sasso, carta, forbice cap3

 Massimo Botti
con Elena Dacrema
Sasso Carta Forbice
RIMEDI STRATEGICI AD USO DI GENITORI ED INSEGNANTI ALLE
PRESE CON RAGAZZI DIFFICILI
Prefazione
Giorgio Nardone
Prefazione
Indice
Avvertenza
Introduzione
Voglio, ma non posso: “il ticcoso”
Cap. 1 - Autoinganni e realtà
1.1
La costruzione della realtà
1.2
Logica strategica
1.3
Il concetto di Tentata Soluzione (T.S.)
1.4
Cambiare per conoscere
1.5
La costruzione degli interventi
1.6
Terapia Strategica e intervento indiretto con
genitori e insegnanti
Cap. 2 - Ambiti di applicazione del Manuale
2.1
3 - 5 anni: l’ingresso nel mondo
2.2
6 - 10 anni: l’età scolare
2.3
11 - 14 anni: il pensare che gli altri pensino…
2.4
Tipologie di problemi
2.5
Problemi nella fascia d’età 3 - 5 anni
2.6
Problemi nella fascia d’età 6 - 10 anni
2.7
Problemi nella fascia d’età 11 - 14 anni
Cap. 3 - Le Tentate Soluzioni
3.1
Comuni Tentate Soluzioni
3.2
Le T. S. specifiche per Disturbo d’Ansia
di Separazione e dormire nel lettone
3.3
Le T. S. specifiche per Mutismo Selettivo
3.4
Le T. S. specifiche per Disturbi da
Deficit di Attenzione/Iperattività
3.5
Le T. S. specifiche per Disturbo
Oppositivo Provocatorio e classe indisciplinata
3.6
Le T. S. specifiche per Disturbo della Condotta
3.7
Le T. S. specifiche per Tricotillomania,
Disturbi da Tic, Disturbo Ossessivo-Compulsivo
3.8
Le T. S. specifiche per Fobia Specifica,
Fobia Sociale (Fobia scolare, lamentele su
insegnanti e compiti, scarso rendimento
scolastico e pignoleria)
Cap. 4 - Manovre Terapeutico/educative
Introduzione
4.1
Come peggiorare
4.2
La ristrutturazione
4.2.1
La ristrutturazione con connotazione positiva
4.3
Uso di paradossi, aneddoti, metafore
4.4
Le prescrizioni di comportamento
4.5
Dichiarazione d’impotenza e premio disorientante
4.6
Frustrazione del sintomo e “irragionevolezza”
Cap. 5 - L’applicazione dell’intervento strategico
5.1
Sblocco nella fascia d’età 3 - 5 anni
5.2
Esempi di casi
A scuola mi denigrano! …
Un caso di Mutismo funzionale
Mio figlio ha dei Tic
Il piacere di dormire nel lettone
5.3
Sblocco nella fascia d’età 6 - 10 anni
5.4
Esempi di casi
Comando io. E il re è nudo!
Gli altri hanno l’orsacchiotto? Io ho l’orso!
Un caso di lutto
E’ pigra e con DSA. Non c’è nulla da fare!
Io sono grande
Pre-occupazioni genitoriali
5.5
Sblocco nella fascia d’età 11 - 14 anni
5.6
Esempi di casi
Lo sfaticato con probabile deficit d’intelligenza
Fobia scolastica. Un caso di paranoia
Ad ogni pensiero un capello
Trauma e Fobia specifica
Asfal-ta-to!
“Mi fa fastidio”
Epilogo
DSA o NON-DSA?
− cosa sono i DSA e i NON-DSA
− Come si accerta un DSA
− Quanto sono i DSA?
Esempi di DSA che non sono DSA
La manipolatrice
La paura di sbagliare
L’aiuto inutile
“Ci vedo!”
Ringraziamento
Appendice
Disturbi da Deficit di Attenzione/Iperattività
Disturbo Oppositivo Provocatorio
Disturbo della Condotta
Tricotillomania
Disturbi da Tic
Disturbo d’Ansia di Separazione
Fobia Specifica
Fobia Sociale
Disturbo Ossessivo-Compulsivo
Mutismo Selettivo
Bibliografia
“Necessità, da nessuna parte. Possibilità dappertutto”
(L. Febvre)
Capitolo 3
Le Tentate Soluzioni
Nell’esposizione delle Tentate Soluzioni, sia comuni sia specifiche relative
al disturbo specificato, è stata data rilevanza alle tipiche soluzioni ridondanti
inventariate in dodici anni di attività di ricerca sul campo. Non si esclude che
possano essere realizzate altre manovre più o meno creative, ma - a ben guardare se il problema non si risolve è necessario adottare le manovre illustrate nel
presente testo.
3.1
Comuni Tentate Soluzioni
In questo ambito ritroviamo le classiche soluzioni buone per tutti gli usi e
che si sommano a quelle specifiche dettagliate successivamente. Sia sempre
chiaro: poste in atto con le migliori intenzioni!
Sono chiamate da Watzlawick: la ricetta dell'ancora lo stesso1. “Queste
soluzioni s’ispirano a semplici regole. Primo: esiste un'unica soluzione possibile,
consentita, ragionevole, sensata e logica del problema, e se questi sforzi non
hanno ancora avuto successo, questo prova soltanto che non ci si è ancora
sufficientemente applicati a essa. Secondo: la supposizione che esista solo
quest'unica soluzione non può mai in quanto tale essere messa in discussione;
prove di verifica possono essere fatte solo relativamente alla sua applicazione,
che, se non dà frutti, rimanda alla prima regola!”
Nella serie di problemi legati alla difficoltà del distacco dalle figure
genitoriali e - per converso - ad una difficile socializzazione con coetanei e adulti
di riferimento, le comuni Tentate Soluzioni fanno riferimento prevalentemente
alla rassicurazione, alle richieste di collaborazione e d’espressione; sforzi enormi
da parte di insegnanti e genitori – sotto il profilo emotivo – di entrare in empatia
con il bambino, coccolarlo, attenderlo nei “suoi tempi”, proteggerlo ecc., così da
accogliere e sostenere il bambino in un passaggio così delicato visto che gli
provoca la chiusura o il timore degli altri. In realtà il concetto di empatia è
oggigiorno travisato dall’insegnamento spicciolo del “mettersi nei panni
dell’altro” che crea enorme confusione e danni indicibili. L’empatia (concetto
derivato niente poco di meno da Melanie Klein, psicoanalista geniale e
sistematizzatrice del pensiero freudiano in psicoanalisi infantile), ha lo scopo di
poter accedere, in fantasia, all’esperienza dell’altro quale strumento per curare,
1 Watzlawick P., (1984), Istruzioni per rendersi infelici, G. Feltrinelli Editore, Milano guidare verso la soluzione dei problemi e non - semplicemente - immaginare per
“sentire” e amplificare il disagio2 interrogandosi e aumentando il disagio stesso.
Tali modalità di accudimento finiscono per lo più per concretizzarsi in una
relazione inadeguata per l’età del bambino che viene a trovarsi nella condizione di
essere trattato come un bambino più piccolo della sua età, con anche i privilegi
che da tale trattamento conseguono.
Gli sforzi degli insegnanti, ma soprattutto dei genitori, si concentrano sul
fatto che “Non c’è da aver paura” all’ingresso a scuola o prima di lasciarlo a casa
di un’amico/a; salvo poi accogliere con apprensione il bambino all’uscita da
scuola con “Com’è andata oggi?”. Come se il bambino fosse scampato ad una
tragedia e fosse riuscito a tornare fra le braccia della mamma!
All’opposto, o in alternanza alle prime, si assiste all’irrigidimento
nell’imposizione del “Piantala!”. Si tenta di porre fine alle insicurezze e paure
dicendo al bambino di smetterla di fare in tal modo, che deve diventare grande,
che non si può andare avanti così ecc.
