UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI PADOVA Dipartimento di Ingegneria Industriale TESI DI LAUREA IN INGEGNERIA MECCANICA E MECCATRONICA CURRICULUM MECCANICO LA CAVITAZIONE NELLE MACCHINE A FLUIDO INCOMPRIMIBILE Relatori: Ch.mo Prof. MIRTO MOZZON Ch.mo Prof. RINO A. MICHELIN Laureando: STEVEN TIEPPO Anno Accademico 2013/2014 Introduzione La tesi tratta uno dei limiti principali delle macchine a fluido incomprimibile e dei dispositivi idraulici come le valvole. La cavitazione è quel fenomeno che si genera quando la pressione del liquido, in locazioni specifiche, scende al di sotto della tensione di vapore creando delle bolle che, in seguito, spostandosi in una zona di pressione superiore, implodono generando onde d’urto che possono danneggiare i materiali del dispositivo. Tale fenomeno è caratterizzato inoltre da un rumore caratteristico che si vedrà essere il miglior modo per rilevare l’entità del danno potenziale. Si passeranno in rassegna le tipologie di nucleazione delle bolle di vapore, le loro dinamiche sferiche e non sferiche, nel caso della crescita e del collasso, andando infine a fare una carrellata delle principali forme di cavitazione in grande scala. Si vedranno le tipologie del danno che questi cicli di implosione possono provocare, ed alcuni metodi per arginarli ed eventualmente eliminarli. In alcune occasioni non è possibile evitare l’insorgenza della cavitazione, quindi è necessario monitorarla per riuscire a prevenire i danni più severi. 1 INDICE CAPITOLO 1 - Cambio fase, nucleazione e cavitazione 1.1 Introduzione 5 1.2 Lo stato liquido 5 1.3 Fluidità ed elasticità 6 1.4 Resistenza alla trazione 7 1.5 Cavitazione ed ebollizione 8 1.6 Tipi di nucleazione 9 1.7 Nucleazione omogenea 9 1.8 Confronto con gli esperimenti 11 1.9 Nucleazione eterogenea 12 1.10 Numero dei siti di nucleazione 14 1.11 Contaminazione di gas 15 1.12 Nucleazione nei liquidi in movimento 16 1.13 Effetti viscosi 18 1.14 Incipiente cavitazione 19 1.15 Condizione di incipiente cavitazione 20 1.16 Dimensionamento di incipiente cavitazione 21 CAPITOLO 2 - Dinamiche della bolla sferica 2.1 Introduzione 23 2.2 Equazione di Rayleigh-Plesset 23 2.3 Contenuto delle bolle 25 2.4 Assenza dell’effetto termico 26 2.5 Stabilità delle bolle di vapore/gas 28 2.6 Cavitazione dalla diffusione di massa 31 2.7 Effetti termici sulla crescita 32 2.8 Crescita termicamente controllata 34 2.9 Effetti di convezione 35 2.10 Effetti della rugosità 36 2.11 Perturbazioni non sferiche 37 2 CAPITOLO 3 - Collasso delle bolle 3.1 Introduzione 39 3.2 Collasso della bolla 39 3.3 Collasso controllato termicamente 41 3.4 Effetti termici sul collasso 42 3.5 Forma non sferica nel collasso 43 3.6 Danni della cavitazione 48 3.7 Collasso delle nuvole 52 3.8 Rumore della cavitazione 52 3.9 Luminescenza 56 CAPITOLO 4 - Dinamica delle bolle oscillanti 4.1 Introduzione 59 4.2 Frequenza naturale 59 4.3 Costante politropica effettiva 62 4.4 Termini di smorzamento 64 4.5 Effetti non lineari 65 4.6 Analisi debolmente non lineari 67 4.7 Soglia per la cavitazione transitoria 69 4.8 Rettificazione della diffusione di massa 70 4.9 Forze di Bjerknes 72 CAPITOLO 5 - Flussi cavitanti 5.1 Introduzione 74 5.2 Bolle in movimento 74 5.3 Interazioni bolle/flusso 75 5.4 Osservazioni sperimentali 76 5.5 Cavitazione in larga scala 79 5.6 Cavitazione in vortici 80 5.7 Nuvole di cavitazione 85 5.8 Fogli di cavitazione o cavitazione allegata 85 3 5.9 Lamine cavitanti 88 5.10 Chiusura di cavità 89 Conclusioni 90 Bibliografia e sitografia 92 4 CAPITOLO 1 Cambio fase, nucleazione e cavitazione 1.1 Introduzione In questo capitolo ci si focalizza sui meccanismi di formazione della miscela bifase liquido-vapore, facendo particolare attenzione al processo di creazione delle bolle di vapore in un dato liquido. Si osservano i fondamentali fisici della nucleazione di tali bolle, separando i due campi di interesse: cavitazione ed ebollizione. Una utile approssimazione per distinguere questi due processi è definire la cavitazione come il processo di nucleazione in un liquido, quando la pressione cade al di sotto della tensione di vapore del liquido stesso, mentre l’ebollizione come il processo di nucleazione in un liquido, quando la temperatura è aumentata sopra a quella di saturazione liquido/vapore. Certamente da un punto di vista fisico ci sono poche differenze tra i due processi, ma tali differenze avvengono per via delle diverse complicanze nei flussi cavitanti, da una parte, e nei gradienti di temperatura e negli effetti delle pareti dall’altra. 1.2 Lo stato liquido Ogni discussione sul cambio di fase da liquido a gas o viceversa deve necessariamente essere preceduta da una discussione sullo stato liquido. Questa discussione avviene utilizzando un diagramma di fase che può essere considerato valido per varie sostanze di interesse pratico. La Figura 1.1 mostra un tipico grafico di pressione, p, temperatura, T, e volume specifico, V, dove viene indicato ogni stato della sostanza. Il punto triplo, è quel punto nel diagramma in cui coesistono gli stati solido, liquido e di vapore, e questo indica che la sostanza ha tre configurazioni stabili alternative. La linea di saturazione liquido/vapore (“binodal” nella figura di destra) si estende da questo punto, al punto critico, che viene termodinamicamente definito come il punto al quale il potenziale chimico di due fasi coesistenti deve essere uguale (“critical point”). Guardando il diagramma p-V: considerando di partire da una condizione di liquido puro nel punto A, se si depressurizza mantenendo la temperatura costante, lo stato del liquido varia lungo un’isoterma fino al punto B che è la condizione di liquido saturo, alla pressione del vapor saturo; se sono presenti sufficienti siti di nucleazione il liquido saturo diviene vapor saturo proseguendo da B verso C. Se invece non sono presenti sufficienti siti di nucleazione, la configurazione scende lungo la “theoretical isotherm” fino al punto D che è un punto di equilibrio metastabile. Un liquido allo stato D è detto “in tensione”, e la differenza di pressione tra B e D indica quello stato di tensione. 5 Figura 1.1: Diagramma di fase. Brennen (1995) Si può arrivare allo stato D anche da D’ aumentando la temperatura; la differenza di temperatura tra D e D’ è detto “surriscaldamento”. Caso analogo con F-F’ dove la differenza di temperatura è detta “grado di sottoraffreddamento del vapore”. 1.3 Fluidità ed elasticità Prima di procedere con maggiori dettagli è necessario vedere alcune differenze importanti tra le caratteristiche dello stato liquido e compararle con quelle dello stato solido cristallino e gassoso. La prima differenza tra liquido saturo e vapor saturo sta nella densità, nel liquido rimane praticamente costante e simile a quella del solido fino alla temperatura critica, mentre nel vapore può cambiare da 2 a 5 o più ordini di grandezza, cambiando radicalmente con la temperatura. Il calore specifico del liquido saturo è circa dello stesso ordine di quello del solido, eccetto in un intervallo di temperatura prossima a quella critica, . Di conseguenza anche il movimento termico delle molecole del liquido è simile a quello del solido, e questo implica la formazione di vibrazioni di piccola ampiezza. In molti processi pratici si ha dominante fluida piuttosto che elastica, e per questo si tende a considerare un liquido molto più simile ad un gas anziché ad un solido, ma anche nel solido si ha una componente di fluidità, che è mostrata quando si raggiunge una temperatura di circa il 60-80% di quella di fusione, questa fluidità allo stato solido è nota come creep, fenomeno che avviene per migrazione delle molecole nel reticolo cristallino a causa dell’agitazione termica. Si può allora, sia nel solido che nel liquido, prevedere un certo tempo, tm , per la migrazione di una molecola da una posizione della struttura ad un’altra. Se il tempo, t, associato alle forze applicate a tale struttura, è molto piccolo in confronto a tm allora il comportamento mostrato è di tipo elastico, d’altra parte se t tm si ha fluidità. L’osservazione del tempo, t, diventa molto importante quando il fenomeno viene controllato da eventi come la diffusione delle “vacanze” nella diffusione al creep. Per un 6 periodo di tempo molto lungo è probabile che le vacanze si fondano, creando una sacca di vapore che condurrebbe all’avvio della nucleazione. Si ha anche la possibilità che il liquido possa rimanere in uno stato di tensione (pressione negativa) per un significante periodo di tempo prima che si formi quella sacca, questa abilità del liquido è una chiara manifestazione della sua elasticità. 1.4 Resistenza alla trazione Frenkel (1955) illustrò la potenziale resistenza alla trazione di un liquido puro con il semplice metodo che segue. Considerando due molecole separate da una distanza, s, l’energia potenziale, ϕ, tra le due, dipende dal tipo di legame intermolecolare presente e ha la forma di Figura 1.2. L’equilibrio avviene alla distanza, , che è tipicamente dell’ordine di 10 -10m. La forza di attrazione è la derivata spaziale dell’energia potenziale F = (∂ϕ/∂x) cioè la pendenza della tangente alla curva in un dato x. Figura 1.2: Potenziale intermolecolare. Brennen (1995) Si nota che la forza mostra un massimo in dove il rapporto ⁄ è dell’ordine di 1.1 o 1.2, e a tale distanza si ha un seguente aumento di volume, / 0, di circa un terzo del valore iniziale. L’applicazione di una tensione costante, σ, equivalente alla forza F causerebbe la rottura del legame liquido o solido. Da notare che il gradiente di F è negativo fino a , al quale la pendenza si annulla, positivo aumentando fino a , dove si presenta un flesso (massimo della pendenza), e si annulla proseguendo oltre. Di conseguenza per la forza F è insufficiente per contrastare la tensione σ. Infatti i liquidi e i solidi hanno un modulo di comprimibilità, k, di solito nell’intervallo da 1010 a 1011 kg/ms2, e poiché la pressione è data da p = -k( / 0) segue che la pressione tipica alla quale si rompe il liquido va da -3x109 a -3x1010 Pa. Su tale base si può stimare che un liquido o un solido dovrebbero resistere ad una tensione da 3x104 a 3x105 atmosfere. 2 L’energia elastica accumulata per unità di volume del sistema è data da k /2 0 oppure per sopra da p /2, quindi l’energia per dividere le molecole e vaporizzare deve essere |p |/6 cioè tra 5x108 e 5x109 Pa. 7 Questo risultato è in accordo con l’ordine di grandezza del calore latente di vaporizzazione calcolato per molti liquidi. Si può anche stimare l’ordine di grandezza della assumendo che l’energia cinetica del movimento termico per molecola, k , sia uguale all’energia richiesta per dividere le molecole (con k costante di Boltzmann 1.38x10-23 kgm2/s2K). Prendendo 1030 molecole per metro cubo, questo implica che 30 300 K, che è in accordo con gli ordini di grandezza degli attuali valori. Nonostante questo modello preveda correttamente gli ordini di grandezza di calore latente e di temperatura critica, non riesce a stimare correttamente la tensione alla quale il liquido può resistere. Questo perché la tensione, dipende dalle debolezze interne alla struttura liquida che sono difficilmente calcolabili e quantificabili. 1.5 Cavitazione ed ebollizione La resistenza alla trazione di un liquido si può manifestare nei due modi già accennati: 1. Mantenendo la temperatura costante, diminuendo la pressione, p, al di sotto della tensione di vapore, pV. Il valore della differenza (pV – p) è detto tensione p, e la grandezza alla quale avviene la rottura del legame liquido è detta resistenza alla trazione del liquido pC. Il processo di “rottura” del liquido in questo modo è detto cavitazione. 2. Mantenendo il liquido a pressione costante, aumentando la temperatura, T, ad un valore superiore a quello di saturazione, TS. Il valore della differenza (T –TS) è il grado di surriscaldamento , e il valore al quale avviene la formazione del vapore è detto surriscaldamento critico C. Questo processo è detto ebollizione. Tali valori di tensione e surriscaldamento possono essere relazionati tra loro quando le grandezze sono abbastanza piccole. Dalla relazione di Clausius-Clapeyron nelle condizioni di saturazione si ha: p 1 1 [1.1] con V e L densità di saturazione del vapore e del liquido rispettivamente, mentre L è il calore latente di vaporizzazione. Nella maggior parte dei casi, tranne vicino al punto critico, si ha che la densità del liquido è molto maggiore di quella del vapore, di conseguenza, il termine L-1 nella [1.1] diventa trascurabile, quindi si ha p/ ≈ VL/T quindi integrando: p 8 [1.2] 1.6 Tipi di nucleazione Nelle applicazioni pratiche le debolezze che possono dar luogo alla nucleazione avvengono in 2 modi. I moti termici all’interno del liquido formano dei temporanei vuoti microscopici, che possono costituire i nuclei necessari per la rottura del legame, e la formazione e crescita di bolle macroscopiche. Questa nucleazione è detta omogenea. Nelle pratiche ingegneristiche le situazioni più comuni di punti d’innesco avvengono al confine tra liquido e parete solida del contenitore, o tra liquido e piccole particelle sospese nel liquido stesso, questo tipo di nucleazione è detta eterogenea. Ulteriori debolezze nella massa liquida possono essere, microbolle di gas presenti nelle fessure (cavità) del legame solido, o nelle particelle sospese o semplicemente nel liquido. Nell’acqua, le microbolle di aria sono sempre presenti e impossibili da rimuovere completamente. 1.7 Teoria della nucleazione omogenea In un liquido puro la tensione superficiale, S, è la manifestazione macroscopica della forza intermolecolare che tende a mantenere unite le molecole, e prevenire la formazione di buchi. La pressione del liquido, p, esterna ad una bolla di raggio R, è relazionata alla pressione interna della bolla, pB, dalla seguente relazione: p 2 p [1.3] Se la temperatura è uniforme e la bolla contiene solo vapore, allora la pressione interna, pB, è la pressione di saturazione del vapore pV, quindi la pressione esterna, che dalla [1.3] diventa p = pV – 2S/R, deve essere minore della tensione di vapore per avere una condizione di equilibrio. Di conseguenza, se la pressione esterna fosse, anche solo leggermente, minore di pV – 2S/R, la bolla crescerebbe e aumentando di raggio risulterebbe avere una pressione interna maggiore di quella esterna. Segue che se la massima dimensione dei vuoti presenti è RC (raggio critico), allora la resistenza alla trazione del liquido diventa: 2 p [1.4] Questa relazione è la prima di tre equazioni che costituiscono la teoria della nucleazione omogenea. La seconda equazione che bisogna identificare è quella riguardante l’energia che si deve fornire al corpo liquido, in modo da creare un nucleo o una microbolla della dimensione critica RC. Assumendo che il nucleo critico sia termodinamicamente in equilibrio con l’ambiente circostante dopo la creazione, allora l’energia che bisogna dare al liquido è composta da due fattori: 9 1. Dell’energia per tener conto di quella presente sulla superficie della bolla. Dalla definizione di tensione superficiale quest’importo è dato da S per unità di superficie, per un totale di 4πRC2S. 2. Il liquido deve essere disposto verso l’esterno, e questo implica un lavoro dal o verso il sistema. Tale lavoro è il prodotto tra volume della bolla e differenza di pressione: 4π C3 pC/3 questo è il lavoro fatto dal liquido per ottenere lo spostamento implicato dalla creazione della bolla. L’energia netta che deve essere data per formare la bolla, è: 4π 2 4 π 3 3 p 4 π 3 2 [1.5] eliminando il raggio RC: 3 16π 3 p2 [1.6] L’ultimo passaggio della teoria della nucleazione omogenea è la valutazione del meccanismo di deposito dell’energia, e la probabilità che questa possiede di raggiungere la grandezza WCR nel tempo a disposizione. Nel corpo del liquido completamente isolato da ogni radiazione esterna, ci si riconduce alla valutazione della probabilità che il movimento termico delle molecole possa portare ad una locale perturbazione di energia di quella grandezza. Molte teorie su questa tipologia di nucleazione, relazionano questo lavoro WCR alla energia cinetica tipica delle molecole (vista in §1.4), esprimendo la formula in termini del numero di Gibbs risulta [1.7] k Di conseguenza, un dato numero di Gibbs corrisponde ad una certa probabilità di nucleazione in un dato volume durante un dato tempo a disposizione. Altre formule, invece, relazionano il tasso di nucleazione, J, definito come numero degli eventi di nucleazione in un’unità di volume per unità di tempo, con il numero di Gibbs, assumendo la forma seguente: [1.8] dove JO è il fattore di proporzionalità che per Blander e Katz (1975), assume la tipica forma successiva: 1 2 2 ( ) πm [1.9] dove N è il numero di densità del liquido, espresso come molecole/m3, ed m è la massa di una molecola. 10 1.8 Confronto con gli esperimenti Il tasso di nucleazione J varia con la temperatura, ed è quindi importante identificarne l’ordine di grandezza per poter capire le osservazioni sperimentali sul fenomeno. Dalla [1.6], [1.7] e [1.8] si può ricavare il valore di pC come: p ( 16π 3k ln ( 1 2 3 , [1.10] * Questa formula si usa per calcolare la resistenza alla trazione del liquido, data la temperatura, e conoscendo la variazione della tensione superficiale con la temperatura, e altre proprietà del fluido come la definizione di un tasso di nucleazione critico J. Si nota che l’effetto più importante causato dalla temperatura è quello della variazione di S3 al numeratore, dato che S è approssimativamente lineare con la temperatura, andando a zero al punto critico, si ha che la resistenza alla trazione è fortemente funzione della temperatura vicino al punto critico. Mentre, ogni dipendenza dalla temperatura nel termine JO è praticamente trascurabile, poiché si trova all’argomento di un logaritmo. Si divide in due la discussione dei risultati sperimentali, sopra e sotto la temperatura alla quale la pressione spinodale è circa zero. Questa temperatura è empiricamente data da T/TC = 0.9, per temperature comprese tra (0.9-1)TC, la resistenza alla trazione del fluido è abbastanza modesta, poiché il raggio critico, a tali temperature, è piuttosto grande. Ad esempio per 1bar di tensione si ha un RC di circa un micrometro, questo implica che le microcontaminazioni di particelle, o le microbolle hanno un piccolo effetto sull’esperimento in questo intervallo di temperatura. Figura 1.3: Osservazione sperimentale della vita media di etere dietilico surriscaldato a quattro pressioni diverse, in funzione della temperatura di saturazione. Skripov (1974) 11 Figura 1.4: Limite di surriscaldamento per cinque liquidi diversi, comparato con la linea del liquido spinodale da cinque equazioni di stato diverse. Brennen (1995) Nella Figura 1.3 viene riportata l’osservazione sperimentale della vita media in secondi, plottata con la temperatura di saturazione di un’unità di volume di liquido surriscaldato (nello specifico etere dietilico). Sempre nell’intervallo TC > T > 0.9TC, si nota che finché J-1 è minore di 5 secondi si ha comportamento di nucleazione omogenea, mentre la radicale deviazione dell’esperimento si ha per J-1 > 5s causata principalmente da radiazioni che inducono nucleazione ad un più piccolo valore del surriscaldamento. La figura mostra anche quanto debolmente il limite del surriscaldamento dipenda dal tasso di nucleazione critico. Finché le linee sono per lo più verticali, si può ottenere, dai risultati sperimentali, un massimo valore del surriscaldamento possibile senza la necessità di stipulare uno specifico tasso di nucleazione critico. La Figura 1.4 mostra i dati del limite di surriscaldamento per 5 tipi diversi di liquido. Per molti liquidi in questo intervallo di pressioni positive, il massimo surriscaldamento possibile è accuratamente previsto dalla teoria della nucleazione omogenea. Se si considerano temperature più basse di 0.9TC la teoria della nucleazione omogenea funziona ancora in modo soddisfacente, però aumentano le incertezze, poiché questa teoria implica tensioni pC sempre più grandi e quindi raggi critici sempre più piccoli. Di conseguenza ci deve essere qualche altro tipo di nucleazione che prende il sopravvento, causando la rottura a tensioni molto minori di quelle previste dalla omogenea. 