Omelia delle Ceneri 2015 Quando tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. E’ quanto abbiamo sentito nel Vangelo. La parola elemosina significa generosità. Quanto vorrei che la Quaresima 2015 che oggi iniziamo fosse per tutti noi una Quaresima di generosità. Metto in campo subito una domanda che qualcuno, giorni fa, mi ha posto: nel fare il bene al mio prossimo fin dove posso spingermi? C’è un limite oltre il quale non devo andare oppure non ci sono limiti? Tento una risposta. Quando si agisce verso gli altri, parole come donarsi, adoperarsi, impegnarsi, mettercela tutta,...vanno, sì, bene ma vanno anche precisate. E mi spiego. 1) Un’antica e celebre espressione dice che la misura dell’amore è di amare senza misura e in effetti l’amore, per sua natura, tende sempre a un di più, a non accontentarsi, fino a diventare il dono totale di sé all’altro. E così qualunque meta o traguardo l’amore realizzi non è la conclusione, ma semplicemente una tappa verso un passo ulteriore. Questo allora significa che nell’amore non ci sono limiti? No. Siamo, sì, chiamati ad essere ‘dono per gli altri’, ma deve trattarsi di un dono saggio. Saggio vuol dire, per es., che non sempre ad un bambino devo dare una carezza: può anche esserci il rimprovero. Se lo rimprovero, lo amo di meno? Se il rimprovero viene dall’irritazione è un amore minore, ma se nasce dal desiderio di farlo crescere bene, anche il rimprovero diviene un atto d’amore. All’amore tutto è concesso, purché ricerchi il vero bene dell’altro. Di solito si ritiene che amare richieda parole dolci, talvolta però, sono necessarie parole dure. Se queste parole dure nascono da un cuore buono e hanno un fine buono, sono un atto di amore vero. 2) Quindi, ciò che dobbiamo assolutamente verificare è se quel che noi chiamiamo ‘amore’ è davvero un sentimento di bene o un sentimento egoistico. Vedete, il guaio di tutti noi è che siamo abili nel chiamare ‘amore’ atti, che in realtà sono egoistici. Ad es. quante volte il nostro essere carini verso l’altro è in realtà un usarlo o un tenercelo buono o è solo formalità. Quante volte diciamo parole di cortesia senza cortesia, parole di saluto senza calore, parole educate ma solo formali o gesti di amore senza amore! Una parola carina o un sorriso potrebbero essere un’ ipocrisia, come un favore...un ricatto. Guardati da chi ti fa dei favori, ha detto qualcuno. Insomma, è l’intenzione ciò che fa buono un gesto, non il gesto in sè. 3) E vengo a un 3° punto. Ci sono ricette in grado di trasformare una persona egoista in persona generosa? Non saprei rispondere, so però di alcuni strumenti possono aiutare. Uno è quello di essere buoni noi, perché la bontà è contagiosa. Se i nostri atteggiamenti nascono da un cuore pulito, è facile che l’altro se ne accorga e si renda conto di quanto lui invece sia diverso. Se in un gruppo di 8 amici, tutti sono egoisti, nessuno se ne rende conto, ma se nel gruppo ci fosse anche un solo generoso, i 7 si accorgono di non essere generosi come il loro amico. Un 2° strumento è quello di essere persone più positive. C’è chi, senza accorgersene, dice sempre di no a tutto. Come d’istinto, coglie sempre ciò che non va, è sempre critico e perplesso, non è fiducioso. Ora, a stare sempre con persone lagnose e scontente, veniamo contagiati, ci si deprime e basta; al contrario, frequentare persone positive, si viene aiutati a guardare meglio la vita. Un'ultima cosa poi finisco. Mettiamo in conto che nel nostro essere generosi, c’è sempre qualche venatura di egoismo. E allora sentite cosa diceva San Vincenzo de’ Paoli alle sue suore della carità: Quando fate la carità, fatevi perdonare il dono che fate. Dovete essere così umili, da far sì che, chi riceve il dono, non si senta umiliato. Quante sono vere queste parole! Non dimentichiamo che chiedere la carità non è facile, per tanti è vergogna e umiliazione. E allora si abbia la dovuta sensibilità, non si faccia pesare la propria carità a chi non ha nessuna colpa, se è povero. E le povertà oggi sono tante: c’è la povertà materiale, la povertà culturale, la povertà di valori, la povertà di salute, la povertà della solitudine,… E c’è anche la povertà della “non fede”. Avere fede è una grande ricchezza, non avere fede è una grande povertà, pur se non colpevole. Concludo allora augurando a me e a voi una buona Quaresima. Se nel salmo responsoriale abbiamo detto: Crea in me, o Dio, un cuore puro, chiediamo al Signore che ci dia un cuore sensibile a ogni genere di povertà, per provvedervi con la dovuta generosità.
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