akhtamar numero 177 (1 apr).pub

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Anno 9, Numero 177
Akhtamar on line
WWW.COMUNITAARMENA.IT
1 aprile 14—XCIX M.Y.
Akhtamar on line
L’uccellino turco
non vola più
La decisione del premier Erdogan di bloccare Twitter (e poi You Tube) non è un fulmine a ciel
sereno. Da alcuni mesi giungono segnali inquietanti da uno stato che si sta ripiegando su se
stesso tra scandali, accuse di complotti, faide politiche interne e repressione delle piazze.
Fatti loro, potrebbe pensare qualcuno. E invece no. Perché contro questo colosso (d’argilla?)
stiamo lottando da anni e ci apprestiamo, alla vigilia del centenario, ad uno scontro (morale e
politico, si intende) dal quale non possiamo che (e dobbiamo!) uscire vincitori.
È questa Turchia con la quale tanti politici ed imprenditori fanno affari; è questa Turchia che
spende ogni anno milioni di dollari per alimentare e foraggiare la sua politica negazionista; è
questa Turchia che cerca disperatamente di contrastare ogni iniziativa armena, chiude le porte
ad ogni revisione storica, incapace di fare i conti sul suo passato. È questa Turchia che manda
alla Camera dei deputati in occasione sul convegno della Memoria dei Giusti un suo consigliere a farfugliare in un italiano incomprensibile qualche parola sulla “tolleranza turca”. È
questa Turchia che si allea in un diabolico patto di sangue con il guerrafondaio dittatore azero
Aliyev. È questa Turchia che chiude Twitter e i social network così come legifera sulla
“identità turca” nell’art. 301 del codice penale.
È questa Turchia che spara sui manifestanti di Gezi park e considera gli armeni un nemico da
abbattere. È questa Turchia che combatteremo fino all’ultimo.
E per fortuna sta nascendo, poco alla volta, anche un’altra Turchia...
Sommario
L’uccellino turco non vola più
1
L’odissea dell’artista Zaven Eivazian
2
La memoria del bene
3
Essere armeni in Crimea
4
La scomparsa di Ara Shiraz
6
Qui Armenia
6
La voce dell’Artsakh
7
Bollettino interno
di
iniziativa armena
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Akhtamar
L’ODISSEA DELL’ARTISTA ZAVEN EIVAZIAN
Lo incontri spesso insieme a sua moglie
Alvart alla messa della domenica nella chiesa Armena di Roma e, subito dopo la funzione, lo potrai vedere nel chiostro della chiesa
dove tutti si riuniscono per parlare e discutere insieme mentre si sorseggia il caffè.
E’ un vero piacere incontrarsi e parlare con
una persona così buona e modesta, ma non
capiresti assolutamente mai chi si trova di
fronte a te.
Infatti, come ogni cosa preziosa, si scopre a
mano a mano.
Zaven Eivazian è nato nel 1939 in Iran da
genitori di origine armena nel villaggio di
Hajiabad nella regione di Ciarmahal: allo
stesso tempo lui era anche un figlio della
natura che veniva espressa nella sua vita con
tutti i colori e le sfumature; amava giocare da
bambino e il fascino dei giochi sotto la luce
della luna rivive ancora oggi nella sua memoria insieme alle abitudini e ai costumi
armeni di quel povero ma beato e felice
lontano passato.
Le sue capacità di disegnare sono state
evidenti già dal primo anno di scuola quando
aveva sette anni. All’epoca la scuola del
villaggio era un grande salone dove i bambini di tutte le classi studiavano assieme. Quel
giorno gli alunni del sesto anno avevano
lezione di disegno e Zaven, pur essendo un
alunno del primo anno, cominciò a seguire la
lezione del maestro e si mise a disegnare
anche lui. Fece il disegno più bello e da quel
giorno tutti capirono che Zaven disegnava
meglio di tutta la classe e hanno cominciato
a chiamarlo “pittore”. Quelle lodi ebbero un
impulso decisivo sulla sua vita: da allora in
poi la sua passione preferita è diventata la
pittura.
Solo per tre anni ha studiato alla scuola
armena del suo villaggio: suo padre, per
mantenere la sua numerosa famiglia composta di otto figli, si trasferì con tutta la famiglia in una città del sud dell’Iran dove aveva
trovato lavoro presso una raffineria petrolifera e Zaven dovette continuare i suoi studi
presso la locale scuola persiana.
Gli anni passavano, Zaven cresceva e il suo
amore verso l’Arte diventava sempre più
grande. Non avendo alcun maestro che gli
insegnasse la pittura faceva tutto da solo:
disegnava tutto quello che a lui piaceva o
copiava i quadri e le cartoline. Sua madre si
preoccupava molto per la sua salute quando
lo vedeva trascorrere molte ore a disegnare
sotto il sole cocente, dimenticandosi della
sua persona, finché spesso gli usciva il sangue dal naso.
All’età di 15 anni cominciò a conoscere da
vicino l'arte della scultura realizzando delle
piccole statuine e quest’arte lo appassionò
così tanto che vi si innamorò per sempre con
tutta al sua anima: si apre una nuova prospettiva per lui e come un pazzo cerca i materiali
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più eterogenei per realizzare le sue sculture:
poteva essere il gesso utilizzato dai muratori,
il legno, la cera delle candele.