1.9 Nucleazione eterogenea Nella nucleazione omogenea si sono considerati vuoti microscopici di raggio R, i quali crescono causando la rottura, quando la pressione del liquido si abbassa al di sotto del valore critico pV – 2S/R, con tensione data dalla [1.3]. Ora invece si considerano un numero di analoghe situazioni all’interfaccia solido/liquido come illustrato in Figura 1.5. L’angolo di contatto nell’intersezione liquido/vapore/solido è denotato da θ. Nel caso di piano a superficie idrofoba, la resistenza alla trazione è data da 2 sinθ/ con R dimensione massima del vuoto, quindi tende a zero quando θ tende a π. Nell’altro caso, con superficie idrofila, la resistenza alla trazione è simile a quella della nucleazione omogenea finché le dimensioni massime dei vuoti sono comparabili. 12 Figura 1.5: Vari modelli di nucleazione eterogenea. Brennen (1995) Perciò, si potrebbe concludere che la presenza di una superficie idrofoba, causerebbe nucleazione eterogenea, conferendo una resistenza alla trazione molto minore. In scala microscopica, le superfici non sono uniformi o piane, perciò bisogna considerare gli effetti di superfici locali di diverse geometrie. Ad esempio, la cavità conica di Figura 1.5 è usata di solito per esemplificare gli effetti della geometria di superficie. Se metà dell’angolo al vertice della cavità è chiamato α, è chiaro che la resistenza alla trazione è nulla quando θ α + π/2 piuttosto che θ → π. Inoltre, se θ > α + π/2 è chiaro che la bolla di vapore crescerà fino a riempire la cavità, a pressione superiore a quella di saturazione del vapore. Considerando quindi l’intervallo di superfici geometriche microscopiche, non sorprende che le sacche di vapore crescano all’interno di particolari cavità superficiali a pressione vicina a pV, soprattutto quando la superficie è idrofoba. Viene spontaneo porsi il quesito su come si formi la prima sacca di vapore, è plausibile che minuscole sacche di gas estraneo siano assorbite dalla superficie del solido durante la sua formazione. Quindi, la presenza di questi gas estranei e la geometria della superficie, promuovono la crescita e l’aspetto macroscopico delle bolle di vapore. Allora essi sono detti siti di nucleazione, e con più si riduce la pressione maggiori sono i siti che diventano attivi, divenendo capaci di formare e rilasciare bolle nel corpo del liquido. Questi eventi possono essere visti, in modo simile, durante l’ebollizione dell’acqua, dove all’inizio le bolle si formano solo in certi siti vicini alle pareti del contenitore, e proseguendo con l’ebollizione si aumenta il numero di siti attivi, quindi la densità dei siti di nucleazione è funzione della temperatura. 13 1.10 Numero dei siti di nucleazione In un serbatoio in ebollizione, il liquido più caldo si trova a contatto con la parete solida riscaldata, quindi tutti i siti di nucleazione importanti stanno su quella superficie. Per quantificare il processo di nucleazione è necessario definire una funzione della densità di distribuzione sulla superficie per questi siti di nucleazione, N(RP), con RP raggio del sito di nucleazione e dove N(RP)dRP è il numero di siti con grandezza tra RP e RP+dRP per unità di area. Bisogna inoltre conoscere l’intervallo di grandezze utilizzato nelle operazioni ad un dato surriscaldamento . Tutte le dimensioni maggiori di un certo raggio RP* sono allora eccitate da una tensione di β / RP* con β costante circa pari all’unità, questo corrisponde ad un surriscaldamento critico β T * Quindi, il numero di siti per unità di superficie n( specifico surriscaldamento è dato da n ∫ β [1.11] ), portato nelle operazioni con uno [1.12] La Figura 1.6 illustra questo effetto, sulla sinistra sono riportate le misure del numero di siti attivi per unità di superficie, n, per una superficie di rame lucidato, e tre liquidi diversi. Sulla destra si ha il grafico tracciato usando la [1.11] con β = 2, che dimostra la veridicità della [1.12] per la particolare superficie. Se si differenziano i nuclei chiamando, quelli sulla parete solida nuclei di superficie, e quelli all’interno della massa fluida nuclei di flusso libero, si può dire che è molto più complicato identificare il carattere dei nuclei di flusso libero, ad esempio come possano esistere microbolle piene di gas estraneo al liquido per una certo intervallo di tempo, piuttosto che il carattere dei nuclei di superficie. Non è possibile valutare separatamente il numero delle particelle solide e delle microbolle presenti, nonostante entrambi possano agire come siti di nucleazione per la cavitazione, le microbolle sono più prontamente crescenti e osservabili macroscopicamente. Un metodo per contare solo questi nuclei, consiste nel risucchiare il liquido attraverso un venturimetro. I nuclei cavitano per la bassa pressione della gola nel venturimetro, e possono essere contati a patto che la concentrazione sia abbastanza piccola, in modo che gli eventi siano separati nel tempo. Inoltre, in questo modo, si nota che la concentrazione dei nuclei può essere ottenuta come funzione del livello di pressione nella gola, conoscendo la portata del fluido. Tali accorgimenti sono conosciuti come “metri di suscettibilità alla cavitazione” e tendono ad essere limitati ad una concentrazione inferiore ai 10 cm-3. 14 Figura 1.6: Dati sperimentali sul numero dei siti di nucleazione attivi per unità di superficie, nel caso di rame lucidato. Griffith e Wallis (1960) 1.11 Effetti della contaminazione dei gas Virtualmente ogni liquido contiene gas disciolti, ed è impossibile eliminarli completamente da un dato volume di liquido. Per esempio, ci vogliono settimane di deaerazione per ridurre la concentrazione di aria in una certa quantità d’acqua sotto a 3ppm (la saturazione a pressione atmosferica è di circa 15ppm). Se le bolle di nucleazione contengono del gas, allora la pressione nelle bolle è la somma della pressione del gas, pG, e di quella del vapore, pV. Quindi l’equilibrio della pressione nel liquido risulta, dalla [1.3], p = pV + pG – 2S/R quindi, segue che la resistenza alla trazione (dalla [1.4]) è pC = 2S/R - pG, cioè tale resistenza diminuisce con la presenza dei gas disciolti. Inoltre, se la concentrazione dei gas disciolti è sufficiente da portare grandi valori di pG, allora la resistenza alla trazione può risultare negativa, e le bolle, in queste condizioni, crescono ad una pressione del liquido molto più alta della tensione di vapore. Ci si riferisce alle circostanze alle quali il liquido non è saturo con il gas alla pressione di mantenimento, in teoria non possono esistere bolle di gas in equilibrio, in un liquido insaturo di tale gas, esse dovrebbero dissolversi e sparire, causando un notevole aumento della resistenza alla trazione del liquido. Nonostante questo sia vero, che degassazione o trattamenti ad alte pressioni incrementino la resistenza, l’effetto non è così grande come ci si aspetterebbe. Per tale accorgimento ci sono tre spiegazioni plausibili: 1. Harvey (1944) disse che la bolla esiste in una particella o in una fessura della superficie e persiste perché la sua geometria è tale che la superficie libera mostra una curvatura altamente convessa vista dal fluido, cosicché la tensione superficiale sopporti l’alta pressione del liquido. 15 2. Possibilità della continua produzione di nuclei, per effetto della radiazione cosmica 3. Fox e Herzfeld (1954) ipotizzarono la presenza di una pelle organica che desse alla superficie della bolla un’elasticità sufficiente per resistere alla alta pressione. Inizialmente meno plausibile delle altre due, ma ora maggiormente accettata perché alcuni sviluppi tecnologici (microscopi elettronici), mostrano che piccole quantità di contaminazioni nel liquido possono generare grandi effetti di elasticità superficiale. 1.12 Nucleazione nei liquidi in movimento La più comune forma di cavitazione si ha nel moto fluido dei liquidi, dove gli effetti idrodinamici si hanno in regioni del fluido dove la pressione cade sotto alla tensione di vapore del fluido stesso. Reynolds (1873), fu il primo che tentò di spiegare il comportamento insolito delle eliche navali a velocità angolari elevate. Ipotizzò la possibilità del trascinamento di aria nelle scie delle pale dell’elica, fenomeno che oggi viene chiamato ventilazione. Sembra però che non avesse considerato la passibilità di avere vapore nelle scie, e lasciò a Parsons (1906) lo studio di questo fenomeno, e lo sviluppo del primo esperimento sulla cavitazione. Si considerano ora delle ipotesi: la singola fase di flusso di un liquido Newtoniano di densità costante, L, un campo di velocità ui(xi), e un campo di pressione p(xi), in tutti questi campi di flusso è conveniente definire una velocità di riferimento U∞ ed una pressione di riferimento p∞. Nel flusso esterno attorno al corpo solido queste due sono convenzionalmente la velocità e pressione del flusso uniforme a monte del corpo. Definendo un coefficiente di pressione come xi 2 p xi – p∞ ∞ 2 [1.13] ci sono delle posizioni, xi*, nel flusso, dove CP e p sono minime, e quel valore del coefficiente di pressione viene denotato per convenienza con CPmin che è un numero negativo. Gli effetti viscosi nel flusso sono caratterizzati da LU∞l/μL = U∞ /νL (numero di Reynolds) dove μL è la viscosità dinamica e νL è la viscosità cinematica ed l è la lunghezza caratteristica. Si tratta ora di stabilire cosa accade quando in un dato flusso la pressione totale diminuisce o la velocità del flusso aumenta, in modo che ad un certo punto la pressione si avvicini alla tensione di vapore del liquido alla temperatura di riferimento T∞ . Si definisce, per tale proposito, il numero caratteristico di cavitazione, σ come σ p∞ p ( 1 2 2 ∞ ∞) [1.14] Ogni portata di flusso, in cavitazione o no che sia, ha un certo valore di σ. L’avvio della cavitazione avviene ad un valore detto numero caratteristico di incipiente cavitazione 16 σi. Per il momento si trascurano le difficoltà pratiche dell’osservazione dell’incipiente cavitazione. In un flusso ipotetico di un liquido che non può resistere ad alcuna tensione, e nel quale le bolle di vapore appaiano istantaneamente quando la pressione raggiunge il valore pV, è chiaro che σi min [1.15] e il numero di cavitazione può essere accertato con osservazioni o misure sul flusso in singola fase. Per spiegare questo si considera la nucleazione, di nuclei a flusso libero, come il movimento lungo una linea di flusso contenente (xi*) come in Figura 1.7, nella quale per σ > -CPmin la pressione è maggiore della tensione di vapore, per σ -CPmin i nuclei trovano una pressione pari a pV solo per un momento infinitesimo, mentre ne caso in cui sia σ > -CPmin i nuclei sono ad una pressione inferiore a quella di vapore per un certo periodo di tempo finito. Ci sono due fattori per cui σi è diverso da -CPmin: - il primo motivo è che la nucleazione potrebbe non avvenire a p = pV; in un liquido degassato la nucleazione potrebbe aver bisogno di una tensione positiva, pC, quindi la nucleazione richiederebbe un numero caratteristico di incipiente cavitazione minore rispetto all’opposto del coefficiente di pressione minimo, cioè σi = -CPmin - 2 pC/ LU∞2 . In un liquido con grandi quantità di gas contaminante, pC potrebbe essere negativo (come visto in §1.11) e dare quindi un numero caratteristico maggiore di -CPmin. - il secondo motivo è che la crescita di un nucleo fino ad una grandezza osservabile richiede un certo tempo sotto le condizioni di p < pV - pC. L’effetto del tempo di permanenza causa un’osservazione di σi < -CPmin - 2 pC/ LU∞2. Come si vedrà più avanti il numero caratteristico di cavitazione può dipendere, inoltre, anche dalla temperatura del liquido. Figura 1.7: Schematica distribuzione di pressione su una linea di flusso. Brennen (1995) 17 1.13 Effetti viscosi Fino ad ora si è parlato di condizioni ideali con portata uniforme. Quando gli effetti viscosi vengono considerati, CPmin diventa funzione del numero di Reynolds, e si vorrebbe osservare una dipendenza da questo anche nel numero caratteristico di cavitazione per un flusso costante. Fino ad ora si è assunto che il flusso e le pressioni fossero laminari e costanti, tuttavia nell’ingegneria si ha a che fare con flussi non solo turbolenti, ma anche non costanti, che verificano distacco libero e forzato di vortici. Questo aspetto ha un’importante conseguenza per l’incipiente cavitazione, perché al centro del vortice la pressione può essere significativamente minore di quella media nel flusso avendo una maggiore velocità del liquido, e quindi la misura di -CPmin susciterebbe la pressione media minore, mentre la cavitazione potrebbe avvenire prima, in un vortice transitorio nel quale la pressione fosse molto più bassa di quella media minore. Diversamente, il tempo di permanenza tenderebbe a causare un più alto valore di σi di quello che ci si aspetterebbe, causando anche la sua variazione in dipendenza con Re; per distinguerlo dall’effetto di Re su CPmin, lo si chiama effetto di turbolenza. Quindi ci sono diverse ragioni per cui σi potrebbe essere diverso da -CPmin calcolato sulla conoscenza della pressione in una portata di liquido monofase: Presenza di resistenza alla trazione → diminuisce σi Tempo di permanenza → riduce σi Presenza di gas contaminanti → aumenta σi Effetti viscosi costanti dovuti alla dipendenza di CPmin a Re, possono causare la dipendenza del numero di incipiente cavitazione come funzione di Re 5. Presenza di turbolenze → incremento di σi 1. 2. 3. 4. Quindi per questi fattori il criterio di σi = -CPmin non può essere usato, perciò ci sono dei parametri che devono essere controllati in condizione di incipiente cavitazione quali: Il numero caratteristico di cavitazione σ Il numero di Reynolds Re La temperatura media del fluido T∞ Qualità del liquido inclusi numero e natura dei nuclei di flusso libero, l’ammontare dei gas disciolti e la turbolenza del flusso libero Qualità del solido, superfici di confine, incluse la rugosità, porosità e popolazione nella cavità. 18 1.14 Incipiente cavitazione Il primo effetto che si illustra è quello dell’incertezza nella stima della resistenza alla trazione del liquido. È molto difficile caratterizzare e praticamente impossibile rimuovere da un corpo liquido tutte le particelle, microbolle e le varie contaminazioni da gas che interessano la nucleazione. Tali inclusioni possono causare delle sostanziali differenze nel numero caratteristico di cavitazione in “strutture” diverse, ma anche nelle stesse strutture trattando il liquido in modo differente. La Figura 1.8 mostra la variazione di σi in diversi esperimenti sulla stessa sagoma in diverse parti del mondo. I dati ottenuti da Keller (1974) per σi in flussi intorno a corpi emisferici sono riportati in Figura 1.9, dove l’acqua è stata trattata in modi diversi per farle acquisire differenti concentrazioni di nuclei. Come si poteva immaginare, l’acqua con maggior concentrazione di nuclei mostra un maggior numero caratteristico di cavitazione. Poiché i nuclei di cavitazione sono cruciali per la comprensione del fenomeno di incipiente cavitazione, è ormai riconosciuto che il liquido in ogni esperienza di quella condizione deve essere monitorato, misurando il numero dei nuclei presenti. Figura 1.8: Numero caratteristico di incipiente cavitazione misurato per la stessa forma assialsimmetrica in un tunnel ’a qua in iv rs parti l mon o. in gr n ohnsson (1966), ohnsson (1969). È da notare che la stessa cavitazione è fonte di nuclei, poiché l’aria dissolta nel liquido tende ad uscire dalla soluzione a basse pressioni e a contribuire con una pressione parziale all’interno delle bolle macroscopiche della cavitazione. Quando la bolla si porta in una regione con maggiore pressione e il vapore condensa, rimane una piccola bolla d’aria che si ridiscioglie molto lentamente. Si è osservato che dopo pochi minuti di funzionamento con un corpo cavitante, nella sezione di lavoro, le bolle di cavitazione crescono rapidamente in numero e si diffondono per tutta la struttura in considerazione, fino ad arrivare all’osservazione di un flusso bifase. 19 Figura 1.9: Istogrammi della popolazione dei nuclei in acqua di rubinetto trattata e non trattata, e i corrispondenti numeri di incipiente cavitazione su forme emisferiche di tre diverse diametri, 3cm, 4.5cm, e 6cm. Keller (1974) Uno degli effetti della cavitazione sulla popolazione dei nuclei in una struttura è che il numero caratteristico di cavitazione al quale la cavitazione sparisce (σd), quando la p viene aumentata, può essere diverso da quello al quale appare quando la pressione cala. Il primo termine, σd, è detto numero caratteristico di cavitazione desinente. La differenza tra σd e σi è detto fenomeno di isteresi della cavitazione. Una complicanza è quella della visione dell’apparizione della cavitazione, poiché non è sempre possibile da vedere e quando è visibile la manifestazione è particolarmente soggettiva, invece, il rumore prodotto dal fenomeno è più semplice da misurare, e le misure sono maggiormente ripetibili, e quantificabili. Se il liquido è abbastanza pulito con solo nuclei molto grandi, la tensione alla quale il liquido può resistere sta ad indicare la minima pressione che si dovrebbe avere per cadere sotto alla tensione di vapore e far iniziare la cavitazione. Così σi sarebbe molto più piccolo di -CPmin, e questo indica che la qualità dell’acqua e dei suoi nuclei potrebbe causare un numero caratteristico di cavitazione incipiente più grande o più piccolo di quel valore trovato nella [1.15]. 