Massimo Botti con Elena Dacrema Sasso Carta Forbice RIMEDI STRATEGICI AD USO DI GENITORI ED INSEGNANTI ALLE PRESE CON RAGAZZI DIFFICILI Prefazione Giorgio Nardone Prefazione Indice Avvertenza Introduzione Voglio, ma non posso: “il ticcoso” Cap. 1 - Autoinganni e realtà 1.1 La costruzione della realtà 1.2 Logica strategica 1.3 Il concetto di Tentata Soluzione (T.S.) 1.4 Cambiare per conoscere 1.5 La costruzione degli interventi 1.6 Terapia Strategica e intervento indiretto con genitori e insegnanti Cap. 2 - Ambiti di applicazione del Manuale 2.1 3 - 5 anni: l’ingresso nel mondo 2.2 6 - 10 anni: l’età scolare 2.3 11 - 14 anni: il pensare che gli altri pensino… 2.4 Tipologie di problemi 2.5 Problemi nella fascia d’età 3 - 5 anni 2.6 Problemi nella fascia d’età 6 - 10 anni 2.7 Problemi nella fascia d’età 11 - 14 anni Cap. 3 - Le Tentate Soluzioni 3.1 Comuni Tentate Soluzioni 3.2 Le T. S. specifiche per Disturbo d’Ansia di Separazione e dormire nel lettone 3.3 Le T. S. specifiche per Mutismo Selettivo 3.4 Le T. S. specifiche per Disturbi da Deficit di Attenzione/Iperattività 3.5 Le T. S. specifiche per Disturbo Oppositivo Provocatorio e classe indisciplinata 3.6 Le T. S. specifiche per Disturbo della Condotta 3.7 Le T. S. specifiche per Tricotillomania, Disturbi da Tic, Disturbo Ossessivo-Compulsivo 3.8 Le T. S. specifiche per Fobia Specifica, Fobia Sociale (Fobia scolare, lamentele su insegnanti e compiti, scarso rendimento scolastico e pignoleria) Cap. 4 - Manovre Terapeutico/educative Introduzione 4.1 Come peggiorare 4.2 La ristrutturazione 4.2.1 La ristrutturazione con connotazione positiva 4.3 Uso di paradossi, aneddoti, metafore 4.4 Le prescrizioni di comportamento 4.5 Dichiarazione d’impotenza e premio disorientante 4.6 Frustrazione del sintomo e “irragionevolezza” Cap. 5 - L’applicazione dell’intervento strategico 5.1 Sblocco nella fascia d’età 3 - 5 anni 5.2 Esempi di casi A scuola mi denigrano! … Un caso di Mutismo funzionale Mio figlio ha dei Tic Il piacere di dormire nel lettone 5.3 Sblocco nella fascia d’età 6 - 10 anni 5.4 Esempi di casi Comando io. E il re è nudo! Gli altri hanno l’orsacchiotto? Io ho l’orso! Un caso di lutto E’ pigra e con DSA. Non c’è nulla da fare! Io sono grande Pre-occupazioni genitoriali 5.5 Sblocco nella fascia d’età 11 - 14 anni 5.6 Esempi di casi Lo sfaticato con probabile deficit d’intelligenza Fobia scolastica. Un caso di paranoia Ad ogni pensiero un capello Trauma e Fobia specifica Asfal-ta-to! “Mi fa fastidio” Epilogo DSA o NON-DSA? − cosa sono i DSA e i NON-DSA − Come si accerta un DSA − Quanto sono i DSA? Esempi di DSA che non sono DSA La manipolatrice La paura di sbagliare L’aiuto inutile “Ci vedo!” Ringraziamento Appendice Disturbi da Deficit di Attenzione/Iperattività Disturbo Oppositivo Provocatorio Disturbo della Condotta Tricotillomania Disturbi da Tic Disturbo d’Ansia di Separazione Fobia Specifica Fobia Sociale Disturbo Ossessivo-Compulsivo Mutismo Selettivo Bibliografia “Necessità, da nessuna parte. Possibilità dappertutto” (L. Febvre) Capitolo 3 Le Tentate Soluzioni Nell’esposizione delle Tentate Soluzioni, sia comuni sia specifiche relative al disturbo specificato, è stata data rilevanza alle tipiche soluzioni ridondanti inventariate in dodici anni di attività di ricerca sul campo. Non si esclude che possano essere realizzate altre manovre più o meno creative, ma - a ben guardare se il problema non si risolve è necessario adottare le manovre illustrate nel presente testo. 3.1 Comuni Tentate Soluzioni In questo ambito ritroviamo le classiche soluzioni buone per tutti gli usi e che si sommano a quelle specifiche dettagliate successivamente. Sia sempre chiaro: poste in atto con le migliori intenzioni! Sono chiamate da Watzlawick: la ricetta dell'ancora lo stesso1. “Queste soluzioni s’ispirano a semplici regole. Primo: esiste un'unica soluzione possibile, consentita, ragionevole, sensata e logica del problema, e se questi sforzi non hanno ancora avuto successo, questo prova soltanto che non ci si è ancora sufficientemente applicati a essa. Secondo: la supposizione che esista solo quest'unica soluzione non può mai in quanto tale essere messa in discussione; prove di verifica possono essere fatte solo relativamente alla sua applicazione, che, se non dà frutti, rimanda alla prima regola!” Nella serie di problemi legati alla difficoltà del distacco dalle figure genitoriali e - per converso - ad una difficile socializzazione con coetanei e adulti di riferimento, le comuni Tentate Soluzioni fanno riferimento prevalentemente alla rassicurazione, alle richieste di collaborazione e d’espressione; sforzi enormi da parte di insegnanti e genitori – sotto il profilo emotivo – di entrare in empatia con il bambino, coccolarlo, attenderlo nei “suoi tempi”, proteggerlo ecc., così da accogliere e sostenere il bambino in un passaggio così delicato visto che gli provoca la chiusura o il timore degli altri. In realtà il concetto di empatia è oggigiorno travisato dall’insegnamento spicciolo del “mettersi nei panni dell’altro” che crea enorme confusione e danni indicibili. L’empatia (concetto derivato niente poco di meno da Melanie Klein, psicoanalista geniale e sistematizzatrice del pensiero freudiano in psicoanalisi infantile), ha lo scopo di poter accedere, in fantasia, all’esperienza dell’altro quale strumento per curare, 1 Watzlawick P., (1984), Istruzioni per rendersi infelici, G. Feltrinelli Editore, Milano guidare verso la soluzione dei problemi e non - semplicemente - immaginare per “sentire” e amplificare il disagio2 interrogandosi e aumentando il disagio stesso. Tali modalità di accudimento finiscono per lo più per concretizzarsi in una relazione inadeguata per l’età del bambino che viene a trovarsi nella condizione di essere trattato come un bambino più piccolo della sua età, con anche i privilegi che da tale trattamento conseguono. Gli sforzi degli insegnanti, ma soprattutto dei genitori, si concentrano sul fatto che “Non c’è da aver paura” all’ingresso a scuola o prima di lasciarlo a casa di un’amico/a; salvo poi accogliere con apprensione il bambino all’uscita da scuola con “Com’è andata oggi?”. Come se il bambino fosse scampato ad una tragedia e fosse riuscito a tornare fra le braccia della mamma! All’opposto, o in alternanza alle prime, si assiste all’irrigidimento nell’imposizione del “Piantala!”. Si tenta di porre fine alle insicurezze e paure dicendo al bambino di smetterla di fare in tal modo, che deve diventare grande, che non si può andare avanti così ecc. Tutte queste Tentate Soluzioni sono messe in atto anche nei casi di opposizione e difficile controllo degli impulsi. Oltre a ciò però gli adulti intervengono anche con ramanzine, spiegazioni razionali su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, come comportarsi uguale agli altri. Comune a tutti i problemi è sempre la ricerca della causa che inevitabilmente - se non bloccata - trova sempre un colpevole nell’amichetto perfido, nel mondo ingiusto, nella maestra “strega” o nel genitore incompetente ecc. Dipende da chi è l’investigatore! Dove la motivazione essenziale portata del bambino è la paura, si registrano le Tentate Soluzioni viste precedentemente orientate alla rassicurazione, alle richieste di “provarci”, alla spiegazione dei comportamenti corretti Con l’ingresso a scuola si verifica forse la più deleteria forma di aiuto/nonaiuto che il bambino possa sperimentare: indulgere oltre-modo nei tempi di apprendimento o nella performance scolastica, nella speranza che il tempo e l’accettazione incondizionata aggiustino tutto. Tutto ciò porta troppo frequentemente i bambini in III o IV Primaria ad uno stato di bagaglio nozionistico e di performance (grafia, espressione del proprio pensiero, lettura) eccessivamente deficitario con la conseguente soluzione di ipotizzare un deficit di intelligenza o un presunto DSA. Una nefasta profezia che si autoavvera quando il bambino in I Primaria è definito pigro, non essendo invece altro che il logico completamento dell’idea che debba essere assecondato ecc. portandolo a godere di privilegi che però lo mantengono ad uno stato inferiore di preparazione. In caso di Dubbio o insicurezza cronica o quando il bambino tenta di sostenere le sue insicurezze avventurandosi in bugie, gli adulti tentano di sbugiardarlo giungendo alla verità sconfessandolo e ottenendo invece una difesa più agguerrita delle posizioni del bambino. 