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Scuola precaria:
Michele Filippo Fontefrancesco.
Sulla base della ricerca FLC CGIL “Scuola Precaria”, svolta in provincia di Alessandria, l’articolo
va a discutere dei principali tratti antropologici che scandiscono l’orizzonte della precarietà
all’interno del mondo della Scuola. Esso indica le profonde sfide di natura culturale atte al
superamento dell’individualismo e del senso di antipolitica che definiscono l’esperienza di
precarietà.
Nell’orizzonte globale dell’Occidente il tema della precarietà lavorativa, da cui a cascata quella
sociale, è diventato di fondamentale interesse ed attualità. In particolare, grande attenzione è
stata data, ancora di recente, ai fenomeni globali di flessibilizzazione della produzione che
sottendono il definirsi di una nuova classe sociale, quella del precariato (Standing, 2011). Dove
il dibattito antropologico ha particolarmente investigato casi di precarizzazione del lavoro nel
campo del secondo settore (e.g. Ho, 2009; Molé, 2012; Murgia & Armano, 2012b), questo
contributo vuole portare l’attenzione al meno dibattuto ambito dell’ambito del primo settore,
ovverossia in cui la dinamica di precarizzazione che si sviluppa nell’ambito di una relazione tra
Stato e cittadini.
Il contributo presenta un progetto in corso, nell’ambito delle attività della Camera del Lavoro di
Alessandria, e ha come principale soggetto l’esperienza della precarietà lavorativa nel campo
dell’Istruzione. Tale settore, più che altri nel campo del servizio pubblico, si è legato al tema
della precarietà, dell’incertezza lavorativa. Il succedersi di riforme della Scuola e
dell’Università, l’indizione di concorsi, l’apertura di corsi abilitanti dal profilo spesso incerto per
quanto riguarda l’effettivo valore all’interno del mercato del lavoro scandiscono l’orizzonte di
questo campo di attività definendo un panorama sostanzialmente incerto, opaco agli occhi
anche degli individui che vi partecipano.
Sulla base dei risultati della ricerca “Scuola Precaria” promossa dalla Federazione provinciale di
Alessandria di FLC-CGIL, quest’articolo vuole far emergere alcuni dei principali tratti
antropologici che delineano l’orizzonte precario della Scuola, in particolare la relazione tra
cittadino e Stato caratterizzante questa condizione lavorativa. Così facendo, questo contributo
vuole mettere in luce alcuni tratti caratterizzanti il precariato del primo settore, delineando
alcune delle future sfide culturali da affrontare per dare risposte concrete al fenomeno sociale
della precarietà.
Orizzonte Precario
Con voci dissimili, ma intimamente legate, Harvey (1990) e Fukuyama (1992) quasi
venticinque fa tratteggiavano il nuovo orizzonte che si manifestava al tramonto del Ventesimo
secolo: un paesaggio umano di chiara rottura con il precedente Novecento, segnato da una
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sostanziale trasformazione del mondo del lavoro e dell’economia in Occidente; una realtà
dominata dal mito e dalla riconcorsa verso un mercato globale dominante sui destini degli stati
e delle persone. La flessibilizzazione dell’industria (Piore & Sabel, 1984) e la sostanziale
finanziarizzazione dell’economia (Tett, 2009), in un contesto di sostanziale trasformazione dei
paradigmi politici ed istituzionali che segnarono il mondo nel secondo dopoguerra, definirono
un nuovo orizzonte dominato dal primato culturale dell’idea di mercato ed una messa in
discussione del sistema di garanzie strutturatosi nel corso del Secolo Breve. Come
recentemente ricostruito da Standing (2011), è in questo pressante tentativo di seguire le
necessità del mercato e dell’economia globale deterritorializzata, in tutto l’Occidente nuove
categorie e situazione lavorative vennero ad affiancare i profili più consolidati, segnando l’alba
di una condizione lavorativa: quella del precariato.
Il termine “precariato” nasce in Italia nella seconda metà degli anni Novanta contestualmente
al processo culturale e politico che sfociò nella riforma Treu (L. 196/1997) (Standing, 2011): il
frutto di una nostrana shock therapy (Klein, 2007) che rispondeva alla problematicità di un
mercato del lavoro irrigidito nelle forme e intento in una riconversione difficile con la creazione
di nuovi contratti di lavoro, meno cari da un punto di vista del costo del lavoro, ma che al
contempo meno garantenti dal punto di vista del welfare state ed della prospettiva temporale
dell’impiego. Se pel legislatore i contratti di collaborazione, infatti, dovevano essere una
piattaforma sul quale costruire un mondo del lavoro flessibile e dinamico, essi, mal
integrandosi con il più complesso sistema economico e bancario italiano, vennero vissuti e
percepiti come formule di somministrazione lavorative incapaci di offrire risposte economiche a
medio e lungo termine ai lavoratori (Murgia, 2010).
Il fenomeno della “precarizzazione” del lavoro espressasi in modo chiaro in Italia divenne una
realtà caratterizzante l’intero mercato del lavoro europeo e occidentale. Come sottolineato
recentemente da Standing (2011) nel nuovo e vecchio mondo si vide un sostanziale
superamento e destrutturazione dei sistemi di welfare state e di regolamentazione del lavoro
maturati nel corso dell’Otto e del Novecento. A fronte di questa trasformazione, vent’anni più
tardi, si iniziano a considerare i costi sociali che si concentrano principalmente sui più giovani,
sui pensionati e sui migranti (Appay, 2010).