1.15 Condizione di incipiente cavitazione Si considerano prima le caratteristiche di incipienza di una singola aletta idrodinamica con l’angolo d’ingresso variabile. I dati di Kermeen (1956) ottenuti per una NACA 4412 sono riportati in Figura 1.10, dove si nota che per angoli d’ingresso positivi, la regione di bassa pressione in cui si verifica la condizione di incipiente cavitazione si trova sulla superficie di aspirazione, mentre per angoli d’ingresso negativi, il fenomeno si sposta 20 sulla superficie di mandata, inoltre, come l’angolo aumenta, in entrambe le direzioni, il valore di -CPmin aumenta, aumentando di conseguenza il valore del numero caratteristico di incipiente cavitazione. Dati tipici sull’incipiente cavitazione per una singola aletta, sono riportati in Figura 1.11, con dati per tre diverse dimensioni dell’aletta, a velocità differenti, plottati con il numero di Reynolds, nella speranza di ottenere una curva singola; il fatto che ciò non avvenga dimostra che è presente una dimensione con effetto separato dal numero di Reynolds. Per completare la lista dei fattori che influenzano la cavitazione, è necessario parlare di rugosità della superficie e del livello di turbolenza nella portata; questi due parametri sono legati in qualche modo, poiché la rugosità influenza il livello di turbolenza. La rugosità però può anche influenzare il flusso, ritardando la separazione della strato limite, andando a modificare la pressione e velocità in modo più globale. La turbolenza, come già detto, provoca vortici al cui interno la pressione potrebbe essere minore di quella media, promuovendo la cavitazione, ma può alterare la pressione globale cambiando la posizione di separazione del flusso. Figura 1.10: Numero di incipiente cavitazione per una NACA 4412. Kermeen (1956) 1.16 Dimensionamento di incipiente cavitazione Quando si dimensiona un dispositivo idraulico di grandi dimensioni, il metodo utilizzato è quello della similitudine, studiando le caratteristiche di un modello in scala rispetto al prototipo e successivamente trasferendo i dati al prototipo stesso. Per quanto riguarda il dimensionamento di incipiente cavitazione, cambiando le dimensioni del dispositivo, durante il trasferimento dei dati (modello-prototipo), non solo si cambia l’effetto del 21 tempo di permanenza, ma anche il numero di Reynolds, inoltre i nuclei diventano di dimensione diversa rispetto al modello. Per recuperare le condizioni del modello, bisogna cambiare il livello di pressione che potrebbe alterare i nuclei contenuti, variando inoltre anche la rugosità del prototipo rispetto al modello. Un’altra questione è quella di riuscire a prevedere il fenomeno della cavitazione in un liquido, sulla base dei dati ottenuti su un altro. Nella letteratura, ci sono grandi quantità di dati sull’acqua, mentre sono scarsi per altri tipi di liquidi, quindi passando ad altri liquidi il dimensionamento viene eseguito per tentativi. Fino ad ora si sono trattate le condizioni per l’incipienza della cavitazione, ed una volta che diventa stabile, ciò che accade è meno sensibile a fattori come il contenuto dei nuclei, e quindi il dimensionamento può procedere con maggior confidenza rispetto a quello dell’incipienza. Figura 1.11: um ro i avitazion sin nt p r tr iv rs im nsioni ll’al tta i oukowski in funzione del numero di Reynolds. Holl e Wislicenus (1961) 22 CAPITOLO 2 Dinamiche della bolla sferica 2.1 Introduzione Dopo aver considerato la formazione delle bolle, si procede con l’identificazione delle sequenze dinamiche della crescita e del collasso della bolla. Il comportamento di una bolla in un dominio di liquido fermo, con temperatura uniforme lontano dalla bolla si esamina per primo. La situazione di simmetria sferica fornisce il caso più semplice che rivela un numero importante di fenomeni. Figura 2.1: Schema di una bolla sferica in un liquido. Brennen (1995) 2.2 Equazione di Rayleigh-Plesset Considerando una bolla sferica di raggio R(t) dove t è il tempo, in un dominio infinito di liquido, le cui, temperatura e pressione, lontane dalla bolla sono T∞ e p∞(t). La temperatura T∞ si assume come una semplice costante, poiché il riscaldamento del liquido è uniforme, i gradienti di temperatura sono eliminati a priori e non si prendono in considerazione fonti di calore interne o radiazioni. Dall’altra parte la pressione p∞(t) si assume nota e controllata. Mentre densità del liquido, L, e viscosità dinamica, μL, si considerano costanti. Si assume, inoltre, che il contenuto della bolla sia omogeneo e che la temperatura, TB(t), e pressione pB(t) nella bolla siano sempre uniformi. Come indicato in Figura 2.1 la posizione radiale all’interno del liquido è denotata come la distanza r dal centro della bolla, la pressione p(r,t), la velocità radiale verso l’esterno u(r,t) e la temperatura T(r,t) all’interno del liquido sono così assunte. La conservazione della massa richiede la soddisfazione della seguente formula: 23 F t r2 u r,t [2.1] dove la F(t) è relazionata al raggio R(t), dalle condizioni cinematiche della superficie della bolla. Nel caso ideale di assenza di deflusso di massa attraverso tale superficie è chiaro che u(R,t) = dR/dt, e quindi: 2 F t [2.2] t Questa è una buona approssimazione anche quando l’evaporazione o la condensazione avvengono all’interfaccia. Per dimostrarlo si considera una bolla di vapore dove il volume del tasso di produzione di vapore deve essere uguale all’incremento della dimensione della bolla 4π 2dR/dt, in più il tasso di evaporazione della massa dev’essere V(TB)4π 2dR/dt dove V(TB) è la densità del vapor saturo alla temperatura della bolla. Questo a sua volta deve eguagliare il flusso di massa di liquido verso l’interno, relativo all’interfaccia dato da V(TB)( / t)/ L, ma poiché V ≪ L si ha che l’approssimazione [2.2] è adeguata, e quindi si continua ad usarla. Assumendo un fluido newtoniano le equazioni di Navier-Stokes per il movimento nella direzione r, dopo la sostituzione con la [2.1] e dopo integrazione danno: p p∞ 1 F r 1 F2 2 r4 [2.3] Per completare questa analisi è necessario costruire una condizione dinamica sulla superficie della bolla. A tale proposito si considera un volume di controllo che consiste in una piccola lamina come in Figura 2.2. La forza netta su questa lamina in direzione radiale uscente per unità di superficie è (σrr)r=R + pB - 2S/R e poiché σrr = -p + 2μL(∂u/∂r) si ha: σrr r p p 4μ r 2 [2.4] t In assenza di deflusso di massa attraverso la superficie questa forza deve essere nulla, e sostituendo il valore di (p)r=R dalla [2.3] con F = R2dR/dt si ottiene la generalizzazione dell’equazione di Rayleigh-Plesset per le dinamiche della bolla: (p t p∞ t ) 2 4ν t2 2 t 2 3 ( * 2 t [2.5] Dato p∞ (t) si ha un’equazione che può essere risolta per trovare R(t) con pB(t) noto. 24 Figura 2.2: Porzione di superficie della bolla sferica. Brennen (1995) 2.3 Contenuto delle bolle In aggiunta all’equazione di Rayleigh-Plesset è necessario considerare il contenuto della bolla. Per rimanere in generale si assume che la bolla contenga una certa quantità di gas con pressione parziale pG0 e grandezza R0 a temperatura T∞ . Trascurando il trasferimento di gas dal o al liquido, la pressione della bolla risulta pB(t) = pV(TB) + pG0(TB/T∞)(R0/R)3. Rimane da determinare la TB(t), questo non è sempre necessario, perché sotto alcune condizioni la differenza tra la temperatura della bolla e quella del fluido è trascurabile, ma in altre condizioni questo può condizionare le dinamiche della bolla; la differenza di temperatura porta a diversi valori della tensione di vapore pV(TB) rispetto alla situazione in assenza di tali effetti termici, alterando il tasso di crescita o di collasso della bolla. Sostituendo ora il valore della pressione della bolla nella [2.5] si ottiene la forma generale della Rayleigh-Plesset: (p ∞ -p∞ t ) + (p -p ( ∞) + p 0 ( *( ∞ 0 3 * 2 t2 + 4ν t + 2 + 2 3 ( * 2 t [2.6] Dove il primo termine a sinistra è la tensione istantanea (o termine guida {1}) determinato dalle condizioni lontane dalla bolla. Il secondo termine è riferito all’effetto termico {2}, e più avanti si vedrà che le dinamiche della bolla possono essere previste in dipendenza della grandezza di questo termine. Quando la è piccola è conveniente usare l’espansione di Taylor fino al primo ordine, per valutare L e L alla temperatura nota T∞. Il grado con il quale la temperatura della bolla, devia da quella del liquido, può avere un effetto sulle dinamiche della bolla. La determinazione di TB - T∞ necessita di 2 passi: 1. È richiesta la soluzione dell’equazione di diffusione del calore per determinare la distribuzione di temperatura, T(r,t), all’interno del liquido. 2. È richiesto un bilancio di energia per la bolla. Supponendo che il calore fornito all’interfaccia dal liquido sia utilizzato tutto per la vaporizzazione, si può valutare la produzione della massa di vapore e relazionarla all’incremento di volume della bolla. 25 La natura del problema dell’effetto termico è chiara, il termine termico nella relazione di Rayleigh-Plesset richiede una relazione tra la differenza di temperatura (TB - T∞) e il raggio della bolla. Mentre, il bilancio di energia richiede una relazione tra la variazione della temperatura con la distanza dal centro della bolla (r=R) e il raggio stesso. La relazione finale è dunque tra la differenza di temperatura e la variazione della temperatura con la distanza dal centro della bolla, e necessita della soluzione dell’equazione di diffusione del calore. Questa soluzione è difficoltosa, per via dell’evidente non linearità nell’equazione, della quale non esiste una risoluzione analitica esatta. Plesset e Zwick (1952) approssimarono una utile soluzione di questa, confinando tale soluzione ai casi in cui lo spessore dello strato limite termico, δT, attorno alla bolla, sia piccolo in confronto al raggio della bolla. Sotto tali condizioni, il termine termico linearizzato nella Rayleigh-Plesset diventa, utilizzando la soluzione Plesset-Zwick: ∞ n ∞ ∞ 1 * (n 2* t [2.7] Dove C(n) costante vicino all’unità, e R* valore del raggio a regime. Mentre, il parametro termodinamico 2 2 ( ∞) [2.8] 0.5 ∞α 2 si vedrà essere di importanza cruciale per il comportamento dinamico della bolla. 2.4 In assenza dell’effetto termico Si considerano, prima, alcune caratteristiche delle dinamiche della bolla in assenza di effetti termici significanti. Questo tipo di comportamento dinamico della bolla è detto “inerzialmente controllato”, per distinguerlo da quello “termicamente controllato”. Sotto queste circostanze, la temperatura del liquido è assunta uniforme, e il secondo termine della Rayleigh-Plesset è nullo. Inoltre, assumendo che il comportamento del gas nella bolla sia politropico, vale pG = pG0(R0/R)3K con K costante che quando vale 1 si ha comportamento isotermo, e quando vale γ si ha comportamento adiabatico. Con le precedenti assunzioni più la simmetria sferica la Rayleigh-Plesset diventa p ∞ p∞ t p 0 ( 0 3 ̈ * 3 2 ( ̇) 2 4ν ̇ 2 [2.9] Sono richieste le condizioni iniziali e nel contesto di flusso cavitante è appropriato assumere che le microbolle di raggio R0 siano in equilibrio a t = 0 nel fluido a pressione p∞(0) cosicché pG0 = p∞(0) - pV(T∞) + 2S/R0 e che la velocità dR/dt = 0 in t = 0. Una soluzione tipica per la [2.9] sotto tali condizioni e con la pressione che prima cala sotto al valore di p∞(0) e poi ritorna al suo valore originale è mostrata in Figura 2.3. Le caratteristiche generali di questa soluzione sono caratterizzate dalla risposta della bolla, che passa attraverso delle regioni di bassa pressione che riflettono la forte nonlinearità della [2.9]. 26 Figura 2.3: ipi a soluzion ll’ quazion i ayl igh-Plesset per una bolla sferica. Il nucleo entra in una regione di bassa pressione al tempo adimensionale 0 e ritorna alla sua dimensione iniziale al tempo adimensionale 500. Brennen (1995) La crescita è piuttosto regolare e la dimensione massima si verifica con la pressione minima. Il processo di collasso è molto diverso, la bolla collassa in modo catastrofico e questo viene seguito da successive ridelimitazioni (o ricostruzioni) e collassi. In assenza di effetti dissipativi come la viscosità queste ridelimitazioni (rebounds) continuerebbero senza attenuazioni. Nel caso aviscoso, dopo l’integrazione e l’applicazione delle condizioni iniziali (dR/dt=0), si ottiene: 2 ( ̇) p*∞ ) 2(p 3 3 0 ] 3 [1 2p 3 1 0 [ 3 0 3 3 0 ] 3 2 [1 2 0 ] 2 [2.10] Considerando prima il comportamento caratteristico per la crescita della bolla, che si mostra quando p∞* < p∞(0), la [2.10] mostra che il tasso di crescita per R R0 è dato da: 2p ̇ →* 3 p*∞ 1 2 + [2.11] Dopo un periodo iniziale di accelerazione la cui durata, tA, può essere stimata da t [ 2 2 0 (p 3(p∞ 0 27 p*∞ ) ] 2 p*∞ ) [2.12] la seguente velocità dell’interfaccia è relativamente costante. L’equazione 2.11 rappresenta la crescita esplosiva della bolla, il cui volume aumenta con t3. Il comportamento della bolla al collasso, avviene quando si ha l’incremento della pressione da p∞ a p∞* , in questo caso, quando R ≪ R0, la [2.10] risulta: ̇ → ( 3 0 2 * [ 2(p*∞ p ) 2p 2 3 3 0 0 ( 1 0 3 * 1 2 1 ] [2.13] La maggior parte dei movimenti nel collasso della bolla, sono così rapidi che il comportamento del gas si assume adiabatico. Per una bolla con un sostanziale contenuto di gas, la velocità di collasso data dalla [2.13] non viene raggiunta, e la bolla oscilla ad un nuovo, ma più piccolo raggio di equilibrio. D’altra parte in una bolla con poco gas, la velocità in ingresso continua ad aumentare, finché l’ultimo termine in parentesi quadra non raggiunge una grandezza comparabile con gli altri termini. La velocità di collasso, in seguito, diminuisce e si raggiunge una dimensione minima data da 1 0[ min p 1 1 p*∞ 3 0 p ] 3 1 [2.14] 0 e la bolla si ridelimita. Se la pressione del gas è bassa, anche il raggio minimo è piccolo. La pressione e la temperatura al raggio minimo risultano le massime e sono date da pmax = pG0[(K - 1)(p∞* - pV + 3S/R0)] K/(K-1) e Tmax = T0[(K - 1)(p∞* - pV + 3S/R0)]. In assenza di tensione superficiale e contenuto di gas, Rayleigh (1917), ottenne il tempo tTC richiesto per il collasso totale da R = R0 a R = 0: t 0.915 ( * p∞ 2 0 p 1 2 + [2.15] I risultati ottenuti, sono pratici per la crescita della bolla, risultano invece fuorvianti nel collasso. Si vedranno, infatti, due assunzioni tra quelle fatte fino ad ora, che possono essere violate durante il collasso, quella di incomprimibilità del liquido e quella della simmetria sferica della bolla. 2.5 Stabilità delle bolle di vapore/gas È importante sottolineare che le condizioni di equilibrio pV - p∞ + pGE - 2S/RE = 0 non sempre rappresentano un equilibrio stabile ad un raggio RE con una pressione parziale del gas pGE. 28 Si considera una piccola perturbazione nella dimensione della bolla da R = RE ad R = RE(1 + ϵ) con ϵ ≪ 1, e il responso risultante dalla Rayleigh-Plesset. Si devono distinguere i due casi possibili: i) La pressione parziale del gas durante la perturbazione rimane pressoché costante ii) La massa del gas e la temperatura della bolla rimangono le stesse Da un punto di vista pratico in i) la perturbazione è generata in un tempo sufficientemente lungo da acconsentire una adeguata diffusione di massa nel liquido, cosicché la pressione parziale del gas sia mantenuta al valore iniziale. La Rayleigh-Plesset per i due casi diventa: ̈ 4ν ̇ 3 2 ̇ 2 ϵ 2 [ 3n p ] [2.16] con n = 0 in i) e n = 1 in ii) Si nota che il termine a destra ha lo stesso segno della perturbazione ϵ nel caso in cui 2S/RE > 3nKpGE, e questo indica che l’accelerazione e/o la velocità del raggio della bolla hanno lo stesso segno della perturbazione, di conseguenza, si ha sempre equilibrio instabile finché si devia da RE. D’altra parte si ha equilibrio stabile quando la disuguaglianza diventa 2S/RE < 3nKpGE. Nel caso i) si ha n = 0 quindi si ha sempre equilibrio stabile. Nel caso ii) una bolla in equilibrio stabile richiede la soddisfazione della seguente disequazione m 4 π 3 p 2 3 [2.17] 3 dove mG è la massa del gas nella bolla, e KG è la costante del gas. Per una data massa di gas esiste una dimensione critica della bolla RC data da: 9 m [ 8π ] 1 2 [2.18] Tutte le bolle di raggio minore del raggio critico possono esistere in equilibrio stabile, mentre quelle di raggio maggiore al critico sono instabili. Questa dimensione critica potrebbe essere raggiunta da una diminuzione della pressione ambiente fino al valore critico p∞ : p∞ p 4 8π [ 3 9 m spesso chiamata pressione soglia di Blake (1949). 29 1 2 ] [2.19] Figura 2.4: Raggio di equilibrio stabile e instabile della bolla in funzione di diverse masse di gas nella bolla. Daily e Johnson (1956) Nella Figura 2.4 sopra, è rappresentato il caso isotermo (K = 1) dove le linee continue rappresentano le condizioni di equilibrio di una bolla di raggio RE in funzione della tensione (pV - p∞), per diverse masse di gas nella bolla e tensioni superficiali. Il raggio critico della massa corrisponde al massimo della curva. La linea tratteggiata è il luogo dei valori di RC = RE di equazione (pV - p∞) = 4S/3RE. La regione alla destra rappresenta l’equilibrio instabile, mentre alla sinistra quello stabile. Considerando di partire dalla condizione di pressione media maggiore di quella di vapore e assumendo che la massa di gas nella bolla sia costante, il raggio di equilibrio aumenta con la diminuzione di p∞. La bolla passa in zone di equilibrio finché non si raggiunge la pressione critica che corrisponde al massimo della curva, dove si ha raggio critico. A questo punto ogni diminuzione della pressione corrisponde ad una crescita esplosiva della cavitazione, inoltre è chiaro che la tensione critica di un liquido dovrebbe essere data da 4S/3R piuttosto che 2S/R come nel capitolo 1, poiché le condizioni di equilibrio stabile non esistono nell’intervallo 4S/3R < pV - p∞ < 2S/R. In più si nota, sempre dalla Figura 2.4, che per ogni tensione sotto a quella critica, esistono due stati di equilibrio, uno stabile e l’altro instabile. Ipotizzando la bolla nell’equilibrio stabile, essa è soggetta ad oscillazioni di pressione di grandezza sufficiente da superare momentaneamente il raggio critico; a questo punto la bolla cresce esplosivamente senza limite. È chiaro che tutti i nuclei di grandezza maggiore di quella critica diventano instabili, crescendo improvvisamente e cavitando, mentre quelli più piccoli della dimensione critica reagiscono passivamente. Sebbene la risposta della bolla sia dinamica e la pressione locale del liquido attorno alla bolla p∞ cambi continuamente, si può anticipare che la dimensione critica dei nuclei 30 è data approssimativamente da 4S/3(pV - p∞)*, dove (pV - p∞)* è una rappresentazione della tensione nella zona di bassa pressione. Più basso è il valore della pressione locale attorno alla bolla, più piccolo è il raggio critico, e maggiore è il numero di nuclei attivati. Un esempio quantitativo dell’effetto è rappresentato in Figura 2.5, dove il risultato deriva dall’integrazione della Rayleigh-Plesset per bolle di forma assialsimmetrica. In figura è mostrata la massima dimensione delle bolle come funzione delle dimensioni 2 dei nuclei originali, per un tipico numero di Weber, Wb LRHU∞ /S di 28000 dove U∞, velocità di flusso libero e RH, raggio della forma, le curve sono date per quattro diversi numeri tipici di cavitazione. Per σ < 0.5 le curve hanno un tratto verticale corrispondente ad una certa dimensione critica dei nuclei. Si nota inoltre che indipendentemente dalla dimensione iniziale dei nuclei, tutti quelli instabili crescono approssimativamente alla stessa dimensione massima. Questo perché, sia il tasso di crescita sia il tempo necessario per tale crescita, sono relativamente indipendenti dalla dimensione originale dei nuclei. Figura 2.5: Dimensione massima, RM, a cui una bolla di cavitazione cresce in accordo con la Rayleigh-Plesset, come funzione della dimensione dei nuclei originali, R 0, e del numero aratt risti o i avitazion σ, n l flusso attorno a una forma assialsimm tri a i dimensione RM. Ceccio e Brennen (1991) 2.6 Cavitazione dalla diffusione di massa In molte delle circostanze considerate si assume che gli eventi accadano molto rapidamente, per il significante trasferimento di massa, di gas contaminanti, tra la bolla e il liquido. Quindi l’assunzione della costanza della massa deve essere riconsiderata. Uno dei problemi basilari è il fatto che ogni microbolla con gas, presente nel substrato liquido, dovrebbe dissolversi se la pressione fosse sufficientemente elevata. L’esperienza è però contraria a questo comportamento, e le microbolle persistono anche quando la p∞ dell’ambiente liquido è portata a varie atmosfere per un tempo 31 prolungato. Una spiegazione possibile è perché l’interfaccia è immobilizzata da effetti di contaminazione superficiale, oppure perché la bolla è incastonata in una particella solida che inibisce i processi di solubilizzazione del gas. 2.7 Effetti termici sulla crescita Bisogna esaminare il regime di validità dell’analisi precedente, cioè l’assenza dell’effetto termico. È necessario valutare la grandezza del termine [2.7]. Si esamina prima il caso della crescita della bolla; il tasso di crescita dato dalla [2.11] è costante, quindi nel caso caratteristico di pressione costante i termini della RayleighPlesset (eccetto quello in esame {2}) sono tutti circa costanti o diminuiscono in grandezza con il progredire del tempo. Inoltre un tasso di crescita costante corrisponde al caso n = 1 e il termine termico linearizzato per piccoli valori di (T∞ - TB) risulta t rmin t rmi o 1 * 1 [2.20] t2 sotto queste condizioni, anche se il termine termico è inizialmente trascurabile, guadagna in grandezza relativamente agli altri termini e alla fine influenza la crescita in modo principale. Allo stesso modo bisognerebbe aggiungere l’assunzione di un spessore di strato limite termico, δT, piccolo rispetto al raggio, e solo in circostanze di crescita molto lenta tale assunzione sarebbe violata. Figura 2.6: alor l param tro t rmofisi o, , om funzion Brennen (1995) 32 l rapporto / C per diversi liquidi. Usando la [2.20] si può definire un tempo critico, tC1 (primo tempo critico), durante il quale il termine termico raggiunge l’ordine di grandezza degli altri termini della Rayleigh-Plesset, t p 1 p*∞ 2 [2.21] che come si vede non dipende solo dalla tensione ma anche da ( ∞), che è una quantità puramente termofisica, funzione solo della temperatura del liquido. Riferendosi alla [2.8] si nota che tale termine termofisico cambia molto in un liquido con la temperatura che varia dal punto triplo al punto critico, poiché è proporzionale a ( V/ L)4, quindi il primo tempo critico varia di molti ordini di grandezza. Alcuni valori di , per un certo numero di liquidi, sono tracciati in Figura 2.6 come funzione della riduzione di temperatura T/TC, e in Figura 2.7 come funzione della tensione di vapore. Ad esempio, un flusso cavitante (acqua) con tensione di circa 10000 Pa a 20°C ha un valore di di circa 1 m/s3/2 con tC1 = 10s, che è molto più grande del tempo di crescita della bolla, quindi la crescita avviene senza ostacoli da parte del termine termico. Se invece fosse riscaldato a circa 100°C si avrebbe 1000 m/s3/2 con un tC1 = 10μs. In questo caso tutte le crescite sarebbero termicamente controllate. 