N. 04939/2014REG.PROV.COLL. N. 00183/2010 REG.RIC. R E P U B B L I C A I T A L I A N A IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 183 del 2010, proposto da: Attico Soa s.p.a., nella persona dell’amministratore in carica, rappresentato e difeso dagli avv. Claudio De Portu e Arturo Cancrini, con domicilio eletto presso Arturo Cancrini in Roma, via G. Mercalli, 13; contro Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori Servizi e Forniture, nella persona del rappresentante legale in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12; per la riforma della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE III n. 07723/2009, resa tra le parti, concernente irrogazione censura a seguito procedimento di controllo Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della difesa statale; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 aprile 2014 il Cons. Vito Carella e uditi per le parti gli avvocati Francesco Vagnucci per delega di Cancrini, e dello Stato Cristina Gerardis.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO I.- L’odierna appellante, società organismo di attestazione (SOA), ha impugnato in primo grado i provvedimenti dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici (AVCP) di data 29 marzo 2007 (concernente la prescrizione di procedere alla revoca dell’attestazione n. 1928/23/00 rilasciata ad impresa a carico del cui rappresentante legale era emersa, in assenza di riabilitazione, una condanna incidente sulla moralità professionale per violazione di sigilli) e sempre di data 29 marzo 2007 (recante censura alla società di attestazione per il contegno tenuto nel corso dell’istruttoria e la diffida a tenere nel futuro comportamenti similari in contrasto al corretto esercizio dell’attività di attestazione). Risulta dalla sentenza appellata che il Tribunale amministrativo regionale ha respinto i due mezzi di ricorso proposti dalla società di attestazione interessata, nei rilievi che gli avvertimenti censurati non avevano attinto la soglia minima dell’atto punitivo (rappresentato dalla sola sanzione di legge della revoca dell’autorizzazione), ma nondimeno adottabili perché ricompresi nel potere di vigilanza e controllo dell’AVCP; nel caso di specie inoltre, relativamente all’attestazione SOA rilasciata, non era configurabile alcuno spazio plausibile e ragionevole per dover escludere l’incidenza dei predetti reati sulla perdita di affidabilità morale e professionale dell’impresa attestata, alla luce della gravità della fattispecie. II.- Con l’appello in esame la società ricorrente ha criticato la sentenza gravata sotto due articolati aspetti: - violazione dell'art. 17 del D.P.R. n. 34/2000 e del principio che riconosce alla SOA di valutare l'incidenza sulla moralità professionale dei reati considerati, eccesso di potere per errore nei presupposti e contraddittorietà nonché per contrasto con le determinazioni AVCP nn. 56, 16/23, 13/03 e 6/04 (si assume che l'assenza del provvedimento di riabilitazione non implicasse affatto un automatico ostacolo al rilascio dell'attestazione, ma comportava semplicemente che le condanne conseguite risultassero ancora presenti sul Casellario giudiziario e, quindi, dovessero essere valutate discrezionalmente dalla SOA per apprezzarne l'eventuale rilevanza); - violazione e falsa applicazione dell'art. 12, comma 1, lett. a) e b), del D.P.R. n. 34/2000 (viene dedotto dalla società ricorrente, avendo comunicato all'Autorità se intendesse esprimere indicazioni diverse rispetto alla valutazione operata da essa SOA, di avere svolto tutti i passaggi procedurali che erano da compiersi e se, poi, l'Autorità sia pervenuta ad una diversa conclusione circa i requisiti di ordine morale e professionale in capo all’impresa richiedente l’attestazione, la deducente SOA non aveva che da rimettersi a tali superiori valutazioni); La difesa statale si è costituita in rappresentanza dell’AVCP e con la memoria del 15 marzo 2014 ha confutato le deduzioni avversarie. III.- La società appellante ha replicato con le memorie in data 28 marzo e 4 aprile del 2014, in quest’ultima nello specifico insistendo sul margine di valutazione discrezionale delle SOA (non potendo essere adottato un criterio più rigido rispetto a quello ordinariamente adottato dalla giurisprudenza nei confronti delle amministrazioni aggiudicatrici) e sulla irreprensibilità della propria condotta sotto il profilo della profondità dell’accertamento eseguito ai fini del rilascio dell’attestazione di causa (nel caso di divergenza di valutazione tra SOA e Autorità, in quanto frutto di una valutazione discrezionale che può variare da Organismo a Organismo, non si può automaticamente ritenere che la determinazione dell’Autorità debba comportare l’adozione di provvedimenti sanzionatori di sorta). All’udienza del 15 aprile 2014 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 1.