Repubblica Italiana N. 136/2014 In Nome del Popolo Italiano La Corte dei Conti Sezione Giurisdizionale Regionale per il Veneto Composta dai Sigg.ri Magistrati Angelo Buscema Presidente Giovanni Comite Giudice relatore Giuseppina Mignemi Giudice ha pronunciato la seguente SENTENZA Nel giudizio di responsabilità, iscritto al n. 29652 del registro di segreteria, promosso dalla Procura Regionale della Corte dei conti per il Veneto nei confronti dei sigg.ri: 1. Marcon Aldo Luciano, nato il 07 gennaio 1950 a Canal San Bovo (TN), residente a Padova (PD), in Corso Milano n. 74, scala A, int. 16, C.F. MRC LLC 50A07 B577W, rappresentato e difeso dal Prof. Avv. Pagliarin Carola e dall’Avv. Barzazi Guido, elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo, a Venezia - Mestre (VE), in via Torino n. 186: all’epoca dei fatti Direttore Generale e Dirigente ad interim dell’Area Gestionale dell’Azienda Territoriale per l’Edilizia Residenziale della Provincia di Venezia (A.T.E.R. di Venezia); 2. Zane Giampaolo, nato il 22 settembre 1959 a Venezia (VE), residente a Venezia – Mestre (VE), in viale San Marco n. 82/D, C.F. ZNA GPL 59P22 L736F, rappresentato e difeso dall’Avv. 2 Marchi Giuliano, elettivamente domiciliato presso lo studio del medesimo a Venezia (VE), sestiere San Polo n. 2237: al tempo Responsabile del Servizio Attività Immobiliari di A.T.E.R. Venezia; 3. Contarin Domenico, nato il 24 gennaio 1952 a San Donà di Piave (VE), ivi residente, in via Chiesanuova n. 109, C.F. CNT DNC 52A24 H823P, rappresentato e difeso dall’Avv. Grimani Pier Vettor, elettivamente domiciliato presso lo studio del medesimo a Venezia (VE), sestiere Santa Croce n. 466/G: all’epoca Dirigente dell’Area Tecnica dell’A.T.E.R. della città lagunare; 4. Spiazzi Stefania, nata il 15 maggio 1961 a Badia Polesine (RO), residente a Venezia (VE), sestiere Santa Croce n. 1146/A, C.F. SPZ SFN 61E55 A539S, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Duse Valter e Orlandi Roberta, elettivamente domiciliata presso lo studio degli stessi, a Venezia – Mestre (VE), Corso del Popolo n. 81: al tempo Responsabile del Servizio Manutenzione dell’Area Tecnica dell’A.T.E.R. di Venezia. Visto l’atto introduttivo del giudizio, le memorie di costituzione, gli altri atti e i documenti tutti di causa; uditi, nella pubblica udienza del 15 maggio 2014 e con l’assistenza del segretario sig.ra Bruni Elisabetta, il Giudice relatore dott. Comite Giovanni, il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale dott.ssa Imposimato Chiara, l’Avv. Marchi Giuliano, in rappresentanza di 1) Zane Giampaolo, l’Avv. Duse Valter, in difesa di 2) Spiazzi Stefania, l’Avv. Barzazi Guido e la Prof. Avv. Pagliarin Carola, in rappresentanza di 3) Marcon Aldo Luciano, 3 l’Avv. Grimani Pier Vettor, in difesa di 4) Contarin Domenico. Svolgimento del processo Con atto di citazione depositato il 1° agosto 2013, ritualmente notificato, la Procura Regionale della Corte dei conti per il Veneto evocava, dinanzi questa Sezione Giurisdizionale, i convenuti in epigrafe indicati per sentirli condannare al ristoro del nocumento patrimoniale di € 34.956,81, asseritamente cagionato all’A.T.E.R. di Venezia, e da attribuire nella misura del 30%, cadauno, ai sigg.ri Marcon, Zane e Contarin, e del 10% alla sig.ra Spiazzi, oltre rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT, interessi di legge e spese di giudizio. A – La segnalazione. All’origine della vertenza è l’esposto prodotto alla Procura Regionale, il 30 dicembre 2011, dal Presidente in carica (Prof. Alberto Mazzonetto) dell’Azienda Territoriale per l’Edilizia Residenziale della Provincia di Venezia (d’ora in avanti A.T.E.R.), che chiedeva fosse accertata la sussistenza di un presunto danno erariale in relazione alle modalità di conduzione, da parte di dipendenti, dirigenti e funzionari del suddetto ATER, del procedimento amministrativo volto alla concessione in locazione dell’immobile individuato con la sigla “u.i. 0067-0045”, in favore del sindacato FIADEL. In breve, era chiesto di accertare se le somme, per le quali Ater si era esposta, determinate nel decreto autorizzativo della locazione, siano state il frutto di criteri oggettivi riconducibili alle norme generali in materia di stima immobiliare o non piuttosto di criteri discrezionali 4 contrari al buon andamento dell’Ente. Rilevava, l’esponente, che l’A.T.E.R. di Venezia, istituito con legge regionale n. 10, del 09 marzo 1995, mediante trasformazione degli Istituti Autonomi Case Popolari (I.A.C.P.) in Aziende Territoriali per l’Edilizia Residenziale, svolge attività di supporto alla Regione Veneto, agli Enti locali ed ai privati in ordine alla progettazione e all’attuazione di interventi di edilizia residenziale inseriti in programmi di recupero o di riqualificazione edilizia ed urbanistica previsti dalla vigente normativa. Tra le attività dell’Ente, regolamentate dall’art. 5 della legge istitutiva, vi erano anche quelle individuate con legge regionale n. 10, del 02 aprile 1996, disciplinante “l’assegnazione e la fissazione dei canoni degli alloggi di edilizia residenziale pubblica”, che ne rimarcavano le finalità sociali. Conseguentemente, lo statuto dell’A.T.E.R. di Venezia, approvato con deliberazione del Consiglio di Amministrazione n.111 del 05 aprile 2004, modificato con successiva determina n. 154 dell’8 giugno seguente, all’art. 3, comma 1, lett. a), affidava al medesimo l’onere di occuparsi della creazione, all’interno del mercato edilizio, di condizioni più favorevoli per consentire una corretta soluzione al problema della casa. Fatte tali premesse, il Presidente deducente rappresentava che, sin dal suo insediamento e in ossequio alle funzioni di indirizzo e di impulso statutariamente assegnategli, si era attivato, con atti di indirizzo, del 28 luglio e 03 agosto 2011, rivolti al Responsabile del Servizio Affari Legali e Contratti, per conoscere la situazione gestoria delle locazioni in essere, compresa quella riguardante l’immobile sito 5 in Venezia, sestiere Cannaregio, località “Sacca San Girolamo”, Calle del Ferau n. 917/A (U.I. n. 0067/0045), di cui alla “Macelleria restaurata e affidata senza contratto al sindacato FIADEL – CISAL”. Non ricevendone adeguato riscontro, incaricava il Dirigente dell’Area Servizi Generali e Risorse Umane, Avv. Roberta Carrer, di svolgere le necessarie attività di analisi. In risposta, al medesimo deducente, era riportato (come da relazione riservata del 28 settembre 2011): 1) che con deliberazione del Consiglio di Amministrazione, n. 83, del 31 maggio 2010, Ater si determinava “...alla vendita del patrimonio ad uso non abitativo sfitto, in situazioni di condominio, non più ritenuto rilevante sotto l’aspetto patrimoniale, né meritevole per un riutilizzo locativo sotto l’aspetto economico, quale indicato nell’elenco predisposto dal Servizio Attività Immobiliari”, che recava in testa lista l’immobile tutt’ora occupato da FIADEL: il Direttore, nella circostanza, era incaricato di ogni conseguente adempimento, necessario all’attuazione del provvedimento medesimo; 2) che il suddetto immobile, dopo tre mesi era eliminato dal piano di vendita senza un formale provvedimento di revoca da parte del C. di A.; 3) che in ragione della proposta pervenuta il 04 agosto 2010 dalla ditta “Fiadel”, nella persona del suo segretario provinciale, sig. Contavalli Maurizio, relativa alla locazione dell’immobile sito in Venezia, Calle del Ferau n. 917/A, bene sfitto dal 1° maggio 6 2006 e necessitante di lavori di ristrutturazione, indicati nel preventivo, ricevuto il 02 agosto precedente dalla “Cooperativa Meolese”, nella misura di € 58.000,00, in data 25 agosto 2010 il Servizio Attività Immobiliari comunicava a “Fiadel” l’importo del canone di locazione mensile, determinato in € 555,00, più IVA e adeguamento ISTAT, per anni 12 (ossia 6 + 6); 4) che, a seguire, con nota del 31 agosto 2010, la predetta organizzazione sindacale comunicava la propria disponibilità a versare € 06.000,00 a titolo di contributo alla ristrutturazione del negozio con relativa riduzione del canone, che l’ufficio Ater preposto rideterminava in € 400,00 più IVA; 5) che, in ragione di tanto, il Direttore Marcon, con decreto n. 429, del 06 settembre 2010, disponeva di concedere in locazione l’u.i. n. 0067 – 0045, al canone di € 400,00 più IVA, previa esecuzione di lavori di ristrutturazione “...tramite impresa aggiudicataria straordinaria dell’appalto del di mandamento manutenzione Venezia ordinaria centro – storico Cannaregio – Castello”; 6) che con successivo Decreto del Direttore, n. 614, del 29 novembre 2010, venivano disposti, ad avviso dell’esponente, ulteriori lavori urgenti per la sostituzione dei serramenti, per una spesa aggiuntiva di € 14.200,00 oltre I.V.A.; 7) che in seguito, con deliberazione n. 3222, del 21 dicembre 2010, della Giunta Regionale Veneto, formalmente ribadita con nota prot. n. 45509, del 31 gennaio 2011, i Consigli di 7 amministrazione di Ater venivano invitati ad avviare la vendita degli immobili di pregio, non soggetti alla disciplina di cui alla legge regionale 2 aprile 1996, n. 10, precisando, peraltro, che l’eventuale inosservanza avrebbe costituito un insanabile contrasto, a mente di quanto previsto dall’art. 10, comma 1, lett. b) che della L.R. n. 53 del 1993, con conseguente applicazione dei provvedimenti in tale legge previsti (nel senso che la Giunta Regionale procede, previa diffida, allo scioglimento del Consiglio di Amministrazione dell’Ater in ipotesi di insanabile e ripetuto contrasto tra le direttive fissate dagli atti della programmazione regionale e l’attività complessiva dell’ente); 8) che con comunicazione dell’11 febbraio 2011, indirizzata, per competenza, agli Uffici interni e, per conoscenza, al Presidente Ater, il Direttore Marcon informava che la procedura di alienazione di immobili sfitti e affittati ad uso diverso da abitazione era sospesa con riguardo agli immobili situati nel centro storico di Venezia; 9) che, in ogni caso, vi era stata una immissione nel possesso dell’immobile in questione di FIADEL, nel mese di febbraio 2011, in carenza di sottoscrizione del relativo contratto, come, altresì, reso palese dal sistema informatico che classificava i versamenti effettuati dal suddetto conduttore come “non accreditati”, e senza effettuare, nei termini di legge, l’obbligatoria comunicazione di cessione del fabbricato alla competente Questura; 8 10) che il precedente contratto di locazione dell’immobile, stipulato prima dei lavori di ristrutturazione, prevedeva un canone pari a € 550,00 oltre I.V.A. per l’anno 2006, mentre il canone di locazione applicato a FIADEL, di cui è cenno nel Decreto n. 429 del 2010, era pari a € 400,00 oltre IVA, pur a fronte di un immobile integralmente ristrutturato; 11) che tale riduzione del canone avveniva a fronte di un contributo, indicato nel provvedimento autorizzativo, sui lavori di ristrutturazione, pari a € 06.000,00, peraltro mai corrisposto da parte di FIADEL; 12) che i lavori di ristrutturazione sono stati calcolati in un importo di € 57.704,70, oltre I.V.A., ai quali aggiungere € 14.200,00, oltre I.V.A., per una spesa totale di € 71.904,70, oltre IVA del 20%, per un totale complessivo di € 84.285,64; 13) che con Decreto n. 112, del 25 febbraio 2011, seguente la email del 18 febbraio 2011 con la quale il Segretario provinciale e legale rappresentante della FIADEL diffidava l’Ente a dar corso alla locazione, il Direttore di Ater Venezia (Ing. Marcon) ha revocato quanto disposto con la determinazione n. 429 del 2010, in ordine alla sottoscrizione del contratto di locazione, ordinando ai competenti servizi di provvedere agli adempimenti conseguenti; 14) che inoltre la predetta organizzazione sindacale, immessa nella detenzione dell’immobile in febbraio 2011, aveva effettuato un bonifico, in favore di Ater, per € 1.702,80, a titolo 9 di deposito cauzionale, spese contrattuali e per canoni di locazione, in data 20 settembre 2010. In conclusione, gli accertamenti amministrativi disposti, lasciavano trasparire, ad avviso dell’esponente, possibili profili di responsabilità amministrativa che avrebbero potuto coinvolgere lo stesso qualora non si fosse attivato. B - I fatti come accertati all’esito dell’attività istruttoria disposta dalla Procura Regionale. In ragione di quanto segnalato, la Procura Erariale disponeva i necessari approfondimenti istruttori tesi alla conferma dei fatti e alla ricerca di eventuali responsabilità, esitati nella nota a riscontro, in data 23 luglio 2012, del Dirigente dell’Area Servizi Generali e Risorse Umane, Avv. Roberta Carrer. Tale documento chiariva che per l’attività di “locazione o vendita di unità immobiliari ad uso residenziale, a prezzi concorrenziali”, secondo criteri di economicità finalizzati a produrre effetti calmieratori e perequativi sul mercato, erano intervenute talune delibere del Consiglio di Amministrazione di Ater Venezia, che ne regolavano l’attività operativa. In specie, con deliberazioni n. 24, dell’11 febbraio 2002, e n. 320, del 28 ottobre 2005, si provvedeva a disciplinare, tra le altre cose, le modalità di calcolo dei canoni di locazione, con l’intento di pervenire a un più possibile oggettivo risultato medio di mercato. Le suddette risultanze istruttorie riferivano, per ciò, che Ater aveva ricevuto dalla locazione in oggetto una parziale utilità rispetto a quella che avrebbe potuto conseguire applicando correttamente la 10 normativa suindicata, atteso che l’Ente è stato onerato di un consistente contributo per interventi di ristrutturazione per un totale di € 69.245,64 (ossia € 57.704,70 + I.V.A. del 20%) che riguardava anche opere non strettamente necessarie, come l’impianto di riscaldamento autonomo (costo preventivato € 05.804,98) posto che ne esisteva uno centralizzato, il rifacimento totale dei sevizi igienici (costo preventivato € 07.256,22), la fornitura e posa di serramenti in alluminio con sovrapprezzo antisfondamento (complessivo costo preventivato € 13.138,93), volti a rendere l’unità immobiliare idonea ad un uso diverso, ossia “uso ufficio direzionale” – categoria catastale A 10 - di maggior valore patrimoniale rispetto a quello formalmente assegnato, “uso negozio” – categoria catastale C 1 - con tutte le conseguenze derivanti dal cambio di destinazione d’uso in assenza dei titoli autorizzativi. Altro onere finanziario conseguiva, ad avviso del deducente, al Decreto n. 614 del 2010, con il quale il Direttore Ater affidava l’intervento “urgente ed indifferibile di sostituzione dei serramenti di vetrine pericolanti con infissi in alluminio anodizzato vetro camera con taglio termico e di tipo antisfondamento” per un importo, definito in tale atto, ulteriore e pari a € 14.210,50 più I.V.A., con un totale di € 16.200,00, alla ditta “Agostinetto di Musile di Piave”. Gli accertamenti confermavano, inoltre, che l’immobile, destinatario di tali interventi, ritenuti non tutti necessari, era inserito in uno specifico piano di vendita ed era stato valutato dall’Agenzia del Territorio, in data 1° ottobre 2007, in € 179.400,00. Riguardo, invece, alla determinazione del canone di locazione delle unità immobiliari ad uso 11 non abitativo, quali negozi (come in specie), uffici, magazzini e garage, l’Ater di Venezia vi provvedeva sulla base delle delibere n. 24, dell’11 febbraio 2002, e n. 320, del 28 ottobre 2005, statuenti che “il canone di locazione sarà quello di mercato, determinato con perizia di stima sintetica predisposta dal competente Servizio Attività Immobiliari, che indicherà un valore minimo, un valore massimo e il canone medio da assumere a canone base. Ove il canone di locazione minimo sia superiore ad € 2.000,00, si farà ricorso al parere di congruità dell’Agenzia del Territorio. I valori minimi, massimi e medi dei canoni sono approvati con provvedimenti del Direttore”. In specie, gli esiti istruttori affermavano che non risultava rispettata alcuna procedura di evidenza pubblica e il canone determinato in € 400,00, più IVA, con un abbattimento del 30%, non risultava conforme né alla normativa primaria, né ai regolamenti interni dell’Ater o alle delibere del Consiglio di Amministrazione, né ai valori desumibili dai listini dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare della zona di riferimento a destinazione residenziale. Inoltre, alla data del 27 luglio 2012, di deposito delle predette risultanze, l’organizzazione sindacale FIADEL risultava ancora inadempiente alla manifestata disponibilità di versare il contributo di € 06.000,00, come emergente dalla tabella aggiornata dal competente settore che <<...collocava la posizione FIADEL tra gli “sconosciuti” non essendo stata aperta nessuna posizione contabile nel sistema informatico aziendale Gelim 8, né in GePat>>. In conclusione, in specie, erano ravvisate ricorrenti tre poste di danno: 1) un danno, da omesso recupero del contributo FIADEL, 12 per € 06.000,00; 2) un danno da ristrutturazione non strettamente necessaria, atteso che a fronte della complessiva somma di € 86.285,64 al lordo di IVA, sostenuta dall’Ater di Venezia, sussisteva un preventivo computo dei lavori necessari di € 17.612,61, predisposto in data 12 dicembre 2006; 3) un pregiudizio da canone di locazione non congruo e ridotto, dappoiché la totale ristrutturazione del bene non poteva che comportare un aumento del suo valore e, quindi, un necessario riflesso sull’importo del canone, in precedenza, ossia senza intervento manutentivo, determinato in € 550,00. Un corretto canone poteva, per ciò, determinarsi, tenendo conto dell’incremento di valore dell’immobile per effetto della ristrutturazione, con riferimento ai valori oggettivi O.M.I. relativi alla zona di riferimento, calcolati dall’Agenzia del Territorio per immobili ad uso residenziale, comunque inferiori alle quotazioni di mercato degli immobili commerciali. Onde si aveva: Min. € 11,00/mq/Max € 18,00/mq, media € 14,50 che moltiplicato per i 46mq dell’immobile ristrutturato in questione dava un canone base medio di € 667,00, con una differenza, accertata alla data del 23 luglio 2012, tra il canone effettivamente percepito, € 400,00, oltre IVA, e quello dovuto, € 667,00, oltre IVA, pari a € 267,00, che moltiplicata per il periodo di 18 mesi, determinava in € 04.806,00 l’asserito danno da canone non adeguato. C - Invito a dedurre. I fatti dianzi esposti inducevano il P.M. a notificare invito a produrre deduzioni ed eventuali documenti (entro trenta giorni), con facoltà di 13 essere auditi nello stesso termine, 1) all’Ing. Marcon Aldo Luciano (l’11 dicembre 2012), 2) al Rag. Zane Giampaolo (il 19 dicembre 2012), 3) all’Ing. Contarin Domenico (il 13 dicembre 2012), e 4) all’Arch. Spiazzi Stefania (il 12 dicembre 2012). Nel predetto atto, il Requirente contestava ai convenibili, in ragione del ruolo da ognuno svolto e come correlabile alle Aree, Servizi e Uffici ai quali erano preposti, un complessivo danno patrimoniale di € 73.234,99, di cui € 06.000,00 per contributo non acquisito dal sindacato FIADEL, € 61.627,99, quale danno da lavori non necessari, stimato equitativamente atteso che <<Nel caso di specie è, peraltro, molto difficile verificare quali lavori si rendevano assolutamente necessari e quali non lo erano>>, ed € 05.607,00, quale differenza tra il canone di locazione di fatto percepito e quello dovuto, come rapportato a mesi 21, ossia computato sino al mese di ottobre 2012, di occupazione dell’immobile. Il pregiudizio ravvisato, era imputato nella misura del 40%, cadauno, ai sigg.ri Marcon e Zane, e nell’entità del 10%, ognuno, ai sigg.ri Contarin e Spiazzi. Tutti