gli ebrei erano stati anche loro, come ampie fette della società cristiana, partecipi di riti magici e di superstizioni, lo stereotipo dello “stregone” tuttavia si era cristallizzato solo sull'ebreo, come del resto nei traffici e nei commerci non moriva l'accusa di perfidia, spostata dal piano teologico a quello economico e politico; nonostante il progressivo miglioramento delle condizioni di vita e la progressiva integrazione degli ebrei nel tessuto sociale del XIX sec., i vecchi pregiudizi non morivano, ma continuavano ad alimentare quel complesso rapporto di scambi e reciproche influenze che la politica della separazione adottata nell'età dei Ghetti non aveva potuto evitare. La ricostruzione storica fornita dall'opera della Caffiero per un periodo di tre secoli circa appare dunque di grande interesse per i risvolti antropologici e sociali e, aprendo a percorsi di studio nuovi, arricchisce in modo inedito la storia delle relazioni tra la minoranza ebraica e il mondo circostante. Claudia Di Cave 3
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