Iliade 3 - Lettere e Filosofia

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anche se quello si cela e s'acquatta sotto un cespuglio;
sì, così Ettore mai sfuggiva al veloce Pelide.
Ed ogni volta che verso le porte Dardanie correva,
sì da balzare in avanti, fin sotto le solide torri,
se gli potessero offrire dall'alto difesa coi dardi,
sempre gli stava dinanzi Achille e di nuovo alla piana
lo respingeva; e volava alla rocca, Ettore, sempre.
Come nel sogno non può, chi insegue, afferrare chi fugge;
il fuggitivo non può sottrarsi, o il nemico afferrarlo:
giungerlo in corsa, così, non può Achille, né egli sfuggire.
Come poteva mai Ettore a Chere di morte scampare,
l'ultima volta, l'estrema, al suo fianco Apollo non fosse
giunto, colui che gli diede ardore e anche svelte ginocchia?
Vòlto alle schiere, scuoteva la testa, lo splendido Achille,
non le lasciava scagliare su Ettore amare saette,
che non rubasse altri il vanto, colpendo, egli fosse secondo.
Quando però, al quarto giro, tornarono presso le fonti,
subito, allora, ecco il padre agganciare l'aurea bilancia:
pose sui piatti due Chere di morte diururna di pene,
tanto il destino d'Achille, che d'Ettore destro a cavallo,
presala in mezzo, la tenne; per Ettore giorno funesto
cadde e nell'Ade piombò: partì dunque Apollo, il Radioso.
Ed al Pelide apparì la dea Atena, Occhi-di-strige,
avvicinatasi a lui, gli rivolse alate parole:
«Fulgido Achille, eroe amato da Zeus, ora nutro speranza
che grande gloria agli Achei recheremo presso le navi,
Ettore trucideremo, benché di battaglia mai sazio.
No, per cosrui non è più possibile, adesso, sfuggirci,
anche se Apollo l'arciere affrontasse mille fatiche,
si rotolasse davanti al padre dall'egida, a Zeus!
Tu per adesso rista', respira, ed a lui, nel frattempo,
m'accosterò, per blandirlo, così che t'affronti in duello».
Gli disse Atena, ed Achille obbedì, gioì nel suo cuore,
e s'arrestò, s'appoggiò al frassino a punta di bronzo.
Lo lasciò solo, la dea, ad Ettore splendido venne,
ed imitò di Deifobo aspetto e inflessibile voce;
avvicinatasi a lui, gli rivolse alate parole:
«Troppo davvero, fratello, il rapido Achille ti forza,
sotto la rocca di Priamo, coi piedi veloci t'insegue;
via, arrestiamoci, adesso, affrontiamolo resistendo».
Disse di contro a lei Ettore, il grande dall'elmo lucente:
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in passato,
ato la vita;
o più alto
( \\ . 3 (; , ..:hi m'hai visto,
l riparo!».
i-di-strige:
Jile madre
in fila, i compagni,
ia tremore;
lurto crudele.
con le lance
più risparmiarci dovremo, e così sapremo se Achille
trascinerà, trucidati entrambi, le spoglie cruente
verso le navi leggere, o 1'abbatterà la rua lancia!».
Com'ebbe detto, con subdolo intento avanzò dunque Atena;
Giunti che furono presso a scagliarsi l'uno sull'altro,
<fEttore primo parlò, quel grande dall'elmo lucente:
«Figlio di Pèleo, da te più non fuggo come d'intorno
alla gran rocca di Priamo san prima fuggito, e l'assalto
ruo non ardivo d'attendere; adesso me l'animo spinge
a sollevarmiti innanzi, o che io t'uccida o sia vinto.
Ora, suvvia, invochiamo gli dèi; essi infatti saranno
i testimoni migliori ed anche i garanti dei patti;
io non ti sfigurerò con tremendo sconcio, se Zeus
m'accorderà la vittoria, se ti spoglierò della vita;
ma dopo averti privato, o Achille, dell'armi gloriose,
restituirò la tua salma agli Achei: così fa' ru pure».
