i patti e il duello di alessandro e menelao

Iliade - LIBRO TERZO
I patti giurati e il duello di Alessandro e Menelao 1
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Una volta ordinati, ciascun gruppo con il proprio comandante, i Teucri avanzano con grida e richiami
 PARAGONE con il grido delle gru quando fuggono l’inverno, volano sulle correnti d’Oceano2, e poi
seminano morte fra i Pigmei3. All’alba i Teucri danno battaglia.
Gli Achei avanzano in silenzio, spirando furia. Sono bramosi di aiutarsi l’un l’altro.
Gli Achei avanzano rapidi nella pianura, sollevando nuvole di polvere  PARAGONE con il vento Noto
che versa la nebbia, fitta, sulle vette dei monti.
Quando gli schieramenti sono vicini, si pone davanti ai Troiani Alessandro, bello come un dio
(Ἀλέξανδρος θεοειδὴς): ha una pelle di pantera sulle spalle, arco ricurvo e spada. Brandisce due lance
dalla punta di bronzo e sfida i campioni degli Achei a duello (ἀντίβιον μαχέσασθαι).
Appena Menelao lo vede procedere davanti allo schieramento, a grandi passi, gode vedendolo, e
spera di vendicarsi sul colpevole  PARAGONE con un leone che si imbatte nel grosso corpo di una
preda, e gode, anche se i cani tentano di scacciarlo. Menelao salta a terra dal carro, con le armi.
Appena Alessandro vede Menelao apparire tra i primi campioni degli Achei, sbigottisce, indietreggia
spaventato, sfuggendo la morte, e si immerge tra le schiere dei Teucri  PARAGONE con uno che
vede un serpente e trema, impallidisce e fugge.
Ettore lo vede indietreggiare spaventato, e lo assale con parole infamanti per la sua codardia. Persino
vorrebbe non fosse mai nato, o fosse morto prima delle nozze. Certo gli Achei stanno ridendo:
credevano che il capo fosse coraggioso, a giudicare dalla sua bellezza, ma nel cuore non c’è coraggio. E
lui vile, con navi e compagni, si è recato presso stranieri, in una terra lontana, e ha portato via una
donna, nuora di uomini bellicosi: e con questo ha causato grave danno al padre Priamo, alla città e a
tutto il suo popolo. E godimento ai nemici, e infamia per se stesso. E adesso non ha il coraggio di
affrontare Menelao ! Almeno saprà di quale uomo abbia ora la sposa. Non lo salveranno la cetra, e i
doni di Afrodite (la bellezza), quando rotolerà nella polvere. I Troiani devono davvero essere dei
vigliacchi, altrimenti lo avrebbero già da tempo lapidato per tutto il male che ha causato.
οὐκ ἂν δὴ μείνειας ἀρηΐφιλον Μενέλαον;
γνοίης χ᾽ οἵου φωτὸς ἔχεις θαλερὴν παράκοιτιν:
Paragone
Paragone
Paragone
Paragone
Citazione
E non affronterai Menelao caro ad Ares ?
Almeno saprai di che uomo hai la sposa fiorente !
La risposta di Alessandro. Ettore lo rimprovera a ragione, non ha davvero torto: ma Ettore è
inflessibile, la sua anima è impassibile al timore. Non deve però rinfacciargli il dono della bellezza:
anche Ettore non ha ricevuto dagli dèi doni spregevoli. E ai mortali non è permesso scegliere quanti
doni ricevere dagli dèi.
Però dato che Ettore vuole che Alessandro combatta, che faccia sedere Troiani ed Achei: e che essi,
Troiani ed Achei, facciano lottare in duello lui e Menelao (caro ad Ares, ἀρηΐφιλον Μενέλαον) per
Elena e per tutti i beni4. Chi dei due vincerà, rimarrà superiore, si prenderà la donna con tutti i beni.
Troiani ed Achei faranno poi amicizia e patti leali: i Troiani rimaranno ad abitare la fertile Troade,
mentre i Greci se ne ritorneranno ad Argo e in Acaia.
