Ass. Confitarma - Confindustria

Intervento di Giorgio Squinzi, presidente Confindustria
Assemblea Confitarma
Roma, 15 ottobre 2014
Signor Ministro,
Presidente Grimaldi,
Autorità,
Signore e Signori,
ho accolto con grande piacere l’invito del Presidente Grimaldi.
Già nel 2012 avevo partecipato alla vostra Assemblea annuale, in
una fase in cui la crisi economica, la peggiore del dopoguerra,
manifestava particolare virulenza.
Sono passati due anni.
Qualche timido segnale di ripresa sta emergendo.
Ma la situazione economica è ancora lontana da come la vorremmo.
Per il 2015 la nostra previsione è di un +0,5%, ma alcune istituzioni
internazionali la stanno rivedendo al ribasso.
Non è la crescita che è nei nostri cuori, nelle nostre possibilità e nel
coraggio che dimostriamo tutti i giorni nelle nostre aziende.
Si, coraggio!
Perché viviamo in un paese straordinario dove è davvero difficile
continuare a resistere, a fare impresa, anche per quelle realtà
imprenditoriali, come quella armatoriale, che portano l’eccellenza
italiana nel mondo, generando – lo abbiamo sentito dal Presidente
Grimaldi – ricchezza ed occupazione anche in periodi di grande
difficoltà economica.
Abbiamo bisogno di aprire una fase nuova nella storia dell’Italia.
Abbiamo bisogno di una stagione di sostanziose riforme, concrete ed
efficaci per il rilancio del Paese.
Non c’è più tempo per attendere, per verificare, per far calcoli e
compromessi.
Occorre agire.
Occorre farlo subito, fissando l’agenda su poche e chiare priorità da
realizzare, sul serio.
Mi riferisco, innanzitutto, alla riforma del mercato del lavoro.
Occorre un cambio di rotta deciso, un forte segnale di discontinuità.
Vanno superate le rigidità e le complicazioni di una legislazione del
lavoro che appartiene ad un’altra epoca della storia economica, e che
sono tra i motivi che impediscono il rilancio economico ed
occupazionale del nostro Paese.
Poi tutti sentiamo quasi una necessità di scelte di politica industriale
proiettate al futuro, che intervengano con decisione nei settori
strategici per l’economia del Paese, come quello portuale, che vi
vede, anzi ci vede, direttamente coinvolti.
L’Unione Europea, nelle Country Specific Recommendations (CSR) per
l’Italia, adottate lo scorso giugno, ha individuato tra le priorità urgenti
per l’Italia anche la modernizzazione e il rilancio del sistema portuale.
E non si tratta di un riferimento formale.
È
in atto un rapido cambiamento dello scenario del trasporto
marittimo internazionale, rispetto al quale siamo già in forte ritardo,
soprattutto rispetto a due fenomeni rilevanti: navi sempre più grandi,
che necessitano di infrastrutture portuali idonee ad accoglierle, ed
alleanze tra i principali players mondiali con individuazione delle rotte
e dei porti da utilizzare.
Di conseguenza si sta modificando in modo radicale la gerarchia
competitiva europea nell’attrazione di rotte e players e la differenza,
tra chi sarà perdente o vincente, la faranno quattro fondamentali
criteri:
 l’accessibilità portuale alle grandi navi - sono solo 20 i porti
europei in grado di accoglierle e quasi tutti nel Nord Europa  la capacità di gestione efficiente dei cargo, in termini di tempi e
costi competitivi
 la fornitura di servizi a valore aggiunto - pubblici e privati
 l’efficienza delle connessioni intermodali.
La riforma del sistema portuale nazionale rappresenta quindi una
priorità urgente, non più differibile.
Ma rappresenta anche un’opportunità irrinunciabile per il rilancio della
competitività del sistema infrastrutturale nazionale, a partire dalla
efficienza dei servizi logistici e, conseguentemente, per migliorare il
potenziale di crescita del Paese.
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I porti sono nodi infrastrutturali strategici e rappresentano le “porte
di accesso” ai mercati nazionali ed internazionali, giocando un ruolo
chiave per lo sviluppo dell’intera industria, e non solo manifatturiera.
La dimensione dei traffici mostra con evidenza l’importanza dei porti
per la competitività delle imprese: oltre il 30,5% delle merci
importare ed esportate nel mondo dall’Italia (230 miliardi di €) viene
trasportata per via marittima e la percentuale sale al 63,1% per il
Mezzogiorno.
La cosi detta “economia del mare” contribuisce per il 2,6% alla
formazione del PIL nazionale ed il valore aggiunto prodotto dal
settore dei soli trasporti marittimi per il 2013 è stato di oltre 7
miliardi di euro.
Nonostante questi dati, che testimoniano la rilevanza economica del
settore, dal varo della legge 84/94 ad oggi, il nostro sistema portuale
ha registrato una progressiva perdita di competitività.
Vado ad elencare solo alcune della cause, che voi conoscete meglio di
me :
 ritardi e inadempienze
pianificazione portuale
nella
programmazione
e
nella
 una concezione dei porti come sistemi chiusi ed a valenza
principalmente localistica
 insufficiente grado di infrastrutturazione dei porti, interno ed
esterno
 una burocrazia eccessiva – potrei usare altri aggettivi…a voi la
scelta!
 aumento di pressione fiscale, diritti portuali e canoni concessori,
nonostante il periodo economico recessivo
Preferisco non entrare nel merito dell’ultimo punto che mi è stato
relazionato
:
inadeguato funzionamento, in troppi casi, delle
Autorità Portuali.