i convenibili producevano difese preliminari che, con diverse motivazioni, instavano per l’archiviazione della vertenza. I sigg.ri. Zane, Contarin e Spiazzi chiedevano e venivano altresì auditi. In data 03 maggio 2013 la Sezione Giurisdizionale Veneto, adìta dalla Procura Regionale, autorizzava, “inaudita altera parte”, con ordinanza n. 3/2013 (debitamente notificata) la proroga di giorni 90 del termine per il deposito dell’atto di citazione, in quanto l’Inquirente, in data 25 14 marzo 2013, aveva incaricato la Guardia di Finanza di effettuare approfondimenti sulla locazione e sui lavori svolti nell’immobile de quo, in particolar modo con riguardo alla effettività dei pagamenti, per le spese di straordinaria manutenzione, di Ater e in favore delle ditte esecutrici dei lavori medesimi. Per ciò, in data 14 giugno 2013 il Nucleo Polizia Tributaria di Venezia dimetteva al Requirente gli esiti di quanto acquisito. Il documento precisava quanto segue: i lavori di manutenzione ordinaria – straordinaria del mandamento veneziano in oggetto erano stati aggiudicati all’Impresa Edile Catto s.n.c., di Catto Giampaolo e Catto Omar, con sede a San Stino di Livenza, in forza del contratto di appalto stipulato con Ater in data 19 febbraio 2009; all’art. 3, il contratto sanciva, oltre al corrispettivo in € 01.195.810,99, che la misura del quantum da pagare all’Appaltatore è soggetta alla liquidazione finale effettuata dal Direttore dei Lavori o Collaudatore, in ordine alle diminuzioni, alle aggiunte, o alle modificazioni tutte eventualmente apportate all’originale progetto; all’art. 11 – bis, il negozio stabiliva che la stazione appaltante poteva autorizzare l’Appaltatore ad effettuare eventuali subappalti nel rispetto delle disposizioni di legge in materia ed in particolare dell’art. 118 del d.lgs n. 163 del 2006; che per ciò, in data 18 marzo 2009 l’Ater aveva autorizzato la Catto s.n.c. a subappaltare lavori per specifiche categorie e valori alla Cooperativa Meolese, la quale, in data 02 agosto 2010, inviava un preventivo inerente i lavori da essa ritenuti necessari per la ristrutturazione dell’immobile, contenente tuttavia 15 alcuni “nuovi prezzi”, per le voci relative alla demolizione della cella frigorifera e all’installazione di un impianto di climatizzazione con pompa di calore, atteso che il D.L. riteneva più oneroso un intervento sul preesistente impianto, per un importo di € 57.704,70 IVA al 20% esclusa e pari a € 11.540,94; che i suddetti lavori dovevano avere inizio il 27 ottobre 2010 e termine il 15 dicembre 2010, poi procrastinato ai primi giorni di febbraio 2011 per impossibilità di completare alcune opere a causa della indisponibilità temporanea di energia elettrica; che terminati i lavori la Catto s.n.c. inviava la relativa “nota spese” di € 49.686,05, IVA 20% esclusa, afferente le opere eseguite sull’immobile in questione - ad eccezione della sostituzione dei serramenti, inizialmente inseriti nel preventivo lavori della Cooperativa Meolese dell’agosto 2010, poi, invece, affidati nel novembre 2011 a ditta diversa da quella aggiudicataria dell’appalto e diversa anche da quella intervenuta in subappalto a ragione di certificata urgenza e con affidamento diretto, affidamento avvenuto, a seguito del relativo decreto autorizzativo, da parte del Direttore dei Lavori Geometra Evandro Fogarin, del Servizio Manutenzione di Ater, previa consultazione con il RUP (Ing. Contarin), in favore della ditta Agostinetto Serramenti. La nota spese ricevuta dal direttore dei lavori Fogarin, proseguiva la Guardia di Finanza, era nello specifico dal medesimo significativamente rettificata, giacché l’importo, al lordo del ribasso d’asta, di € 49.686,05, IVA esclusa, era ridotto a € 39.563,91, sempre IVA esclusa”, ossia a € 31.393,96 al netto del ribasso d’asta. 16 Con integrazione istruttoria, prodotta il 18 luglio 2013, la Guardia di Finanza segnalava che l’attività presumibilmente svolta nell’immobile, qualora non rientrante nelle “Associazioni di promozione Sociale”, costituiva cambio di destinazione d’uso da negozio (cat. catastale C/1) ad “ufficio direzionale” (cat. catastale A/10), soggetto all’ottenimento del preventivo permesso di costruire o a deposito di D.I.A. edilizia trattandosi di immobile ubicato in Zona Omogenea Territoriale “A”. D - Evocazione in giudizio. Gli argomenti svolti nelle controdeduzioni erano ritenuti dalla Procura Regionale non dirimenti ai fini dell’archiviazione della vertenza: onde l’evocazione dei predetti deducenti, che ha incardinato il presente processo. Le difese preliminari, gli atti documentali prodotti dai convenibili e le risultanze della successiva attività istruttoria disposta hanno consentito al Requirente di meglio ricostruire la vicenda di causa e di ritagliarne, con maggiore precisione, l’asserita responsabilità degli stessi, ai quali, rispetto all’invito a dedurre, imputava un complessivo danno di € 34.956,81 da addossare nella misura del 30%, cadauno, ai sigg.ri Marcon Aldo Luciano, Zane Giampaolo e Contarin Domenico, e nell’importo del 10%, alla sig.ra Spiazzi Stefania. Preliminarmente, confermava la giurisdizione di questa Corte nei confronti di amministratori e dipendenti di ente pubblico economico, quale era l’Ater di Venezia, giacché, come chiarito dalla Corte Regolatrice nell’ordinanza n. 19667/2003, “l’Amministrazione svolge attività amministrativa non solo quando esercita pubbliche funzioni e 17 poteri autoritativi ma anche quando persegue le proprie finalità istituzionali mediante un’attività disciplinata in tutto o in parte dal diritto privato...”. E il ruolo svolto dagli odierni convenuti in seno all’Amministrazione, che il medesimo asseriva essere stata danneggiata, determinava per tabulas la soggezione degli stessi alla giurisdizione del Giudice contabile, atteso il sussistente rapporto di servizio. Quanto alle singole condotte censurate rilevava che: a) l’Ing. Marcon, al tempo dei fatti Direttore Generale dell’Ente e Dirigente ad interim dell’Area Gestionale, all’interno della quale è collocato il Servizio Attività Immobiliari, a mente dell’art. 14 dello Statuto Ater, è organo di amministrazione attiva e, nell’ambito degli obiettivi fissati e degli indirizzi ricevuti, agisce discrezionalmente nella scelta dei mezzi economicamente più efficienti ed assume, nei limiti delle previsioni di bilancio e degli stanziamenti di spesa deliberati, tutti gli impegni e gli atti necessari per dare esecuzione alle determinazioni e ai programmi del Consiglio di Amministrazione. In tale qualità, ha sottoscritto il decreto n. 429, del 06 settembre 2010, che impartiva disposizioni in ordine alla formalizzazione di un contratto di locazione con la FIADEL, relativamente all’immobile sito in Venezia, Calle del Ferau, n. 917/A, previo intervento manutentivo per un importo iniziale di € 57.704,70, oltre IVA al 20%; sottoscriveva, altresì, il decreto n. 614, del 29 novembre 2010, con il quale si ordinavano ulteriori lavori urgenti per la sostituzione dei serramenti, per una spesa aggiuntiva di € 14.200,00, oltre IVA al 20%; redigeva e sottoscriveva la comunicazione dell’11 18 febbraio 2011, che disponeva la sospensione della procedura di vendita degli immobili situati nel centro storico di Venezia, disposta con deliberazione del C.di A. di Ater n. 83, del 31 maggio 2010; era autore e sottoscrittore del decreto n. 112, del 25 febbraio 2011, con il quale revocava quanto in precedenza disposto per la sottoscrizione del contratto di locazione con FIADEL. b) Il Rag. Zane, era il responsabile del Servizio Attività Immobiliari e per la gestione dei rapporti con i condomini e le autogestioni dell’ATER di Venezia. In tale qualità, proseguiva il P.M., ha coadiuvato il Direttore nella gestione dell’unità immobiliare in discussione, come emergente dal parere favorevole di regolarità tecnica apposto sia sul decreto n. 429, del 06 settembre 2010, sia sul decreto n. 112, del 25 febbraio 2011, di revoca di quello dianzi descritto. Rilevava, l’Accusa che il “Servizio Attività Immobiliari”, come da decreto n. 844, del 14 dicembre 2007, si occupava della gestione del patrimonio immobiliare, residenziale e commerciale – aziendale e non – non soggetto alla legge E.R.P. ed, in particolare, dà avvio alla locazione degli immobili, dalla stesura dell’avviso, fino alla redazione dei contratti di locazione, ed è attivo nel recupero delle morosità nelle locazioni. E’ definito dal Requirente, un “lavoratore con funzioni direttive che, collaborando attivamente con la direzione di Area e la Direzione aziendale...garantisce il conseguimento degli obiettivi aziendali. Assicura il rispetto delle normative, dei contratti e dei regolamenti vigenti, la loro corretta interpretazione ed applicazione”. c) L’Ing. Contarin, quale Dirigente dell’Area Tecnica di Ater Venezia, 19 che si occupa degli “Interventi per le nuove costruzioni, delle ristrutturazioni e della manutenzione del patrimonio edilizio aziendale e del patrimonio edilizio in gestione per conto di altri enti”, è chiamato a rispondere per avere coadiuvato il direttore di Ater nella manutenzione della unità immobiliare per cui è causa, come evincibile dal parere di regolarità tecnica apposto sul decreto n. 614, del 29 novembre 2010, con il quale venivano ordinati lavori urgenti per la sostituzione dei serramenti, per una spesa aggiuntiva di € 14.200,00, oltre IVA al 20%. d) L’Arch. Spiazzi, Responsabile del Servizio Manutenzione, quale “lavoratore con funzioni direttive”, è chiamato a rispondere per avere coadiuvato il Direttore Marcon nella manutenzione dell’unità immobiliare di cui si discute, come evincibile dal decreto n. 614, del 29 novembre 2010, che ha ordinato ulteriori lavori urgenti per la sostituzione dei serramenti. Tuttavia, soggiungeva il PM, <<...non si può omettere di considerare che nell’indicato decreto si è espressamente richiamato il decreto di assegnazione n. 429/2010 e dunque la piena consapevolezza che con un precedente decreto erano stati autorizzati lavori per circa € 58.000,00>>. Per tutti, in ragione delle descritte condotte, il PM riconosceva sussistenti: il nesso di causalità tra i comportamenti, asseritamente contra legem, e il danno cagionato ad ATER di Venezia, atteso che ognuno dei convenuti, pur con differenti modalità, ha contribuito a gestire in senso ampio, e, quindi, anche con riferimento ai lavori eseguiti sul medesimo, l’immobile de quo nell’esercizio delle proprie 20 funzioni; sussisteva, per ciò, la gravità della colpa per la manifesta divergenza sussistente tra la condotta che i convenuti hanno effettivamente tenuto e quella che era da attendersi dagli stessi sulla base delle loro specifiche condizioni. In breve, ad avviso del PM si era in presenza di una “deviazione ragguardevole rispetto all’agire appropriato definito dalle regole di azione”. In sostanza, ai convenuti era richiesta una diligenza e coscienziosità, comportante un grande rigore in relazione alla materia della gestione dei beni pubblici, posto che il legislatore ha ripetutamente tracciato i confini di tale materia, sul rilievo che la gestione di un bene palesemente contra legem, viola i principi cardine della legittimità, oltre che della efficienza ed economicità, parametri, peraltro, penetrati anche normativamente nell’ordinamento vigente attraverso la legge 7 agosto 1990, n. 241. Soggiungeva, ancora la Pubblica Accusa, che non costituiva espressione di una scelta discrezionale insindacabile la condotta di funzionari che hanno assunto determinazioni in ordine alla gestione di un bene pubblico, posto che si trattava di attività tecnico – gestionali rientranti nelle attribuzioni dell’apparto burocratico. Per ciò, la Corte dei conti non violava il limite giuridico della riserva di amministrazione nel controllare anche la giuridicità sostanziale dell’esercizio del potere discrezionale, verificando non solo se l’Amministrazione aveva compiuto l’attività per il perseguimento delle finalità istituzionali dell’Ente, ma anche se nell’agire amministrativo, aveva rispettato i criteri di legalità sostanziale e quelli giuridici di economicità, efficacia e 21 buon andamento. Da ultimo, in relazione al “quantum” precisava quanto segue: una prima posta di danno riguardava l’importo di € 06.000,00 che FIADEL avrebbe dovuto versare e che ad oggi non risultava versato né tampoco recuperato da parte dei competenti Uffici dell’ATER di Venezia; una seconda posta, riguardava “indubbiamente gli importi della ristrutturazione non strettamente necessaria”. Sul punto, il Requirente sosteneva che “la ristrutturazione non doveva essere realizzata posto che la stessa è intervenuta nel momento in cui era vigente la deliberazione del Consiglio di Amministrazione dell’ATER, la quale...aveva imposto la vendita dei beni al fine di evitare le spese relative alle opere di ristrutturazione sui beni in parola”. In ogni caso, il PM rilevava “che una parte della ristrutturazione è stata, comunque, utile all’ATER”. Per ciò, proseguiva, atteso che Ater “ha...sopportato un onere per i lavori di ristrutturazione di € 31.393,96, oltre IVA, ai quali devono aggiungersi € 14.210,50, oltre IVA, per un importo totale di € 45.604,46, oltre IVA, a fronte di un onere preventivato, in data 12 dicembre 2006 (quattro anni prima rispetto all’inizio effettivo dei lavori), in un importo di € 17.612,61, oltre IVA”, che, “nel caso di specie è, peraltro, molto difficile verificare quali lavori si rendevano assolutamente necessari e quali non lo erano”, determinava il pregiudizio da ristrutturazione non strettamente necessaria sottraendo all’importo di € 45.604,46, oltre IVA, l’importo di € 17.612,61 e l’importo aggiuntivo di € 07.045,04, quale maggiorazione equitativa per adeguamento in relazione al decorso del tempo, per una 22 differenza di € 20.946,81, da risarcire da parte dei convenuti. La terza posta di danno, che non subiva riguardo alla modalità di computo alcuna variazione rispetto a quanto in precedenza esposto, era individuata nell’importo complessivo di € 08.010,00, quale risultante della differenza di € 267,00, tra il canone dovuto e quello pagato, per 30 mesi decorrenti dal febbraio 2011 e sino al luglio 2013, essendo stato depositato l’atto di citazione il 1° agosto seguente. E - Scritti a difesa. Con memoria congiunta a documenti, in atti al 23 aprile 2014, si costituiva in giudizio Contarin Domenico (generalizzato in epigrafe), rappresentato e difeso, in virtù di mandato a margine della stessa, dall’Avv. Grimani Pier Vettor, C.F. GRM PVT 48H16 L736I, p.e.c. [email protected], fax 041/2776819, con domicilio eletto presso lo studio del medesimo, a Venezia (VE), sestiere Santa Croce n. 466/G, che concludeva per il rigetto di ogni domanda con rifusione delle spese. Il patrono, dopo aver precisato che il proprio assistito era Dirigente dell’Area Tecnica sin dal 1° luglio 1987, osservava che “nessuna funzione egli ha svolto né poteva svolgere...in relazione alla gestione dell’immobile, ed in particolare alla locazione dello stesso, la sua competenza essendo riferita invece alla esecuzione dei lavori”. A tal riguardo, i lavori da eseguire nell’immobile de quo sono stati individuati e decisi dal decreto n. 429/2010, del 06 ottobre 2010, del Direttore, in dipendenza della determinazione assunta in merito alla locazione dell’immobile stesso, decreto sottoscritto, oltre che dal 23 Direttore medesimo (Ing. Marcon), anche dal responsabile del Servizio Attività Immobiliari Rag. Zane, ma non dall’Ing. Contarin. Di tutta evidenza, per ciò, che il Dirigente dell’Area Tecnica si era limitato a dare esecuzione alla determinazione dirigenziale n. 429/2010, affidando i lavori all’impresa (Catto) già affidataria dell’appalto annuale in essere per gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria nell’ambito territoriale interessato, e per i prezzi di cui al contratto stesso, e non all’impresa di cui al preventivo indicato nel decreto n. 429/2010. In breve, la ristrutturazione dell’immobile è stata assegnata all’impresa scelta a seguito di procedura ad evidenza pubblica. Inoltre, le opere realizzate, necessarie a dare esecuzione alla determina dirigenziale, sono state ridimensionate, giacché sono state affidate per un importo inferiore a quello preventivato, e sono state poi controllate riducendo la contabilità presentata dall’impresa: infatti, la spesa è stata di € 31.393,96, oltre IVA, e non di € 57.704,70, oltre IVA. In sostanza, non si era tenuto conto del preventivo della Cooperativa Meolese, acquisito dal Direttore, bensì del contratto annuale di appalto dei lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria del patrimonio dell’Azienda, quindi dei minori prezzi da esso previsti nei rapporti con la Ditta Catto, oggetto di accurato controllo. Rilevava, quindi, il difensore, che la differenza di stima dei costi di lavori per ristrutturazione, di cui alla scheda redatta il 12 dicembre 2006, per l’importo di € 17.612,61, è data dal fatto che in tale sede si era ipotizzato un intervento di minore rilevanza (circa cinque anni prima), mantenendo la destinazione commerciale dell’immobile, 24 mentre le opere poi eseguite ne hanno comportato la ristrutturazione con cambio della destinazione d’uso. In sostanza, le opere eseguite, diversamente da quanto sostenuto dalla Procura, “erano indispensabili per poter vendere, o locare, l’immobile”, non senza soggiungere che il bene, che recava impianti sanitari ed elettrici non a norma, che conteneva all’interno un impianto frigorifero lasciato dal precedente conduttore e da smantellare preventivamente per poterlo cedere, era rimasto invenduto, malgrado le aste predisposte, per molti anni. Inoltre, sin dall’anno 2006 l’immobile non si era riusciti neanche a locarlo, con la conseguenza che i lavori in discorso erano necessari anche per poter trovare un locatario. Di tutta evidenza, quindi, che l’azione amministrativa era informata ai principi di efficacia, efficienza ed economicità, mentre il merito non era sindacabile dal Giudice, come, invece, occorso nell’operazione condotta dal Requirente tesa ad indicare quali opere di manutenzione erano necessarie e quali non. Ciò avveniva nel momento in cui la Procura osservava, ad es., “che non era necessario rendere autonomo l’impianto di riscaldamento ovvero rifare il bagno”, dimenticando, comunque, che tali requisiti sono oggi indispensabili per essere competitivi sul mercato della vendita e della locazione. Il patrono, quanto alla sostituzione dei serramenti, precisava che essa è dipesa dalla obbligatorietà di dotare l’immobile di vetrate antisfondamento ed evitare, così, eventuali pericoli per i terzi che potevano subìre lesioni dalla rottura delle vetrate fatiscenti, mentre la ditta fornitrice è stata individuata direttamente con il decreto n. 25 614/2010 del Direttore, conformemente a quanto previsto dall’art.8 del Regolamento per l’esecuzione dei lavori in economia dell’Azienda, statuente, in caso di urgenza e fino all’importo di € 20.000,00, l’affidamento in via diretta. Onde, alcun danno poteva, in specie, configurarsi, atteso che l’affidamento dei lavori è avvenuto secondo normativa, i lavori sono stati eseguiti e la spesa sopportata non poteva certo dirsi eccessiva, traducendosi, il tutto, in un incremento di valore del patrimonio dell’Azienda e nella possibilità di locare l’immobile altrimenti improduttivo. Quanto poi alla contestata mancata acquisizione del contributo, che il locatario si era obbligato a versare, a fronte dei lavori eseguiti nell’immobile, il difensore osservava l’estraneità alla problematica del proprio assistito in quanto “coinvolge altro Dirigente”, e tuttavia, in specie, il danno non si era verificato giacché “l’Azienda può ancora chiedere e pretendere il pagamento della somma in forza dell’impegno di cui alla scrittura del locatario richiamata nel decreto n. 429/2010, dato che il diritto non è certo prescritto”. Da ultimo, riguardo all’asserito danno da minor canone di locazione, osservava che la Procura per poter chiedere tale danno doveva dare la prova che effettivamente l’immobile sarebbe stato locato, reperendo un locatario, ad un canone maggiore rispetto a quello percepito, cosa non avvenuta neanche a livello indiziario, atteso che l’immobile era sfitto dal 2006 e nonostante ogni sforzo per locarlo, non risultando, per ciò, configurabile alcun danno. 