- Sono controversi i provvedimenti tramite i quali l'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici (AVCP), da un lato, ha prescritto la revoca dell’ attestazione in questione perchè rilasciata in mancanza dei necessari presupposti e requisiti. Dall'altro, l’AVCP ha provveduto, all'esito di un procedimento svoltosi in contraddittorio e conclusosi con la determinazione oggetto anch’essa d'impugnativa, a “censurare" l'operato dell’Organismo di attestazione, per aver violato, in presenza dei precedenti penali a carico del rappresentante legale dell’impresa attestata (violazione di sigilli), l'art. 12 del DPR 25 gennaio 2000, n. 34, e le disposizioni stesse dell'Autorità di Vigilanza (non essendosi la società appellante uniformata a criteri di diligenza in riferimento all'attività di rilascio dell’attestazione in argomento), con"diffida" altresì dal tenere in futuro comportamenti in grado di incidere negativamente sul corretto esercizio dell'attività di attestazione delle imprese. Come da esposizione in fatto, le relative censure qui in esame, di là dagli aspetti marginali introdotti a sorreggere le difese e le resistenze, possono essere trattate congiuntamente in relazione ai capisaldi della controversia e con riguardo alle seguenti questioni dirimenti da affrontare in ordine logico: rilevanza dell’assenza di intervenuta riabilitazione per la condanna riportata dal rappresentante legale dell’impresa attestata, tipologia di tale reato a garantire l’adeguata moralità dell’impresa, natura del potere di censura e diffida esercitata dall’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici. L’appello è infondato e la sentenza merita conferma con le motivazioni di seguito illustrate. 3.- In linea propedeutica, vanno richiamati in vicenda i marcatori della fattispecie previsti dall’art. 38, comma 1, lettera c), del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, secondo i quali non possono partecipare alle procedure di evidenza pubblica o a subappalti e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti “nei cui confronti è stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale;... l'esclusione e il divieto operano se la sentenza o il decreto sono stati emessi nei confronti: del titolare o del direttore tecnico…dei soci;… l’esclusione e il divieto in ogni caso non operano quando il reato è stato depenalizzato ovvero quando è intervenuta la riabilitazione ovvero quando il reato è stato dichiarato estinto dopo la condanna ovvero in caso di revoca della condanna medesima”. Il provvedimento riabilitativo contemplato dalla suddetta disposizione si riferisce all'istituto della riabilitazione di cui all'art. 178 c.p. (che è soggetta a limitazioni e sola comporta la cessazione di tutti gli effetti pregiudizievoli riconnessi allo stato di persona condannata nonché determina l’accertamento delle condizioni di ravvedimento e di attuale buona condotta), e non ad una generica condotta positiva del condannato perché, come da giurisprudenza di questo Consiglio, il decorso del tempo non è idoneo a far venire meno l'esistenza della condanna, in assenza del provvedimento di riabilitazione (Cons. St., Sez. V, 12 aprile 2007, n. 1723). Nel caso di specie, l'esistenza del reato addotto dall'AVCP a sostegno del provvedimenti impugnati non è stata contestata nella sua realtà storica e, di conseguenza, non è neanche contestabile nella sua valenza materiale, atteso che pure le sentenze di condanna con il beneficio della non menzione nel certificato del casellario giudiziale o le sentenze patteggiate, per le quali non sia stata ottenuta l'amnistia, la riabilitazione o l'estinzione, incidono sulla moralità professionale. Né può essere seguito nelle sue difese l’Organismo di attestazione ricorrente che, ai fini della verifica dell'incidenza dei reati specifici commessi dal rappresentante legale dell'impresa, opera una simmetria operativa con il potere discrezionale (da intendersi peraltro quale discrezionalità tecnica) della stazione appaltante in materia di valutazione della moralità professionale, alla luce della diversità dei presupposti del potere sanzionatorio dell’AVCP (in base all’art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 163 del 2006) e della stazione appaltante (come da art. 48 del medesimo testo legislativo). Infatti, nell’un caso, si tratta di verifica in via di prevenzione delle condizioni di legge finalizzate a garantire l’interesse generale dell’amministrazione pubblica a non contrarre obbligazioni con soggetti che non garantiscano l’adeguata moralità professionale e tale da precludere l’accesso al mercato dei contratti pubblici di lavori, forniture e servizi, con il non rilascio dell’attestazione SOA. Nell’altro caso, invece, essendo stato superato il primo filtro o per fatti sopravvenuti, si versa in ipotesi di partecipazione ad una determinata gara e di valutazione repressiva attraverso la disamina in concreto delle caratteristiche dell'appalto, del tipo di condanna e della gravità del reato, con conseguente esclusione, segnalazione all’Autorità ed iscrizione nel Casellario informatico, fermo restando tuttavia che, in modo analogo, la riabilitazione del condannato e l’estinzione del reato, per essere rilevanti in sede di gara pubblica, devono essere formalizzate in una pronuncia espressa del giudice dell’esecuzione (Cons. St., Sez. V, 27 gennaio 2014, n. 400). 