2015_01_22

Dipartimento Comunicazione & Immagine
Responsabile - Lodovico Antonini
RASSEGNA STAMPA
Anno XVI - 22/01/2015
A cura di Bruno Pastorelli
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Sommario
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IL CITTADINO/Lodi giovedì 22 gennaio 2015
LEVATA DI SCUDI - FABI E CISL CONTRO LA TRASFORMAZIONE DELLE POPOLARI IN SPA - I
sindacati bocciano il decreto Renzi
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LA TRIBUNA/Treviso giovedì 22 gennaio 2015
Banca Marca: «Un'ispezione di routine» - Sopralluogo di Bankitalia, i vertici replicano: «Conti a posto e
azienda solida. Le ferie di direttore e vice? Erano previste»
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IL MATTINO DI PADOVA/CORRIERE DELLE ALPI/TRIBUNA DI TREVISO
giovedì 22 gennaio 2015
Zuccato: «Così meno credito» Le associazioni di categoria ora difendono le banche: servono
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CORRIERE DELL'UMBRIA giovedì 22 gennaio 2015
Presidio in piazza per chiedere un tavolo di confronto: "La soppressione provocherà disagi". Sostegno dal
Comune Equitalia, il taglio agli uffici preoccupa
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ITALREPORT.it 21.01.2015
Il 30 bancari in sciopero. A Palermo manifestazione con Bossola (Fabi) e Masi (Uilca)
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MF-MILANO FINANZA giovedì 22 gennaio 2015
Apro le popolari ai capitali esteri - Il capo del governo: sono riuscito a fare diventare spa le banche
cooperative, che così saranno molto più appetibili sui mercati internazionali. Le riforme le faccio davvero,
insieme alla lotta alla corruzione
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MF-MILANO FINANZA giovedì 22 gennaio 2015
Popolari, la politica affila le lame - Renzi si gode il successo sui mercati, con il rialzo dei titoli delle banche.
Intanto emergono altri dettagli: quorum dei 2/3 per il passaggio a spa. E gli istituti che non si adeguano
rischiano la liquidazione coatta
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Articoli
IL CITTADINO/Lodi giovedì 22 gennaio 2015
LEVATA DI SCUDI - FABI E CISL CONTRO LA TRASFORMAZIONE DELLE POPOLARI IN SPA
- I sindacati bocciano il decreto Renzi
I sindacati bocciano il decreto legge approvato martedì pomeriggio dal governo Renzi che assegna 18 mesi
alle più grandi banche popolari del Paese per trasformarsi in Spa e abolire il voto capitario. Fiba Cisl e Fabi, i
due principali sindacati attivi all'interno del gruppo Banco Popolare, soprattutto a Lodi, sono usciti allo
scoperto, criticando apertamente la decisione dell'esecutivo. Partiamo dalla Fiba Cisl, il cui coordinatore per
l'intero intero gruppo Banco Popolare è la lodigiana Giusy Santus. Il sindacato cattolico segnala come il
governo abbia varato il decreto legge che trasforma le popolari nell'intento intento di garantire maggior
credito alle imprese. «Sarebbe paradossale si legge però in una nota diramata dalla Fiba Cisl - che stante la
finalità dichiarata dei provvedimenti (dare credito alle piccole e medie imprese) si elimini proprio il
comparto delle banche cooperative che storicamente, ma specialmente negli ultimi anni di crisi, hanno di più
aiutato e sono più state vicine alle Pmi». A tal proposito il sindacato segnala come «nel corso del 2014 le 70
banche del credito popolare e le 381 Bcc (che occupano 120.000 000 dipendenti impegnati nel rapporto
quotidiano con la loro clientela di elezione: famiglie e Pmi) hanno erogato impieghi alle Pmi per quasi 240
miliardi di euro; il flusso dei nuovi finanziamenti, sempre alle Pmi, è aumentato nel 2014 di circa 35 miliardi
di euro». Non solo. «Alle imprese esportatrici - aggiungono dalla Cisl - sono stati erogati 50 miliardi di euro.
Nel corso della crisi, nel periodo che va dal 2008 al 2014, la variazione degli impieghi alle Pmi esportatrici è
stata pari a + 28 per cento. Lo stretto rapporto fra le banche popolari, le Bcc e le Pmi è testimoniato anche
dalla quota di mercato delle stesse nei sistemi economici a prevalenza di Pmi, pari al 75 per cento contro il 25
del resto del sistema». Va precisato che la riforma Renzi non riguarda le Bcc, ma solo le popolari con
patrimonio superiore a 8 miliardi di euro (in totale 10 istituti); tuttavia, anche al netto delle Banche di credito
cooperativo, il concetto di fondo non cambia. «Alla luce di tali dati conclude la Fiba Cisl - si evince che una
riforma radicale che elimini le caratteristiche delle popolari rischierebbe di produrre una stretta creditizia
proprio nei confronti di imprese e Pmi, avvantaggiando solo gli "speculatori" e con pesantissime ricadute
negative, anche da un punto di vista occupazionale». Preoccupazioni sul fronte occupazionale arrivano anche
da Lando Silleoni, segretario nazionale della Fabi, il più grande sindacato dei bancari per numero di iscritti.