Lo guardò bieco e rispose Achille dai rapidi piedi:
«Ettore, no, maledetto, con me non parlare d'accordi;
come non c'è fra leoni ed uomini patto sicuro,
come nell'animo lupi e agnelli non hanno concordia,
ma di continuo sventure preparano gli uni per gli altri,
proprio così fra me e te non c'è amore, né fra noi due
patti giammai si daranno, se prima uno almeno, cadendo,
sangue non dia cibo ad Ares, l'indefatigato guerriero.
D'ogni valore rinnova memoria; ora certo bisogna
che ti dimostri guerriero ardito e anche pronto di lancia.
Più non c'è scampo per te, no, ben presto Pallade Atena
per l'asta mia t'avrà morto: ormai pagherai rutte quante
le sofferenze dei miei, che hai vinti infuriando con l'asta».
Disse e brandì, saettò la lancia dall'ombra allungata;
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MURTE DI ETTORE
Ettore fulgido prima la vide e riuscì ad evitarla;
vistala, si rannicchiò, volò in alto l'asta di bronzo,
venne a piantarsi per terra; e la prese Pallade Atena,
la die' ad Achille e fu ad Ettore occulta, al pastore d'armate.
Ecco che allora al Pelide impeccabile Ettore disse:
«Colpo fallito! E così tu, Achille, pur simile a un dio,
non conoscevi il mio fato da Zeus, come pure vantavi;
certo sèi stato facondo e astuto a intrecciare parole,
sì che l'ardore e il valore io dimenticassi, e tremassi.
Tu non a me pianterai, mentre fuggo, l'asta nel dorso,
mentre impetuoso t'assalto, dovrai trapassarmi nel petto,
se l'ha concesso a te un dio; ora schiva tu la mia lancia
bronzea: possa tu intera riceverla nella tua carne!
Ben più leggera senz'altro sarebbe ai Troiani la guerra,
fossi, tu, morto; per loro sei tu la sciagura peggiore».
Disse e brandì, saettò la lancia dall'ombra allungata,
colse al Pelide lo scudo nel mezzo, né già fallì il colpo;
l'asta lo scudo respinse lontana; e n'ebbe Ettore stizza,
ché gli sfuggì senza frutto di mano l'amaro suo dardo,
in disappunto, ristette, né altr'asta di frassino aveva.
Forte gridando chiamò Deifobo candido scudo;
lunga una lancia gli chiese; ma questi non gli era vicino;
Ettore, allora, capì nel suo cuore, ed ecco, si disse:
«Ah, veramente, oramai, m'han chiamato a morte gli dèi!
Già, ché Deifobo eroe credevo d'avere vicino;
egli è però fra le mura, e Atena m'ha tratto in inganno.
Ora una morte crudele m'è presso e non è più lontana,
né può evitarsi; per certo da tempo lo avevano caro
Zeus e l'arciere infallibile, il figlio di Zeus, che in passato
m'hanno salvato, benigni; ma adesso la Moira m'ha còlto.
E tuttavia non morrò senza lotta, privo di gloria,
ma compirò grandi gesta e genti future le udranno!».
Quindi, com'ebbe parlato, estrasse la spada affilata,
quella che grande e pesante vicino al suo fianco pendeva,
e si raccolse e balzò, come aquila in alto librata,
che sulla piana s'avventa fra nuvole cupe di buio,
per abbrancare un'agnella gentile o una lepre nascosta:
Ettore tale balzò, movendo la spada affilata.
Ma s'avventò pure Achille, ed empì d'ardore selvaggio
l'animo, e innanzi protese, a celare il petto, lo scudo
bello, dedàleo, agitava il suo elmo a quattro ripari
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lucido; e belle d'intorno, frattanto, ondeggiavan le chiome
auree, quelle che fitte Efesto applicò sul cimiero.