Tutte queste Tentate Soluzioni sono messe in atto anche nei casi di
opposizione e difficile controllo degli impulsi. Oltre a ciò però gli adulti
intervengono anche con ramanzine, spiegazioni razionali su ciò che è giusto e ciò
che è sbagliato, come comportarsi uguale agli altri.
Comune a tutti i problemi è sempre la ricerca della causa che
inevitabilmente - se non bloccata - trova sempre un colpevole nell’amichetto
perfido, nel mondo ingiusto, nella maestra “strega” o nel genitore incompetente
ecc. Dipende da chi è l’investigatore!
Dove la motivazione essenziale portata del bambino è la paura, si registrano
le Tentate Soluzioni viste precedentemente orientate alla rassicurazione, alle
richieste di “provarci”, alla spiegazione dei comportamenti corretti
Con l’ingresso a scuola si verifica forse la più deleteria forma di aiuto/nonaiuto che il bambino possa sperimentare: indulgere oltre-modo nei tempi di
apprendimento o nella performance scolastica, nella speranza che il tempo e
l’accettazione incondizionata aggiustino tutto. Tutto ciò porta troppo
frequentemente i bambini in III o IV Primaria ad uno stato di bagaglio
nozionistico e di performance (grafia, espressione del proprio pensiero, lettura)
eccessivamente deficitario con la conseguente soluzione di ipotizzare un deficit di
intelligenza o un presunto DSA. Una nefasta profezia che si autoavvera quando il
bambino in I Primaria è definito pigro, non essendo invece altro che il logico
completamento dell’idea che debba essere assecondato ecc. portandolo a godere di
privilegi che però lo mantengono ad uno stato inferiore di preparazione.
In caso di Dubbio o insicurezza cronica o quando il bambino tenta di
sostenere le sue insicurezze avventurandosi in bugie, gli adulti tentano di
sbugiardarlo giungendo alla verità sconfessandolo e ottenendo invece una difesa
più agguerrita delle posizioni del bambino.
2
Hinshelwood R.D., (1990), Dizionario di psicoanalisi kleiniana, R. Cortina Editore, Milano
Nella pedanteria cerano di rassicurarlo, consigliarlo o ascoltarlo nelle sue
“filippiche” che mascherano in realtà insicurezza sul da farsi.
In tutti i casi si mantiene il problema strutturandolo sempre di più.
Nei casi di litigio sistematico fra fratelli o sorelle, anche per ogni banale
motivazione, i genitori si prodigano per stimolare discussioni costruttive, far
riappacificare e razionalizzare sul fatto che litigare è sbagliato. Questo anche con
bambini più piccoli.
Falliti i tentativi con notevole frustrazione da entrambe le parti, che
legittimamente sostengono le loro buone ragioni, generalmente si pone fine alla
disputa dicendo: “Non fatelo più!”. Altre volte invece si va alla ricerca del
colpevole (di turno) cimentandosi in un contraddittorio investigativo che farebbe
invidia a Sherlock Holmes; trovato il colpevole si passa alla giusta punizione con
sommo gaudio della parte offesa che otterrà anche l’asservimento involontario del
genitore il quale, se dal proprio punto di vista si è fatto giudice, dal punto di vista
della parte offesa è alleato!
Ovviamente questo modo di procedere non fa altro che maturare precedenti
con cui i contendenti sosterranno le loro buone ragioni future innescando così una
faida senza fine.
Una menzione a parte riguarda la Tentata Soluzione della condivisione del
problema. Di fronte e innumerevoli problemi, una soluzione inefficace ridondante
è il parlarne: parlarne con amici, colleghi, fra genitori nei pressi della scuola o - de
profundis - fra coloro che condividono lo stesso problema da più tempo, irrisolto,
e si interrogano sulle cause scoprendone sempre di nuove e riflettendoci sopra con
sempre maggior impegno e profondità.
Parlare su un problema non è mai servito a risolverlo, interrogandosi sulle
cause si ritorna alla famosa ricerca del “perché” e si ricade sempre più nel passato
che, inevitabilmente, non possiamo cambiare. Nel frattempo il tempo passa, il
problema resta e si fossilizza; e le Tentate Soluzioni restano quelle di prima.
Per ogni problema che incontra l’essere umano vale l’imperativo di H. von
Foerster: “Se vuoi vedere, impara ad agire”. Solo una modifica sostanziale del
sistema potrà permetterne la valutazione e da lì la direzione da seguire per il
superamento del problema; a problema superato la soluzione darà essa stessa la
spiegazione di come il problema funzionava.
3.2
Le T.S. specifiche per Disturbo d’Ansia di Separazione e
dormire nel lettone
Il Disturbo d’Ansia di Separazione presenta una maggiore incidenza nella
Scuola d’Infanzia e nei primi anni della Scuola Primaria.
Il comportamento può essere, specie all’inizio, attribuito a caratteristiche del
bambino quali la timidezza, la necessità di conoscere l’ambiente e i compagni di
scuola, l’adeguamento alle modalità di relazione con l’insegnante ecc.; in ogni
caso difficilmente all’esordio della sintomatologia è riconosciuto quale disturbo.
Altro elemento che gioca a favore del mancato riconoscimento del disturbo,
risiede nelle giustificazioni genitoriali riconducibili al fatto che papà o mamma
erano così anche loro da bambini.
La ricerca delle cause spazia dall’ambiente scolastico che contempla
l’insegnante “troppo rigida”, alle materie troppo difficili o ai compagni inadeguati
per l’età, il contesto o alle amicizie inadeguate. Nel caso della relazione scuolafamiglia (ma vale anche per la relazione famiglia-famiglia), si può creare così una
situazione molto tesa dove, se all’inizio abbiamo un’alleanza d’intenti per aiutare
il bambino nella sua problematica, talvolta può sfociare in accuse alla scuola, alla
famiglia o fra genitori, di incapacità a ben gestire il bambino o di eccessivo rigore.
In ogni caso si cerca un colpevole del comportamento “reattivo”.
Nei casi più gravi, ossia in presenza di totale chiusura da parte del bambino,
si giunge anche all’interessamento dei servizi sociali o dell’ASL dove,
generalmente, si ripete la ricerca delle cause di tale comportamento.
A seguito di mal di pancia o di testa o altri malesseri fisici del bambino, i
genitori pongono in atto una serie di accertamenti sanitari che - peraltro
correttamente - disconfermano ogni malattia o problema organico. È inteso che il
bambino possa effettivamente avvertire tale sintomatologia, ma quale riflesso
dell’ansia somatizzata e strumentale all’evitamento della percezione dello stimolo
ansiogeno. Cionondimeno quando i genitori hanno fatto passare come il riso il
figlio, si giunge alla conclusione che è un problema d’ansia, e scattano le
soluzioni viste prima.
Una soluzione all’ansia di separazione, stavolta messa in atto dal bambino, è
andare a dormire nel lettone. E qui iniziano le manovre per farlo dormire nel suo
lettino: racconti infiniti di favole, aspettare oltremodo che il bimbo si addormenti
e, dopo varie peripezie nel tentativo di razionalizzare che non c’è da aver paura,
che non esistono i fantasmi, che il buio non fa paura e dopo crisi di pianto del
figlio… riportarlo nel lettone. Particolarmente deleteria è la soluzione in cui un
genitore dorme nel letto del figlio nella speranza che il figlio stesso si abitui. In
effetti si abitueranno: il figlio a dormire col genitore, l’altro genitore a dormire da
solo; i genitori si abitueranno a ridurre le occasioni di dialogo prima
dell’addormentamento con notevole riduzione dell’intimità di coppia ecc.