«Se Renzi vuole diminuire i banchieri faccia pure - afferma Silleoni -, ma riformare le banche popolari, che
hanno sempre sostenuto l'economia economia dei territori, trasformandole in Spa, è un errore perché
inevitabilmente si creerebbero le condizioni per ulteriori tagli del personale e di numeri importanti in tema di
esuberi». Nel Lodigiano intanto, dopo le prese di posizione (riportate ieri dal «Cittadino») dei rappresentanti
dei piccoli azionisti (Prima banca 1864 e Anpa) e del consigliere regionale Pietro Foroni (Lega nord), occorre
dare conto dell'intervento intervento dell'onorevole onorevole Danilo Toninelli del Movimento 5 Stelle, eletto
nella circoscrizione Lombardia 3, che comprende anche Lodi. Attraverso un "tweet" il parlamentare grillino
ha affermato: «Fermiamo riforma banche di #Renzi. Ns b. popolari saranno mangiate da giganti finanziari.
Famiglie e imprese avranno ancora meno prestiti». Lor. Rin.
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LA TRIBUNA/Treviso giovedì 22 gennaio 2015
Banca Marca: «Un'ispezione di routine» - Sopralluogo di Bankitalia, i vertici replicano:
«Conti a posto e azienda solida. Le ferie di direttore e vice? Erano previste»
di Serena Gasparoni
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A cura di Bruno Pastorelli – [email protected]
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ITALREPORT.it 21.01.2015
Il 30 bancari in sciopero. A Palermo manifestazione con Bossola (Fabi) e Masi (Uilca)
By Carmelo Raffa
Mentre si svolgono le assemblee dei bancari in tutt’Italia i sindacati
organizzano le 4 manifestazioni di protesta che si terranno in concomitanza
con lo sciopero del 30 gennaio nelle città di Milano, Ravenna, Roma e
Palermo.
Oltre la presenza del Segretario dell’Uilca Massimo Masi poco fa è giunta
una notizia importante per i militanti della FABI sindacato che in Italia ed
anche nella nostra isola rappresenta la maggioranza dei dipendenti del
settore.
Per la Fabi, infatti, Il 30 gennaio sarà presente a Palermo il Segretario
Generale Aggiunto Mauro Bossola che come al solito col suo qualificato ed
appassionato intervento non deluderà sicuramente le aspettative dei manifestanti.
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MF-MILANO FINANZA giovedì 22 gennaio 2015
Apro le popolari ai capitali esteri - Il capo del governo: sono riuscito a fare diventare spa le
banche cooperative, che così saranno molto più appetibili sui mercati internazionali. Le
riforme le faccio davvero, insieme alla lotta alla corruzione
di Julia Chatterley
In occasione della sua partecipazione al World Economic Forum di Davos, il presidente del Consiglio Matteo
Renzi è stato intervistato da Class Cnbc.
Domanda. Presidente, lei ha cambiato la governance delle banche popolari. Si tratta di una rivoluzione?
Risposta. Purtroppo in Italia abbiamo perso l'opportunità di realizzare una riforma bancaria tre anni fa.
Quando si sono manifestati i primi segnali di crisi tanti Paesi, come la Germania, la Spagna e l'Inghilterra,
hanno deciso di cambiare il sistema bancario del loro Paese. Mentre i miei predecessori Silvio Berlusconi,
Mario Monti ed Enrico Letta non lo hanno fatto.
D. Non lo hanno fatto perché era troppo difficile?
R. Rispetto la loro decisione, ma in un sistema sano e positivo la prima scelta da fare in termini di riforme è
quella bancaria. Io vengo da Firenze, la mia è diventata una città incredibile non per la qualità degli artisti,
ma per la presenza del sistema bancario, che ha creato le basi per la cultura, per l'arte, per lo sviluppo di
queste attività. Le banche sono assolutamente centrali per un'economia Ma l'Italia non ha creato opportunità
per le banche. Adesso si dice che il sistema bancario italiano non è solido. Ma questo non è corretto.
D. Quindi che cosa ha fatto per riformare il sistema bancario?
R. Abbiamo deciso di cancellare alcune leggi che riguardavano le banche popolari. Questo sistema era molto
chiuso ai mercati internazionali. Ma adesso le prime dieci banche popolari sono costrette a diventare spa,
quindi ad aprirsi ai mercati internazionali. Si tratta di un cambiamento radicale. La riforma delle popolari si
basa sull'idea che finalmente se investi in Italia non ti devi più preoccupare dei giudici o del fisco. Ora si può
investire.
D. Ci può fare qualche esempio delle possibilità di investimento?
R. Oggi in Italia molte società hanno cambiato proprietà. Per la prima volta Alitalia non è nelle mani dei soliti
politici e dei partiti, ma è nelle mani di Etihad, un importante marchio internazionale di Abu Dhabi. Per la
prima volta ci sono molti investimenti, non solo americani ma anche da molte altre parti del mondo. E questo
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è importante. Penso alla Cina, all'America Centrale. Credo nel futuro dell'Italia come un Paese aperto, un
Paese che non funziona con il vecchio stile della società dei vecchi amici che a Milano o a Roma si ritrovano
davanti a un piatto di spaghetti per decidere il futuro. Quest'epoca è finita.