2 Hinshelwood R.D., (1990), Dizionario di psicoanalisi kleiniana, R. Cortina Editore, Milano Nella pedanteria cerano di rassicurarlo, consigliarlo o ascoltarlo nelle sue “filippiche” che mascherano in realtà insicurezza sul da farsi. In tutti i casi si mantiene il problema strutturandolo sempre di più. Nei casi di litigio sistematico fra fratelli o sorelle, anche per ogni banale motivazione, i genitori si prodigano per stimolare discussioni costruttive, far riappacificare e razionalizzare sul fatto che litigare è sbagliato. Questo anche con bambini più piccoli. Falliti i tentativi con notevole frustrazione da entrambe le parti, che legittimamente sostengono le loro buone ragioni, generalmente si pone fine alla disputa dicendo: “Non fatelo più!”. Altre volte invece si va alla ricerca del colpevole (di turno) cimentandosi in un contraddittorio investigativo che farebbe invidia a Sherlock Holmes; trovato il colpevole si passa alla giusta punizione con sommo gaudio della parte offesa che otterrà anche l’asservimento involontario del genitore il quale, se dal proprio punto di vista si è fatto giudice, dal punto di vista della parte offesa è alleato! Ovviamente questo modo di procedere non fa altro che maturare precedenti con cui i contendenti sosterranno le loro buone ragioni future innescando così una faida senza fine. Una menzione a parte riguarda la Tentata Soluzione della condivisione del problema. Di fronte e innumerevoli problemi, una soluzione inefficace ridondante è il parlarne: parlarne con amici, colleghi, fra genitori nei pressi della scuola o - de profundis - fra coloro che condividono lo stesso problema da più tempo, irrisolto, e si interrogano sulle cause scoprendone sempre di nuove e riflettendoci sopra con sempre maggior impegno e profondità. Parlare su un problema non è mai servito a risolverlo, interrogandosi sulle cause si ritorna alla famosa ricerca del “perché” e si ricade sempre più nel passato che, inevitabilmente, non possiamo cambiare. Nel frattempo il tempo passa, il problema resta e si fossilizza; e le Tentate Soluzioni restano quelle di prima. Per ogni problema che incontra l’essere umano vale l’imperativo di H. von Foerster: “Se vuoi vedere, impara ad agire”. Solo una modifica sostanziale del sistema potrà permetterne la valutazione e da lì la direzione da seguire per il superamento del problema; a problema superato la soluzione darà essa stessa la spiegazione di come il problema funzionava. 3.2 Le T.S. specifiche per Disturbo d’Ansia di Separazione e dormire nel lettone Il Disturbo d’Ansia di Separazione presenta una maggiore incidenza nella Scuola d’Infanzia e nei primi anni della Scuola Primaria. Il comportamento può essere, specie all’inizio, attribuito a caratteristiche del bambino quali la timidezza, la necessità di conoscere l’ambiente e i compagni di scuola, l’adeguamento alle modalità di relazione con l’insegnante ecc.; in ogni caso difficilmente all’esordio della sintomatologia è riconosciuto quale disturbo. Altro elemento che gioca a favore del mancato riconoscimento del disturbo, risiede nelle giustificazioni genitoriali riconducibili al fatto che papà o mamma erano così anche loro da bambini. La ricerca delle cause spazia dall’ambiente scolastico che contempla l’insegnante “troppo rigida”, alle materie troppo difficili o ai compagni inadeguati per l’età, il contesto o alle amicizie inadeguate. Nel caso della relazione scuolafamiglia (ma vale anche per la relazione famiglia-famiglia), si può creare così una situazione molto tesa dove, se all’inizio abbiamo un’alleanza d’intenti per aiutare il bambino nella sua problematica, talvolta può sfociare in accuse alla scuola, alla famiglia o fra genitori, di incapacità a ben gestire il bambino o di eccessivo rigore. In ogni caso si cerca un colpevole del comportamento “reattivo”. Nei casi più gravi, ossia in presenza di totale chiusura da parte del bambino, si giunge anche all’interessamento dei servizi sociali o dell’ASL dove, generalmente, si ripete la ricerca delle cause di tale comportamento. A seguito di mal di pancia o di testa o altri malesseri fisici del bambino, i genitori pongono in atto una serie di accertamenti sanitari che - peraltro correttamente - disconfermano ogni malattia o problema organico. È inteso che il bambino possa effettivamente avvertire tale sintomatologia, ma quale riflesso dell’ansia somatizzata e strumentale all’evitamento della percezione dello stimolo ansiogeno. Cionondimeno quando i genitori hanno fatto passare come il riso il figlio, si giunge alla conclusione che è un problema d’ansia, e scattano le soluzioni viste prima. Una soluzione all’ansia di separazione, stavolta messa in atto dal bambino, è andare a dormire nel lettone. E qui iniziano le manovre per farlo dormire nel suo lettino: racconti infiniti di favole, aspettare oltremodo che il bimbo si addormenti e, dopo varie peripezie nel tentativo di razionalizzare che non c’è da aver paura, che non esistono i fantasmi, che il buio non fa paura e dopo crisi di pianto del figlio… riportarlo nel lettone. Particolarmente deleteria è la soluzione in cui un genitore dorme nel letto del figlio nella speranza che il figlio stesso si abitui. In effetti si abitueranno: il figlio a dormire col genitore, l’altro genitore a dormire da solo; i genitori si abitueranno a ridurre le occasioni di dialogo prima dell’addormentamento con notevole riduzione dell’intimità di coppia ecc. 3.3 Le T.S. specifiche per Mutismo Selettivo In questo disturbo, in cui abbiamo la selezione della circostanza in cui il bambino evita di parlare, assistiamo ad un’escalation di potere del bambino sugli adulti e - in modo complementare - ad un adeguamento verso il basso e verso la semplificazione del linguaggio dell’adulto. Quando il bambino non parla, pur avendone le capacità, l’adulto tenta generalmente di indovinare il pensiero del bambino, tenta di completare le frasi non dette e di incoraggiarlo a dire ciò che pensa; come se per il bambino fosse facile dire: «Ti devi sottomettere e facilitarmi la comunicazione!» In classe si pongono i bambini “muti” vicino a “volenterosi” che aiutano e intercedono per loro interpretandone il pensiero. In casa si assiste ad una premura ed un anticipo sistematico delle esigenze del bambino del tipo “Vuoi bere?” - “Ti serve ...?” - “Hai bisogno …?” alternato spesso a scoppi d’ira dell’adulto che gli ordina di parlare. In buona sostanza il bambino ottiene quanto di cui ha bisogno, e anche di più se consideriamo l’attenzione, senza dover formulare frasi, coniugare verbi, esporsi in pubblico ecc. Dal suo punto di vista un potere enorme, senza bisogno di parlare! Altra soluzione che talvolta è posta in essere riguarda il portare il bambino dal logopedista nella speranza che lo specialista possa farlo parlare; in effetti può anche riuscirvi visto che non è un problema fonologico o logopedico. Il problema resta dove il bambino decide di non parlare. Naturalmente anche in questo caso gli adulti ricorrono a quelle rassicurazioni ed indagini che abbiamo visto nelle comuni Tentate Soluzioni arrivando persino a ipotizzare, e magari confermare, gravi traumi subiti dal bambino. A questo punto inizia una sistematica riorganizzazione delle attività a casa o a scuola. Neanche da dire che ciò rappresenta l’apoteosi per il bambino muto che vede modificarsi il mondo attorno a sé per rispondere meglio alle sue esigenze, traendone così vantaggi a cui magari neanche aveva pensato. 