Queste le parole di Alessandro. Ettore si rallegra della proposta. Si porta in mezzo allo schieramento e,
impugnando nel mezzo la lancia, trattiene e fa sedere i Troiani.
Gli Achei tendono gli archi contro di lui, vogliono colpirlo. E scagliano sassi. Agamennone però grida
agli Achei di fermarsi, e di non colpire: Ettore (elmo abbagliante) vuol dire qualcosa agli Achei.
Da questo punto fino alla fine del libro VII la promessa fatta da Zeus a Teti è dimenticata. In origine gli episodi contenuti in questi
libri dovevano essere indipendenti dal piano del poema, e in parte sembrano riferirsi all’inizio della guerra.
2 In Omero l’Oceano è un fiume che circonda la terra.
3 Pigmei - Presso gli antichi Greci, erano chiamati P. gli appartenenti a un favoloso popolo di nani, localizzati solitamente presso le
sorgenti del Nilo, o un popolo dell’Indo, o anche di Tracia o di Libia, menzionati già da Omero (III libro dell’Iliade). La leggenda tipica
dei P. è la loro lotta contro le gru, causata dal fatto che una loro donna (o regina), Enoe (o Gerana), madre di Mopso, non avendo
reso il culto dovuto a Era, era stata da questa trasformata in gru e cercava perciò, insieme con le altre gru, di riprendere il figlio
rimasto presso i P.; ma essi con le grida e con le armi e cavalcando dei caproni si sforzavano di ricacciare gli odiati uccelli.
4 Si tratta dei tesori che Paride ha portato via a Menelao quando aveva rapito Elena.
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Alle parole di Agamennone gli Achei si fermano e stanno in silenzio di colpo. Ettore parla ai due
schieramenti: vuole riferire le parole di Alessandro, a causa del quale è nata questa contesa.
Alessandro vuole che Troiani ed Achei posino le armi sulla terra: lui e Menelao, nel mezzo dello
schieramento, combatteranno soli per Elena e per tutti i beni (ἀμφ᾽ Ἑλένῃ καὶ κτήμασι πᾶσι μάχεσθαι).
Ripete poi la proposta di Alessandro: chi dei due vincerà, sarà superiore, e si prenderà e porterà a casa
tutti i beni e la donna. Troiani ed Achei faranno amicizia e patti leali.
Tutti rimangono in silenzio. Fra di loro parla Menelao (potente nel grido): devono ascoltarlo, perché il
dolore colpisce soprattutto il suo animo. Menelao vuole però che ormai si separino Argivi e Teucri:
hanno sofferto troppi mali a causa della sua lite, cui Alessandro ha dato inizio. Chi di loro due morirà,
chi dei due raggiungerà la Moira, muoia. Ma Argivi e Teucri si dividano subito !
Ordina poi che i Teucri portino due agnelli, uno bianco ed una nera, per la Terra e per il Sole: gli Achei
ne porteranno un altro altro, per Zeus. I Teucri devono poi fare venire il forte Priamo, perché consacri
in persona i patti (ὄφρ᾽ ὅρκια τάμνῃ / αὐτός): i figli sono infatti arroganti ed infidi. Nessuno per
arroganza offenda mai i patti di Zeus ! I cuori dei giovani ondeggiano: ma quando un anziano è con
loro, c’è una garanzia.
Queste le parole di Menelao. Achei e Troiani sono felici, perché sperano di mettere fine alla guerra.
Fermano in file i cavalli, e i guerrieri scendono a terra: spogliano poi le armi e le depongono per terra,
le une presso le altre. I due schieramenti sono molto vicini. Ettore manda poi due araldi verso la rocca,
rapidamente, per prendere gli agnelli ed invitare Priamo. Anche Agamennone manda Taltibio alle navi
per far portare due agnelli: Taltibio obbedisce.