La passione per la scultura era così grande
che di notte si destava per lavorare e, per non
svegliare i familiari, con uno straccio avvolgeva la mazzetta per diminuirne il rumore e
poter lavorare silenziosamente.
Spesso a scuola gli chiedevano un disegno
o una statua e lui era sempre bravo e con arte
svolgeva quel compito per il quale sempre
veniva lodato e premiato.
Alla fine del liceo, all’età di 19 anni, dopo
l’esame finale superato con ottimo profitto,
Zaven parte per Tehran in cerca di lavoro. Lì
continua a lavorare nel campo dell’arte mettendo da parte il denaro che guadagnava per
poter realizzare il suo sogno più grande:
quello di venire in Italia per proseguire i suoi
studi artistici attraverso l’esempio delle opere dei Grandi Maestri.
Finalmente all’età di 25 anni riesce a realizzare il suo sogno e venire in Italia e si iscrive
all’Accademia delle Belle Arti di Roma sotto
la guida del Professor Venanzio Crocetti.
Fin dai primi giorni si nota tutto il suo
talento e la sua diligenza, e alla fine della
lezione, quando tutti gli altri studenti erano
usciti, lui rimaneva in aula e non aveva nessun’intenzione di uscire. Rimaneva da solo
insieme al lavoro amato fino alla sera tardi,
quando veniva cacciato via dalle donne delle
pulizie.
Durante il giorno, quando aveva delle ore
libere, svolgeva dei piccoli lavoretti presso la
mensa dell’Accademia e in vari altri luoghi
per potersi mantenere negli studi. Alla fine
dell’Accademia con lode riceve la proposta
di rimanere per insegnare la scultura.
Nell’anno 1973 vince il premio del Comune di Roma. Negli anni ’70 realizza il busto
del poeta Paruir Sevak, il più grande poeta
armeno dell’epoca utilizzando soltanto una
sua fotografia. Dalla foto che aveva in mano
riesce ad esprimere in questa scultura l’animo del poeta. Zaven aveva deciso di recarsi
in Armenia per donare personalmente la
scultura a quel grande poeta. Purtroppo dopo
due anni impiegati per presentare i
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di Karine Mkrtchyan
documenti necessari alla richiesta di visto,
questo gli viene negato per motivi burocratici.
Comunque, se la porta dell'Armenia si
chiude davanti a lui, al contrario si apre il
cancello dell'Italia. Dopo l'esperienza in
Accademia decide di aprire un suo studio, in
cui dedicarsi al restauro delle opere d'arte.
Incomincia a seguire i corsi di restauro, osserva il lavoro degli altri restauratori per
imparare i loro segreti, si specializza nelle
varie tecniche del restauro e diventa esperto
in tutte le arti.
Così lui diventa un abile maestro e gli vengono commissionati molti lavori come miglior restauratore italiano. Da lui vengono
restaurate le icone, i quadri, i capolavori di
marmo e le ceramiche, come quelle prodotte
dalla Real Fabbrica di Carlo III di Capodimonte, e le preziose antiche statuine dei
presepi napoletani.
Ora sono oltre 50 anni che Zaven vive con
sua moglie Alvart e suo figlio Veno in Italia,
divenuta la sua seconda patria. Le sue opere
sono conosciute in tutta Europa: Francia,
Germania, Gran Bretagna ecc.; come anche
in Armenia, Iran, Paesi Arabi, Stati Uniti.
Alla fine della nostra visita gli ho chiesto
quale fosse il segreto del suo successo: come
è stato possibile che, arrivando da un remoto
villaggio persiano, sia riuscito a conquistare
il mondo dell’arte. A questa domanda lui
risponde semplicemente, che anche se alle
volte gli bastava solamente uno sguardo per
capire la vera essenza del lavoro, quello
veramente fondamentale era l'amore e la
passione verso l'arte che aveva dentro di se.
Auguriamo un enorme successo, un grandissimo futuro e tanta salute a lui e alla sua
famiglia e concludiamo che “il guardare è
dato a tutti ma non tutti riescono a vedere”.
(TRADUZIONE DI RITA EBRAHIMI E FABIO TALLARINI)
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Akhtamar
100 MEMORIE
La seconda tappa del nostro percorso di
avvicinamento al centenario del 1915.
Periodicamente ospiteremo riflessioni sul
prossimo importantissimo anniversario del
2015 al quale dobbiamo arrivare tutti preparati e consapevoli della importanza storica e politica di tale ricorrenza.
on line
La memoria
del bene
(precedente sul numero 164)
Se, come ha detto Pietro Kuciukian in
occasione del Convegno alla Camera dei
Deputati lo scorso 3 marzo, citando Wiesel
e De saint Cheron, “il Giusto non è né un
eroe, né un martire, né un santo, ma una
persona comune capace di dire no, di riconciliare gli esseri viventi con i morti,
perché nel nostro secolo c’è stata una frattura tra i vivi e i morti”, allora la Memoria
del Bene diviene un valore fondamentale.
Per noi, per la nostra storia, per il nostro
futuro.