D. Ha dovuto fare dei compromessi nel campo delle riforme?
R. Sono diventato premier meno di un anno fa, nel febbraio 2014, e ho ancora tre anni davanti a me. Nel
primo anno abbiamo preparato una riforma costituzionale incredibile per l'Italia, un terzo della costituzione
italiana è ora in discussione in parlamento. Vogliamo cambiare il sistema elettorale e tutto quello che è
importante per l'amministrazione pubblica. Personalmente, credo che il momento giusto per fare queste
riforme era vent'anni fa. Se vent'anni fa l'Italia avesse effettuato queste riforme, ora sarei un uomo molto
felice. Ma vent'anni fa l'Italia ha perso questa opportunità, quindi il miglior momento per fare queste riforme
è ora.
D. Lei crede che l'Italia sia davvero in grado di fare le riforme?
R. Penso che il compromesso sia normale in un sistema politico. Ma quando un Paese come l'Italia decide di
cambiare l'articolo 18, che dava meno flessibilità di quella che serviva al mercato del lavoro, allora questa è
una rivoluzione.
D. Ma questo non vale per i dipendenti pubblici.
R. Nei Paesi più antichi c'è una differenza tra pubblico e privato. In Italia per i dipendenti pubblici c'è un
disegno di legge che è al momento in discussione al Senato e al massimo nei prossimi due-tre mesi diventerà
legge.
D. E per quanto riguarda il problema della corruzione, che cosa intende fare?
R. In Italia abbiamo due problemi: il primo riguarda la percezione della corruzione; il secondo riguarda
l'amicizia tradizionale che per anni ha legato i politici e i manager di molte aziende. Noi abbiamo dichiarato
guerra alla corruzione. Lo abbiamo fatto con i fatti e non con le parole. Per la prima volta in Italia c'è
un'Autorità Anticorruzione, creata dal precedente governo, che adesso sta lavorando concretamente. Oggi,
dopo otto mesi di operatività, ha investito molte energie in iniziative legate alla lotta alla corruzione, come
per esempio nel caso dell'Expo o di Venezia.
D. Beppe Grillo sostiene che lei è un leader senza un seguito. Che cosa risponde?
R. Il sistema italiano è molto particolare, il mio governo non viene dalle elezioni.
D. Quindi lei non si sente legittimato?
R. Secondo la Costituzione italiana io sono perfettamente legittimato. Il presidente Giorgio Napolitano mi ha
chiesto di formare un governo in un momento incredibile per l'Italia. All'epoca avevo 39 anni, oggi ne ho 40,
sono il più giovane primo ministro italiano, il primo che non ha avuto un'esperienza in parlamento, io ho
fatto esperienza da sindaco, a Firenze. Ho scelto di fare cose nuove come un team di ministri composto per
metà da donne, un team in media molto giovane.
D. Vuole proseguire nel cammino delle riforme con questo governo, anche senza andare a elezioni? Glielo
domando perché alcuni dicono che lei non abbia più tanti consensi come una volta.
R. Tre mesi dopo la mia nomina, a maggio, ci sono state le elezioni europee e il mio partito ha ottenuto il 41%
dei voti, cosa che non succedeva dal 1958. Un risultato incredibile. Questo vuol dire che gli italiani credono al
cambiamento. Nei prossimi anni il nostro Paese raggiungerà obiettivi importanti. L'Italia non è un museo,
l'Italia è un Paese in cui è possibile combinare i sogni e gli obiettivi. Vedo che il Paese è pronto e io voglio
dare questa speranza alla mia generazione e al mio Paese.
D. Da quale presidente della Repubblica vorrebbe essere accompagnato nel cammino per raggiungere questi
obiettivi?
R. Io non posso dire chi voglio come presidente. Il presidente in Italia è un arbitro, non il capo del governo.
D. Possiamo escludere l'ipotesi Mario Draghi?
R. Io penso che Draghi sia un grandissimo uomo, rispetto la sua indipendenza e le sue qualità, è il leader
della Bce e nei prossimi anni dovrebbe continuare a esserlo. Credo che il nuovo presidente sarà come
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Napolitano: un arbitro in grado di aiutare gli italiani ad amare il proprio Paese e un uomo che se c'è un
problema sia pronto a intervenire, come è successo nel 2011 con Napolitano.
D. Si aspetta che la Bce darà il via liberà al Qe il 22 gennaio?
R. Negli ultimi anni l'Europa ha perso un'opportunità: ha parlato solo di austerità, mentre tutti i Paesi del
mondo investivano nella crescita, nello sviluppo economico. Adesso con il Quantitative easing la Bce ha la
possibilità di dare un messaggio diverso, un messaggio che si focalizza su un'idea dell'Europa che non sia solo
l'euro ma anche un'economia in crescita. Rispetto l'indipendenza della Bce, ma credo che sia il momento di
investire in una diversa idea di Europa, non solo di parlare di parametri, del 3% del deficit, dettagli tecnici
che non interessano alla gente.
D. In caso di Qe, si parla di condivisione dei rischi associati ai bond acquistati dalla Bce. Ma alcuni Paesi,
come la Germania, si oppongono fermamente. Lei che cosa ne pensa?