Iri prende l’aspetto della cognata Laodice, bellissima figlia di Priamo e moglie di Elicàone (potente),
figlio di Antènore: si reca come messaggera da Elena (braccio bianco). La trova nella sala intenta a
tessere una grande tela, doppia, di porpora: ricama le molte prove che i Teucri (domatori di cavalli, ) e
gli Achei (chitoni5 di bronzo, ) subivano per lei, sotto la forza di Ares. Iri le si mette accanto, e la invita a
vedere quello che sta succedendo (le azioni ammirande, ἵνα θέσκελα ἔργα ἴδηαι) tra Teucri ed Achei6.
Prima si combattevano nella pianura, mentre ora stanno seduti in silenzio: hanno cessato di
combattersi, gli scudi sono appoggiati (a terra) e le aste lunghe infitte lì vicino.
Τρώων θ᾽ ἱπποδάμων καὶ Ἀχαιῶν χαλκοχιτώνων
Dei Teucri domatori di cavalli e degli Achei chitoni di bronzo
Invece – continua Iri - Alessandro e Menelao (caro ad Ares) con le aste lunghe lotteranno per Elena,
che sarà la sposa del vincitore.
Con queste parole, Iri mette nel cuore di Elena il desiderio del primo marito, dei genitori e della sua
città. Subito Elena si copre di veli bianchi ed esce dalla stanza: versa una lacrima. Non è sola, ma è
accompagnata da due ancelle: Etra, figlia di Pitteo, e Climene. Giungono rapidamente alle porte Scee
(Σκαιαὶ πύλαι). Qui i compagni di Priamo, gli Anziani, sedevano: ci sono Pàntoo e Timete, e Lampo e
Clitio e Icetàone rampollo di Ares (ὄζον Ἄρηος), Ucalègonte ed Antènore. Per la vecchiaia hanno
smesso le guerre, ma sono nobili parlatori. PARAGONE  i capi dei Troiani presso la torre parlano, e
sono simili alle cicale in mezzo al bosco. Vedono arrivare Elena, e commentano a bassa voce: non è
vergognoso che i Teucri e gli Achei (schinieri robusti, ἐϋκνήμιδας Ἀχαιοὺς) combattano per lei:
somiglia alle dee immortali. Ma anche così bella, se ne vada via sulle navi: che gli Achei non la lascino
qui ! È un danno ora per tutti loro, ma sarà un danno anche in seguito anche per i loro figli.
Mentre dicevano queste parole, Priamo ad alta voce la chiama accanto a sè, per osservare Menelao, e
gli alleati e gli amici. Le dice di non considerarla certo colpevole:gli dèi sono colpevoli di avergli mosso
contro la guerra dei Danai.
οὔ τί μοι αἰτίη ἐσσί, θεοί νύ μοι αἴτιοί εἰσιν
οἵ μοι ἐφώρμησαν πόλεμον πολύδακρυν Ἀχαιῶν:
Citazione
Paragone
Citazione
non certo tu sei colpevole davanti a me, gli dèi son colpevoli,
essi mi han mosso contro la triste guerra dei Danai;
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chitone Vestito di origine orientale introdotto in Grecia dagli Ioni; di lino o di altra stoffa leggera, era confezionato con un telo
cucito come un sacco senza fondo, stretto alla vita da un cordone e fermato alle spalle da due fibbie. Corto per gli uomini, lungo per
i personaggi di alto rango e le donne, era aperto sul fianco ( c. dorico) o interamente chiuso.
6 Il verso 131 identico al verso 127.
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Priamo comincia a chiedere ad Elena di indicargli i nomi di vari eroi greci. Il primo è Agamennone.
Guerriero alto e forte, altri lo superano in altezza, ma Priamo non ne ha mai visto uno così bello
(καλὸν) e maestoso (γεραρόν): ha davvero l’aspetto di un re. Elena gli risponde: Priamo è ai suoi occhi
venerando e terribile: avrebbe dovuto preferire la morte, quando ha seguito qui il figlio di Priamo,
abbandonando talamo, amici, la tenera figlioletta e le amabili compagne. Ma così non è stato e per
questo si dispera piangendo. Gli dice poi il nome che vuole sapere: si tratta di Agamennone, figlio di
Atreo. Suo cognato, di lei cagna7.