3.4 Le T.S. per Disturbi da Deficit di Attenzione/Iperattività Generalmente l’individuazione del disturbo avviene a scuola. Quando invece tale disturbo è già stato individuato a casa, le Tentate Soluzioni non differiscono comunque da quelle utilizzate a scuola; sostanzialmente sono configurabili come repressione dell’iperattività e richieste d’attenzione, richieste di portare a termine giochi, attività ecc., eventualmente sino alla punizione se il bambino non esegue. L’esemplificazione della gestione infruttuosa dell’alunno in classe, permette di illustrare meglio le varie Tentate Soluzioni. Quando in una classe l'allievo manifesta alcuni dei comportamenti descritti per l'individuazione del disturbo da deficit di attenzione e iperattività, l'insegnante cerca di riportare l'alunno all'interno delle normali norme di gestione della didattica e della convivenza gruppale. Quando il bambino attua il comportamento sintomatico in classe, l'insegnante, almeno in prima battuta, interviene sul comportamento disturbante con richiami e spiegazioni razionali sull'importanza di “stare attento”, “non disturbare” ecc.. Solitamente questo è l'inizio di un escalation caratterizzata dall'aumento dell'intensità dei richiami e dei rimproveri all'alunno per il suo comportamento che non tende a cessare o a rientrare nella norma della classe. L'insegnante quindi richiama sempre più spesso l'allievo, focalizza la sua attenzione alla ricerca dei minimi comportamenti inadeguati per sanzionarli dando luogo così ad un assorbimento dell'attenzione dell'insegnante verso l'allievo. Eventualmente, oltre all'aumento dell'attenzione dell'insegnante per la correzione del comportamento disturbante, l'insegnante cerca di coinvolgere il bambino in attività di gruppo con i compagni sperando di trovare momenti per poter gratificare l'alunno allorquando pone in essere dei comportamenti adeguati. In questa fase quindi, spinta dalle migliori intenzioni, l'insegnante dedica ancora maggiore attenzione all'allievo che, da un lato purtroppo sperimenterà la frustrazione per non riuscire a portare a termine l’attività e, dall’altro lato, ottiene un importante vantaggio secondario: l’attenzione per l’appunto. Con vantaggio secondario si intende un beneficio che l'individuo ottiene direttamente o indirettamente dai suoi sintomi autoalimentando così i sintomi stessi che in definitiva gli procurano il vantaggio (Darley et al., 1993). Quando l'insegnante vede il fallimento dei propri intenti iniziali con i richiami e il coinvolgimento dell'alunno, il passaggio successivo arriva alle punizioni mediante le note comunicate ai genitori, sul registro ed i caratteristici castighi ivi compresi i compiti di punizione. Talvolta si assiste anche ai tentativi di ignorare i comportamenti problematici. Sebbene in linea teorica tale manovra dovrebbe portare all'estinzione del comportamento problematico poiché si toglie l'attenzione al soggetto, questo tentativo fallisce sistematicamente; in primo luogo poiché per l'insegnante risulta impossibile ignorare sistematicamente ed in modo assoluto l'alunno ed in secondo luogo l'alunno pone in atto un'intensità sempre maggiore di comportamento-problema che porta i compagni e/o l'insegnante all'intervento. Attraverso quindi questa Tentata Soluzione si giunge all'esacerbazione del disturbo che assume dimensioni ed intensità sempre maggiori. Quando a scuola sono state adottate tutte queste modalità infruttuose, si passa alla categoria di Tentate Soluzioni ulteriori che vede il coinvolgimento dei genitori. Dapprima l'insegnante richiede l'intervento dei genitori per la correzione del comportamento del figlio e generalmente in questo caso i genitori, oltre alle varie raccomandazioni al figlio prima dell'entrata a scuola, quando sono a casa pongono in atto le stesse manovre repressive, di richiamo e punitive, che erano state messe in atto a scuola senza successo. Raggiunto l'insuccesso anche con questa manovra si giunge alla creazione del caso con l'interessamento della neuropsichiatria o dei servizi sociali. A questo punto si apre la necessaria etichettatura del disturbo e, come logica conseguenza, la ricerca della colpa di ciò che ha causato il disturbo. Riassumendo quindi il bambino si troverà a scuola costantemente monitorato; a casa con i propri genitori, sottoposto a richieste di cessazione del suo comportamento disadattivo e studiato dagli operatori sanitari o sociali che etichettandolo - lui li conferma mettendo in atto proprio quei comportamenti che loro si aspettano. 3.5 Le T.S. specifiche per Disturbo Oppositivo Provocatorio e classe indisciplinata Nel caso del Disturbo Oppositivo Provocatorio, il bambino presenta modalità comportamentali e d’atteggiamento prevalentemente orientate verso la sfida dell'adulto significativo. Le Tentate Soluzioni attuate, generalmente rientrano in una decisa richiesta di adeguamento all’autorità. La relazione che si viene ad instaurare è caratterizzata dalla simmetria. Con tale termine intendiamo specificare che i comportamenti posti in essere dal bambino e dall’adulto sono considerati dagli stessi protagonisti come simili, in modo tale, all'aumentare di intensità del comportamento di uno corrisponde un altrettanto aumento di intensità dello stesso comportamento da parte dell'altro. Un esempio concreto di tale simmetria è la richiesta, da parte dell'insegnante, dell'esecuzione di una determinata consegna a carico dell'allievo; questi, dal canto suo, assume un atteggiamento dichiaratamente di sfida rispondendo con un “No”, oppure finge di non aver sentito. Allora l'insegnante spiega razionalmente la definizione dei ruoli gerarchici e l'importanza dell'esecuzione del compito assegnato all'alunno per passare successivamente, a seguito di ulteriori rifiuti, a rimproveri relativi al comportamento impertinente. Se anche tali manovre non sortiscono l'adeguamento alla norma, l'insegnante entra in escalation arrivando alle punizioni accentuando così i comportamenti oppositivi e provocatori dello studente. La stessa escalation si può osservare anche in casa, eventualmente dopo un periodo del tipo: “Poi passa …”. Sia nel caso della scuola, sia in casa, quando sono falliti tutti i tentativi, si apre la strada dell’intervento della struttura specialistica dell’ASL. Nel caso della classe indisciplinata, ossia