Giovanni Sabatini su richiesta informazioni Ue per imposte

COMUNICATO STAMPA
Dichiarazione del Direttore Generale dell’ABI, Giovanni Sabatini,
su richiesta Ue per imposte differite attive
In relazione alla notizia circa una richiesta di informazioni inviata al Governo italiano
relativamente al trattamento delle c.d. imposte differite attive (DTA) e alla possibile
configurazione di forme di aiuti di stato l’Associazione Bancaria Italiana esprime totale
sorpresa. Pur non essendo l’ABI destinataria della richiesta di informazioni e dunque non
essendo a conoscenza, in dettaglio, dei quesiti posti ritiene poter formulare le seguenti
osservazioni.
La principale causa dell’accumularsi di imposte differite attive (cioè imposte pagate
anticipatamente dalla banca in qualità di contribuente e che saranno recuperate in esercizi
futuri) è da ricercarsi nel peculiare trattamento fiscale degli accantonamenti sui crediti
deteriorati previsto dalle norme italiane. Infatti tale voce di costo, che per una banca
rappresenta un tipico costo di produzione del servizio che eroga (al pari della materia prima
necessaria per costruire un manufatto per un’impresa industriale), poteva essere dedotta dal
reddito imponibile solo in una quota predefinita nell’anno in cui veniva fatta la svalutazione
del credito e la parte eccedente nei successivi diciotto anni nei limiti in cui vi fosse capienza
nel reddito imponibile di quegli anni. In questo modo si generano delle DTA, cioè delle
imposte differite attive. Dal 2013 la norma è stata modificata riducendo il periodo da diciotto
anni a cinque anni, da un lato riducendo il problema sia di generazione delle DTA sia di
disallineamento fiscale rispetto a tutti gli altri paesi europei. Il problema è stato ridotto ma
non annullato, in quanto dal punto di vista fiscale negli altri paesi europei le svalutazioni su
crediti vengono fiscalmente dedotte nello stesso anno in cui vengono effettuate.
Il Parlamento italiano ha altresì modificato il regime delle DTA consentendo in specifici casi
quale, ad esempio, il verificarsi di una perdita fiscale (con l’impossibilità quindi di recuperare
una parte delle imposte pagate anticipatamente) una quota parte delle DTA sia convertita in
credito di imposta e dunque in una posta che può essere compensata (con altri debiti fiscali o
contributivi) o anche ceduta. In questo modo le DTA che emergono dalla mancata integrale
deducibilità degli accantonamenti sui crediti deteriorati hanno piena e certa capacità di
assorbire le perdite e dunque sono compatibili con le nuove norme di vigilanza prudenziale
(cosiddetta Basilea3). Nuove regole di Basilea che invece avrebbero reso non rilevanti a fini
patrimoniali le DTA, se trattate ancora con il precedente regime.
In sostanza emerge chiaramente da questa sintetica ricostruzione come l’intervento del
legislatore italiano sia stato necessario per evitare una doppia penalizzazione delle banche che
operano in Italia, la prima sotto il profilo fiscale e la seconda sotto il profilo dei requisiti
patrimoniali. Appare quantomeno bizzarro che una norma che contribuisce a ristabilire un
terreno di gioco livellato tra le banche europee possa essere invece interpretata alla rovescia
come un aiuto di Stato.
Se è necessario un intervento della Commissione Europea per ristabilire un corretto
funzionamento del mercato e una competizione su un terreno di gioco effettivamente livellato
questo avrebbe dovuto essere nel senso di chiedere ai Governi dei paesi che partecipano
all’Unione Bancaria la totale armonizzazione delle norme fiscali, delle norme sul diritto penale
dell’economia, delle regole ammnistrative che oggi ancora rendono incompleto e asimmetrico
il quadro normativo all’interno del quale operano le banche dall’eurozona.
Roma, 7 aprile 2015
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