3.3
Le T.S. specifiche per Mutismo Selettivo
In questo disturbo, in cui abbiamo la selezione della circostanza in cui il
bambino evita di parlare, assistiamo ad un’escalation di potere del bambino sugli
adulti e - in modo complementare - ad un adeguamento verso il basso e verso la
semplificazione del linguaggio dell’adulto. Quando il bambino non parla, pur
avendone le capacità, l’adulto tenta generalmente di indovinare il pensiero del
bambino, tenta di completare le frasi non dette e di incoraggiarlo a dire ciò che
pensa; come se per il bambino fosse facile dire: «Ti devi sottomettere e facilitarmi
la comunicazione!»
In classe si pongono i bambini “muti” vicino a “volenterosi” che aiutano e
intercedono per loro interpretandone il pensiero. In casa si assiste ad una premura
ed un anticipo sistematico delle esigenze del bambino del tipo “Vuoi bere?” - “Ti
serve ...?” - “Hai bisogno …?” alternato spesso a scoppi d’ira dell’adulto che gli
ordina di parlare.
In buona sostanza il bambino ottiene quanto di cui ha bisogno, e anche di
più se consideriamo l’attenzione, senza dover formulare frasi, coniugare verbi,
esporsi in pubblico ecc. Dal suo punto di vista un potere enorme, senza bisogno di
parlare!
Altra soluzione che talvolta è posta in essere riguarda il portare il bambino
dal logopedista nella speranza che lo specialista possa farlo parlare; in effetti può
anche riuscirvi visto che non è un problema fonologico o logopedico. Il problema
resta dove il bambino decide di non parlare.
Naturalmente anche in questo caso gli adulti ricorrono a quelle
rassicurazioni ed indagini che abbiamo visto nelle comuni Tentate Soluzioni
arrivando persino a ipotizzare, e magari confermare, gravi traumi subiti dal
bambino. A questo punto inizia una sistematica riorganizzazione delle attività a
casa o a scuola. Neanche da dire che ciò rappresenta l’apoteosi per il bambino
muto che vede modificarsi il mondo attorno a sé per rispondere meglio alle sue
esigenze, traendone così vantaggi a cui magari neanche aveva pensato.
3.4
Le T.S. per Disturbi da Deficit di Attenzione/Iperattività
Generalmente l’individuazione del disturbo avviene a scuola. Quando
invece tale disturbo è già stato individuato a casa, le Tentate Soluzioni non
differiscono comunque da quelle utilizzate a scuola; sostanzialmente sono
configurabili come repressione dell’iperattività e richieste d’attenzione, richieste
di portare a termine giochi, attività ecc., eventualmente sino alla punizione se il
bambino non esegue. L’esemplificazione della gestione infruttuosa dell’alunno in
classe, permette di illustrare meglio le varie Tentate Soluzioni.
Quando in una classe l'allievo manifesta alcuni dei comportamenti descritti
per l'individuazione del disturbo da deficit di attenzione e iperattività, l'insegnante
cerca di riportare l'alunno all'interno delle normali norme di gestione della
didattica e della convivenza gruppale.
Quando il bambino attua il comportamento sintomatico in classe,
l'insegnante, almeno in prima battuta, interviene sul comportamento disturbante
con richiami e spiegazioni razionali sull'importanza di “stare attento”, “non
disturbare” ecc..
Solitamente questo è l'inizio di un escalation caratterizzata dall'aumento
dell'intensità dei richiami e dei rimproveri all'alunno per il suo comportamento
che non tende a cessare o a rientrare nella norma della classe. L'insegnante quindi
richiama sempre più spesso l'allievo, focalizza la sua attenzione alla ricerca dei
minimi comportamenti inadeguati per sanzionarli dando luogo così ad un
assorbimento dell'attenzione dell'insegnante verso l'allievo.
Eventualmente, oltre all'aumento dell'attenzione dell'insegnante per la
correzione del comportamento disturbante, l'insegnante cerca di coinvolgere il
bambino in attività di gruppo con i compagni sperando di trovare momenti per
poter gratificare l'alunno allorquando pone in essere dei comportamenti adeguati.
In questa fase quindi, spinta dalle migliori intenzioni, l'insegnante dedica ancora
maggiore attenzione all'allievo che, da un lato purtroppo sperimenterà la
frustrazione per non riuscire a portare a termine l’attività e, dall’altro lato, ottiene
un importante vantaggio secondario: l’attenzione per l’appunto.
Con vantaggio secondario si intende un beneficio che l'individuo ottiene
direttamente o indirettamente dai suoi sintomi autoalimentando così i sintomi
stessi che in definitiva gli procurano il vantaggio (Darley et al., 1993).
Quando l'insegnante vede il fallimento dei propri intenti iniziali con i
richiami e il coinvolgimento dell'alunno, il passaggio successivo arriva alle
punizioni mediante le note comunicate ai genitori, sul registro ed i caratteristici
castighi ivi compresi i compiti di punizione.
Talvolta si assiste anche ai tentativi di ignorare i comportamenti
problematici. Sebbene in linea teorica tale manovra dovrebbe portare
all'estinzione del comportamento problematico poiché si toglie l'attenzione al
soggetto, questo tentativo fallisce sistematicamente; in primo luogo poiché per
l'insegnante risulta impossibile ignorare sistematicamente ed in modo assoluto
l'alunno ed in secondo luogo l'alunno pone in atto un'intensità sempre maggiore di
comportamento-problema che porta i compagni e/o l'insegnante all'intervento.
Attraverso quindi questa Tentata Soluzione si giunge all'esacerbazione del
disturbo che assume dimensioni ed intensità sempre maggiori.
Quando a scuola sono state adottate tutte queste modalità infruttuose, si
passa alla categoria di Tentate Soluzioni ulteriori che vede il coinvolgimento dei
genitori.
Dapprima l'insegnante richiede l'intervento dei genitori per la correzione del
comportamento del figlio e generalmente in questo caso i genitori, oltre alle varie
raccomandazioni al figlio prima dell'entrata a scuola, quando sono a casa pongono
in atto le stesse manovre repressive, di richiamo e punitive, che erano state messe
in atto a scuola senza successo. Raggiunto l'insuccesso anche con questa manovra
si giunge alla creazione del caso con l'interessamento della neuropsichiatria o dei
servizi sociali. A questo punto si apre la necessaria etichettatura del disturbo e,
come logica conseguenza, la ricerca della colpa di ciò che ha causato il disturbo.
Riassumendo quindi il bambino si troverà a scuola costantemente
monitorato; a casa con i propri genitori, sottoposto a richieste di cessazione del
suo comportamento disadattivo e studiato dagli operatori sanitari o sociali che etichettandolo - lui li conferma mettendo in atto proprio quei comportamenti che
loro si aspettano.
3.5
Le T.S. specifiche per Disturbo
Oppositivo Provocatorio e classe indisciplinata
Nel caso del Disturbo Oppositivo Provocatorio, il bambino presenta
modalità comportamentali e d’atteggiamento prevalentemente orientate verso la
sfida dell'adulto significativo.
Le Tentate Soluzioni attuate, generalmente rientrano in una decisa richiesta
di adeguamento all’autorità. La relazione che si viene ad instaurare è
caratterizzata dalla simmetria. Con tale termine intendiamo specificare che i
comportamenti posti in essere dal bambino e dall’adulto sono considerati dagli
stessi protagonisti come simili, in modo tale, all'aumentare di intensità del
comportamento di uno corrisponde un altrettanto aumento di intensità dello stesso
comportamento da parte dell'altro. Un esempio concreto di tale simmetria è la
richiesta, da parte dell'insegnante, dell'esecuzione di una determinata consegna a
carico dell'allievo; questi, dal canto suo, assume un atteggiamento dichiaratamente
di sfida rispondendo con un “No”, oppure finge di non aver sentito. Allora
l'insegnante spiega razionalmente la definizione dei ruoli gerarchici e l'importanza
dell'esecuzione del compito assegnato all'alunno per passare successivamente, a
seguito di ulteriori rifiuti, a rimproveri relativi al comportamento impertinente. Se
anche tali manovre non sortiscono l'adeguamento alla norma, l'insegnante entra in
escalation arrivando alle punizioni accentuando così i comportamenti oppositivi e
provocatori dello studente. La stessa escalation si può osservare anche in casa,
eventualmente dopo un periodo del tipo: “Poi passa …”.