In questo frangete storico, le dinamiche del mondo del lavoro sono diventate uno dei principali
argomenti di discussione pubblica non solo accademica anche per quanto riguarda l’Italia. In
tale dibattito, l’antropologia ha iniziato a investigare il rapporto tra singolo cittadino e mercato,
il ridursi dei diritti e della voice dei lavoratori e le ripercussioni culturali di queste
trasformazioni (Herzfeld, 2009; Molé, 2012; Muehlebach, 2012; Stacul, 2007). L’attenzione si
è principalmente incentrata sull’analisi del precariato nel secondo settore, esplorando il campo
sociale delimitato dalle agency delle imprese (generatrici di impiego), dei lavoratori (offerenti
di lavoro e capacità) e dello Stato (regolatore del mercato). Sostanzialmente inesplorato resta
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il caso del precariato relativo al primo settore, sul piano teorico strutturalmente diverso da
quello del secondo in quanto vede lo Stato assumere il duplice ruolo di regolatore e di datore di
lavoro. Questa ricerca vuole offrire un contributo per mettere in luce un frammento di tale
complessa realtà, nel particolare campo della Scuola, mettendo in evidenza le sue
caratteristiche antropologiche e le ragioni che la determinano.
Scuola e precariato
La Scuola può essere considerata un fondamentale ambito dell’industria della conoscenza che
ha come obiettivo la diffusione di sapere mirato alla “creazione” di un cittadino, ovvero
raggiungimento della sostanziale emancipazione sociale ed economica dell’individuo. In tal
senso, nel caso italiano, lo Stato si propone come fondamentale attore e regolatore di
quest’ambito di impresa (Costrituzione, artt. 33, 34). Se da un lato la Repubblica sin dalla sua
Costituzione fissa i principali canoni dell’articolazione dell’istruzione, indicando ad esempio il
numero di anni di istruzione obbligatoria e la gratuità di tale servizio, dall’altra si propone
attraverso alla creazione di una rete di istituti pubblici come il principale attore di questo
settore. Laddove non è stata mai esclusa la possibilità per altri attori privati di operare in
questo campo d’impresa, fino ad un recente passato (L. 30/2000), l’azione di questi è sempre
stata vissuta come marginale, di nicchia, e sostanzialmente non concorrente contro l’operato
dell’azione pubblica. Ancora oggi, anche a fronte di un quindicennio di progressive riforme ed a
prescindere delle strutturali trasformazioni del rapporto tra Stato, scuola pubblica e scuola
privata1, la Scuola pubblica rappresenta il principale approdo per chi ha deciso nel proprio
percorso di vita di lavorare nel campo dell’Istruzione, in qualità di docente o di non-docente:
un difficile approdo che per la maggior parte dei casi si caratterizza per un più o meno lungo
periodo di precariato lavorativo.
Alcuni dati indicativi offrono una misura dell’estensione di questo fenomeno lavorativo. Nel
2012, 1.011.413 persone erano occupate all’interno della Scuola pubblica con contratti a
tempo indeterminato. Di questi 653.182 unità erano insegnanti. Lo stesso anno, più di
300.000 unità a livello nazionale erano inclusi nelle graduatorie ad esaurimento del Ministero
(graduatorie indicanti tutti i docenti abilitati all’insegnamento e, a seguito del superamento
della SISS ovvero di un concorso, potenzialmente aventi il diritto ad uno stabile impiego una
volta resasi disponibile una cattedra). In questo orizzonte in cui già si intravede la dimensione
del fenomeno del precariato, è da notare come nel selettivo ultimo concorso a cattedre
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È solo a partire dalla riforma Berlinguer (1999) che si è andata a definire una sostanziale nuova articolazione di questo campo di impresa. A partire da questa legge, infatti, il legislatore ha teso equiparare l’offerta pubblica a quella privata formulando una sostanziale idea di concorrenza di mercato (…) tra queste iniziative. In tal senso si è andata a determinare un peculiare sdoppiamento del ruolo dello Stato che da una parte è finanziatore dell’intero settore dell’istruzione e dall’altra è uno degli attori del mercato. 3
imbandito nel 20122, fossero 326.459 i precari ammessi alle prove: un numero pari ad oltre la
metà degli attuali docenti di ruolo.
Precariato e sindacato
Come più volte ripreso nei giornali nel corso degli ultimi mesi, il mondo dell’Istruzione è quindi
caratterizzato da un precariato diffuso che nell’ultimo ventennio s’è ulteriormente espanso. A
fronte del configurarsi di questa situazione, come del resto si può dire più in generale del
mondo del precariato in generale (Murgia, 2010; Murgia & Armano, 2012a; Standing, 2011), il
crescente disagio da parte dei lavoratori non si è andato a esprimersi attraverso forme storiche
di rappresentanza dei lavoratori. La voice del precariato della Scuola è stata per lo più
espressa da nuove associazioni, legate spesso a particolari condizioni lavorative locali e/o
nazionali, incapaci di penetrare il dibattito pubblico nazionale e di mettere in luce le diversità di
problemi ed istanze che caratterizzano questi lavoratori; una pluralità messa in luce ancora di
recente da iniziative quali il forum “ Ascoltare per conoscere, conoscere per esserci” promosso
da FLC-CGIL (2013).
L’esperienza di questo forum è importante anche per inquadrare il quadro più generale di
rappresentanza e rappresentazione dei lavoratori. Nell’arco dell’ultimo ventennio, il sindacato
in Europa come in Italia ha vissuto un progressivo calo del numero di iscritti. Guardando
all’Italia, se da un lato questo dato è legato anche alla trasformazione demografica del paese,
questo calo è però legato alla difficoltà da parte dei sindacati di integrare e aprirsi a lavoratori
inquadrati con forme contrattuali diverse da quelle pre-riforma Treu (Ebbinghaus, 2002, 2006).
Se la difficoltà di carattere burocratico fu rapidamente superata, rimodulando le formule di
adesione, è solo nell’ultimo decennio che si è andato a riconoscere la diversità concernente
l’esperienza lavorativa che divide un lavoratore “stabile” da uno “precario”. A questo
riconoscimento è susseguito il progressivo crearsi di strutture mirate, nella forma di comitati e
coordinamenti all’interno dei sindacati già esistenti, ovvero sindacati strutturati ad hoc, come è
il caso di NIDIL-CIGL (Gumbrell-McCormick, 2011).
