Il “giusto” tempo - Scuola Italiana Moderna

Editoriale
ntrati nella seconda metà
dell’anno scolastico, è naturale porsi delle domande sul proprio
lavoro in rapporto al tempo: Abbiamo utilizzato bene il tempo nella prima parte dell’anno? Abbiamo perso
del tempo, ovvero abbiamo accelerato su passaggi e questioni che avrebbero meritato un ritmo più rilassato?
Sto proponendo ai miei alunni attività
e uso di competenze adeguate all’età?
Sto anticipando ovvero ritardando
qualcosa? Domande, si diceva, inevitabili, ma che ogni volta riportano
il nostro lavoro a misurarsi con la
questione tempo.
Le questioni legate al tempo – oggi come oggi soprattutto il tempo
da non perdere –, che la pedagogia
ha condensato in formule quali “il
E
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Il “giusto”
tempo
giusto momento” o “il tempo necessario” –, rappresentano un punto di costante interesse, all’interno
del quale si profila con particolare intensità la tendenza, di matrice cognitivista, a rendere sollecita
l’attivazione dei processi formativi riguardanti le attività di pensiero. L’idea di cominciare presto può
essere assunta come l’indicatore essenziale dell’indirizzo più esplicito
al riguardo.
Coltivare
il “pensiero critico”
Esaminiamolo sotto il profilo dell’introduzione dell’alunno al pensiero critico.
Il “pensiero critico” nei bambini assomiglia all’indagine scientifica ne-
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gli adulti. Si può costatare, infatti,
che i bambini hanno in mente uno
scopo, scelgono materiali e azioni, osservano e riflettono sulle loro
azioni, formulano delle spiegazioni
sul perché qualcosa funziona, o non
funziona, come si credeva, provvedono agli aggiustamenti necessari
e continuano ad agire e a fare valutazioni fino a che non hanno risolto la questione in maniera soddisfacente per loro (che può non essere,
ovviamente, la stessa degli adulti).
La predisposizione dei bambini
a esplorare, a porre domande, a
cogliere problemi, a cercare spiegazioni, a scoprire, a verbalizzare le esperienze di cui sono protagonisti, va alimentata e coltivata
dalla scuola attraverso strategie di-
dattiche che stimolino un atteggiamento di curiosità cognitiva. Ecco l’esigenza di prestare attenzione
ai perché attraverso i quali si manifesta la curiosità infantile. La curiosità diventa quindi un motore per
la conoscenza. I perché esprimono
le esigenze del bambino di costruire
significati; non è semplice curiosità:
è un vero e proprio interesse consapevole a conoscere e capire.
Naturalmente, si tratta di un dato di
fatto che può/deve venire trasformato in una linea di trattamento educativo. Perché gli alunni diventino
dei pensatori critici, gli insegnanti devono non soltanto incoraggiare questi comportamenti, ma anche
strutturare essi stessi il “pensiero
critico”.
Educare a pensare
criticamente
La strada consiste nel coltivare il
pensiero intenzionale nelle forme
e nei modi compatibili all’età e al
suo specifico gradiente evolutivo. Si
tratta, in altri termini, di incoraggiare a progettare le proprie azioni e a
riflettere su di esse… Chi sa pensare criticamente progetta e riflette. Utilizzando questi due processi
gemelli per dar luogo a esperienze
impegnative di istruzione, gli insegnanti possono dotare i loro alunni delle abitudini intelligenti di cui
hanno bisogno per riuscire nella
scuola e nella vita.
La prima condizione necessaria è che
gli insegnanti dimostrino di essere
loro stessi consapevoli nell’agire e diligenti nel valutare i loro risultati; sarebbe poi preferibile che lavorino in
team purché siano disposti a scambiarsi continuamente le osservazioni
oggettive sugli alunni.
