MONDO PADANO Venerdì 20 marzo 2015 20 L’evento In mostra dal 29 marzo al 30 agosto al Museo del Violino, con alcune importanti novità Gli arazzi per l’Expo E’ Michiel Coxcie l’autore degli splendidi cartoni o di Fabrizio Loffi p I l celebre ciclo di arazzi dedicato alle “Storie di Sansone” del Duomo di Cremona torna alla luce dopo oltre ses‐ sant’anni. I 12 grandiosi arazzi, 8 dei quali restaurati, saranno esposti dal 29 marzo al 30 agosto al Padiglio‐ ne delle Esposizioni annesso al Museo del Violino. A questo magnifico ciclo unitario, unico al mondo rima‐ sto integro su questo tema biblico assai popolare, verranno af‐ fiancati anche due altri arazzi, residui di un ciclo in gran parte andato disperso sulle Storie di Gesù. “I magnifici intrecci” sarà una mostra imponente e stupefacente organizzata da Diocesi di Cremona, Comune di Cremona, Unomedia srl e Fondazione Arvedi Buschini. Imponente per dimensioni, basti dire che cia‐ scuno di questi sontuosi “tessuti” misura almeno venti metri quadri di superficie. Alcuni superano i trenta e raggiungono i quaranta metri quadrati. In totale saranno esposti oltre quat‐ trocento metri quadrati di tessuti finemente intrecciati. Stu‐ pefacente, per la bellezza dei tessuti realizzati dalla manifat‐ tura Raes di Bruxelles ai primi del Seicento, e per la singolarità della loro storia. Le Fatiche di Sansone vennero concepite in piena Controriforma, per l’esigenza di addobbare il Duomo, nelle grandi solennità, con apparati che raccontassero storie bibliche e dessero valore agli spazi interni del tempio. Il 27 a‐ prile 1629, con un’azione culturale che ad oggi può essere de‐ finita la più importante commissione artistica avvenuta a Cre‐ mona nei primi anni del Seicento, i prefetti della Fabbriceria decidono di avviare le pratiche per provvedere la Cattedrale di dodici arazzi, rappresentanti le Storie di Sansone. Questi si sarebbero aggiunti ai precedenti rappresentanti le Storie della vita di Cristo, in origine sedici pezzi, oggi rimasti solo due, che nel 1601 il vescovo cremonese Cesare Speciano, al momento della sua morte, aveva lasciato in dono. Il soggetto è casuale. Allorché i Fabbriceri della Cattedrale cremonese sguinzaglia‐ rono i loro agenti per verificare se sul mercato internazionale esistessero arazzi che potessero, con un ciclo unitario, arric‐ chire gli spazi del Tempio, vennero a conoscenza di questo ci‐ clo prodotto e commercializzato dalla celebre manifattura del pittore e tappezziere Jan Raes in Bruxelles. Q 30 ANNI DOPO Nel 1987 in S. Maria della Pietà la prima esposizione L’EQUIVOCO Quel Gillio Mechelaon è stato un errore di trascrizione uesta mostra, a trent’anni di di‐ stanza dalla prece‐ dente in Santa Ma‐ ria della Pietà, por‐ ta però una grande novità: l’individuazione del no‐ me dell’autore dei cartoni da cui fu tessuta la serie delle “Sto‐ rie di Sansone”, identificato nel pittore fiammingo Michiel Cox‐ cie. Nel 1987 Luisa Bandera aveva proposto il nome di Gillio Me‐ chelaon di Malines, artista non documentato dalle fonti, indivi‐ duato come autore dell’analoga serie delle Storie di Sansone per Enrico II, a cui si riferiscono sicuramente anche i cartoni cremonesi. Infatti sia la serie delle Storie di Sansone della Cattedrale, che gli arazzi della collezione Brad‐ ley, quelli del Museo di Filadel‐ fia, di Bucarest e del castello di Chénonceaux, derivanti dagli stessi cartoni, indicherebbero nell’autore dei disegni un arti‐ sta sensibile al gusto manieri‐ stico diffuso tra gli arazzieri di Bruxelles in seguito alla tessitu‐ ra dei cartoni di Raffaello e di Giulio Romano, rielaborati dagli artisti locali interpreti della sin‐ tesi tra il monumentalismo ita‐ liano e le istanze del barocco nordico. Il nome di Gillio Mechelaon di Malines secondo il Bennet, da cui mutua la notizia Bandera, compare nella lettera inviata dal nunzio apostolico in Fian‐ dra