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26 novembre 2014
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Microbiologia
Il biofilm
nell’industria alimentare
Cristina Malegori
Riccardo Rossi
Laura Franzetti
Modalità di formazione di colonie
microbiche e rischi connessi.
I microrganismi solitamente mostrano due distinte modalità di comportamento. La prima, più comune, è la
forma fluttuante, o planctonica, nella quale le cellule
separate fluttuano o nuotano indipendentemente in un
supporto liquido; la seconda è lo stato aggregato, o sessile, in cui le cellule sono strettamente vincolate e fermamente attaccate l'una all'altra e, di solito, a una superficie solida. Questa modalità costituisce il biofilm.
Un biofilm, pertanto, è una aggregazione di microrganismi contraddistinta dalla secrezione di una matrice extracellulare adesiva e protettiva, spesso di natura polisaccaridica, caratterizzata da interazioni biologiche
complesse. Letteralmente il termine biofilm è composto
dal termine “film”, ossia una pellicola sottilissima, e
“bio”, a intendere la natura vivente di questa pellicola.
L’adesione può essere a carico di una superficie sia di
tipo biologico sia inerte. L’organizzazione dei microrganismi nei biofilm offre importanti vantaggi: i microrganismi restano ancorati in una posizione ottimale, difesi
da situazioni di stress ambientale o predazione. Inoltre
convivono in un’organizzazione stabile di sinergica collaborazione tra specie differenti e, di conseguenza, questi orchestrano la degradazione di substrati anche complessi [1].
L’adesione batterica alle superfici segue tre tappe fondamentali: l’adsorbimento, la fissazione e la colonizzazione [2]. La prima fase è un fenomeno molto rapido
che avviene in qualche decina di secondi ed è parzialmente reversibile. La seconda, la fissazione, è una tappa
irreversibile che si realizza a seguito della produzione di
esopolisaccaridi prodotti dai microrganismi stessi; è
una fase più lenta di quella precedente in quanto legata
al metabolismo della cellula batterica che può trovarsi
in condizioni di carenze nutrizionali. Il terzo stadio è la
colonizzazione: i batteri aderenti alle superfici formano
delle micro-colonie la cui unione origina un biofilm.
La capacità di un batterio di aderire a una superficie e
formare biofilm dipende da una serie di fattori, tra cui
la natura della superficie stessa, la presenza di altri batteri, la temperatura, la disponibilità di nutrienti e il pH.
Inoltre, quando un batterio sospeso in un mezzo acquoso si trova in prossimità di una superficie, diventa soggetto a due forze:
• la forza di Van der Waals, attrattiva che agisce a una
distanza di poche centinaia di nanometri e tende ad
avvicinare le particelle microscopiche a una parete;
• forze repulsive, con una carica elettrostatica negativa,
che agiscono nel momento in cui il batterio raggiunge
una distanza dal substrato di circa 10-20 nm. È stato
dimostrato, però, che le interazioni idrofobiche tra la
superficie della cellula e il substrato permettono alla
cellula di superare queste forze repulsive e di attaccarsi più rapidamente a materiali idrofili come vetro o
metalli [3].
Anche le proprietà della superficie hanno un ruolo nella
formazione del biofilm che risulta facilitata quanto più
la superficie è scabra e irregolare. Questo perché le forze di taglio sono ridotte e l’area è maggiore quanto più
ruvida è una superficie. Ruvidità, pulibilità, disinfettabilità, idrofobicità determinano lo stato igienico del materiale.
Se singole cellule aderiscono alla superficie si forma un
biofilm mono-strato, mentre se i batteri si attaccano
come ammasso di cellule si ottiene un biofilm multistrato, ossia un biofilm in cui ogni batterio è adeso sia
alla superficie, sia agli altri batteri adiacenti. Il biofilm
multistrato spesso si forma assieme a una matrice extracellulare sintetizzata dai batteri stessi, composta dai
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authority (Efsa), Salmonella spp. è la causa più comune di epidemie di origine alimentare nell’Unione
europea degli ultimi anni. Diversi studi hanno mostrato che Salmonella spp. può aderire e formare biofilm sulle superfici degli impianti alimentari, inclusi
plastica, cemento e acciaio inossidabile [9, 10];
• Escherichia coli: è in esclusivo rapporto col tratto gastrointestinale dell’uomo e degli altri animali a sangue caldo (commensale nell’intestino dei ruminanti).