Sia nel caso della scuola, sia in casa, quando sono falliti tutti i tentativi, si
apre la strada dell’intervento della struttura specialistica dell’ASL.
Nel caso della classe indisciplinata, ossia un comportamento oppositivoprovocatorio gruppale, sostanzialmente ci troviamo di fronte ad una classe dove
una nutrita schiera di bambini e/o i fanciulli non osserva le regole - o meglio le
infrange poiché le conosce bene - del buon andamento della lezione.
Interrompono facendo domande anche non pertinenti, chiacchierano fra loro,
frammentano le lezioni ecc. Gli insegnanti in tali situazioni tendono ad
un’escalation simmetrica con gli alunni; si parte dalla normale spiegazione di
come è giusto comportarsi che, se non sortisce effetto dà luogo alla progressione
caratterizzata da: richiamo gentile siano ad arrivare a maggior fermezza per poi
passare alle note a diario e successivamente alle note a registro sino a convocare i
genitori. Ossia la stessa soluzione, redarguire e punire, che se non ha funzionato
all’inizio può solo peggiorare irrigidendo anche la posizione dell’alunno che
raccoglierà la sfida.
E la vincerà!
Poiché la classe si può permettere ciò che per l’insegnante è vietato, e quindi
è una lotta impari.
Inoltre l’obiettivo è diverso per insegnante e alunno: l’insegnante vuole
insegnare in un clima adeguato e ottenere il profitto degli allievi; la classe vuole
ottenere lo “sclero” dell’insegnante che conferma la sua debolezza e, per
converso, il potere della classe.
Le cose poi si complicano ulteriormente se si verifica la situazione dove i
genitori sono alleati degli alunni, i quali sanno ben gestire le comunicazioni e le
proprie inoppugnabili discolpe. Si giunge in talune situazioni a vere e proprie
crociate contro l’insegnante, contro una scuola che pretende troppo o contro
l’unico bambino veramente maleducato della classe che istiga gli altri.
Comunque sia una situazione disdicevole dove la ricerca del colpevole è
sempre in casa dell’altro!
3.6
Le T.S. specifiche per Disturbo della Condotta
Per quanto attiene ai comportamenti riconducibili al Disturbo della Condotta
(condotte aggressive verso oggetti, comportamenti iperattivi connotati da
violenza) assistiamo ad una esacerbazione, per assonanza, del disturbo da deficit
di attenzione iperattività unito al disturbo oppositivo provocatorio. Naturalmente
il disturbo della condotta ha una natura sua propria, ma all'interno del quadro
comportamentale osservabile a scuola e a casa si osservano significative
similitudini caratterizzate da una intensità e sfrontatezza maggiori, sino a giungere
ai veri e propri atti di vandalismo e violazioni di regole.
L’adulto, può assumere atteggiamenti che rientrano in due categorie
specifiche. La prima categoria riconosce tutti quei comportamenti dell’adulto
orientati alla rieducazione, all'accettazione incondizionata ed all'accoglienza del
bambino disturbato nella speranza che, sentendosi accettato in toto, cambi il suo
modo di comportarsi a fronte dell'amore ricevuto da un adulto importante. Sempre
più spesso si nota un atteggiamento di “ascolto sincero” da parte dell’adulto
relativamente alle spiegazioni dei comportamenti disadattivi del ragazzo, nella
speranza (solo dell’adulto!) che si arrivi ad una sorta di progetto comune sulla
rieducazione del ragazzo stesso.
Oltre al fatto che tale atteggiamento è fortemente ambivalente, è anche
incoerente come ipotesi, infatti: come può darsi che un ragazzo pensi di
modificare il proprio comportamento se la descrizione stessa del comportamento
suscita un così vivo interesse e condivisione?
L’accettazione piena e incondizionata delle motivazioni del ragazzo, dei
suoi comportamenti e modalità di relazione disfunzionali non può che avvalorare
il comportamento stesso e perciò non si dà nessuna motivazione affinché il
ragazzo pensi di condividere un progetto di cambiamento - disconfermandosi - per
accettare quanto invece è desiderato dall’adulto che rappresenta - per il ragazzo il soggetto da battere.
Il tutto è molto più semplicemente spiegato metaforicamente pensando alla
favola del rospo e la fanciulla: nella favola il rospo baciato dalla fanciulla diviene
un principe.
Nella favola.
Nella realtà, se un rospo viene baciato, non troverà nessun motivo per
diventare un principe; piace così com’è!
Nella seconda categoria rientrano tutte quelle manovre tese a far rispettare
in modo inflessibile le regole al bambino “maleducato”. Si passa così ai
rimproveri ed alle punizioni per l'orario di arrivo a scuola, le lungaggini per uscire
di casa, il comportamento in luoghi pubblici (ristoranti ecc.), il danneggiamento
del materiale scolastico, i litigi che l'alunno talvolta si procura ecc., arrivando così
ad un inasprimento delle sanzioni e ad un irrigidimento del ruolo autoritario
rivestito dall'insegnante o dal genitore.
3.7
Le T.S. specifiche per Tricotillomania, Disturbi da Tic,
Disturbo Ossessivo-Compulsivo
Nelle fattispecie per Tricotillomania, quando l’adulto si accorge che il
bambino si “gratta” continuamente il capo o palesemente si strappa i capelli, tende
ad intervenire attraverso una modalità caratterizzata da dolcezza e comprensione e
cercando di individuare quali possono essere i motivi scatenanti di un simile
comportamento per porvi rimedio allorquando si suppone che possa essere
l'ambiente o la situazione ad indurlo. Inizia così, con le migliori intenzioni,
un’accurata anamnesi sui più svariati fattori di disturbo che potrebbero
intervenire. La cosa tristemente ironica è che a casa si investiga su scuola,
relazioni con compagni/amici, con insegnanti (o materie insegnate), simpatie o
antipatie all'interno della classe ecc., mentre a scuola si investiga sulla relazione
con i genitori, su possibili maltrattamenti o abbandono del minore, su conflitti col
fratello maggiore o minore o nascituro.
L’adulto di riferimento generalmente cerca di bloccare tale comportamento
adottando vari stratagemmi fra cui: tenerlo impegnato a scrivere, tenendogli le
mani impegnate, richiamandolo allorquando tenta di grattarsi o strapparsi i capelli
e cercando di spiegargli che così facendo si procura danno, ma non risolverà alcun
problema reale.
Nei Disturbi da Tic osserviamo lo stesso iter esposto sopra unito ad un più
deciso intervento di contenimento del comportamento ticcoso assieme alla
spiegazione al bambino di cercare di controllarsi ed evitare il comportamento,
magari disturbante in classe; classicamente la soluzione è ricondotta a: «Cerca di
non farlo» e «Trattieniti». Molto spesso è posto in atto anche il tentativo di
ignorare il comportamento di corso, ma inesorabilmente tale buon proposito è
sistematicamente infranto.
Altra soluzione è quando i tic sono spiegati sulla base che anche un genitore
da piccolo li aveva e quindi deve essere genetico. Si noti che non esiste base
genetica accertata per i Disturbi da Tic.
