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Al licenziamento non consegue la revoca del permesso di soggiorno
Renzo La Costa
Il licenziamento non costituisce legittimo motivo di revoca del permesso di soggiorno al
lavoratore extracomunitario ed ai suoi familiari legalmente soggiornanti ai sensi e per gli
effetti dell’art. 22, comma 11, del D. L.vo n. 286/1998. Ad affermarlo il Consiglio di Stato
con sentenza 608/201. Un cittadino marocchino soggiornante regolarmente in Italia
impugnava davanti al Tribunale Amministrativo Regionale il provvedimento del Questore
di revoca del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato a tempo
indeterminato. Il provvedimento impugnato dava atto che il rapporto di lavoro
subordinato in base al quale era stato rilasciato il predetto permesso di soggiorno non
risultava formalizzato presso i competenti uffici, che non constava il versamento di
"quanto previsto in materia di previdenza ed assistenza obbligatoria all’INPS, INAIL e
Cassa Edile" e che la società datrice di lavoro aveva licenziato l’interessato "dopo breve
periodo dalla data di assunzione". Secondo la Questura da tanto derivava "che la
documentazione prodotta e allegata alla richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno
serviva per indurre in errore la Pubblica Amministrazione allo scopo di rinnovare il
permesso di soggiorno. Il T.A.R. accoglieva il ricorso, affermando la inidoneità degli
argomenti posti a base del provvedimento impugnato, "atteso che né il mancato
adempimento di incombenze legali spettanti al datore di lavoro e non al lavoratore, né la
circostanza del sono di per sé elementi da cui dedurre univocamente la grave e preclusiva
conseguenza che tutta la documentazione sia falsa ed artificiosa tendente cioè a porre in
essere e dimostrare un fittizio rapporto di lavoro. Con l’atto di appello in questione,
l’Amministrazione reiterava l’affermazione del carattere simulato, fittizio e dunque
inefficace del contratto di lavoro, che aveva consentito il rilascio del permesso di soggiorno
poi revocato in autotutela. Invero – ha osservato il Collegio - gli accertamenti posti a base
del provvedimento oggetto del giudizio, dai quali risulta la mancata formalizzazione
dell’assunzione e l’omesso versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali, non
depongono in senso univoco, per la non veridicità delle dichiarazioni rese in sede di
rinnovo del permesso di soggiorno, alla luce della "dichiarazione rapporto di lavoro" resa
alla Questura dal datore di lavoro e, soprattutto, della "comunicazione di assunzione"
effettuata dallo stesso datore al Centro per l’Impiego .La affermata inesistenza del rapporto
lavorativo finisce dunque col basarsi sulla sola e mera omissione degli adempimenti
contributivi in relazione all’attività lavorativa, ch’è indubbiamente imputabile
esclusivamente al datore di lavoro e non può certo valere a vanificare quelle garanzie di
stabilità e sicurezza, che lo straniero presente sul territorio nazionale ritiene in assoluta
buona fede di aver raggiunto con l’intervenuto reperimento di un’occupazione, di cui spetta
ai competenti organi della P.A. assicurare il regolare svolgimento nel rispetto degli obblighi
gravanti sul datore di lavoro a garanzia di interessi pubblici di primaria importanza. Né
può costituire elemento positivamente valutabile ai fini dello scrutinio di legittimità della
contestata revoca del permesso di soggiorno l’intervenuto licenziamento del lavoratore
"dopo breve periodo dalla data di assunzione", atteso, da un lato, che non può rilevare
nella presente sede giurisdizionale l’affermata (dall’Amministrazione) erroneità di tale
elemento motivazionale, che avrebbe dovuto semmai portare la stessa all’annullamento
d’ufficio di un atto risultato fondato su un presupposto poi risultato inesistente; dall’altro,
che il licenziamento stesso (effettivamente avvenuto dopo poco più di un anno
dall’assunzione) non costituisce legittimo motivo di revoca del permesso di soggiorno al
lavoratore extracomunitario ed ai suoi familiari legalmente soggiornanti ( art. 22, comma
11, del D. L.vo n. 286/1998 ). L’appello in definitiva è stato respinto.