3.- Quanto ai riflessi della condanna in esame sulla moralità professionale, non si può dubitare nella fattispecie della sua gravità ed inerenza, in quanto reato contro la pubblica amministrazione previsto dalla legge a tutela del vincolo per finalità pubbliche. Al riguardo, viene principalmente in rilievo la fattispecie normativa di cui all'art. 17, comma 1, lettera c), del DPR n. 34 del 2000 (trasfuso nel citato art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006) che indica, tra i requisiti d'ordine generale che l'impresa deve possedere, ai fini dell'attestazione SOA, l'inesistenza di sentenze definitive di condanna passate in giudicato ovvero di sentenze di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'art. 444 del c.p.p., a carico del titolare, del legale rappresentante, dell'amministratore o del direttore tecnico per reati che incidono sulla moralità professionale; inoltre, l'art. 27, comma 2, lettera q), del DPR n. 34 del 2000 prevede che debbano essere iscritte nel Casellario informatico le eventuali condanne per reati contro la pubblica amministrazione, l'ordine pubblico, la fede pubblica o il patrimonio, a carico dei legali rappresentanti, degli amministratori, dei direttori tecnici. Il che è ulteriormente indicativo, nella materia dei contratti pubblici, del particolare rilievo negativo attribuito dal legislatore al reato suddetto e tale disvalore non è stato reso dall’AVCP automaticamente incidente, avendo invece l’Autorità ritenuto illogico il giudizio d'irrilevanza nella specie assunto dalla SOA in presenza delle connotazioni oggettive del fatto, incongruamente ed irrazionalmente valutate, in contrasto con i criteri normativi di rigore e diligenza cui deve informarsi, ai sensi dell'art. 12 del DPR n. 34 del 2000, l'attività di attestazione degli organismi autorizzati. Invero, la violazione di sigilli ha natura plurioffensiva, in ragione della sua idoneità a ledere, oltre che l'interesse della pubblica autorità ad assicurare l'indisponibilità del bene per ragioni di giustizia o altro, anche l'interesse eventualmente parallelo o concorrente di un soggetto privato alla conservazione della identità del bene; tale reato contro la pubblica amministrazione si va perciò a riflettere sul rigore dovuto nella materia degli appalti di lavori, forniture e servizi, per la configurazione di condotta marcata da non rispetto degli ordini dell’Autorità, in quanto comportamento che collide con i canoni normativi di serietà ed affidabilità richiesti a partecipanti a pubblica gara (Cons. St., Sez. III, 18 giugno 2013, n. 3328). Correttamente quindi l'Autorità di Vigilanza ha ritenuto che la società appellante abbia operato in modo imprudente ed in contrasto ai canoni di corretto e rigoroso esercizio dell'attività di attestazione, enucleabili dall'art. 12 del DPR n. 34 del 2000, dal momento che è stato ritenuto sostanzialmente irrilevante, ai fini della perdita dell'affidabilità morale e professionale di un'impresa, reato di indubbia gravità, quale quello di specie, sulla base di valutazioni di merito che trovano ostacolo, in funzione del rilascio dell’attestazione SOA, nell’oggettività del giudicato penale non superato in sede giudiziaria dalla riabilitazione. 4.- La società ricorrente lamenta, infine, seppure in modo implicito nella memoria, che l'Autorità avrebbe adottato un provvedimento esorbitante dai suoi poteri, applicando una sanzione disciplinare, quale la "censura" o la "diffida" a non reiterare comportamenti ritenuti illegittimi, non espressamente contemplate dalla legge e dunque, in sostanza, contrastante con i principi di tipicità e tassatività degli atti amministrativi. Sul punto è sufficiente osservare che, se è ben vero che il solo provvedimento repressivo nella specie previsto dalla legge è la revoca dell'autorizzazione all’Organismo di diritto privato di attestazione in presenza delle particolari condizioni (art. 10, comma 5, del D.P.R. n. 34 del 2000), tuttavia, l’art.14 dello stesso D.P.R. (ora art. 6, comma 7, lettera m, del d.lgs. n. 163 del 2006) stabilisce che “l’autorità…vigila sul sistema di qualificazione, e a tal fine controlla che le SOA…” operino nel rispetto della normativa vigente e “provvede periodicamente