Indagine conoscitiva sulla povertà e il disagio minorile

Articolo pubbicato nella newsletter “minori e garanzie” del mese di ottobre 2014
Indagine conoscitiva sulla povertà e il disagio giovanile
testo integrale dell’audizione del garante per l’infanzia e l’adolescenza alla commissione
parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza
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Ringrazio vivamente la Presidente e la Commissione tutta per questa convocazione in audizione, dalla quale
emerge una confortante attenzione per le nuove figure dei garanti regionali dell’infanzia e dell’adolescenza e
per il loro possibile ruolo.
Esprimo vivissimo apprezzamento per la scelta del tema dell’indagine in corso. La povertà minorile intesa
come specifica condizione di povertà delle persone di età minore è oggetto di insufficiente attenzione nel
nostro Paese, e inadeguate sono le strategie di contrasto poste in essere malgrado gli impegni internazionali
assunti dall’Italia con la ratifica della Convenzione sui Diritti del Fanciullo, ratifica risalente ormai al 1996.
Come giustamente rileva il programma dell’Indagine, profonde sono le conseguenze sui minori del disagio
economico e sociale, e non si può negare a priori una correlazione positiva fra povertà e disagio nelle sue varie
forme, comprensive del disadattamento e dei comportamenti socialmente inaccettabili come quello – citato
nel Programma – del c.d. cyberbullismo.
Mi preme tuttavia sottolineare che la dimensione economica non basta a spiegare la povertà minorile, che si
caratterizza invece principalmente sotto il profilo della povertà educativa. E’ questa una caratteristica peculiare
della povertà minorile, che viene spesso sottovalutata dall’opinione pubblica e sacrificata ad altre priorità da
parte delle istituzioni. Invece, il bambino che vive in una famiglia non in grado per ragioni economiche o
culturali di offrirgli un ambiente stimolante è un bambino a rischio di discriminazione e di esclusione sociale
fin dai primi anni di via, se quella carenza anche incolpevole a livello familiare non trova servizi integrativi
adeguati e contrappesi nel sistema educativo complessivamente considerato.
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Una definizione corretta della povertà educativa mi sembra quella fornita da Save the Children in una recente
indagine che la Commissione ben conosce: è povertà educativa “la privazione da parte dei bambini e degli
adolescenti della possibilità di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti
e aspirazioni”. Questo concetto era già adombrato nel vecchio art. 147 del codice civile ed ora è stato ribadito
come diritto del figlio nel nuovissimo art. 315 bis stesso codice: ma i destinatari del comando giuridico sono i
genitori, e non anche invece – come dovrebbe essere – le istituzioni e la comunità.
E’ dunque auspicabile che strumenti normativi e amministrativi vengano individuati per porre a carico anche
delle istituzioni quel comando, e ciò deve valere sia per lo Stato che per le Regioni. A questo proposito è
opportuno citare l’art. 18 della Convenzione sui Diritti del Fanciullo, che impegna gli Stati parti non solamente
ad accordare aiuti appropriati ai genitori ma anche a provvedere alla creazione di istituzioni e servizi aventi il
compito di vigilare sul benessere del fanciullo.
Com’è noto, la ricerca di Save the Children propone un apposito indice di povertà educativa (I.P.E.), dal quale
risulta confermato il fortissimo divario di opportunità educative tra le Regioni italiane. E’ quindi indispensabile
e urgente definire i Livelli essenziali delle prestazioni per l’infanzia e l’adolescenza (L.E.P.), di cui si è ancora in
attesa.
Articolo pubbicato nella newsletter “minori e garanzie” del mese di ottobre 2014
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La situazione delle persone minorenni in Emilia Romagna appare per certi versi privilegiata, poiché secondo
i criteri indicati da Save the Children la nostra Regione si colloca al terzo posto tra quelle italiane, preceduta
soltanto da Friuli Venezia Giulia e Lombardia. I più di mille nidi di infanzia dispongono di circa 38.000 posti,
e coprono così il 33,7% del fabbisogno raggiungendo una percentuale che supera l’obiettivo indicato dal
Consiglio europeo di Lisbona.