2 Figura 2.7: Valore del parametro termodinamico, , come funzione della tensione di vapore (kg/ms ) per diversi liquidi. Brennen (1995) 33 2.8 Crescita termicamente controllata Quando il primo tempo critico viene superato, chiaramente la relativa importanza dei vari termini nell’equazione di Rayleigh-Plesset cambiano, i più importanti diventano il termine guida {1} e il termine termico {2}, la cui grandezza risulta molto maggiore di quella del termine inerziale ({4} nella [2.6]). Quindi se la tensione (pV - p∞*) rimane costante, allora la soluzione di forma [2.7], per il termine termico, deve avere n = 1/2. Il comportamento asintotico risulta allora: * p*∞ p ∞ 1 ( * 2 [2.22] Conseguentemente, al progredire del tempo, i termini inerziale, viscoso, gassoso, e di tensione superficiale della [2.6] diminuiscono di importanza, e dopo il primo tempo critico il tasso di crescita diminuisce incrementando il raggio con t1/2 invece che con t. Un esempio di questa inibizione termica sulla crescita della bolla si vede in Figura 2.8. Figura 2.8: Osservazione sperimentale della crescita di tre bolle di vapore, in acqua surriscaldata a 103.1°C in funzione della crescita prevista dalla teoria di Plesset-Zwick. Dergarabedian (1953) Si nota che l’assunzione di Plesset-Zwick, dello strato limite piccolo rispetto al raggio della bolla, rimane valida. Quando la crescita è causata da una diminuzione della pressione cosicché p∞(t) cambi sostanzialmente durante la crescita, l’approssimazione della 2.22 diventa più complicata, risultando necessario risolvere: la Rayleigh-Plesset, l’equazione di diffusione del calore e quella dell’energia, simultaneamente. Per il controllo sulla crescita con il termine termico, molti termini della [2.6] diventano trascurabili, giustificando la semplificazione pV(TB) = p∞(t). 34 Un fattore che potrebbe influenzare le dinamiche di crescita controllata termicamente, può essere quello del se il liquido all’interfaccia si trova in equilibrio termico con il vapore nella bolla. In molte analisi, si assume che la temperatura del liquido all’interfaccia sia la temperatura del vapor saturo nella bolla, ma questo potrebbe non essere corretto per l’elevato tasso di evaporazione. In Figura 2.9 si ha il confronto tra equilibrio apparente dei dati analitici di Theofanous et al. (1969), Jones e Zuber (1978), Cha e Henry (1981) e il risultato sperimentale di Hewitt e Parker (1968). Figura 2.9: Dati sulla crescita di una bolla di vapore in azoto liquido di Hewitt e Parker (1968) confrontati con quelli analitici di Theofanous et al. (1969), Jones e Zuber (1978), Cha e Henry (1981). Brennen (1995) 2.9 Effetti di convezione Un altro modo in cui il tasso di calore trasferito all’interfaccia può variare è attraverso la convezione causata dal moto relativo tra la bolla e il liquido. Tale valorizzazione del trasferimento di calore è rappresentata dal numero di Nusselt, Nu, definito come rapporto tra il tasso di calore reale scambiato e il tasso di calore trasferito per conduzione. Pertanto, in questo caso, il termine termico nella RayleighPlesset è funzione anche di Nu. Si definisce il numero di Peclet come /αL dove W è la tipica velocità relativa di traslazione della bolla, tale numero è in relazione con Nu nei casi comuni dei problemi di trasferimento di calore per conduzione dove Nu = 1 per Pe ≪ 1 e Nu = Pem per Pe 1. Si considerano gli effetti qualitativi per due possibili movimenti traslatori nella crescita della bolla con R = R* t n: 35 1) Spinta idrostatica: la velocità relativa in assenza di trascinamenti viscosi è proporzionale a gt 2) Bolla che cresce su una parete solida: la velocità relativa è approssimata dalla derivata temporale di R, ottenendola proporzionale a R * t n-1 Quindi, i numeri di Peclet sono rispettivamente: * 1) 2 gt n-1 α ( * ) t 2n-1 2) α [2.23] Considerando il caso di crescita controllata inerzialmente con n = 1, l’effetto di trasferimento di calore convettivo si ha solo per ≥ 1 per t > tC2 dove t 2 1 4 α2 * (p p*∞ )g2 + [2.24] Segue che l’aumento del trasferimento convettivo di calore è presente nella crescita controllata inerzialmente se tC2 < tC1. Ciascuno dei due moti della bolla presenta una temperatura al di sotto della quale ci si aspetta che il numero di Peclet raggiunga l’unità prima del primo tempo critico. La questione è su ciò che accade dopo, poiché chiaramente l’effetto termico che avrebbe inizio a tC1 sta per essere modificato dal maggior trasferimento di calore. Quando Pe > 1 il termine termico, nella Rayleigh-Plesset, cresce come t1/2/Nu cioè, nel caso dei due movimenti come t1/2-2m e t1/2-m. Come in molti problemi pratici di trasferimento del calore per convezione, m = 1/2 e le inibizioni termiche della crescita vengono annullate e il controllo inerziale continua indefinitamente. Nell’altro caso in cui tC2 > tC1 l’effetto di trasferimento di calore convettivo può influenzare la crescita controllata termicamente. Con n = 1/2 il numero di Peclet per il movimento indotto dalla spinta idrostatica diventa unitario in un tempo t 3 * 2 3 α (p p*∞ )g + [2.25] Nel caso di crescita sulla parete solida Pe rimane al valore minore dell’unità che ha raggiunto a tC1. 2.10 Effetti della rugosità superficiale Un altro fenomeno che potrebbe influenzare lo scambio termico all’interfaccia, durante la crescita della bolla, è lo sviluppo di un’instabilità sull’interfaccia stessa. Se la superficie della bolla diventa rugosa, l’incremento dell’area di superficie e l’instabilità nel movimento del liquido vicino ad essa può portare ad un sostanziale miglioramento dello scambio termico. L’effetto si traduce in un ritardo dell’alterazione dovuta al termine termico. 36 Degli studi, condotti da Shepherd e Sturtevant (1982) e da Frost e Sturtevant (1986), esaminarono la rapida crescita di bolle di nucleazione vicino al limite di surriscaldamento, trovando tassi di crescita più grandi rispetto alla crescita controllata termicamente. Le foto in Figura 2.10 rivelano che la superficie delle bolle è rugosa e irregolare, e la valorizzazione dello scambio termico causato da questa rugosità è probabilmente responsabile del maggior tasso di crescita trovato empiricamente. É stata, inoltre attribuita una somiglianza della rugosità della bolla, all’instabilità della fiamma. Figura 2.10: Fotografie della rapida crescita di una bolla in una goccia di etere surriscaldato sospesa in glicerina. La bolla è scura mentre la goccia è chiara e trasparente. Frost e Sturtevant (1986) 2.11 Perturbazioni non sferiche Fino ad ora si è assunto che la bolla rimanga sferica durante la crescita e il collasso, cioè stabile a distorsioni non sferiche. Ci sono però circostanze in cui questo non è vero. Se l’inerzia del gas nella bolla si assume trascurabile, allora l’ampiezza a(t) di una distorsione armonica sferica di ordine n, (n > 1) è governata da 2 a t2 3 a t t [ n 1 2 t2 n 1 n 1 n 2 3 ]a 0 [2.26] nella quale bisogna conoscere R(t). Le circostanze più instabili si hanno quando dR/dt < 0 e d2R/dt2 ≥ 0, queste condizioni sono raggiunte appena prima della ridelimitazione di una cavità collassante. Dall’altra parte le circostanze più stabili si hanno con dR/dt > 0 e d2R/dt2 < 0, caso che accade quando, durante la crescita, si sta raggiungendo la dimensione massima. Il fatto che i coefficienti della [2.26] non rimangano costanti nel tempo causa una divergenza rispetto all’equivalente di instabilità studiata da Rayleigh-Taylor che non consideravano l’effetto termico. Plesset e Mitchell (1956) esaminarono il caso particolare di una bolla di vapore/gas, inizialmente in equilibrio, soggetta alla variazione della pressione, trascurando gli effetti termici e viscosi e l’effetto della massa fissa all’interno della bolla. Nel caso del collasso, una caratteristica importante è che l’accelerazione risulta essere maggiore di zero, e questo dà origine all’instabilità. In un caso reale l’accelerazione iniziale positiva è di durata limitata, quindi il problema è di stabilire se l’instabilità ha 37 tempo sufficiente per una crescita significante. Riscrivendo in termini di y = R/R0 la [2.26], si ha che a(y) deve soddisfare: 2 y a y2 y y a y n 1 y a 3 y 0 [2.27] Dove i termini A(y), B(y) e C(y) sono funzione di β1 = 2S/R0(pV - p∞) e β2 = pG0/(pV - p∞), dove il primo è l’effetto della tensione superficiale e il secondo l’effetto del contenuto di gas. Un valore positivo di (pV - p∞)(1 - β1 + β2) implica la crescita della bolla da t = 0, mentre un valore negativo implica il collasso. In Figura 2.11 si riportano tipiche integrazioni numeriche della [2.27]. In caso di crescita della bolla si nota un picco dell’ampiezza del disturbo e una successiva diminuzione. Per alcuni parametri di β1 e β2 esiste una particolare armonica sferica (n = nA) dove si raggiunge la massima ampiezza del disturbo. Ricapitolando, si può vedere che l’accelerazione positiva, all’inizio della crescita della bolla, è instabile per perturbazioni armoniche sferiche di ordine n, d’altra parte si può concludere che la restante fase di crescita, durante la quale dR/dt > 0 e dR2/dt2 < 0, è stabile a tutte alle stesse perturbazioni. Quindi, se durante la fase di accelerazione è disponibile un tempo inadeguato per la crescita di perturbazioni, allora la bolla rimane imperturbata durante tutta la crescita. Figura 2.11: s mpi i r s ita ll’ampi zza, a, i un istur o armoni o sf ri o ( i or in n) sulla superficie della bolla di cavitazione per due tipiche scelte della tensione superficiale e dei parametri l gas ont nuto β1 β2. Brennen (1995) 38 CAPITOLO 3 Collasso delle bolle 3.1 Introduzione In questo capitolo si focalizza l’attenzione sulle dinamiche della bolla in fase di collasso considerando le conseguenze delle bolle di cavitazione piene di vapore. Valutando soprattutto le tipologie dei danni che questo fenomeno provoca sui materiali del dispositivo in cui si manifesta. 3.2 Collasso della bolla Il collasso della bolla è un fenomeno particolarmente importante per il rumore e per il danno ai materiali che provoca, causati dalle elevate velocità e dalle pressioni e temperature massime che possono entrare in gioco in questa fase. Nel capitolo precedente si era tentato di valutare la grandezza di queste entità (dal §2.4). Sotto ad un certo numero di assunzioni compresa quella della rimanenza sferica della bolla, si ottengono i massimi valori di pressione, temperatura e danno materiale. La deviazione dalla sfericità, quindi, può diffondere la focalizzazione del collasso e ridurre le pressioni e le temperature massime. Quando una bolla di cavitazione cresce, da un piccolo nucleo a molte volte la sua dimensione originale, il collasso comincia una volta raggiunto il raggio massimo RM, con una pressione parziale dei gas, pGM, che è molto piccola. In un flusso cavitante il raggio massimo è spesso dell’ordine di cento volte la dimensione del nucleo originale R0. Segue che se la pressione originale del gas nei nuclei è di 1bar il valore della pressione massima all’inizio del collasso potrebbe essere di circa 10-6bar, se (p∞* - p∞(0)) ≈ 0.1bar seguirebbe una pressione massima di circa 1010bar con una temperatura massima che potrebbe essere 4x104 volte quella ambiente (T∞). Molti fattori come la diffusione del gas dal liquido alla bolla e l’effetto della comprimibilità del liquido, attenuano questi valori. In Figura 3.1 si mostrano dei dati ottenuti da Herring (1941), e Gilmore (1952), che assunsero la bolla priva di gas incondensabili, trascurarono gli effetti termici mantenendo una pressione costante e introdussero il numero di Mach per il moto del collasso. Si nota quindi che, nel caso ideale, il numero di Mach della superficie della bolla, aumenta al diminuire del raggio della bolla. La linea “incompressible” corrisponde al caso in cui la comprimibilità del liquido è stata trascurata nell’equazione del moto 2.13 , da notare che la compressibilità tende a diminuire la velocità del collasso. Quando la bolla contiene qualche gas incondensabile o quando il termine termico diventa importante, la soluzione diventa più complessa poiché la pressione nella bolla non è più costante. 39 Figura 3.1: Numero di Mach della superficie della bolla, -(dR/dt)/c, in funzione del raggio per una differenza di pressione di 0.517 bar. Per il metodo analitico di Herring (1941) e Gilmore (1952). Brennen (1995) Sotto queste circostanze è utile trovare il modo di incorporare l’effetto di comprimibilità del liquido in una versione modificata della Rayleigh-Plesset. Keller e Kolodner (1956) proposero la seguente modifica in assenza del termine termico, viscoso e di tensione superficiale: (1 2 1 t * 2 t 3 (1 2 1 3 2 t *( t * (1 1 t * 1 [p p∞ p (t *] p t Dove pc(t) rappresenta la parte variabile della pressione del liquido, nel centro della bolla in assenza della bolla. Si suggerirono altre equazioni, ma tutte erano ugualmente valide, e lineari col numero di Mach (dR/dt)/c, e si dimostrò che le modifiche alla [2.6] erano tutte accurate finché il numero di Mach è dell’ordine di 0.3, mentre a numeri superiori, le equazioni devono essere risolte numericamente. Tuttavia, finchè c’è del gas presente per rallentare il collasso, l’importanza principale della comprimibilità del liquido non è l’effetto che ha sulle dinamiche della bolla (debole), ma il ruolo nella formazione di onde d’urto durante la ridelimitazione che segue il collasso. La Figura 3.2 presenta un esempio dei risultati per la distribuzione della pressione nel liquido prima (sinistra) e dopo (destra) del momento di dimensione minima, cioè prima e dopo la ridelimitazione. Il grafico di destra mostra la propagazione di un impulso di pressione o di urti, lontani dalla bolla, seguendo la dimensione minima. Concludendo si può dire che l’impulso di pressione presenta un’attenuazione mentre si propaga lontano dalla bolla, raggiungendo un picco nell’ampiezza pp che è dato all’incirca da pp 100 40 p∞ r [3.2] Figura 3.2: Risultati tipici per la distribuzione della pressione nel liquido prima e dopo il collasso. Con valori -3 di p∞ 1 ar, γ 1.4 pr ssion inizial n lla olla i 10 bar. Brennen (1995) Questa formula dà l’ordine di grandezza dell’impulso di pressione che urta contro una superficie solida a pochi raggi di distanza; ad esempio se si ha una pressione media nel liquido di 1bar con una distanza r = RM si ha un picco dell’impulso di pressione dell’ordine di 100bar. Tutte queste analisi assumono la simmetria sferica della bolla. 3.3 Collasso controllato termicamente Bisogna ricordare che potrebbero verificarsi effetti termici nelle prime fasi del collasso delle bolle, nello stesso modo in cui avvengono nella fase di crescita. Considerando una bolla di raggio R0, inizialmente a riposo al tempo t = 0, in un liquido a pressione p∞, il collasso inizia con l’incremento della pressione dell’ambiente liquido a p∞*. Dalla Rayleigh-Plesset il moto iniziale in assenza degli effetti termici ha la forma 1 p t2 [3.3] 0 dove pc è definita come p [ p*∞ p 2 2 0 3m 3 0 8π ∞ 5 0 ] [3.4] Si definisce inoltre un tempo critico, tC4, necessario per lo sviluppo di effetti termici significanti come 41 t ( 4 2 0 3 [3.5] * Procedendo con l’analisi, se tC4 ≪ tTC dove tTC è il tempo tipico per il collasso, allora il collasso termicamente controllato inizia presto in questo processo. Tali condizioni si verificano se (p 2 1 3 0 )2 ( * [3.6] ≪1 In tal caso, il movimento iniziale è effettivamente dominato dal termine termico ed è dato della seguente forma, p 0 2 0 1 [ 4π 2 1 ∫0 y/(y 1 1 y 1 )2 ]t2 [3.7] dove tra parentesi quadra si ha un termine di ordine circa unitario. Se la disequazione 3.6 è violata, l’effetto termico comincerà a diventare importante solo più tardi nel processo di collasso. 3.4 Effetti termici sul collasso Anche se gli effetti termici sono trascurabili in molte fasi del collasso, essi giocano un ruolo molto importante nello stadio finale, quando il contenuto della bolla è altamente compresso dall’inerzia del liquido. La pressione e la temperatura che sono previste nel gas all’interno della bolla durante il collasso sferico sono molto alte. Poiché il tempo trascorso è molto piccolo (μs) sembrerebbe un’approssimazione ragionevole assumere che i gas non condensabili nella bolla si comportino adiabaticamente. Attraverso un esperimento, Benjamin (1958) ottenne una temperatura massima del gas di circa 8800K nel centro della bolla. Ma nonostante il piccolo tempo di questo picco, è stato dimostrato che lo scambio termico tra liquido e gas è importante per l’alto gradiente di temperatura e per la piccola distanza in gioco. Altri valori arrivarono intorno a 6700K e 848bar, per una frazione di microsecondi. Altri effetti che possono essere importanti sono le interdiffusioni di gas e vapore nella bolla, che possono causare un accumulo di gas non condensanti all’interfaccia, e pertanto creare una barriera attraverso la quale il vapore deve diffondersi per condensare sull’interfaccia. 