un comportamento oppositivoprovocatorio gruppale, sostanzialmente ci troviamo di fronte ad una classe dove una nutrita schiera di bambini e/o i fanciulli non osserva le regole - o meglio le infrange poiché le conosce bene - del buon andamento della lezione. Interrompono facendo domande anche non pertinenti, chiacchierano fra loro, frammentano le lezioni ecc. Gli insegnanti in tali situazioni tendono ad un’escalation simmetrica con gli alunni; si parte dalla normale spiegazione di come è giusto comportarsi che, se non sortisce effetto dà luogo alla progressione caratterizzata da: richiamo gentile siano ad arrivare a maggior fermezza per poi passare alle note a diario e successivamente alle note a registro sino a convocare i genitori. Ossia la stessa soluzione, redarguire e punire, che se non ha funzionato all’inizio può solo peggiorare irrigidendo anche la posizione dell’alunno che raccoglierà la sfida. E la vincerà! Poiché la classe si può permettere ciò che per l’insegnante è vietato, e quindi è una lotta impari. Inoltre l’obiettivo è diverso per insegnante e alunno: l’insegnante vuole insegnare in un clima adeguato e ottenere il profitto degli allievi; la classe vuole ottenere lo “sclero” dell’insegnante che conferma la sua debolezza e, per converso, il potere della classe. Le cose poi si complicano ulteriormente se si verifica la situazione dove i genitori sono alleati degli alunni, i quali sanno ben gestire le comunicazioni e le proprie inoppugnabili discolpe. Si giunge in talune situazioni a vere e proprie crociate contro l’insegnante, contro una scuola che pretende troppo o contro l’unico bambino veramente maleducato della classe che istiga gli altri. Comunque sia una situazione disdicevole dove la ricerca del colpevole è sempre in casa dell’altro! 3.6 Le T.S. specifiche per Disturbo della Condotta Per quanto attiene ai comportamenti riconducibili al Disturbo della Condotta (condotte aggressive verso oggetti, comportamenti iperattivi connotati da violenza) assistiamo ad una esacerbazione, per assonanza, del disturbo da deficit di attenzione iperattività unito al disturbo oppositivo provocatorio. Naturalmente il disturbo della condotta ha una natura sua propria, ma all'interno del quadro comportamentale osservabile a scuola e a casa si osservano significative similitudini caratterizzate da una intensità e sfrontatezza maggiori, sino a giungere ai veri e propri atti di vandalismo e violazioni di regole. L’adulto, può assumere atteggiamenti che rientrano in due categorie specifiche. La prima categoria riconosce tutti quei comportamenti dell’adulto orientati alla rieducazione, all'accettazione incondizionata ed all'accoglienza del bambino disturbato nella speranza che, sentendosi accettato in toto, cambi il suo modo di comportarsi a fronte dell'amore ricevuto da un adulto importante. Sempre più spesso si nota un atteggiamento di “ascolto sincero” da parte dell’adulto relativamente alle spiegazioni dei comportamenti disadattivi del ragazzo, nella speranza (solo dell’adulto!) che si arrivi ad una sorta di progetto comune sulla rieducazione del ragazzo stesso. Oltre al fatto che tale atteggiamento è fortemente ambivalente, è anche incoerente come ipotesi, infatti: come può darsi che un ragazzo pensi di modificare il proprio comportamento se la descrizione stessa del comportamento suscita un così vivo interesse e condivisione? L’accettazione piena e incondizionata delle motivazioni del ragazzo, dei suoi comportamenti e modalità di relazione disfunzionali non può che avvalorare il comportamento stesso e perciò non si dà nessuna motivazione affinché il ragazzo pensi di condividere un progetto di cambiamento - disconfermandosi - per accettare quanto invece è desiderato dall’adulto che rappresenta - per il ragazzo il soggetto da battere. Il tutto è molto più semplicemente spiegato metaforicamente pensando alla favola del rospo e la fanciulla: nella favola il rospo baciato dalla fanciulla diviene un principe. Nella favola. Nella realtà, se un rospo viene baciato, non troverà nessun motivo per diventare un principe; piace così com’è! Nella seconda categoria rientrano tutte quelle manovre tese a far rispettare in modo inflessibile le regole al bambino “maleducato”. Si passa così ai rimproveri ed alle punizioni per l'orario di arrivo a scuola, le lungaggini per uscire di casa, il comportamento in luoghi pubblici (ristoranti ecc.), il danneggiamento del materiale scolastico, i litigi che l'alunno talvolta si procura ecc., arrivando così ad un inasprimento delle sanzioni e ad un irrigidimento del ruolo autoritario rivestito dall'insegnante o dal genitore. 3.7 Le T.S. specifiche per Tricotillomania, Disturbi da Tic, Disturbo Ossessivo-Compulsivo Nelle fattispecie per Tricotillomania, quando l’adulto si accorge che il bambino si “gratta” continuamente il capo o palesemente si strappa i capelli, tende ad intervenire attraverso una modalità caratterizzata da dolcezza e comprensione e cercando di individuare quali possono essere i motivi scatenanti di un simile comportamento per porvi rimedio allorquando si suppone che possa essere l'ambiente o la situazione ad indurlo. Inizia così, con le migliori intenzioni, un’accurata anamnesi sui più svariati fattori di disturbo che potrebbero intervenire. La cosa tristemente ironica è che a casa si investiga su scuola, relazioni con compagni/amici, con insegnanti (o materie insegnate), simpatie o antipatie all'interno della classe ecc., mentre a scuola si investiga sulla relazione con i genitori, su possibili maltrattamenti o abbandono del minore, su conflitti col fratello maggiore o minore o nascituro. L’adulto di riferimento generalmente cerca di bloccare tale comportamento adottando vari stratagemmi fra cui: tenerlo impegnato a scrivere, tenendogli le mani impegnate, richiamandolo allorquando tenta di grattarsi o strapparsi i capelli e cercando di spiegargli che così facendo si procura danno, ma non risolverà alcun problema reale. Nei Disturbi da Tic osserviamo lo stesso iter esposto sopra unito ad un più deciso intervento di contenimento del comportamento ticcoso assieme alla spiegazione al bambino di cercare di controllarsi ed evitare il comportamento, magari disturbante in classe; classicamente la soluzione è ricondotta a: «Cerca di non farlo» e «Trattieniti». Molto spesso è posto in atto anche il tentativo di ignorare il comportamento di corso, ma inesorabilmente tale buon proposito è sistematicamente infranto. Altra soluzione è quando i tic sono spiegati sulla base che anche un genitore da piccolo li aveva e quindi deve essere genetico. Si noti che non esiste base genetica accertata per i Disturbi da Tic. Nella gestione del Disturbo Ossessivo-Compulsivo si verifica il medesimo copione di T.S. risolutorie già viste per i precedenti. In questo caso, dopo l’iniziale osservazione dei comportamenti e dei rituali che pone in atto il bambino, gli adulti di riferimento iniziano a cercare di limitare i rituali chiedendo prima, e ingiungendo poi, di smetterla, di trattenersi e di evitare di farli. A seguito dei primi fallimenti s’innesca l’indagine sul perché e sulle possibili cause esterne e interne di tale disturbo; si passano in rassegna quindi tutte le possibili fonti d’ansia già viste nelle precedenti soluzioni: genitori, scuola, amici, compiti ecc. per arrivare infine a ipotizzare la sempreverde causa genetica. Per tutti e tre i disturbi, un'altra Tentata Soluzione cui spesso si assiste è quella riassunta nella frase “Poi con il tempo passa” o, peggio ancora, “Speriamo che diventando grande …”. Come ad individuare il tempo quale personificazione di un qualche terapeuta che decide lui quando è il momento di ristabilire una situazione in assenza di disturbo. 