JERSEY BOYS (Jersey Boys)

JERSEY BOYS
(Jersey Boys)
Regia: Clint Eastwood
Interpreti: John Lloyd Young, Erich Bergen, Vincent Piazza, Michael Lomenda, Christopher Walken
Origine e produzione: USA/Malpaso, GK Films, Warner Bros., Ratpac Entertainment/2012
Durata: 132’
La vera storia di Frankie Valli and The Four Seasons, ovvero Frankie Valli, Bob Gaudio, Tommy
DeVito e Nick Massi: l'ascesa di un gruppo di ragazzi blue-collar che partendo da umili origini
seppero diventare uno dei più grandi fenomeni della pop music americana di ogni tempo, con 175
milioni di dischi venduti nel mondo prima di compiere i 30 anni.
Eastwood laughts! Eastwood ride, e lo fa nel modo in cui nessuno se lo aspetta, adattando un musical
come fosse una commedia, senza tirarsi indietro davanti a nessuno degli stereotipi che gli capitano a tiro
(a cominciare dall’identità italo-americana dei quattro protagonisti) e giocando con le convenzioni
cinematografiche con una libertà che forse nessuno sospettava. Soprattutto in un regista di 84 anni! Ma
è una specie di inevitabile conseguenza proprio di quella “classicità” che in tanti avevano ammirato
nelle sue regie precedenti e che qui si concretizza nella più evidente (anche se sottintesa) delle
caratteristiche del cinema classico hollywoodiano: mettersi in gioco ogni volta su un soggetto diverso,
misurando la propria professionalità – e la propria abilità – là dove ti porta l’occasione produttiva.
Hawks poteva passare dalle storie del West a quelle dell’antico Egitto, perché si dovrebbe chiedere a
Eastwood di ripetersi ogni volta con il “solito” film crepuscolare e testamentario?
Che abbia scelto una strada insolita (per quello che il pubblico si aspetta) lo capisci dalla prima
inquadratura, quando l’attore che entra in scena si mette a dialogare direttamente col pubblico per
spiegare l’atmosfera che si respirava nel 1951 a Belleville, New Jersey, sostituendosi a quello che in
passato sarebbe stato affidato a una voce fuori campo più impersonale e più tradizionalmente narrativa.
… Il fatto è che a Eastwood in questo caso non interessa un’idea tradizionale di “realismo
cinematografico” quanto (probabilmente) sperimentare un modo diverso di raccontare, più debitore
dell’operetta – con i suoi recitativi e il venir meno in primo piano degli attori sulla scena – e più vicino
alle commedie adolescenziali che andavano per la maggiore negli anni Cinquanta, “correlativo
oggettivo” (per riprendere una battuta geniale del film) di quell’impasto tra sentimentalismo zuccheroso
e aspirazioni romantiche che faceva sognare la gioventù dell’epoca e che la regia si incarica di
sottolineare lasciando molto spazio ai volti delle fan in visibilio di fronte alle esecuzioni canore (e che
tra le quali si nasconde, nei panni di una cameriera, anche la figlia del regista, Francesca)…
P.S. Il “correlativo oggettivo” che si cita nel film è un concetto messo a punto dal poeta Thomas Stearns
Eliot secondo cui l’emozione arriva al lettore solo grazie alla descrizione di alcuni oggetti che abbiano
una qualche correlazione con quella stessa emozione. Come gli “ossi di seppia” abbandonati sulla
spiaggia che Montale usa per trasmettere la sua idea di desolazione e morte
Paolo Mereghetti, “Il Corriere della Sera”