Priamo esprime ammirazione per Agamennone, e per la sua buona sorte: comanda davvero sopra
moltissimi Achei. Priamo ricorda quando fu in Frigia (la ricca di viti), e vide moltissimi Frigi, eroi dai
cavalli lucenti, l’esercito di Otreo, di Migdone simile ai numi. Erano accampati sulle rive del Sangario, e
Priamo era stato chiamato come alleato, il giorno in cui vennero le Amazzoni, forti come guerrieri. Ma
in quell’occasione i guerrieri non erano altrettanto numerosi.
Poi vede Odisseo. Priamo chiede ancora chi sia quel guerriero: più piccolo di Agamennone, ma più
largo di petto e di spalle. Ha posato le armi per terra, ma si aggira come un ariete tra le file degli
uomini. Priamo lo paragona ad un ariete dal vello folto che si aggira fra un grande gregge di pecore
bianche.
Elena glielo nomina: si tratta di Odisseo, figlio di Laerte. Cresciuto ad Itaca (ricca di rocce). Conosce
ogni genere di inganni e di acuti pensieri.
Antènore interviene: ricorda Odisseo con Menelao a Troia, in ambasciata per Elena. Egli li ospitò nel
suo palazzo, e li conobbe entrambe: nell’aspetto fisico e nei pensieri. Quando si trovavano in mezzo ai
Troiani adunati, se erano in piedi Menelao era più alto, ma se stavano seduti, Odisseo era più
maestoso. Durante la discussione, Menelao parlava con scioltezza: poche parole, ma molto sonore;
non era né prolisso, né incapace di parlare. Era più giovane. Quando però Odisseo si alzava, stava in
piedi, ma guardava fisso con gli occhi a terra; teneva lo scettro immobile, e sembrava un uomo
insipiente, e lo si sarebbe detto irato o pazzo. Quando però parlava, le parole uscivano come fiocchi di
neve d’inverno. Allora nessuno avrebbe immaginato di sfidarlo, e non se ne ammirava l’aspetto fisico.
Priamo domanda poi di Aiace: supera della testa e delle spalle gli altri Argivi.
Elena (lungo peplo, τανύπεπλος) gli nomina Aiace (gigante, rocca degli Achei, οὗτος δ᾽ Αἴας ἐστὶ
πελώριος ἕρκος Ἀχαιῶν). Poi gli indica Idomeneo, tra i Cretesi: intorno a lui i capi dei Cretesi. Spesso
Idomeneo era ospite di Menelao, quando veniva da Creta. Elena può vederli tutti gli Achei (occhi
vivaci, νῦν δ᾽ ἄλλους μὲν πάντας ὁρῶ ἑλίκωπας Ἀχαιούς), e li riconosce: non riesce però a vedere i due
ordinatori di eserciti (κοσμήτορε λαῶν), Càstore (domatore di cavalli, Κάστορά θ᾽ ἱππόδαμον) e
Polluce (pugno forte, πὺξ ἀγαθὸν Πολυδεύκεα), suoi fratelli di sangue, figli della stessa madre (Leda).
Elena pensa che forse non sono ancora partiti da Lacedèmone; oppure sono già partiti per nave, ma
non vogliono adesso partecipare ai combattimenti per timore del disonore, e della molta vergogna che
Elena stessa prova. Elena diceva queste cose, ma i gemelli erano già morti8 in Lacedèmone, nella loro
patria.
Intanto gli araldi portano per la città la notizia dei patti, e portano due agnelli e vino in un otre di
capra. L’araldo Ideo portava il cratere lucente e le coppe d’oro. Si avvicina a Priamo (Laomedontíade),
e lo invita ad alzarsi: i comandanti dei Troiani e degli Achei lo invitano a scendere nella pianura e a
consacrare un patto. Lo informa che Alessandro e Menelao combatteranno con le loro aste per Elena:
al vincitore andranno la donna e i beni; i Troiani poi, fatta amicizia ed un patto leale, abiteranno la
Troade, mentre gli Achei torneranno ad Argo (che nutre i cavalli, Ἄργος ἐς ἱππόβοτον) e all’Acaia (belle
donne, Ἀχαιΐδα καλλιγύναικα).