Mentre questo processo di rimodulazione prendeva atto, il mondo del precariato si è autoorganizzato sviluppando percorsi originali (quali l’organizzazione dell’Euro May Day), nati per
rispondere problemi puntuali, spesso individuali: forme di rappresentanza con cui le istituzioni
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Personale non di ruolo in possesso del titolo di abilitazione (per la scuola dell’infanzia e primaria la laurea, per la scuola secondaria il conseguimento del diploma della SISS), ovvero tutti coloro che entro il 22 giugno 1999 erano già in possesso di un titolo di laurea, o di diploma delle accademie di belle arti e degli istituti superiori per le industrie artistiche, dei conservatori e degli istituti musicali pareggiati, degli ISEF, ovvero i candidati non abilitati che abbiano conseguito tali titoli entro l’anno accademico 2001/02 (corsi quadriennali o inferiore), 2002/03 (corsi quinquennali), o entro l’anno in cui si sia concluso il periodo di studi prescritto a decorrere dall’a.a. 1998‐1999, ovvero, per i posti di scuola primaria, anche i candidati in possesso del titolo di studio comunque conseguito entro l’a.s. 2001‐2002, o al termine dei corsi quadriennali e quinquennali sperimentali dell’istituto magistrale iniziati entro l’anno scolastico 1997‐
1998; ovvero, per per i posti di scuola di scuola dell’infanzia, anche tutti coloro i candidati in possesso del titolo di studio comunque conseguito entro l’a.s. 2001‐2002, al termine dei corsi triennali e quinquennali sperimentali della scuola magistrale, o dei corsi quadriennale o quinquennale sperimentale dell’istituto magistrale, iniziati entro l’anno scolastico 1997‐1998. 4
sindacali hanno iniziato un processo di confronto, ma che non si sono concluse in fusioni.
L’orizzonte precario resta quindi fortemente variegato, per molti versi lontano dalle forme
aggregative consolidatesi nel secondo dopoguerra.
A fronte di questa situazione e considerando l’estrema estensione del fenomeno del precariato
all’interno della Scuola e della Ricerca, nasceva l’iniziativa del forum di FLC-CGIL: uno
strumento di ascolto, organizzato dal sindacato, al fine di comprendere i bisogni più urgenti
della popolazione precaria, in particolare le fasce più giovani (under 40) e predisporre
strumenti e servizi capaci di rispondere a tali necessità per quindi diventare effettivamente un
soggetto di riferimento per questi lavoratori.
“Scuola Precaria”
Proprio l’esperienza di questo forum ha offerto all’organizzazione per cui anche questo progetto
è stato condotto una comprova non già solo della diversità di bisogni che il precariato esprime,
ma soprattutto il profondo senso di solitudine e marginalità che caratterizza questa esperienza
lavorativa anche tra i più giovani, nonché la sostanziale difficoltà nel trovare stabili nessi,
alleanze e somiglianze con le esperienze vissuti dagli altri precari, base per il riconoscimento di
un’identità collettiva forte.
Partendo da queste istanze profondamente antropologiche, FLC-CGIL Alessandria ha messo in
campo il progetto “Scuola Precaria” intendendo offrire attraverso un esercizio di comunicazione
pubblica, intesa come processo di costruzione di significato e di sentimento (Rodriguez, 2013),
uno strumento di visibilità e voice capace di dare prima di tutto una risposta al senso di
solitudine e di disgraziata eccezionalità individuale che caratterizza questo status lavorativo.
In parallelo di ciò, il progetto ha voluto indagare quali siano i bisogni vissuti dai lavoratori
precari, così da poter individuale i principali loci critici su cui concentrare iniziative di
rappresentanza e nuovi servizi così da rafforzare il senso di empowerment, cittadinanza e
padronanza di sé e del proprio destino che più volte è stato ribadito vengono erosi dalla
condizione di precarietà.
Sulla base dell’esperienza metodologica dell’etnometodologia di scuola francese che ha visto
nella storia di vista uno strumento non già per rappresentare una specifica esperienza, ma
capace di esprimere il cosmo di significati e visioni del mondo che sottendono al vivere nel
mondo (Bertaux, 1999; Bourdieu, 1999), il progetto partiva dall’autobiografia di singoli precari
al fine di mettere in luce e testimoniare le diverse dimensioni in cui il fenomeno della
precarietà è diventato parte del mondo della Scuola pubblica, evidenziando le spesso
contradditorie ragioni che portano al definirsi di tale fenomeno sociale.
A partire dal settembre 2013, sono state raccolte storie di precari, raccogliendo le storie di vita
di individui spesso non iscritti al sindacato. Ad ognuno di essi è stato chiesto di raccontare la
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propria vita, spiegando le motivazioni che l’hanno portato a guardare alla Scuola come un
approdo professionale, e le ragioni del proprio essere precario.
Dopo un primo lancio dell’iniziativa, avvenuto in ottobre su Città Futura (www.cittafutura.al.it),
a partire dal 18 novembre, settimanalmente, sono state proposte quattro storie di vita: le
autobiografie sono state pubblicate, per lo più in forma anonima, dalla principale radio di
informazione della provincia di Alessandria, Radiogold (www.radiogold.it), compendiate da
informazioni supplementari mirate a spiegare i meccanismi burocratici e le contingenze a causa
della precarietà dei singoli. Le storie sono state quindi diffuse in rete attraverso social media e
canali comunicativi tradizionali raccogliendo interesse a livello nazionale.