Nella gestione del Disturbo Ossessivo-Compulsivo si verifica il medesimo
copione di T.S. risolutorie già viste per i precedenti. In questo caso, dopo l’iniziale
osservazione dei comportamenti e dei rituali che pone in atto il bambino, gli adulti
di riferimento iniziano a cercare di limitare i rituali chiedendo prima, e
ingiungendo poi, di smetterla, di trattenersi e di evitare di farli. A seguito dei
primi fallimenti s’innesca l’indagine sul perché e sulle possibili cause esterne e
interne di tale disturbo; si passano in rassegna quindi tutte le possibili fonti
d’ansia già viste nelle precedenti soluzioni: genitori, scuola, amici, compiti ecc.
per arrivare infine a ipotizzare la sempreverde causa genetica.
Per tutti e tre i disturbi, un'altra Tentata Soluzione cui spesso si assiste è
quella riassunta nella frase “Poi con il tempo passa” o, peggio ancora, “Speriamo
che diventando grande …”. Come ad individuare il tempo quale personificazione
di un qualche terapeuta che decide lui quando è il momento di ristabilire una
situazione in assenza di disturbo.
3.8
Le T.S. specifiche per Fobia Specifica,
Fobia Sociale (fobia scolare, lamentele su insegnanti e compiti,
scarso rendimento scolastico e pignoleria)
I problemi rientranti in fobia scolare, lamentele su insegnanti e compiti e
pignoleria richiede una precisazione essenziale. Troppo spesso si assiste a processi
alla scuola nel caso il bambino manifesti “paura” della scuola. Si va alla ricerca
del compito eccessivo, dell’insegnante malvagio o del compagno bullo. Non
escludendo che tali situazioni possano verificarsi, saremmo in presenza di trauma
e non di fobia scolare!
Quando si parla di fobia scolare si procede sempre alla ricerca del colpevole
della paura del bambino; in sé il procedimento è errato sotto il profilo logico.
Infatti, esemplificando: se in una classe di 20 alunni uno ha fobia scolare
(rifiutandosi di andare a scuola, facendosi andare a prendere a metà lezione per il
mal di pancia ecc.) è giocoforza giungere alla conclusione che è il bambino a
nutrire una percezione errata della situazione, altrimenti tutti e 20 gli alunni
dovrebbero manifestare gli stessi sintomi e problema!
Spesso, per confermare che esiste il mostro a scuola, si assiste al discorso
secondo cui “I bambini non sono tutti uguali”, ciò al fine di indurre una modifica
nella gestione didattica o della classe. Ma proprio in virtù di tale ragionamento il
bambino palesa il problema che altri invece non hanno.
Un grande fraintendimento nasce però anche dalla descrizione del disturbo
nel DSM IV-TR; infatti relativamente alla fobia sociale (da cui è desunta la fobia
scolare) il Manuale cita: “L’esposizione alla situazione temuta quasi
invariabilmente provoca l’ansia, […] causato dalla situazione o sensibile alla
situazione. Nei bambini, l’ansia può essere espressa piangendo, con scoppi di ira,
con l’irrigidimento, o con l’evitamento delle situazioni sociali con persone non
familiari”. In forza di una tale interpretazione si aprono le porte alla infruttuosa e
paranoica ricerca del malfattore che provoca paura nel bimbo.
Ma se analizziamo la pignoleria nella descrizione della paura relativamente
alle ingiustizie che vivono i bambini e le lamentele su insegnanti, compiti o scuola
in generale, osserviamo che il bambino si lamenta colpevolizzando. Il bambino
manifesta la sua ostilità verso la scuola ecc. asserendo che l’insegnante lo tratta
diversamente, la bidella lo guarda male, che il compito è difficile, che i compagni
gli sono antipatici, che le verifiche sono facili per gli altri e per lui sempre
difficili, i compiti sono troppi e non ha tempo per giocare. In altre parole: la
scuola non è come la vorrebbe.
Le Tentate Soluzioni generalmente sono la ricerca del colpevole come detto
poc’anzi, la rassicurazione ecc. come già più volte illustrato nei casi in cui il
bambino ha paura, ma in questo caso la Tentata Soluzione conferma purtroppo la
percezione ostile del bambino verso la scuola. Quando poi anche l’insegnante
muta il suo atteggiamento per favorire il bambino si ottiene l’effetto diabolico di
confermare la rabbia-paura del bambino e l’insegnante stesso disconferma il suo
precedente atteggiamento. Oltre, quale effetto pernicioso, a dare seguito alle
lamentele del bambino e coltivare inconsapevolmente il potere del bambino sugli
adulti.
Per ciò che attiene a fobie specifiche, ad esempio animali, le Tentate
Soluzioni sono sempre nell’area della rassicurazione unita alla protezione del
minore fobico dinnanzi allo stimolo che gli provoca paura. Una sorta di doppio
messaggio dove da un lato l’adulto tenta di far capire al bambino che non c’è da
aver paura, ma contemporaneamente lo protegge e pertanto conferma la paura.
Giocoforza il bambino resterà nella sua percezione fobica.
All’opposto, di fronte alle manifestazioni di paura del bambino si assiste
all’evitamento dello stimolo fobico semplicemente per proteggere il bambino e
non fargli sperimentare così il sentimento doloroso; ogni paura evitata, però, è una
paura confermata e una conferma dell’incapacità di superarla.
In alcuni tentativi creativi si verifica la situazione in cui l’adulto espone
volontariamente il bambino allo stimolo fobico per fargli vedere che non c’è da
aver paura; risultato: il bambino o scoppia in lacrime o si terrorizza anche nei
confronti dell’adulto.
Una volta, una paziente adulta, mi disse che da bambina aveva paura delle
vipere dopo averne vista una su un sentiero; lo confidò al nonno che pensò bene,
un mattino seguente, di fargliene trovare una morta sull’uscio di casa mentre la
nipotina usciva per andare a giocare. Risultato: la bambina non uscì di casa e non
parlò al nonno per oltre un anno.
Lo scarso rendimento scolastico può assumere la forma dell’evitamento per
paura e/o insicurezza per le proprie capacità, oppure del rifiuto a causa della
rabbia verso l’insegnante o verso il doversi adeguare alle regole.
Nell’uno e nell’altro caso si assiste ad un escalation dell’incitare il rampollo
a fare i compiti, chiamarlo e richiamarlo più volte, aiutarlo e sostenerlo nello
studio, preparare piani dettagliati di studio e verifiche con notevoli contrattazioni
e illustrazione, da parte del bambino, delle motivazioni per cui è difficile o
impossibile riuscire a studiare. Sempre in voga il “Non ne ho voglia” o il più
ermetico “Non trovo la voglia di farlo” in varie forme linguistiche. Anche in
questo caso gli adulti compiono sforzi titanici per ascoltare, dialogare e giungere a
compromessi e spiegazioni sulla necessità di impegnarsi, sulla necessità di
compiere il proprio dovere ecc.
Se si potesse acquistare in negozio la motivazione …
Dopo i fallimenti delle soluzioni precedenti si passa alle minacce e
punizioni che sortiscono l’effetto di un irrigidimento nelle posizioni creando così
anche i presupposti per l’opposizione.
Appendice
Disturbi psicologici in Infanzia e fanciullezza (fonte: DSM IV-TR)
Disturbi da Deficit di Attenzione/Iperattività
I bambini che presentano questo disturbo balzano all'attenzione per una
persistente modalità di disattenzione, associata o meno a iperattività e impulsività,
con frequenza maggiore e di maggior gravità di quanto si possa osservare
normalmente in coetanei. Spesso sono bambini che vengono definiti “vivaci” per
tutto il tempo sino al termine della scuola d’Infanzia e talvolta anche in prima
classe alla scuola Primaria.