Queste le parole dell’araldo. Priamo rabbrividisce. Ordina ai compagni di aggiogare i cavalli: quelli
obbediscono. Priamo monta e tira indietro le briglie: vicino a lui sul cocchio sale Antènore. I due
passano le porte Scee e conducono i cavalli rapidamente verso la piana.
Si veda Odissea, III, 145 (κυνώπιδος)
Qui i Dioscuri sono morti. Nella Odissea invece, come nella letteratura posteriore, essi si dividono l’immortalità, trascorrendo
giorni alterni nell’oltretomba e sulla terra.
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Quando i due giungono fra i Troiani e gli Achei, scendono giù dal cocchio ed avanzano fra i Troiani e gli
Achei. Agamennone ed Odisseo si alzano. Gli araldi portano i patti fidi degli dèi (ὅρκια πιστὰ θεῶν),
mescolano il vino nel cratere, e versano acqua sulle mani dei re. L’Atride prende il coltello, che gli
pende sempre vicino al grande fodero della spada, e taglia i peli dalle teste degli agnelli. Gli araldi li
danno ai primi dei Troiani e degli Achei. Agamennone inizia a pregare: si rivolge a Zeus (padre, signore
dell’Ida, gloriosissimo, massimo), al Sole, ai Fiumi, alla Terra, e alle due divinità che sottoterra
puniscono gli uomini che trasgredirono i giuramenti, e chiede loro di essere testimoni e di conservare
questo patto leale. Riassume il patto: se Alessandro ucciderà Menelao, si terrà Elena e tutti i beni, e gli
Achei se ne torneranno in patria sulle navi; ma se Menelao ucciderà Alessandro, i Troiani dovranno
rendere Elena e i beni, e pagare agli Argivi un compenso conveniente, che sia ricordato tra gli uomini a
venire. E se Priamo ed i figli di Priamo non vorranno dare questo compenso, morto Alessandro,
Agamennone resterà ancora lí a combattere, fino a quando non avrà raggiunto lo scopo della guerra.
Dette queste parole, Agamennone taglia le gole degli agnelli con il coltello, e depone gli animali a
terra, morti. Con le coppe attingono il vino dal cratere e lo gettano fuori, pregando gli dèi. Qualcuno
degli Argivi e qualcuno dei Teucri prega nello stesso momento: chiede a Zeus gloriosissimo massimo e
a tutti gli dèi (Ζεῦ κύδιστε μέγιστε καὶ ἀθάνατοι θεοὶ ἄλλοι), se qualcuno pecca contro questi patti,
che il suo cervello e quello dei suoi figli scorra per terra come questo vino, e le loro spose servano ad
altri ! Ma Zeus non li avrebbe esauditi.
Parla poi Priamo (Dardanide). Lui tornerà subito ad Ilio (ventosa, Ἴλιον ἠνεμόεσσαν), perchè non
sopporta di vedere sotto i suoi occhi Alessandro che combatte contro Menelao caro ad Ares. Zeus e gli
altri dèi sanno a chi toccherà di morire ! Priamo (l’uomo pari agli dèi, ἰσόθεος φώς) depone gli agnelli
sul cocchio: sale quindi sul cocchio, tira indietro le redini, e Antènore sale di fianco a lui sul cocchio. I
due voltano quindi il carro e tornano ad Ilio.
Ettore ed Odisseo misurano il campo, poi estraggono a sorte da un elmo a chi tocchi lanciare per primo
l’asta di bronzo. Gli eserciti pregano, tendendo le mani agli dèi. Qualcuno tra i Teucri e tra gli Argivi
pregava Zeus (Ζεῦ πάτερ Ἴδηθεν μεδέων κύδιστε μέγιστε), chiedendogli di far scendere morto nell’Ade
colui che aveva fatto nascere questa guerra, e di far nascere amicizia ed un patto leale tra i due popoli
combattenti. Mentre dicono questo, Ettore scuote l’elmo, e viene fuori il nome di Paride.