Malgrado ciò, permangono settori di popolazione minorile e situazioni particolari dove il rischio di povertà è
presente ed attuale. In estrema sintesi, e rinviando alla Relazione sull’attività svolta nel 2013 che oggi consegno
alla Commissione, vanno segnalate come fasce a forte rischio quella dei minori stranieri e quella dei minori
appartenenti a famiglie nomadi.
Quest’ultima categoria, modesta dal punto di vista quantitativo, sotto l’aspetto qualitativo è probabilmente la
più a rischio fin dai primissimi anni di vita. La cittadinanza europea di molti tra loro accentua un nomadismo
pendolare delle famiglie, che, poverissime, pur libere di entrare in Italia ben difficilmente riescono a raggiungere
i requisiti per la residenza. Ciò ha riflessi profondi sulla povertà materiale ed educativa dei minori, in quanto è per
loro difficile usufruire pienamente dei servizi e delle facilitazioni previste per i non abbienti come per esempio
la retta di iscrizione e la refezione scolastica. Da tutto ciò derivano pesanti effetti negativi per l’integrazione
sociale. La Regione Emilia Romagna ha di recente pubblicato un importante rapporto sulla popolazione Rom e
Sinti, e la Giunta nella seduta del 7 luglio 2014 ha approvato il progetto di legge “Norme per l’inclusione sociale
di Rom e sinti” che riformula la vecchia l.r. 1988 n. 47, ormai del tutto superata.
Per quanto riguarda la categoria dei minori stranieri residenti, essa raggiunge valori assai elevati, fino a punte
che superano in alcune zone il 20% del totale della popolazione minorile residente, che nella Regione è pari
a 711.268 minorenni. La mancanza della cittadinanza italiana anche se si tratta di bambini nati in Italia e
l’ambiente familiare spesso povero di stimolazioni costituiscono ostacoli di fondo a una piena integrazione, e
possono ipotecare il loro futuro.
I dati sul ritardo scolastico confermano queste osservazioni. Infatti (tab. 11 della Relazione 2013) nella scuola
primaria e secondaria di primo grado gli alunni italiani in ritardo sono il 7,6%, mentre gli alunni stranieri in
ritardo sono il 54,7%. Scomponendo il dato, si vede che nella scuola primaria il ritardo degli italiani è molto
basso (1,6%), mentre è già molto alto quello degli alunni stranieri (13,6%). Si nota poi che nella secondaria
di primo grado gli italiani in ritardo sono appena il 6% del totale, mentre gli stranieri sono il 41,1%. Infine,
per completezza, si può notare che nella scuola secondaria di secondo grado il ritardo degli alunni stranieri
raggiunge il 63,8% contro 21,8% degli italiani.
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Sforzi maggiori dovrebbero perciò essere compiuti, a parere di questo Garante, per ridurre il grave divario. Se
infatti in Emilia Romagna la percentuale di copertura dei nidi e dei servizi per la prima infanzia è a livelli molto
elevati, e le classi a tempo pieno nella scuola primaria sono presenti in poco meno della metà dei casi, ben
diversa appare la situazione per le classi a t.p. nella scuola secondaria di primo grado. Queste, secondo
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i dati del MIUR riportati nella ricerca di Save the Children, sono in Emilia Romagna appena il 7% del totale. Il
ruolo della scuola secondaria di primo grado è di capitale importanza per contrastare l’esclusione sociale e la
devianza minorile, ivi compreso il bullismo. La povertà educativa nella fase della preadolescenza deve trovare
più attente le istituzioni attraverso la messa in opera di servizi integrativi adeguati, e un potenziamento del
tempo pieno nella scuola secondaria di primo grado sembra essere il punto di partenza non rinunciabile.
Luigi Fadiga
Roma, 11 settembre 2014