R. L'Europa è un'ottima risposta istituzionale. Dopo settant'anni di pace si può parlare dell'Europa come un
luogo di libertà. L'Europa ha rifiutato l'idea della divisione. Il problema è che abbiamo perso l'opportunità di
dare alla Bce gli stessi poteri che hanno la Federal Reserve e altre banche centrali. In futuro dovremo dare un
messaggio diverso, dovremo muoverci molto rapidamente nella direzione di creare un'istituzione bancaria
esattamente come la Fed.
D. La Germania lotta perché non vuole assumersi il rischio Italia. Ma così la Bce non può diventare come la
Fed.
R. L'Italia ha un grandissimo debito pubblico, 2 mila miliardi di euro, ma siamo anche il Paese più
importante in termini di risparmi, per 4 mila miliardi, quindi il nostro rischio non è lo stesso di altri Paesi
che hanno un elevato debito pubblico e in più anche il debito privato. Inoltre la stessa Germania esattamente
undici anni fa ha chiesto alla presidenza italiana della Ue la possibilità di poter sforare i parametri di
Maastricht. Questo perché dopo i problemi legati alla divisione delle due Germania per Berlino era
importante investire, aveva bisogno di più flessibilità. Quindi la storia ci insegna qualcosa di diverso dalle
opinioni attuali. Ora la Germania è un Paese grande, mentre il resto d'Europa è in crisi. Ma se non
investiamo in un'idea diversa di Europa, nei prossimi anni i problemi li avrà la Germania. Oggi è
importantissimo che la Ue trovi una soluzione comune per investire in un'idea politica ed economica diversa
di Europa e credo che il piano Juncker, con investimenti per 300 miliardi di euro, sia il primo segnale di una
nuova direzione per l'Unione.
D. Qualcuno sostiene che questi 300 miliardi non bastano.
R. So che per l'Italia è molto importante fare delle riforme strutturali. Questo non dipende da Angela Merkel,
da David Cameron o da François Hollande, è un nostro problema che dobbiamo risolvere all'interno del
nostro Paese. I politici europei devono però capire che è finita l'epoca in cui si va avanti solo con le politiche
di austerità perché se c'è solo l'austerità siamo finiti.
D. Lei ha portato speranza in Italia. Pensa che il leader di Syriza, Alexis Tsipras possa fare altrettanto in
Grecia?
R. In Grecia è in corso una campagna elettorale difficile. Sono i greci che devono decidere il futuro del loro
Paese, non il primo ministro italiano o il cancelliere tedesco o il presidente francese. Per questo aspetto i
risultati di domenica e li rispetterò. La Grecia per l'Europa è importante. Prima si parlava solo di rischio
Grecia. Ma la Grecia è cultura, ideale, speranza. E io penso che l'Europa non sia solo un'unione economica,
penso che sia un luogo di ideali comuni. Ricordo e rispetto le tradizioni della Grecia. Per questo penso sia
importante evitare l'uscita della Grecia dall'euro.
D. Ma quello che dice la stampa tedesca - possiamo sopportare l'uscita della Grecia - non aiuta, vero?
R. Venerdì prossimo incontrerò a Firenze Angela Merkel e parleremo di questo. Ma non ho commenti da fare
sulla stampa tedesca perché rispetto sia i greci che la stampa tedesca. Io rispetto tutti.
D. Stampa tedesca che non è certo tenera con l'Italia.
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quotate e le piccole banche locali hanno un loro cordone ombelicale con gli oltre 200 territori italiani
superiori al numero di province che fatturano dai 300 ai 500 milioni di euro. Quella funzione straordinaria è
svolta dalle popolari e questo decreto di fatto le annacqua in un tentativo indistinto di intercettare nuovi
investitori».
Duro anche l'intero fronte sindacale, Susanna Camusso, leader della Cgil, dopo aver messo pesantemente in
dubbio che esistano i presupposti di necessità e urgenza per il ricorso al decreto legge, ha aggiunto che il
provvedimento giustifica «qualche sospetto che l'accanimento visto nei confronti del mondo del lavoro ci sia
anche verso le piccole imprese».
