Corriere della Sera Lunedì 9 Marzo 2015 31 Cultura & Spettacoli In Andalusia fantasy prenderà vita in Spagna con un parco tematico nato dalle suggestioni letterarie dell’autore de Il signore degli anelli e Lo Hobbit . «La Comarca» (La Contea) termine che nella saga indica la regione della Terra di Mezzo dove vivono gli hobbit nascerà in Andalusia, a Ricon de la Victoria. Pronto entro Il mondo di Tolkien diventa un parco Terre abitate da elfi, fate e altre creature immaginate dallo scrittore J.R.R. Tolkien (18921973, nella foto). Il mondo quest’anno sarà grande otto ettari realizzato con materiali basso impatto ambientale (costo previsto: circa 1,7 milioni di euro). «La Comarca» si aggiunge al parco tolkieniano (già set del film) di Matamata in Nuova Zelanda, alla Casa di Bilbo nel Montana (Usa) e al museo Greisinger, a Jenins (Svizzera). Ricordi Ritratto personale, poetico e filosofico, del grande cineasta scomparso il 10 gennaio scorso GIAN MARIA VOLONTÉ IN UNA SCENA DEL FILM DI FRANCESCO ROSI «CRISTO SI È FERMATO A EBOLI» DEL 1979 (ANSA) di Raffaele La Capria «T el qu’en lui même enfin l’éternité le change», questi versi di Mallarmé per la morte di Edgar Allan Poe potrebbero anche essere interpretati così: «Tal quale la morte (l’eternité) lo trasforma facendolo diventare finalmente se stesso», cioè solo dopo che uno è morto capiamo chi veramente è stato. Questi versi mi sono venuti a mente quando il mio amico Franco Rosi è morto, perché solo dopo che lui è morto ne ho capito la grandezza. Finché lui era vivo e parlavamo un po’ di tutto, era il mio amico e basta. Ma dopo che è scomparso, la lettura del suo libro Io lo chiamo cinematografo (Mondadori), scritto con Giuseppe Tornatore, mi ha fatto capire che gran parte della sua vita mi era sconosciuta e che, nonostante la confidenza e la lunga frequentazione, mi era sfuggita. Ho capito che il mio è un mestiere solitario, che carta e penna e un po’ di fantasia sono sufficienti per uno scrittore come me, mentre invece un regista deve incontrare una gran quantità di persone, fare molti viaggi per trovare gli ambienti dei suoi film, superare un infinito numero di difficoltà, senza contare l’affannosa ricerca delle risorse che occorrono per realizzare i suoi progetti. Chiunque voglia conoscere com’era Franco dovrebbe leggere questo libro, che è come il suggello di una vita molto operosa e molto combattuta, molte volte coronata da un successo internazionale. Il libro nato per raccontare il suo cinema si è trasformato man mano in un’autobiografia, stavo per dire in una confessione, ricca di eventi, luoghi e persone, ma anche di riferimenti alla sua vita interiore, ai suoi sentimenti. Fare un film, specie in Italia, non è un’impresa facile, devi convincere un gran numero di interlocutori, soprattutto devi essere tu stesso molto convinto per convincere gli altri, devi avere delle idee che puoi realizzare solo insieme agli altri, e sono tanti i fattori imprevedibili che ti costringono a modificare in corso d’opera quanto avevi progettato. Diceva il grande Giambattista Vico: «Conosco facendo». Questo è vero soprattutto per un regista, perché «facendo», trova l’ambiente adatto, il protagonista, le comparse e tutta la lunga lista di persone che fanno parte del cast. È come un’orchestra che devi dirigere, controllare, armonizzare. Lavorando con Franco alla sceneggiatura di molti suoi film ho capito meglio come lui ed io eravamo condizionati dalla diversità del mestiere; il suo richiedeva una molteplicità di impegni, anche psicologici, una duttilità ed una adattabilità che io non avevo considerato come dovevo. Lui partiva per l’America Latina, per Cuba al tempo di Castro e del Che, li incontrava personalmente, parlava con loro, poi andava per un altro film in Perù, in