Guido Bentivoglio al cardi‐ nale Scipione Borghese nel 1610, recante la proposta di realizzare arazzi con “Le storie di Sansone” ricavati da cartoni preparati per Enrico II, non an‐ cora completati con la stesura dei colori e rimasti inutilizzati a causa della morte del re avve‐ nuta nel 1559 e delle successive guerre di religione in Francia. Nonostante fossero stati realiz‐ zati cinquant’anni prima i car‐ toni furono giudicati degni di attenzione dal Bentivoglio, sia per la bellezza che per la possi‐ bilità di essere adattati nelle misure e nel numero alle sale del palazzo romano a cui erano destinati. Tre di questi arazzi sarebbero appartenuti alla collezione Ed‐ son Bradley, alienata a New York nel 1927, successivamente apparsi in asta a New York e poi a Londra, ed oggi di ubicazione ignota. Altri due esemplari delle storie sono conservati al museo di Fi‐ ladelfia, uno è al museo di Buca‐ rest ed un frammento con “San‐ sone che si disseta” al castello di Chénonceaux. Il ciclo cremonese è l’unico giunto sino a noi integro e, pur con qualche modifica soprattut‐ to nel bordo, è direttamente ri‐ feribile a queste tappezzerie. Riprendendo un’osservazione del Bentivoglio, secondo il qua‐ le Gillio Mechelaon sarebbe sta‐ to artista molto noto che aveva completato la sua formazione in Italia, Bandera sottolinea: “Nella sua compiutezza, la serie degli arazzi della Cattedrale di Cremona evidenzia con ricchez‐ za di particolari queste caratte‐ ristiche, che sembrano dipen‐ dere da un’esperienza manieri‐ stica derivata non dai disegni dei numerosi sketch‐books che circolavano negli ambienti fiamminghi, ma da una diretta conoscenza di opere e di artisti italiani, così da confermare quanto scrive il Bentivoglio. Lo spazio, reso con una profon‐ dità inconsueta alla tradizione artistica fiamminga è scandito da monumentali edifici d’ispi‐ razione classica, da collegarsi non solo alla diffusione nei Pae‐ si Bassi dei testi di Vitruvio e del Serlio, tradotti da Pieter Coeck van Aelst, ma anche, pro‐ babilmente, alla conoscenza di‐ retta di alcuni esempi insigni dell’architettura italiana. I modelli del Serlio e di Antonio da Sangallo il Giovane vengono In alto al centro Il Crollo del Tempio e a destra la Nascita di Sansone, a destra in basso lo Sposalizio di Sansone e Dalila a fianco e in alto lo srotolamento degli arazzi a sinistra dall’alto particolare e il Taglio dei capelli inseriti in complessi di gusto scenografico, mentre la predile‐ zione, tipicamente manieristi‐ ca, per la varietà formale, offre l’estro a una libera rielabora‐ zione del nostro Rinascimento, come la presenza di colonne ad ordini diversi in uno stesso edi‐ ficio, con basi ornate da fregi, o innalzate su piedistalli e deco‐ rate con bassorilievi. La ric‐ chezza di questi elementi di ambientazione volge i temi bi‐ blici in rappresentazioni profa‐ ne, trasformando lo spazio in u‐ na sorta di palcoscenico sul quale l’azione si compie in un clima mondano e festoso”. La stessa Bandera sottolinea che furono soprattutto due gli artisti fiamminghi influenzati dal gusto italiano, Barend van Orley, sensibile alle visioni pro‐ spettiche e alla impostazione volumetriche delle figure di Raffaello, e Michiel Coxcie di Malines, discepolo del primo. Sono proprio i cartoni di van Orley realizzati per le manifat‐ ture brussellesi a segnare in Fiandra il trapasso dal Tardogo‐ tico al Rinascimento tra il se‐ condo e il terzo decennio del X‐ VI secolo, dove i modelli classici e raffaelleschi vengono sintetiz‐ zati con i valori descrittivi, na‐ turalistici e ornamentali tipici della tradizione fiamminga. Nelle opere mature di van Orley le figure plastiche, dinamiche e di straordinaria efficacia e‐ spressiva si inseriscono in grandiosi paesaggi di grande verosimiglianza a cui si abbina un’esecuzione tecnica di altissi‐ ma qualità, tale da fare di questi arazzi autentici