1 Anno 9, Numero 177 Akhtamar on line WWW.COMUNITAARMENA.IT 1 aprile 14—XCIX M.Y. Akhtamar on line L’uccellino turco non vola più La decisione del premier Erdogan di bloccare Twitter (e poi You Tube) non è un fulmine a ciel sereno. Da alcuni mesi giungono segnali inquietanti da uno stato che si sta ripiegando su se stesso tra scandali, accuse di complotti, faide politiche interne e repressione delle piazze. Fatti loro, potrebbe pensare qualcuno. E invece no. Perché contro questo colosso (d’argilla?) stiamo lottando da anni e ci apprestiamo, alla vigilia del centenario, ad uno scontro (morale e politico, si intende) dal quale non possiamo che (e dobbiamo!) uscire vincitori. È questa Turchia con la quale tanti politici ed imprenditori fanno affari; è questa Turchia che spende ogni anno milioni di dollari per alimentare e foraggiare la sua politica negazionista; è questa Turchia che cerca disperatamente di contrastare ogni iniziativa armena, chiude le porte ad ogni revisione storica, incapace di fare i conti sul suo passato. È questa Turchia che manda alla Camera dei deputati in occasione sul convegno della Memoria dei Giusti un suo consigliere a farfugliare in un italiano incomprensibile qualche parola sulla “tolleranza turca”. È questa Turchia che si allea in un diabolico patto di sangue con il guerrafondaio dittatore azero Aliyev. È questa Turchia che chiude Twitter e i social network così come legifera sulla “identità turca” nell’art. 301 del codice penale. È questa Turchia che spara sui manifestanti di Gezi park e considera gli armeni un nemico da abbattere. È questa Turchia che combatteremo fino all’ultimo. E per fortuna sta nascendo, poco alla volta, anche un’altra Turchia... Sommario L’uccellino turco non vola più 1 L’odissea dell’artista Zaven Eivazian 2 La memoria del bene 3 Essere armeni in Crimea 4 La scomparsa di Ara Shiraz 6 Qui Armenia 6 La voce dell’Artsakh 7 Bollettino interno di iniziativa armena 2 Akhtamar L’ODISSEA DELL’ARTISTA ZAVEN EIVAZIAN Lo incontri spesso insieme a sua moglie Alvart alla messa della domenica nella chiesa Armena di Roma e, subito dopo la funzione, lo potrai vedere nel chiostro della chiesa dove tutti si riuniscono per parlare e discutere insieme mentre si sorseggia il caffè. E’ un vero piacere incontrarsi e parlare con una persona così buona e modesta, ma non capiresti assolutamente mai chi si trova di fronte a te. Infatti, come ogni cosa preziosa, si scopre a mano a mano. Zaven Eivazian è nato nel 1939 in Iran da genitori di origine armena nel villaggio di Hajiabad nella regione di Ciarmahal: allo stesso tempo lui era anche un figlio della natura che veniva espressa nella sua vita con tutti i colori e le sfumature; amava giocare da bambino e il fascino dei giochi sotto la luce della luna rivive ancora oggi nella sua memoria insieme alle abitudini e ai costumi armeni di quel povero ma beato e felice lontano passato. Le sue capacità di disegnare sono state evidenti già dal primo anno di scuola quando aveva sette anni. All’epoca la scuola del villaggio era un grande salone dove i bambini di tutte le classi studiavano assieme. Quel giorno gli alunni del sesto anno avevano lezione di disegno e Zaven, pur essendo un alunno del primo anno, cominciò a seguire la lezione del maestro e si mise a disegnare anche lui. Fece il disegno più bello e da quel giorno tutti capirono che Zaven disegnava meglio di tutta la classe e hanno cominciato a chiamarlo “pittore”. Quelle lodi ebbero un impulso decisivo sulla sua vita: da allora in poi la sua passione preferita è diventata la pittura. Solo per tre anni ha studiato alla scuola armena del suo villaggio: suo padre, per mantenere la sua numerosa famiglia composta di otto figli, si trasferì con tutta la famiglia in una città del sud dell’Iran dove aveva trovato lavoro presso una raffineria petrolifera e Zaven dovette continuare i suoi studi presso la locale scuola persiana. Gli anni passavano, Zaven cresceva e il suo amore verso l’Arte diventava sempre più grande. Non avendo alcun maestro che gli insegnasse la pittura faceva tutto da solo: disegnava tutto quello che a lui piaceva o copiava i quadri e le cartoline. Sua madre si preoccupava molto