E non solo in funzione di didascalica analisi storica degli eventi, ma soprattutto come approccio ad un (tentativo di) superamento del trauma subito dalle vittime e
della conflittuale contrapposizione tra i
sopravvissuti ed i negazionisti.
I primi tendono a radicalizzare il loro odio
o arrivano a cancellare ogni sentimento in
un tentativo disperato di rimozione inconscia dell’orrore; i secondi, a prescindere da
ogni specifica valutazione politica, si barricano dietro la negazione, imposta dall’alto
o strumentale a logiche nazionaliste, per
rifiutare la memoria del genocidio.
Sicché lo scenario di scontro si manifesta
non quando le parti in causa condividono la
stessa percezione della tragedia (come ad
esempio è accaduto per tedeschi ed ebrei
dopo la Shoah), ma allorché i sopravvissuti
piuttosto che accettare la rassegnazione
erigono la loro Memoria a strumento di
rivendicazione morale dei propri diritti
storici.
A questa memoria, che oseremmo definire
didascalica giacché volta a consolidare la
base storica della stessa, (non si contrappone ma) si aggiunge una memoria del Bene
finalizzata a rompere il fronte compatto del
negazionismo. In buona sostanza se un
popolo, come ad esempio quello turco, non
ha (o non riesce ad avere) la consapevolezza della memoria storica, ecco che il seme
di una memoria del Bene può attecchire
nell’arido terreno del Male e far germogliare una nuova concezione etica della storia.
Il problema del negazionismo di stato è
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infatti quello che un apparato
(istituzionale, politico) costringe un intero
popolo a respingere ogni accusa genocidiaria in quanto offensiva per l’intera comunità nazionale; una sorta di difesa immunitaria contro il virus di una accusa
gravissima. In questa operazione di reiezione di massa si inserisce una cosciente
(o incosciente) rimozione della memoria
storica finalizzata all’eliminazione del
problema: si rispediscono al mittente le
accuse fondando il negazionismo sulla
assenza di fatti.
Per decenni la Turchia ha proceduto ad
una meticolosa cancellazione di ogni traccia armena (storica, culturale, architettonica): non esisteva alcuna “questione armena” in quanto non esisteva un “problema”
armeno. Per decenni ne è stata financo
negata la presenza in Anatolia, sono state
confutate le più comuni tesi storiche universalmente condivise, si è proceduto ad
una operazione di demolizione della Memoria che ha avuto gioco facile, nei primi
decenni dopo il Metz Yeghern, grazie anche alla inconscia rimozione dell’orrore da
parte delle prime generazioni di sopravvissuti.
Ma quanto la memoria del genocidio è
riaffiorata nelle nuove generazioni armene, come nebbia sollevatasi lentamente
dalla palude dell’oblio, ecco che la reazione turca ha avuto buon gioco nel trincerarsi dietro una difesa negazionista spinta ad
oltranza, una sorta di “Linea Maginot”,
oltre la quale ricacciare tutte le accuse
infamanti sul genocidio del 1915.
Una difesa negazionista, calata dall’alto,
inevitabilmente penetrata nelle coscienze
di un intero popolo almeno fino a quando
la rivoluzione internet non ha aperto alle
nuove generazioni turche le finestre su di
un mondo diverso da come se lo erano
immaginato.
La Memoria del Bene può dunque essere il
grimaldello per aprire il portone (blindato
dalla politica) di una difesa di ufficio di un
intero popolo.
Se l’accusa infamante di un crimine così
mostruoso come l’eliminazione di un milione e mezzo di armeni e la loro cacciata dalla
terra natale non è rivolta a tutti indistintamente, ma solo a coloro che vollero il Male,
allora la esaltazione del Bene diviene strumento di purificazione. Una sorta di processo catartico che fa affiorare la Giustizia e la
Bontà spingendo ad isolare i sentimenti negativi.
Le differenze tra buoni e cattivi all’interno
dello stesso popolo (i turchi, ma anche gli
huto o i cambogiani khmer tutti gli altri coinvolti negli orrori della storia) alimentano
quindi la divisione interna dei negazionisti,
creano dubbi nel loro fronte e, in ultima
analisi, riportano la questione da un piano
politico e nazionalista ad un discorso prettamente storico.
Contestualizzare il Male dell’orrore e al
tempo stesso svincolarlo dalle logiche nazionaliste.
La Memoria del Bene diviene quindi il
bene della memoria, nel senso che permette
ad un popolo sotto accusa di rifiutare una
accusa multi-generazionale “in blocco”,
circoscrivere il male ad un determinato contesto storico e politico, superare (attraverso
l’esaltazione del bene dei Giusti) il trauma
psicologico del genocidio.
Accanto, dunque, all’analisi degli eventi
non può mancare la ricerca di quei fattori
che consentano ad un popolo (nel nostro
caso i turchi) di superare il dramma del genocidio ed accettare con più serenità un futuro di riconciliazione; prima di tutto con se
stessi e con la propria storia.
Perché, come ebbe a dire uno scrittore
arabo, “è importante girare pagina, ma prima dobbiamo leggerla”.