3.8 Le T.S. specifiche per Fobia Specifica, Fobia Sociale (fobia scolare, lamentele su insegnanti e compiti, scarso rendimento scolastico e pignoleria) I problemi rientranti in fobia scolare, lamentele su insegnanti e compiti e pignoleria richiede una precisazione essenziale. Troppo spesso si assiste a processi alla scuola nel caso il bambino manifesti “paura” della scuola. Si va alla ricerca del compito eccessivo, dell’insegnante malvagio o del compagno bullo. Non escludendo che tali situazioni possano verificarsi, saremmo in presenza di trauma e non di fobia scolare! Quando si parla di fobia scolare si procede sempre alla ricerca del colpevole della paura del bambino; in sé il procedimento è errato sotto il profilo logico. Infatti, esemplificando: se in una classe di 20 alunni uno ha fobia scolare (rifiutandosi di andare a scuola, facendosi andare a prendere a metà lezione per il mal di pancia ecc.) è giocoforza giungere alla conclusione che è il bambino a nutrire una percezione errata della situazione, altrimenti tutti e 20 gli alunni dovrebbero manifestare gli stessi sintomi e problema! Spesso, per confermare che esiste il mostro a scuola, si assiste al discorso secondo cui “I bambini non sono tutti uguali”, ciò al fine di indurre una modifica nella gestione didattica o della classe. Ma proprio in virtù di tale ragionamento il bambino palesa il problema che altri invece non hanno. Un grande fraintendimento nasce però anche dalla descrizione del disturbo nel DSM IV-TR; infatti relativamente alla fobia sociale (da cui è desunta la fobia scolare) il Manuale cita: “L’esposizione alla situazione temuta quasi invariabilmente provoca l’ansia, […] causato dalla situazione o sensibile alla situazione. Nei bambini, l’ansia può essere espressa piangendo, con scoppi di ira, con l’irrigidimento, o con l’evitamento delle situazioni sociali con persone non familiari”. In forza di una tale interpretazione si aprono le porte alla infruttuosa e paranoica ricerca del malfattore che provoca paura nel bimbo. Ma se analizziamo la pignoleria nella descrizione della paura relativamente alle ingiustizie che vivono i bambini e le lamentele su insegnanti, compiti o scuola in generale, osserviamo che il bambino si lamenta colpevolizzando. Il bambino manifesta la sua ostilità verso la scuola ecc. asserendo che l’insegnante lo tratta diversamente, la bidella lo guarda male, che il compito è difficile, che i compagni gli sono antipatici, che le verifiche sono facili per gli altri e per lui sempre difficili, i compiti sono troppi e non ha tempo per giocare. In altre parole: la scuola non è come la vorrebbe. Le Tentate Soluzioni generalmente sono la ricerca del colpevole come detto poc’anzi, la rassicurazione ecc. come già più volte illustrato nei casi in cui il bambino ha paura, ma in questo caso la Tentata Soluzione conferma purtroppo la percezione ostile del bambino verso la scuola. Quando poi anche l’insegnante muta il suo atteggiamento per favorire il bambino si ottiene l’effetto diabolico di confermare la rabbia-paura del bambino e l’insegnante stesso disconferma il suo precedente atteggiamento. Oltre, quale effetto pernicioso, a dare seguito alle lamentele del bambino e coltivare inconsapevolmente il potere del bambino sugli adulti. Per ciò che attiene a fobie specifiche, ad esempio animali, le Tentate Soluzioni sono sempre nell’area della rassicurazione unita alla protezione del minore fobico dinnanzi allo stimolo che gli provoca paura. Una sorta di doppio messaggio dove da un lato l’adulto tenta di far capire al bambino che non c’è da aver paura, ma contemporaneamente lo protegge e pertanto conferma la paura. Giocoforza il bambino resterà nella sua percezione fobica. All’opposto, di fronte alle manifestazioni di paura del bambino si assiste all’evitamento dello stimolo fobico semplicemente per proteggere il bambino e non fargli sperimentare così il sentimento doloroso; ogni paura evitata, però, è una paura confermata e una conferma dell’incapacità di superarla. In alcuni tentativi creativi si verifica la situazione in cui l’adulto espone volontariamente il bambino allo stimolo fobico per fargli vedere che non c’è da aver paura; risultato: il bambino o scoppia in lacrime o si terrorizza anche nei confronti dell’adulto. Una volta, una paziente adulta, mi disse che da bambina aveva paura delle vipere dopo averne vista una su un sentiero; lo confidò al nonno che pensò bene, un mattino seguente, di fargliene trovare una morta sull’uscio di casa mentre la nipotina usciva per andare a giocare. Risultato: la bambina non uscì di casa e non parlò al nonno per oltre un anno. Lo scarso rendimento scolastico può assumere la forma dell’evitamento per paura e/o insicurezza per le proprie capacità, oppure del rifiuto a causa della rabbia verso l’insegnante o verso il doversi adeguare alle regole. Nell’uno e nell’altro caso si assiste ad un escalation dell’incitare il rampollo a fare i compiti, chiamarlo e richiamarlo più volte, aiutarlo e sostenerlo nello studio, preparare piani dettagliati di studio e verifiche con notevoli contrattazioni e illustrazione, da parte del bambino, delle motivazioni per cui è difficile o impossibile riuscire a studiare. Sempre in voga il “Non ne ho voglia” o il più ermetico “Non trovo la voglia di farlo” in varie forme linguistiche. Anche in questo caso gli adulti compiono sforzi titanici per ascoltare, dialogare e giungere a compromessi e spiegazioni sulla necessità di impegnarsi, sulla necessità di compiere il proprio dovere ecc. Se si potesse acquistare in negozio la motivazione … Dopo i fallimenti delle soluzioni precedenti si passa alle minacce e punizioni che sortiscono l’effetto di un irrigidimento nelle posizioni creando così anche i presupposti per l’opposizione. Appendice Disturbi psicologici in Infanzia e fanciullezza (fonte: DSM IV-TR) Disturbi da Deficit di Attenzione/Iperattività I bambini che presentano questo disturbo balzano all'attenzione per una persistente modalità di disattenzione, associata o meno a iperattività e impulsività, con frequenza maggiore e di maggior gravità di quanto si possa osservare normalmente in coetanei. Spesso sono bambini che vengono definiti “vivaci” per tutto il tempo sino al termine della scuola d’Infanzia e talvolta anche in prima classe alla scuola Primaria. Alcuni dei sintomi di iperattività e impulsività, uniti a disattenzione, devono essere presenti prima dei sette anni di età; sebbene nella clinica si noti che molti soggetti vengono diagnosticati dopo diversi anni di presenza dei sintomi, in particolar modo negli individui con disturbo caratterizzato da disattenzione predominante. Il disturbo deve interferire chiaramente col funzionamento sociale, scolastico o lavorativo sempre con riferimento a soggetti di adeguato livello di sviluppo. Gli alunni con questo disturbo, nelle situazioni scolastiche, spesso non riescono a prestare attenzione ai particolari, fanno spesso errori di distrazione e difficilmente riescono a portare a termine i compiti didattici. Si assiste a quello che generalmente viene