Alcuni dei sintomi di iperattività e impulsività, uniti a disattenzione, devono
essere presenti prima dei sette anni di età; sebbene nella clinica si noti che molti
soggetti vengono diagnosticati dopo diversi anni di presenza dei sintomi, in
particolar modo negli individui con disturbo caratterizzato da disattenzione
predominante. Il disturbo deve interferire chiaramente col funzionamento sociale,
scolastico o lavorativo sempre con riferimento a soggetti di adeguato livello di
sviluppo.
Gli alunni con questo disturbo, nelle situazioni scolastiche, spesso non
riescono a prestare attenzione ai particolari, fanno spesso errori di distrazione e
difficilmente riescono a portare a termine i compiti didattici. Si assiste a quello
che generalmente viene definito disordine o scarsa cura del proprio materiale
scolastico, ed anche nel gioco sono caratterizzati da una frammentazione delle
attività, passando da una attività ludica ad un'altra senza completarne alcuna.
Spesso questi bambini fanno qualcosa mentre sembra che stiano pensando ad
altro.
Proprio in virtù del fatto che i compiti che richiedono sforzo mentale
protratto sono avvertiti come spiacevoli e frustranti, questi soggetti tendono ad
evitare tali compiti.
Questi bambini spesso vengono definiti “motorizzati” e “sparano” risposte a
scuola prima che le domande siano completate oppure completamente svincolate
dal contesto definito dalla domanda. Si intromettano in discorsi altrui e cambiano
argomenti di continuo. Talvolta si osserva un comportamento definibile simile al
“giullare” ogni qualvolta riescono ad attrarre su di sé l'ilarità ed il compiacimento
dei compagni per comportamenti grossolani o goffi.
Le manifestazioni comportamentali, utili a individuare la presenza del
disturbo da deficit di attenzione/iperattività, devono persistere per almeno sei mesi
con un’intensità che provoca disadattamento e che contrasta con il livello di
sviluppo adeguato relativamente ai coetanei.
La disattenzione è caratterizzata da almeno sei dei seguenti criteri:
− spesso non riesce a prestare attenzione ai particolari o commette
errori di distrazione nei compiti scolastici, sul lavoro, o in altre
attività;
− spesso ha difficoltà a mantenere l’attenzione sui compiti o sulle
attività di gioco;
− spesso non sembra ascoltare quando gli si parla direttamente;
− spesso non segue le istruzioni e non porta a termine i compiti
scolastici, le incombenze, o i doveri sul posto di lavoro (non a causa
di comportamento oppositivo o di incapacità di capire le istruzioni);
− spesso ha difficoltà a organizzarsi nei compiti e nelle attività;
− spesso evita, prova avversione, o è riluttante ad impegnarsi in
compiti che richiedono sforzo mentale protratto (come compiti a
scuola o a casa);
− spesso perde gli oggetti necessari per i compiti o le attività (per es.,
giocattoli, compiti di scuola, matite, libri, o strumenti);
− spesso è facilmente distratto da stimoli estranei;
− spesso è sbadato nelle attività quotidiane.
La sintomatologia relativa all’iperattività-impulsività è definita da almeno
sei dei seguenti sintomi, che per l’iperattività sono riferiti a:
− spesso muove con irrequietezza mani o piedi o si dimena sulla sedia;
− spesso lascia il proprio posto a sedere in classe o in altre situazioni in
cui ci si aspetta che resti seduto;
− spesso scorrazza e salta dovunque in modo eccessivo in situazioni in
cui ciò è fuori luogo (negli adolescenti o negli adulti, ciò può
limitarsi a sentimenti soggettivi di irrequietezza);
− spesso ha difficoltà a giocare o a dedicarsi a divertimenti in modo
tranquillo;
− è spesso “sotto pressione” o agisce come se fosse “motorizzato”;
− spesso parla troppo.
Mentre per l’impulsività ci si riferisce ai seguenti comportamenti:
− spesso “spara” le risposte prima che le domande siano state
completate;
− spesso ha difficoltà ad attendere il proprio turno;
− spesso interrompe gli altri o è invadente nei loro confronti (per es., si
intromette nelle conversazioni o nei giochi).
Disturbo Oppositivo Provocatorio
I soggetti che presentano questo disturbo si pongono nella relazione con
l’altro con una modalità di comportamento negativistico, tendono alla
provocazione, sono generalmente disobbedienti ed ostili in particolar modo con
gli adulti. Questi fanciulli hanno una particolare avversione per le regole imposte
dagli adulti significativi e pongono spesso in atto azioni e comportamenti che
infastidiscono gli altri.
Nella relazione con i coetanei, così come con gli adulti, tendono ad essere
collerici, talvolta irosi e oltre ad essere dispettosi e vendicativi accusano spesso gli
altri dei propri errori.
Naturalmente questo quadro comportamentale deve essere presente con una
intensità e frequenza maggiore di quanto si possa osservare nei coetanei, è
necessario che sia presente una compromissione del funzionamento sociale e
scolastico e devono essere diagnosticati prima dei 18 anni d'età.
I sintomi comportamentali per la definizione del disturbo oppositivo
provocatorio devono essere presenti per almeno sei mesi e sono caratterizzati da
quattro o più dei seguenti criteri:
− spesso va in collera;
− spesso litiga con gli adulti:
− spesso sfida attivamente o si rifiuta di rispettare la/le richieste o
regole degli adulti;
− spesso irrita deliberatamente le persone;
− spesso accusa gli altri per i propri errori o il proprio cattivo
comportamento;
− è spesso suscettibile o facilmente irritato dagli altri;
− è spesso arrabbiato e rancoroso;
− è spesso dispettoso e vendicativo.
Disturbo della Condotta
La caratteristica fondamentale che presentano i soggetti con Disturbo della
Condotta si rivela una modalità di comportamento ripetitiva e persistente dove i
diritti fondamentali degli altri, così come le norme o le regole della società
vengono violate. Questi comportamenti si inseriscono in quattro gruppi
fondamentali: condotta aggressiva che causa o minaccia danni fisici ad altre
persone o ad animali, condotta non aggressiva che causa perdita o
danneggiamento della proprietà come, ad esempio, rovinare il materiale scolastico
a compagni, sottrarre biro o altri strumenti didattici sia alla scuola sia in classe e
tutti quei comportamenti che generalmente vengono racchiusi nella definizione di
atti vandalici.
Naturalmente queste anomalie del comportamento provocano una
compromissione del funzionamento scolastico e sociale, tanto che spesso sono
definiti “bulli”.
I ragazzi che presentano questo disturbo, spesso hanno l'abitudine, anche
prima dei 13 anni di età, di stare fuori casa sino a sera o tarda notte nonostante le
proibizioni dei genitori. Non di rado si presentano episodi di fuga anche come
diretta conseguenza di maltrattamenti fisici o anche come assenze (marinare) la
scuola.
I criteri necessari per definire un disturbo della condotta rientrano nel
quadro definito da tre o più dei sotto elencati sintomi in 12 mesi, con almeno un
sintomo presente negli ultimi sei mesi:
Aggressioni a persone o animali
− spesso fa il prepotente, minaccia, o intimorisce gli altri;
− spesso dà inizio a colluttazioni fisiche;
− ha usato un’arma che può causare seri danni fisici ad altri (per es., un
bastone, una barra, una bottiglia rotta, un coltello, una pistola);
− è stato fisicamente crudele con le persone;
− è stato fisicamente crudele con gli animali;
− ha rubato affrontando la vittima (per es., aggressione, scippo,
estorsione, rapina a mano armata);
− ha forzato qualcuno ad attività sessuali.
Distruzione della proprietà
− ha deliberatamente appiccato il fuoco con l’intenzione di causare seri
danni;
− ha deliberatamente distrutto proprietà altrui (in modo diverso
dall’appiccare il fuoco).