per la sua salute quando lo vedeva trascorrere molte ore a disegnare sotto il sole cocente, dimenticandosi della sua persona, finché spesso gli usciva il sangue dal naso. All’età di 15 anni cominciò a conoscere da vicino l'arte della scultura realizzando delle piccole statuine e quest’arte lo appassionò così tanto che vi si innamorò per sempre con tutta al sua anima: si apre una nuova prospettiva per lui e come un pazzo cerca i materiali ANNO 9, NUMERO 177 più eterogenei per realizzare le sue sculture: poteva essere il gesso utilizzato dai muratori, il legno, la cera delle candele. La passione per la scultura era così grande che di notte si destava per lavorare e, per non svegliare i familiari, con uno straccio avvolgeva la mazzetta per diminuirne il rumore e poter lavorare silenziosamente. Spesso a scuola gli chiedevano un disegno o una statua e lui era sempre bravo e con arte svolgeva quel compito per il quale sempre veniva lodato e premiato. Alla fine del liceo, all’età di 19 anni, dopo l’esame finale superato con ottimo profitto, Zaven parte per Tehran in cerca di lavoro. Lì continua a lavorare nel campo dell’arte mettendo da parte il denaro che guadagnava per poter realizzare il suo sogno più grande: quello di venire in Italia per proseguire i suoi studi artistici attraverso l’esempio delle opere dei Grandi Maestri. Finalmente all’età di 25 anni riesce a realizzare il suo sogno e venire in Italia e si iscrive all’Accademia delle Belle Arti di Roma sotto la guida del Professor Venanzio Crocetti. Fin dai primi giorni si nota tutto il suo talento e la sua diligenza, e alla fine della lezione, quando tutti gli altri studenti erano usciti, lui rimaneva in aula e non aveva nessun’intenzione di uscire. Rimaneva da solo insieme al lavoro amato fino alla sera tardi, quando veniva cacciato via dalle donne delle pulizie. Durante il giorno, quando aveva delle ore libere, svolgeva dei piccoli lavoretti presso la mensa dell’Accademia e in vari altri luoghi per potersi mantenere negli studi. Alla fine dell’Accademia con lode riceve la proposta di rimanere per insegnare la scultura. Nell’anno 1973 vince il premio del Comune di Roma. Negli anni ’70 realizza il busto del poeta Paruir Sevak, il più grande poeta armeno dell’epoca utilizzando soltanto una sua fotografia. Dalla foto che aveva in mano riesce ad esprimere in questa scultura l’animo del poeta. Zaven aveva deciso di recarsi in Armenia per donare personalmente la scultura a quel grande poeta. Purtroppo dopo due anni impiegati per presentare i on line di Karine Mkrtchyan documenti necessari alla richiesta di visto, questo gli viene negato per motivi burocratici. Comunque, se la porta dell'Armenia si chiude davanti a lui, al contrario si apre il cancello dell'Italia. Dopo l'esperienza in Accademia decide di aprire un suo studio, in cui dedicarsi al restauro delle opere d'arte. Incomincia a seguire i corsi di restauro, osserva il lavoro degli altri restauratori per imparare i loro segreti, si specializza nelle varie tecniche del restauro e diventa esperto in tutte le arti. Così lui diventa un abile maestro e gli vengono commissionati molti lavori come miglior restauratore italiano. Da lui vengono restaurate le icone, i quadri, i capolavori di marmo e le ceramiche, come quelle prodotte dalla Real Fabbrica di Carlo III di Capodimonte, e le preziose antiche statuine dei presepi napoletani. Ora sono oltre 50 anni che Zaven vive con sua moglie Alvart e suo figlio Veno in Italia, divenuta la sua seconda patria. Le sue opere sono conosciute in tutta Europa: Francia, Germania, Gran Bretagna ecc.; come anche in Armenia, Iran, Paesi Arabi, Stati Uniti. Alla fine della nostra visita gli ho chiesto quale fosse il segreto del suo successo: come è stato possibile che, arrivando da un remoto villaggio persiano, sia riuscito a conquistare il mondo dell’arte. A questa domanda lui risponde semplicemente, che anche se alle volte gli bastava solamente uno sguardo per capire la vera essenza del lavoro, quello veramente fondamentale era l'amore e la passione verso l'arte che aveva dentro di se. Auguriamo un enorme successo, un grandissimo futuro e tanta salute a lui e alla sua famiglia e concludiamo