Su quest’ultimo aspetto contiamo 24 Autorità Portuali, di cui
attualmente quasi la metà commissariate, e con un costo totale
annuo – sono dati ufficiali del Ministero delle Infrastrutture relativi
all’anno 2012 – di quasi un miliardo di euro.
Ci sarebbe materia per una
spending review, che dovrebbe
riguardare non solo il numero delle Autorità, ma soprattutto il loro
funzionamento e la loro produttività.
L’Italia è ancora al terzo posto in Europa per traffici gestiti, ma i porti
italiani continuano a perdere competitività.
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Nel 2013, l’interscambio marittimo con il mondo rispetto all’anno
precedente è calato del 4,8%; tra il 2005 ed il 2013 la quota di
mercato degli scali hub italiani è calato del 12% (dal 26% al 18%).
Con queste dinamiche, la nostra portualità è destinata a catturare
ben poco degli incrementi di traffico dei container per il 2030, stimati
su scala globale al doppio dei livelli attuali e al 50% per l’Europa.
Già attualmente solo il 6,3% dei volumi che transitano per il canale di
Suez giunge in Italia, a causa dell’incertezza e dei ritardi nella
movimentazione della merce, con perdite in termini di redditività per
le imprese e di introiti per lo Stato.
Quanto ad efficienza siamo, infatti, al 20° posto nella classifica della
Logistic Performance Index 2014 della World Bank, sistematicamente
dietro a tutti i principali paesi europei quali Germania, Olanda, Belgio
e Spagna.
E sebbene, rispetto al 2012, ci sia stato un avanzamento di 4
posizioni, nei porti nazionali sono necessari 19 giorni per esportare e
18 per importare un container, quando la media OCSE è
rispettivamente di 11 e 10 giorni.
Non meraviglia, ma sicuramente è assurdo che l’Italia perda anche
quote di traffico nel trasporto marittimo di merci con
origine/destinazione al nostro mercato interno.
Non si tratta solo di grandi imprese italiane, ma di interi settori
industriali che preferiscono utilizzare gli scali del Nord Europa perché
maggiorente efficienti.
La scarsa competitività del sistema portuale nazionale ha fatto
perdere all’Italia il vantaggio strategico di essere una piattaforma
logistica naturale al centro del Mediterraneo ed ha favorito – e sta
favorendo – una riorganizzazione dei traffici a favore di realtà portuali
più competitive, come gli scali Nord Europei o di altri nostri storici
competitors, come gli scali di Spagna e Grecia, ma anche di scali
emergenti nel Nord Africa e in Turchia.
L’arretramento competitivo di questi anni rende pertanto non più
differibile la riforma del settore, per ripristinare piene condizioni di
competitività, intervenendo in modo decisivo sui deficit strutturali, sui
ritardi e sulle inefficienze del sistema portuale nazionale.
Sarebbe un grave errore continuare a ignorare questi evidenti segnali
di allarme.
Siamo davanti ad una sfida determinante per il futuro logisticoinfrastrutturale del nostro Paese.
Ritardare ulteriormente i tempi per una riforma generale della
portualità nazionale aumenterebbe enormemente il rischio di vedere il
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nostro Paese relegato nell’immediato futuro ad un ruolo di player
marginale e secondario nei traffici marittimi mondiali, e non solo in
quelli.
In questo quadro, sono certamente positivi gli sforzi fatti dal Governo
nel recente DL 133/2014, il cd. “Sblocca Italia”.
L’articolo 29 tocca, infatti, due punti fondamentali per la portualità
nazionale: la necessità di una programmazione infrastrutturale
strategica di livello nazionale e la modalità di finanziamento delle
opere infrastrutturali portuali, effettiva ed efficace, con uno stop ai
finanziamenti a pioggia.
Si tratta di un buon punto di partenza, a cui deve però
necessariamente seguire una riforma organica della L. 84/1994.
A questo fine, abbiamo presentato nel giugno scorso al Ministro Lupi
una serie di valutazioni e proposte di riforma, frutto di una riflessione
condivisa da tutto il nostro sistema associativo.
Pochi punti, ma chiari, per rilanciare il settore :
-
pianificazione a livello nazionale su logiche di integrazione logistica
delle reti e delle attività economiche, tenendo conto delle
specificità dei singoli porti e delle reali potenzialità di traffico,
merci o passeggeri;
-
semplificazione delle procedure di adozione degli strumenti di
pianificazione portuale;
-
razionalizzazione delle Autorità Portuali in piena coerenza con le
reti TEN-T
-
pianificazione e regolazione delle attività portuali e esclusione della
gestione diretta o indiretta di servizi o attività di natura
economica;
-
garanzia di piena autonomia finanziaria alle Autorità Portuali,
rafforzando tuttavia il controllo sulla spesa complessiva delle
stesse, ed in particolare di quella corrente;
-
semplificazione della governance degli organi portuali, ma
assicurare una trasparente e positiva presenza degli operatori
economici;
-
semplificazione e armonizzazione delle pratiche e dei controlli in
porto, con un coordinamento tra le diverse amministrazioni
presenti.
-
ed infine, modifiche alla disciplina delle concessioni portuali per
incentivare comportamenti virtuosi da parte del concessionario e lo
sfruttamento ottimale del bene.
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È indubbio che si sia molto da fare e subito. Ma su queste premesse
la disponibilità di Confindustria e delle imprese associate è totale.
Signor Ministro, noi siamo qui, e siamo pronti a collaborare, ma
dobbiamo far presto e bene, per il presente e il futuro del nostro
trasporto marittimo e del nostro Paese.
Grazie della vostra attenzione.
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