In controtendenza, invece, la posizione di Giampiero Samorì, che pur facendo parte di Forza Italia si
differenzia dalle dichiarazioni di fuoco dei suoi colleghi del centrodestra. «Il presidente Renzi», ha osservato
Samorì, «non ha dato un avviso di sfratto alle banche popolari bensì lo ha dato ai loro gruppi di comando
autoreferenziali che negli ultimi anni, pensando che questa situazione potesse durare in eterno, si sono
preoccupati di gestire le banche più nel loro interesse di continuità gestoria che non nell'interesse dei soci,
dei dipendenti e del territorio». (riproduzione riservata)
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MF-MILANO FINANZA giovedì 22 gennaio 2015
Il metodo è sbagliato ma le Pop pagano la troppa inerzia
di Angelo De Mattia
«Falsa demonstratio non nocet». Bisognerebbe benevolmente rifarsi a questo brocardo di fronte alle
motivazioni addotte dal governo per l'intervento sulle Popolari, se si volesse preservare il merito di questa
minirevisione, improvvisa e segmentata, e soprassedere a commenti sull'assoluta debolezza delle ragioni
dell'urgenza. La principale di queste riguarda il segnale che così si è voluto dare all'Europa e alla Bce, alla
vigilia dell'adozione, almeno così si prevede, del Quantitative easing. E tuttavia motivazioni inappropriate
possono anche nuocere. Qual è, infatti, la portata del segnale che così viene dato? Quello di un'azione
convulsa per varare un pezzo assai limitato di riforma del sistema? Quello di una parziale rivisitazione da
convertire in legge entro sessanta giorni, invocando i requisiti di necessità e urgenza, ma da attuare entro 18
mesi e per di più dopo l'emanazione di un regolamento da parte della Banca d'Italia? Per non dire
dell'impulso che questo provvedimento potrebbe dare al credito e all'economia, ignorando, le cause reali, di
domanda e di offerta, delle restrizioni creditizie. O si pensa in questo modo di mettere ordine nel settore
bancario? Il fatto è che, se si volesse dimostrare di volere una vera revisione dell'ordinamento bancario,
bisognerebbe affrontare i nodi cruciali, cominciando dalla separazione tra banche commerciali e banche di
investimento (con la trasposizione della Volcker rule adattata all'Italia) e, prima ancora, prendendo di petto
la sistemazione dei crediti deteriorati che pesano enormemente sull'operatività degli istituti e costituiscono
un oggettivo impedimento a una maggiore concessione dei finanziamenti. In questo quadro andrebbe
riesaminato il Testo Unico bancario e quello della Finanza, anche alla luce dell'esigenza di determinare una
uniformità normativa con gli altri ordinamenti dei Paesi dell'Unione, estendendo la parità alle normative
secondarie nonché ai criteri e alle metodologie di Vigilanza.
Ma, per non eludere lo specifico problema, certamente quanto è avvenuto con la decisione di promuovere il
decreto non esonera di responsabilità gli esponenti della categoria delle Popolari troppo a lungo restii a
procedere sulla strada dell'autoriforma: siamo stati facili profeti quando, da oltre un anno, abbiamo additato
l'eventualità (e ci siamo ripetuti frequentemente) che, nella perdurante inerzia, sarebbe stata, alla fine,
percorsa la strada dell'eteroregolamentazione con l'intervento del legislatore, mentre a proposito della Bpm
segnaliamo questa probabilità da sei anni circa. Il Parlamento, tuttavia, ora viene chiamato in ballo in
maniera certo improvvisata, mentre il settore, alla fine, ha capito di doversi autoriformare nominando
all'uopo un comitato autorevole di esperti presieduto da Angelo Tantazzi. La riforma deve essere organica,
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MF-MILANO FINANZA giovedì 22 gennaio 2015
Modello Credit Agricole per sposare le popolari
Ammesso che in un'epoca di mercati globalizzati ha sempre meno senso la presenza in borsa di grandi
banche considerate popolari solo in virtù del voto capitario e del limite al possesso azionario, e non concesso
che, dopo il varo dell'Unione bancaria europea, l'italianità del credito sia ancora un valore da difendere, è
evidente che la riforma Renzi-Padoan indurrà le banche coinvolte a prendere qualche contromisura per
evitare di essere fagocitate da qualche gruppo estero. Molte le soluzioni a disposizione: dal voto multiplo, che
consentirà ai soci di lungo corso, già ora coalizzati tra loro con patti più o meno dichiarati, di pesare di più,
agli attesi merger a due per rendere la massa critica più consistente. Ma c'è una strada, più volte indicata in
passato da alcuni banchieri, come l'ex presidente della Bpm Roberto Mazzotta, che potrebbe consentire
all'Italia di non perdere altri pezzi del sistema bancario, gettando allo stesso tempo le basi per creare un'altra
grande banca da affiancare a Unicredit e Intesa . Una volta questa strada era quella della superpopolare. Ora
che il modello cooperativo è stato messo al bando per le banche con attivi superiori ad 8 miliardi, un modello
cui guardare potrebbe essere quello del francese Credit Agricole , grande gruppo bancario universale
internazionale quotato ma il cui capitale è saldamente nelle mani di 39 casse cooperative regionali, che
detengono il 56,3% blindandone di fatto il controllo. Cosa che non scoraggia certo la presenza di investitori
istituzionali. Chissà che ne pensano i fautori della public company. (riproduzione riservata)
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MF-MILANO FINANZA giovedì 22 gennaio 2015
Messina: no a un Qe dimezzato - L'eventuale intervento degli istituti nazionali sarebbe il
segnale che l'Eurozona di fatto non esiste, avverte il banchiere. La riforma delle popolari?
Molto bene, ora si apriranno davvero al mercato
di Julia Chatterley e Massimo Tagariello
Il Qe di Draghi? L'importante è che non si riveli un intervento «a metà», ovvero con la condivisione del
rischio tra Bce e banche centrali nazionali. L'Europa? Finalmente si sta respirando fiducia in una ripresa
anche nel Vecchio Continente. La riforma della banche popolari italiane? Il governo ha fatto bene, molto
bene. In questa intervista rilasciata a Class Cnbc a Davos, dove ha partecipato ai lavori del World Economic
Forum, Carlo Messina lancia messaggi di ottimismo. E alla vigilia del Qe della Bce l'attenzione del ceo di
Intesa Sanpaolo è concentrata sulle prospettive dell'Europa, la grande malata tra le grandi aree economiche
mondiali.