Frode o furto
− è penetrato in un edificio, un domicilio, o una automobile altrui;
− spesso mente per ottenere vantaggi o favori o per evitare obblighi
(cioè, raggira gli altri);
− ha rubato articoli di valore senza affrontare la vittima (per es., furto
nei negozi, ma senza scasso; falsificazioni).
Gravi violazioni di regole
− spesso trascorre fuori la notte nonostante le proibizioni dei genitori,
con inizio prima dei 13 anni di età;
− è fuggito da casa di notte almeno due volte mentre viveva a casa dei
genitori o di chi ne faceva le veci (o una volta senza ritornare per un
lungo periodo);
− marina spesso la scuola, con inizio prima dei 13 anni di età.
Tricotillomania
Questo disturbo si manifesta essenzialmente con lo strappamento ricorrente
di capelli causando la notevole perdita di questi. Lo strappamento può riguardare
anche altre regioni del corpo, quindi anche regioni ascellari, perianale e pubica;
ma le regioni più colpite risultano il cuoio capelluto, le sopracciglia e le ciglia.
Questo comportamento patologico può avvenire in episodi durante l'arco della
giornata pure in periodi più rari ma con una intensità e tempo dedicato allo
strappamento maggiori. Spesso, lo strappamento, si può manifestare durante stati
di rilassamento o distrazione (per esempio leggendo un libro, stando attenti a
scuola, guardando la televisione ecc.), oppure anche contemporaneamente a
situazioni stressanti. I soggetti che subiscono questo disturbo spesso avvertono un
senso crescente di tensione prima dell'atto e talvolta sta è associata a tentativi di
resistere all'impulso. Alcuni ragazzi provano anche una sensazione di prurito al
cuoio capelluto e una conseguente sensazione di sollievo dopo lo strappamento.
Disturbi da Tic
Un tic è un movimento, o una vocalizzazione, improvviso, rapido,
ricorrente, aritmico e stereotipato. I tic motori e vocali possono essere semplici
(con il coinvolgimento di pochi muscoli o con l’emissione di suoni semplici) o
complessi (con il coinvolgimento di gruppi multipli di muscoli reclutati per
l’emissione di esplosioni orchestrate o parole e frasi).
All'interno della categoria dei tic, sono incluse quattro tipologie: Disturbo di
Tourette, Disturbo Cronico da Tic Motori o Vocali, Disturbo Transitorio da Tic e
Disturbo da Tic Non Altrimenti Specificato.
Le manifestazioni fondamentali del Disturbo di Tourette sono tic motori
multipli e uno o più tic vocali. I tic si manifestano molte volte al giorno, in modo
ricorrente per un periodo di più di 1 anno. Durante questo periodo, non vi è mai
un periodo senza tic che duri più di 3 mesi consecutivi. L’esordio del disturbo
avviene prima dei 18 anni di età. I tic non sono dovuti agli effetti fisiologici diretti
di una sostanza (per es., stimolanti) o di una condizione medica generale (per es.,
malattia di Huntington o encefalite postvirale).
La localizzazione anatomica, il numero, la frequenza, la complessità, e la
gravità dei tic variano nel tempo. Tic motori semplici e complessi possono
riguardare qualunque parte del corpo inclusi la faccia, la testa, il tronco e gli arti
superiori ed inferiori. I tic motori semplici sono contrazioni rapide e senza
significato di uno o di alcuni muscoli, come l’ammiccare. Possono essere presenti
tic motori complessi che comprendono toccare, accovacciarsi, inginocchiarsi
profondamente, passi indietro, e piroette durante la marcia. I tic vocali includono
varie parole o suoni, come schiocchi, grugniti, guaiti, abbai, tirare su col naso,
sbuffi, e colpi di tosse. La coprolalia, un tic vocale complesso che comporta lo
sbottare con parole oscene, è presente soltanto in una piccola minoranza di
soggetti (meno del 10%) e non è un requisito per la diagnosi di Disturbo di
Tourette. In circa la metà dei soggetti affetti dal disturbo, i primi sintomi che
compaiono sono accessi di un singolo tic, più frequentemente ammiccamenti,
meno frequentemente tic che riguardano un’altra parte della faccia o del corpo.
Talvolta questo disturbo inizia con sintomi multipli che insorgono nello stesso
momento.
La caratteristica principale del Disturbo Cronico da Tic Motori o Vocali è la
presenza o di tic motori o di tic vocali, ma non di entrambi, e questa è la
discriminante per distinguerli dal Disturbo di Tourette, in cui devono esserci sia
tic motori multipli che uno o più tic vocali. Le altre caratteristiche del Disturbo
Cronico da Tic Motori o Vocali sono generalmente le stesse del Disturbo di
Tourette, tranne che per la gravità dei sintomi e la compromissione del
funzionamento, che in questo caso sono molto minori.
Il Disturbo Transitorio da Tic è caratterizzato dalla presenza di tic motori
singoli o multipli e/o di tic vocali per almeno 4 settimane, ma non per più di 12
mesi consecutivi. Le altre caratteristiche essenziali sono le stesse del Disturbo di
Tourette.
Il Disturbo da Tic Non Altrimenti Specificato è relativo al disturbo in cui
sono manifestati tic, ma non sono soddisfatti i criteri per un Disturbo da Tic
specifico e che il disturbo duri meno di 4 settimane o tic con esordio dopo i 18
anni di età.
Disturbo d’Ansia di Separazione
Il Disturbo d’Ansia di Separazione è manifestato attraverso un’ansia
eccessiva riguardante la separazione da casa o da coloro a cui il bambino è
attaccato. La presenza della sintomatologia legata al disturbo deve durare almeno
4 settimane, iniziare prima dei 18 anni e causare disagio clinicamente significativo
o compromissione dell’area sociale e/o scolastica.
I bambini con questo disturbo, presentano almeno tre dei comportamenti o
sentimenti e sotto elencati:
− malessere eccessivo ricorrente quando avviene la separazione da casa o dai
principali personaggi di attaccamento o anche solo quando essa è
anticipata col pensiero;
− persistente ed eccessiva preoccupazione riguardo alla perdita dei principali
personaggi di attaccamento, o alla possibilità che accada loro qualche cosa
di dannoso;
− persistente ed eccessiva preoccupazione riguardo al fatto che un evento
spiacevole e imprevisto comporti separazione dai principali personaggi di
attaccamento (per es., essere smarrito o essere rapito);
− persistente riluttanza o rifiuto di andare a scuola o altrove per la paura
della separazione;
− persistente ed eccessiva paura o riluttanza a stare solo o senza i principali
personaggi di attaccamento a casa, oppure senza adulti significativi in altri
ambienti;
− persistente riluttanza o rifiuto di andare a dormire senza avere vicino uno
dei personaggi principali di attaccamento o di dormire fuori casa;
− ripetuti incubi sul tema della separazione;
− ripetute lamentele di sintomi fisici (per es., mal di testa, dolori di stomaco,
nausea o vomito) quando avviene od è anticipata col pensiero la
separazione dai principali personaggi di attaccamento.
Fobia Specifica
La Fobia Specifica è individuata dalla paura marcata e persistente di oggetti
o situazioni chiaramente discernibili e circoscritte. Quando il soggetto è esposto
allo stimolo fobico si assiste quasi invariabilmente un’immediata risposta ansiosa.
Questa risposta può prendere la forma di un Attacco di Panico causato dalla
situazione o sensibile alla situazione.
Una nota estremamente importante è che, mentre gli adolescenti e gli adulti
con questo disturbo riconoscono che questa paura è eccessiva o irragionevole,
questo può non accadere nei bambini. Più spesso lo stimolo fobico viene evitato,
ma talvolta sopportato nel timore. naturalmente si ho definire il disturbo di fobia
specifica, quando l’evitamento, paura o ansia anticipatoria di affrontare lo stimolo
fobico interferiscono significativamente con la routine quotidiana, il
funzionamento scolastico o la vita sociale della persona. Nei soggetti al di sotto
dei 18 anni, i sintomi devono persistere da almeno 6.