26 In conclusione, nella vicenda di causa non è ravvisabile alcun danno che possa supportare la domanda e, comunque, di esso non può essere ritenuto responsabile l’Ing. Contarin, anche per insussistenza della colpa grave, giacché non poteva pretendersi dal deducente un comportamento diverso da quello tenuto. Con memoria congiunta a documenti, in atti al 23 aprile 2014, si costituiva in giudizio Spiazzi Stefania (generalizzata in epigrafe), rappresentata e difesa, in virtù di mandato in calce alla stessa, dagli Avv.ti Duse Valter, C.F. DSU [email protected], Roberta, C.F. RLN RRT VTR fax 59M10 A465H, 041/980516, 64R57 p.e.c. e Orlandi L736W, p.e.c. [email protected], fax 041/980516, del foro di Venezia, con domicilio eletto presso lo studio dei medesimi a Venezia – Mestre (VE), Corso del Popolo n. 81, che terminavano, nel merito, per il rigetto delle domande tutte formulate dal Procuratore Regionale, con rifusione integrale delle spese a mente dei parametri ministeriali vigenti. In sede istruttoria chiedevano ammettersi prova testimoniale del geometra Fogarin Evandro e del geometra Cesaro, sui capitoli che provvedevano a formulare, nonché “...C.T.U. sul preventivo del geometra Cesaro e su quello della ditta Meolese, sui lavori svolti e sulla loro congruità rispetto ad un uso di tipo direzionale dell’immobile e sui costi di mercato dei medesimi all’epoca dei fatti”. Preliminarmente, i patroni, precisavano che la loro assistita, Responsabile del Servizio Manutenzione di Ater Venezia, è chiamata 27 in correità per aver apposto il visto di regolarità tecnica sul Decreto n. 614 del 2010, afferente il rinnovo dei serramenti, e <<...in qualche modo per aver prestato collaborazione tecnica, nell’espletamento degli appalti per cui è causa, al R.U.P. e al D.L., nella veste di Responsabile del Servizio Manutenzione>>. Si trattava, quindi, di un ruolo con minore incidenza sull’asserito danno, come riconosciuto dalla stesso Requirente in diversi passaggi dell’atto di citazione. Tuttavia, sostenevano i difensori, la Procura Regionale non poteva far discendere tale ruolo partecipativo, anche se meritevole di una minore considerazione, dall’affermazione che l’Arch. Spiazzi rivestiva il ruolo di funzionaria, che aveva sottoscritto il decreto n. 614 del 2010 e che, in tale qualità, era in grado di poter esercitare un controllo sull’atto medesimo, avvalorandone la legittimità, atteso che non ha assolto all’onere di provare quali norme attribuiscano “ad una impiegata di 8^ livello il potere di rendere legittimo un decreto direttoriale apponendo il visto di regolarità tecnica quale elemento costitutivo della validità dell’atto in esame...”. I difensori, rilevavano che l’art. 25 dello Statuto Ater rinviava per la disciplina del rapporto di lavoro al codice civile e alle leggi speciali, in specie ad un normale CCNL di tipo privatistico: il riferimento era al Contratto Collettivo del personale delle Aziende Municipalizzate di Igiene Ambientale e dei relativi Istituti, i quali non menzionano al loro interno il termine funzionario con riguardo alle funzioni svolte dalla propria assistita. Il livello ricoperto da quest’ultima era, infatti, quello di un impiegato 28 apicale di 8^ livello professionale, svolgente le funzioni di “Capo servizio”, descritte dalla normativa contrattuale in termini di “lavoratore responsabile del coordinamento di più settori e con pluralità di compiti”, non di impiegato titolare di un potere di controllo sulle direttive del datore di lavoro. E ciò era da far valere anche per la figura sovraordinata all’impiegato, quella del “Quadro”, che pure non è un dirigente, figura che forse si avvicinava a quella delineata dal Pubblico Ministero, ma neanche esso poteva esercitare poteri inibitori sulle determinazioni direttoriali. Di tutta evidenza, proseguivano i patroni, che l’attestazione di regolarità apposta dalla propria assistita, in calce al decreto di cui si discute, non costituisce condizione necessaria al perfezionamento/operatività del medesimo, atteso che si trattava di ente pubblico economico non soggetto al d.lgs n. 165 del 2001, mentre le norme disciplinanti le funzioni del direttore generale (art.11, comma 5, lett. a, L.R. Veneto 09 marzo 1995, n. 10) e quelle del direttore di Ater (art. 14 comma 2, dello Statuto) prevedono che costoro agiscono discrezionalmente, “non necessitando certo dell’approvazione dei suoi impiegati”. Soggiungevano, inoltre, i patroni che in atti non vi era prova di alcuna formale richiesta di collaborazione e di affidamento attività da parte del RUP, Ing. Contarin, all’Arch. Spiazzi, la cui attività di supporto sarebbe stata, comunque, di natura meramente esecutiva/attuativa delle disposizioni del RUP, pertanto di assoluta irrilevanza sotto il profilo eziologico. I difensori rilevavano, altresì, la correttezza del sopralluogo, presso l’immobile in questione, effettuato dall’Arch. Spiazzi congiuntamente 29 al D.L. geometra Fogarin, volto a verificare quali fossero i lavori minimi indispensabili, a stralciare alcune opere ritenute non strettamente necessarie (escludendo la sostituzione di pavimenti e piastrelle), a verificare la necessità di rimuovere una cella frigorifera presente nel locale prima adibito a macelleria, unitamente alla valutazione della tenuta dei serramenti sotto il profilo della sicurezza per i terzi. I lavori di ristrutturazione, come da intese tra R.U.P. e D.L., furono scissi e affidati all’impresa Catto, per quanto riguardava le parti edili, mentre riguardo i serramenti furono affidati a ditta specializzata e per questo di fatto a un costo più economico. A tal riguardo l’Arch. Spiazzi era a conoscenza che l’art.8 del regolamento dei lavori in economia consentiva l’affidamento diretto sino a 20.000,00 euro, ritenendo per ciò regolare quanto disposto dal direttore con decreto n. 614 del 2010 in materia di serramenti. In ogni caso, e diversamente da quanto riferito dal Procuratore, con la lettera del 06 ottobre 2010, precedente l’emissione del decreto 614, del 29 novembre 2010, l’Arch. Spiazzi ebbe a rappresentare, al R.U.P. e al D.L., che “la suddetta ristrutturazione non era prevista in alcun programma annuale di manutenzione straordinaria, derivando tutto dalle disposizioni del direttore”. Anche la contabilizzazione dei lavori, ossia lo Stato Finale di Avanzamento dei lavori preordinato alla liquidazione degli importi da appalto era di competenza del Direttore dei Lavori e per ciò ogni eventuale ritardo allo stesso era imputabile e non alla propria assistita. Da ultimo, i patroni rilevavano che la spesa per i serramenti contenuta nel decreto n. 614 del 2010 non era aggiuntiva rispetto ai 30 lavori di ristrutturazione previsti dal decreto n. 429 del 2010, come dimostra il fatto che il preventivo della ditta Meolese, nel prevedere “la fornitura e posa in opera di serramenti...”, indicava un importo di € 14.122,20, oltre IVA al 20%, a fronte di un costo uguale di € 14. 200,00, oltre IVA, proposto da altra ditta, ma specializzata, presente in loco, quale la ditta Agostinetto. Il decreto n. 614 del 2010 ha, per ciò, operato solamente una sostituzione dell’impresa ritenuta idonea a tale attività, alla quale l’appalto di lavori è stato, come la disciplina consentiva, direttamente conferito, mentre la liquidazione di tale spesa doveva essere fatta a firma direttamente del direttore dei lavori. Con memoria congiunta a documenti, in atti al 24 aprile 2014, si costituiva in giudizio Zane Giampaolo (generalizzato in epigrafe), rappresentato e difeso, in virtù di mandato a margine della stessa, dall’Avv. Marchi Giuliano, C.F. MRC GLN 60L15 L736M, p.e.c. [email protected], fax 041/722326, con domicilio eletto presso lo studio del medesimo, a Venezia (VE), sestiere San Polo n. 2237, che concludeva, nel merito e in via principale, per il rigetto di ogni richiesta come formulata dalla Procura Regionale, per l’assenza di un danno concreto e attuale in capo ad Ater, per mancanza di nesso causale tra l’attività svolta dall’odierno convenuto e l’asserito danno derivato all’erario, per insussistenza dell’illecito sia sotto l’aspetto oggettivo sia per mancanza dell’elemento soggettivo della colpa grave; in via subordinata, nella denegata ipotesi di riconoscimento di profili dannosi e colposi in capo al Rag. Zane, instava per il rigetto della quantificazione e ripartizione 31 del danno come operata dall’Attore Pubblico, poiché immotivata e priva di riscontri probatori. In primis, la difesa del Rag. Zane contestava l’oggettiva sussistenza di un danno erariale conseguente alla locazione dell’immobile de quo. A tal riguardo, dopo aver evidenziato che il proprio assistito rivestiva la qualifica di “Quadro”, ossia di funzionario sottoposto gerarchicamente sia al Dirigente di Area sia al Direttore Ater, tenuto, per ciò, ad attuare le direttive che di volta in volta pervengono all’Ufficio, chiariva che il medesimo “...non ha avuto la possibilità di interagire in relazione alle determinazioni, prese da Ater nella persona del Direttore, volte a locare o meno l’immobile di cui trattasi a Fiadel piuttosto che porre lo stesso in stato di vendita o mantenerlo sfitto: egli ha esclusivamente dato corso alla stima del canone di locazione da ritenersi equo e verosimilmente applicabile al rapporto locatizio che doveva essere instaurato fra l’Azienda e il sindacato Fiadel”, canone in ogni caso sottoposto al vaglio degli organi responsabili, che lo hanno recepito. Per ciò, in specie, il Rag. Zane svolgeva una “...funzione preparatoria degli atti e nessuna autonomia, né in ordine alla scelta di contrarre, né, tantomeno, in ordine alla scelta del contraente” era ascrivibile al medesimo. Inoltre, la stima operata si discostava lievemente dai parametri O.M.I., ai quali, tuttavia, doveva riconoscersi una valenza meramente orientativa, atteso che la determinazione del canone di locazione, relativamente ad unità immobiliare, va effettuata in concreto e non con riferimento a mere situazioni di potenzialità locativa. Per ciò, contestava la valutazione presa a riferimento dalla 32 Procura regionale per non avere valutato, e correttamente, la particolare ubicazione dell’unità immobiliare in questione, collocato in una parte del sestiere Cannaregio che non poteva certo definirsi “di pregio”, e senza considerare, come del resto sarebbe emerso da una CTU, qualora disposta dal PM, che in specie era stato attribuito maggior valore locatizio ai negozi, piuttosto che agli appartamenti, in una zona, “...dove attualmente non vi è alcun negozio aperto e funzionante”. Inoltre, lo stato dell’immobile, decisamente vetusto e carente dal punto di vista della manutenzione generale, anche perché sfitto da anni, valutato alla data del 31 agosto 2010, ai fini della determinazione del corretto canone, “...ha influito sulla stima del canone adeguato di locazione”. Soggiungeva, quindi, che il canone determinato sulla base della normativa Ater era da ritenere congruo sia perché l’immobile era rimasto sfitto dal 1° maggio 2006, per disdetta dei precedenti conduttori dovuta a difficoltà economico finanziarie, e benché avviata la procedura di evidenza pubblica per la locazione in data 20 marzo 2006, la stessa non era andata a buon fine, perché le offerte prodotte erano di gran lunga inferiori al canone di asta di € 475,00, sia perché anche le tre procedure di evidenza pubblica, avviate nel 2008, 2009 e 2010 per la vendita, erano andate deserte. Quanto, all’immissione nel possesso dell’immobile di Fiadel, pur in assenza di un contratto di locazione, la cui redazione spettava alla dott.ssa Boscolo Marchi, sosteneva il patrono che la materiale consegna delle chiavi è avvenuta ad opera del sig. “Fogarin, dipendente dell’Area Tecnica” e non del Servizio Attività Immobiliari al 33 quale apparteneva il Rag. Zane. Ora, atteso che si versava in materia di occupazione sine titulo, era in potere di Ater attivare tutte le azioni a tutela dei propri diritti, in particolare quelle di rivendica, restituzione e risarcitorie, “tant’è che l’Azienda ha promosso specifica azione in tal senso”, con conseguente insussistenza di un danno concreto ed attuale. Quanto, infine, al profilo afferente l’effettuazione dei lavori di manutenzione, il patrono, nell’evidenziare l’assoluta estraneità del Servizio al quale era preposto il proprio assistito a tali determinazioni, rilevava anche in tale ipotesi l’insussistenza del danno erariale, giacché vi era assoluta necessità di eseguire i lavori di manutenzione straordinaria per rimuovere le celle frigorifere ivi esistenti e per trasformare l’immobile al fine di poter continuare ad avere un reddito dallo stesso e/o comunque per mantenere all’unità immobiliare un, pur contenuto, valore di mercato; i lavori hanno, comunque, incrementato il valore del bene e la loro esecuzione consentirà allo stesso di ricevere la nuova e più pregiata destinazione ad uso ufficio. Da ultimo, il patrono escludeva la ricorrenza anche della colpa grave, giacché nell’ipotesi di causa non risultava comprovato un contegno improntato a spregio dei principi di buona amministrazione e delle direttive ricevute, giacché il convenuto ha posto in essere quanto era in suo potere al fine di determinare il canone di locazione e di provvedere ad allocare utilmente un immobile che non solo era sfitto da anni, ma che non presentava nemmeno utili prospettive di alienazione a prezzo di mercato. Il ruolo ricoperto dal Rag. Zane nella vicenda de qua 34 escludeva, per ciò, ogni responsabilità sotto il profilo oggettivo e soggettivo, mentre nella denegata ipotesi del riconoscimento di un qualche apporto causale esso andava valutato in misura notevolmente inferiore rispetto a quella contestata dal PM. Con memoria congiunta a documenti, in atti al 24 aprile 2014, si costituiva in giudizio Marcon Aldo Luciano (generalizzato in epigrafe), rappresentato e difeso, in virtù di mandato a margine della stessa, dal Prof. Avv. Pagliarin Carola, del foro di Padova, C.F. PGL CRL 72H62 F241R, e dall’Avv. Barzazi Guido, del foro di Venezia, C.F. BRZ GDU 67M18 L736X, p.e.c. [email protected], fax 040/365598, con domicilio eletto presso lo studio del secondo, a Venezia – Mestre (VE), in via Torino n. 186, che terminavano, in via pregiudiziale, per la improponibilità della domanda per carenza di giurisdizione; nel merito, per il rigetto dell’atto introduttivo con assoluzione del convenuto dagli addebiti contestati; in via subordinata di merito, nella ipotesi di condanna, per l’imputazione del quantum di danno che residua all’esercizio del potere di riduzione, con vittoria di spese. I patroni, dopo circostanziata ricostruzione della vicenda in fatto, opponevano, in rito, la carenza di giurisdizione in capo alla Corte dei conti, atteso che la Procura Regionale, nella fattispecie di causa, aveva esercitato “un sindacato sul merito di scelte discrezionali di ATER”, che si poneva in contrasto con la normativa vigente in materia. Infatti, dalla natura di ente pubblico economico, con impronta 35 aziendalistica, riconosciuta anche dal PM ad ATER, deve trarsi la conclusione che la giurisdizione della Corte dei conti deve necessariamente considerare le particolari caratteristiche di tali enti e, in particolare, la peculiarità dell’attività svolta da essi. In sostanza, tenendo conto che il sindacato del giudice contabile può riguardare anche le scelte discrezionali dell’amministrazione, al fine di verificarne la loro coerenza con i principi di imparzialità e buon andamento e che, invece, è precluso al medesimo giudice ogni apprezzamento che investa valutazioni di convenienza e di opportunità compiute dall’autorità deliberante, l’ambito di ingerenza nei confronti dell’attività della predetta Azienda, in quanto ente pubblico economico, era da ritenere più limitato rispetto al principio dianzi affermato, proprio in ragione dell’autonomia imprenditoriale e gestionale riconosciuta a tale tipologia di enti dalla vigente legislazione. In sostanza, osservavano i patroni, tale autonomia imprenditoriale andava ad incidere sui margini di sindacato normalmente spettanti al giudice erariale e, in particolare, nella valutazione dell’osservanza dei canoni di economicità e di efficacia nell’attività di tali enti, governati da principi aziendalistici. Per ciò, le censure avanzate dal Requirente che ha ripetutamente affermato la non convenienza della locazione dell’immobile al canone convenuto, delineando anche il comportamento alternativo che sarebbe stato legittimo tenere, integrato da una ulteriore procedura di vendita, ovvero dal mantenimento dell’immobile sfitto, la scelta del tipo di opere da eseguire all’interno dell’immobile, contestandone la necessarietà, anche quando prescritta dal rispetto delle norme di 36 sicurezza, dimostrano che il Requirente ha ampiamente esorbitato dalla corretta delimitazione dell’alveo della giurisdizione contabile. Da tali ragioni conseguiva la carenza di giurisdizione del Giudice adìto. In via preliminare, invece, i patroni contestavano l’inammissibilità della domanda per inattualità del pregiudizio azionato, atteso che non constava che fosse stata chiusa in contraddittorio la contabilità dei lavori oggetto di causa, così come era anche da dirsi per la posta di asserito danno di € 06.000,00, corrispondente al promesso contributo per i lavori di ristrutturazione, importo che essendo ancora esigibile, con i previsti mezzi di tutela patrimoniale a disposizione dell’Ente, non induceva l’esistenza di un danno attuale. Nel merito, i difensori contestavano la sussistenza dell’elemento oggettivo dell’illecito nell’ipotesi tratta a giudizio, ove il convenuto Direttore, che dispone di poteri gestionali ma non dispone di poteri istruttori ed esecutivi, ha necessariamente fatto affidamento sulla correttezza dell’attività istruttoria svolta dagli altri odierni resistenti e che erano a ciò preposti. A tal riguardo, chiariva che l’immobile non rientrava tra quelli di pregio, non essendo ricompreso nel relativo elenco di cui alla Delibera di Giunta Regionale n. 1495, del 20 settembre 2011; inoltre, lo stesso è stato oggetto di tre procedure di vendita nel corso del 2008, del 2009 e del 2010, andate deserte, mentre la prova che il bene non fosse appetibile, in applicazione del principio dell’onere della prova, era a carico dell’Attore. Tuttavia, fermo tale assorbente motivo, i patroni non vedono quali ulteriori attività avrebbe potuto porre in essere l’Azienda per acclarare 37 adeguatamente la non appetibilità del bene da parte del mercato immobiliare, atteso che una ulteriore asta (l’ultima era del 10 febbraio 2010) avrebbe comportato un nuovo ribasso di certo diseconomico per l’Ente. Riguardo, invece, alla conclusione del contratto di locazione, il convenuto, dopo aver premesso che l’immobile in discorso è stato oggetto di un avviso al pubblico per la locazione nel marzo 2006 