Domanda. A Davos si percepisce la sensazione che l'Europa sia arrivata a un punto di svolta?
Risposta. Non c'è dubbio che qui a Davos ci sia un clima di grande fiducia in merito al possibile recupero
dell'economia globale e anche di quella europea in particolare. Per esempio, in occasione del concerto di
Andrea Bocelli, organizzato nei giorni scorsi qui al World Economic Forum di Davos e sponsorizzato da
Intesa Sanpaolo , si respirava un feeling di grande positività sul futuro.
D. Che cosa dovrebbe fare Draghi sul fronte del Quantitative easing per non deludere le aspettative del
mercato? E che cosa ne pensa dell'ipotesi di condivisione dei rischi tra le banche centrali nazionali
nell'ambito dell'acquisto di titoli pubblici?
R. Credo che il punto centrale sia proprio evitare la condivisione del rischio, perché per gli investitori una
simile modalità significherebbe che non esiste una zona euro e questa è anche la mia opinione. Quello che è
importante non è tanto l'importo del Qe da parte della Bce, ma la modalità tecnica di assunzione del rischio.
Se si deciderà di non condividerlo, sarà una buonissima notizia per i mercati a prescindere dall'importo degli
acquisti, che sia di 500 o di 600 miliardi di euro. Credo peraltro ci sia già un clima da Qe, perché dalle Tltro
in poi è stato raggiunto l'obiettivo di innescare un processo di svalutazione dell'euro, risultato decisivo per
esercitare un impatto positivo sull'economia reale dell'Eurozona. Domani (oggi per chi legge, ndr) in ballo c'è
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Responsabile - Lodovico Antonini
RASSEGNA STAMPA
Anno XVI - 22/01/2015
A cura di Bruno Pastorelli – [email protected]
Ma il vero tema di confronto sarà quello della definizione delle posizioni da prendere dopo il blitz
dell’Esecutivo. Con un decreto legge, il cui testo ieri peraltro era soggetto alle ultime limature da parte degli
uffici dell’Esecutivo, il Governo Renzi obbliga le 10 banche popolari con più di 8 miliardi di attivi a
trasformarsi in Società per azioni nel giro di 18 mesi e ad abbandonare lo schema il principio del voto
capitario.
Tecnicamente il timer dei 18 mesi inizierà a scattare dalla pubblicazione delle disposizioni tecniche da parte
di Banca d’Italia. Difficile che i banchieri cerchino il muro contro muro con il governo, anche perchè sia
Banca d’Italia che la Bce tengono alta l’attenzione sulla materia. Tuttavia non è escluso che in sede di
conversione del decreto in Parlamento le banche chiedano di limare il provvedimento introducendo qualche
correttivo, così per ammorbidire l’impatto della trasformazione.
Del resto, la riforma del governo, da molti ritenuta necessaria per modernizzare il settore, è stata
interpretata come uno “strappo” alla luce delle modalità scelte (un decreto anzichè un disegno di legge) e
delle tempistiche, vista l’accelerazione improvvisa degli ultimi giorni. Senza contare che in seno ad
Assopopolari stava lavorando la commissione coordinata dal professor Angelo Tantazzi con Piergaetano
Marchetti e Alberto Quadrio Curzio, che era stata chiamata alla formulazione di una proposta di autoriforma
attesa entro la primavera. Una scelta voluta dal presidente dell’Assopopolari, Ettore Caselli, che sin dal suo
insediamento aveva evidenziato la necessità di un cambio di passo del settore, aumentando il peso degli
investitori istituzionali nei Cda delle banche. Da qui si dovrà ripartire per proporre eventuali modifiche al
provvedimento, il cui impianto, tuttavia, difficilmente potrà essere stravolto nelle sua essenza, a meno di
clamorosi colpi di scena.
Certo è che il mercato ha già dato il suo giudizio all’ipotesi del cambio di scenario, a vedere i rialzi di borsa.
Anche perchè la trasformazione in Spa delle popolari non può essere altro che il prologo a un avvio delle
fusioni nel comparto. Lo stesso ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan in una intervista a Reuters a Davos
ha confermato di aspettarsi «un qualche tipo di iniziativa. Mi aspetto entrambi (consolidamento e takeover) e
forse anche altre combinazioni». Padoan ha negato che l’accelerazione della riforma abbia «a che vedere con
le necessità di Mps». Tuttavia «se il mercato funziona meglio in termini di accesso al capitale questo faciliterà
tutte le transazioni, compreso forse Mps».
Gli analisti di Equita vedono «una forte accelerazione nel consolidamento» e non escludono aggregazioni che
«coinvolgano più di due soggetti (PopMilano, Bper, Creval e/o Banco Popolare), con la creazione di due
superpopolari che facciano capo a Ubi e Pop Milano». L’obiettivo, per tutte le banche, è evitare che la
trasformazione in Spa sia occasione per diventare facilmente scalabili. «Il periodo di 18 mesi - spiegano gli
analisti di Mebiobanca - consente alle popolari di considerare opzioni di fusioni e acquisizioni all’interno del
loro campo». Per questo è possibile che le banche scelgano prima con chi aggregarsi, e poi di trasformarsi in
Spa.