Come fra gli astri una stella balugina in seno alla notte,
Vespro, la luce più chiara che mai si sollevi nel cielo,
tale brillava la punta aguzza che Achille brandiva
nella sua destra, tessendo ad Ettore splendido morte,
e nel bel corpo scrutando il punto che fosse più esposto.
In ogni parte il suo corpo coprivano l'armi ben fatte
bronzee, che, uccisa la forza di Patroclo, aveva rapite;
dove però la clavicola il collo separa e le spalle,
varco s'apriva, e da lì più rapida fine ha la vita;
mentre assaltava, lì d'asta lo colse, lo splendido Achille,
dritta la punta passò attraverso il tenero collo;
ma non troncò la faringe, quel frassino grave di bronzo,
sì che poteva parlare e rispondere con parole.
Egli fra polvere cadde; e vantò, lo splendido Achille:
«Ettore, presa la vita di Patroclo, forse credevi,
tu, di restare impunito, né a me, pur lontano, pensavi,
stolto! Lontano da lui, difensore molto più forte,
presso le navi leggere, indietro me ne rimanevo
io, che t'ho sciolto i ginocchi; adesso di te cani e uccelli
orrido sconcio faranno, ma a lui daran tomba gli Achei!».
Senza più forze, diceva a lui Ettore elmo lucente:
«Per la tua vita, ti prego, e per le ginocchia e i parenti,
no, non lasciarmi straziare da cani d'Achei fra le navi,
ma per tua parte ricevi abbondanza d'oro e di bronzo,
doni che a te porgeranno il padre e la nobile madre,
fa' che il mio corpo sia reso alla casa, sì che da morto
sopra la fiamma Troiani mi posino e spose troiane».
Lo guardò bieco e rispose Achille dai rapidi piedi:
«No, non pregarmi né per le ginocchia né per i parenti,
cane; così furia ed ira m'avessero spinto a tagliare
e a divorare le crude tue carni, per quel che hai commesso,
come non c'è chi potrà stornarti dal capo le cagne,
né se portassero qui dieci o venti volte il riscatto,
e lo pesassero, o se facessero d'altro promessa,
o addirittura volesse anche a peso d'oro pagarti
Priamo Dardanio; nemmeno così la tua nobile madre,
quella che ti partorì, disteso su funebre letto
ti piangerà, cani e uccelli intero ti divoreranno».
Prossimo a morte, rispose a lui Ettore elmo lucente:
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MORTE DI ETTORE
«Ben ti conosco, ota che t'ho guardato; e no, non potevo
certo piegarti, poiché chiudi in petto un cuore di ferro.
Bada, però, ch'io non sia per te causa d'ira divina,
proprio nel giorno in cui Paride insieme ad Apollo il Radioso
ucciderà te, pur valido, innanzi alle Porte Sinistre».
Mentre COSI gli diceva, il cerchio di morte l'avvolse,
e dalle membra volando, la vita discese nell'Ade,
e rimpiangeva il suo fato, lasciò giovinezza e vigore.
Ed all'eroe, ch'era morto, diceva lo splendido Achille:
«Muori; ed anch'io accoglierò la Chera in qualunque frangente
vogliano compierla Zeus e anche gli altri numi immortali!».
Disse COSI, poi dal corpo estrasse la lancia di bronzo
e la depose da parte; dagli omeri l'armi cruente
quindi gli tolse; ed intorno gli corsero i figli d'Achei,
e la prestanza ammiravano ed anche la chiara bellezza
d'Ettore; né c'era chi s'accostasse senza colpire,
e COSI disse qualcuno, volgendosi a un altro vicino:
«Ah, veramente, ora è assai più tenero da maneggiare,
Ettore, non come quando gettò fuoco ostile alle navi!».
Con questo dire, ciascuno a lui s'accostava e colpiva.