capolavori. Tra i cartonisti che seguirono lo stile romanista di van Orley vi furono Pieter Coecke van Aelst, autore di modelli caratterizzati in senso fortemente manieristi‐ co con figure avvitate, torsioni e scorci violenti e, appunto, Mi‐ chiel Coxcie. Coxcie è ricordato a Roma nel 1532 come allievo di Giorgio Vasari e più tardi impegnato nel realizzare gli affreschi per la cappella del cardinale Encke‐ voirt in Santa Maria dell’Anima, a contatto con Michelangelo e Raffaello. Nella stessa chiesa il Coxcie affrescò una seconda cappella di cui oggi non resta traccia. Tornato in Fiandra nel 1538 ri‐ coprì la mansione di maestro d’arte a Malines e nel 1541, alla morte del van Orley, gli succe‐ dette nella carica di pittore di corte presso Maria d’Austra, per la quale realizzò le decorazioni del castello di Binche. Nel 1554 ottenne l’incarico di pittore di corte di Filippo II di Spagna, realizzando la serie ri‐ Venerdì 20 marzo 2015 MONDO PADANO paginone 21 Tutta colpa del Natali Una sua frase ha tratto in inganno storici ed esperti guardante la vita di Ciro II per il palazzo reale di Madrid. Nei suoi lavori Coxcie mostra un romanismo di impronta raf‐ faellesca non distante da Giulio Romano al punto che già Hoo‐ gewerff, pubblicando nel 1921 i documenti relativi alla commis‐ sione del cardinale Scipione Borghese, aveva attribuito a lui i cartoni cremonesi per le “Sto‐ rie di Sansone”. Recentemente Luigi Silla ha se‐ gnalato un disegno inedito nella Berlino Kupferstichkabinett, at‐ tribuito a Michiel Coxcie da Hans Mielke come un progetto per un arazzo, che può essere messo in relazione alla serie di arazzi realizzati dalla manifat‐ tura di Jan Raes per il cardinale Scipione Borghese. Lo stesso Mielke identifica Gil‐ lio Mecheleon, di cui non si han‐ no altre notizie, con Michiel Coxcie, a cui di conseguenza vanno attribuite anche le altre serie di arazzi del XVI secolo di‐ rettamente collegabili al foglio di Berlino. Confusi e imbarazzati Ci sono voluti 4 secoli per chiarire che Rubens non c’entra Quando le tappezzerie arrivarono a Cremona verso il 5 agosto 1631 la contentezza lasciò il posto all’imba‐ razzo: quei meravigliosi arazzi, con le loro precise misure, poco si adat‐ tavano ai maestosi archi delle navate, di dimensioni irregolari. Venne dun‐ que dapprima realizzato un lungo cornicione in legno a cui appenderli in serie continua durante le funzioni solenni, poi, verso il 1690, si decise di smembrare tutto quanto e di ap‐ pendere le tappezzerie intorno ai pi‐ lastri, così come apparivano ancora negli anni Settanta. Addirittura nel 1671 si prese in considerazione l’i‐ potesi di una alienazione al miglior offerente e, neppure cinque anni do‐ po, si diede incarico a Giovanni Bat‐ tista Natali per un primo lavoro di rattoppo in considerazione dei danni già arrecati agli arazzi dal logorio cui erano sottoposti. Forse è stato lui, Giovanni Battista Natali, “ingegnero” e pittore della Cattedrale fin dal settimo decennio del Seicento, a scrivere quella nota su un foglio senza data, citato da Lui‐ sa Bandera, con l’elenco degli arazzi ed il loro titolo, non sempre esatto, che ha generato tanta confusione sulla loro effettiva paternità: “Li pan‐ ni arazzi, opere fatte in Burselles con il disegno di Rubens”. E’ probabil‐ mente questa la nota a cui fa riferi‐ mento nel 1907 il De Vecchi nel for‐ mulare il nome di Rubens, afferman‐ do d’averlo tratto da una notizia con‐ tenuta nel registro di spese della Fabbriceria alla data 2 maggio 1686. In realtà il nome di Pieter Paul Ru‐ bens non compare mai, anche se è provato che l’artista olandese non di‐ sdegnò di cimentarsi nel campo del disegno per arazzi, soprattutto a ca‐ rattere ciclico che bene si adattavano alla sua predilezione per le opere di grande respiro che gli consentivano una maggiore utilizzazione delle proprie risorse artistiche. Tutte le opere di