Certo è che «lo snellimento del sistema bancario non è una scelta facoltativa per le banche medio-piccole,
ma obbligata - spiega Massimo Figna, fondatore e gestore di Tenax Capital, fondo di investimenti con base a
Londra - perchè così come è la regolamentazione, e con tassi così bassi attuali, il Roi rimarrebbe sempre
inferiore al costo dell’equity». Il decreto «potrebbe generare un miglioramento della redditività del 2-3%, che
in parte il mercato sta già largamente incorporando nei prezzi. Ma molto dipenderà anche da modalità e
qualità delle fusioni». .@lucaaldodavi © RIPRODUZIONE RISERVATA Luca Davi
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IL SOLE 24 ORE giovedì 22 gennaio 2015
Decisivo il bilancio del 2014
Il decreto legge approvato dal Consiglio dei ministri sancisce la trasformazione “obbligata” in società per
azioni della banca popolare cooperativa che:
Federazione Autonoma Bancari Italiani via Tevere, 46 00198 Roma - Dipartimento Comunicazione & Immagine
Riservato alle strutture
Dipartimento Comunicazione & Immagine
Responsabile - Lodovico Antonini
RASSEGNA STAMPA
Anno XVI - 22/01/2015
A cura di Bruno Pastorelli – [email protected]
popolari di rilevanza sistemica, pur superando tutte lo stress test e l'asset quality review, hanno però dovuto
usare il margine di tempo consentito per mettersi a posto: sono per così dire borderline. Per rafforzarsi le
banche ricorrono perlopiù alle fusioni: ma se i loro statuti prevedono il voto capitario, solo con delle
acrobazie di governance e di poltrone possono ricorrere a quello strumento, anche se sono quotate in Borsa.
Il prezzo delle azioni non riflette il valore potenziale della banca, tant'è che basta l'annuncio dell'eliminazione
del voto capitario perché i listini prendano il volo. La conseguenza è che abbiamo banche sistemicamente
importanti, perlopiù efficienti, con buon radicamento sul territorio, che però risultano borderline nel nuovo
panorama della Banking Union.
Il Governo ha deciso di eliminare gli ostacoli al superamento di questa situazione: entro 18 mesi 10 banche
popolari, di cui 7 quotate, ma tutte sistematicamente importanti, dovranno diventare società per azioni. E lo
ha fatto, perdipiù, con lo strumento del decreto, evidentemente, e a mio avviso giustamente, ravvisando la
“necessità ed urgenza” di evitare che possano nascere problemi in quella parte del nostro sistema creditizio (
e magari sperando che in questo modo se ne possano risolvere alcuni, tanto per intenderci tra Siena e
Genova). Evidentemente per Francoforte, e quindi per Roma, l'obbligo di trasparenza richiesto a una banca
che per dimensione è sistematicamente rilevante, può essere soddisfatto solo con la governance di società per
azioni, e non con quella a voto capitario.
C'è la retorica della cooperazione: le banche popolari - scriveva Raffaele Bonanni a proposito delle vicende
BPM che mi indussero a dare le dimissioni da consigliere di quella banca– sono “la forma più compiuta di
partecipazione al governo dell'impresa, la forma più avanzata di democrazia economica”. E c'è la realtà degli
interessi, quelli di associazioni di soci, magari dipendenti e loro famigli, che organizzando e selezionando
l'affluenza in assemblea, riescono a controllare il voto. Nel 2011 in BPM il 73% del capitale era in mano di
non soci, il 27% in mano di 53.000 soci, di cui il 4% degli 8700 dipendenti organizzati nell'Associazione
Amici. Questi controllano il voto in assemblea, hanno un improprio coinvolgimento nelle scelte gestionali, in
particolare in quelle su avanzamenti e promozioni, senza nessuna responsabilità o rischio di sanzioni. Il
problema di agenzia c'è anche nelle società per azioni, c'è, moltiplicato, nelle piramidi societarie, ma c'è
perlopiù la possibilità di conquistare una maggioranza sufficiente a sostituire il management: una possibilità
che invece non esiste in caso di voto capitario. Fin quando possono esistere isole felici in cui risparmiatori
coscienti di non contare nulla corrono a dare i loro soldi a dipendenti perché la banca sia gestita in modo da
dare a loro vantaggi sicuri, ovviamente a scapito della redditività? E' nelle realtà di media dimensione che la
cooperazione può non essere retorica, dove anzi si può supporre che si sia ancora capaci di assegnare
correttamente il merito di credito alle imprese e ai loro progetti: che sono quindi fuori da quanto dispone il
decreto del Governo.
Giuste le ragioni dell'intervento, a lasciar sorpresi è il momento scelto: perché non è che siano mancate le
occasioni, nei 4 anni dopo il discorso del Draghi italiano e nei 4 mesi dopo il responso del Draghi europeo. Le
banche popolari, proprio per le ragioni implicite al voto capitario, possono contare su sostenitori tra tutte le
forze politiche rappresentate in Parlamento. Se a suggerire l'intervento del Governo non c'è qualche brutta
notizia di cui non si sia ancora a conoscenza, bisogna riconoscere che Matteo Renzi ha dato dimostrazione di
grande determinazione prendendo un provvedimento che gli potrebbe alienare consensi proprio mentre in
Parlamento hanno e avranno luogo votazioni di decisiva importanza per il futuro del Paese e suo.