che non andava a buon fine in quanto a fronte di una base di asta di € 475,00 erano presentate offerte di gran lunga inferiori, precisava che “la sua concreta determinazione rientrava nelle competenze delle strutture preposte, in applicazione della deliberazione del C.di A. n. 320 del 28 ottobre 2005”. In ogni caso, veniva rilevato che il “canone di mercato era tale solamente in quanto l’offerta di un bene incontri la domanda che, in specie, non sussisteva”, né tampoco la Procura attrice ha fornito prova dell’effettiva esistenza di un interessato disposto a pagare una somma superiore a quella concretamente pagata. Per ciò, tale posta di danno risultava priva del necessario supporto probatorio, mentre le quotazioni O.M.I. dell’Agenzia delle Entrate non servivano a supportare la tesi della Procura Regionale, in quanto i valori contenuti in tale banca dati “...non possono intendersi sostitutivi della stima, ma soltanto di ausilio di essa”. Quanto ai lavori di ristrutturazione, gli stessi si sono resi necessari in quanto l’Ater non era riuscito, in alcuna delle procedure attivate, ad alienare l’immobile in questione, lavori che in ogni caso incrementavano il valore dello stesso. Ad ogni buon conto, giacché la Procura Regionale dichiarava 38 che “..nel caso di specie è, peraltro, molto difficile verificare quali lavori si rendevano assolutamente necessari e quali non lo erano...”, a tale affermazione non poteva che conseguire l’impossibilità, per lo stesso Requirente, di provare l’an del pregiudizio all’erario. In conclusione, l’operato dell’Ing. Marcon è stato sempre ispirato alla massima correttezza, diligenza e professionalità nell’esercizio della sua attività, sia per avere esperito specifiche aste pubbliche, andate deserte ovvero, per la locazione, con offerte al di sotto del canone base, sia per avere scelto di accettare, in assenza di altre offerte, la proposta di locazione FIADEL, ad un canone comunque ritenuto congruo dalla struttura tecnica dell’Azienda, piuttosto che lasciare il bene sfitto con pagamento, in ogni caso, di oneri diretti e indiretti. Diligenza ed efficacia usate anche con riguardo ai lavori eseguiti, la cui valutazione non era affidata al convenuto Marcon ma alla struttura tecnica preposta, la quale aveva, comunque, evidenziato la necessità della messa a norma del bene. Nella denegata ipotesi di condanna, i patroni chiedevano farsi applicazione del principio della “compensatio lucri cum damno”, poiché danno e vantaggio conseguivano alla medesima condotta, nonché del potere di riduzione, a mente di quanto già precisato sull’elemento soggettivo. In data 30 aprile e 06 maggio 2014 la Procura Regionale produceva, rispettivamente, e-mail della Guardia di Finanza, del 29 aprile precedente, che riferiva che ATER aveva chiesto un permesso per costruire in sanatoria, rigettato dal Comune per carenza di documentazione e assenza dell’accertamento di compatibilità 39 paesaggistica, e per il quale l’Ente si stava attivando per depositare quanto richiesto, nonché nota dell’Agenzia delle Entrate del 10 aprile 2014, nella quale si chiariva che la predetta Agenzia aveva emesso due avvisi di liquidazione (di cui non è precisata l’entità) per omessa registrazione del contratto di locazione dell’immobile in questione, rimasti, allo stato insoluti e quindi prenotati a ruolo negli importi medesimi (atti comunicati alle parti via e-mail). F - Udienza dibattimentale. Alla pubblica udienza odierna, il Sostituto Procuratore Generale, dott.ssa Chiara Imposimato, era a confermare il contenuto dell’atto di citazione e le conclusioni, in termini di condanna, in esso rassegnate. Precisava, in replica a quanto dedotto dalle difese dei prevenuti, che non vi era, in ipotesi, carenza di giurisdizione, atteso che il sindacato della Corte dei conti incideva sia su attività discrezionali di natura tecnica sia sulla verifica di taluni parametri giuridicizzati, conformanti l’azione delle Amministrazioni pubbliche e, in specie, dell’A.T.E.R. di Venezia; inoltre, l’appalto aggiudicato alla ditta “Catto” riguardava solo lavori e interventi di ordinaria manutenzione, mentre quelli di straordinaria manutenzione, edili e dei serramenti disposti ed eseguiti, sono stati affidati direttamente e, quindi, senza seguire alcuna procedura di evidenza pubblica; riguardo l’attualità del danno, nel richiamare l’autonomia del giudizio contabile rispetto a qualsivoglia azione civile intrapresa da Ater, ne evidenziava l’infondatezza, giacché “la ristrutturazione è stata posta in essere, il canone continuava, ancora oggi, ad essere pagato da FIADEL in misura non 40 congrua e il c.d. contributo di € 06.000,00 non risultava ancora versato”: a supporto, invocava una decisione della Sezione Sardegna (la n. 56/2014); infine, rilevava che la D.G.R. n. 1495 del 20 settembre 2011, si riferiva esclusivamente ad immobili ad uso abitativo. Si opponeva, inoltre, sia all’uso del potere di riduzione, sia alla escussione di testi, sia alla C.T.U., quali rivendicate dalle difese dei convenuti. L’Avv. Giuliano Marchi, in rappresentanza di Giampaolo Zane, nel riportarsi alle conclusioni formulate ribadiva, invece, che i valori O.M.I. erano solo un ausilio alla stima effettuata dal proprio assistito, retta da criteri scientifici, mentre l’esistenza di procedimenti civili o penali a carico di taluno o di alcuni dei soggetti oggi evocati, quale adombrata in udienza dal P.M., era da ritenere del tutto ininfluente sulle sorti dell’odierno giudizio e non idonea, per ciò, a validare in alcun modo le tesi attoree. L’Avv. Valter Duse, in difesa di Stefania Spiazzi, nel rinviare agli atti già dimessi, confermava il ruolo del tutto marginale avuto dalla medesima nella gestione del bene in denuncia, da ascrivere, qualora “contra legem”, alle responsabilità di altri, non risultando ad essa intestato alcun potere di mutare le decisioni dei propri superiori. L’Avv. Guido Barzazi, in rappresentanza di Aldo Luciano Marcon, nel riportarsi alle argomentazioni difensive in atti, ribadiva che il contratto aggiudicato alla ditta “Catto” riguardava sia la manutenzione ordinaria che quella straordinaria, mentre l’immobile de quo, sfitto dal 2006, necessitava di interventi atti a recuperarlo alla vendita o a una 41 locazione diversa da quella di negozio, opere per le quali la stessa Procura asseriva, ad avviso del medesimo in termini dirimenti per l’insussistenza dell’an del danno, non essere in grado di discernere tra quelle che erano necessarie e quelle che non lo erano; inoltre, l’importo di € 6.000,00 non era stato versato poiché non si era addivenuti alla stipulazione del contratto di locazione: per ciò, l’Ing. Marcon si era conformato ai canoni del buon padre di famiglia. L’Avv. Pagliarin, intervenendo per il medesimo prevenuto, riproponeva la carenza di giurisdizione, poiché le valutazioni della Procura attrice erano andate oltre la discrezionalità, sconfinando nel merito delle scelte gestionali operate da ATER. L’Avv. Pier Vettor Grimani, per Domenico Contarin, nel richiamare quanto già dedotto nella memoria di costituzione, riconfermava che il proprio assistito ha tenuto, nella vicenda di causa, una condotta di mera esecuzione delle disposizioni del Direttore, che nel proprio decreto indicava, altresì, quali lavori erano da effettuarsi, mentre l’indicazione di € 1.800,00, data dal medesimo in ordine al canone di locazione mensile, non poteva che essere un mero refuso. Al termine della discussione la causa, ritenuta matura, è stata trattenuta per la decisione. Motivi della decisione [1] Rileva il Collegio che la valutazione dello sconfinamento delle attribuzioni giurisdizionali, da parte del Requirente e, quindi, del Giudice adìto, quale eccezione formulata espressamente dalle difese del Direttore Marcon e implicitamente dal patrono dell’Ing. Contarin, 42 rivesta carattere di assoluta pregiudizialità nello scrutinio dell’odierna trama di danno, e anche con riguardo alla posizione degli altri convenuti, in quanto trattasi di questione rilevabile ex officio e, per ciò, incidente sull’ammissibilità della domanda nella sua intierezza, che verrebbe ad essere travolta qualora dovesse ravvisarsi la fondatezza di censure involgenti il merito delle scelte operate. In breve, le suddette difese affermavano che la Procura Regionale, in specie, aveva esercitato “un sindacato sul merito di scelte discrezionali di ATER”, che si poneva in contrasto con la normativa vigente in materia. Infatti, nel chiarire che il sindacato del giudice contabile può riguardare anche le scelte discrezionali dell’amministrazione, al fine di verificarne la loro coerenza con i principi di imparzialità e buon andamento, e che, invece, è precluso al medesimo giudice ogni apprezzamento che investa valutazioni di convenienza e di opportunità compiute dall’autorità deliberante, osservavano che l’ambito di ingerenza nei confronti dell’attività della predetta Azienda, in quanto ente pubblico economico, era da ritenere più limitato rispetto al principio dianzi affermato, proprio in ragione dell’autonomia imprenditoriale e gestionale riconosciuta a tali enti. Per ciò, osservavano i patroni dell’Ing. Marcon, le censure avanzate dal Requirente che ha ripetutamente affermato la non convenienza della locazione dell’immobile al canone convenuto, delineando anche il comportamento alternativo che sarebbe stato legittimo tenere, integrato da una ulteriore procedura di vendita, ovvero dal 43 mantenimento dell’immobile sfitto, la scelta del tipo di opere da eseguire all’interno dell’immobile, contestandone la necessarietà, anche quando prescritta dal rispetto delle norme di sicurezza, dimostrano che il medesimo ha ampiamente esorbitato dalla corretta delimitazione dell’alveo della giurisdizione contabile. Non diversamente il patrono dell’Ing. Contarin, che osservava come la Procura Regionale, al fine di poter muovere una qualche critica all’operato del proprio assistito, era “...costretta ad entrare nel merito delle scelte dell’Azienda...” con riguardo ad es. alla necessarietà o non di rendere autonomo l’impianto di riscaldamento, ovvero a quella di rifare il bagno. L’Ufficio del P.M. era, invece, ad avversare tali conclusioni, sia perché il sindacato della Corte dei conti impingeva su attività discrezionale di natura tecnica, sia perché l’Amministrazione, come reso evidente nell’itinerario che ha portato la Corte di Cassazione a riconoscere la giurisdizione della Corte dei conti nei confronti degli Enti pubblici economici (e di cui all’ordinanza a SS.UU. n. 19667, del 22 dicembre 2003), svolge attività amministrativa, giustiziabile dinanzi al Giudice adìto, anche quando persegue le proprie finalità istituzionali attraverso attività disciplinate in tutto o in parte da norme privatistiche. [1.1] La ricostruzione operata dalle parti convenute, quand’anche suggestiva, è fuor di segno, perché trascura l’aspetto prodromico alle scelte operate, ossia il rispetto delle procedure legislative e regolamentari ad effetto conformativo dell’azione esitante nelle stesse, la cui violazione, ferma ogni valutazione in ordine alla loro 44 fondatezza, è oggetto di denuncia nell’atto introduttivo. Rileva, il Collegio, che l’eccezione sollevata riguarda non tanto o non solo la copertura giurisdizionale delle conseguenze dei comportamenti di amministratori e dipendenti dell’Ente pubblico economico Ater di Venezia in quanto tale, ma anche e sopra tutto l’incidenza che, ad avviso dei patroni, eserciterebbe sul sindacato della Corte dei conti, che sarebbe più limitato (o forse più contratto), rispetto a quello imperniato sul modello discrezionalità amministrativa – scelte di merito delle Amministrazioni pubbliche, l’autonomia imprenditoriale e gestionale riconosciuta a tale tipologia di enti dalla vigente legislazione. In principalità, la Sezione deve, per ciò, confermare, a supporto della propria riserva di giurisdizione, l’orientamento della Corte Regolatrice che con l’arresto di legittimità del 2003 (ordinanza a SS.UU. n. 19667, del 22 dicembre 2003), in seguito ulteriormente ribadito, ha escluso, con riguardo alla responsabilità degli amministratori e dei dipendenti di Enti pubblici economici, quali sono, in specie, gli A.T.E.R., di dover continuare a discettare del sindacato della Corte dei conti, per le questioni connesse all’esercizio di poteri autoritativi o di funzioni pubbliche, e della giurisdizione del Giudice ordinario, per tutte le questioni ricadenti nell’attività gestionale, id est nello svolgimento di attività di natura imprenditoriale dell’Ente, indirizzo, sino a tale pronunciamento, seguito dalla Suprema Corte. Il mutato orientamento portava, quest’ultima, ad attribuire alla <<...Corte dei conti i giudizi di responsabilità amministrativa, per fatti 45 commessi dopo l’entrata in vigore dell’art.1, ultimo comma, della legge 14 gennaio 1994, n.20, anche nei confronti di amministratori e dipendenti di enti pubblici economici (restando invece per tali enti esclusa la responsabilità contabile), essendo irrilevante il fatto che detti enti – soggetti pubblici per definizione, istituiti per il raggiungimento di fini del pari pubblici attraverso risorse di eguale natura – perseguano le proprie finalità istituzionali mediante un’attività disciplinata in tutto o in parte dal diritto privato>>. Quindi, la Corte Regolatrice è pervenuta a riconoscere in capo alla Corte dei conti anche i giudizi di responsabilità nei confronti di amministratori e dipendenti di enti pubblici economici, muovendo dalla evoluzione del concetto di amministrazione pubblica - che individua l’attività Amministrativa non solo in quella che si estrinseca in funzioni pubbliche e nell’esercizio di pubblici poteri, ma anche nell’attività che persegue, nei limiti consentiti dall’ordinamento, finalità istituzionali in forme privatistiche, quali conseguenti all’esercizio del diritto di impresa - e dal mutato quadro normativo di riferimento, in particolare con riguardo all’innovazione dell’art.1, ultimo comma, della legge n. 20/1994, aggiunta dal d.l. 23 ottobre 1996, n. 543, secondo cui la Corte dei conti giudica sulla responsabilità amministrativa degli amministratori e dipendenti pubblici anche quando il danno sia stato cagionato ad amministrazioni ed enti pubblici diversi da quelli di appartenenza, espressione comprensiva sia degli enti pubblici non economici che di quelli economici. Orientamento, questo, ribadito nella sentenza n. 14102/06, del 20 46 giugno 2006, ove si afferma, in modo ancora più incisivo, che oggi <<...è...l’evento verificatosi in danno di un’amministrazione pubblica il dato essenziale dal quale scaturisce la giurisdizione contabile, e non, o non più, il quadro di riferimento (diritto pubblico o privato) nel quale si colloca la condotta produttiva del danno stesso>>, confermato di recente, nel senso che <<Spettano alla giurisdizione della Corte dei conti i giudizi di responsabilità amministrativa promossi nei confronti di amministratori e dipendenti di enti pubblici economici per i fatti commessi dopo l’entrata in vigore dell’art.1, ultimo comma, della legge 14 gennaio 1994 n. 20; nell’attuale assetto normativo, infatti il dato essenziale che radica la giurisdizione contabile è rappresentato dall’evento dannoso verificatosi a carico di una P.A. e non più il quadro di riferimento – pubblico o privato – nel quale si colloca la condotta produttiva del danno>> (cfr. Corte di Cass. SS.UU. n. 8492, del 14 aprile 2011, fattispecie pertinente l’Azienda A.N.A.S., e anche SS.UU. n. 3367, del 15 febbraio 2007). Nell’ipotesi di causa, trattandosi di condotte causative di asserito danno erariale poste in essere da dipendenti di ATER Venezia nel corso dell’anno 2010, perpetuate, talune, anche per gli anni a seguire, di tutta evidenza che delle stesse è chiamata a conoscere la Corte dei conti, il cui sindacato non incontra, tuttavia (e come di seguito), un maggior limite nell’esercizio della discrezionalità solo perché espressa in scelte gestionali di tipo manageriali. Ora, un tale itinerario teorico giuridico, che ha consentito di far chiarezza sui limiti esterni della giurisdizione contabile, impone, al 47 Collegio, di verificare, altresì, il rispetto della c.d. riserva di amministrazione, che si traduce anch’essa, in ragione dell’interazione tra giurisdizione e merito, in un limite alla responsabilità amministrativa: in tale evenienza, infatti, l’interferenza sulla scelta di merito operata potrebbe tradursi in un travalicamento dei limiti, obbligante l’adita Corte a una declaratoria dì inammissibilità del libello, poiché la materia sarebbe coperta da una riserva in favore dell’amministrazione, che potrebbe meglio descriversi come difetto di attribuzione, non appartenendo la conoscibilità del merito stesso ad alcun ambito giurisdizionale, incluso quello contabile. Detto diversamente, la riserva amministrativa prevede che solo la P.A. può valutare il modo in cui curare concretamente l’interesse pubblico e, quindi, il giudice non può sostituirsi ad essa nel valutare quali siano le migliori scelte gestionali e i migliori strumenti da utilizzare per perseguire i fini istituzionali. A tal riguardo, l’art. 1, comma 1, della legge n. 20 del 14 gennaio 1994, come modificato dall’art.3, della legge 23 ottobre 1996, n. 543, ha previsto che la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti è personale e limitata ai fatti e alle omissioni commessi con dolo o colpa grave, <<…ferma restando l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali…>>. L’innovazione legislativa in predicato è stata introdotta nell’ottica di evitare che il magistrato, attraverso il sindacato delle scelte discrezionali, realizzi una valutazione nel merito e si trasformi in amministratore, seppure giusto e ponderato, travalicando così lo 48 spazio di azione definibile come riserva di amministrazione (così Atti seduta della Camera dei Deputati 18 dicembre 1996, n. 109, nonché Corte dei conti, Sezione 1^, sent. n. 292/A, del 23 settembre 2005, Cass. SS.UU. 29 gennaio 2001, n. 33). Sostanzialmente, quindi, l’agire libero degli amministratori e dipendenti pubblici (in cui rientrano anche gli odierni convenuti, quali dipendenti di Ente pubblico economico), entro gli spazi normativamente assentiti, si traduce in una condotta giuridicamente consentita o per lo meno non vietata dalle norme, quindi in una sorta di requisito positivo del comportamento, finalizzato a tradurre una scelta, tra più opzioni di merito tutte ugualmente lecite e legittime, in un provvedimento decisorio destinato all’attuazione di un determinato fine di pubblico interesse, rispondente alla causa del potere esercitato (anche di tipo imprenditoriale). Ciò, tuttavia, non ha comportato la creazione di un’area di sostanziale deresponsabilizzazione erariale nell’adozione di atti, provvedimenti ma anche di negozi a rilievo privatistico, conseguenti alla <<scelta>> operata, specialmente per le ipotesi in cui la stessa poteva apparire, <<ab initio>>, portatrice di possibili conseguenze perniciose per l’Ente pubblico economico per l’errata valutazione comparativa degli interessi protetti, frutto ad es. di macroscopica negligenza. Prova ne era che i limiti al sindacato della Corte dei conti, ma sarebbe meglio dire al sindacato di qualunque giudice, sulle scelte discrezionali, esistevano già in via d’interpretazione (diritto vivente) in quanto immanenti nella Carta Fondamentale e fondati sul principio di 49 legalità dell’amministrazione e sul controllo di quest’ultima (controllo che non poteva, comunque, trasformare il Giudice in amministrazione attiva nelle scelte da