Venezuela, e tutto sembrava normale, ciao, ciao, e al suo ritorno si stava insieme come prima. Ma lui aveva fatto delle esperienze importanti di cui non mi accorgevo abbastanza e, ora, leggendo il suo libro me ne sono accorto. Io ero vissuto in un recinto intellettuale più protetto e avevo avuto meno occasioni di scontrarmi col mondo, e tutto questo mentre leggevo il suo libro accresceva la mia ammirazione per lui. Non avevo mai pensato, anche se può sembrare esagerato, alla sua «grandezza», ora invece sì, lui mi appariva «tel qu’en lui même enfin l’éternité le change», mi appariva insomma un grande personaggio, grande come non l’avevo mai considerato perché l’amicizia fa di questi scherzi. Ma torniamo a Io lo chiamo cinematografo, questo libro è come un film in cui si parla dei suoi film, e tra questi molti sono capolavori. Mani sulla città, Salvatore Giuliano, Uomini contro, Cristo si è fermato a Eboli Carmen, per me questi film sono capolavori, e non sono pochi. Tutti i suoi film parlano dell’Italia, mettendoli in fila si potrebbe fare la storia d’Italia di questi ultimi anni, una storia spesso difficilmente decifrabile e molto poco chiara. Alcuni di questi film, per esem- Franco Rosi non si fermava mai Regista, amico, padre di famiglia Una vita piena di passioni e dispiaceri, mitigati dal successo dei film Maestro ● Il regista Francesco (Franco) Rosi (1922-2015) è morto il 10 gennaio scorso. Il libro Io lo chiamo cinematografo (Mondadori, 2012) è una conversazione con Giuseppe Tornatore pio Carmen e C’era una volta fanno capire che in Franco c’era non solo passione civile ma una vena di poesia, che appare a tratti nei film politicamente più impegnati; ed è la stessa loro costruzione il modo come sono congegnati, a farla affiorare. Ed io ho sempre pensato che la critica non ha insistito abbastanza sul lato poetico dei film di Franco e sulla bellezza poetica di certi momenti. Per esempio in Cristo si è fermato a Eboli, quando si sente da un altoparlante la voce stentorea di Mussolini che esalta la conquista dell’impero, una voce che sembra provenire dal cielo, mentre sotto si vede la desolata campagna lucana dove Cristo non era mai arrivato, e tutta la retorica megalomane mussoliniana vien fuori con sorprendente immediatezza. Oppure quando l’attrice Irene Papas insapona la schiena di Volonté nudo in una bagnarola di zinco, una scena di arcaica semplicità e di classica bellezza. Questi momenti hanno un’importanza non solo estetica, ma conoscitiva. Dei suoi film Franco dice in questo libro: «Dovevo far capire al pubblico la difficoltà di acciuffare la verità. Questo dovevo fare. E io dico che questa è la forza del film». È vero e anch’io più volte ho fatto notare che i film su Giuliano, su Mattei, su Lucky Luciano, e non solo questi sono delle indagini quasi poliziesche, piene di intrecci, risvolti, sospetti, connessioni, di cui è quasi impossibile venire a capo. E cosa c’è di più vero nella storia italiana di questi decenni pieni di misteri non risolti, di indagini finite nel nulla di fatto? Questa «difficoltà» tutta italiana di «acciuffare la verità» è ben rappresentata nei film di Rosi e viene comunicata anche dalla complessità del montaggio, che dà al film una struttura significante, realizzando così quell’unione tra il contenuto e la forma riscontrabile in ogni vera opera d’arte. Ma il libro di Franco è anche una testimonianza della sua vita privata, dei suoi amori e dei suoi dolori, e lui ne parla in modo disar- Capolavori La critica non si è soffermata abbastanza sul lato estetico di molte sue opere, che affiora a tratti in maniera evidente Grande guerra, un convegno a Firenze il 13-14 marzo L’intervento del 1915 che cambiò la storia Poche scelte hanno inciso in modo tanto profondo nella storia d’Italia come