Una selezione delle testimonianze raccolte, coincidenti con i materiali pubblicati sono qui
raccolte e presentate nell’ordine di pubblicazione. È sulla base di questi materiali che è
possibile evincere alcuni tratti strutturali che caratterizzano il mondo del precariato scolastico
ed indicano necessarie e future direzioni di intervento
Mercato del lavoro tra primo e secondo settore
Le cinque autobiografia mettono in luce problemi diversi e divergenti, tutti concorrenti nel
creare l’orizzonte precario della Scuola. Vediamo una dimensione definita da problemi puntali
legati a corsi (e.g., il TFA), concorsi (e.g., il concorso per cattedre del 2012) e leggi applicate
(e.g., la L. 133/2008). Ogni singolo episodio sembra vivere di vita propria, sostanzialmente
non venendo ad essere conosciuto e riconosciuto dagli altri testimoni come possibile causa di
situazioni parallele affini a quella vissuta dal singolo individuo. La causa della precarietà è
puntuale, individuale, particolare e sembra mancare nel suo generale una percezione del
quadro
complessivo.
In
tal
senso,
si
nota
quell’individualizzazione
del
lavoro
e
la
frammentazione dell’esperienza lavorativa sintomatica della condizione di precarietà lavorativa
(Kitner & Kuriyan, 2009; Murgia, 2010; Standing, 2011) e più in generale della condizione
post-moderna (Berardi, 2011; Connerton, 2009; Harvey, 1990, 2010). La letteratura ha
individuato in questo fenomeno il risultato della trasformazione neo-liberale dell’economia
mondiale ed in particolare, come suggerisce Connerton (2009), un fenomeno di oblio e
erosione della base culturale di un individuo e di una comunità soggetti alle dinamiche globali e
locali dell’economia di mercato. Se quindi l’erosione di una coscienza olistica e collettiva che
queste testimonianze sottolineano sembra ricalcare il modello generale, il contesto economico
in cui si sviluppa il processo di precarizzazione è strutturalmente distante da quello di mercato
generalmente
considerato
dalle
scienze
sociale:
una
distanza
che
obbliga
ad
un
approfondimento.
Come sottolineato precedentemente, il primo settore si definisce per il duplice ruolo giocato
dalla Stato che è contemporaneamente regolatore del mercato e principale, sostanzialmente
unico, datore di lavoro. In primo luogo, a differenza di ciò che accade nel caso di aziende
private, lo Stato, come ancora di recente è stato sottolineato da Bruno Latour (2010), non
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agisce sulla base di una univoca agency. Il funzionamento di questa istituzione, infatti, è
l’espressione di una pluralità di intenti ed azioni che si muovono lungo traiettorie spesso
divergenti e contradditorie. Se è noto, sin dall’opera di Polanyi (2001 [1944])il forte nesso tra
politica e aziende che è alla base della definizione, regolamentazione, quindi creazione del
mercato, l’assunzione del duplice ruolo di regolatore e attore del mercato da parte dello Stato
potrebbe far suppore un chiaro nesso causale tra necessità del servizio e legislazione, ovvero
un’univoca agency alla base dell’intero processo. Ciò non è. Più volte è stato rimarcato
nell’arco dell’ultimo decennio, come le riforme strutturali del mondo della Scuola non siano
state il risultato di un processo nato dal basso, e soprattutto non rispondessero ai bisogni dei
cittadini e degli studenti. Questo disallineamento impone che si debba scartare la tesi della
precarietà scolastica quale risultato di una precisa volontà dello Stato – Imprenditore mirata a
ridurre i diritti ed il costo del lavoro dei propri dipendenti. In tal senso, la ricerca antropologica,
di cui esempi sono i lavori di Micheal Herzfeld (1993, 2009), sostanzialmente suggerisce che il
fenomeno si sviluppi a seguito d’in un’affinata indifferenza da parte dell’Istituzione nei
confronti delle esperienze e delle necessità del mondo al di fuori dell’Istituzione stessa: la
precarietà
sarebbe
da
leggere
come
un
fenomeno
sociale
strutturatosi
ai
margini
dell’attenzione dell’Istituzione.
Ad ulteriormente distinguere e distanziare la realtà della Scuola dalle dinamiche del secondo
settore è da considerare come i meccanismi di reclutamento del personale, ovvero la struttura
attraverso cui si sviluppa il mercato del lavoro nel campo della scuola, non seguono la classica
dialettica del prezzo. Essi si sviluppano attraverso un sistema di accreditamento che considera
al fine dell’assunzione unilateralmente e selettivamente le esperienze lavorative dell’individuo,
il suo curriculum di studi e le eventuali performance compiute in esami ufficiali, quali un
concorso a cattedre. Al lavoratore non è lasciato alcuno spazio di negoziazione. Inoltre, la
stessa definizione della remunerazione del lavoro non entra a far parte di questo processo,
avendo il lavoro un prezzo deciso esternamente alle dinamiche del mercato del lavoro di
questo settore.
Esperienza precaria
A dispetto di questa differenza, il carattere complessivo dell’esperienza di precarietà non
sembra presentare alcuna differenza rispetto a quanto vissuto all’interno del secondo settore:
una similitudine che indirizza l’analisi a esaminare alcune fondamentali condizioni che
accomunano i lavoratori del primo a quelli del secondo settore. In tal senso, le cinque
testimonianze offrono preziose informazioni.
In primo luogo l’esperienza di precarietà si lega a un difficile accesso al mondo del lavoro e
all’occupazione dettato dalla complessiva scarsità di posti di lavoro. Questo dato oggettivo di
difficile collocamento definisce il campo in cui si sviluppa il senso di precarietà, indicando
periodi di lunga, pluridecennale attesa prima di una stabile occupazione.
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Come tutti i testimoni sottolineano, il senso di disagio è acuito dalla complessiva opacità e
voluttuarietà dei criteri di valutazioni che sostanziano questo mercato. In tal senso, nelle
parole dei testimoni si evince la consapevolezza di una conoscenza individuale limitata rispetto
al quadro generale delle dinamiche del reclutamento e spesso anche rispetto al caso specifico
che segna la situazione del lavoratore. Infatti, le trasformazioni della Scuola sono state vissute
come imprevedibili e sconcertanti, e soprattutto sembra mancare una piena conoscenza del
quadro normativo e delle possibilità e delle limitazioni specifiche che esso va a sancire. Il
sistema normativo resta, per lo più, una realtà non conosciuta e questa non conoscenza va a
sancire l’incapacità di decidere razionalmente sulle scelte formative e lavorative da
intraprendere, impedendo il riorientare delle proprie conoscenze (Miyazaki & Riles, 2005) e
delle proprie aspettative di fronte a fallimenti o punti morti di carriera.