che “il guardare è dato a tutti ma non tutti riescono a vedere”. (TRADUZIONE DI RITA EBRAHIMI E FABIO TALLARINI) Pagina 2 3 Akhtamar 100 MEMORIE La seconda tappa del nostro percorso di avvicinamento al centenario del 1915. Periodicamente ospiteremo riflessioni sul prossimo importantissimo anniversario del 2015 al quale dobbiamo arrivare tutti preparati e consapevoli della importanza storica e politica di tale ricorrenza. on line La memoria del bene (precedente sul numero 164) Se, come ha detto Pietro Kuciukian in occasione del Convegno alla Camera dei Deputati lo scorso 3 marzo, citando Wiesel e De saint Cheron, “il Giusto non è né un eroe, né un martire, né un santo, ma una persona comune capace di dire no, di riconciliare gli esseri viventi con i morti, perché nel nostro secolo c’è stata una frattura tra i vivi e i morti”, allora la Memoria del Bene diviene un valore fondamentale. Per noi, per la nostra storia, per il nostro futuro. E non solo in funzione di didascalica analisi storica degli eventi, ma soprattutto come approccio ad un (tentativo di) superamento del trauma subito dalle vittime e della conflittuale contrapposizione tra i sopravvissuti ed i negazionisti. I primi tendono a radicalizzare il loro odio o arrivano a cancellare ogni sentimento in un tentativo disperato di rimozione inconscia dell’orrore; i secondi, a prescindere da ogni specifica valutazione politica, si barricano dietro la negazione, imposta dall’alto o strumentale a logiche nazionaliste, per rifiutare la memoria del genocidio. Sicché lo scenario di scontro si manifesta non quando le parti in causa condividono la stessa percezione della tragedia (come ad esempio è accaduto per tedeschi ed ebrei dopo la Shoah), ma allorché i sopravvissuti piuttosto che accettare la rassegnazione erigono la loro Memoria a strumento di rivendicazione morale dei propri diritti storici. A questa memoria, che oseremmo definire didascalica giacché volta a consolidare la base storica della stessa, (non si contrappone ma) si aggiunge una memoria del Bene finalizzata a rompere il fronte compatto del negazionismo. In buona sostanza se un popolo, come ad esempio quello turco, non ha (o non riesce ad avere) la consapevolezza della memoria storica, ecco che il seme di una memoria del Bene può attecchire nell’arido terreno del Male e far germogliare una nuova concezione etica della storia. Il problema del negazionismo di stato è ANNO 9, NUMERO 177 infatti quello che un apparato (istituzionale, politico) costringe un intero popolo a respingere ogni accusa genocidiaria in quanto offensiva per l’intera comunità nazionale; una sorta di difesa immunitaria contro il virus di una accusa gravissima. In questa operazione di reiezione di massa si inserisce una cosciente (o incosciente) rimozione della memoria storica finalizzata all’eliminazione del problema: si rispediscono al mittente le accuse fondando il negazionismo sulla assenza di fatti. Per decenni la Turchia ha proceduto ad una meticolosa cancellazione di ogni traccia armena (storica, culturale, architettonica): non esisteva alcuna “questione armena” in quanto non esisteva un “problema” armeno. Per decenni ne è stata financo negata la presenza in Anatolia, sono state confutate le più comuni tesi storiche universalmente condivise, si è proceduto ad una operazione di demolizione della Memoria che ha avuto gioco facile, nei primi decenni dopo il Metz Yeghern, grazie anche alla inconscia rimozione dell’orrore da parte delle prime generazioni di sopravvissuti. Ma quanto la memoria del genocidio è riaffiorata nelle nuove generazioni armene, come nebbia sollevatasi lentamente dalla palude dell’oblio, ecco che la reazione turca ha avuto buon gioco nel trincerarsi dietro una difesa negazionista spinta ad oltranza, una sorta di “Linea Maginot”, oltre la quale ricacciare tutte le accuse infamanti sul genocidio del 1915. Una difesa negazionista, calata dall’alto, inevitabilmente penetrata nelle coscienze di un intero popolo almeno fino a quando la rivoluzione internet non ha aperto alle nuove generazioni turche le finestre su di un mondo diverso da come se lo erano immaginato. La Memoria del Bene può dunque essere il grimaldello