Consideriamola allora come una dimostrazione di forza, e attendiamo con fiducia la conversione del decreto.
Giungerebbe proprio a tempo. Infatti uno degli scopi del QE che oggi verrà annunciato dalla BCE è di
consentire alle banche di erogare maggiori finanziamenti alle industrie. Ma se l'economia non cresce, gli
investimenti diventano più rischiosi, più difficile diventa assegnare il merito di credito. Se è vero che molte
banche popolari, anche alcune delle grandi, grazie a una maggiore prossimità alla clientela, hanno (ancora)
conoscenze e competenze per saperlo fare, è questo il momento per loro di concentrarsi interamente a
valorizzarle: libere dai conflitti di interesse tipici delle governance a voto capitario. © RIPRODUZIONE
RISERVATA
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A cura di Bruno Pastorelli – [email protected]
IL SOLE 24 ORE giovedì 22 gennaio 2015
Ecco come cambiare il proprio conto corrente
La rapida trasferibilità del conto corrente è indispensabile per aggiungere concorrenza nei servizi bancari. Il
cambio (o la ricontrattazione) permette di rsparmiare, la scarsa attenzione non coglie qualche riduzione di
prezzo(vedi tabella sulle spese fisse). Tutti i freni all’uscita, indirettamente, scoraggiano la voglia di provare
un nuovo istituto. Con la portabilità dei mutui si era già ottenuto un grande passo avanti, perchè i contratti
pluriennali di finanziamento alla casa rischiavano di mantenere “incatenati” i clienti allo stesso
intermediario. Con l’intervento di martedì, il Governo spinge ora a garantire la rapida chiusura , meno di due
settimane, per approdare in una banca ritenuta più efficiente. «Gli istituti bancari e i prestatori di servizi di
pagamento - ha deciso il Consiglio dei ministri - , in caso di trasferimento di un conto di pagamento, sono
tenuti a darne corso, senza oneri o spese di portabilità a carico del cliente, entro termini predefiniti. La
trasferibilità si applica ai soli conti di pagamento. In caso di mancato rispetto dei termini, l'istituto bancario o
il prestatore di servizi di pagamento risarcisce il cliente in misura proporzionale al ritardo e alla disponibilità
esistente sul conto di pagamento al momento della richiesta di trasferimento».
Non si parte da zero: il risparmiatore può avere un’idea dei tempi di trasferimento di un c/c consultando
www.pattichiari.it (sezione conti-correnti, tempi medi di chiusura), troverà per numerose banche i tempi
medi registrati nell’ultimo semestre. Per dare un esempio Intesa Sanpaolo prevede da un minimo di quattro a
un massimo di sette giorni. In relazione alla complessità dei servizi utilizzati, al trasferimento o meno del
dossier titoli collegato (dove vengono raggruppati gli investimenti), la presenza di carte di credito, servizi
Viacard e Telepass e dove entrano in gioco soggetti non bancari. Non tutti gli istituti sono così virtuosi e non
sono pochi i casi dove per lo spostamento di dossier titoli e carte di credito si superano i 15-20 giorni. Il
confronto proposto da PattiChiari (il consorzio costituito da 58 banche) proprio per monitorare la durata del
processo di chiusura , parte dalla consegna di tutti i documenti necessari all’apertura fino al completamento
delle operazioni di chiusura, con il riconoscimento del saldo (compresi gli interessi maturati). È interesse
della nuova banca prendere in carico rapidamente il nuovo cliente, aggiornando i nuovi riferimenti per gli
incassi e i pagamenti periodici (stipendi, utenze, rate e altro). Il processo è più rapido, ma non istantaneo, per
i clienti delle banche online.
Fra le guide di educazione finanziaria disponibili sul sito di Banca d’Italia (www.bancaditalia.it) i
risparmiatori possono consultare “Il conto corrente in parole s emplici” o in quello dell’Associazione bancaria
(www.abi.it) sulle “Quattro cose da sapere per chiudere un conto e trasferire su uno nuovo i conti i servizi di
pagamento collegati”. In caso di inadempienza ci si può rivolgere all’Arbitro Bancario Finanziario
(www.arbitrobancariofinanziario.it) ed entro 30 giorni la banca deve rispondere al cliente.
Fra le segnalazioni all’Arbitro il ritardo nella chiusura del c/c non è fra i casi frequenti. Nella “Posta del
risparmiatore” pubblicata ogni sabato da “Plus24” emergono invece casi di ritardo nel trasferimento del
dossier titoli, soprattutto in presenza di titoli complessi. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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SPESE FISSE IN CALO
Importi in euro
Operazione Spesa media 2013 Var. % su 2012
Canone base 33,4 -0,2
Canone bancomat 3,7 -10,2
Canone carte di credito 5,3 -5,6
Comunicazioni di trasparenza 0,7 -27,0
Invio estratto conto 2,9 -12,2
Altre spese fisse 9,6 -19,6
Totale spese fisse 55,7 -6,4
Fonte: rilevazione Bankitalia
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