Laddove lo Stato, le sue leggi, le sue istituzioni restano una realtà complessa (Law & Mol,
2002), l’incapacità a decostruire appare un dato fondativo dell’esperienza della precarietà. Essa
incide sulla percezione stessa di sé e del contesto in cui il lavoratore vive definendo una
trasformazione nella percezione dello Stato da parte del cittadino: una struttura complessa
diviene agli occhi dell’individuo un entità monolitica; la complessità viene richiusa in una ideale
scatola nera (Latour, 1996); un istituzione plurale è trasformata in persona singolare, in un
market-maker che gestisce autocraticamente i meccanismi di reclutamento; le contraddizioni
insite nell’organizzazione vengono viste come fenomeno di un carattere capriccioso, indeciso,
sordo, indifferente. Di fronte alle “angherie”, l’individuo stenta a vedere nei suoi pari dei
possibili alleati, tantomeno dei simili: appaiono per lo più dei concorrenti all’interno di un
contesto di mercato altamente concorrenziale. Si completa così la trasformazione esperienziale
che assimila la realtà vissuta all’interno del contesto del primo settore a quella tipica di un
secondo settore caratterizzato dallo strapotere contrattuale da parte del datore di lavoro ed
una sovrabbondanza di manodopera.
Ragionando delle trasformazioni del mercato del lavoro del settore secondario, Standing
(2011) ha chiaramente sottolineato come ci sia un nesso chiaro tra condizione lavorativa
precaria e la percezione di una marginalità politica vissuta dall’individuo. Considerando il
nostro progetto e i suoi risultati, è ancora più marcato il senso di sostanziale depotenziamento
del senso di cittadinanza e di empowerment politico. I precari intervistati vedono da una parte
la loro condizione assolutamente marginale, ininfluente rispetto alle politiche nazionali;
dall’altra solo marginalmente diventano protagonisti d’iniziative collettive. In generale prevale
un’attitudine profondamente individualistica e individualizzata del lavoro e della propria
esperienza di vita, approcciando realtà associative principalmente in senso utilitaristico e
finalizzato alla contingenza.
Guardando al precariato della Scuola, emerge una realtà sociale frammentata e disillusa che
definisce un circolo vizioso all’interno della dinamica legislativa. Infatti, il potenziale gruppo
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sociale portatore d’interesse che collettivamente potrebbe essere capace di innescare un
dibattito pubblico e riforme del sistema pubblico, si auto-esclude dall’agone politico a causa di
una propria incapacità o nolontà di riconoscersi gruppo sociale e quindi collettivamente agire.
Si viene quindi a definire un profilo minimo del precariato scolastico segnato da una sostanziale
apoliticità di questo gruppo sociale: apoliticità che è espressione del senso di marginalità, della
disillusione, dell’individualismo che segna le varie esperienze.
Professione precaria
In questo orizzonte, si colloca la percezione della professione. L’insegnamento da parte di tutti
gli intervistati viene presentata come una scelta lavorativa consapevole, abbracciata nel corso
del periodo di studi oppure durante la vita professionale dell’individuo. Il tal senso non è mai
una scelta di ripiego bensì il frutto di un sentimento piuttosto che di una scelta economica
razionale.
Diventare insegnanti è quindi una chiara espressione di intenzionalità: una scelta la cui
traiettoria mette chiaramente in luce una questione di relazione tra agency individuale e
struttura statale del lavoro e, prim’ancora, del reclutamento.
Le esperienze individuali mettono in evidenzia in primo luogo la sostanziale frammentarietà del
sistema di reclutamento, la moltiplicazioni di percorsi, profili professionali prerequisiti per
l’arruolamento che si sono stratificati nel corso dell’ultimo ventennio e che determinano le
dinamiche del presente. Questi dispositivi amministrativi nella loro applicazione e nel loro
stratificarsi diventano dispositivi nel senso più profondo del pensiero Foucaultiano: insieme di
pratiche e di strumenti che determinano le condizioni di vita degli individui, le loro possibilità,
ed a plasmare il corpo sociale del mondo della scuola in una realtà frammentata,
profondamente precaria (Deleuze, 1989; Foucault & Alexander Street Press., 1975). Tutti gli
intervistati vedono la loro vita esprimersi in funzione dello strutturarsi di questi dispositivi ed
infrangersi, rendersi impotente contro ad essi.
In questo quadro di esperienze, prevale una prospettiva individuale che definisce unicamente
in questo rapporto diretto, non mediato, il rapporto tra lavoratore e Stato; una prospettiva che
non vede la possibilità e la possibile efficacia di azioni collettive, sindacali e politiche. Si va,
quindi, ancora una volta, ad evidenziare il rapporto opposizionale tra individuo e Stato, in cui
l’unico spazio di manovra lasciato all’individuo è quello del “ricorso”, dell’azione legale:
espressione chiara della mancanza e della non volontà di dialogo, di interazione non
conflittuale e di mutuo aggiustamento sulla base delle necessità invidiali delle parti.
In questo quadro profondamente apolitico si colloca la professionalità e l’esperienza dei
lavoratori della Scuola. In esso si sviluppa definendo un circolo vizioso incapace di superare i
limiti del presente. Infatti se da un lato la macchina statuale non sembra essere capace al
presente di superare di sua iniziativa, anche autoreferenzialmente, le forme amministrative
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che definiscono l’orizzonte precario, i precari escludendo l’orizzonte collettivo politico della loro
azione non riescono a diventare motore di azioni legislative ed amministrative di riforma dei
dispositivi del presente.