Per quanto riguarda il ceppo di E. coli O157:H7, associato all'assunzione di carne cruda, è stato dimostrato
che la formazione di biofilm garantisce una maggiore
resistenza alle soluzioni di ipoclorito, il disinfettante
più frequentemente utilizzato nell’industria alimentare [11].
Negli impianti alimentari, la sanificazione è necessaria
allo scopo di rimuovere materiali indesiderati dalle superfici, tra cui microrganismi, residui di prodotti, corpi
estranei e residui chimici provenienti dalle operazioni
di pulizia. La sopravvivenza di batteri patogeni di origine alimentare o degradativi – dovuta a un’insufficiente
disinfezione delle superfici e degli strumenti venuti a
contatto con gli alimenti [12] – è la causa principale della contaminazione del prodotto finale; oltre allo scarto
del prodotto con importanti perdite economiche, le
conseguenze sono malattie di origine alimentare.
Sebbene la disinfezione delle superfici a contatto diretto
con i prodotti sia di primaria importanza, è necessario
tenere conto che anche pareti e pavimenti possono essere causa di scambi microbici ai danni degli alimenti, attraverso vettori indiretti quali l’aria, il personale o persino i sistemi di pulizia. Anche lo stato di pulizia
dell’ambiente di lavoro può, quindi, influire sulla qualità e sicurezza dei prodotti alimentari. Dando per scontato che attrezzature e locali siano progettati in modo da
ottimizzare le operazioni di disinfezione, un programma
di pulizia e sanificazione frequente ed efficace dei locali
è il migliore metodo di controllo per evitare le contaminazioni dei prodotti. Tuttavia, poiché l’attaccamento
microbico alle superfici degli impianti alimentari è un
processo piuttosto rapido, spesso capita che in alcune
applicazioni non sia possibile pulire e disinfettare abbastanza frequentemente. Diventa di fondamentale importanza un programma di controllo efficiente basato
su sistemi adeguati per il riconoscimento del biofilm. Di
norma si utilizzano diversi metodi, come la conta totale
delle cellule vitali, tecniche di microscopia e spettroscopia, determinazione dell’Atp. Ciascuna tecnica presenta
cosiddetti Extracellular polymeric substances o Eps
[4], tale da garantire ai microrganismi il rifornimento di
sostanze nutritive disciolte e la rimozione dei prodotti
di scarto.
L’adesione di una varietà di microrganismi alle superfici
degli impianti alimentari è stata segnalata da numerose
aziende del settore [5, 6] insieme a un cambiamento
nella sensibilità ai trattamenti di disinfezione [7, 8].
Oltre ad avere effetti negativi sugli impianti, i biofilm
costituiscono un persistente focolaio di contaminazione
microbica e un pericolo per la salute qualora i microrganismi coinvolti siano patogeni e vengano cedute cellule ai prodotti alimentari. La scelta del materiale è
quindi di grande importanza nella progettazione delle
superfici che andranno a contatto con l’alimento e che
dovranno rispondere a precise specifiche tecniche ed
essere soggette ad approvazioni ufficiali. I materiali più
comunemente impiegati nell’impiantistica alimentare
(acciaio inox, vetro, polipropilene, gomma, alluminio,
teflon, nylon), nonostante l’apparenza, possono comunque presentare fessurazioni e irregolarità che favoriscono la colonizzazione microbica.
Gli acciai inossidabili sono probabilmente i materiali
più comunemente usati per superfici che andranno a
contatto con alimenti per via della pulibilità, dell’alta
resistenza alla corrosione e della loro stabilità chimica,
meccanica e fisica a diverse temperature di processo.