42 3.5 Forma non sferica nel collasso Si considera ora il collasso di una bolla che contiene principalmente vapore. Come già fatto si distinguono due fasi importanti del moto, escludendo l’accelerazione iniziale verso l’interno. 1. La forma asintotica del collasso in cui la velocità è proporzionale ad R-3/2 che avviene a significanti compressioni del gas 2. La fase di ricostruzione (o ridelimitazione) nella quale l’accelerazione cambia segno e assume un valore positivo molto grande. Le caratteristiche stabili di queste due fasi sono molto diverse. Il calcolo di Plesset e Mitchell (1956) mostrò che la bolla è solo leggermente instabile durante la prima fase in cui l’accelerazione è negativa, d’altra parte è chiaro che la bolla può divenire molto instabile per disturbi non sferici durante la seconda fase con valori molto elevati dell’accelerazione. Tutte le bolle di vapore che collassano a dimensioni di ordini di grandezza più piccole rispetto alla dimensione massima, inevitabilmente tendono a far emergere, da quel collasso, una nuvola di bolle più piccole. Nel caso di bolle collassanti che sono predominantemente riempite di gas, questo comportamento è meno probabile, poiché i valori minori dell’accelerazione, di questi casi, rendono debole l’instabilità e a volte implicano la stabilità sferica. Quindi, bolle di cavitazione che contengono sostanzialmente gas, spesso rimangono sferiche durante la fase di ridelimitazione. In altri casi invece l’instabilità è sufficiente per causare la frammentazione. Molti esempi di frammentazione e alta distorsione delle bolle, che derivano dalla fase di ricostruzione sono mostrati in Figura 3.3, in cui gli effetti termici sono sostanziali. Figura 3.3: Fotografie di una bolla di etere in glicerina prima (sinistra) e dopo (destra) il collasso e la ridelimitazione. La nuvola sulla destra è il risultato dei successivi cicli di collasso e ridelimitazione. Frost e Sturtevant (1986) Una caratteristica sostanziale nel collasso di molte bolle di vapore è lo sviluppo di un getto rientrante, causato da un’asimmetria come nel caso di pareti solide vicine. Per causa dell’asimmetria una parte della bolla accelera verso l’interno molto più rapidamente rispetto alla parte opposta, e questo si traduce in uno sviluppo di un microgetto rientrante ad alta velocità, che penetra la bolla. 43 Figura 3.4: Formazione iniziale del microgetto rientrante a causa della parete solida trasparente segnata con la linea tratteggiata. Benjamin e Ellis (1966) Figura 3.5: Protuberanza generata dalla gravità dopo che il getti rientrante è progredito attraverso la bolla penetrando il fluido dalla parte opposta. Benjamin e Ellis (1966) La Figura 3.5 è una delle prime, se non la prima, che mostra il risultato di un getto, diretto verso l’alto, prodotto dalla gravità, che è progredito attraverso la bolla e penetrato nel fluido dall’altra parte, creando la protuberanza appuntita. La figura 3.6 invece mostra la comparazione tra l’osservazione sperimentale (Lauterborn-Bolle 1975) e quella studiata (Plesset-Chapman 1971) di un getto rientrante sviluppato in una bolla che collassa vicino ad una parete solida. 44 Figura 3.6: Collasso di una bolla molto vicina alla superficie solida in un liquido quiescente. La forma teorica di Plesset- hapman (lin a ontinua) omparata on l’oss rvazion sp rim ntal i Lauterborn-Bolle (puntini). Plesset e Prosperetti (1977) Figura 3.7: Calcolazione numerica del collasso di cinque bolle, che mostra la formazione dei getti rientranti per le quattro bolle esterne. Chahine e Duraiswami (1992) Un’altra forma di asimmetria che può causare la formazione di un getto rientrante è la vicinanza di altre bolle in una nuvola di bolle. Inoltre, le bolle sul bordo esterno di questa nuvola, tendono a sviluppare getti diretti verso il centro della nuvola, come esemplificato in Figura 3.7. Un’altra manifestazione di instabilità è dovuta al collasso di una bolla vicino alla superficie libera, che produce un getto rientrante, diretto lontano dalla superficie. Quando la bolla è inizialmente sferica, ma vicina alla parete, lo sviluppo tipico dei microgetti è illustrato in Figura 3.8, quando la bolla è più lontana dalla parete gli eventi 45 successivi sono alquanto diversi; come mostra la Figura 3.9, c’è la formazione di due vortici sulle bolla toroidale (frame 11), dopo che i microgetti hanno completato la loro penetrazione nella bolla originale. Figura 3.8: Serie di fotografie che mostrano lo sviluppo dei microgetti rientranti in una bolla collassante molto vi ina alla par t soli a. gni fram pr so opo 2μs ha una largh zza i 1.4mm. Tomita e Shima (1990) Figura 3.9: Foto simili alla precedente, ma con una maggiore distanza della bolla dalla superficie solida. Tomita e Shima (1990) 46 Inoltre, in alcune fotografie, in cui le bolle sono a circa un diametro di distanza dalla parete, si vede che il collasso iniziale è abbastanza sferico e che il getto rientrante penetra il fluido tra la bolla e la parete appena la bolla si ridelimita dopo il primo collasso. Questo stadio è molto simile alla Figura 3.5 ma con la protuberanza diretta al muro. D’altra parte, quando la bolla iniziale è molto vicina alla parete e il collasso comincia con una forma di calotta sferica, le foto mostrano una bolla che si spiattella (a forma di frittella) verso la superficie come si vede dalla Figura 3.10. In tali circostanze è difficile visualizzare il microgetto. Plesset e Chapman (1971) calcolarono numericamente la distorsione di una bolla inizialmente sferica durante il collasso vicino ad un confine solido, e come dimostra la Figura 3.6 i loro profili sono in accordo con le osservazioni sperimentali. Quando una bolla collassa in un fluido fermo, vicino ad una parete, i getti rientranti raggiungono alte velocità abbastanza presto nel processo, e molto prima che il volume del liquido raggiunga dimensioni alle quali, per esempio, la comprimibilità diventi importante. La velocità dei getti rientranti, UJ, al momento dell’impatto con la superficie opposta della bolla è data dalla 1 p 2 ξ( ) [3.8] in cui ξ è costante e p è la differenza tra la pressione remota che manterrebbe la bolla in equilibrio al suo massimo raggio, e la pressione remota presente durante il collasso. Se si ha la fissione della bolla, dovuta alla rottura causata dai microgetti o dagli effetti di instabilità della seconda fase, molte delle osservazioni sperimentali del collasso mostrano che una bolla che arriva dalla prima ricostruzione non è una singola bolla ma una nuvola di bolle più piccole. Sfortunatamente, la velocità degli ultimi momenti del collasso è così elevata che non si ha il tempo necessario per vedere i dettagli di questa fissione. Il comportamento dinamico della nuvola di bolle può essere differente da quello di una singola bolla, ad esempio, lo smorzamento dei cicli di collasso e ridelimitazione è maggiore. Per concludere, bisogna enfatizzare che le osservazioni fatte, sono pertinenti al collasso di una bolla in un fluido fermo. 47 Figura 3.10: Serie di fotografie del collasso di una bolla emisferica su una superficie solida. Benjamin e Ellis (1966) 3.6 Danni della cavitazione Il problema più comune causato dalla cavitazione è il danno ai materiali che le bolle possono provocare quando collassano vicino alla superficie solida. La questione è complicata, sia perché coinvolge fenomeni di flusso instabile sia per le reazioni del materiale di cui è fatta la superficie stessa. Per tale motivo ci sono molte regole empiriche per aiutare a valutare il tenore del danno da cavitazione in una data applicazione. In precedenza si è visto che il collasso di una bolla di cavitazione è un processo violento, che genera onde d’urto di grande ampiezza, e microgetti nel fluido. Quando tali fenomeni avvengono vicino alla superficie solida, generano su di essa degli stress altamente localizzati. Questi carichi, dovuti a ripetuti collassi, causano fenomeni di fatica localizzata sulla superficie, e il successivo distacco o sfaldamento di pezzi di materiale. Nella figura 3.11 è riportata una tipica foto del danno localizzato prodotto dalla cavitazione sulla pala di una pompa a flusso misto, esso ha l’apparenza di una frastagliatura, con rottura a fatica, facilmente distinguibile dall’erosione dovuta alle particelle solide che ha un aspetto molto più regolare e uniforme. Nel caso di acciaio, gli effetti della corrosione spesso intensificano la velocità del danno da cavitazione. 48 Figura 3.11: Danno da cavitazione sulle pale di una pompa a flusso misto. Brennen (1995) Una volta che la nuvola di cavitazione si è generata, le piccole bolle continuano a collassare collettivamente, mantenendo lo stesso comportamento dinamico qualitativo della singola bolla, includendo la possibile formazione di onde d’urto in seguito al punto di minimo volume. Per studiare la formazione della nuvola sono stati usati diversi metodi, tra cui il metodo fotografico Schlieren ad alta velocità, mostrando che l’onda d’urto sferica è realmente generata dalla nuvola residua al momento di minimo volume. La Figura 3.12 mostra una serie di foto di bolle collassanti con la corrispondente traccia di pressione; l’istante di minimo volume risulta tra il sesto e il settimo fotogramma e la traccia mostra chiaramente il picco di pressione che avviene in quell’istante. Con questo metodo fotografico il microgetto sembrerebbe avere un ruolo sussidiario. Un altro metodo è quello di utilizzare un materiale fotoelastico in modo da poter osservare gli stress nel solido e misurare le pulsazioni acustiche simultaneamente. Usando come innesco il primo collasso della bolla si impiega un intervallo di tempo variabile per fare le fotografie dello stato di stress del solido a vari istanti relativi al secondo collasso. Registrando simultaneamente la pressione nel liquido, si può confermare che lo stress impulsivo nel materiale inizia allo stesso momento dell’impulso acustico. Tuttavia in investigazioni più approfondite si osservò che l’impulso di stress era il risultato dei microgetti e anche del collasso della nuvola residua, quest’ultimo da 2 a 3 volte più grande rispetto a quello dei microgetti. Ci sono dei dispositivi che permettono di valutare queste suscettibilità comparative; il più comune consiste di un dispositivo che oscilla un campione, in un liquido, producendo periodici sviluppi e collassi di bolle di cavitazione sulla superficie del campione. I test durano molte ore, con regolari pesature per determinare le perdite di 49 peso, mostrando che la perdita di materiale non è costante, questo perché una superficie irregolare e danneggiata può produrre un’alterazione del modello di cavitazione. In queste prove si utilizza un dispositivo magnetostrittivo al fine di raggiungere frequenze standard dai 5 ai 20 kHz. Queste frequenze causano le più grandi nuvole di bolle di cavitazione sulla superficie del campione, perché sono vicine alla frequenza naturale di una significante frazione di nuclei presenti nel liquido. Nella maggior parte dei dispositivi i danni da cavitazione sono molto indesiderati, però, ci sono circostanze in cui il fenomeno è utilizzato vantaggiosamente, ad esempio nel meccanismo di taglio di rocce con alta velocità dei getti d’acqua (taglio causato almeno in parte dalla cavitazione nel getto appena si ha il contatto con la superficie rugosa della roccia) o nella cavitazione medica per l’eliminazione di adiposità localizzate. Ulteriori esempi di danni della cavitazione sono riportati in Figura 3.20 e 3.21. Figura 3.12: Bolla collassante vicino ad una parete solida in funzione della traccia di pressione caratteristica della superficie. Shima, Takayama, Tomita e Ohsawa (1983) 50 Figura 3.13: Fotografia di una nuvola di cavitazione formata acusticamente. Plesset e Ellis (1955) Figura 3.14: ist assiali ll’ingr sso lla avitazion l danno da cavitazione sul mozzo di una girante di pompa centrifuga. Soyama, Kato, and Oba (1992) 51 3.7 Collasso delle nuvole In molti dispositivi pratici il danno da cavitazione avviene in aree ben localizzate, ad esempio sulla girante di una pompa, come visto nelle figure precedenti. Questo è dovuto da periodici e coerenti collassi di una nuvola di bolle cavitanti. Una tipica nuvola di cavitazione è mostrata in Figura 3.13. In altre macchine idrauliche la periodicità può avvenire naturalmente come risultato del distacco di vortici cavitanti, o per risposta ad un disturbo periodico imposto sul flusso. In quasi tutti questi casi, il collasso coerente della nuvola può causare rumore molto più intenso e maggior potenziale di danno rispetto ad un flusso non fluttuante. Di conseguenza il deterioramento è molto severo sulla superficie del solido vicino alla locazione del collasso della nuvola. Un esempio di questo fenomeno è incluso nella Figura 3.14 in cui le nuvole di cavitazione collassano in una posizione specifica, portando al danno localizzato della foto di destra. 3.8 Rumore della cavitazione Il violento e catastrofico collasso delle bolle di cavitazione produce, oltre alla possibilità di danno materiale, anche un particolare rumore, che è una conseguenza delle momentanee alte pressioni che si vengono a generare quando il contenuto della bolla è altamente compresso. Se si denota il volume della cavità che varia in funzione del tempo con V(t), segue che la variazione della componente di pressione nel tempo, lontano dalla bolla, è data da: 2 pa [3.9] t2 4π dove pa è la pressione acustica irradiata, ed R è la distanza dal centro della cavità dal punto di misura. Poiché il rumore è direttamente proporzionale alla seconda derivata del volume rispetto al tempo, è chiaro che l’impulso del rumore, generato al collasso della bolla, avviene per il grande valore positivo di d2V/dt2, quando la bolla è vicina alla sua dimensione minima. Si usa presentare il livello del suono, usando una scarto quadratico medio di pressione, o pressione acustica, pS, definita come p2 ̅̅̅ p2a ∞ ∫ f f [3.10] 0 con frequenza f e funzione di densità spettrale G(f). Il rumore scoppiettante che accompagna la cavitazione è una delle caratteristiche più evidenti di questo fenomeno per ricercatori e ingegneri. L’insorgenza della cavitazione è spesso individuata prima da questo rumore piuttosto che dall’osservazione delle bolle, e quindi per gli ingegneri è il primo metodo di rilevazione in dispositivi come pompe e valvole. Ci sono infatti, molti metodi empirici per stimare il tasso del danno materiale misurando il rumore generato. 52 Figura 3.15: Spettri di energia del rumore da un modello di valvola che opera sotto condizioni di non avitazion (σ 0.523) i avitazion (σ 0.452 0.342). artin t al. (1981) Il rumore dovuto alla cavitazione tipica nell’orifizio di un controllo idraulico a valvola è presentato in Figura 3.15. La curva più bassa a σ 0.523 rappresenta il rumore turbolento di un flusso non cavitante; sotto il numero tipico di incipiente cavitazione si ha un drammatico incremento nel livello di rumore alla frequenza di 5 o più kHz. Il picco dello spettro tra 5 e 10 kHz corrisponde alla frequenza naturale dei nuclei presenti nel flusso. Figura 3.16: Frequenza dei picchi acustici in funzione del numero tipico di cavitazione. Dati per getti cavitanti da Franklin e McMillan (1984) 53 Nella pratica, molti esperimenti sembrano esibire un comportamento in frequenza che varia come f- -1 o f- -2, mostrando un debole decadimento. Molti autori hanno anche analizzato gli effetti della comprimibilità del liquido. I picchi in molte curve del rumore, da flussi cavitanti (esempio in Figura 3.15), tendono ad abbassare le frequenze al diminuire del numero tipico di cavitazione. Questa tendenza è ulteriormente illustrata dai dati per getti cavitanti di Figura 3.16. Ceccio e Brennen (1991) registrarono il rumore della cavitazione di bolle in una portata, riportando un tipico segnale acustico come in Figura 3.17. Il grande impulso positivo a circa 450μs corrisponde al primo collasso della bolla, questo è seguito da qualche oscillazione dipendente dall’impianto, e da un secondo impulso a circa 1100μs, corrispondente al secondo collasso dopo la ridelimitazione del primo. Figura 3.17: Segnale acustico da una singola bolla collassante. Ceccio e Brennen (1991) Una buona misura della grandezza dell’impulso di collasso è l’impulso acustico I definito come l’area sotto l’impulso t2 ∫ pa t [3.11] t1 con t1 e t2 i tempi prima e dopo l’impulso al quale pa è zero. Si definisce anche un impulso adimensionale I* come * 4π ∞ 2 [3.12] con U∞ e RH velocità di riferimento e lunghezza di riferimento nel flusso. La media degli impulsi acustici per una bolla che collassa su due forme assialsimmetriche si riporta in Figura 3.18, con gli impulsi previsti dalla Rayleigh-Plesset. Poiché queste calcolazioni teoriche assumono che la bolla rimanga sferica, la 54 discrepanza tra teoria e pratica non è così sorprendente, infatti una interpretazione della figura è che la teoria può fornire una stima dell’ordine di grandezza e un limite massimo del rumore prodotto da una singola bolla. In realtà la deviazione dalla sfericità produce un collasso meno focalizzato e quindi meno rumore. Figura 3.18: omparazion ll’impulso a usti o , pro otto al ollasso i una singola olla i avitazion su due forme assialsimmetriche in funzione del massimo volume prima del collasso. Simbolo vuoto per il corpo Schiebe, simbolo pieno per corpi ITTC. Ceccio e Brennen (1991) Nel prossimo passo si considera la sintesi del rumore da cavitazione, dal rumore prodotto da singoli eventi. Se l’impulso prodotto da ogni evento è denotato da I ed il numero di eventi per unità di tempo da NE, il livello di pressione sonora risulta p [3.13] omettendo alcuni fattori di proporzionalità per motivi di chiarezza, quindi i risultati sono intesi solo come guida qualitativa. Sia risultati sperimentali, sia analisi basate sulla Rayleigh-Plesset indicano che l’impulso adimensionale prodotto da un singolo evento di cavitazione è fortemente correlato con il massimo volume delle bolla prima del collasso, ed è anche indipendente dagli altri parametri di flusso. Segue dalla [3.10] e [3.12] che * 1 ∞ 2 *( t 55 * t2 ( t * + t1 [3.14] Se il raggio della bolla al tempo t1 è denotato da RX e il coefficiente di pressione nel liquido con CPX, allora * 2 8π ( σ * 1 2 [3.15] L’integrazione numerica della Rayleigh-Plesset per un intervallo tipico di circostanze rende RX/RM ≈ 0.62 dove RM è il raggio di massimo volume e (CPX - σ) è proporzionale a RM/RH cosicché: * β( 5 2 [3.16] * Si nota una relazione abbastanza simile tra I* e RM/RH dell’onda di suono generata dal collasso di una bolla di gas in un liquido comprimibile. Da sopra segue che 2.5 ∞ 0.5 β 12 [3.17] Quindi la valutazione dell’impulso da un singolo evento è completa con la stima di RM. Se tutti i nuclei fluenti attraverso un certo tubo di flusso noto, di area circolare AN, che cavitano similarmente, allora [3.18] ∞ con N concentrazione di nuclei nel flusso entrante, segue che il livello di pressione sonora risultante dalla sostituzione di [3.19], [3.18] nella [3.14], ha la forma: p β 3 2 ∞ 2 σ min 2.5 [3.19] Leggi diverse si applicano quando la cavitazione è generata da fluttuazioni turbolente, e le tipiche tensioni dei nuclei che si muovono lungo un percorso in una portata turbolenta sono più difficili da stimare. Inoltre, quando la quantità delle bolle è elevata, la radiazione del rumore inizia ad essere influenzata dall’interazione tra le bolle. 