Conclusione
I risultati del progetto “Scuola Precaria” sembrano quindi suggerire nel presente un vicolo cieco
di precarietà: un orizzonte che si alimenta attraverso l’individualismo e l’apoliticità della
percezione dei lavoratori.
Se l’antropologia ancora di recente (Herzfeld, 1993; Heyman, 2012 ; Hull, 2012) ha indicato
nelle burocrazie delle entità sostanzialmente autoreferenziali, sostanzialmente disinteressate e
distaccate da ciò che succede al di fuori di esse, nell’ottica del superamento del fenomeno di
precarietà che caratterizza il presente si evidenzia la necessità da parte dei lavoratori di
rimpossessarsi del quadro complessivo della realtà della scuola, della dimensione politica che
ne definisce il quadro istituzionale.
Delineando questo orizzonte di re-empowerment dei lavoratori
non può che aprirsi una
domanda circa chi possa essere il motore di questo processo. Se ad oggi, la realtà del
precariato , non solo nel caso della Scuola, ha saputo solo limitatamente organizzarsi, il
sindacato può essere, anche alla luce del suo passato, uno od il soggetto capace di iniziare
questo processo. In tal senso è chiara la necessità di proseguire il lavoro di riflessione e
trasformazione intrapreso nel recente passato da realtà quali CGIL nell’ottica di un pieno
accreditamento del proprio ruolo all’interno del precariato: un percorso indubbiamente
accidentato, ma potenzialmente capace di creare una scuola non solo non più precaria, ma
finalmente democratica nel senso più profondo del termine.
Riferimenti bibliografici
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11
Appendice: Vite precarie
Marco3
Ho improntato la mia carriera cercando di avverare un sogno, quello di diventare docente di
Lettere. Ho percorso tutti i gradini: liceo classico, laurea in Lettere, dottorato di ricerca in
italianistica; infine ho conseguito, a 33 anni, l’abilitazione per l’insegnamento di materie
letterarie avendo concluso il TFA Per accedere a tale corso ho dovuto superare 3 dure prove di
accesso, nelle quali ho dovuto dimostrare le mie conoscenze in lingua e letteratura italiana,
lingua e letteratura latina, storia e geografia. In Italia i candidati per i vari TFA erano
complessivamente circa 150.000; chi ha avuto accesso al corso abilitante sono stati circa
11.000, tra questi c’ero anch’io. Il corso abilitante è stato dispendioso economicamente
e
assai impegnativo sul piano psico-fisico: da febbraio a maggio ho dovuto frequentare – tutti i
giorni dal lunedì al venerdì, dalle 14 alle 18 – le lezioni pomeridiane di didattica e di pedagogia
in università, mentre al mattino svolgevo in una scuola il cosiddetto tirocinio “diretto”
affiancando una docente di ruolo, osservandone il modo di insegnare, e svolgendo anch’io delle
lezioni sotto la sua supervisione. Dopo aver sostenuto, tra maggio e giugno, gli esami per ogni
disciplina del corso, e aver discusso a luglio la relazione finale di tirocinio davanti a una
commissione composta da docenti universitari, docenti di scuola superiore e da un dirigente
scolastico, sono finalmente stato proclamato “abilitato all’insegnamento”.
Certo, non sono mai stato così ingenuo da pensare che l’abilitazione potesse risolvere tutti i
miei problemi: sapevo che il TFA non consentiva l’immissione in ruolo, ma solo l’accesso alla
seconda fascia delle graduatorie di istituto, ma nutrivo comunque una certa fiducia e una certa
speranza nel fatto che avrei lavorato, da lì in poi, con una certa continuità e sicurezza.
Soprattutto perché, come ci era stato spiegato, il numero degli ammessi al TFA corrispondeva
al fabbisogno nazionale di insegnanti. Mi ero purtroppo illuso. Anzi, ero stato illuso, come gli
altri 11.000 miei colleghi italiani scoprendo che il mio titolo abilitante era stato sminuito e
svalutato, rispetto a quelli del passato rilasciato con i corsi SISS, e per di più al momento non
spendibile: tale abilitazione mi varrà infatti, come accennato, solo a partire dall’anno scolastico
2014/2015, quando, oltretutto, correrò il rischio di essere superato in graduatoria dai docenti
che si abiliteranno con i cosiddetti Percorsi Abilitanti Speciali: grazie a una speciale sanatoria,
infatti, migliaia di docenti non abilitati di tutta Italia otterranno l’accesso a corsi di abilitazione
solo in virtù della loro anzianità di servizio (il requisito essenziale sarà avere all’attivo un
minimo di 3 anni di servizio), senza dover superare alcuna prova di accesso. Dopo gli abilitati
SISS e TFA, insomma, si aggiungerà una terza categoria di abilitati, con lo scoppio di una
inevitabile “guerra tra poveri”, peraltro già in corso.
E il sogno di insegnare rimane e rimarrà sempre e solo nel cassetto.
3
Pubblicata su Città Futura on‐line, 5/10/13, http://www.cittafutura.al.it
12
Giulio4
Mi chiamo Giulio. Sono nato nel 1966. Mi sono diplomato perito meccanico e dopo il diploma ho
iniziato a lavorare nel mondo del privato offrendo consulenze, lavorando per imprese per
mettere a punto i loro impianti. Ho costruito la mia professionalità come tecnico in questo
modo, lavorando per quindici anni per l'industria.
A questo punto della mia carriera, ormai superati i trent'anni, ho visto nella scuola
un'occasione; la possibilità di lavorare come insegnante tecnico-pratico di laboratorio,
preparando e gestendo le esercitazioni dei ragazzi. Un lavoro interessante, non lontano da ciò
che già facevo. Soprattutto, un lavoro sostanzialmente meglio pagato, perché richiedeva un
numero minore di ore settimanali garantendo uno stipendio decoroso per me e la mia famiglia.