operare), limiti che la novella del 1996 ha provveduto a esplicitare senza, quindi, soluzione di continuità nel dispiegarsi della giurisdizione contabile sulle scelte discrezionali, con l’intento d’impedire effetti dirompenti e lesivi dei principi d’imparzialità e di buon andamento dell’azione amministrativa. Ora, la giurisprudenza consolidata ritiene che il Magistrato contabile possa sindacare la legittimità dell’operato amministrativo non solo alla luce di regole giuridiche ben individuate ma anche in ragione di parametri non giuridici permeabili il divenire dell’azione (cfr. ex plurimis Corte dei conti, sez. 1° d’app. sent. n.292/2005/A, del 23 settembre 2005, Sezione Lazio sent. n.1726, del 12 settembre 2005, Sezione Veneto, sent. n. 166 del 18 febbraio 2009). Onde, l’esame della scelta effettuata deve essere condotto alla stregua di taluni <<…parametri obiettivi valutabili ex ante e rilevabili anche dalla comune esperienza>> (cfr. Corte dei Conti, Sez. III, 21 gennaio 2004, n. 30/A, Sez. Lazio, 12 ottobre 2006, n. 1791), quali l’incongruità, l’illogicità, l’irrazionalità, l’inefficacia, l’antieconomicità e la non proporzionalità, tutte espressioni della non coerenza della scelta rispetto ai fini di pubblico interesse imposti. E tale maggiore penetrazione del sindacato di questa Corte ha trovato avallo giuridico interpretativo nella decisione n.7024, del 28 marzo 2006, delle Sezioni Unite della Cassazione, il cui orientamento è stato ribadito da Cassazione SS. UU. n. 4283, del 21 febbraio 2013, e n. 50 10416, del 14 maggio 2014. La precedente e pluriennale impostazione della Corte Regolatrice limitava, infatti, l’area della discrezionalità al rispetto dei fini istituzionali dell’Ente (ossia alla cura degli specifici interessi pubblici ad esso affidati), senza possibilità, per il Giudice contabile, di estendere il controllo alle concrete articolazioni dell’agire amministrativo (cfr. Cass. SS.UU. 29 gennaio 2001 n. 33 e 06 maggio 2003 n. 6851). In seguito, la Corte di legittimità (cfr. Cass, sent. n.29 settembre 2003, sent. n. 14488), ha abbandonato tale indirizzo osservando come <<…la nozione di discrezionalità è unitaria, e non può subire allargamenti nel caso specifico del giudizio di responsabilità, nel quale il controllo della conformità a legge dell’azione amministrativa deve riguardare anche l’aspetto funzionale di quest’ultima, vale a dire con riguardo alla congruenza dei singoli atti rispetto ai fini imposti, in via generale o in modo specifico, dal Legislatore>>. La Corte, in sintesi, ha ritenuto che la disposizione dell’art. 1, della legge n.20/1994, doveva essere posta in correlazione con l’art.1, della la legge 7 agosto 1990, n. 241, ossia con i criteri di economicità ed efficacia (ma anche con gli altri principi ivi indicati), quali criteri che assumevano, nel divenire dell’azione amministrativa, rilevanza sul piano della legittimità e non della mera opportunità. Il primo, quale diretta attuazione del canone costituzionale e comunitario di buona amministrazione, vincola la P.A. all’uso accorto, immune da sprechi, delle proprie risorse (in definitiva di pertinenza 51 della collettività in senso ampio), traducendosi nell’obbligo di perseguire i propri obiettivi con il minor dispendio di mezzi personali, finanziari, procedimentali. Analogamente, il principio di efficacia indica il rapporto tra risultati ottenuti e obiettivi prestabiliti ed esprime l’esigenza che l’amministrazione adotti tutte le misure che appaiono più idonee a conseguire i propri obiettivi. I suddetti principi, a loro volta, costituiscono corollario del canone consacrato nell’art. Amministrazioni 97 della Pubbliche il Costituzione, che conseguimento impone degli alle obiettivi legislativamente prefissati, agendo con il minor dispendio di mezzi, come buona amministrazione. La decisione n.7024/2006, nel far proprio tale ultimo indirizzo, è andata oltre, rilevando che non era <<…imposto da alcuna ragione di ordine sistematico che il controllo di legalità nel giudizio di responsabilità amministrativa dinanzi al giudice contabile debba avere un contenuto meno ampio e debba essere meno penetrante di quanto avviene nel giudizio di legittimità sugli atti amministrativi, affidato al giudice amministrativo e, in via incidentale, al giudice ordinario…>>. Soggiungeva, la Corte di legittimità, come il <<…sindacato della Corte dei conti in sede di giudizio di responsabilità (ma anche in sede di giurisdizione di conto) non deve limitarsi a verificare se l’agente abbia compiuto l’attività per il perseguimento di finalità istituzionali, ma deve estendersi alle singole articolazioni dell’agire amministrativo, escludendone soltanto quelle in relazione 52 alle quali la legge attribuisce all’amministrazione una scelta elettiva tra diversi comportamenti, negli stretti limiti di tale attribuzione>>. Pertanto, le scelte elettive degli amministratori e dipendenti, dovendosi conformare ai suddetti criteri di legalità e a quelli normati di economicità, di efficacia e di buon andamento <<...sono soggette al controllo della Corte dei conti perché assumono rilevanza sul piano della legittimità e non della mera opportunità dell’azione amministrativa. Per ciò, non eccede la giurisdizione contabile non solo la verifica se l’amministrazione abbia compiuto l’attività per il perseguimento di finalità istituzionali dell’ente, ma anche se nell’agire amministrativo ha rispettato dette norme e principi giuridici e dunque la Corte dei conti non viola il limite giuridico della “riserva di amministrazione” – da intendere come preferenza tra alternative, nell’ambito della ragionevolezza, per il soddisfacimento dell’interesse pubblico – sancito dall’art.1, comma 1, della legge n. 20 del 1994 ...- nel controllare anche la giuridicità sostanziale – e cioè l’osservanza dei criteri di razionalità, nel senso di correttezza e adeguatezza dell’agire, logicità e proporzionalità tra costi affrontati e obiettivi perseguiti, costituenti al amministrativo contempo indici e del confini di misura sindaco del potere giurisdizionale – dell’esercizio del potere discrezionale>> (così Corte di Cass. SS.UU. n. 4283, del 21 febbraio 2013). Ora, la questione sulla sindacabilità delle scelte discrezionali, che involge, come detto, un’interazione tra giurisdizione e merito, può 53 riguardare sia l’agire pubblicistico dell’Ente pubblico economico Ater, sia il suo agire con strumenti privatistici (ad es. con accordi, convenzioni, proposte, contratti), ben valorizzati oggi dall’art.1, comma 1- bis della legge 7 agosto 1990 n, 241, atti che, certamente, sono connotati da ampia discrezionalità, poiché richiedenti valutazioni di carattere manageriale, e che, tuttavia, non possono mai andare a scapito della liceità comportamentale. Di tal ché, il principio enunciato nell’art. 1, comma 1 cit. esclude che la Corte dei conti possa conoscere condotte discrezionali che violano regole non scritte di opportunità e convenienza, mentre dalla stessa sono conosciute condotte discrezionali che si pongono in contrasto con norme espresse o principi giuridicizzati, nei quali devono ricomprendersi, come detto, i principi di buon andamento dell’azione amministrativa, di efficacia, efficienza della stessa, di razionalità e di proporzionalità, ed anche di imparzialità, quale espressamente contemplato dall’art.97 della Carta Fondamentale, inteso come equidistanza tra soggetti pubblici o privati che vengono a contatto con la P.A., finalizzato ad assicurare, con riferimento alla fattispecie di causa, la predeterminazione dei criteri di massima per affidare lavori e concedere in locazione beni pubblici, e così sviare quei sospetti su perniciose forme di gestioni clientelari e disutili della “res publica”. In breve, il sindacato giudiziale contabile, che si esercita nei confronti dei pubblici poteri e della discrezionalità amministrativa, nonché dei frequenti interventi di natura privatistica delle Pubbliche amministrazioni e, quindi, anche degli Enti pubblici economici come gli 54 Ater, non è limitato alla mera verifica della conformità dell’azione alla legislazione vigente, ma si esprime anche nella direzione di un controllo sull’eccesso, dell’abuso e dello sviamento di potere, giacché ogni potere, compreso quello dell’imprenditore, va esercitato in maniera funzionale, corretta, coerente con i principi generali dell’ordinamento giuridico e con quelli speciali della singola disciplina per potersi dire non destinatario di censure. Per ciò, il Giudice contabile è chiamato a verificare la pratica compatibilità dell’agire amministrativo – imprenditoriale (in specie degli Enti pubblici economici) non solo rispetto ai limiti c.d. “espliciti” posti dalle singole disposizioni ma anche ai limiti c.d. “impliciti” o “interni”, tesi a far sì che l’azione si svolga in maniera corretta, equilibrata (c.d. proporzionalità), funzionale o altrimenti detto secondo buona fede e correttezza. E tali considerazioni escludono, altresì, che possa costituire una scelta discrezionale insindacabile l’operato di quel personale di Ater che nell’ambito dell’attività di gestione del bene pubblico, per cui è causa, abbia esaminato fatti o situazioni rilevanti nell’ambito della stessa, ricorrendo a cognizioni tecniche e scientifiche di carattere specialistico (come nell’operazione di stima tesa a determinare il valore locativo dell’immobile), integranti la c.d. discrezionalità tecnica, che esula dalla nozione di merito, esprimente, quest’ultimo, la conformità della scelta discrezionale alle regole giuridiche di buona amministrazione volte a guidare l’Ente verso la scelta più conveniente ed opportuna, in grado, cioè, di soddisfare l’interesse pubblico nella situazione concreta, scelta chiaramente preceduta dalla 55 comparazione tra interesse pubblico primario e interessi secondari coinvolti, in cui si esprime la discrezionalità amministrativa (cfr. Corte dei conti, Sez. III di appello n. 36, del 07 febbraio 2000). Un tanto premesso, occorre verificare le ricadute di tali principi sull’ipotesi tratta a giudizio, in cui, tuttavia, la disamina della legittimità dell’azione amministrativa esige che si operi una disaggregazione delle condotte e dei conseguenti asseriti danni, come descritte nel libello, al fine di evincerne, in relazione ad ognuna di esse, l’eventuale invasione della c.d. riserva di amministrazione e, quindi, l’avvenuto travalicamento dei limiti esterni del proprio potere discrezionale, come ribadito in Cassazione n 4956, dell’8 marzo 2005. Orbene, in specie, il Requirente porta all’attenzione del Giudicante: a) un asserito danno da mancata entrata, per € 06.000,00, quale contributo alla ristrutturazione, che il sindacato FIADEL aveva dato la disponibilità a versare, a fronte di una riduzione del canone mensile; b) un asserito danno da spesa non necessaria, determinato in € 20.946,81; e c) un asserito danno da mancata entrata, per € 08.010,00, quali differenze per “canone di locazione” ritenuto determinato in modo non adeguato e non congruo. Del tutto pacifica, in giurisprudenza, la sindacabilità delle condotte determinative del canone di locazione (ove la fattispecie possa qualificarsi come locazione) da parte di Ater, attenendo l’applicazione di regole di esperienza e tecnico scientifiche della disciplina di estimo che esulano dalla nozione di merito dianzi esposta, per rientrare nella c.d. discrezionalità tecnica della scelta operata (cfr. Corte dei conti, 56 Sez. 2^ di app., n. 334, del 17 dicembre 1999). Anche i comportamenti involgenti, con criterio di causalità adeguata, l’asserito danno da mancata entrata di € 06.000,00, non possono essere sottratti alla cognizione dell’odierno giudicante, in quanto afferenti somme per le quali l’Amministrazione, ove ricorrente la certezza e l’attualità del (diritto di) credito in base al rapporto di provvista, è vincolata al recupero dal carattere pubblico acquisito dalle risorse che ne occupa e ne esclude, per ciò, ogni discrezionalità (cfr. Corte dei conti, Sez. 1^ di app., n. 526/A, del 20 settembre 2010). Relativamente, invece, al c.d. danno da spesa non necessaria, che comprende i lavori edili e la sostituzione dei serramenti, con applicazione di vetrate antisfondamento, rileva il Collegio che se è pur vero che il Requirente nel libello si intrattiene più volte, in termini concettuali, su condotte quali quella di vendere o non l’immobile, tenerlo sfitto o locarlo, svolgere ulteriori aste, eseguire un bagno secondo certe modalità oppure non, centralizzare l’impianto di riscaldamento oppure renderlo autonomo, applicare delle pellicole protettive o sostituire le vetrate, che di tutta ragione penetrano l’opportunità e convenienza dell’azione di spesa, altrettanto vero è che gli addebiti della Procura investono anche una fase prodromica alle scelte effettuate, afferente il corretto esercizio del potere discrezionale, ossia il rispetto delle procedure di evidenza pubblica, delle deliberazioni del Consiglio di Amministrazione di Ater e della Regione Veneto, che, tra l’altro, invitava (anche se in epoca successiva alla determinazione di locare previa ristrutturazione) i 57 Consigli di Amministrazione di Ater, in corso di costituzione, “ad avviare la vendita degli immobili di pregio, non soggetti alla disciplina di cui alla legge regionale 2 aprile 1996, n. 10”, (pagg. 10 – 11 e diffusamente nell’atto di citazione), attività tutte finalizzate al perseguimento dei fini pubblici dell’Ente, fini la cui omogeneità non può prescindere, altresì, dalla verifica dell’adeguatezza dei mezzi, per essere consentito al giudice di sindacare la razionalità e la proporzionalità della spesa in ragione dello scopo perseguito in concreto. In tale evenienza la scelta di eseguire determinati lavori deve risultare non solo coerente con i fini istituzionali di Ater Venezia e con le norme di evidenza pubblica, qualora, in specie, applicabili, ma deve essere anche finanziariamente compatibile: in senso assoluto, tenendo conto dell’impegno finanziario che la decisione gestionale implica a confronto delle risorse finanziarie disponibili e, in senso relativo, considerando il fine specifico che si vuole raggiungere e la spesa necessaria per realizzarlo. In conclusione, nella misura in cui l’ambito di estensione del potere discrezionale è circoscritto da vincoli posti da norme giuridiche (parametri giuridici discendenti dalle norme di evidenza pubblica e dalle disposizioni a carattere regolamentare interne ovvero esterne della Regione Veneto), che ne segnano i confini o ne indirizzano l’esercizio, il rispetto degli stessi costituisce un requisito di legittimità e di validità dell’atto, sindacabile in questa sede. Conseguentemente, l’insindacabilità nel merito delle scelte 58 discrezionali non impinge né pregiudica la possibilità del Giudice contabile di vagliare la conformità alla legge e alle disposizioni interne della gestione della locazione de qua da parte degli odierni convenuti, restando così l’odierno accertamento nell’alveo del sindacato rivolto, in esclusiva, ad atti di gestione di cui è chiesto di verificarne la loro giustificatezza e razionalità (ex multis, Corte dei conti, Sez. 3^ di app., 18 luglio 2011, n. 330, id. 06 luglio 2011, n. 302). A tali premesse non può che seguire il rigetto dell’eccezione sollevata. [2] Un tanto disposto, nel merito la disamina, ad opera del Collegio, dell’articolata domanda deve avvenire, come preannunciato, attraverso la disaggregazione del complessivo danno imputato causalmente alle condotte degli odierni convenuti, al fine di accertarne, in principalità, l’attualità delle specifiche poste e poi, all’evidenza, l’asserita oggettiva illiceità dei comportamenti tenuti, unitamente all’elemento soggettivo, quest’ultimo in termini di colpa grave, da ritrarre non da parametri oggettivi ed automatici ma dal rilievo del concreto comportamento serbato da chi ha agito. Di tutta evidenza che per una tale verifica, all’esito della quale il Collegio deve trarre le conclusioni di merito, non si ravvisa necessario acquisire, in quanto ultroneo, né le prove testimoniali né la Consulenza Tecnica d’Ufficio chieste dai patroni dell’Arch. Stefania Spiazzi, giacché la documentazione rilevante per la decisione della causa è già agli atti del fascicolo processuale, non abbisognevole, quindi, di integrazioni di tipo istruttorio. Di tal ché, la Sezione ritiene di non dover ammettere altri mezzi di 59 prova, per essere quelli acquisiti al processo - di natura documentale già sufficienti ai fini della sua definizione (Cass. SS.UU. 19704, del 13 novembre 2012). La vicenda di causa, descritta dal Requirente come episodio di “cattiva gestione”, al limite “dell’affarismo clientelare”, riguarda l’unità immobiliare, contraddistinta dall’identificativo “0067 – 0045”, ab origine ad uso diverso da quello poi ottenuto in concreto per trasformazione, ossia uso negozio (categoria catastale C1), sita in Venezia, Cannaregio, Calle del Ferau n. 917 e di proprietà dell’A.T.E.R., assegnata in locazione – ovvero, come di seguito, occupata sine titulo, per non essere mai stato stipulato un formale contratto di locazione - all’organizzazione sindacale FIADEL, che ne avrebbe concesso l’uso di una parte dei locali alle ACLI provinciali di Venezia, parte interessata individuata a seguito dell’incontro della domanda – della medesima - e dell’offerta – dell’Azienda Ater, poste al di fuori delle procedure di evidenza pubblica previste per legge, in cui l’Azienda ha assunto, altresì, un asserito “gravoso onere” per ristrutturazioni, che avrebbe determinato un danno di € 20.946,81 (quale quota parte dei lavori), ritenute dal PM non del tutto necessarie, a fronte, invece, dell’obbligo di dismettere il patrimonio immobiliare di pregio previsto dalla Regione Veneto (in realtà, nella Delibera di G.R. n. 1495, del 20 settembre 2011, rubricata “Elenco degli immobili di pregio di proprietà dell’Ater di Venezia da avviare alla vendita ex D.G.R. 21 dicembre 2010, n. 3322”, non figurava l’immobile de quo), e verso il pagamento di un canone ritenuto non congruo, pari 60 a € 400,00 oltre IVA in luogo di € 667,00 oltre IVA, per un asserito pregiudizio, alla data di deposito della citazione pari a € 08.010,00, conseguente sia alla mancata valorizzazione dell’aumento di valore dell’immobile (inadeguatezza), sia al mancato versamento del contributo di € 06.000,00 che il locatario aveva promesso di versare ad Ater. Sintetizzato così il fatto, rileva il Collegio che le condotte degli odierni convenuti, ove rilevanti sul piano oggettivo e soggettivo della responsabilità erariale, verrebbero ad integrare tre distinte poste di danno: a) un asserito pregiudizio da mancata entrata, per € 06.000,00, b) un presunto danno da irregolare ordinazione di spese edili e per serramenti ritenute non necessarie, ammontante ad € 20.946,81, e c) un asserito pregiudizio, da mancata entrata, conseguente al canone di locazione non adeguato al valore di mercato e determinato in € 08.010,00. Di tutta evidenza che di tali pregiudizi, quale risultato finale della condotta ascritta ai predetti, Dirigenti, Quadri e Impiegati di Ater Venezia, il Collegio è chiamato a verificare, in principalità, l’attualità, posta in serio dubbio dai difensori dei prevenuti. A tal riguardo, le difese dell’Ing. Marcon, rilevavano che non constava dagli atti che la contabilità dei lavori fosse stata chiusa in contraddittorio tra le parti, con conseguente inattualità del pregiudizio erariale, atteso che per la giurisprudenza contabile le condizioni di attualità del pregiudizio si verificano al momento della conclusione delle procedure