Gli altri siedono in file: vicino a ciascuno i cavalli e le armi dipinte. Invece Alessandro, sposo di Elena
(bella chioma, ἠϋκόμοιο), veste sulle spalle le armi. Prima intorno alle gambe mette le gambiere, con
copricaviglia in argento, poi intorno al petto indossa la corazza del fratello Licàone, che gli andava
bene. Appende alle spalle la spada di bronzo dalle borchie d’argento, quindi lo scudo grande e
pesante. Sopra la testa mette un robusto elmo, con coda equina: il pennacchio sopra l’elmo ondeggia
superbo. Infine prende una lancia che si adatti alla mano. Allo stesso modo Menelao veste le sue armi.
Dopo che si sono armati, di qua e di là della folla, avanzano in mezzo ai Troiani e agli Achei, con lo
sguardo feroce. Troiani ed Achei li ammirava con stupore. I due si fermano vicini, nello spazio
misurato. Scuotono le aste, irati l’uno contro l’altro.
Alessandro scaglia per primo l’asta, e colpisce lo scudo tondo di Menelao: ma il bronzo non si strappa,
mentre la punta della lancia si piega dentro lo scudo. A questo punto si muove con il bronzo Menelao,
e prima prega Zeus: chiede di potersi vendicare di chi per primo gli ha fatto del male, di Alessandro.
Chiede che Zeus lo faccia morire per sua mano, in modo che tutti, anche gli uomini che verranno,
tremino all’idea di far del male ad un ospite che mostri amicizia.
Menelao palleggia l’asta, quindi la scaglia: colpisce lo scudo rotondo del figlio di Priamo. La potente
lancia passa attraverso lo scudo, perfora la corazza lavorata e strappa la tunica lungo il fianco.
Alessandro si china, e sfugge così alla morte (fugge la Moira nera, καὶ ἀλεύατο κῆρα μέλαιναν).
Menelao estrae la spada a borchie d’argento e colpisce il frontale dell’elmo: ma la spada si infrange, e
gli cade di mano in tre o quattro pezzi. L’Atride geme e si rivolge a Zeus: nessuno degli dèi è più
rovinoso di lui ! Credeva di uccidere Alessandro, e invece la spada gli si spezza in mano e la sua lancia
non lo colpisce.
Menelao con un balzo afferra Alessandro per l’elmo chiomato, lo gira e comincia a trascinarlo verso le
file degli Achei: la cinghia dell’elmo lo stringe alla gola. Avrebbe continuato a tirarlo se non l’avesse
visto Afrodite, e non avesse spezzato la correggia di cuoio di bue. A Menelao resta in mano l’elmo
vuoto, e lo getta roteandolo tra le file degli Achei. I compagni lo prendono. Menelao si volta subito,
impaziente di ucciderlo con la lancia di bronzo, ma Afrodite lo salva avvolgendolo in una fitta nebbia, e
lo depone nel talamo, profumato di balsami.
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Afrodite va poi a chiamare Elena: la trova sopra l’alta torre, circondata da donne troiane. Con la mano
afferra il velo fragrante, e lo tira: ha l’aspetto della vecchia filatrice che, quando Elena era a
Lacedèmone, filava per lei belle lane, e l’amava molto. Afrodite si rivolge ad Elena: le dice che
Alessandro le chiede di raggiungerla nel talamo. Che lui è già là, sopra il letto, raggiante di vesti e di
bellezza. Non si potrebbe dire che ritorna dal duello con un eroe, ma che va a danzare, oppure che,
appena tornato dalla danza, si riposa.