3.9 Luminescenza Le altissime pressioni e temperature che possono verificarsi in un gas incondensabile durante il collasso, sono da ritenersi responsabili per il fenomeno noto come luminescenza, cioè l’emissione di luce osservata durante il collasso della bolla di cavitazione. Il fatto che la luce fosse emessa al collasso fu dimostrato da Meyer e Kuttruff (1959), che osservarono la cavitazione su di un’asta oscillante magnetostrittiva e correlarono la luce al punto di collasso nel ciclo di cavitazione. 56 Come già visto nel paragrafo 3.4, le temperature possono essere stimate sulla base della compressione uniforme dei gas non condensabili, e raggiunte per frazioni di microsecondi. Queste condizioni spiegherebbero l’emissione della luce. Alcuni esperimenti individuarono temperature più alte, rispetto a quelle trovate prima, con durate dei picchi dell’ordine di picosecondi. Alcune osservazioni su questi esperimenti si concentrano sul fatto che le bolle collassanti formano una propagazione sferica di un urto nel gas contenuto dalla bolla, e che la concentrazione dell’urto al centro della bolla è un’importante ragione per l’alta temperatura associata alla radiazione sonoluminescente. Quando accade nel contesto di cavitazione acustica la luminescenza è chiamata sonoluminescenza, per evidenziare il fatto che sia la cavitazione piuttosto che il suono a causare l’emissione di luce. Come ci si aspetterebbe dalla Rayleigh-Plesset, la tensione superficiale e la tensione di vapore del liquido sono importanti per la determinazione della sonoluminescenza del flusso, come è chiaramente mostrato in Figura 3.19 La sonoluminescenza è anche fortemente dipendente dalla conduttività termica del gas, e questo è molto evidente con gas il cui coefficiente di conduzione termica è basso. Chiaramente la conduzione del gas gioca un ruolo fondamentale nel fenomeno, e la rottura della bolla per collasso completo potrebbe portare all’eliminazione dello stesso. L’emissione di luce in un flusso cavitante fu osservata per prima in un tubo venturi, identificando la fonte come la regione del collasso della bolla, trovando anche che un impulso di pressione acustica è associato ad ogni lampo di luce. Si studiarono soprattutto i comportamenti dell’acqua a questo fenomeno, con diversi tipi di gas incondensabili disciolti. Ci furono però altri esperimenti, che trovarono molte difficoltà nell’osservare luminescenze in portate cavitanti, il perché fu associato al fatto che solo il collasso di bolle con una simmetria significativamente sferica producessero luminescenze, e questo accade raramente in molti flussi. Figura 3.19: Correlazione del flusso sonoluminescente per diversi tipi di liquidi. Jarman (1959) 57 Figura 3.20: Elica navale con danni provocati dalla cavitazione in vicinanza del bordo. www.wikipedia.org Figura 3.21: Girante di pompa centrifuga danneggiata dalla cavitazione con rottura a fatica. www.wikipedia.org 58 CAPITOLO 4 Dinamica delle bolle oscillanti 4.1 Introduzione In questo capitolo ci si focalizza sulla risposta di una bolla a continue oscillazioni di pressione. Una utile classificazione usa la grandezza del raggio oscillante della bolla in risposta al campo di pressione fluttuante imposto. Si possono identificare tre regimi: 1. Per piccole ampiezze di oscillazione della pressione la risposta è lineare 2. A causa della non linearità nell’equazioni governanti, particolarmente nella Rayleigh-Plesset, la risposta di una bolla comincia ad essere influenzata da queste non linearità all’aumento dell’ampiezza di oscillazione. Tuttavia, la bolla può continuare ad oscillare stabilmente. Sotto queste circostanze ci si riferisce alla “cavitazione acustica stabile”, molti fenomeni non lineari possono influenzarla in modo importante, alcuni di questi sono: la produzione di subarmoniche, il fenomeno di diffusione rettificata e la generazione delle forze di Bjerknes. 3. Sotto altre circostanze il cambio della dimensione della bolla durante un singolo ciclo di oscillazione può diventare così grande che la bolla subisce un ciclo di crescita di cavitazione esplosivo e un collasso violento, simile a quello descritto in precedenza. Questo tipo di risposta è detta “cavitazione acustica transitoria”, ed è distinta dalla stabile per il fatto che il raggio della bolla cambia di molti ordini di grandezza durante il ciclo. È necessario notare che altri fattori sono importanti nella determinazione della risposta per un dato campo di oscillazione della pressione. Uno di questi è la relazione tra la frequenza, ω, dell’oscillazione imposta e la frequenza naturale, ωN, della bolla. Qualche volta è caratterizzato dalla relazione tra il raggio di equilibrio della bolla, RE, in assenza di oscillazioni di pressione e la dimensione della bolla ipotetica, RR, che risuonerebbe alla frequenza imposta, ω. Un altro fattore è la relazione tra l’ampiezza di oscillazione della pressione, p̃ , e la pressione media p∞. Ad esempio se p̃ < p∞ la bolla non risulta mai sotto tensione e non caviterà. Anche la predominante del riempimento della bolla è un fattore importante, se con vapore si ha “cavitazione acustica transitoria”, se con gas si ha “cavitazione acustica stabile”. 4.2 Frequenza naturale Inizialmente si sono trascurati gli effetti termici e l’influenza della comprimibilità del liquido. Come si vedrà più avanti, entrambi aumentano diventando più importanti dei termini viscosi che si erano considerati. 59 Tenendo presente la soluzione linearizzata della 2.9 quando la pressione all’infinito ̅ ∞ , su cui è stata sovrapposta una piccola oscillazione coincide col valore della media p di pressione di ampiezza, p̃ , e una pulsazione ω cosicché: p∞ ̅∞ p {p̃ jωt } [4.1] jωt [4.2] La risposta dinamica lineare della bolla è allora [1 {ϕ }] dove RE è la dimensione di equilibrio alla pressione media, e la risposta del raggio della bolla ϕ è in generale un numero complesso in modo che RE|ϕ| sia l’ampiezza dell’oscillazione del raggio della bolla. La fase, ϕ, rappresenta la sfasatura tra p∞ e R. Si assume che la massa di gas nella bolla rimanga costante (mG). Sostituendo la [4.1] e [4.2] nella [2.9], trascurando tutti i termini di ordine ϕ2 e usando la condizione di equilibrio pV - p∞ + pGE - 2S/RE = 0, si ottiene: ω2 jω 4ν 1 2 2 [ 2 3 p p̃ ] 2 ϕ [4.3] dove, come prima: p ̅∞ p 2 p 3m [4.4] 3 4π Segue che per una data ampiezza, il picco di risposta d’ampiezza avviene alla frequenza, ωP, dato dal minimo valore del raggio della parte sinistra nella [4.3] ω [ 3 p 8ν2 2 / 2 4 1 2 [4.5] ] oppure in termini di differenza di pressione: ω [ ̅∞ 3 (p p ) 2 3 2 8ν2 1 3 4 1 2 ] [4.6] A questo picco di frequenza l’ampiezza di risposta è inversamente proporzionale allo smorzamento: |ϕ|ω p̃ ω 4μ *ω2 4ν2 1/2 4+ [4.7] È utile definire la frequenza naturale dell’oscillazione della bolla come valore del picco di frequenza per uno smorzamento nullo: 60 ω { 1 2 1 2 ̅∞ [3 (p p ) 2 3 1 [4.8] ]} La connessione con il criterio di stabilità di paragrafo 2.5, è chiaro quando si osserva che non esistono frequenze naturali per tensioni maggiori di 4S/3RE, oscillazioni stabili possono esistere solo per equilibri stabili. La frequenza di picco è una quantità importante da considerare in ogni problema di dinamica della bolla. Figura 4.1: Frequenza di risonanza di una bolla in acqua a 300K, ( 0.0717, μL 0.000863 come funzione del raggio della bolla per varie pressioni. Brennen (1995) L = 996.3) Si nota dalla [4.6] che la frequenza di picco, ωP, è funzione solo della tensione, di RE, e dalle proprietà del liquido, inoltre si vede che il secondo e terzo termine dominano a raggi di equilibrio molto piccoli, e la frequenza è quasi indipendente dalla tensione, (vedi Figura 4.1 e 4.2). Per bolle grandi il termine viscoso diventa trascurabile e il picco di frequenza dipende dalla tensione. È importante prendere nota che per i nuclei comunemente trovati in acqua, nell’intervallo di grandezza da 1 a 100μm, le frequenze naturali sono dell’ordine dai 5 ai 25kHz. Inoltre si nota che, come ogni oscillatore, un nucleo eccitato alla sua frequenza di risonanza, ωP, esibisce una risposta la cui ampiezza è principalmente funzione dello smorzamento. Poiché lo smorzamento viscoso è piuttosto piccolo in molte circostanze pratiche, l’ampiezza data dalla 4.7 può essere molto grande a causa del fattore μL al 61 Figura 4.2: Frequenza di risonanza della bolla nel sodio a 800K in funzione del raggio della bolla per varie pressioni. Brennen (1995) denominatore. Questo potrebbe causare che il nucleo ecceda la sua dimensione critica, RC, e che risulti un comportamento altamente non lineare con ampiezze molto grandi. L’ampiezza di pressione critica risulta: p̃ 4μ *ω2 4ν2 4 1 2 + {[1 ω2 2 1 3 2 ] 1} [4.9] e in molte circostanze questa è approssimativamente uguale a 4μLωN. Per esempio: 10μm nell’acqua a 300K frequenza naturale circa 10kHz con l’ampiezza di pressione critica circa 0.002bar che è molto bassa. 4.3 Costante politropica effettiva Si valuta l’assunzione che il gas nella bolla si comporti politropicamente in accordo con pG = pG0(R0/R)3K. L’assunzione politropica è di solito accettabile per le seguenti ragioni: Durante la crescita di una bolla di vapore, il gas gioca un ruolo relativamente piccolo, e la preponderanza di vapore tende a determinare la temperatura della bolla. Durante la fase di collasso, quando il gas predomina, le velocità sono così alte che sembra adeguata un’assunzione adiabatica γ. 62 Poiché una bolla collassante perde la sua simmetria sferica, il movimento interno del gas genera mescolamento, che tende a negare ogni altro modello sofisticato basato sulla simmetria sferica. Il problema dell’appropriata costante politropica è direttamente accoppiato con la valutazione dello smorzamento termico effettivo della bolla, che fu analizzato in dettaglio da Prosperetti (1977), con particolare attenzione alla diffusione termica nel gas, e riuscendo a predire l’effettivo esponente politropico mostrato in Figura 4.3, dove è plottato in funzione della frequenza ridotta, ω E2/αG, per diversi valori di diffusività termica adimensionale nel gas, definita come α* α ω 2 [4.10] con αG e cG rispettivamente la diffusività termica e la velocità di propagazione del suono nel gas. Si nota che per basse frequenze il comportamento tende a diventare isotermico con K = 1, d’altra parte, con frequenze alte, il comportamento tende a diventare isoentropico. Inoltre, ad alte frequenze, l’esponente può assumere valori fuori dall’intervallo 1 < < γ. La Figura 4.4 mostra i dati di esperimenti tipici di bolle d’aria in acqua. Risultati che sono coerenti con la teoria per frequenze minori a quella di risonanza. Figura 4.3: Esponente politropico effettivo, K, in funzione della frequenza di riduzione per una determinata diffusività termica del gas. Prosperetti (1977) 63 Riassumendo 1 3 {δ} [4.11] dove {ζ} è una funzione complessa. Finchè l’uso di un’esponente effettivo politropico provvede un consistente avvicinamento per le oscillazioni lineari, si è dimostrato che può causare significativi errori quando l’oscillazione diventa non lineare. Sotto queste circostanze il comportamento del gas può divergere da quello che è il comportamento con un esponente politropico effettivo. 4.4 Termini di smorzamento Chapman e Plesset (1971) hanno presentato un utile riassunto dei tre principali contributi allo smorzamento delle oscillazioni della bolla, cioè a causa della viscosità del liquido, della comprimibilità del liquido attraverso la radiazione acustica e della conduttività termica. È particolarmente conveniente rappresentare i tre componenti di smorzamento come contributi additivi di una viscosità effettiva del liquido μE, che si può sostituire nella Rayleigh-Plesset al posto della viscosità attuale μL: μ μ μ μ [4.12] dove la viscosità “acustica” μ ω2 4 2 [4.13] con cL velocità del suono nel liquido. Figura 4.4: isur sp rim ntali ll’ spon nt politropi o, , p r oll ’aria in a qua in funzion rapporto tra raggio di equilibrio e raggio di risonanza della bolla. La linea solida rappresenta i risultati teorici. Crum (1983) 64 l La viscosità “termica”, μT, segue dalle stesse analisi usate per ottenere l’esponente politropico effettivo μ ̅∞ p 2 4ω m{δ} [4.14] La grandezza relativa dei tre componenti dello smorzamento può essere piuttosto differente per diverse grandezze di RE. In Figura 4.5 si illustrano i dati per bolle d’aria in acqua a 20°C, dove si nota che la componente viscosa è importante per bolle molto piccole, la componente acustica è predominante per bolle più grandi di un centimetro, mentre la componente termica è dominante per molte bolle di dimensioni considerevoli. Figura 4.5: Termini di smorzamento della bolla e smorzamento totale in funzione del raggio di equilibrio, per acqua. Chapman e Plesset (1971) 4.5 Effetti non lineari Nel precedente paragrafo si è assunto che la perturbazione nel raggio della bolla, ϕ, fosse sufficientemente piccolo cosicché si possa mantenere l’approssimazione lineare, però, le bolle singole, esibiscono un numero di interessanti e importanti fenomeni di non linearità. Quando un liquido che contiene inevitabilmente microbolle, viene irradiato da un suono ad una data frequenza, ω, la risposta non lineare risulta come una dispersione armonica, che non produce solo armoniche con frequenze multiple di ω (superarmoniche) ma più insolitamente subarmoniche con frequenza minore di ω della forma mω/n con m, n interi. Sia le super che le subarmoniche diventano importanti quando l’ampiezza di eccitazione aumenta. 65 Ci furono molte investigazioni analitiche e numeriche per la produzione delle subarmoniche, utilizzando soluzioni della Rayleigh-Plesset per esplorare le caratteristiche non lineari di una singola bolla eccitata da una pressione oscillante con una frequenza ω. Come ci si poteva aspettare, diversi tipi di risposta arrivano, a seconda che ω sia più grande o più piccola della frequenza naturale della bolla ωN. Figura 4.6: Risposta per frequenza minore alla natural in alto on ω/ωN = 0.8, e maggiore alla naturale in asso on ω/ωN 1.8, s mpr a un’ampi zza i 0.33 ar. Flynn (1964) La Figura 4.6 mostra due esempi del tipo di risposta, una per ω < ωN e l’altra per ω > ωN. Notare la presenza di subarmoniche in entrambi i casi. Si esaminarono soluzioni numeriche per un gran numero di frequenze di eccitazione diverse e si costruirono curve di risposta a tali frequenze come in Figura 4.7, in cui si nota il progressivo sviluppo delle risposte di picco a frequenze subarmoniche all’aumentare dell’ampiezza di eccitazione. Gli effetti non lineari non solo creano i picchi sub-armonici, ma anche picchi di risonanza distorti (a sinistra), creando delle discontinuità indicate con la linea verticale tratteggiata in figura. Queste corrispondono a biforcazioni o transizioni improvvise tra due soluzioni valide, una con un’ampiezza più grande dell’altra. 66 Figura 4.7: mpi zza ll os illazioni ra iali i una olla i raggio 1μm in a qua a 1 ar i pr ssione in funzion l rapporto ω/ωN. Lauterborn (1976) 4.6 Analisi debolmente non lineari Finchè le ampiezze di oscillazione sono ancora abbastanza piccole è valido usare una tecnica espansiva per investigare gli effetti delle piccole non linearità. Si devono mantenere solo i termini che sono quadratici nell’ampiezza di oscillazione, i termini cubici, o di ordine maggiore, sono trascurati. Il risultato è la seguente forma non lineare della [4.3]: n 1 p̃ n ω2 2 β0 n ϕn n ∑ β1 n, m ϕm ϕn m 1 m ∑ β2 n,m ϕ̂ m ϕn m [4.15] m 1 dove β0(n), β1(n,m) e β2(n,m) sono funzioni di ν/ωNRE2, / LωN2RE3, K e δ (discretizzazione del dominio di frequenza). Date le caratteristiche del fluido e della bolla la [4.15] può essere risolta iterativamente per trovare ϕn. Il valore di N dovrebbe essere abbastanza grande da comprendere tutte le armoniche con ampiezza significante. Esaminando prima le caratteristiche delle oscillazioni radiali che sono date da una singola frequenza di eccitazione, è chiaro che, dalla 4.15 , l’unica ϕn non nulla avviene a frequenze che sono multipli interi della frequenza di eccitazione. Di conseguenza per questa classe di problemi si sceglierebbe δ per rimanere alla frequenza di eccitazione. La Figura 4.8 mette a confronto la soluzione della non linearità e l’integrazione numerica della Rayleigh-Plesset che chiaramente divergono all’aumentare dell’ampiezza di oscillazione; comunque la figura mostra che le soluzioni debolmente non lineari sono qualitativamente buone. 67 Figura 4.8: Confronto tra soluzioni debolmente non lineari e integrazione numerica della Rayleigh-Plesset. Brennen (1995) La Figura 4.9 mostra esempi dei valori di |ϕn| per tre diverse ampiezze di eccitazione e dimostra come le armoniche diventano più importanti all’aumentare dell’ampiezza. Le soluzioni debolmente non lineari possono anche essere usate per costruire spettri di risposta in frequenza, come si vede in Figura 4.10, dove è tracciata la massima deviazione possibile del raggio di equilibrio (Rmax - RE)/RE, in funzione della frequenza di eccitazione dove per convenienza si stima: max ∑ ϕn [4.16] n 1 Chiaramente le soluzioni debolmente non lineari esibiscono risonanze subarmoniche simili a quelle viste in molti casi più comuni. I vantaggi delle analisi debolmente non lineari diventano più visibili quando ci sono problemi di geometria più complessa o frequenze multiple di eccitazione. 68 Figura 4.9: s mpi i gran zza ll’ampi zza ll armoni h ϕn|. Brennen (1995) Figura 4.10: Spettri di risposta in frequenza a tre diverse ampiezze di eccitazione: 0.1 a puntini, 0.2 tratteggiata e 0.3 solida. Brennen (1995) 4.7 Soglia per la cavitazione transitoria Ci si sposta ora sulle circostanze in cui avviene la cavitazione acustica transitoria. Il primo paso nello stabilire tale criterio è compiuto dall’analisi di stabilità statica di paragrafo 2.5, dove si era esplorata la stabilità di una bolla quando la pressione lontana dalla bolla era variata, ed identificando una dimensione critica del raggio [2.18], 69 ed una soglia di pressione critica dalla [2.19] che se raggiunta guiderebbe ad una crescita instabile e quindi ad una cavitazione transitoria. La complicazione che si aggiunge in questo contesto, è che ci sia solo un tempo finito durante ogni ciclo per il quale la crescita può avvenire, quindi bisogna capire se c’è o non c’è sufficiente tempo per una significante crescita instabile. Il problema è determinato dalla relazione tra la pulsazione ω dell’oscillazione imposta e la frequenza naturale, ωN della bolla. Se ω ≪ ωN, allora l’inerzia ha poca importanza nelle dinamiche della bolla, e la bolla risponde quasi staticamente. L’ampiezza critica alla quale la cavitazione transitoria avviene risulta dalla 2.18 p̃ ̅∞ p p 4 8π [ 3 9m ] 1 2 [4.17] Dall’altra parte se ω ωN il problema coinvolge le dinamiche della crescita della bolla poiché l’inerzia determina la dimensione delle perturbazioni. Si nota che una condizione necessaria ma non sufficiente per la cavitazione transitoria è che la pressione dell’ambiente cada sotto alla tensione di vapore del liquido, per parte del ciclo di oscillazione. Se assumendo che la soglia venga superata, il tasso di crescita della bolla è dato approssimativamente dal tasso di crescita asintotica della [2.11]; combinandola con il tempo disponibile per la crescita il raggio massimo della bolla è dato da: π p̃ f β * ω ̅∞ p 1 2 + [4.18] dove f(β), data da Apfel (1981), tiene conto di alcuni dettagli come la funzione di mezzo periodo per cui la pressione è negativa. L’ultimo passaggio nella costruzione del criterio per ω ωN è di argomentare che la cavitazione transitoria avviene quando RM → 2 E, e quindi la pressione critica diventa p̃ ̅∞ p 4 2 π2 f ω2 2 [4.19] 4.8 Rettificazione della diffusione di massa Si passa l’attenzione all’effetto non lineare che coinvolge il trasferimento di gas disciolti tra liquido e bolla. Questo importante effetto avviene in presenza di un campo acustico ed è conosciuto come “rettificazione della diffusione di massa”. Si considera una bolla di gas disciolto e si aggiunge una oscillazione alla pressione ambiente. Il gas tenderà ad uscire dalla soluzione della bolla durante quella parte del ciclo di oscillazione quando la bolla è più grande della media, perché la pressione parziale del gas nella bolla si annulla. Il gas si ridiscioglie durante l’altra metà del ciclo, quando la bolla è più piccola della media. 