definito disordine o scarsa cura del proprio materiale scolastico, ed anche nel gioco sono caratterizzati da una frammentazione delle attività, passando da una attività ludica ad un'altra senza completarne alcuna. Spesso questi bambini fanno qualcosa mentre sembra che stiano pensando ad altro. Proprio in virtù del fatto che i compiti che richiedono sforzo mentale protratto sono avvertiti come spiacevoli e frustranti, questi soggetti tendono ad evitare tali compiti. Questi bambini spesso vengono definiti “motorizzati” e “sparano” risposte a scuola prima che le domande siano completate oppure completamente svincolate dal contesto definito dalla domanda. Si intromettano in discorsi altrui e cambiano argomenti di continuo. Talvolta si osserva un comportamento definibile simile al “giullare” ogni qualvolta riescono ad attrarre su di sé l'ilarità ed il compiacimento dei compagni per comportamenti grossolani o goffi. Le manifestazioni comportamentali, utili a individuare la presenza del disturbo da deficit di attenzione/iperattività, devono persistere per almeno sei mesi con un’intensità che provoca disadattamento e che contrasta con il livello di sviluppo adeguato relativamente ai coetanei. La disattenzione è caratterizzata da almeno sei dei seguenti criteri: − spesso non riesce a prestare attenzione ai particolari o commette errori di distrazione nei compiti scolastici, sul lavoro, o in altre attività; − spesso ha difficoltà a mantenere l’attenzione sui compiti o sulle attività di gioco; − spesso non sembra ascoltare quando gli si parla direttamente; − spesso non segue le istruzioni e non porta a termine i compiti scolastici, le incombenze, o i doveri sul posto di lavoro (non a causa di comportamento oppositivo o di incapacità di capire le istruzioni); − spesso ha difficoltà a organizzarsi nei compiti e nelle attività; − spesso evita, prova avversione, o è riluttante ad impegnarsi in compiti che richiedono sforzo mentale protratto (come compiti a scuola o a casa); − spesso perde gli oggetti necessari per i compiti o le attività (per es., giocattoli, compiti di scuola, matite, libri, o strumenti); − spesso è facilmente distratto da stimoli estranei; − spesso è sbadato nelle attività quotidiane. La sintomatologia relativa all’iperattività-impulsività è definita da almeno sei dei seguenti sintomi, che per l’iperattività sono riferiti a: − spesso muove con irrequietezza mani o piedi o si dimena sulla sedia; − spesso lascia il proprio posto a sedere in classe o in altre situazioni in cui ci si aspetta che resti seduto; − spesso scorrazza e salta dovunque in modo eccessivo in situazioni in cui ciò è fuori luogo (negli adolescenti o negli adulti, ciò può limitarsi a sentimenti soggettivi di irrequietezza); − spesso ha difficoltà a giocare o a dedicarsi a divertimenti in modo tranquillo; − è spesso “sotto pressione” o agisce come se fosse “motorizzato”; − spesso parla troppo. Mentre per l’impulsività ci si riferisce ai seguenti comportamenti: − spesso “spara” le risposte prima che le domande siano state completate; − spesso ha difficoltà ad attendere il proprio turno; − spesso interrompe gli altri o è invadente nei loro confronti (per es., si intromette nelle conversazioni o nei giochi). Disturbo Oppositivo Provocatorio I soggetti che presentano questo disturbo si pongono nella relazione con l’altro con una modalità di comportamento negativistico, tendono alla provocazione, sono generalmente disobbedienti ed ostili in particolar modo con gli adulti. Questi fanciulli hanno una particolare avversione per le regole imposte dagli adulti significativi e pongono spesso in atto azioni e comportamenti che infastidiscono gli altri. Nella relazione con i coetanei, così come con gli adulti, tendono ad essere collerici, talvolta irosi e oltre ad essere dispettosi e vendicativi accusano spesso gli altri dei propri errori. Naturalmente questo quadro comportamentale deve essere presente con una intensità e frequenza maggiore di quanto si possa osservare nei coetanei, è necessario che sia presente una compromissione del funzionamento sociale e scolastico e devono essere diagnosticati prima dei 18 anni d'età. I sintomi comportamentali per la definizione del disturbo oppositivo provocatorio devono essere presenti per almeno sei mesi e sono caratterizzati da quattro o più dei seguenti criteri: − spesso va in collera; − spesso litiga con gli adulti: − spesso sfida attivamente o si rifiuta di rispettare la/le richieste o regole degli adulti; − spesso irrita deliberatamente le persone; − spesso accusa gli altri per i propri errori o il proprio cattivo comportamento; − è spesso suscettibile o facilmente irritato dagli altri; − è spesso arrabbiato e rancoroso; − è spesso dispettoso e vendicativo. Disturbo della Condotta La caratteristica fondamentale che presentano i soggetti con Disturbo della Condotta si rivela una modalità di comportamento ripetitiva e persistente dove i diritti fondamentali degli altri, così come le norme o le regole della società vengono violate. Questi comportamenti si inseriscono in quattro gruppi fondamentali: condotta aggressiva che causa o minaccia danni fisici ad altre persone o ad animali, condotta non aggressiva che causa perdita o danneggiamento della proprietà come, ad esempio, rovinare il materiale scolastico a compagni, sottrarre biro o altri strumenti didattici sia alla scuola sia in classe e tutti quei comportamenti che generalmente vengono racchiusi nella definizione di atti vandalici. Naturalmente queste anomalie del comportamento provocano una compromissione del funzionamento scolastico e sociale, tanto che spesso sono definiti “bulli”. I ragazzi che presentano questo disturbo, spesso hanno l'abitudine, anche prima dei 13 anni di età, di stare fuori casa sino a sera o tarda notte nonostante le proibizioni dei genitori. Non di rado si presentano episodi di fuga anche come diretta conseguenza di maltrattamenti fisici o anche come assenze (marinare) la scuola. I criteri necessari per definire un disturbo della condotta rientrano nel quadro definito da tre o più dei sotto elencati sintomi in 12 mesi, con almeno un sintomo presente negli ultimi sei mesi: Aggressioni a persone o animali − spesso fa il prepotente, minaccia, o intimorisce gli altri; − spesso dà inizio a colluttazioni fisiche; − ha usato un’arma che può causare seri danni fisici ad altri (per es., un bastone, una barra, una bottiglia rotta, un coltello, una pistola); − è stato fisicamente crudele con le persone; − è stato fisicamente crudele con gli animali; − ha rubato affrontando la vittima (per es., aggressione, scippo, estorsione, rapina a mano armata); − ha forzato qualcuno ad attività sessuali. Distruzione della proprietà − ha deliberatamente appiccato il fuoco con l’intenzione di causare seri danni; − ha deliberatamente distrutto proprietà altrui (in modo diverso dall’appiccare il fuoco). Frode o furto − è penetrato in un edificio, un domicilio, o una automobile altrui; − spesso mente per ottenere vantaggi o favori o per evitare obblighi (cioè, raggira gli altri); − ha rubato articoli di valore senza affrontare la vittima (per es., furto nei negozi, ma senza scasso; falsificazioni). Gravi violazioni di regole − spesso trascorre fuori la notte nonostante le proibizioni dei genitori, con inizio prima dei 13 anni di età; − è fuggito da casa di notte almeno due volte mentre viveva a casa dei genitori