per aprire il portone (blindato dalla politica) di una difesa di ufficio di un intero popolo. Se l’accusa infamante di un crimine così mostruoso come l’eliminazione di un milione e mezzo di armeni e la loro cacciata dalla terra natale non è rivolta a tutti indistintamente, ma solo a coloro che vollero il Male, allora la esaltazione del Bene diviene strumento di purificazione. Una sorta di processo catartico che fa affiorare la Giustizia e la Bontà spingendo ad isolare i sentimenti negativi. Le differenze tra buoni e cattivi all’interno dello stesso popolo (i turchi, ma anche gli huto o i cambogiani khmer tutti gli altri coinvolti negli orrori della storia) alimentano quindi la divisione interna dei negazionisti, creano dubbi nel loro fronte e, in ultima analisi, riportano la questione da un piano politico e nazionalista ad un discorso prettamente storico. Contestualizzare il Male dell’orrore e al tempo stesso svincolarlo dalle logiche nazionaliste. La Memoria del Bene diviene quindi il bene della memoria, nel senso che permette ad un popolo sotto accusa di rifiutare una accusa multi-generazionale “in blocco”, circoscrivere il male ad un determinato contesto storico e politico, superare (attraverso l’esaltazione del bene dei Giusti) il trauma psicologico del genocidio. Accanto, dunque, all’analisi degli eventi non può mancare la ricerca di quei fattori che consentano ad un popolo (nel nostro caso i turchi) di superare il dramma del genocidio ed accettare con più serenità un futuro di riconciliazione; prima di tutto con se stessi e con la propria storia. Perché, come ebbe a dire uno scrittore arabo, “è importante girare pagina, ma prima dobbiamo leggerla”. Pagina 3 4 Akhtamar on line Essere armeni in Crimea Le pagine dei quotidiani di tutto il mondo si occupano da settimane della crisi ucraina ed in particolare della situazione in Crimea che dall’11 marzo scorso si è proclamata repubblica autonoma parte integrante della Federazione Russa. Il pronunciamento è avvenuto a seguito di un voto referendario che ha sancito il distacco dall’Ucraina suscitando sdegno e contrarietà negli Stati Uniti e nell’Unione Europea. Non è nostra intenzione avventurarci in disquisizioni sul diritto della penisola affacciata tra il mar Nero ed il mar d’Azov di staccarsi dall’Ucraina; è tuttavia pacifico che siamo sempre dalla parte dei popoli e difendiamo il loro diritto all’autodeterminazione come la vicenda dell’Artsakh ben ci insegna. Se il popolo di Crimea davvero vuole essere parte integrante della Russia, allora ha il pieno diritto di esprimere il proprio pensiero al riguardo. D’altronde anche lo stesso presidente armeno Sargsyan si è sbilanciato in tali termini. Ma, a prescindere da ogni valutazione politica sulla vicenda ucraina, vogliamo cogliere lo spunto per una breve disamina della presenza armena in Crimea. Diciamo subito che le vicende storiche di questa penisola di poco più di ventiseimila chilometri quadrati (quasi quanto l’intera Armenia) e circa due milioni di abitanti lascerebbero ipotizzare una totale assenza di armeni. Dall’invasione alla fine dell’XI secolo dei kipčaki (cumani), popolo turco altaico proveniente dall’Asia centrale e spintosi su tutto il territorio a nord del Caspio e del mar Nero, la presenza di ceppi turchi in Crimea fu sempre piuttosto evidente ed il khanato turco mongolo dell’Orda d’oro (fondato da Batu Khan nipote del famoso Gengis e fiorito tra il XIII ed il XVI secolo) occupò stabilmente la Crimea. Questa, grazie ai buoni rapporti di alleanza con l’impero ottomano, riuscì a mantenere un regime di indipendenza dalla Russia (per lo meno fino al regno di Caterina II, seconda metà del 1700) anche dopo che Ivan il Terribile, intorno al 1550, riuscì ad assumere il pieno controllo su tutti i khanati dell’Orda. Secolo dopo secolo si venne consolidando una popolazione denominata “tatari (o tartari) di Crimea”, formatasi con l’arrivo delle diverse popolazioni turcofone dell’Asia centrale. Oggi i tatari crimeani sono circa 260.000 ma quasi altrettanti vivono in Uzbekistan ANNO 9, NUMERO 177 (150.000), Turchia (50.000), Romania e Bulgaria. In mezzo a tutti questi turchi, greci ed armeni rimasero gli unici