Così ho deciso di provare. Sono entrato dalla scuola.
Ho iniziato nell'anno scolastico 2001-2002, lavorando negli istituti tecnici della provincia: anno
dopo anno a colpi di supplenze più o meno lunghe. Nel 2005 ho conseguito l'abilitazione che mi
dava la prospettiva della stabilizzazione . Abilitazione o no, ho continuato a lavorare con
contratti precari, supplenze per lo più su cattedre vacanti. Ho continuato ad essere un
istruttore di laboratorio fino al 2008; ancora una volta coprendo con il mio lavoro una cattedra
vacante. I posti quindi c'erano; c'erano pure i lavoratori, in teoria. La domanda è dove fosse la
volontà politica...
La volontà politica si è palesata, l'anno dopo. Nell? Anno scolastico 2009-2010 l'entrata in
vigore dalla “riforma” Gelmini ha completamente riscritto l'assetto della scuola superiore,
tagliando in modo sostanziale i posti da ITP. Grazie alla Gelmini finalmente non c'erano più i
posti di lavoro; solo un eccesso di lavoratori qualificati e con esperienza.
Lo stesso anno ci venne data la possibilità di "convertici" in insegnanti di sostegno: una
decisione obbligata se hai una famiglia e dei figli da mantenere; una scelta ancora più
obbligata in questo momento di crisi in cui le aziende del territorio stanno chiudendo una dopo
l'altra, facendo sì che anche la mia professionalità di tecnico non abbia più mercato.
Dal 2010 lavoro sul sostegno: ogni anno un contratto annuale, coprendo posti vacanti in giro
per il territorio dell'alessandrino. Il lavoro mi piace, mi dà tanto dal punto di vista umano, mi
ha arricchito. Sono felice del mio lavoro e di lavorare con i ragazzi. Se ci sarà da fare
l'ennesimo corso abilitante, lo farò perché credo in quello che sto facendo. Mi chiedo solo una
cosa. Sono ormai dodici anni che lavoro da precario della scuola, per lo più per contratti
annuali. Dopo tutti questi anni mi domando solo se qualcuno al Ministero vorrà applicare quello
che dovrebbe essere legge; quel principio di stabilizzazione dei lavoratori del pubblico che la
Corte europea ha ancora ribadito quest'anno (luglio 2013). Chissà?
4
Pubblicata su Radiogold, 18/11/13, www.radiogold.it 13
Anna O.5
Anna O. è oggi una giovane donna di circa quarant’anni alla ricerca di una propria identità e di
un nuovo percorso professionale in cui realizzare se stessa e le proprie aspirazioni.
La sua storia comincia oltre 20 anni fa quando scopre di avere una grande passione, un vero
talento: i libri e la letteratura, scrivere testi, combinare parole e immagini…
Per questo
motivo, sceglie di laurearsi in Lettere all’Università di Torino: qui coltiva il suo amore per la
lettura e per la scrittura, e approfondisce lo studio dei classici della nostra letteratura.
Contemporaneamente passa il suo tempo libero alla scrivania leggendo romanzi di autori
italiani e stranieri di generi diversi: d’avventura, d’amore, sulla realtà quotidiana, sulla società
contemporanea… Nel corso degli anni a questa passione se ne affianca un’altra, quella per le
nuove tecnologie: la navigazione in Rete, la ricerca di sempre nuove informazioni e immagini
tra i vari siti web, gli approfondimenti on line, i video sui diversi eventi, la pubblicità e la
comunicazione sul web…
Dopo una serie di esperienze lavorative precarie e di poco conto, arriva l’occasione della sua
vita, quella che aspettava: la gestione del sito web di una piccola azienda informatica e la
stabilità di un lavoro sicuro. Per otto lunghi anni Anna si dedica anima e corpo alla creazione e
all’elaborazione dei testi per l’home page e le pagine interne del sito; sceglie le immagini più
adatte, cura le diverse rubriche e gli approfondimenti dedicati ogni settimana a un argomento
differente per catturare l’attenzione dei visitatori. In seguito, crea la possibilità di un forum
dove ciascuno può esprimere la propria opinione su qualsiasi tema o notizia e confrontarsi con
gli altri, prendendo parte a una discussione.
Nel 2009 inizia la crisi economica che colpisce tutti i settori, compreso anche quello
informatico, l’azienda in cui lavora Anna O. è costretta a chiudere i battenti due anni dopo.
Anna O. non si dà pace e ricomincia a cercare lavoro nello stesso settore, ma senza alcun
risultato. Poi trova un’alternativa: comincia a prestare supplenza di Italiano alle scuole medie
superiori; il suo lavoro è precario, cambia spesso scuola e classi, ma Anna O. vi dedica tanta
passione e dedizione.
Nel 2012 decide di partecipare al tanto pubblicizzato “concorsone”. Risultato: Anna ha superato
tutte le prove, in sostanza ha superato il concorso ma poiché non risulta “vincitrice” cioè non in
posizione utile rispetto al numero di posti dati per le immissioni in ruolo ( numero peraltro
davvero esiguo), tutto è stato tanto faticoso quanto inutile, dal momento che non si sarà
guadagnata la tanto sospirata abilitazione all’insegnamento.
Lei ora sta alla finestra della sua vita, in attesa del futuro che verrà: spera che dalla fine di un
sogno ne prenda vita uno nuovo, quello di un lavoro sicuro e di una vita migliore.
Giulia6
Mi chiamo Giulia. Sono un’insegnante di scuola primaria diplomata all’inizio degli anni ’90 con il
vecchio Istituto Magistrale.
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6
Pubblicata su Radiogold, 25/11/13, www.radiogold.it
Pubblicata su Radiogold, 2/12/13, www.radiogold.it
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Se mi guardo alle spalle penso di aver fatto tutta la gavetta: ho iniziato a lavorare con le
supplenze brevi (malattie) il 19-12-1997, nell’anno 1997/98 feci solo 39 giorni misti tra scuola
elementare e materna, ma ero giovane e piena di entusiasmo, aspettavo con trepidazione ogni
mattina lo squillo del telefono per partire verso una nuova scuola e verso nuovi sorrisi.