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Akhtamar
on line
Essere armeni in Crimea
Le pagine dei quotidiani di tutto il mondo si occupano da settimane della crisi
ucraina ed in particolare della situazione
in Crimea che dall’11 marzo scorso si è
proclamata repubblica autonoma parte
integrante della Federazione Russa.
Il pronunciamento è avvenuto a seguito
di un voto referendario che ha sancito il
distacco dall’Ucraina suscitando sdegno e
contrarietà negli Stati Uniti e nell’Unione
Europea.
Non è nostra intenzione avventurarci in
disquisizioni sul diritto della penisola
affacciata tra il mar Nero ed il mar d’Azov
di staccarsi dall’Ucraina; è tuttavia pacifico che siamo sempre dalla parte dei popoli e difendiamo il loro diritto all’autodeterminazione come la vicenda dell’Artsakh
ben ci insegna. Se il popolo di Crimea
davvero vuole essere parte integrante della
Russia, allora ha il pieno diritto di esprimere il proprio pensiero al riguardo. D’altronde anche lo stesso presidente armeno
Sargsyan si è sbilanciato in tali termini.
Ma, a prescindere da ogni valutazione
politica sulla vicenda ucraina, vogliamo
cogliere lo spunto per una breve disamina
della presenza armena in Crimea.
Diciamo subito che le vicende storiche di
questa penisola di poco più di ventiseimila
chilometri quadrati (quasi quanto l’intera
Armenia) e circa due milioni di abitanti
lascerebbero ipotizzare una totale assenza
di armeni.
Dall’invasione alla fine dell’XI secolo
dei kipčaki (cumani), popolo turco altaico
proveniente dall’Asia centrale e spintosi
su tutto il territorio a nord del Caspio e del
mar Nero, la presenza di ceppi turchi in
Crimea fu sempre piuttosto evidente ed il
khanato turco mongolo dell’Orda d’oro
(fondato da Batu Khan nipote del famoso
Gengis e fiorito tra il XIII ed il XVI secolo) occupò stabilmente la Crimea.
Questa, grazie ai buoni rapporti di alleanza con l’impero ottomano, riuscì a mantenere un regime di indipendenza dalla
Russia (per lo meno fino al regno di Caterina II, seconda metà del 1700) anche
dopo che Ivan il Terribile, intorno al 1550,
riuscì ad assumere il pieno controllo su
tutti i khanati dell’Orda.
Secolo dopo secolo si venne consolidando una popolazione denominata “tatari (o
tartari) di Crimea”, formatasi con l’arrivo
delle diverse popolazioni turcofone dell’Asia centrale.
Oggi i tatari crimeani sono circa 260.000
ma quasi altrettanti vivono in Uzbekistan
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(150.000), Turchia (50.000), Romania e
Bulgaria.
In mezzo a tutti questi turchi, greci ed
armeni rimasero gli unici cristiani (dopo
che veneziani e genovesi avevano dovuto
abbandonare i loro possedimenti navali in
zona) fin tanto che nel 1774 non arrivarono i russi.
Come la storia ci insegna, la presenza
armena era ben antecedente all’arrivo dei
barbari da oriente…
Già nell’ottavo secolo è documentata
nella penisola crimeana sotto controllo
bizantino: gli armeni erano servitori dello
stato, commercianti, soldati. Le invasioni
dei selgiuchidi in Armenia tra l’undicesimo ed il tredicesimo secolo, spinsero molti armeni a rifugiarsi proprio in Crimea
(che pure come abbiamo visto non era
certo immune dalla scorribande turche), in
particolare a Caffa (Kaffa, l’attuale Feodosia) dove si dedicarono ad attività agricole
e commerciali riuscendo, proprio grazie a
queste, a conquistarsi rispetto anche da
parte delle popolazioni autoctone e dei
nuovi invasori mongoli. All’inizio del
quattordicesimo secolo gli armeni avevano
ben tre chiese a Caffa (due apostoliche ed
una cattolica) a testimonianza della loro
presenza. Che era talmente radicata ed
importante che la regione cominciò ad
essere chiamata “Armenia marittima” ed il
mar d’Azov addirittura come “lacus armeniacus”.
Dal XIV al XVII secolo gli armeni rappresentarono il secondo gruppo etnico
dopo i tatari ed arrivarono ad avere (nel
1330) oltre quaranta chiese in tutta la penisola. Proprio il ruolo della Chiesa fu
fondamentale, lì come altrove, per rafforzare l’identità nazionale e le comunità
locali che fiorirono anche nelle arti e nelle
lettere.
Ma quando nel 1475 calarono i turchi
ottomani anche in Crimea, gli armeni che
avevano abbandonato la loro terra natale
per fuggire da questi, furono ancora una
volta perseguitati e costretti alla fuga.
Molti furono uccisi, molti ridotti in schiavitù, molti partirono. Sedici chiese venne-
ro trasformate in moschee. Storia già purtroppo vista altre volte …
Nonostante queste vessazioni, una colonia ancora abbastanza numerosa rimase
insediata in Crimea a Kaffa, Karasubazar,
Balaklava, Gezlev, Perekop e Surkhat. Però
a metà Ottocento erano più di ventimila gli
armeni che si erano reinsediati fuori Crimea, nella provincia d’Azof, a Dnieper e
Samara.