di collaudo e, in ogni caso, la certezza del danno 61 poteva compiutamente acquisirsi solo al termine dell’azione giudiziale intentata da Ater nei confronti della locataria. Quanto, invece, all’asserita posta di € 06.000,00 e corrispondente al mancato versamento, da parte di FIADEL, del promesso contributo, ne eccepivano l’assoluta inattualità, “...in quanto non ancora prescritti i mezzi di tutela patrimoniale a disposizione dell’ente”. Non diversamente il patrono dell’Ing. Contarin, che denunciava, con riguardo alla mancata acquisizione del contributo, l’inattualità del danno atteso che “l’Azienda può ancora chiedere e pretendere il pagamento della somma in forza dell’impegno di cui alla scrittura del locatario richiamata nel decreto n. 429/2010, dato che il diritto non è certo prescritto”. Il difensore del Rag. Giampaolo Zane rilevava, invece, “...la mancanza di un danno concreto e attuale per Ater”, in quanto sono rimaste, “impregiudicate tutte le azioni a tutela dei propri diritti, in particolare quelle di rivendica, restituzione e risarcitorie, tant’è che l’Azienda ha promosso specifica azione in tal senso”. Conclusioni avversate, in udienza, dal P.M. dappoiché “la ristrutturazione è stata posta in essere, il canone continuava, ancora oggi, ad essere pagato da FIADEL in misura non congrua e il c.d. contributo di € 06.000,00 non risultava ancora versato”. [2.1] In primo luogo il Collegio deve chiarire che all’attualità del danno, presupposto indispensabile ed indefettibile per l’ammissibilità dell’azione erariale, non è ostativa la pendenza (in specie contestuale) dell’azione giudiziaria intentata da Ater nei confronti di Fiadel e delle ACLI, organizzazioni sindacali locatarie ovvero occupanti sine titulo 62 l’immobile “de quo”, atteso il noto e più volte ribadito principio di autonomia e non coincidenza della Giurisdizione ordinaria e contabile e dell’operare, comunque, di meccanismi di procedibilità attinenti al merito. Infatti, è stata da sempre affermata l’azionabilità del giudizio di responsabilità amministrativo – contabile anche in presenza di procedure ordinarie civili, coltivate, in ipotesi, a tutela di diritti reali, quale quello di rivendica e di restituzione, e di diritti di credito, quali quello al risarcimento, procedure (da quanto emergente dagli atti) promosse dall’Azienda nei confronti delle organizzazioni sindacali Fiadel/Acli e tuttora non pervenute a conclusione, trattandosi di azioni reciprocamente indipendenti nei loro profili istituzionali, anche quando investono lo stesso fatto materiale, mentre l’eventuale interferenza che potrebbe determinarsi tra i relativi giudizi pone semmai un problema – in fattispecie non sussistente - di proponibilità dell’azione di responsabilità avanti al giudice contabile ove il danno risulti in toto o in parte già risarcito in sede civile o che del quantum risarcitorio realizzato in tale ultima sede se ne possa tener conto in fase di esecuzione della pronuncia contabile. In fattispecie, nulla di tutto ciò è dato riscontrare, atteso che l’azione civile di rivendica, ex art. 948 c.c., e di risarcimento di tutti i danni subiti e subendi, intentata nei confronti di Fiadel e delle A.C.L.I. provinciali di Venezia, preceduta dalla domanda di mediazione alla Camera Arbitrale di Venezia in data 20 gennaio 2014, oltre che essere stata promossa successivamente a quella erariale (depositata 63 in cancelleria il 1° agosto 2013), si trovava ancora allo stadio iniziale e non definita, quindi, ad alcun fine. A tal riguardo la Corte Regolatrice, in più di un arresto, ha affermato che la <<...giurisdizione penale e civile, da un lato, e la giurisdizione contabile, dall’altro, sono reciprocamente indipendenti nei loro profili istituzionali, anche quando investono un medesimo fatto materiale, e l’eventuale interferenza che può determinarsi tra tali giudizi pone esclusivamente un problema di proponibilità dell’azione di responsabilità davanti alla Corte dei conti, senza dar luogo a questione di giurisdizione>> (cfr. Corte di Cass. SS.UU. n. 26582, del 28 novembre 2013, id. n. 7385, del 25 marzo 2013, n. 11, del 2012, n. 6581, del 2006 e n. 4957 del 2005). Indirizzo, questo, seguito dalla giurisprudenza contabile che si esprime, tra l’altro, in termini di complementarietà e non di alternatività tra le due azioni, di modo che <<...l’avvio dell’azione contabile potrebbe trovare un plausibile arresto solo nella verificata realizzazione, da parte del Requirente e del Giudice Contabile, della pretesa erariale, con una formazione di un giudicato sull’an e sul quantum e conseguente liquidazione e reintegrazione del patrimonio erariale>> (cfr. Corte dei conti, Sezione 1^ di appello, sent. n. 581 del 2009, n. 210 del 2003 e n. 109 del 2002): il che non è dato constatare, dalla documentazione in atti, nella fattispecie tratta a giudizio. Un tanto chiarito, è necessario ora verificare la concretezza e l’attualità del danno, ossia la ricorrenza dell’elemento oggettivo della responsabilità erariale, dovendosi escludere la perseguibilità di danni 64 potenziali, futuri e/o presuntivi (cfr. Corte dei conti, SS.RR. 19 giugno 1991, n. 717/A, id. Sez. 2^, 29 novembre 1990, n.408, e Sez. 1^, 23 marzo 1994, n. 68). A) La prima posta di presunto pregiudizio riguarda l’importo di € 06.000,00, somma che “Fiadel”, con scrittura pervenuta il 31 agosto 2010 e richiamata nel decreto n. 429, del 06 settembre 2010, assumeva l’impegno a versare, “...quale contributo alla ristrutturazione del negozio con relativa richiesta di riduzione del canone mensile d’affitto...”. Ravvisa, il Collegio, che la somma in questione non pare possa considerarsi un vero contributo alla ristrutturazione, per gli effetti in concreto esercitati, in termini riduttivi, in sede di determinazione del canone di locazione (se così, come dianzi detto, poteva qualificarsi). Nello specifico, si trattava di un asserito danno da mancata entrata, della quale non risultava prescritta l’azione per farla valere in giudizio, come ribadito da tutti i convenuti e non contestato dal Requirente, che nella pubblica udienza si limitava ad eccepirne l’infondatezza, giacché “...il contributo di € 06.000,00 non risultava ancora versato”, in una con il richiamo della sent. n. 56/2014 della Sezione Sardegna su tematica asseritamente analoga. Di tutta evidenza, quindi, che dovendo il Giudice porre a fondamento della decisione, a mente dell’art. 115 c.p.c. (cfr. Corte di Cass. SS.UU. civili, n. 12065, del 19 maggio 2014) i fatti allegati dalle parti convenute e non specificamente contestati dal P.M., risultava, alla luce della documentazione in atti, non solo che Fiadel non ha provveduto al pagamento di un tale importo, in ragione della mancata 65 stipula e successiva registrazione del contratto di locazione, che potrebbe aver trasformato il locatario, attesa la diatriba in corso tra le parti, in una sorte di occupante “sine titulo” del bene, ma altresì che l’azione a tutela del relativo diritto, se tale poteva definirsi, non si era ancora prescritta, come attestato dall’avviata azione per risarcimento danni promossa da Ater Venezia. In sostanza, il P.M. non ha dato prova dell’inesigibilità del credito, presupposto necessario perché il danno acquisisca i caratteri della certezza ed attualità, come di norma avviene in ipotesi di prescrizione del diritto (con applicazione della prescrizione quinquennale di cui all’art. 2948, n. 3 c.c. per tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi), la quale in concreto segna la “deminutio patrimonii” costituente l’essenza del danno erariale. Per ciò, l’attualità del pregiudizio non consegue alla semplice scadenza di un termine o al mero inadempimento, ma alla definitiva inesigibilità della prestazione. A tal riguardo, la pacifica giurisprudenza, rileva che: “nelle ipotesi di danno derivante da mancato accertamento/riscossione di crediti, ai fini della sussistenza del danno patrimoniale, non rileva il denaro oggetto del credito non incassato, che ne costituisce in senso stretto la quantificazione, bensì il credito in quanto tale”, così che, “nell’ipotesi di responsabilità da mancata riscossione di entrate è la perdita del diritto di credito a rendere attuale il danno erariale, a prescindere dall’attuazione in concreto della prestazione di denaro” (cfr. Corte dei conti, Sez. 1^ centrale di app., 796/2013/A, 66 dell’8 ottobre 2013, id. Sez. 3^, 369/2012, del 21 maggio 2012, Sez. Umbria, sent. n. 34/2014, del 14 marzo 2014, Sez. 3^, n. 182/2007, id. Sez. Campania, n. 290/2005, id. Sez. 1^ di app., n. 313/A/1999). Orientamento che è seguito, malgrado la diversa interpretazione datane dal Requirente, anche dalla Sezione Sardegna nella sent. n. 56/2014, che si è pronunciata per la condanna di amministratori di società che avevano indebitamente utilizzato contributi pubblici erogati a titolo di anticipazione da parte del Ministero dell’Industria (ora Sviluppo Economico), venendo così integrata una fattispecie dannosa da “spesa”, nella quale è l’erogazione “sine causa” delle somme di pubblico denaro ad attualizzare il danno, ossia la “deminutio patrimonii”, nel quale esso si compendia, così da renderne giuridicamente necessario l’immediato accertamento e l’eventuale condanna al relativo risarcimento, senza neanche attendere l’esito degli eventuali recuperi intrapresi in sede amministrativa, da valutare semmai in sede di esecuzione della sentenza di condanna stessa. Di tal ché, nella predetta decisione si affermava (pag. 27): <<...l’esborso delle ingenti somme c’è stato e l’inutilità della prestazione è icto oculi evidente, mentre, invece, appare ancora incerto il procedimento di recupero delle somme...(che) potrà essere fatta valere dai convenuti in sede di esecuzione della presente sentenza>>. Conseguentemente, l’omesso recupero del c.d. contributo alla ristrutturazione, che in mancanza di un formale contratto non risultava assoggettato a un termine di adempimento, non rendeva configurabile, allo stato, un danno patrimoniale da mancata entrata 67 connotato dai caratteri di certezza ed attualità, giacché non vi era stata per l’Ente la perdita del diritto di credito, danno che, al limite, potrebbe essere qualificato come meramente potenziale e, in quanto tale, inidoneo a costituire elemento caratterizzante della responsabilità erariale. A tal riguardo, il Collegio ribadisce che l’impegno a versare tali somme era contenuto in una proposta rimasta nella c.d. fase delle trattative pre contrattuali, non formalizzata in un impegno negoziale, quindi non certa nell’”an e nel quando”, e senza possibilità, per l’odierno giudicante, di poter provare attraverso il rapporto erariale il c.d. rapporto sottostante di provvista. Onde, l’azione avviata con riguardo a tale asserita posta di danno deve essere respinta per insussistenza dell’elemento oggettivo della responsabilità, ossia del danno, atteso che il relativo credito non era certo né era divenuto inesigibile (cfr. Corte dei conti, SS.RR. 22 aprile 1992, n. 764), con esonero del Collegio dal dover verificare gli altri elementi della responsabilità erariale e assoluzione dei convenuti dagli addebiti loro contestati. B) La seconda posta di danno, per € 20.946,81, quale elaborazione equitativa operata dal Requirente, sarebbe la risultante di spese asseritamente non necessarie o diseconomiche, ordinate dal Direttore Ater, Ing. Marcon, anche in ragione del supporto motivazionale a carattere tecnico dell’Ing. Contarin (che era in specie anche R.U.P.) e dell’Arch. Spiazzi (quest’ultima con riguardo ai serramenti). Si tratterebbe, quindi, di una fattispecie dannosa “da spesa”, che, in 68 quanto flettente lavori ritenuti dall’Attore non necessari, integrerebbe un esborso “sine titulo”. Osserva, a tal riguardo il Collegio, di dover procedere, al fine di verificarne l’attualità, a una ripartizione ulteriore del danno, distinguendo tra le due tipologie di lavori affidati: la prima, relativa ad opere edili per le quali, a prescindere dal merito delle stesse, non risultava essere stata ancora chiusa, in termini meramente formali, la relativa procedura in contraddittorio con la Ditta Catto, come evincibile dalla relazione della G.d.F. del 13 giugno 2013, che (a pag. 7) afferma che la nota spese presentata dalla ditta Catto s.n.c. per i lavori eseguiti, ammontante a € 49.686,05, IVA al 20% esclusa, è stata rettificata dal Direttore dei Lavori, geometra Fogarin, nell’importo di € 31.393,96, al netto del ribasso d’asta, previsto dal contratto di manutenzione aggiudicato a tale impresa con regolare procedura di evidenza pubblica, e dell’IVA. “Tale importo è stato inserito in un SAL...che alla data attuale risulta ancora da formalizzare (...) Dal Perfezionamento del S.A.L. conseguirà l’emissione del relativo certificato di pagamento per la successiva liquidazione”. Rileva, la Sezione adìta, che poiché la procedura di contabilità, in contraddittorio, e di collaudo, che segna in materia di lavori pubblici, di norma, il momento dell’attualità del danno configurante l’effettivo interesse della Procura istante ad agire, risultavano “di fatto” completate, aspetto, questo, non smentito dalla relazione della Guardia di Finanza dianzi richiamata, l’emissione del relativo certificato di pagamento, per la successiva liquidazione, costituiva un mero atto necessitato che nulla aggiungeva di più all’impegno di 69 spesa già assunto e vincolante, atto, quest’ultimo, sufficiente a dare certezza ed attualità alle somme in discussione, trattandosi di lavori effettivamente eseguiti e verificati nel loro ammontare, come da nota spesa della ditta Catto, rettificata dal direttore dei lavori in contraddittorio con la stessa per quanto atteneva ai nuovi prezzi. Onde, il Collegio ravvisa di dover affermare l’attualità del presunto danno afferente gli esborsi per lavori edili e di pavimentazione, eseguiti dalla ditta Catto nell’ambito del contratto di manutenzione generale in essere con Ater di Venezia. Anche con riguardo all’intervento di sostituzione dei serramenti esterni del negozio, intervento da ritenere non aggiuntivo bensì sostitutivo di quello originariamente compreso nell’affidamento lavori alla ditta Catto, è indiscussa l’attualità dell’asserito danno ai fini della legittima esperibilità dell’azione pubblica, poiché i lavori risultavano regolarmente eseguiti, fatturati dalla ditta “Agostinetto Serramenti s.r.l.” con documento n. 15, del 31 gennaio 2011, e liquidati dall’Ater di Venezia con provvedimento n. 11, del 18 aprile 2011 (e pagamento di € 16.200,00, IVA compresa, entro il 06 maggio 2011). C) Riguardo, invece, alla terza posta di asserito danno di € 08.010,00, per “canone di locazione non adeguato al bene”, determinato ricorrendo al valore medio di locazione riferito ai valori O.M.I. dell’Agenzia del Territorio (oggi delle Entrate), ossia € 14,50 (riferito, tuttavia, ad abitazioni civili ad uso residenziale), da moltiplicare per la superficie dei 46 mq del negozio - estensione che era onere del P.M. correttamente accertare e che il Collegio ravvisa di potere 70 ragionevolmente, attesa l’autorevolezza della fonte, attingere dalla valutazione eseguita dall’Agenzia del Territorio in data 03 agosto 2007 - e per il numero di mesi (30) di conduzione, ravvisa la Sezione di dover fare talune precisazioni dirimenti per l’inattualità dell’asserito danno. Rileva, il Collegio giudicante, che una delle competenze dell’Ater di Venezia era ed è quella di gestire le locazioni di unità immobiliari ad uso residenziale a prezzi concorrenziali (fattispecie d’interesse), secondo criteri di economicità tendenti ad esercitare un effetto calmieratore e perequativo sul mercato [così art.3, comma 1, lett. a), dello Statuto approvato con deliberazione del C di A., n. 111, del 05 aprile 2004, modificato con deliberazione del C.di A. n. 154 dell’8 giugno 2004]. Di tutta evidenza che versandosi in materia di beni di Ente pubblico, il potere di disporre degli stessi, nella forma della vendita o della locazione, è subordinato al rispetto delle procedure di evidenza pubblica, volte ad individuare l’acquirente o il locatario più conveniente per l’Azienda, a seguito di indizione di apposita gara o di avviso al pubblico (in specie, da parte della Direzione sulla base di schema approvato dal Consiglio di Amministrazione), contenente, per l’ipotesi tratta a giudizio, il canone base al netto di IVA. Alla Scadenza dell’avviso, la Commissione di gara preposta provvederà all’apertura delle offerte pervenute per gli immobili oggetto dell’avviso e alla formazione delle graduatorie, con aggiudicazione in favore della migliore offerta ricevuta, procedura, questa, che consente di 71 individuare la propria controparte negoziale, con la quale stipulare, mediante atto pubblico notarile o in forma pubblica amministrativa ovvero mediante scrittura privata il relativo contratto, fonte di diritti e di obblighi per le parti contraenti (tale modalità è prevista, per l’Ater di Venezia, nella Deliberazione del C.di A. n. 320, del 28 ottobre 2005). Pertanto, attese le ripartizioni interne ad Ater di Venezia, spettava al Direttore di Ater, indire l’avviso pubblico di gara (in base allo schema approvato in seno al C.di A.), e al Servizio Attività Immobiliari e per i Rapporti con i Condomini e le Autogestioni facente Capo al rag. Giampaolo Zane, una volta individuato il miglior offerente, di “dare avvio alla locazione degli immobili”, attività che, comunque, iniziava con “la stesura dell’avviso e fino alla redazione dei contratti di locazione” (cfr. Decreto n. 844, del 14 dicembre 2007, del Direttore Ater Venezia del tempo). Orbene, nella fattispecie di causa risultava che il sindacato FIADEL, al di fuori dell’indizione di un avviso di gara, faceva pervenire, in data 06 agosto 2010 (protocollata al n. ATVE0029885/2010), richiesta per poter “...ottenere in locazione una unità immobiliare ad uso non abitativo di proprietà di Ater sita in comune di Venezia, Cannaregio, Calle del Ferau n. 917”. A seguito della stessa, il Direttore Ater, ravvisando di dover procedere a trattativa diretta in ragione dei tempi non brevi che richiedeva la pubblicazione di un nuovo avviso di locazione, atteso che lo stesso risultava sfitto dal maggio 2006 e malgrado fosse stato inserito in numerosi avvisi di locazione e di vendita, disponeva per la locazione 72 dell’immobile ad un canone iniziale determinato in € 555,00, oltre IVA, poi rideterminato in € 400,00, oltre IVA, a seguito della disponibilità del locatario a versare un contributo alla ristrutturazione di € 06.000,00. A suggello di tali trattative pre contrattuali, con valuta al 20 settembre 2010, Fiadel faceva pervenire ad Ater la somma complessiva di € 01.702,80 a titolo di deposito cauzionale, spese contrattuali e canoni di locazione anticipati. Ciò malgrado, con decreto n. 112, del 25 febbraio 2011, il Direttore Ater, Ing. Marcon, atteso che la Regione Veneto con deliberazione di giunta n. 3322, del 21 dicembre 2010 (sopravvenuta alla determinazione di locare il bene), invitava i Consigli di Amministrazione di Ater ad avviare la vendita degli immobili di pregio (il cui elenco, allegato alla D.G.R. n. 1495, del 20 settembre 2011, non annovera, come dianzi detto, l’immobile de quo) non soggetti alla disciplina di cui alla legge regionale 2 aprile 1996, n. 10, richiesta ribadita con successiva nota n. 45509, del 31 gennaio 2011, ritenendo prevalente quanto richiesto dalla Regione rispetto ad eventuali diverse decisioni aziendali, revocava quanto disposto con il decreto n.429, del 06 settembre 2010, in merito alla sottoscrizione del contratto di locazione in favore di Fiadel, dando, contestualmente, incarico ai Servizi competenti per tutti i conseguenti adempimenti. In sostanza, il Direttore Marcon procedeva alla revoca (a mente dell’art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990) del provvedimento amministrativo, di cui al Decreto n. 429, del 06 settembre 2010, per sopravvenuti motivi di pubblico interesse, anche perché i lavori eseguiti sull’immobile “de quo” avrebbero potuto, 73 verosimilmente, orientare in maniera diversa una nuova asta di vendita. Cionostante, l’organizzazione sindacale “Fiadel” era comunque immessa, nel corso del mese di febbraio 2011, nella detenzione dell’immobile “de quo”, attraverso la consegna delle chiavi, effettuata, da quanto è dato rilevare dalla documentazione in atti (si veda anche pag. 7 della memoria di costituzione del Rag. Giampaolo Zane), da soggetto diverso dagli odierni convenuti. Il Pubblico Requirente non si intrattiene sul particolare della consegna delle chiavi finalizzata all’immissione nella detenzione dell’immobile, che in quanto avvenuta al di fuori della sottoscrizione di un formale negozio locativo potrebbe (il condizionale è d’obbligo giacché dagli atti non risultava alcuna proposta, sia pure informale, di acquisto ovvero di locazione diversa da quella avviata) essa stessa risultare foriera di effetti lesivi per gli interessi patrimoniali dell’Ente. Nel caso di specie, per ciò, risultava violata la procedura e le disposizioni regolamentari afferenti l’assegnazione dell’unità immobiliare, da parte di chi ha provveduto alla consegna delle chiavi. Di tutta evidenza che in specie, e allo stato degli atti, in mancanza di un formale contratto di godimento della “res publica”, potrebbero configurarsi due ipotesi giuridiche: la prima, riguardante una occupazione “sine titulo”, per la quale non si ravvisa possa discettarsi di “corretto canone di locazione” ma di “giusta indennità di occupazione”, come evidenziato dall’avviata azione restitutoria, ex art.948 c.c., e di risarcimento del danno da parte di Ater di Venezia. 