Il tempo è passato, ci sono state anche delle pause, le nascite dei miei figli ad esempio, ma le
esperienze sono state molteplici, tante scuole, tanti bambini, tante realtà su e giù per la
provincia, ho persino inaugurato una scuola dell’infanzia in un paesino e insegnato agli adulti e
nelle scuole carcerarie.
Nel 2007 ho preso la tanto agognata abilitazione e lì ormai sembrava fatta, il passo decisivo
per entrare in ruolo, per avere dei bambini e dei colleghi da lasciare a giugno e da ritrovare a
settembre, per avere un armadio dove portare tutte le cianfrusaglie che le maestre
costantemente riciclano perché possono sempre servire per un lavoretto o per un cartellone...
e invece la Riforma e il blocco delle assunzioni hanno fermato lo scorrere delle graduatorie.
Lavoro con incarichi del Provveditore (fino al 30 giugno) da ormai 7 anni, ma nessuna
continuità, ci sono stati anni dove ho avuto incarichi bellissimi e produttivi e anni in cui sono
stata una maestra “spezzatino”, una tappabuchi a destra e a manca (l’anno scorso avevo 6
classi in 3 scuole in tre comuni diversi con discipline disparate). Comunque non sono mai stata
con le mani in mano e l’anno scorso ho fatto il famoso “Concorsone” superando tutte le prove.
L’entusiasmo che avevo nel ’97 oggi lo provo solo con gli allievi, quando mi accorgo di aver
trovato il canale giusto per la comunicazione, per il resto trovo molto frustrante a 40 anni
dover ricominciare sempre da capo ad ogni anno scolastico e ancor più frustrante non poter
chiedere un prestito per comprare casa o anche solo per l’auto perché è necessario un
contratto a tempo indeterminato.
Emanuele Andrea7
Mi chiamo Emanuele Andrea Spano e sono un giovane precario: giovane per una questione
anagrafica perché la precarietà si trascina dal giorno della laurea e ormai rappresenta una
costante nel mio percorso professionale.
La mia storia, in fondo, è quella di tanti: una laurea triennale in Lettere moderne e una
specialistica – mai fuori corso, tutto nei tempi prescritti! – la speranza di poter condurre quel
lavoro di tesi oltre i limiti del corso di studi, tentando la strada della ricerca. Allora era
indispensabile scegliere tra un biennio per ottenere l’abilitazione all’insegnamento o il
dottorato, in nome di una fantomatica separazione tra le carriere. E così all’insegnamento, che
mi appariva come la via più facile e scontata, ho preferito l’università, che mi consegnava ad
un’incertezza apparentemente più profonda. Non mi allettava l’idea di rinchiudermi dentro
un’aula in cui continuare a ripetere le stesse cose, inchiodati dai programmi ministeriali senza
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Pubblicata su Radiogold, 9/12/13, www.radiogold.it
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neppure una qualche prospettiva di carriera. Ho abbandonato Pavia e ho vinto il concorso di
dottorato a Padova, ho incominciato a lavorare per un professore che da sempre si occupava
delle cose che più amavo. In quei tre anni da pendolare, ho pubblicato articoli, ho collaborato
con riviste, ho interrogato agli esami come assistente. Intanto mi ero già iscritto alle
Graduatorie di terza fascia della provincia di Alessandria: quelle graduatorie che non richiedono
un’abilitazione, ma in cui viene chiesto unicamente di inserire le classi di concorso alle quali si
può accedere – ovvero le materie che si possono insegnare – e una lista di venti scuole della
provincia in cui si vorrebbe prestar servizio.
Non so dire come il mio passaggio dall’ambito accademico alla Scuola sia avvenuto, una volta
concluso il dottorato, e non sono neppure convinto che quella esperienza sia del tutto conclusa.
Ho iniziato a lavorare per qualche istituto privato, poi qualche supplenza di poco conto e una
cattedra annuale.
Ogni anno, prima dell’inizio dell’anno scolastico, si passa attraverso le convocazioni, si
attendono le chiamate e si spera di riuscire ad avere un posto per qualche mese, anche ad
un’ora di strada da casa; ogni anno, dopo il 30 giugno, inizia la disoccupazione, retribuita o
meno, e si è di nuovo nello stesso girone infernale.
Ero troppo giovane per accedere all’ultimo concorso bandito e ancora mi mancano una
manciata di giorni di servizio per avere accesso ai “tirocini formativi” speciali riservati a chi ha
già insegnato. Quest’anno sono assunto in un istituto tecnico di Alessandria con una supplenza
breve. Ho gli stessi doveri di tutti i miei colleghi, le stesse responsabilità, gli stessi obblighi, ma
credo di avere diritti diversi. Lo stipendio impiega più tempo ad arrivare, le ferie non godute
dell’anno passato sono state annullate, non ho prospettive per il futuro e non so dove sarò tra
un anno.
Non penso più che insegnare sia una cosa facile o scontata, ma credo che richieda dedizione e
pazienza, credo che il buon insegnante vada valutato in base a quello che fa dentro la classe e
non in base a quello che scrive sul registro o in base ai giorni, alle ore e ai minuti che si trova
dentro le mura della scuola.
Vorrei essere un insegnante, ma al momento sono soltanto un manovale dell’Istruzione.
Se dovessi raccontare a chi non sa che cosa vuol dire essere precari nella scuola, ecco, è tutto
questo: sapere di doverci essere, di dover fare le cose nel modo giusto, di dover trasmettere ai
propri studenti qualcosa senza far pagare anche a loro il peso della precarietà; pur sapendo di
essere subalterni, di non esistere se non come numeri, come sostituti a breve o a lungo
termine di qualcun altro.
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