L’arrivo dei russi portò nuovi flussi migratori di armeni nella penisola che arrivò a
contare circa quindicimila membri. Più o
meno introno a questa cifra rimase oscillante la consistenza della comunità armena
che all’epoca della RSS di Crimea vantava
due distretti. Alla vigilia della seconda
guerra mondiale moltissimi armeni (ma
anche bulgari e greci) furono deportati in
altre regioni dell’Urss perché le autorità
temevano che fossero vicini alle posizioni
tedesche.
Nel 1989 la comunità armena ha dato vita
all’organizzazione “Luys” (Luce) che gestisce l’attività sociale e culturale. Viene
diffusa una pubblicazione cartacea, due
volte al mese va in onda alla televisione
crimeana il programma in lingua “Barev” e
cinque volte alla settimana vi è uno spazio
radiofonico in armeno. Nel 1998 è stata
inaugurata la prima scuola secondaria armena. Ci sono chiese armene a Yalta (foto
sotto), Feodosia e Evpatoria.
L’attuale popolazione armena di Crimea
dovrebbe oscillare intorno alle ventimila
unità.
Il monastero della Santa Croce a Staryi Krim
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Akhtamar
ՍԵՆ ԱՐԵՎՇԱՏՅԱՆ
Դ
եպքերի բերումով ուսանողական տարիներին
կողք կողքի ենք նստել Սեն Արևշատյանի հետ:
Բայց արի ու տես, որ մոտիկից ծանոթ լինելը ոչ
թե
դյուրացնում,
այլ
ընդհակառակը՝
դժվարացնում է գործը: Սեն Արևշատյանի բնավորության վեհ գծերի, գիտական
մեծ վաստակի մասին այնպիսի զգուշությամբ պետք է խոսել, որ մազաչափ
անգամ չխաթարվի նրա նուրբ համեստությունը:
Նա համալսարան եկավ արդեն լրջախոհ, ունկնդրելու բարձր կուլտուրայով,
մտքերն արտահայտում էր հանդարտ ու վստահ, նախօրոք յուրաքանչյուր բառ
կշռադատած: Համարյա չէր մասնակցում ուսանողական խաղերին ու
կատակներին, բայց եթե խոսակցությունը կարող էր մտքին մի թել տալ, նա
դառնում էր համակ ուշադրություն: Նվիրումով ու անտրտունջ սովորում էր
հունարենը, գրաբարը, անգլերենը, վերծանելու գաղտնիքները: Մի ներքին
զգացումով իր բոլոր ուժերը կենտրոնացնում էր և նվիրում իրեն գիտելիքների
հարստացմանը, կարծես նախապես գիտեր, որ իրեն բախտ է վիճակվելու
պեղել մոռացության գետի տիղմը, որ նրա հատակից դուրս բերի, մաքրի,
բնական փայլով ներկայացնի սերունդներին մեր նախնիների մտավոր
գանձերը՝ դրանց համադրելով իր սեփականը:
Պատերազմի դաժան տարիներին նա դպրոցն ավարտել էր արծաթե մեդալով,
զրկանքներով լի էին նաև հետպատերազմյան տարիները: 1951 թվականին Սեն
Արևշատյանը Երևանի պետական համալսարանի պատմության ֆակուլտետն
ավարտում է գերազանցության դիպլոմով: Այնուհետև ստանալով գիտական
խորհրդի որոշումը մասնագիտացավ ՀՍՍՀ Գիտությունների Ակադեմիայի
ասպիրանտուրայում՝ հին և միջնադարյան փիլիսոփայության պատմության
բնագավառում: Ինչպես Դավիթ Անհաղթն է ասում՝ ողջախոհ մոլությամբ
անձնատուր լինել մարդկային զբաշմունքներից ամենանագեղեցիկին ու
պատվականին...