74 La seconda, prevedendo l’art. 1350, n. 8 c.c., la forma scritta “ad substantiam” solo per i contratti di locazione di durata ultranovennale (nel caso di specie, come disposto dal Decreto n. 429, del 06 settembre 2010, il rapporto di locazione avrebbe dovuto avere una durata di 6 anni prorogabili per altri 6), afferente l’emergere, dall’immissione nel possesso del bene e dal pagamento contestuale del canone, di una locazione di fatto: in tal caso la revoca verrebbe ad incidere su un rapporto negoziale in atto con eventuali pretese di tipo indennitario da parte del locatario ove provato il suo affidamento. In tale evenienza, il richiamo fatto dal Requirente all’art.1, comma 346, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria per il 2005), statuente che “I contratti di locazione, o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento, di unità immobiliari ovvero di loro porzioni, comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati”, e che ha elevato la norma tributaria al rango di norma imperativa, principio, comunque, che poteva dirsi immanente nell’ordinamento e di cui costituiva una specifica e puntuale estrinsecazione già l’art. 13, della legge n. 431 del 1998 (applicabile anche in ipotesi di causa), non pare, al Collegio, possa dirsi dirimente per la nullità del negozio ai sensi dell’art. 1418 c.c., atteso che la giurisprudenza di legittimità, in conformità a quanto previsto dallo Statuto del contribuente, di cui all’art. 10, comma 3, della legge 27 luglio 2000, n. 212, ritiene che le “Violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario non possono essere causa di nullità del contratto” (cfr. Corte di Cass., 27 ottobre 2003, n. 16089, id. Corte 75 Cost. n. 50, del 14 marzo 2014; contra Cass., 07 ottobre 2008, n. 24769), almeno per le ipotesi, come quella odierna, in cui la causa concreta del contratto non contempla un canone superiore rispetto all’importo concordato nel medesimo contratto di fatto, anche se non registrato. Per ciò, non siamo in presenza di un abuso del diritto, finalizzato a realizzare un risultato vietato dalla norma, ossia quello di garantire al locatore (in questo caso Ater), di ritrarre dal concesso godimento dell’immobile un reddito superiore rispetto a quello assoggettato ad imposta (nel caso, di registro). Conseguentemente, la causa concreta del negozio non disvela alcuna finalità di elusione fiscale, venendo a coincidere con quella astratta delineata dal legislatore e, trattandosi di mera irregolarità fiscale, non depone per la conseguente relativa nullità civilistica. In ogni caso, pur nell’incertezza della qualificazione giuridica della fattispecie come locazione, le maggiori somme a tale titolo richieste dal Requirente, dovute alla verosimile incongruità della stima operata dal Rag. Zane e fatta propria dal Direttore Marcon, stima che doveva, ragionevolmente, intervenire o a lavori ultimati o anche prima (come effettuato) ma tenendo conto dell’aumento di valore conseguente e, quindi, della diversa sistemazione del bene, non integrano, allo stato, un danno da mancata entrata per inattualità del pregiudizio, in quanto il relativo diritto non risulta prescritto, potendo ancora l’Ater di Venezia rivendicare nelle sedi a ciò previste ogni tutela, come in effetti operato. In breve, anche in tale ipotesi ciò che attualizza il danno, rendendo effettivo l’interesse dell’Attore pubblico ad agire in giudizio a 76 tutela delle ragioni dell’erario, non è la scadenza di un termine (in specie di quello entro cui versare il giusto canone) ma la definitiva inesigibilità del diritto di credito alle maggiori somme pretese a titolo di locazione o di indennità di occupazione (in tale ultima evenienza, Ater non ha mai registrato le somme mensili rimesse da Fiadel quale canone locativo). Soggiunge, il Collegio, che nell’ipotesi di causa la mancanza della prova della effettiva esistenza di un interessato, disposto a pagare l’importo differenziale determinato dalla Procura istante, non è ostativa alla corretta determinazione della stima, in quanto se è vero che le quotazioni O.M.I. dell’Agenzia delle Entrate “...non possono intendersi sostitutive della stima, ma soltanto di ausilio ad essa...” (come dichiarato dall’Amministrazione finanziaria nel proprio sito web), altrettanto vero è che la Corte di legittimità ha affermato più volte il principio secondo cui <<...l’onere di provare l’esistenza di ben determinate proposte di aspiranti locatari deve essere opportunamente adeguato alle circostanze del caso ed alla natura del soggetto locatore; sicché, nel caso che quest’ultimo sia una P.A., è inesigibile la dimostrazione da parte sua dell’esistenza di concrete proposte provenienti da aspiranti locatori (posto che l’esperimento della procedura pubblica per la locazione presuppone la libertà dell’immobile), mentre è sufficiente e necessaria la prova altrimenti data dell’ammontare del canone concretamente conseguibile sul mercato per immobili delle medesime caratteristiche>> (cfr. Corte di Cass., 3^ Sez. civ., 08 luglio 2010, n.16143, id. 20 maggio 2013, n. 77 12248). In ogni caso, come dianzi esposto, l’azione avviata con riguardo a tale posta di danno deve essere, ex officio, rilevata e respinta per insussistenza dell’elemento oggettivo della responsabilità, ossia del danno, atteso che il relativo diritto di credito non era divenuto inesigibile (cfr. Corte dei conti, SS.RR. 22 aprile 1992, n. 764), con esonero, così, del Collegio dal dover verificare gli altri elementi della responsabilità ed assoluzione dei convenuti dagli addebiti loro imputati. [3] Un tanto disposto, il Collegio ritiene che anche per la posta relativa ai lavori edili e alla sostituzione dei serramenti di € 20.946,81, unica voce di cui è possibile predicare l’attualità e la concretezza, non ricorrano i requisiti di legge per imputarne il relativo risarcimento agli odierni convenuti, in specie all’Ing. Marcon, al quale va attribuita la paternità sia del decreto n. 429, del 06 settembre 2010, con cui ha deciso di avviare, al di fuori delle previste procedure di evidenza pubblica, la cui infrazione non è di per sé fonte di danno, la locazione ad uso diverso da quello abitativo, previa esecuzione di lavori di ristrutturazione, affidati alla ditta Catto, in precedenza individuata con gara pubblica per gli interventi di manutenzione (come di seguito, sia ordinari che straordinari), sia del decreto n. 614, del 29 novembre 2010, che decideva l’affidamento diretto, conformemente a quanto assentito dalla disciplina interna (art. 8 del Regolamento per l’esecuzione dei lavori in economato, approvato con Deliberazione del C. di A. di Ater n. 233, del 30 agosto 2004, esecutivo a seguito del 78 provvedimento del 1° ottobre seguente della Giunta Regionale Veneto) ma anche dalla disciplina generale sugli appalti pubblici (art. 125, comma 8, ult. parte, del d.lgs n. 163, del 12 aprile 2006), dei lavori per sostituzione dei serramenti, interventi sulla cui necessità concordavano vuoi l’Ing. Domenico Contarin, nella qualità di Dirigente dell’Area Tecnica, con competenze per l’esecuzione dei lavori, e di Responsabile Unico del Procedimento (R.U.P.), vuoi l’Arch. Stefania Spiazzi, responsabile del Servizio Manutenzione dell’Area Tecnica, che in sede di sopralluogo, eseguito unitamente al Direttore dei Lavori, geometra Fogarin, in specie non evocato, valutava la necessità di intervenire sui serramenti a tutela della integrità dei terzi, giacché si trattava di vetrate prive dei requisiti di sicurezza previsti dalla normativa a tutela dell’integrità pubblica, in specie, si faceva riferimento a “...vetrine di ampia metratura con affaccio sulla pubblica via, che, pertanto, devono avere caratteristiche antisfondamento”. Onde, una eventuale responsabilità di questi ultimi, ma anche del Rag. Zane, che, oltre ad avere determinato il “canone locativo”, ha apposto il visto di regolarità tecnica sul primo Decreto n. 429, del 06 settembre 2010, è da correlare non tanto all’attestazione, mediante sottoscrizione, della regolarità tecnica dei decreti in questione, bensì al concreto comportamento causalmente rilevante tenuto nella vicenda. E ciò, in quanto, non vi è nella normativa di Ater, come rilevato dalle parti convenute e non smentito con valide e convincenti argomentazioni dal PM, una norma simile all’art. 49 del Tuel (d.lgs n. 267/2000), che dispone che su ogni proposta di deliberazione, 79 sottoposta alla giunta ed al consiglio, “deve essere richiesto il parere in ordine alla sola regolarità tecnica del responsabile del servizio interessato”, teso a certificare la regolarità dell’atto sotto il profilo del corretto svolgimento dell’istruttoria e dell’idoneità dello stesso a raggiungere gli obiettivi dell’azione amministrativa dell’Ente. In breve, il funzionario comunale che rende tali pareri non è estraneo, ma pienamente partecipe al procedimento di formazione della deliberazione considerata, discendendone, per ciò, una sua piena responsabilità amministrativa proprio perché il parere di regolarità tecnica attiene a tutti gli aspetti dell’azione: merito, efficacia ed efficienza. Ciò chiarito, rileva il Collegio che sia la non corretta applicazione della regola di evidenza pubblica sull’avviso di locazione, che ha portato il Direttore ad avviare una procedura di assegnazione diretta, in mancanza comunque di altre idonee offerte, sia l’eventuale irregolare ordinazione di una spesa non configurano di per sé un danno illegittimo alle finanze dell’Ater di Venezia, dovendosi a tal fine dimostrare l’inutilità della procedura ovvero della spesa, la diseconomicità della stessa, nonché la sua estraneità ai fini istituzionali dell’Ente o quanto meno l’insussistenza di un pubblico interesse alla erogazione disposta. In specie, se è vero che con delibera n. 83, del 31 maggio 2010, il Consiglio di Amministrazione di Ater Venezia decideva di “...provvedere alla vendita del patrimonio ad uso non abitativo sfitto in situazioni di condominio non più ritenuto rilevante sotto l’aspetto 80 patrimoniale, né meritevole per un riutilizzo locativo sotto l’aspetto economico indicato nell’elenco predisposto dal Servizio Attività Immobiliari”, incaricando il Direttore di “...ogni altro adempimento necessario all’attuazione del presente provvedimento...”, delibera che recava in allegato la lista degli immobili, tra i quali, in testa, il locale oggetto di causa, altrettanto vero è che il Direttore, forte dei poteri di gestione finanziaria, tecnica e amministrativa, derivanti allo stesso dall’art. 11 della legge regionale n. 10 del 1995, e dall’art. 14, dello Statuto Aziendale, che conferisce al medesimo ogni attività gestionale ed organizzativa che non sia espressamente attribuita dalla legge istitutiva o dallo statuto alle competenze del Consiglio di Amministrazione o del Presidente, ha ritenuto opportuno dover intervenire sulla predetta deliberazione, sottraendo alla vendita, la cui diseconomicità della scelta era palesata dalle aste di vendita andate deserte (l’ultima delle quali conclusasi appena il 10 febbraio 2010), l’immobile per cui è causa, scelta da ritenere, per ciò, non irragionevole e non in contrasto con i fini istituzionali perseguiti dall’Azienda (tra i quali quello di dismettere gli immobili di proprietà con un realizzo che quanto meno si avvicini al prezzo di mercato e senza, quindi, porre in essere svendite gravemente disutili e fonti di danno). Peraltro, con comunicazione dell’11 febbraio 2011, il Direttore Marcon informava, gli Uffici interni di Ater e per conoscenza il Presidente, della sospensione della delibera del C. di A. n. 83, del 31 maggio 2010, con riferimento alla alienazione degli immobili sfitti e affittati ad 81 uso diverso da abitazione situati nel centro storico di Venezia, senza che, in atti, risulti una presa di posizione del C. di A. e del Presidente dell’Ente atte a smentire l’operato del Direttore, ratificandone così il concreto agire. In specie, giova ricordare, l’immobile in questione è stato oggetto sia di aste di vendita che di avvisi di locazione, andate deserte e con prezzo progressivamente decrescente, le prime, con risultati diseconomici rispetto al canone a base d’asta, le seconde. Infatti, con delibera n. 151, del 09 luglio 2007, Ater si è determinato alla vendita, mediante asta pubblica con il metodo delle offerte segrete, del patrimonio non abitativo sfitto, comprendente anche l’immobile sito in Venezia, Calle del Ferau n. 917, in ogni caso non inserito tra gli immobili di pregio di cui alla Delibera di G.R. n. 1495, del 20 settembre 2011, recante “Elenco degli immobili di pregio di proprietà dell’Ater di Venezia da avviare alla vendita”, senza distinzione alcuna tra immobili ad uso abitativo e non, come vorrebbe, invece, far intendere il PM,, adibito sino al 30 aprile 2006 ad uso negozio - tipo macelleria, sfitto dal 1° maggio 2006, vendita da eseguire sulla base delle schede di individuazione del prezzo di mercato, come compilate dal Servizio Attività Immobiliari, tenuto conto del parere di congruità di competenza dell’allora Agenzia del Territorio (ora Agenzia delle Entrate). Orbene, l’Agenzia del Territorio, con nota n. 8058, del 03 agosto 2007, forniva il parere di congruità tecnico – economica per l’unità immobiliare in questione, avente una superficie di 46 mq, calcolato, 82 atteso che lo stesso <<...si trova in mediocri condizioni manutentive...>> e che <<...per un suo ripristino funzionale necessita di ristrutturazione con rifacimento di tutti gli impianti tecnologici>>, nella misura di € 179.400,00, e che, per ciò, consentiva di ritenere congruo il valore assegnato da Ater in € 175.000,00. Sulla base di tale valore è avviato il primo avviso d’asta in data 19 febbraio 2008, che si concludeva con certificazione, in data 27 marzo 2008, che “nessuna offerta” era stata presentata. Un nuovo avviso di asta pubblica, per la vendita di 39 unità immobiliari, compresa quella di causa, è stato pubblicato, a seguito della Deliberazione n. 32, del 23 febbraio 2009, del C. di A., il 10 marzo 2009, con un prezzo a base di asta, per l’immobile “de quo”, pari a € 161.000,00, che scontava una percentuale di riduzione del valore pari all’8%, ossia di € 14.000,00, conclusasi anche questa senza offerte. Da ultimo, con deliberazione n. 195, del 18 dicembre 2009, si disponeva un ulteriore avviso, pubblicato il 14 gennaio 2010, per la vendita di 35 immobili, compreso quello odierno, per l’occasione recante il valore di € 145.000,00 a base d’asta, con una riduzione del 17,14% rispetto al prezzo originario, procedura dichiarata, in data 09 febbraio 2010, deserta per assenza di offerte. Anche l’avviso di locazione dell’anno 2006, di cui al Decreto n. 475, del 22 maggio 2006, del Direttore, non aveva sortito migliori effetti per Ater, atteso che l’immobile in questione, condotto in locazione sino al 83 marzo 2006, lasciato libero dal precedente locatario per ragioni economiche e per il mancato rendimento della zona in termini commerciali, era collocato sul mercato locativo a un prezzo base di € 475,00, oltre IVA, somma nettamente inferiore ad € 550,00 in precedenza versati dal locatario, procedura di evidenza pubblica che non giungeva a buon fine giacché erano presentate offerte di gran lunga inferiori, ritenute dall’Azienda economicamente non percorribili. Ora, se questa era la situazione, non può ravvisarsi alcuna scelta irrazionale ed antieconomica, nell’operato di Ater, e del suo Direttore, nel momento in cui dispone l’esecuzione di lavori di manutenzione, anche straordinari (e pur se una parte delle opere non erano previste in un piano annuale di manutenzione straordinaria, come dichiarato al R.U.P., Ing. Contarin, e al D.L., geom. Fogarin, dall’Arch. Spiazzi, perché imposte dall’urgenza), necessari per recuperare l’immobile in questione alla vendita, da svolgere anche mediante trattativa privata (come più volte sollecitata all’esito delle aste andate deserte nelle Delibere in atti del Consiglio di Amministrazione), ovvero a una locazione diversa da quella di negozio, atteso che il bene in denuncia non risultava formalmente compreso nell’elenco di quelli di pregio che la Regione Veneto indicava come quelli da vendere (cfr. la D.G.R. n. 1495, del 20 settembre 2011). In sostanza, se è pur vero che l’Azienda aveva necessità di reperire risorse economiche per far fronte alle esigenze di manutenzione straordinaria del vetusto patrimonio abitativo, purtuttavia ciò non poteva avvenire, come suggerito dal PM, spogliandosi di un bene a un 84 prezzo vile, quale poteva realizzarsi avviando una quarta asta pubblica di vendita, che avrebbe visto il valore a base di asta, ridursi per lo meno di un ulteriore 15%, né tampoco può sostenersi, come fa l’Attore medesimo, che, in assenza di offerte di acquisto e locative, la scelta di eseguire i lavori, a parere dei Giudicanti non integranti una spesa spropositata, era da ritenere contraria ai principi di economicità, efficacia, efficienza dell’agire dell’Azienda. Di tutta ragione che l’opzione di tenere sfitto l’immobile de quo e senza alcun intervento, o nella misura e per le opere indicate dall’Attore (che in specie si surrogava all’Amministrazione nelle scelte operate ed operabili), non avrebbe di certo reso appetibile il bene per il mercato. Dei lavori, come emergente dalla relazione del 13 giugno 2013 della Guardia di Finanza, era incaricata, dal Direttore Ater, nel Decreto n. 429, del 06 settembre 2010, l’Impresa Edile Catto s.n.c., di Catto Giampaolo e Catto Omar, in forza del