Seguono poi alcune indicazioni circa la coltivazione del “pensiero critico” nelle attività di aula:
UÊ `>ÀiÊ VV>ÃÊ «iÀÊ «À}iÌÌ>ÀiÊ
e riflettere – progettare e riflettere
non sono attività scontate e usuali,
ma vanno stimolate e provocate in
maniera opportuna (con osservazioni, richieste, precisazioni);
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ni – incoraggiare il pensiero con domande come Che cosa succederebbe
se? Supponiamo che potresti fare così… e lasciare tempo per riflettere se
le soluzioni e le previsioni fatte funzionano;
UÊVÀ>}}>ÀiÊ>Êi>LÀ>ÀiÊiÊ«À
prie idee – aiutare ad arrivare a conclusioni personali (Come hai raccolto e collegato queste informazioni?
Perché pensi in questo modo?). Sarà
più facile che i bambini applichino
anche ad altre situazioni questo modo di ragionare;
UÊVi`iÀiÊ`ÊÀÃÛiÀiÊ`iÊ«ÀLi
mi – mostrare dei problemi che gli
alunni possano non avvertire e incoraggiarli a dire quello che per loro è un problema. Ascoltare le loro
soluzioni e accettarle, anche se sono diverse dalle nostre. Incoraggiarli a vedere se le loro idee funzionano
e a prendere in considerazione altre
possibilità nel caso che questo non
avvenga;
UÊVÀ>}}>Ài]ÊÊ`>Ài – incoraggiare i bambini ascoltando le loro
idee, ponendo domande aperte…,
osservando e commentando quello
che stanno facendo e condividendone i pensieri con i loro compagni e
i loro genitori. Questo atteggiamento è più utile che lodarne i lavori e
le idee, perché quando si dice “che
bel lavoro” o “che grande idea” una
volta, si potrebbe introdurre senza
volerlo una disapprovazione se si
trascura di dirlo un’altra volta. Ma
c’è di più, e vale la pena di segnarselo: quando la lode diventa un fine
per se stessa può far finire la conversazione.
zioni, stupirsi, godere delle scoperte fatte – sono parte costitutiva
della “scienza del bambino”. David
Hawkins1 lamenta che non si dia ai
bambini il tempo “di girellare e di
annusare il vento”, che non si lascino “liberi di scoprire da soli”, che
non si consenta loro “di andare a
velocità un po’ diverse” e che non
si incoraggi “la diversità dei modi in cui (…) impiegano il tempo
a scuola”, tutte forzature che inibiscono la learning readiness, cioè
la prontezza ad apprendere che è
propria del bambino incentivato a sviluppare curiosità, motivazione a conoscere, autostima.
La famiglia, la scuola e le istituzioni educative dovrebbero limitarsi a motivare continuamente il
dispiegamento del “pensiero critico”, senza cedere alla tentazione dell’adultismo: negare al bambino, attraverso comodi surrogati
dell’esperienza, l’emozione legata
alla “mostruosa” scoperta della realtà, rallenta l’elaborazione di
un pensiero “magico” che fa leva
sull’attività dell’emisfero cerebrale destro e sulla dimensione emotivo-affettiva in generale e che è
costitutivo dell’espressione immaginifico-fantastica delle idee che
sottendono alla risoluzione di problemi vari (particolarmente, nonostante possa apparire paradossale,
quelli scientifici).
La logica di riferimento è quella pragmatistica; si può parlare di
“pensiero critico” anche in altri modi. I suggerimenti non sono però
improvvidi e, soprattutto, non comportano rischi.
Learning readiness
C’è un rischio nel percorso sin qui
delineato, come in ogni attività della scuola: l’eccesso di programmazione, cioè di “didatticismo” (non
tanto di buona didattica, ma della
sua distorsione in senso efficientista). Esplorare, osservare accuratamente, ricercare, descrivere ciò che
si è osservato e, soprattutto, congetturare – ma anche provare emoOtGFCCSBJPtBOOP
La Redazione
di Scuola Italiana Moderna
1
D. Hawkins, Imparare a vedere. Saggi
sull’apprendimento e sulla natura umana,
Loescher, Torino 1979
5