Rubens furono fatte su ordinazione dei committenti ed affidate, in considerazione della dif‐ ficoltà dell’esecuzione, alla manifat‐ tura di Jan Raes, coadiutato da Jakob Fobert e Jan Verwoert. Ma accanto a Rubens vi erano molti altri artisti che amavano dedicarsi a questo ge‐ LA SFORTUNA Con le loro precise misure, poco si adattavano ai maestosi archi delle navate, del tutto irregolari nere ed affidavano i propri disegni alle manifatture di Bruxelles. Ricor‐ diamo, fra gli altri: Jusfus van Eg‐ mont, Cornelius Schut, Jan Bockhor‐ st, Jan van den Hecke e Jacob Jor‐ daens, mentre verso gli inizi del XVII secolo cominciarono a diffondersi numerosi falsi che usurpavano spes‐ so il marchio di fabbrica della mani‐ fattura originale e si cominciarono ad usare mezzi pubblicitari come ca‐ taloghi ed ogni altro sistema per tro‐ vare nuovi sbocchi commerciali all’e‐ stero. Fu in questo periodo che i pro‐ dotti di Fiandra iniziarono ad invade‐ re i mercati europei, soprattutto francesi ed inglesi, portando ad un appiattirsi dei motivi decorativi in un generale processo di industrializza‐ zione.ii Nel 1894 Luigi Lucchini, autore della prima monografia riguardante il Duomo di Cremona, dedica poche ri‐ ghe agli arazzi, attribuendoli generi‐ camente ad un disegno di Giulio Ro‐ mano, rielaborato da Andrea Manto‐ vano maestro di Giulio Campi. Nei primi anni del XVII secolo si produce‐ vano ancora soggetti sacri, ma in se‐ guito il loro numero diminuì, mentre invece si fecero più numerosi i temi profani, come le stagioni, i mesi, la serie dei quattro elementi o quelle delle sette arti liberali, dei proverbi della “vita dell’uomo” per cui, quan‐ do chiese, conventi e confraternite ri‐ chiedevano soggetti particolari era‐ no, il più delle volte, costretti a forni‐ re loro stessi i cartoni. Il tentativo in‐ fruttuoso dei Fabbriceri fatto a Mila‐ no conferma questa situazione, tanto più che i nostri erano piuttosto esi‐ genti nella ricerca di serie di dimen‐ sioni e numero precisi e nella neces‐ sità di limitare la spesa al minimo. E‐ rano forse troppo alte le pretese del Rubens per le tasche della Fabbrice‐ ria? Probabilmente sì, vista la fama riscossa dall’artista di Anversa. Scartata dunque l’attribuzione al maestro di Anversa, che si basava so‐ lo su una nota di pagamento di 55 anni dopo, quando i registri di spese del “Liber Provisionum” della Catte‐ drale parlano solamente di cartoni “d’uno dei più valenti uomini di tal professione”, Giuseppe Galeati nel 1936, pur riferendo del Rubens, spe‐ cifica che alcuni sono più propensi a vedervi la mano di Rinaldo Mantova‐ no nell’esecuzione dei cartoni e di Giulio Romano nell’ideazione. Di Giulio Romano esiste una bellissi‐ ma serie di cartoni per i “Giochi di putti” divisi fra il Museo Poldi Pezzo‐ li e la Fondazione Gulbekian, prove‐ nienti, si ritiene, da una manifattura fererrarese stante l’affermazione del Vasari, tessuti tra il 1450 e il 1550, e lo stesso elaborò insieme ad altri ar‐ tisti italiani, i cartoni riguardanti gli”Atti degli Apostoli” commissiona‐ ti da Leone X e fatti tessere a Bruxel‐ les dalla manifattura di Pieter van Aeist tra il 1515 e il 1518. Sempre Giulio Romano elaborò su commissione i cartoni per una “Sto‐ ria di Scipione” tessuta dalla mani‐ fattura di Marc Cretff a Bruxelles per Francesco I di Francia nel 1531. All’i‐ nizio del XVII secolo la situazione si era però rovesciata. Certamente lo stile italiano impressionò nella sua monumentalità gli artisti nordici, a‐ bituati a considerare l’arazzo una sorta di muro tessuto, e aprì loro nuove prospettive di elaborazione “monumentale” del prodotto, spie‐ gandosi così la richiesta di disegni i‐ taliani, ma, una volta impadronitisi dei nuovi elementi, furono proprio i fiamminghi a fornire i cartoni per le nascenti manifatture italiane, dando luogo ad una certa uniformità di gu‐ sti.
© Copyright 2024 ExpyDoc