Դրանից հետո Սենին դժվար էր տեսնել՝ նա սուզվել էր գրքերի ու մտքերի
աշխարհը, ինչպես ջուրը տոչոր հողում: Եվ 1956 թվին նորից ի հայտ է գալիս
արդեն լուրջ ուսումնասիրությամբ՝ «Գրիգոր Տաթևացու փիլիսոփայական
հայացքները» թեմայով, հաջողությամբ պաշտպանելով թեկնածուական
դիսերտացիա:
Այդ տարիներին նա աշակերտում էր փիլիսոփայական գիտությունների
դոկտոր, պրոֆեսոր, հանրապետության Գիտությունների Ակադեմիայի
թղթակից անդամ
Վ. Չալոյանին և իր երախտագիտությունը սիրելի ուսուցչի
արտահայտում էր նրա գործը շարունակելով ու զարգացնելով:
հանդեպ
1954 թվականից մինչև 1959 թվականը Սեն Արևշատյանը աշխատել է
հանրապետության
Գիտությունների
Ակադեմիայի
փիլիսոփայության
սեկտորում, սկզբում կրտսեր, ապա՝ ավագ գիտաշխատող: 1958-1960
թվականներին համատեղության կարգով աշխատել է Գիտությունների
Ակադեմիայի
«Պատմա-բանասիրական
հանդեսի»
պատասխանատու
քարտուղար: Այդ տարիներին հրատարակվել են նրա գիտական հոդվածները:
Սեն Արևշատյանի համար լայն գիտական աշխատանքի ասպարեզ բացվեց
հատկապես 1959 թվականին, երբ նրան տեղափոխեցին ՀՍՍՀ Մինիստրների
Խորհրդին առընթեր նորաստեղծ հնագույն ձեռագրերի ինստիտուտ՝
Մատենադարան, որպես սկզբնաղբյուրների գիտական թարգմանության
բաժնի վարիչ, իսկ 1973 թվականից աշխատել է որպես բնագրերի
ուսումնասիրման և հրատարակման բաժնի վարիչ: Այստեղ է, որ Սեն
Արևշատյանը փիլիսոփայության պատմաբանի մասնագիտությունը հմտորեն
զուգակցեց
աղբյուրագետի,
տեքստաբանի
ու
թարգմանչի
մասնագիտություններին:
1971 թվականին Սեն Արևշատյանը փայլուն կերպով պաշտպանեց
դոկտորական դիսերտացիան՝ «Փիլիսոփայական գիտության ձևավորումը հին
Հայաստանում» թեմայով:
Սեն Արևշատյանը շուրջ հարյուր գիտական աշխատությունների, առանձին
գրքերով լույս ընծայված 25 մենագրությունների ու հրատարակումների
հեղինակ է, գիտության գծով ՀՍՍՀ պետական մրցանակի դափնեկիր,
հանրապետության Գիտությունների Ակադեմիայի թղթակից անդամ:
Հիրավի մեծ է նրա ավանդը հայագիտության նոր բնագավառի՝ հայ
փիլիսոփայական մտքի պատմության աղբյուրագիտական հիմքի ամրացման
գործում; մի բնագավառ, որը հիմնականում վերջին երեք տասնամյակների
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ընթհացքում նրա հրատարակումների ու թարգմանությունների շնորհիվ
իր արժանի տեղը գրավեց հանրապետության հասարակական
գիտությունների շարքում:
Հայաստանի փիլիսոփայական և բնագիտական մտքի ժառանգությունը,
որը մինչ այդ անհայտ էր, կամ սակավահայտ ու պահվում էր ձեռագիր
վիճակում, գրաբարից թարգմանվեց ժամանակակից հայոց լեզվով, ու
ռուսերեն միևնույն համարժեքությամբ դուրս բերվեց լայն ասպարեզ,
որպես հայ և համաշխարհային հոգևոր մշակույթի արժեքավոր
ժառանգություն: Դրանց թվում են Անանիա Շիրակացու, Զենոն
Իմաստասերի, Հովհան Որոտնեցու և այլոց աշխատությունները:
Սեն Արևշատյանը կազմել, թարգմանել և մեկնաբանել է Մոսկվայում լույս
տեսած «Համաշխարհային փիլիսոփայության անթոլոգիայի» և «Արևելյան
երկրների եր. գեղագիտության» հայկական բաժինները:
Մատենադարանում, Երուսաղեմում, Բեյրութում, Հալեպում և այլուր,
մանրազննին ուսումնասիրելով սկզբնաղբյուրները, Սեն Արևշատյանը
բացահայտել
է
Հայաստանի
հոգևոր
մշակույթի,
հատկապես
փիլիսոփայության պատմության մինչ այդ անհայտ շատ կարևոր էջեր,
որոնք արտացոլվել են նրա «Փիլիսոփայական գիտության ձևավորումը
հին Հայաստանում», «Միջնադարյան Հայաստանի փիլիսոփայական
դպրոցների պատմության շուրջը» և այլ մենագրություններում
հրապարակված գիտական հոդվածներում:
Առանձնահատուկ նվիրումով ու պատասխանատվության բարձր
զգացումով է գիտնականը ճշգրտել Հայաստանի խոշորագույն փիլիսոփա
Դավիթ Անհաղթի գրավոր ժառանգությունը, որը գրաբարից թարգմանել է
ժամանակակից հայերեն և ռուսերեն լեզուներով և հրատարակել
ընդարձակ մեկնաբանություններով: Շուրջ 20 տարվա քրտնաջան
աշխատանքի արդյունքը եղավ այն, որ ընթերցողների սեղանին դրվեցին
Դավիթ Անհաղթի «Սահմանաց գիրքը», Արիստոտելի «Անալիտիկայի
մեկնաբանությունը»,
«Պորփյուրիի
ներածության
վերլուծությունը»
քննական բնագրերից թարգմանված նաև ռուսերեն, ընդարձակ
առաջաբաններով ու ծանոթագրություններով:
Դավիթ Անհաղթի 1500-ամյա հոբելյանի առթիվ Սեն Արևշատյանը
պատրաստեց և հրատարակեց փիլիսոփայի բոլոր հայտնի երկերի մեկ
հատորը հայերեն, իսկ ռուսերեն թարգմանությունները հրատարակվեցին