o di chi ne faceva le veci (o una volta senza ritornare per un lungo periodo); − marina spesso la scuola, con inizio prima dei 13 anni di età. Tricotillomania Questo disturbo si manifesta essenzialmente con lo strappamento ricorrente di capelli causando la notevole perdita di questi. Lo strappamento può riguardare anche altre regioni del corpo, quindi anche regioni ascellari, perianale e pubica; ma le regioni più colpite risultano il cuoio capelluto, le sopracciglia e le ciglia. Questo comportamento patologico può avvenire in episodi durante l'arco della giornata pure in periodi più rari ma con una intensità e tempo dedicato allo strappamento maggiori. Spesso, lo strappamento, si può manifestare durante stati di rilassamento o distrazione (per esempio leggendo un libro, stando attenti a scuola, guardando la televisione ecc.), oppure anche contemporaneamente a situazioni stressanti. I soggetti che subiscono questo disturbo spesso avvertono un senso crescente di tensione prima dell'atto e talvolta sta è associata a tentativi di resistere all'impulso. Alcuni ragazzi provano anche una sensazione di prurito al cuoio capelluto e una conseguente sensazione di sollievo dopo lo strappamento. Disturbi da Tic Un tic è un movimento, o una vocalizzazione, improvviso, rapido, ricorrente, aritmico e stereotipato. I tic motori e vocali possono essere semplici (con il coinvolgimento di pochi muscoli o con l’emissione di suoni semplici) o complessi (con il coinvolgimento di gruppi multipli di muscoli reclutati per l’emissione di esplosioni orchestrate o parole e frasi). All'interno della categoria dei tic, sono incluse quattro tipologie: Disturbo di Tourette, Disturbo Cronico da Tic Motori o Vocali, Disturbo Transitorio da Tic e Disturbo da Tic Non Altrimenti Specificato. Le manifestazioni fondamentali del Disturbo di Tourette sono tic motori multipli e uno o più tic vocali. I tic si manifestano molte volte al giorno, in modo ricorrente per un periodo di più di 1 anno. Durante questo periodo, non vi è mai un periodo senza tic che duri più di 3 mesi consecutivi. L’esordio del disturbo avviene prima dei 18 anni di età. I tic non sono dovuti agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (per es., stimolanti) o di una condizione medica generale (per es., malattia di Huntington o encefalite postvirale). La localizzazione anatomica, il numero, la frequenza, la complessità, e la gravità dei tic variano nel tempo. Tic motori semplici e complessi possono riguardare qualunque parte del corpo inclusi la faccia, la testa, il tronco e gli arti superiori ed inferiori. I tic motori semplici sono contrazioni rapide e senza significato di uno o di alcuni muscoli, come l’ammiccare. Possono essere presenti tic motori complessi che comprendono toccare, accovacciarsi, inginocchiarsi profondamente, passi indietro, e piroette durante la marcia. I tic vocali includono varie parole o suoni, come schiocchi, grugniti, guaiti, abbai, tirare su col naso, sbuffi, e colpi di tosse. La coprolalia, un tic vocale complesso che comporta lo sbottare con parole oscene, è presente soltanto in una piccola minoranza di soggetti (meno del 10%) e non è un requisito per la diagnosi di Disturbo di Tourette. In circa la metà dei soggetti affetti dal disturbo, i primi sintomi che compaiono sono accessi di un singolo tic, più frequentemente ammiccamenti, meno frequentemente tic che riguardano un’altra parte della faccia o del corpo. Talvolta questo disturbo inizia con sintomi multipli che insorgono nello stesso momento. La caratteristica principale del Disturbo Cronico da Tic Motori o Vocali è la presenza o di tic motori o di tic vocali, ma non di entrambi, e questa è la discriminante per distinguerli dal Disturbo di Tourette, in cui devono esserci sia tic motori multipli che uno o più tic vocali. Le altre caratteristiche del Disturbo Cronico da Tic Motori o Vocali sono generalmente le stesse del Disturbo di Tourette, tranne che per la gravità dei sintomi e la compromissione del funzionamento, che in questo caso sono molto minori. Il Disturbo Transitorio da Tic è caratterizzato dalla presenza di tic motori singoli o multipli e/o di tic vocali per almeno 4 settimane, ma non per più di 12 mesi consecutivi. Le altre caratteristiche essenziali sono le stesse del Disturbo di Tourette. Il Disturbo da Tic Non Altrimenti Specificato è relativo al disturbo in cui sono manifestati tic, ma non sono soddisfatti i criteri per un Disturbo da Tic specifico e che il disturbo duri meno di 4 settimane o tic con esordio dopo i 18 anni di età. Disturbo d’Ansia di Separazione Il Disturbo d’Ansia di Separazione è manifestato attraverso un’ansia eccessiva riguardante la separazione da casa o da coloro a cui il bambino è attaccato. La presenza della sintomatologia legata al disturbo deve durare almeno 4 settimane, iniziare prima dei 18 anni e causare disagio clinicamente significativo o compromissione dell’area sociale e/o scolastica. I bambini con questo disturbo, presentano almeno tre dei comportamenti o sentimenti e sotto elencati: − malessere eccessivo ricorrente quando avviene la separazione da casa o dai principali personaggi di attaccamento o anche solo quando essa è anticipata col pensiero; − persistente ed eccessiva preoccupazione riguardo alla perdita dei principali personaggi di attaccamento, o alla possibilità che accada loro qualche cosa di dannoso; − persistente ed eccessiva preoccupazione riguardo al fatto che un evento spiacevole e imprevisto comporti separazione dai principali personaggi di attaccamento (per es., essere smarrito o essere rapito); − persistente riluttanza o rifiuto di andare a scuola o altrove per la paura della separazione; − persistente ed eccessiva paura o riluttanza a stare solo o senza i principali personaggi di attaccamento a casa, oppure senza adulti significativi in altri ambienti; − persistente riluttanza o rifiuto di andare a dormire senza avere vicino uno dei personaggi principali di attaccamento o di dormire fuori casa; − ripetuti incubi sul tema della separazione; − ripetute lamentele di sintomi fisici (per es., mal di testa, dolori di stomaco, nausea o vomito) quando avviene od è anticipata col pensiero la separazione dai principali personaggi di attaccamento. Fobia Specifica La Fobia Specifica è individuata dalla paura marcata e persistente di oggetti o situazioni chiaramente discernibili e circoscritte. Quando il soggetto è esposto allo stimolo fobico si assiste quasi invariabilmente un’immediata risposta ansiosa. Questa risposta può prendere la forma di un Attacco di Panico causato dalla situazione o sensibile alla situazione. Una nota estremamente importante è che, mentre gli adolescenti e gli adulti con questo disturbo riconoscono che questa paura è eccessiva o irragionevole, questo può non accadere nei bambini. Più spesso lo stimolo fobico viene evitato, ma talvolta sopportato nel timore. naturalmente si ho definire il disturbo di fobia specifica, quando l’evitamento, paura o ansia anticipatoria di affrontare lo stimolo fobico interferiscono significativamente con la routine quotidiana, il funzionamento scolastico o la vita sociale della persona. Nei soggetti al di sotto dei 18 anni, i sintomi devono persistere da almeno 6. Le fobie specifiche rientrano in alcuni sottotipi, che per definizione sono: Tipo Animali: se la paura viene provocata da animali o insetti. Questo sottotipo esordisce