70 Tuttavia ci sono due effetti che tendono ad aumentare la massa di gas nella bolla: Il primo di questi è dovuto al fatto che il rilascio di gas dal liquido avviene durante quella parte di ciclo quando l’area di superficie è grande, e quindi l’afflusso è leggermente più grande dell’efflusso durante l’altra parte del ciclo. Il secondo è dovuto alla diffusione dello strato limite, che tende ad essere allungato e più sottile quando la bolla è più grande e questo migliora il flusso nella bolla. Tale effetto contribuisce con un secondo termine quadratico al flusso netto di gas nella bolla. Analisi recenti che includono tutti i termini di contributi non lineari, portano al seguente risultato della diffusione di massa t * ∞ ( 3 1 ̅ ∞ ))/ (1 2 / p ̅∞ ) 4 /(3 p 2 +* 1 2 π t 1/2 1/2 + [4.20] Il segno del tasso di crescita della bolla è determinato dal segno del termine ∞ 2 (1 ̅∞ p )( 3 2 * [4.21] In assenza di oscillazioni e tensioni superficiali la bolla cresce quando c∞ > cS e si dissolve quando l’opposto è vero. Tuttavia, con presenza di oscillazioni, il termine ( 3/ 2) diminuisce sotto l’unità come l’ampiezza aumenta, questo causa un incremento positivo nel tasso di crescita. Anche in un liquido subsaturo, per cui c∞ < cS, questo incremento potrebbe causare il cambiamento del segno e divenire positivo. Se si applica una pressione oscillante ad un fluido con microbolle di raggio RE, allora la [4.21] dimostra che esiste una certa soglia di ampiezza sopra la quale le microbolle cominciano a crescere per diffusione rettificata. Figura 4.11: s mpi lla r s ita i oll ’aria in a qua satura a ausa lla iffusion r ttifi ata. quattro diverse ampiezze di pressione. La linea solida indica le previsioni teoriche. Crum (1980) 71 r Figura 4.12: ati ll’ampi zza lla pr ssion i soglia p r oll in a qua istillata satura ’aria. a frequenza del suono è di 22.1kHz. Crum (1984) Questa soglia di ampiezza è sufficientemente grande da far si che il rapporto ( 3/ 2) sia così piccolo da far svanire la [4.21]. Misure sperimentali del tasso di crescita e della soglia di ampiezza di pressione sono mostrate in Figura 4.11 e 4.12. Infine, si nota ancora che molte delle teorie assumono la simmetria sferica e che la divergenza dalla sfericità potrebbe alterare la diffusione dello strato limite in modo tale che si potrebbe influenzare radicalmente il processo di trasferimento di massa. La crescita delle bolle causata è molto lenta a confronto con gli altri processi di crescita, tuttavia, questo è un metodo attraverso cui, nuclei molto piccoli e stabili possono crescere sufficientemente per diventare nuclei di cavitazione. Come osservò Blake (1949), la soglia di pressione aumenta con l’aumentare di mG, pertanto, appena la massa di gas aumenta è necessaria una minore riduzione di pressione per creare una bolla instabile. 4.9 Forze di Bjerknes Un effetto non lineare diverso, è la forza competente di una bolla in un campo acustico causato da onde sonore. Il numero d’onda spaziale è denotato da ω/ L, la presenza di queste onde implica un gradiente di pressione istantaneo nel liquido. Sostituendo p̃ p̃ * sin 72 xi [4.22] * nella [4.1], dove la costante p̃ è l’ampiezza delle onde sonore, e xi è la direzione della propagazione d’onda. Come ogni altro gradiente di pressione, questo produce una forza istantanea nella direzione di propagazione dell’onda data da ̅i F π 2 (p̃ * ) sin 2 xi (ω2 2 [4.23] ω ) Questa è conosciuta come forza primaria di Bjerknes, tale formula produce alcuni modelli interessanti di migrazione della bolla in un campo sonoro stazionario. Se ω > ωN la forza primaria di Bjerknes causa migrazione delle bolle in un verso, se ω < ωN le bolle tendono a migrare nel verso opposto. È importante infine menzionare un altro effetto non lineare, un campo acustico può causare movimenti medi nel tempo detti “acoustic streaming”. Il termine microstreaming è usato per riferirsi a questi movimenti vicini a piccole bolle. Generalmente questi movimenti prendono la forma di modelli di circolazione che potrebbero alterare i processi di diffusione di calore o di massa, e quindi modificare fenomeni come la diffusione rettificata. 73 CAPITOLO 5 Flussi cavitanti 5.1 Introduzione Si comincia questa discussione di cavitazione in flussi descrivendo l’effetto del flusso su un singolo evento di cavitazione. Questo è il termine che viene usato nel processo che avviene quando un singolo nucleo di cavitazione è portato in una regione di bassa pressione nel flusso, cresce esplosivamente fino a dimensioni macroscopiche, e collassa quando si trova in una regione con pressione più elevata. Tutti i modelli di analisi sono basati su due assunzioni, che le bolle rimangano sferiche e che i singoli eventi non interagiscano gli uni con gli altri. Le osservazioni su flussi reali mostrano che le bolle di cavitazione sono lontane dalla sfericità, e di solito non ci sono singole bolle, ma piuttosto una nuvola di bolle più piccole. La deviazione dalla sfericità è spesso il risultato dell’interazione della bolla con il gradiente di pressione e le forze nel flusso, o l’interazione con una superficie solida. Quando la frequenza degli eventi di cavitazione aumenta nello spazio o nel tempo, essi cominciano ad interagire gli uni con gli altri, e si può manifestare un fenomeno nuovo. Gli eventi di cavitazione interagendo idrodinamicamente possono portare a conseguenze gravi come quelle viste nel capitolo 3. Aumentando la densità degli eventi si possono manifestare un numero di diversi tipi di cavitazione in larga scala. 5.2 Bolle in movimento Plesset (1948) dimostrò alcune valide approssimazioni per gli eventi di cavitazione usando la relazione [2.6]. Parkin (1952) aggiunse un modello più dettagliato per la crescita di bolle di cavitazione in movimento nel flusso attorno al corpo. Questo assumeva che le bolle iniziassero come micronuclei nel flusso del liquido in arrivo, e che la bolla si muovesse con la velocità del liquido lungo una linea di flusso vicino alla superficie solida. L’incipienza della cavitazione si riteneva avvenisse quando le bolle avessero raggiunto una dimensione osservabile dell’ordine di 1mm. Parkin, credeva che la mancanza di accordo tra questa teoria e le osservazioni sperimentali, fosse a causa del fatto che si era trascurato lo strato limite. Esperimenti seguenti (Kermeen, McGraw e Parkin 1955) rivelarono che la cavitazione poteva risultare da flussi di nuclei liberi all’interno del liquido, o da nuclei originati dalle imperfezioni della superficie di contatto. La maggior parte delle osservazioni sperimentali indicano che la grande maggioranza dei nuclei è già presente nel corpo liquido. Johnson e Hsieh (1966) mostrarono che, poiché le linee di flusso che incontrano la regione di bassa pressione sono vicine alla superficie libera, e quindi vicine alle linee di 74 flusso di ristagno, i nuclei subiscono grandi accelerazioni fluide e gradienti di pressione appena passano vicino a queste zone di ristagno. Quindi l’ideale sarebbe forzare i nuclei ad uscire da queste aree. Johnson e Hsieh chiamarono questo fenomeno come “effetto screening”. Questo è solo uno degli effetti che le accelerazioni e i gradienti di pressione nel flusso possono avere sui nuclei e sulla crescita e collasso di bolle cavitanti. 5.3 Interazioni bolla/flusso Il teorema del massimo modulo afferma che il massimo di una funzione armonica deve essere sul contorno e non all’interno della regione di soluzione di quella funzione. Segue che, la pressione minima di un flusso potenziale, stabile ed aviscoso, deve giacere sul contorno di quel flusso. Inoltre, gli effetti dei fluidi reali in molte portate non alterano il fatto che la pressione minima avvenga sulla, o vicino alla, superficie solida. L’eccezione più comune di questa regola si trova nella cavitazione di vortici, dove gli effetti stabili e/o viscosi associati al distacco dei vortici o alle turbolenze, causano la divergenza dal teorema del massimo modulo. In molti flussi in cui la pressione minima avviene sul confine, si ha che le bolle di cavitazione che si formano nelle vicinanze di quel punto, sono probabilmente influenzate da quel confine (superficie solida) interagendo con esso. Si osserva inoltre che ogni curvatura della superficie solida, o meglio, delle linee di flusso nelle vicinanze del punto di minima pressione, causano gradienti di pressione normali alla superfice. Questi gradienti di pressione forzano la bolla verso la superficie, e possono causare sostanziali deviazioni dalla sfericità. Prima ancora che gli effetti dello strato limite siano presi in considerazione nel quadro generale, è evidente che le dinamiche delle bolle di cavitazione possono essere alterate significativamente da interazioni con la superficie solida vicina, e dal flusso vicino a tale superficie. Prima di descrivere alcune osservazioni sperimentali dell’interazione bolla/flusso, si considerano le dimensioni relative delle bolle di cavitazione e dello strato limite viscoso. Nella portata di un flusso uniforme di velocità, U, attorno ad un oggetto come un’aletta idrodinamica, con dimensione tipica, l, lo spessore dello strato limite laminare vicino al punto di minima pressione è dato qualitativamente da δ (νLl/U)1/2. Tra parentesi, si nota che la transizione di turbolenza, di solito avviene a valle del punto di minima pressione e di conseguenza l’appropriato spessore dello strato limite per limitare la cavitazione, confinandola nelle immediate vicinanze della regione di bassa pressione, è lo spessore dello strato limite laminare. L’analisi approssimata, del paragrafo 2.5, rende un raggio massimo di bolla dato da 2l Segue che il rapporto δ/ M σ [5.1] min è approssimativamente dato da δ 1 1 2 σ min 75 ν 2 { } l [5.2] Quindi, poiché (- σ - CPmin) è dell’ordine di 0.1 o maggiore, si ha che per alti numeri di Reynolds, Ul/νL, che sono tipici in molti flussi in cui la cavitazione è un problema, lo strato limite è di solito più sottile della dimensione tipica delle bolle. Si può anticipare che quelle parti della bolla di cavitazione più lontane dalla superficie solida, interagiscono con il flusso principalmente fuori dallo strato limite, mentre quelle più vicine alla superficie solida sono influenzate dallo strato limite. 5.4 Osservazioni sperimentali Nelle osservazioni iniziali si notò che quasi tutte le bolle di cavitazione erano vicine alla forma semisferica piuttosto che sferica, e che apparivano essere separate dalla superficie solida da un piccolo strato di film di liquido. Ricerche più recenti si focalizzarono su queste interazioni bolla/flusso, estendendole al caso di bolle di cavitazione nel flusso attorno a corpi assialsimmetrici. Si usarono due corpi di tale forma nelle investigazioni, un corpo Schiebe (Schiebe 1972) e un corpo ITTC, una caratteristica importante della forma Schiebe è che lo strato limite non separa la zona di bassa pressione in cui si formano le bolle di cavitazione, l’altro invece esibisce una separazione laminare in quella regione. Per entrambe le forme le isobare nelle vicinanze del punto di minima pressione mostrano un largo gradiente di pressione normale alla superficie, come si vede in Figura 5.1. Questo gradiente è associato alla curvatura del corpo, e quindi alle linee di flusso nelle vicinanze del punto di minima pressione. Segue, a un dato numero di cavitazione, σ, che la regione a pressione sotto alla tensione di vapore, che è racchiusa tra la superficie solida e la superficie isobara, è lunga e fina comparata con la dimensione della forma. Solo i nuclei che passano attraverso questo piccolo volume cavitano. Figura 5.1: Isobare nella vicinanza del punto di minima pressione sulla forma assialsimmetrica Schiebe, con i valori indicati per i coefficienti di pressione. Schiebe (1972) e Kuhn de Chizelle et al. (1992) 76 Si descrivono per prime le osservazioni condotte da Ceccio e Brennen (1991). Foto tipiche di bolle sulla forma Schiebe di diametro di 5.08cm durante il ciclo di crescita e collasso delle bolle sono mostrate in Figura 5.2. Figura 5.2: Serie di fotografie mostranti la crescita e il collasso di bolle di cavitazione in movimento in un flusso attorno ad un orpo hi i iam tro i 5.08 m a σ 0.45 v lo ità i 9m/s. l flusso va a destra a sinistra. Ceccio e Brennen (1991) 77 La bolla, durante la fase di crescita, ha la forma di calotta sferica, ed è separata dalla parete da un sottile strato di liquido, dello stesso ordine di grandezza dello spessore dello strato limite. Gli sviluppi successivi dipendono dalla geometria del corpo e dal numero di Reynolds. Con riferimento alla Figura 5.2, si nota che come la bolla comincia ad entrare nella regione in cui il gradiente di pressione è avverso, la superficie esterna comincia ad essere spinta verso l’interno causando il profilo a cuneo della bolla. Il collasso inizia sulla superficie esterna della bolla, e questo spesso conduce ad uno schiacciamento in avanti, come si vede in figura. Altri due processi avvengono nello stesso momento: Lo spessore della bolla in direzione parallela al flusso diminuisce più velocemente della sua “apertura alare”, cioè dello spessore della bolla in direzione parallela alla superficie della forma e normale al flusso. Quindi la dimensione maggiore della bolla risulta l’apertura alare. (processo di fissione) La bolla acquisisce significante vorticità nella direzione dell’apertura alare, attraverso le interazioni con lo strato limite durante la fase di crescita. Di conseguenza, come il collasso procede, questa vorticità si concentra, e la bolla evolve in uno o più vortici cavitanti. Altri due fenomeni addizionali furono osservati nelle forme ITTC: Si osservò che lo strato di liquido sotto alla bolla diventa perturbato da qualche instabilità. Come si vede in Figura 5.3 questo si traduce in uno strato pieno di bolle che viene rilasciato dietro alla bolla principale. Quindi l’instabilità dello strato liquido conduce ad un altro processo di fissione della bolla. Per via della separazione fisica lo strato pieno di bolle collassa dopo della bolla principale. Meno frequentemente, quando la bolla passa la zona di separazione laminare, innesca la formazione di una “cavitazione allegata” all’estremità laterali in direzione dell’apertura alare della bolla, come in Figura 5.4. Appena la bolla principale procede verso valle, le “striature” o “code” di cavitazione allegata, escono dietro alla bolla principale, poiché le estremità delle code sono attaccate alla superficie solida. Successivamente la bolla principale collassa, lasciando le code che persistono per una lunga frazione di tempo come si nota dalla foto in basso di Figura 5.4. Un’osservazione importante è la presenza di una “fossetta” sulla superficie esterna di tutte le bolle in movimento, come in Figura 5.5. Queste non sono le precorritrici dei getti rientranti, poiché sembrano rimanere stabili durante la maggior parte del processo di collasso. Un’altra nota importante è l’osservazione che ad alti numeri di Reynolds, le code allegate avvengono anche sui corpi di Schiebe, che non esibiscono normalmente separazioni laminari. Inoltre la probabilità di avvenimento di code allegate aumenta con Re e la cavitazione allegata diventa più estesa. Con l’aumento ulteriore di Re, le bolle tendono ad innescare cavità allegate sull’intera scia della bolla, come si vede nelle due foto in basso di Figura 5.5. Inoltre, le cavitazioni allegate tendono a rimanere a lungo tempo dopo la sparizione della bolla principale. 78 Figura 5.3: s mpi i profili h illustrano l’insta ilità llo strato liqui o on una olla i avitazion in movim nto. sp rim nti on una forma i iam tro i 5.08 m a σ 0.45 una velocità di 8.7m/s. Il flusso è da destra a sinistra. Ceccio e Brennen (1991) Questo aumento del numero di eventi di cavitazione con la variazione del numero di Reynolds implica una ricca complessità nella microfluidomeccanica delle bolle di cavitazione. L’importanza di questi diversi tipi di eventi, risiede nel fatto che causano differenze nel processo di collasso, che a sua volta altera la rumorosità e il danno potenziale. Ad esempio, si è notato che gli eventi di cavitazione con code allegate producono meno rumore degli eventi senza code. Suggerendo alcune strategie per la riduzione del rumore e/o del danno potenziale. 5.5 Cavitazione in larga scala Quando la densità degli eventi di cavitazione diventa grande abbastanza, essi iniziano ad interagire alterando il flusso in modo significativo. Questo aumento di densità può avvenire a causa della diminuzione del numero tipico di cavitazione, che causa l’attivazione di un maggior numero di nuclei più piccoli, oppure dall’aumento della popolazione di nuclei per il flusso che sta arrivando. 