Մոսկվայում:
Մոսկվայում
հրատարակվեց
նաև
գիտնականի
աշխատությունը հայ ականավոր փիլիսոփայի մասին:
Լայն հասարակայնությանը ակնառու էր, որ առանց Սեն Արևշատյանի
ջանքերի հնարավոր չէր նման պատշաճ ձևով նշելու Դավիթ
Անհաղթի1500-ամյակը: Պատահական չէ, որ Փարիզի (Սորբոնի)
համալսարանից նրան էին հրավիրել Դավիթ Անհաղթի մասին գիտական
կոնֆերանսում զեկուցում կարդալու, ապա փարիզեցիները նրան
ունկնդրեցին հերուստատեսությամբ:
Սեն Արևշատյանի մի շարք աշխատություններ հրատարակվել են
Բեռլինում, Փարիզում, Վարշավայում, Շտուտգարդում: Այժմ ևս
պատրաստվում է տպագրության «Հայ հին և միջնադարյան
փիլիսոփայության անթոլոգիան»:
Լինելով մատենադարանի տնօրենը, Սեն Արևշատյանը գիտակազմակերպչական
ծավալուն
աշխատանք
է
կատարում:
Նա
մատենադարանի,
ՀՍՍՀ
Գիտությունների
Ակադեմիայի
փիլիսոփայության ու իրավունքի ինստիտուտի, Երևանի պետական
համալսարանի փիլիսոփայական գիտությունների դոկտորի աստիճան
շնորհող
գիտական
խորհուրդների,
«Բանբեր
մատենադարանի»
խմբագրական կոլեգիայի անդամ է, հաճախ հանդես է գալիս
դասախոսություններով ու զեկուցումներով: Պատկերը լրիվ չէր լինի, եթե
այդ ամենին չգումարենք նաև նրա հասարակական ակտիվ աշխատանքը:
Սեն
Արևշատյանը
ՍՍՀՄ-Հնդկաստան
ընկերության
հայկական
բաժանմունքի վարչության նախագահն է, ՍՍՀՄ-Ավստրիա ընկերության
հայկական վարչության անդամ է, Արտասահմանյան երկրների հետ
մշակութային կապերի հայկական ընկերության հասարակական
գիտությունների սեկցիայի նախագահի տեղակալ: Ու հասցնում է այդ
ամենը անել, ոչ մի անգամ շտապողականություն չցուցաբերելով, քանզի
գիտե ժամանակը գնահատել, ուժեղ կամք ունի և հաստատուն
սկզբունքներով է առաջնորդվում իր առջև դրված խնդիրները կատարելու
ճանապարհին:
Վարդան Մկրտչյան
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Akhtamar
on line
L’Armenia piange lo scultore Ara Shiraz
Lo scorso 14 marzo è scomparso all’età di
74 anni il grande scultore armeno Ara
Shiraz.
Nato a Yerevan nel 1941 si laureò nel
1966 all’Istituto delle Belle Arti della
capitale armena dimostrando immediatamente tutto il suo talento. Partecipò a numerose mostre di giovani artisti in tutta
l’Unione Sovietica.
Dal 1968 è stato membro dell’Unione
degli artisti di Armenia.
L’arte di Shiraz era caratterizzata dalle sue
imponenti opere scultoree come i monumenti di Baruyr Sevag (Yerevan, 1974),
Yeghishe Charents (Charentsavan, 1977),
Alexander Myasnikyan (Yerevan, 1980) e
William Saroyan (Pantheon di Yerevan,
1991).
Nel 1979 a Shiraz fu assegnato il Premio
di Stato dell’Armenia per le sue sculture
ornamentali che decorano la facciata dell'Hotel Dvin a Yerevan.
Nel 1977 gli fu concesso il titolo di Artista
Benemerito di Armenia. Nel 1987 è stato
eletto presidente dell’Unione degli Artisti
di Armenia e membro della Segreteria
degli Artisti dell'Unione dell'URSS.
Tra le opere più celebri di Shiraz ricordiamo i busti di Pablo Picasso, Yervand Kochar, Hovhannes Shiraz e Vruir Galstian.
Molte delle sue composizioni scultoree
sono in mostra permanente nel Museo
d'Arte Moderna di Armenia, alla Galleria
di Stato di Armenia a Yerevan, alla Galleria Tret'jakov e presso il Museo delle Nazioni d'Arte orientale di Mosca.
Dipinti e sculture di Shiraz si trovano in
molte collezioni private di tutto il mondo
(Mosca, San Pietroburgo, Tbilisi, Beirut,
Parigi, Londra, New York, Los Angeles,
Chicago, Detroit, Montreal).
Shiraz è anche autore della statua (foto sotto)
del generale Andranik realizzata nel 2002
nei pressi della cattedrale di san Gregorio a
Yerevan. Andranik è raffigurato in posa su
due cavalli che vogliono simboleggiare
l’Armenia occidentale e l’Armenia orientale.
Qui Armenia
GAS IRANIANO
L’Iran ha deciso di destinare due milioni
di dollari all’Armenia per lo sviluppo
della rete di distribuzione del gas nelle
città prossime al confine di Meghri e
Agarak. L’Armenia dal canto suo contribuirà al progetto con mezzo milione
di dollari. L’accordo era stato siglato nel
lontano 2011 ma è divenuto operativo
da pochi giorni.