quella di intervenire nella Prima guerra mondiale, assunta un secolo fa dal governo guidato da Antonio Salandra. A quella decisione e alle sue molteplici conseguenze è dedicato il convegno «Niente fu più come prima. La Grande guerra e l’Italia cento anni dopo», che si tiene a Firenze il 13 e il 14 marzo: il primo giorno presso l’Auditorium «Cosimo Ridolfi» (via Carlo Magno 7) e il secondo a Palazzo Incontri (via de’ Pucci 1). L’appuntamento, coordinato da Francesco Perfetti, è promosso dalla Fondazione Biblioteche della Cassa di Risparmio di Firenze: affronta il tema generale dell’intervento nel conflitto, ma ne approfondi- Antonio Salandra (1853-1931) era a capo del governo che entrò in guerra nel maggio 1915 sce anche l’impatto specifico sulla società fiorentina dell’epoca. Nel dibattito Sergio Romano si occuperà degli effetti di lungo periodo della guerra, Ernesto Galli della Loggia ne esplorerà il rapporto con le grandi fratture storiche dell’Italia novecentesca, Francesco Margiotta Broglio analizzerà l’atteggiamento dei cattolici verso un conflitto che il papa Benedetto XV definì «inutile strage». Tra gli altri relatori: Cosimo Ceccuti, Valerio Castronovo, Dino Cofrancesco, Massimo De Leonardis, François Livi, Luigi Lotti, Sandro Rogari, Maurizio Serra. Ai partecipanti sarà donata l’edizione anastatica del libro L’Intervento, pubblicato nel 1930 da Salandra. Per informazioni [email protected]. mato e sincero, delicato. Di sua moglie Giancarla scrive: «Mi piaceva. Era bella, Carina, piccola e poi acuta, brillante... era intelligentissima, tutti gli amici l’amavano, aveva una personalità che conquistava». Anche io ricordo le discussioni in casa Rosi, gli scontri tra Giancarla e Antonello Trombadori, quando sembrava quasi che venissero alle mani tanto erano accesi, e le conversazioni con Lucio Colletti, Lino Jannuzzi, Furio Colombo, con Mino Monicelli, con Rossana Rossanda sui fatti politici del momento. A casa di Giancarla la sera arrivavano tutti fino alle ore piccole, si poteva incontrare Visconti o Fellini, Mastroianni o García Márquez, Tonino Guerra o Turturro, registi, produttori, attori famosi. Giancarla era al centro delle discussioni, teneva testa a tutti, animava le serate. Franco era più timido, meno polemico, ma guardava Giancarla con devota ammirazione. Lui e Giancarla erano «complementari». Anche la morte tragica di Giancarla, avvenuta quando già la sua mente era offuscata dalla malattia, è stata a suo modo «eroica». A causa di un accendino da lei sbadatamente acceso, la sua vestaglia di nylon avvampò in un attimo, e un falò l’avvolse. Una tragedia altrettanto terribile per Franco fu la morte della prima figlia Francesca, avuta da Nora Ricci, e affetta dalla sindrome di Down, una bambina graziosissima e sorprendente per le cose che diceva. «Lei è morta con me. La stavo portando in auto dai miei genitori. All’altezza di Frosinone sono uscito di strada, non ricordo niente, non c’era il guardrail, abbiamo fatto un tuffo. La macchina è sprofondata in un fosso e la povera Franceschina è morta sul colpo, io restai gravemente ferito». Il senso di colpa per essere stato lui alla guida della macchina è stato per Franco una di quelle ferite che non possono mai rimarginarsi. L’unica consolazione a tutto questo dolore è stato il successo mondiale dei suoi film e la presenza costante della figlia Carolina, che ha molti tratti della madre Giancarla, la vivezza, l’intelligenza, il senso pratico e anche la bellezza. Senza di lei, mi diceva Franco, non so cosa sarebbe stato di me. Ed è stata Carolina ad assisterlo fino all’ultimo, alleviando le sofferenze che un tumore diffuso da due anni gli infliggeva. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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