Dopo che l'ebbe spogliato, lo splendido Achille veloce,
sorto di mezzo agli Achei, parlò con alate parole:
«O cari amici, sovrani nonché condottieri d'Argivi,
ora che i numi m'han dato d'abbattere questo guerriero,
che molti danni ci fece, e quanti mai più gli altri insieme,
via, tutt'intorno alla rocca giriamo vestiti dell'armi,
che dei Troiani s'indaghino i piani, ave n'abbiano ancora,
se fuggiranno dall'alta fortezza, caduto costui,
o san decisi a restare anche adesso che Ettore è morto ...
Ma perché mai si disperde in questi pensieri il mio cuore?
Giace incompianto e insepolto vicino alle navi un defunto,
Patroclo; ed io non potrò scordarmi di lui, fino a quando
m'aggirerò presso i vivi e ancora avrò salde ginocchia;
pur se nell'Ade non c'è nessuna memoria dei morti
anche laggiù serberò ricordo del caro compagno.
Ora, suvvia, intonando un peana, giovani Achei,
verso le navi leggere torniamo, e traiamo costui.
Ettore splendido abbiamo ucciso, e ottenuto gran vanto,
Ettore, a cui come a un dio in città fan voti i Troiani!».
Disse, e per Ettore splendido ignobili gesti pensava.
Gli trapassò tutt'e due i tendini dietro i due piedi
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dalla caviglia al tallone, v' infisse corregge di cuoio.
Poi lo legò dietro il cocchio, lasciò penzolare la testa;
quindi, salito sul cocchio, innalzate l'armi gloriose,
diede di sferza e partì, volarono svelti i cavalli.
Lo trascinava e una nube di polvere sorse, le chiome
brune eran tutte scomposte e dentro la polvere il capo
prima grazioso, era immerso; e lo diede in preda ai nemici
Zeus, perché fosse sconciato laggiù, nella terra dei padri.
Tutto COSI si bruttava il suo capo; intanto la madre
prese a strapparsi le chiome, lontano da sé lo splendente
velo gettò, grida acute levò, come vide suo figlio;
pietosamente gemeva il padre ed intorno le genti
s'abbandonarono a pianti e lamenti, dentro la rocca.
Quasi sembrava oramai che da cima a fondo l'intera
Ilio elevata sui poggi venisse corrosa dal fuoco.
Ed a fatica le genti frenavano il vecchio sdegnato,
che dalle porte Dardanie era ormai impaziente d'uscire.
E tutti quanti pregò, rotolandosi nel letame,
interpellando COSI ciascuno e chiamandolo a nome:
«Allontanatevi, amici, lasciate, per quanto angosciati,
ch'io dalla rocca esca solo e vada alle navi d'Achei,
a supplicare quell'uomo spietato, dal cuore violento,
forse vorrà rispettare l'età, sarà forse pietoso
della vecchiaia; egli stesso ha un padre già avanti negli anni,
Pèleo, che lo generò, lo crebbe a che fosse sventura
per i Troiani; ed a me su tutti egli inflisse dolori.
Tanti figlioli m'uccise, ancora nel fiore degli anni;
ma non ho tanto ripianto degli altri, sebbene io m'affligga,
quanto d'un solo, per cui aspra angoscia mi darà all'Ade,
d'Ettore; fra le mie braccia avesse esalata la vita;
già, ché di pianti e lamenti, almeno potremmo saziarci
tanto la madre infelice che lo partorì, quanto io stesso».
Disse piangendo e la gente del popolo, intorno, gemeva;
Ecuba fra le Troiane iniziò lamento infinito:
«Ah, figlio mio, me infelice! E come vivrò, se sèi morto,
io, fra feroci dolori? Tu eri per me notte e giorno
causa di vanto, qui dentro la rocca, e per tutti eri luce
nella città, per Troiani e Troiane, che come un dio
ti ricevevano; ed anche per loro eri tu gloria grande,
quando eri vivo; ora t'hanno raggiunto la Moira e la morte!».
SI, COSI disse, piangendo; né ancora sapeva, la sposa
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