Tra i più comuni microrganismi di origine alimentare in
grado di produrre biofilm vi è Pseudomonas, un comune e importante alterante dei prodotti alimentari freschi. Infatti, è presente non solo sulla frutta, vegetali,
carni e prodotti caseari poco acidi, ma anche negli stabilimenti di processi alimentari compresi scarichi e pavimenti. Pseudomonas spp., coesiste all’interno dei biofilm con Listeria, Salmonella e altri patogeni in grado
di sopravvivere e formare biofilm multi-specie, più stabili e resistenti [9]. Le specie più importanti in relazione
alla sicurezza alimentare sono i patogeni:
• Listeria monocytogenes: patogeno ambientale, resistente, capace di formare biofilm in colture pure così
come insieme ad altre specie [9]. Ha una buona capacità di adesione e richiede un breve tempo di contatto
per l’attaccamento. L’industria lattiero-casearia ha
segnalato la presenza di Listeria monocytogenes nel
latte e nei prodotti caseari che potrebbe essere associata con l’emergere di epidemie;
• Salmonella spp.: è uno dei patogeni di origine alimentare più diffusi. Secondo la European food safety
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vantaggi e limitazioni, ma una combinazione pianificata
di differenti metodi di riconoscimento garantisce la difesa più efficiente.
ternational journal of food microbiology, 64 (3), 367372.
[11] Ryu J. H., Beuchat L. R., 2005. Biofilm formation
by Escherichia coli O157:H7 on stainless steel: effect of
exopolysaccharide and curli production on its resistance
to chlorine. Applied and environmental microbiology,
71 (1) 247-254.
Riferimenti bibliografici
[1] Wimpenny P., Gass J., 2000. Interviewing in phenomenology and grounded theory: is there a difference?
Journal of advanced nursing, 31: 1485-1492.
[12] Fuster i Valls N., 2006. Importancia del control
higiénico de las superficies alimentarias mediante técnicas rápidas y tradicionales para evitar y/o minimizar las contaminaciones cruzadas.
In memoria presentada para acceder al grado de doctor
dentro del programa de doctorado de ciencias de los alimentos del depatamento de ciencia animal y de los alimentos de Universitat autonònoma de Barcelona.
[2] Cerf O., 1986. Technique Laitière, 1005, 30-32.
[3] Fletcher M., Loeb G. I., 1979. Influence of substratum characteristics on the attachment of a marine
pseudomonad to solid surfaces. Applied and environmental microbiology, 37 (1), 67-72.
[4] Karatan E., Watnick P., 2009. Signals, regulatory
networks, and materials that build and break bacterial
biofilms. Microbiology and molecular biology reviews,
73 (2), 310-347.
[5] Krysinski E. P. et al., 1992. Effect of cleaners and sanitizers on Listeria monocytogenes attached to product
contact surfaces. Journal of food protection.
Cristina Malegori è dottorando di ricerca presso il Dipartimento di Scienze agrarie e ambientali - produzione, territorio, agroenergia dell’Università degli Studi di Milano.
Riccardo Rossi è professore a contratto presso il Dipartimento
di Scienze veterinarie per la salute, la produzione animale e la
sicurezza alimentare dell’Università degli Studi di Milano.
Laura Franzetti è ricercatore confermato presso il Dipartimento di Scienze per gli alimenti, la nutrizione e l’ambiente
dell’Università degli Studi di Milano.
[6] Kim K. Y., Frank J. F., 1995. Effect of nutrients on
biofilm formation by Listeria monocytogenes on stainless steel. Journal of food protection®, 58 (1), 24-28.
www.intersezioni.eu
[7] Mostelle T. M., Bishop J. R., 1992. Sanitizer efficacy
against attached bacteria in a milk biofilm. Journal of
food protection®, 56 (1), 34-41.
[8] Ronner A. B., Wong A. C. L., 1993. Biofilm development and sanitizer inactivation of Listeria monocytogenes and Salmonella typhimurium on stainless steel
and Buna-n rubber. Journal of food protection®, 56.
[9] Chmielewski R. A. N., Frank, J. F., 2003. Biofilm
Formation and Control in Food Processing Facilities.
Comprehensive Reviews in Food science and food safety, 2, 22-32.
[10] Joseph B., Otta S. K., Karunasagar I., Karunasagar
I., 2001. Biofilm formation by Salmonella spp. on food
contact surfaces and their sensitivity to sanitizers. In-
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