79 Un esempio dello spostamento di bolle di cavitazione di elevata densità si vede in Figura 5.6, dove sembra che le bolle si fondano formando una scia unica di vapore verso il bordo d’uscita dell’aletta idrodinamica. La cavitazione in grande scala che si forma in uno dei due modi sopra citati, può assumere diverse forme. Figura 5.4: Foto che mostrano la formazione delle code attaccate dietro alla bolla di cavitazione in movimento. La foto in basso mostra la persistenza delle code dopo il collasso della bolla principale. Esperimenti con una forma ITTC di diametro di 5.08cm a σ 0.42 una v lo ità i 9m/s. Il flusso è da destra a sinistra. Ceccio e Brennen (1991) 5.6 Cavitazione in vortici Molti flussi con alti numeri di Reynolds di importanza pratica contengono una regione di concentrata vorticità, dove la pressione nel cuore del vortice è spesso significantemente piccola rispetto al resto del flusso. Questo è il caso ad esempio del vortice di un’elica navale, o di una girante di pompa o nel flusso vorticoso presente nel tubo di scarico di una turbina idraulica. Si ha che l’incipiente cavitazione spesso avviene in questi vortici, e con ulteriore riduzione del numero tipico di cavitazione, il cuore del vortice può diventare pieno di vapore. Nelle Figure dalla 5.7 alla 5.12 sono riportati alcuni esempi di questi tipi particolari di cavitazione in larga scala. La Figura 5.7 mostra le foto di un flusso vorticoso cavitante su una aletta idrodinamica con un certo angolo di attacco. In questi esperimenti l’incipiente cavitazione avviene nel vortice ad un σ 1.4, con ulteriore diminuzione della pressione la cavitazione nel cuore diventa continua come sulla foto di destra. Questa transizione è probabilmente innescata da un accumulo di bolle nel centro del vortice che tendono a migrare verso il cuore per il gradiente di pressione centrifuga. Con ulteriore diminuzione del numero di 80 cavitazione, possono apparire cavitazione in bolle e/o in fogli sulla superficie dell’aletta, come si vede in figura. Figura 5.5: Eventi di cavitazione tipici che mostrano: In alto a sinistra la “foss tta”, in alto a stra l o all gat , al ntro in asso, la avità all gata sull’int ra s ia. sp rim nti su un orpo hi on un iam tro i 50.8 m on σ 0.605 v lo ità i 15m/s. l flusso è a stra a sinistra. Kuhn de Chizelle et al. (1992) Figura 5.6: Denso movimento di bolle di cavitazione sulla superficie di una NACA 4412 con angolo di incidenza nullo a velocità di 13.7m/s e numero di cavitazione di 0.3. Il flusso è da sinistra a destra. Kermeen (1956) 81 Figura 5.7: foto di un flusso vorticoso cavitante su una aletta idrodinamica ellissoidale con un certo angolo i atta o. ulla sinistra si ha la formazion i una ontinua avità a flusso vorti oso, a σ 1.15, on angolo ’attacco di 7.5°. Sulla stra appar a σ 0.43 on angolo ’atta o i 9.5°. Higuchi, Rogers e Arndt (1986) Il flusso vorticoso cavitante è abbastanza visibile nella girante non rivestita della turbopompa in Figura 5.8. Quando si formano vortici cavitanti continui alle estremità delle pale di un elica, essi creano una sorprendente struttura di flusso stabile, come in Figura 5.9, dove si vede che persistono per una lunga distanza dopo il passaggio dell’elica. Chiaramente la cavitazione può avvenire in ogni vortice, e le Figure 5.10 e 5.11 sono un esempio eclatante. La Figura 5.10 mostra la cavitazione nel flusso vorticoso nel tubo di scarico di una turbina Francis. Lo spargimento tridimensionale di vortici da un dispositivo può spesso portare alla formazione e propagazione di un anello di vortici con un nucleo di vapore/gas. La Figura 5.12 mostra questo anello di vortice cavitante che è appena emerso dalla regione della chiusura di una cavità allegata da una lamina oscillante. Altro esempio è riportato in Figura 5.13 dove il vortice è causato dall’oscillazione naturale di una lamina. L’anello di vortice cavitante ha la propria velocità di propagazione relativa al fluido circostante, e ha quindi spostato al di sopra il resto della scia nel momento in cui la foto è stata scattata. Figura 5.8: Flusso vorticoso cavitante su di un modello in scala della girante della turbopompa nello Space Shuttle Main ngin . n a qua on σ 0.42. raist (1979) 82 Figura 5.9: Cavitazione nel flusso vorticoso di un modello di elica. Nethelands Maritime Research Institute and Lips B.V. Figura 5.10: Vortice cavitante nel tubo di scarico di una turbina Francis. Brennen (1995) 83 Figura 5.11: Vortice cavitante nella separazione della scia di un disco piatto con un lembo. Il flusso è da destra a sinistra. A.J. Acosta (1973) Figura 5.12: Formazione di un anello di vortice cavitante nella regione di chiusura della cavità allegata, su un’al tta os illant on or a i 152mm. ’angolo i in i nza os illa tra 5° e 9° alla frequenza di 10Hz. Flusso da sinistra a destra alla velocità di 8.5m/s ed un numero di cavitazione medio di 0.5. D.P. Hart Figura 5.13: Separazion ll’an llo i vorti alla avitazion parzial p r os illazion idrodinamica. Flusso da destra a sinistra. A.J. Acosta (1973) 84 i un’al tta 5.7 Nuvole di cavitazione In molti flussi di interesse pratico si osserva la periodica formazione e collasso di una “nuvola” di bolle di cavitazione. Questa struttura, come già visto in precedenza, è detta “nuvola di cavitazione”. La periodicità temporale può avvenire in modo naturale come risultato del distacco di vortici cavitanti (vedi Figura 5.11) o come risposta ad un periodico disturbo imposto sul flusso. Esempi comuni di fluttuazioni imposte sono le interazioni tra lo statore e il rotore delle pale di turbine o pompe, o l’interazione tra l’elica e la scia non uniforme creata dallo scafo di una nave. In molti di questi casi il collasso coerente delle nuvole (Figura 3.14) può causare rumore più intenso e danni potenziali. Si sono studiati i modelli di flusso su di un’aletta oscillante. Questi studi sono esemplificati nelle foto di Figura 5.14, che mostra la formazione, separazione e collasso di una nuvola di cavitazione su un’aletta oscillante in verticale. Tutti questi studi enfatizzano che si sente un “botto” al momento del collasso della nuvola; in figura questo accade tra la foto centrale e quella di destra. Le nuvole di cavitazione continuano ad essere una preoccupazione principale per eliche e pompe, e sono continuamente soggetto di ricerca. Figura 5.14: Fotografie che mostrano formazione, separazione e collasso di una nuvola di cavitazione sulla sup rfi i i aspirazion i un’al tta (152mm i or a) oscillante alla frequenza di 5.8Hz, e angolo di incidenza di 5°. Il flusso è da sinistra a destra con velocità di 7.5m/s e il numero di cavitazione medio di 1.1. E. McKenny 5.8 Fogli di cavitazione e cavitazione allegata Un’altra classe di strutture di cavitazione in larga scala è quella che avviene quando una scia o una regione di flussi separati si riempie di vapore. Con riferimento alla Figura 5.6 si osservano densi movimenti di bolle quando l’angolo d’ingresso è piccolo. Ad angoli più grandi di 10° (o minori di -2°) la cavitazione avviene come singola zona di separazione piena di vapore come illustrato in Figura 5.15. Questa forma di cavitazione su un’aletta idrodinamica è di solito detta “foglio di cavitazione” e nel contesto di pompe è conosciuta come “pala di cavitazione”. I corpi tozzi esibiscono spesso un’improvvisa transizione da bolla di cavitazione in movimento a una singola scia piena di vapore, come il numero di cavitazione diminuisce. Un esempio è mostrato in Figura 5.16 che mostra due foto di sfere cavitanti; la transizione avviene quando la scia piena di bolle (sulla sinistra) improv85 visamente diventa un singolo vuoto pieno di vapore come mostrato nella foto di destra. Nel contesto di corpi tozzi la scia piena di vapore è spesso chiamata cavità completamente sviluppata o cavità allegata. Chiaramente fogli, pale, cavità completamente sviluppate o allegate sono termini per la stessa struttura di cavitazione in larga scala. Figura 5.15: Foglio di cavitazione sulla superficie di una NACA 4412 ad un angolo ’ingr sso i 12°, con numero di cavitazione di 1.05. Il flusso è da sinistra a destra, con velocità di 10.7m/s. Kermeen (1956) Quando il bordo d’attacco è definito da uno spigolo vivo, la cavità completamente sviluppata è spesso simile ad un vetro liscio, poiché la separazione dello strato limite è laminare. Questa superficie liscia può essere vista nella foto a destra di Figura 5.16 e nelle foto di Figura 5.17. La forma del bordo d’ingresso del corpo può far si che lo strato limite interfacciale passi velocemente a strato turbolento, come nel caso della foto della cavitazione ogiva in Figura 5.17 e della sfera cavitante di Figura 5.16. Figura 5.16: Sfera cavitante con diametro di 7.62cm. La fotografia di sinistra mostra la cavitazione di bolle e la formazione di una scia piena di bolle prima della transizione alla cavità allegata completamente sviluppata mostrata sulla sinistra. Il flusso è da destra a sinistra con velocità rispettivamente di 5.6m/s e di 10.7m/s. Brennen (1970) 86 Per altre forme la transizione può essere ritardata indefinitamente come nel caso del disco cavitante della foto a destra di Figura 5.17. Quando non c’è lo spigolo vivo per formare una cavità completamente sviluppata possono accadere molti fenomeni differenti. La separazione della cavitazione può avvenire lungo una linea ben definita e stabile sulla superficie del corpo, come visto a destra di Figura 5.16, oppure la linea può essere interrotta come in Figura 5.18. Possono esserci altre forme di cavitazione diverse da quelle illustrate, come accade nel caso di Figura 5.19, dove le cavità si manifestano come striature, anche se non sono molto chiare le ragioni per la periodicità trasversale di queste ultime figure. Figura 5.17: Due cavità completamente sviluppate su una forma ogiva di diametro 5.95cm sulla destra e su un disco di diametro di 7.62cm sulla destra. Il flusso è da destra a sinistra con velocità rispettivamente di 7.62m/s e 10.7m/s. Brennen (1970) Figura 5.18: Foglio di cavitazione su una forma ITTC. Il flusso è da sinistra a destra con velocità di 12.2m/s, e numero di cavitazione di 0.424. A.J. Acosta (1973) 87 Figura 5.19: triatur i avitazion su un’al tta i onv ssa alla v lo ità i 15.5m/s da sinistra a destra. V.H. Arakeri (1975) σ 0.11. l flusso è 5.9 Lamine cavitanti Su una lamina idrodinamica la cavitazione allegata può assumere un diverso numero di forme. Quando, come visto in Figura 5.20, la cavità allegata è vicina alla superficie di aspirazione della lamina, la condizione è di cavitazione parziale. Questa è la cavitazione allegata più comunemente osservata su eliche e pompe. A più bassi numeri di cavitazione, la cavità può essere molto vicina al bordo d’uscita della lamina, come in Figura 5.20 in basso. Questa configurazione è detta supercavitazione, ed eliche per navi ad alta velocità sono spesso designate per operare sotto queste condizioni. Tra questi regimi gli esperimenti hanno mostrato che quando la lunghezza della cavità è vicina alla lunghezza della lamina, il flusso diventa instabile e la dimensione della cavità fluttua abbastanza violentemente tra questi limiti. Figura 5.20: Tipi di cavitazione allegata su una lamina inclinata. (a) cavitazione parziale, (b) supercavitazione. Brennen (1995) 88 Durante questo ciclo di fluttuazione la cavità si allunga piuttosto dolcemente, mentre si accorcia con un processo di “pinching-off” formando una grande nuvola di bolle dal dietro della cavità, collassando violentemente come descritto in precedenza. Nelle pompe e in altri dispositivi, queste condizioni di cavitazione chiaramente necessitano di essere evitate, pervia del danno potenziale che possono causare ai materiali. 5.10 Chiusura di cavità Il flusso nelle vicinanze della chiusura della cavità necessita di alcuni commenti. Il flusso in quella ragione è invariabilmente turbolento, poiché lo strato limite che stacca dal corpo produce uno strato limite interfacciale con la superficie libera. Il livello di turbolenza in questo strato, cresce velocemente all’avvicinarsi della chiusura della regione, così il flusso in quella zona appare come un movimento schiumoso di miscelazione turbolenta. Dove le due superfici libere di flusso collidono, una parte del flusso ritorna indietro nella cavità. I cambiamenti della struttura del flusso nella regione di chiusura possono avvenire in flussi orizzontali quando la spinta idrostatica diventa significante, e questi sono i casi in cui il numero di Froude basato sulla lunghezza della cavità, l, Fr = U∞/(gl)1/2, risulta minore di qualche valore critico FrC. Quando Fr < FrC le strutture con getti rientranti non si verificano. Quando invece nella regione di chiusura si forma una coppia di vortici controrotanti con gas/vapore si ha una maggiore stabilità e minore turbolenza rispetto al caso dei getti rientranti. Tornando alla formazione dei getti rientranti sulla chiusura, si nota che questa tipologia di flussi possono esibire delle fluttuazioni significanti, causate dai distacchi ciclici di vortici dal dietro della cavità. Una volta che il cuore dei vortici condensa, solo piccole bolle di gas con componenti incondensabili residui vengono portate via dalla scia. Ci sono molte instabilità che possono innescare o promuovere questi processi ciclici di distacco. Il fenomeno di pulsazione si ha quando grandi cavità si creano dalla fornitura di gas incondensabile dalla scia del corpo, queste cavità che sono indistinguibili dalla controparte di quelle piene di vapore, sono conosciute come “cavità ventilate”; quando il gas aumenta al punto in cui il trascinamento nella regione di chiusura non è più in grado di portar via quel volume di gas, la cavità comincia a fluttuare, creando un processo di pinching-off e ricreando la cavità. Infine, un altro processo che si può trovare nella regione di chiusura nel caso di cavità con predominanza di vapore, è la condensazione istantanea che provoca un meccanismo di chiusura della cavità. Sia le fluttuazioni in larga scala sia le turbolenze in piccola scala nella regione di chiusura, agiscono trascinando le bolle e rimuovendole dalla cavità. È chiaro che il meccanismo preciso di trascinamento può differire considerevolmente da una configurazione ad un’altra. Misure del volume di trascinamento per grandi vuoti con il tipo di chiusura a getto rientrante, suggeriscono che il volume aumenta in relazione alla velocità del flusso, nella forma U∞n, dove n è poco più grande dell’unità. 89 Usando forme assialsimmetriche di diversa dimensione, b, Billet e Weir (1975) mostrarono che il volume trascinato era in scala con U∞b2, che è significantemente variabile con σ, il volume aumenta con la diminuzione del numero tipico di cavitazione e la cavità diventa più grande. Sotto condizioni stabili, la rimozione di vapore e gas non condensabile per trascinamento nella regione di chiusura è bilanciato dal processo di evaporazione e dal rilascio di gas dalla soluzione lungo la superficie libera. Questi processi forniti, sono influenzati dallo stato dello strato limite interfacciale. Uno strato turbolento valorizza il processo di diffusione di calore e di massa che produce l’evaporazione e il rilascio di gas dalla soluzione. Una delle conseguenze del bilancio tra la fornitura di gas incondensabile (aria) e la sua rimozione da trascinamento è l’inerente regolazione della pressione parziale del gas non condensabile nella cavità. Brennen (1969) mise insieme un modello semplificato di questi processi, e mostrò che i risultati per la pressione parziale dell’aria era in accordo approssimativamente con le misure sperimentali della pressione parziale. È presente, inoltre, un bilancio analogo di calore, in cui il calore latente rimosso dal processo di trascinamento deve essere bilanciato dalla diffusione di calore alla cavità attraverso lo strato interfacciale. Questo richiede una temperatura della cavità più bassa di quella del liquido circostante, essa è solitamente piccola in acqua a temperature normali, e può essere significante a più alte temperature o in altri liquidi a temperature simili a quelle in cui le bolle singole sperimentano significanti effetti termici sulla crescita. Conclusioni Come accennato al termine del paragrafo 3.6, non sempre la cavitazione è un fenomeno negativo, ad esempio nella medicina viene utilizzato vantaggiosamente. La cavitazione medica è un trattamento non chirurgico e non invasivo, finalizzato a ridurre lo spessore delle adiposità localizzate attraverso l’utilizzo di ultrasuoni a bassa frequenza. Essa rappresenta una valida alternativa non invasiva alla liposuzione, che è a tutti gli effetti un intervento chirurgico, basato su un sistema ad ultrasuoni progettato per fare implodere, e successivamente eliminare, le cellule adipose. Purtroppo però, come si è visto, la cavitazione è uno dei limiti principali delle macchine a fluido incomprimibile e deve essere tenuta in considerazione in fase di progetto. A tale scopo si utilizza il valore dell’NPSH (Net Positive Suction Head) che è definito come l’energia netta alla bocca d’aspirazione quando la macchina è nelle condizioni di incipiente cavitazione. Questa definizione è data nel caso di macchine operatrici, ma l’NPSH si utilizza anche nella progettazione delle turbine, e si usa definirlo come l’altezza totale al netto della tensione di vapore (Ventrone 2006). I valori dell’NPSH sono dati dalla seguente formula (1+λm)c22/2g + λww22/2g, dove λm e λw sono fattori di carico palare, c2 è la velocità assiale della corrente nella zona di minor pressione e w2 è la velocità relativa della corrente sempre nella zona di 90 minor pressione. Con il termine minor pressione si intende ad esempio, nel caso di pompe centrifughe, la zona all’ingresso della girante, e nel caso di turbine centripete la zona all’uscita della girante o nel tubo di scarico. Il valore dell’NPSH impone un’altezza massima sopra battente alla quale porre la macchina affinché non caviti. Quindi, per ovviare al fenomeno della cavitazione si potrebbe abbassare l’altezza del dispositivo, ma in alcuni sistemi in cui la portata continua a variare, come ad esempio nelle valvole o in impianti in cui le macchine operanti non elaborano sempre la stessa quantità di flusso, la cavitazione può verificarsi in determinate condizioni, e non potendo agire continuamente sull’altezza della macchina è necessario monitorarla. A tale proposito l’ENEA (agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) ha depositato, nel 2012, un nuovo brevetto che consiste in un dispositivo in grado di rilevare i segnali provenienti da trasduttori elettrici sensibili alle vibrazioni prodotte dai fenomeni di cavitazione che avvengono in un fluido e di effettuarne l’analisi qualitativa e quantitativa della frequenza e dell’andamento nel tempo. Il dispositivo, denominato CASBA 2012, rileva la formazione di bolle di gas in un fluido in rapido movimento, misura la frequenza con cui esse si formano e l’andamento nel tempo del fenomeno, quindi può essere utilizzato per la diagnostica e la protezione degli impianti industriali soggetti a danneggiamento derivante dalla formazione e implosione di bolle costituite dal fluido stesso in fase gassosa e da eventuali altri gas disciolti nel fluido, che creando dei microgetti ad altissima velocità di liquido possono danneggiare in maniera significativa gli organi della macchina. La cavitazione, ad esempio, diventa molto difficile da gestire per un sommergibile, dove la velocità dell’elica oltre la quale si innescano fenomeni di cavitazione è funzione della profondità, della salinità e della temperatura dell’acqua, tutti fattori che possono variare molto rapidamente. Per un sommergibile la cavitazione non è tanto pericolosa per gli eventuali danni all’elica ma perché il suono delle implosioni delle bolle di gas è facilmente individuabile, facendo così perdere al sommergibile la sua caratteristica fondamentale, quella di essere “invisibile”. Il CASBA 2012 misura e analizza i segnali elettrici provenienti da sensori piezoelettrici, installati in prossimità della zona dove si sospetta l’insorgenza del fenomeno, sensibili alle vibrazioni prodotte durante la cavitazione del liquido. Il sensore trasforma le vibrazioni in segnali elettrici che, attraverso un cavo coassiale, vengono elaborati e rappresentati su di un display. Il CASBA 2012 può collegare fino a 4 canali di acquisizione dati, dove in ognuno il segnale è campionato da una coppia di circuiti funzionanti in parallelo con un preciso sfasamento temporale, consentendo di aumentare l’accuratezza delle misure e di individuare con maggiore precisione la sorgente primaria e i meccanismi di propagazione dei fenomeni. La cavitazione è quindi un punto fondamentale nella progettazione di macchine e dispositivi idraulici, e deve essere accuratamente prevista per evitare danni ai materiale, che possono essere molto gravosi, e nel caso della mancanza di previsione del fenomeno è necessaria la sua monitorazione con dei dispositivi, come il CASBA 2012, che sono oggigiorno molto sviluppati tecnologicamente, e altamente precisi. 91 BIBLIOGRAFIA e SITOGRAFIA Acosta A.J., 1973, “Hydrofoils and Hydrofoil Craft”, Ann. Rev. Fluid Mech., 5, 161–184 Blake F.G., 1949, “The Onset of Cavitation in Liquids”, I. Acoustics Res. Lab., Harvard Univ., Tech. Memo. 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