ITALIA ED ARMENIA
Proseguono i colloqui che il nuovo ambasciatore italiano in Armenia, Giovanni Ricciulli, ha intrapreso con le autorità
della repubblica. Lo scorso 21 marzo ha
incontrato il ministro dell’ambiente
Aram Harutyunyan con il quale si è
intrattenuto su numerosi argomenti di
reciproco interesse e finalizzati al rafforzamento della cooperazione fra i due
stati.
EUROPA NOSTRA
Armen Ghazaryan, rappresentante dell’organizzazione ICOMOS/Armenia è
risultato vincitore dell’edizione 2014 del
premio dell’Unione Europea “Europa
nostra” dedicato ai lavori che consolidano la memoria culturale dei beni architettonici ed ambientali nel con
ANNO 9, NUMERO 177
tinente. Il suo lavoro “Architettura delle
chiese del VII secolo nel Caucaso meridionale” è stato scelto fra 160 progetti
provenienti da trenta diverse nazioni.
EUROFESTIVAL 2014
Si respira aria di cauto ottimismo al
ritorno della delegazione armena da una
riunione di lavoro a Copenaghen dove a
maggio si disputerà la edizione 2014
dell’Eurofestival. Il brano “Not alone”
di Aram Mp3 è piaciuto molto ed è stato
già scaricato su internet moltissime volte
ottenendo una buona copertura mediatica. La capo delegazione Gohar Gasparyan nel corso della conferenza stampa si
è detta molto fiduciosa sul risultato del
cantante armeno.
EXPORT FRUTTA E VERDURA
Buone notizie dal fronte agricoltura. Nei
primi tre mesi dell’anno l’export di frutta e verdura è più che triplicato rispetto
allo stesso periodo dell’anno precedente.
Sono state esportate 11406 tonnellate
contro le 3312 dello scorso anno. A beneficiare dei prodotti armeni sono state
soprattutto la Georgia (8815 tonnellate),
Russia, Iraq, Ucraina ed Emirati Arabi.
LOTTA ALLA POVERTA’
Secondo le statistiche ufficiali, un armeno su tre vive al di sotto della soglia di
povertà. Questa fascia di popolazione in
difficoltà è presente soprattutto nell’aree
rurali, lontano dalle città il governo ha
annunciato l’intenzione di intraprendere
misure per una diminuzione nell’arco di
tre anni della popolazione povera: dal
32,4% (registrato nel 2012) al 23% nel
2017 fino ad arrivare al 13% nel 2025.
crescita economica ed aumento dei posti
di lavoro saranno alla base dell’azione
di governo.
FIRMA DIGITALE
L’unità per l’implementazione delle
strutture di E-governance (EKENG)
lavora per modernizzare in chiave informatica la gestione del Paese. In accordo
con gli operatori di telefonia mobile sarà
varato un progetto per estendere la possibilità di firma digitale attraverso i
cellulari.
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Akhtamar
on line
la voce dell’Artsakh
IL PRESIDENTE VISITA
L’UNIVERSITA’ DELL’ARTSAKH
Il presidente della repubblica Bako
Sahakyan si è recato in visita nell’università dell’Artsakh a Stepanakert
dove ha incontrato il personale docente e gli studenti.
Un aiuto subito a bambini sfortunati
Bollettino interno a cura di
comunitaarmena.it
Q U E S T A P U B B L I C A Z I ON E E ’ E D I T A
CON IL FAVORE DEL
MINISTERO DELLA DIASPORA
Sono circa un centinaio gli orfani, da
uno a quindici anni, che vivono in Artsakh.
Una cinquantina di loro sono ospitati
nell’orfanotrofio “Zangak”(foto a lato) di
Stepanakert che proprio pochi mesi fa è
stato al centro di un intervento di riqualificazione in parte finanziato dalla Karabakh Telecom. Altri ragazzi sono
ospitati in sistemazioni provvisorie.
Ora il fondo armeno “Hayastan” ha
iniziato i lavori di costruzione di un
nuovo orfanotrofio a Shushi.
Il progetto punta a dare una più calda
accoglienza a questi piccoli non solo
con la realizzazione di strutture confortevoli ma anche con un piano di assistenza medica e scolastica che
garantisca loro pari dignità e pari opportunità con gli altri ragazzi più fortunati.
Il nuovo orfanotrofio di Shushi avrà
anche locali accoglienza, ambienti per
attività ludiche e sportive, riscaldamento
centralizzato e perfino aria condizionata.
ANCORA SANGUE ARMENO SULLA LINEA DI CONFINE
il numero 178 esce il
24 aprile 2014
w w w. k a ra b a k h. i t
I nf or m az i one q uot i di a na i n
i t al i a no s ul l ’ Ar t s akh
Ancora giovane sangue armeno, ancora gravissime violazioni azere del cessate il fuoco. Il 24 mattina verso le ore 9,50 il ventiduenne Garnic Torosyan,
in servizio nell’Esercito di difesa dell’Artsakh, è stato mortalmente colpito da
un cecchino azero. il decesso è avvenuto all’istante.
Due giorni dopo, il 27, è toccato al diciannovenne Romik Babayan cadere
lungo la linea di demarcazione nord orientale.
Nel mese di gennaio un altro giovane militare armeno era stato ucciso dagli
azeri.