Ad Elena balza il cuore nel petto: quando riconosce la dea per il suo aspetto (la bella gola, il petto
amabile e gli occhi lucenti) resta stupefatta. Si rivolge adirata alla dea9: certo Afrodite la spingerà
ancora più lontano, tra le città della Frigia o della Meonia, se anche laggiù ci sarà qualcuno che le è
caro tra gli uomini. Proprio adesso che Menelao ha battuto Alessandro, e vuole ricondurla a casa,
proprio adesso la dea si presenta meditando inganni. Se proprio vuole Afrodite può anche stare per
sempre vicino a lui, lasciare l’Olimpo e soffrire accanto a lui, e custodirlo, fin che non ne faccia la sua
sposa o la sua schiava ! Lei non andrà là a servire il suo letto: questo sarebbe odioso, e lei avrebbe il
biasimo di tutte le Troiane. E lei sta soffrendo moltissimo.
La dea si adira, e le risponde: Elena non deve provocarla, altrimenti Afrodite si offenderà e la lascerà !
Tanto la dea può odiarla, quanto fino ad ora l’ha amata fuori misura: e può mandare odio funesto tra
Teucri e Danai, e lei farà una brutta fine.
Elena tace tremando: con il velo bianco si copre il viso e segue la dea in silenzio, sfuggendo a tutte le
Troiane. Afrodite la precede. Quando arrivano alla casa di Alessandro, le ancelle si volgono ai loro
lavori: Elena si reca nel talamo. Afrodite (che ama il sorriso, φιλομειδὴς Ἀφροδίτη) prende per lei un
seggio e lo pone davanti ad Alessandro. Elena, figlia di Zeus egíoco (Ἑλένη κούρη Διὸς αἰγιόχοιο), si
siede davanti ad Alessandro. Volge gli occhi indietro e lo rimprovera: è tornato dalla guerra, ma Elena
avrebbe preferito che fosse morto per mano di un uomo forte com’era Menelao (caro ad Ares). Prima
si vantava di poter vincere Menelao (caro ad Ares) con la forza ! Provi adesso a sfidarlo ancora ad un
duello ! Elena gli sconsiglia di combattere con Menelao, se non vuole morire prima del tempo.
Paride chiede ad Elena di smettere di straziarlo offendendolo. Menelao adesso ha vinto con l’aiuto di
Atena, ma un’altra volta sarà lui a vincere. Ci sono dèi anche dalla loro parte. Le chiede poi di fare
l’amore: non l‘ha mai desiderata così tanto, nemmeno quando l’ha rapita a Lacedèmone e sono partiti
per nave, e si sono poi uniti d’amore e di letto sull’isola Cranae. Alessandro per primo va nel letto, e la
sposa lo segue.10
Alessandro ed Elena giacciono insieme nel letto a trafori. Intanto Menelao si sta aggirando tra la folla
dei combattenti, simile ad una belva, cercando Alessandro. Ma nessuno dei Troiani o dei loro nobili
alleati può mostrarglielo: per amicizia nessuno l’avrebbe nascosto, se l’avesse visto, tanto era odiato.
Era odiato da tutti come la Moira nera. A questo punto parla Agamennone, e si rivolge a tutti i Troiani
(τοῖσι δὲ καὶ μετέειπεν ἄναξ ἀνδρῶν Ἀγαμέμνων: / ‘κέκλυτέ μευ Τρῶες καὶ Δάρδανοι ἠδ᾽ ἐπίκουροι
[…]’): la vittoria di Menelao è chiara, e i Troiani devono restituire Elena (argiva) e le ricchezze. E devono
anche pagare il compenso: conveniente, e memorabile. Gli Achei approvano le parole di Agamennone.
Tutta la scena ha destato il sospetto dei critici greci più tardi. La dea non fa una bella figura in tutta questa scena: ma è vero che gli
dèi omerici possono fare questo ed altro. Qui però la dea appare sgraziata davanti all’angoscioso tentativo di resistenza di Elena,
divisa fra il rinnovato desiderio di Menelao (vv. 139 sg.) e la tentazione di Paride. È una regola che quando il dramma degli uomini
diventa più serio, gli dèi fanno una figura ridicola.
10 La scena si conclude piuttosto bruscamente. Vari indizi fanno pensare che questa scena derivi da un canto sul primo convegno
amoroso fra Paride ed Elena, dopo la fuga. Se riferito a quel contesto, anche tutto il contegno di Afrodite appare più giustificato.