contratto di appalto stipulato da Ater il 19 febbraio 2009, avente ad oggetto “Manutenzione nel patrimonio in gestione relativo a n. 999 alloggi e n. 29 negozi da effettuarsi nel periodo 1° gennaio 2009 – 31 dicembre 2011 in Zona 8 – mandamento di Venezia Cannaregio – Castello, Sestieri: Cannaregio, Castello e Sant’Elena”. In breve, a mente dell’art.2, rubricato “Oggetto dell’appalto” “La Stazione appaltante...affida all’appaltatore...l’appalto relativo ai lavori pubblici di manutenzione del patrimonio in gestione, relativo ai 999 alloggi e a n. 29 negozi...”, senza operare alcuna distinzione tra interventi di ordinaria e 85 straordinaria manutenzione, prevedendo quale corrispettivo l’importo di € 01.195.810,99, oltre I.V.A. nella misura di legge (art.3), importo che resta fisso e invariabile, mentre è ammessa la revisione prezzi nelle ipotesi previste dai commi da 4 a 8 dell’art. 133, del d.lgs n. 163/2006 (art. 4), ossia nelle ipotesi in cui il prezzo di singoli materiali subisca variazioni in aumento o in diminuzione per effetto di circostanze eccezionali. Inoltre, l’art.11 –bis, delle norme che regolano il suddetto rapporto, ha previsto che “la stazione appaltante può autorizzare l’Appaltatore ad effettuare subappalti nel rispetto delle disposizioni di legge in materia e in particolare dell’art.118 del d. lgs n. 163/2006, e nei limiti indicati dall’Appaltatore stesso nell’offerta presentata in sede di gara per l’affidamento dei lavori di cui al presente contratto”. In ragione di tale previsione, in data 18 marzo 2009 l’Ater aveva autorizzato la Catto s.n.c. a subappaltare lavori per specifiche categorie e per valori specifici alla Cooperativa Meolese di Meolo (VE), che in data 02 agosto 2010 inviava un preventivo inerente i lavori da essa ritenuti necessari per la ristrutturazione dell’immobile de quo, pari a € 57.704,70, IVA al 20% esclusa. I predetti lavori, eseguiti da ottobre 2010 a febbraio 2011, erano oggetto della nota spese per € 49.686,05, IVA al 20% esclusa, presentata dalla Ditta Catto s.n.c. all’Ater e contenente prezzi nuovi (“NP”) relativi ad alcune voci: la demolizione della cella frigorifera e l’installazione di un impianto di climatizzazione con pompa di calore; quanto alla sostituzione dei serramenti, eseguita nel novembre 2010 da ditta diversa da quella 86 aggiudicataria dell’appalto (ditta Catto) e da quella intervenuta in subappalto (Cooperativa Meolese), si è proceduto, invece, con affidamento diretto alla ditta “Agostinetto Serramenti” (ditta specializzata), attesa l’urgenza di sostituire vetrine fatiscenti e pericolanti. Orbene, il direttore dei lavori, geometra Fogarin, non evocato in giudizio dalla Procura, come emergente dalla relazione della G.di F. del 13 giugno 2013, con dichiarazione a contenuto tecnico chiariva, quanto all’impianto di riscaldamento, opera assertivamente considerata non necessaria dal Requirente e che nel preventivo della Cooperativa Meolese recava un costo di € 05.804,98, “di aver ritenuto più opportuno optare per l’installazione di tale tipo di impianto in luogo di un intervento sul preesistente impianto di riscaldamento, ritenuto più oneroso sia dal punto di vista del costo che dei tempi di lavoro”. Inoltre, nel corso dei sopralluoghi effettuati presso l’immobile (ottobre 2010) dal direttore dei lavori, geometra Fogarin, e dall’Arch. Stefania Spiazzi, Responsabile del Servizio Manutenzione di Ater, emergeva la necessità di interventi sulle vetrate “ad elle” che “...erano pericolose ed andavano messe in sicurezza con urgenza”. Atteso quanto segnalato, da chi svolgeva le funzioni di direttore dei lavori, ma anche dal Responsabile del Servizio Manutenzione, trattandosi di vetrate non a norma che potevano rovinare sui terzi in transito sulla pubblica via, con Decreto n. 614, del 29 novembre 2010, quest’ultimo intervento, non più compreso nei lavori edili in precedenza affidati alla ditta Catto, è stato affidato con procedura 87 diretta, nei limiti di spesa previsti dall’art. 8 del Regolamento per l’Esecuzione dei Lavori in Economia. Infatti, tale disciplina prevede che “...in caso di urgenza il dirigente di Area può affidare ad imprese di fiducia, mediante trattativa diretta, l’esecuzione dei lavori con un limite di spesa di € 20.000,00 per ciascun intervento”. Nel decreto del Direttore Marcon, figuravano sia i motivi di urgenza, sia le cause che l’hanno provocata sia i lavori necessari per rimuovere tali motivi, atteso che “...le vetrine dei locali sono ormai vetuste, non garantiscono più le chiusure necessarie per contenere il costo del riscaldamento durante il periodo invernale e presentano dei pericolosi cedimenti delle strutture”. In ragione di tanto, si procedeva all’affidamento diretto, per € 14.200,00, oltre IVA, alla ditta “Agostinetto Serramenti”, che come dichiarato alla Guardia di Finanza dal direttore dei lavori, geometra Fogarin, era stata “già utilizzata per interventi simili, nei quali si era verificata la necessità di realizzare serramenti di ampia dimensione con l’utilizzo di profili antisfondamento”. La conferma di quanto precede si aveva, infatti, in sede di audizione del Direttore dei Lavori, geometra Evandro Fogarin, da parte della Guardia di Finanza in data 10 giugno 2013, nel corso della quale precisava: “la necessità, tipologia e il costo dell’intervento” erano valutati dal Servizio manutenzione, che in specie non ha utilizzato per le valutazioni di competenza il preventivo della Cooperativa Meolese. Per ciò, a seguito dei sopralluoghi, l’intervento era di massima formalizzato nel buono d’ordine n. 2010/1975 recante i seguenti dati: 88 “Budget:2011 – 520703.20.08. Manutenzione ordinaria Ater Venezia Cannaregio Castello. Lavori da eseguire: Ristrutturazione negozio con rifacimento bagno vetusto, demolizione cella frigorifera con trasformazione in stanza f. ep.o. di cartongesso per rivestimento delle pareti e delle controsoffittature dei locali, lucidature pavimenti come da disposizioni della D.L. nel sopralluogo odierno”. A tali parziali nuovi lavori erano da aggiungere quelli afferenti l’impianto di climatizzazione a pompa di calore e di sostituzione dei serramenti. Un tanto premesso, ritiene il Collegio di non ravvisare alcuna anomalia in ordine alle modalità di affidamento dei lavori, giacché nel primo caso i lavori di ordinaria e straordinaria manutenzione, con presenza di prezzi nuovi per la demolizione della cella frigorifera e l’installazione dell’impianto di riscaldamento con pompa di calore, comunque ammessi, dal Servizio Manutenzione, previa predisposizione dell’atto di sottomissione sottoscritto in data 04 febbraio 2013, dal D.L., geometra Fogarin, e dall’impresa, autorizzato dal R.U.P. (ing. Contarin), che verbalizza il concordamento di tali nuovi prezzi, sono stati affidati alla ditta Catto, individuata con procedura di evidenza pubblica, quale “impresa aggiudicataria dell’appalto di manutenzione ordinaria – straordinaria del mandamento Venezia centro storico Cannaregio Castello”, con autorizzazione del subappalto alla Cooperativa Meolese in data 18 marzo 2009, da parte di Ater Venezia, per diverse specifiche di lavori: in specie, i lavori edili rientravano nell’appalto già aggiudicato alla ditta 89 Catto, con valorizzazione, in ipotesi, dei prezzi nuovi per le opere aggiuntive, così come reso evidente dall’applicato ribasso d’asta da esso appalto previsto. Quanto alla sostituzione dei serramenti, con applicazione di vetrate antisfondamento a tutela dell’integrità dei terzi, l’affidamento avveniva con trattativa diretta a ditta di fiducia, già utilizzata per simili interventi, nei limiti di spesa previsti dall’art. 8, del Regolamento per l’Esecuzione dei Lavori in Economia, e dall’art. 125 del d.lgs 12 aprile 2006, n. 163, prevedente al comma 8, ult. parte, che “Per i lavori di importo inferiore a quarantamila euro è consentito l’affidamento diretto da parte del responsabile del procedimento”. Per ciò, in specie, non è dato riscontrare alcuna infrazione alle regole di evidenza pubblica in ordine alle modalità e ai limiti di affidamento dei lavori di ristrutturazione e di sostituzione dei serramenti, con applicazione di vetrate antisfondamento. Soggiunge, il Collegio, che i lavori in questione erano anche indispensabili per potere utilmente collocare il bene sul mercato per la vendita ovvero per la locazione, anche con diversa destinazione urbanistica (impregiudicata ogni questione afferente la preventiva richiesta di D.I.A. o di Permesso per costruire). Orbene, la Procura Erariale rilevava, in specie, che non tutte le opere erano strettamente necessarie, salvo poi affermare che: “(...) è molto difficile verificare quali lavori si rendevano assolutamente necessari e quali non lo erano...”, questione risolta dal medesimo Attore con considerazioni che penetravano l’opportunità e la convenienza 90 dell’azione di spesa in denuncia. Detto altrimenti, il P.M. pur non sostenendo l’impossibilità di provare quali opere fossero necessarie e quali non lo fossero, espressione che, in termini sostanziali, verrebbe ad incidere sull’an del danno escludendone la sua ontologica sussistenza, ma solo che era molto difficile provare tale operazione, ravvisava di poter perseguire tale intento sostituendosi all’Azienda e, quindi, ai responsabili di Area e dei Servizi, nelle valutazioni di opportunità e convenienza dagli stessi eseguite, quali quelle di realizzare l’impianto bagno in una dimensione in luogo di un’altra, ossia “non era necessario il rifacimento totale del bagno”, non era strettamente necessario l’impianto di riscaldamento autonomo, non era necessaria “la fornitura e posa di serramenti in alluminio con sovrapprezzo antisfondamento”, risultando bastevole applicare delle pellicole protettive alle vetrate (il tutto a pagg. 12 e segg. dell’atto introduttivo), con il risultato di non fornire la prova dell’an del danno da spese non necessarie e spropositate, se non travalicando la riserva di amministrazione, che ravvisa, il Collegio, non essere consentito alla Procura Regionale. In sostanza, l’asserito danno, da ristrutturazione ritenuta non interamente necessaria, deve essere provato (e non lo è stato) dall’Attore in termini di “an”, secondo le regole ordinarie, atteso che <<...l’art. 1226 c.c. conferisce al Giudice l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il medesimo in via equitativa, a condizione che sia provata l’esistenza di danni risarcibili e che, quindi, risulti oggettivamente impossibile o particolarmente difficile, per la parte 91 interessata, provarne il suo preciso ammontare>> (cfr. Corte di Cass., 2^ Sez. civ., 15 ottobre 2013, n. 23346). Alla stessa stregua alcun ausilio reca alla fattispecie di causa l’esistenza di un preventivo di spesa risalente al 12 dicembre 2006, per € 17.612,61 (importo che, in versione verosimilmente attualizzata, il Requirente ravvisava adeguato ma al minore intervento), atteso che la cura del pubblico interesse, al fine di operare le migliori scelte gestionali e individuare i migliori strumenti da utilizzare per perseguire i fini istituzionali, deve essere attualizzata al momento in cui sono stati decisi i lavori, settembre e novembre 2010, in una con la difficoltà di vendere o locare il bene de quo con l’originaria destinazione urbanistica. In breve, a fine 2006 si era ipotizzato un intervento di minore rilevanza poiché si teneva ferma la destinazione commerciale dell’immobile, ipotesi non più ritenuta percorribile nel 2010 dal Direttore Marcon, e neppure smentita dal Consiglio di Amministrazione di Ater, per i risultati negativi delle aste di vendita recentemente svolte. Pertanto, l’Ente, e per esso i Responsabili di Area e dei Servizi di interesse, ritenevano che la ristrutturazione, con successivo mutamento della destinazione d’uso, avrebbe potuto rendere più appetibile il bene sul mercato della vendita e della locazione. A tal riguardo, i lavori eseguiti andavano ad incidere su un immobile “...in mediocri condizioni manutentive” che “...per il ripristino funzionale necessita di ristrutturazione con rifacimento di tutti gli impianti tecnologici” (così parere dell’Agenzia del Territorio già al 03 agosto 92 2007), compreso l’impianto di riscaldamento e la sostituzione delle vetrate, poiché certificate, in sede di sopralluogo, come vetrate non a norma e pericolose per l’incolumità pubblica. In sostanza, la spesa sostenuta per i lavori edili, ridotta in virtù del ribasso d’asta, obbligatorio nei rapporti tra la ditta Catto e l’Azienda Ater di Venezia, a € 31.393,96, oltre IVA, in luogo di € 57.704,70, da preventivo della Coperativa Meolese, e di € 49.686,05, oltre IVA, come da nota spese della ditta Catto, e la spesa sostenuta per i serramenti, pari a € 14.210,50, oltre IVA, non ravvisa il Collegio possano ritenersi sproporzionate se raffrontate ai costi che gli interventi di manutenzione hanno, di norma, nella città di Venezia. Pertanto, l’intervento affrontato era da ritenere razionale e proporzionato allo scopo perseguito in concreto. Inoltre, lo stesso non può dirsi contrario ai criteri di economicità ed efficacia, in quanto contraddistinto da un uso accorto delle risorse, per essere stata la spesa di maggior rilevanza inserita all’interno dell’appalto in essere con la ditta Catto con assoggettamento al ribasso d’asta, che ha interessato anche le somme previste in preventivo in misura più elevata per l’impianto di riscaldamento, per il rifacimento del bagno e la rimozione della cella frigorifera. Di tal ché non è dato, al Collegio giudicante, ravvisare un agire di Ater, e per esso degli odierni convenuti, contrario alle regole di buona amministrazione, atteso il fine specifico che si intendeva raggiungere e la spesa non spropositata per realizzarlo, id est recuperare il bene al mercato della vendita o della locazione, quindi renderlo appetibile 93 sotto tali profili. Il concreto comportamento, serbato da chi ha agito, è ritenuto dal Collegio tanto logico quanto congruo e proporzionato, espressioni della coerenza della scelta di eseguire i lavori rispetto al fine di pubblico interesse imposto di provvedere ad allocare utilmente un immobile che non solo non si era riusciti da oltre quattro anni a locare, ma che non presentava, rebus sic stantibus, utili prospettive di alienazione a prezzo di mercato. Di tal ché, le condotte in denuncia non si ravvisa possano integrare neanche la correlata colpa grave, risultando assenti in esse macroscopiche divergenze dal modello legale – ordinamentale. A tanto consegue il proscioglimento dei convenuti dagli addebiti loro contestati. In ragione dell’assoluzione nel merito, attesa la natura di parte solo in senso formale della Procura Regionale della Corte dei conti, che promuove e partecipa ai giudizi di responsabilità amministrativa dei pubblici amministratori e dipendenti quale portatore non dell’interesse particolare dell’Amministrazione, ma di quello generale dell’Ordinamento giuridico (così Corte di Cassazione SS.UU. civili, 02 marzo 1982, n.1282, 02 ottobre 1998, n.9780, 02 aprile 2003, n.5105, 15 gennaio 2010, n.519/10), le spese processuali gravano (ex art. 91 c.p.c.) sull’A.T.E.R. di Venezia, nel cui interesse, comunque, ha agito in giudizio il Procuratore contabile, quale suo rappresentante processuale ex lege, giacché esso è il soggetto che si assumeva leso e a cui vantaggio è stato chiesto di devolvere gli importi da risarcire nel caso di mancato proscioglimento dei convenuti. In specie, il compenso dell’avvocato, rapportato all’importanza 94 dell’opera prestata, e il rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15% sul totale della prestazione, deve avvenire secondo i parametri di cui al recente D.M. n. 55, del 10 marzo 2014 - in Gazzetta Ufficiale n. 77, del 2 aprile 2014 - (artt. 2 e 4), recante la specifica tabella n. 11 per le spese inerenti i giudizi dinanzi alla Corte dei conti, vigente dal 3 aprile seguente e applicabile alle liquidazioni successive alla sua entrata in vigore. Quanto alla determinazione del valore della controversia, l’art.5, comma 3, dispone che “Nelle cause davanti agli organi di giustizia...nella liquidazione a carico del soccombente si ha riguardo all’entità economica dell’interesse sostanziale che riceve tutela attraverso la decisione...”: in specie, l’entità economica dell’interesse sostanziale ricevente tutela dall’attivazione del giudizio è costituita, per i convenuti, con adattamento della predetta norma al giudizio contabile, in cui è presente il PM richiedente per conto dell’Amministrazione importi a titolo di danno, dal quantum che lo stesso pretendeva ab origine dai medesimi, giacché ogni singola attività difensiva era da parametrare ad esso. Per ciò, il Collegio, considerato che le spese di lite devono liquidarsi in favore di tutti i convenuti, attese le fasi d’interesse per il giudizio contabile (fase di studio, introduttiva, istruttoria e di trattazione, nonché decisionale), quanto previsto dalla tabella 11 allegata al citato D.M. n. 55/2014, considerati gli scaglioni di riferimento con riguardo alle posizioni dell’Ing. Marcon, dell’Ing. Contarin e del Rag. Zane, ai quali il PM richiedeva il 30% cadauno di € 34.956,81 (danno complessivo), ossia € 10.487,04, e all’Arch. Spiazzi il restante 10%, ossia € 03.495,68, 95 importi tendenti verso la parte più bassa della forbice di valore e, quindi, in applicazione dell’art. 4, comma 1, prevedente che i valori medi corrispondenti allo scaglione possono essere aumentati, di regola, fino all’80 per cento, o diminuiti fino al 50%, per la fase istruttoria sino al 70 per cento, liquida in favore dei difensori di 1) Marcon Aldo Luciano, l’importo complessivo, a titolo di compenso e per spese forfetarie, di € 02.206,28 (di cui € 01.918,50, per compenso, ed € 287,78, per spese nella misura del 15% dell’importo della prestazione), nell’interesse del patrono di 2) Giampaolo Zane, l’importo di € 02.206,28 (di cui € 01.918,50, per compenso, ed € 287,78, per spese nella misura del 15% dell’importo della prestazione), in favore del difensore di 3) Domenico Contarin, l’importo complessivo di € 02.206,28 (di cui € 01.918,50, per compenso, ed € 287,78, per spese nella misura del 15% dell’importo della prestazione), e in favore dei patroni di 4) Stefania Spiazzi, l’importo complessivo di € 01.311,58 (di cui € 01.140,50, per compenso, ed € 171,08, per spese), somme tutte da maggiorare di I.V.A., qualora dovuta, e del contributo integrativo a titolo di Cassa Previdenza Avvocati. P.Q.M. La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale regionale per il Veneto, disattesa ogni contraria istanza, deduzione od eccezione, definitivamente pronunciando, previo rigetto dell’eccezione di carenza di giurisdizione, proscioglie, nel merito, gli odierni convenuti dagli addebiti loro ascritti. 96 Liquida in favore dei patroni degli stessi l’ammontare onnicomprensivo del compenso e delle spese forfetarie del 15%, da porre a carico dell’A.T.E.R. di Venezia, nelle seguenti misure: 1) € 02.206,28, per le difese di Marcon, 2) € 02.206,28, per il patrono di Contarin, 3) € 02.206,28, per il difensore di Zane, ed 4) € 01.311,58, per i patroni di Spiazzi, oltre I.V.A. (se dovuta) e C.P.A. Manda alla segreteria della Sezione per gli adempimenti di competenza. Così deciso in Venezia, all’esito della pubblica udienza, nelle camere di consiglio del 15 maggio e dell’11 giugno 2014. Il Giudice Estensore Il Presidente f.to(Dott. Giovanni Comite) f.to(Dott. Angelo Buscema) Depositata in Segreteria il 25/06/2014 Il Funzionario preposto f.to Nadia Tonolo
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