Le fobie specifiche rientrano in alcuni sottotipi, che per definizione sono:
Tipo Animali: se la paura viene provocata da animali o insetti. Questo
sottotipo esordisce generalmente nell’infanzia.
Tipo Ambiente Naturale: se la paura viene provocata da elementi
dell’ambiente naturale, come temporali, altezze, acqua. Questo sottotipo esordisce
generalmente nell’infanzia.
Tipo Sangue-Iniezioni-Ferite: se la paura viene provocata dalla vista del
sangue o di una ferita o dal ricevere un’iniezione o altre procedure mediche
invasive.
Tipo Situazionale: se la paura viene provocata da una situazione specifica,
come trasporti pubblici, tunnel, ponti, ascensori, volare, guidare o luoghi chiusi.
Questo sottotipo ha una distribuzione dell’età di esordio bimodale, con un picco
nell’infanzia e un altro picco verso i 25 anni.
Altro Tipo: se la paura viene scatenata da altri stimoli. Questi stimoli
possono includere: la paura o l’evitamento di situazioni che potrebbero portare a
soffocare, vomitare o contrarre una malattia; la fobia dello “spazio” (cioè
l’individuo ha timore di cadere giù se è lontano da muri o altri mezzi di supporto
fisico); e il timore nei bambini dei rumori forti o dei personaggi in maschera.
Fobia Sociale
La caratteristica essenziale della Fobia Sociale è una paura marcata e
persistente che riguarda le situazioni sociali o prestazionali che possono creare
imbarazzo. L’esposizione alla situazione sociale o prestazionale quasi
invariabilmente provoca una risposta ansiosa immediata che può prendere forma
di un Attacco di Panico situazionale o sensibile alla situazione.
Gli adolescenti e gli adulti con questo disturbo riconoscono che la loro
paura è eccessiva o irragionevole, ma questo può non accadere nei bambini. Più
spesso la situazione sociale o prestazionale viene evitata, sebbene venga talvolta
sopportata nel timore.
Il disturbo da fobia sociale si intende appropriato quando l’evitamento, la
paura o l’ansia anticipatoria concernente la situazione sociale o prestazionale
interferiscono significativamente con la routine quotidiana, con il funzionamento
scolastico/lavorativo o con la vita sociale dell’individuo.
Negli individui con meno di 18 anni, i sintomi devono essere stati presenti
per almeno 6 mesi.
Nelle situazioni sociali o prestazionali temute, gli individui con Fobia
Sociale sono preoccupati di rimanere imbarazzati e timorosi che gli altri li
giudichino ansiosi, deboli, “pazzi” o stupidi. Possono temere di parlare in
pubblico per la preoccupazione che gli altri notino il tremore delle mani o della
voce, oppure possono provare ansia estrema quando conversano con gli altri per la
paura di apparire poco chiari. Possono evitare di mangiare, bere o scrivere in
pubblico per timore di rimanere imbarazzati dal fatto che gli altri possano vedere
le loro mani tremare. Gli individui con Fobia Sociale quasi sempre provano
sintomi di ansia (per es., palpitazioni, tremori, sudorazione, malessere
gastrointestinale, diarrea, tensione muscolare, arrossamento del viso, confusione)
nelle situazioni sociali temute, e nei casi gravi questi sintomi possono arrivare ad
un Attacco di Panico. L’arrossire può essere più tipico della Fobia Sociale.
Disturbo Ossessivo-Compulsivo
Il Disturbo Ossessivo-Compulsivo è definito da sono ossessioni o
compulsioni ricorrenti, sufficientemente gravi da far impiegare tempo o da
causare disagio marcato o menomazione significativa. La persona generalmente
riconosce che le ossessioni o le compulsioni sono eccessive o irragionevoli, ma
questo può non avvenire nel caso di bambini.
Le ossessioni sono idee, pensieri, impulsi o immagini persistenti, sono
vissute come intrusive e inappropriate, e causano ansia o disagio marcati.
Le ossessioni più frequenti sono pensieri ripetitivi di contaminazione (per
es., essere contaminati quando si stringe la mano a qualcuno), dubbi ripetitivi (per
es., chiedersi se si è lasciata la porta aperta o se ci si è comportati in modo tale da
causare delle lesioni a qualcuno guidando), la necessità di avere le cose in un certo
ordine (per es., disagio intenso quando gli oggetti sono in disordine o
asimmetrici), impulsi aggressivi o terrifici (per es., aggredire un figlio o gridare
oscenità in chiesa) e fantasie sessuali (per es., ricorrenti immagini pornografiche).
I pensieri, impulsi o immagini non sono semplicemente preoccupazioni
eccessive riguardanti problemi reali della vita (per es., preoccupazioni per
difficoltà attuali nella vita, tipo problemi finanziari, lavorativi o scolastici) ed è
improbabile che siano correlati a reali problemi della vita.
Le compulsioni sono comportamenti ripetitivi (cioè lavarsi le mani,
riordinare, controllare) o azioni mentali (per es., pregare, contare, ripetere
mentalmente delle parole) il cui obbiettivo è quello di prevenire o ridurre l’ansia o
il disagio. Nella maggior parte dei casi, la persona si sente spinta a mettere in atto
la compulsione per ridurre il disagio che accompagna un’ossessione o per
prevenire qualche evento o situazione temuti.
Per definizione le compulsioni sono chiaramente eccessive e non connesse
in un modo realistico con ciò che sono designate a neutralizzare o prevenire.
Mutismo Selettivo
La caratteristica fondamentale del Mutismo Selettivo è la persistente
incapacità di parlare in situazioni sociali specifiche (per es., a scuola, coi
compagni di gioco) e quando ci si aspetta che il bambino parli, mentre in altre
situazioni parlare risulta possibile. L’anomalia interferisce con i risultati scolastici
o lavorativi o con la comunicazione sociale.
IL Mutismo deve durare per almeno 1 mese e non è limitata al primo mese
di scuola (durante il quale molti bambini possono essere timidi e riluttanti a
parlare). Invece di comunicare con una normale verbalizzazione, i bambini affetti
da questo disturbo possono comunicare con gesti, annuendo o scuotendo il capo in
segno di diniego, o spingendo o tirando l’interlocutore, o, in alcuni casi, con
emissioni di suoni monosillabici, corti, o monotoni, o con una voce alterata.
Se l’incapacità di parlare del soggetto è dovuta solo al fatto che non conosce
o non è a proprio agio col modo di parlare richiesto in una data situazione sociale
non abbiamo Mutismo Selettivo. Allo stesso modo non è possibile definire il
disturbo se l’anomalia è meglio attribuibile all’imbarazzo relativo all’essere affetti
da un Disturbo della Comunicazione (per es., Balbuzie) o se si manifesta
esclusivamente durante un Disturbo Pervasivo dello Sviluppo, Schizofrenia, o un
altro Disturbo Psicotico.
Le manifestazioni associate al Mutismo Selettivo possono includere
eccessiva timidezza, timore di imbarazzo sociale, isolamento sociale e ritiro,
appiccicosità, tratti compulsivi, negativismo, accessi di collera, comportamenti di
controllo oppure oppositivi, specie a casa.
Può esservi grave compromissione del funzionamento sociale e scolastico.
Disturbi d’Ansia (specie Fobia Sociale), Ritardo Mentale, ospedalizzazione
o gravissimi fattori psicosociali stressanti possono essere associati al disturbo.
Inoltre, in ambienti clinici i bambini con Mutismo Selettivo quasi sempre
ricevono una diagnosi aggiuntiva di un Disturbo d’Ansia, in particolare di Fobia
Sociale.
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