alla verifica a campione di un numero di attestazioni rilasciate dalle SOA” ed, infine, il successivo art. 16 sancisce che le “determinazioni assunte dalle SOA in merito ai controlli stipulati dalle imprese per ottenere la qualificazione sono soggette al controllo dell’Autorità…”. Orbene, l’ammonimento di specie (rivolto alla società appellante a non compiere più mancanze e infrazioni similari a quelle rimproverate con lo scopo di ricondurre le condotte a livelli normali) e la diffida intimata ad astenersi da comportamenti siffatti (che ha la funzione di far constatare e stigmatizzare l’accaduto nel caso vengano ripetute nel futuro tali azioni irregolari) non sono strumentali all’esercizio del potere sanzionatorio, bensì rientrano nell’ambito del generale potere di vigilanza propria dell’AVCP sul mercato dei lavori pubblici, funzionale alla cura del pubblico servizio di riferimento e caratterizzante il doveroso soddisfacimento del relativo interesse generale. Come prefigurato dalla Corte costituzionale con l’ordinanza 13 luglio 2011, n. 211, tali provvedimenti dell’Autorità sono diretti a disapprovare la condotta del soggetto per finalità ulteriori e diverse rispetto a quelle sanzionatorie, nel caso di specie mirando ad assicurare la correttezza operativa da parte degli Organismi di attestazione e degli operatori di quel mercato, che invece verrebbe incrinato dalla presenza di soggetti non rispettosi delle regole che disciplinano il settore. In altre parole, l’ammonizione e la diffida in questione sono espressione connaturale della relazione Autorità controllante-ente controllato, preordinata alla vigilanza che il secondo non esorbiti dai limiti e fini di legge, ed ineriscono al relativo potere di verifica, nella specie dalla legge attribuito all’AVCP sull'operato degli Organismi di attestazione, a tutela dei specifici interessi pubblici di cui tale Autorità di vigilanza stessa è portatrice. L'atto impugnato non è quindi da intendersi affatto, sul piano sostanziale, quale sanzione, ma come semplice giudizio di valore (e ad un tempo di indirizzo e preavvertimento) attraverso il quale l'Autorità, nell'esercizio della sua vigilanza istituzionale sul settore di competenza, ha riscontrato che la società appellante non aveva nel concreto rispettato i requisiti di legge per il rilascio dell’attestazione, e ne ha quindi disapprovato (censurato, appunto) il comportamento, con diffida a non reiterarlo. Sotto tale aspetto è dunque profilabile, una volta riconosciuta la gravità del fatto presupposto rimproverato, carenza d’interesse ad impugnare un deliberato che non ha ancora attinto la soglia minima dell'atto punitivo, i cui effetti pregiudizievoli si potranno solo manifestare in futuro qualora la diffidata persista in indebite condotte equivalenti, ma ciò dipendendo unicamente dalla sua volontà nella reiterazione di similari comportamenti illegittimi. 5.- Le considerazioni che precedono hanno illustrato con ampiezza come l’Autorità abbia correttamente operato nella specifica vicenda a mezzo dell’attività di vigilanza propria improntata all’interesse generale del mercato di settore nonché alla specifica finalità concreta in funzione della quale la potestà d’intervento le è stata conferita dalla legge, senza eccedere e senza alcun travisamento dei fatti relativi, ragione per cui può ritenersi che i profili principali di infondatezza riscontrati siano sufficienti a sorreggere il rigetto dell’appello in esame. Invero, il principio di sinteticità che deve permeare la redazione degli atti del giudice (art. 3 codice del processo amministrativo), al pari di quelli delle parti, non implica la necessità di una motivazione che, in modo meccanico e pedissequo, assuma partitamente a riferimento ogni singolo profilo argomentativo della parte. L’appello deve essere dunque respinto siccome infondato e la sentenza va confermata per le argomentazioni innanzi sviluppate. Le spese di lite relative al grado seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sul ricorso come in epigrafe proposto (ricorso numero: 183 del 2010), respinge l’appello e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata come da motivazione. Condanna la società appellante al pagamento delle spese di lite relative al grado che si liquidano nella misura complessiva di € 2.000,00 (euro duemila/oo) a favore della difesa statale. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 aprile 2014 con l'intervento dei magistrati: Giuseppe Severini, Presidente Sergio De Felice, Consigliere Vito Carella, Consigliere, Estensore Claudio Contessa, Consigliere Carlo Mosca, Consigliere L'ESTENSORE IL PRESIDENTE DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 03/10/2014 IL SEGRETARIO (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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