generalmente nell’infanzia. Tipo Ambiente Naturale: se la paura viene provocata da elementi dell’ambiente naturale, come temporali, altezze, acqua. Questo sottotipo esordisce generalmente nell’infanzia. Tipo Sangue-Iniezioni-Ferite: se la paura viene provocata dalla vista del sangue o di una ferita o dal ricevere un’iniezione o altre procedure mediche invasive. Tipo Situazionale: se la paura viene provocata da una situazione specifica, come trasporti pubblici, tunnel, ponti, ascensori, volare, guidare o luoghi chiusi. Questo sottotipo ha una distribuzione dell’età di esordio bimodale, con un picco nell’infanzia e un altro picco verso i 25 anni. Altro Tipo: se la paura viene scatenata da altri stimoli. Questi stimoli possono includere: la paura o l’evitamento di situazioni che potrebbero portare a soffocare, vomitare o contrarre una malattia; la fobia dello “spazio” (cioè l’individuo ha timore di cadere giù se è lontano da muri o altri mezzi di supporto fisico); e il timore nei bambini dei rumori forti o dei personaggi in maschera. Fobia Sociale La caratteristica essenziale della Fobia Sociale è una paura marcata e persistente che riguarda le situazioni sociali o prestazionali che possono creare imbarazzo. L’esposizione alla situazione sociale o prestazionale quasi invariabilmente provoca una risposta ansiosa immediata che può prendere forma di un Attacco di Panico situazionale o sensibile alla situazione. Gli adolescenti e gli adulti con questo disturbo riconoscono che la loro paura è eccessiva o irragionevole, ma questo può non accadere nei bambini. Più spesso la situazione sociale o prestazionale viene evitata, sebbene venga talvolta sopportata nel timore. Il disturbo da fobia sociale si intende appropriato quando l’evitamento, la paura o l’ansia anticipatoria concernente la situazione sociale o prestazionale interferiscono significativamente con la routine quotidiana, con il funzionamento scolastico/lavorativo o con la vita sociale dell’individuo. Negli individui con meno di 18 anni, i sintomi devono essere stati presenti per almeno 6 mesi. Nelle situazioni sociali o prestazionali temute, gli individui con Fobia Sociale sono preoccupati di rimanere imbarazzati e timorosi che gli altri li giudichino ansiosi, deboli, “pazzi” o stupidi. Possono temere di parlare in pubblico per la preoccupazione che gli altri notino il tremore delle mani o della voce, oppure possono provare ansia estrema quando conversano con gli altri per la paura di apparire poco chiari. Possono evitare di mangiare, bere o scrivere in pubblico per timore di rimanere imbarazzati dal fatto che gli altri possano vedere le loro mani tremare. Gli individui con Fobia Sociale quasi sempre provano sintomi di ansia (per es., palpitazioni, tremori, sudorazione, malessere gastrointestinale, diarrea, tensione muscolare, arrossamento del viso, confusione) nelle situazioni sociali temute, e nei casi gravi questi sintomi possono arrivare ad un Attacco di Panico. L’arrossire può essere più tipico della Fobia Sociale. Disturbo Ossessivo-Compulsivo Il Disturbo Ossessivo-Compulsivo è definito da sono ossessioni o compulsioni ricorrenti, sufficientemente gravi da far impiegare tempo o da causare disagio marcato o menomazione significativa. La persona generalmente riconosce che le ossessioni o le compulsioni sono eccessive o irragionevoli, ma questo può non avvenire nel caso di bambini. Le ossessioni sono idee, pensieri, impulsi o immagini persistenti, sono vissute come intrusive e inappropriate, e causano ansia o disagio marcati. Le ossessioni più frequenti sono pensieri ripetitivi di contaminazione (per es., essere contaminati quando si stringe la mano a qualcuno), dubbi ripetitivi (per es., chiedersi se si è lasciata la porta aperta o se ci si è comportati in modo tale da causare delle lesioni a qualcuno guidando), la necessità di avere le cose in un certo ordine (per es., disagio intenso quando gli oggetti sono in disordine o asimmetrici), impulsi aggressivi o terrifici (per es., aggredire un figlio o gridare oscenità in chiesa) e fantasie sessuali (per es., ricorrenti immagini pornografiche). I pensieri, impulsi o immagini non sono semplicemente preoccupazioni eccessive riguardanti problemi reali della vita (per es., preoccupazioni per difficoltà attuali nella vita, tipo problemi finanziari, lavorativi o scolastici) ed è improbabile che siano correlati a reali problemi della vita. Le compulsioni sono comportamenti ripetitivi (cioè lavarsi le mani, riordinare, controllare) o azioni mentali (per es., pregare, contare, ripetere mentalmente delle parole) il cui obbiettivo è quello di prevenire o ridurre l’ansia o il disagio. Nella maggior parte dei casi, la persona si sente spinta a mettere in atto la compulsione per ridurre il disagio che accompagna un’ossessione o per prevenire qualche evento o situazione temuti. Per definizione le compulsioni sono chiaramente eccessive e non connesse in un modo realistico con ciò che sono designate a neutralizzare o prevenire. Mutismo Selettivo La caratteristica fondamentale del Mutismo Selettivo è la persistente incapacità di parlare in situazioni sociali specifiche (per es., a scuola, coi compagni di gioco) e quando ci si aspetta che il bambino parli, mentre in altre situazioni parlare risulta possibile. L’anomalia interferisce con i risultati scolastici o lavorativi o con la comunicazione sociale. IL Mutismo deve durare per almeno 1 mese e non è limitata al primo mese di scuola (durante il quale molti bambini possono essere timidi e riluttanti a parlare). Invece di comunicare con una normale verbalizzazione, i bambini affetti da questo disturbo possono comunicare con gesti, annuendo o scuotendo il capo in segno di diniego, o spingendo o tirando l’interlocutore, o, in alcuni casi, con emissioni di suoni monosillabici, corti, o monotoni, o con una voce alterata. Se l’incapacità di parlare del soggetto è dovuta solo al fatto che non conosce o non è a proprio agio col modo di parlare richiesto in una data situazione sociale non abbiamo Mutismo Selettivo. Allo stesso modo non è possibile definire il disturbo se l’anomalia è meglio attribuibile all’imbarazzo relativo all’essere affetti da un Disturbo della Comunicazione (per es., Balbuzie) o se si manifesta esclusivamente durante un Disturbo Pervasivo dello Sviluppo, Schizofrenia, o un altro Disturbo Psicotico. Le manifestazioni associate al Mutismo Selettivo possono includere eccessiva timidezza, timore di imbarazzo sociale, isolamento sociale e ritiro, appiccicosità, tratti compulsivi, negativismo, accessi di collera, comportamenti di controllo oppure oppositivi, specie a casa. Può esservi grave compromissione del funzionamento sociale e scolastico. Disturbi d’Ansia (specie Fobia Sociale), Ritardo Mentale, ospedalizzazione o gravissimi fattori psicosociali stressanti possono essere associati al disturbo. Inoltre, in ambienti clinici i bambini con Mutismo Selettivo quasi sempre ricevono una diagnosi aggiuntiva di un Disturbo d’Ansia, in particolare di Fobia Sociale. Bibliografia ArcurI L., (1985), Conoscenza sociale e processi psicologici, Il Mulino, Bologna. Balbi E., Artini A., (2009), Curare la scuola, Adriano Salani Editore SpA, Milano. Beitchman J.H., Young A., (1997), Learning disorders with a special emphasis on reading disorders: a review of the past 10 years. J. Am. 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