cristiani (dopo che veneziani e genovesi avevano dovuto abbandonare i loro possedimenti navali in zona) fin tanto che nel 1774 non arrivarono i russi. Come la storia ci insegna, la presenza armena era ben antecedente all’arrivo dei barbari da oriente… Già nell’ottavo secolo è documentata nella penisola crimeana sotto controllo bizantino: gli armeni erano servitori dello stato, commercianti, soldati. Le invasioni dei selgiuchidi in Armenia tra l’undicesimo ed il tredicesimo secolo, spinsero molti armeni a rifugiarsi proprio in Crimea (che pure come abbiamo visto non era certo immune dalla scorribande turche), in particolare a Caffa (Kaffa, l’attuale Feodosia) dove si dedicarono ad attività agricole e commerciali riuscendo, proprio grazie a queste, a conquistarsi rispetto anche da parte delle popolazioni autoctone e dei nuovi invasori mongoli. All’inizio del quattordicesimo secolo gli armeni avevano ben tre chiese a Caffa (due apostoliche ed una cattolica) a testimonianza della loro presenza. Che era talmente radicata ed importante che la regione cominciò ad essere chiamata “Armenia marittima” ed il mar d’Azov addirittura come “lacus armeniacus”. Dal XIV al XVII secolo gli armeni rappresentarono il secondo gruppo etnico dopo i tatari ed arrivarono ad avere (nel 1330) oltre quaranta chiese in tutta la penisola. Proprio il ruolo della Chiesa fu fondamentale, lì come altrove, per rafforzare l’identità nazionale e le comunità locali che fiorirono anche nelle arti e nelle lettere. Ma quando nel 1475 calarono i turchi ottomani anche in Crimea, gli armeni che avevano abbandonato la loro terra natale per fuggire da questi, furono ancora una volta perseguitati e costretti alla fuga. Molti furono uccisi, molti ridotti in schiavitù, molti partirono. Sedici chiese venne- ro trasformate in moschee. Storia già purtroppo vista altre volte … Nonostante queste vessazioni, una colonia ancora abbastanza numerosa rimase insediata in Crimea a Kaffa, Karasubazar, Balaklava, Gezlev, Perekop e Surkhat. Però a metà Ottocento erano più di ventimila gli armeni che si erano reinsediati fuori Crimea, nella provincia d’Azof, a Dnieper e Samara. L’arrivo dei russi portò nuovi flussi migratori di armeni nella penisola che arrivò a contare circa quindicimila membri. Più o meno introno a questa cifra rimase oscillante la consistenza della comunità armena che all’epoca della RSS di Crimea vantava due distretti. Alla vigilia della seconda guerra mondiale moltissimi armeni (ma anche bulgari e greci) furono deportati in altre regioni dell’Urss perché le autorità temevano che fossero vicini alle posizioni tedesche. Nel 1989 la comunità armena ha dato vita all’organizzazione “Luys” (Luce) che gestisce l’attività sociale e culturale. Viene diffusa una pubblicazione cartacea, due volte al mese va in onda alla televisione crimeana il programma in lingua “Barev” e cinque volte alla settimana vi è uno spazio radiofonico in armeno. Nel 1998 è stata inaugurata la prima scuola secondaria armena. Ci sono chiese armene a Yalta (foto sotto), Feodosia e Evpatoria. L’attuale popolazione armena di Crimea dovrebbe oscillare intorno alle ventimila unità. Il monastero della Santa Croce a Staryi Krim Pagina 4 5 Akhtamar ՍԵՆ ԱՐԵՎՇԱՏՅԱՆ Դ եպքերի բերումով ուսանողական տարիներին կողք կողքի ենք նստել Սեն Արևշատյանի հետ: Բայց արի ու տես, որ մոտիկից ծանոթ լինելը ոչ թե դյուրացնում, այլ ընդհակառակը՝ դժվարացնում է գործը: Սեն Արևշատյանի բնավորության վեհ գծերի, գիտական մեծ վաստակի մասին այնպիսի զգուշությամբ պետք է խոսել, որ մազաչափ անգամ չխաթարվի նրա նուրբ համեստությունը: Նա համալսարան եկավ արդեն լրջախոհ, ունկնդրելու բարձր կուլտուրայով, մտքերն արտահայտում էր հանդարտ ու վստահ, նախօրոք յուրաքանչյուր բառ կշռադատած: Համարյա չէր մասնակցում ուսանողական խաղերին ու կատակներին, բայց եթե խոսակցությունը կարող էր մտքին մի թել տալ, նա դառնում էր համակ ուշադրություն: Նվիրումով ու անտրտունջ սովորում էր հունարենը, գրաբարը, անգլերենը, վերծանելու գաղտնիքները: Մի ներքին զգացումով իր բոլոր ուժերը կենտրոնացնում էր և նվիրում իրեն գիտելիքների հարստացմանը, կարծես նախապես գիտեր, որ իրեն բախտ է վիճակվելու պեղել մոռացության գետի տիղմը, որ նրա հատակից դուրս բերի, մաքրի, բնական փայլով ներկայացնի սերունդներին մեր նախնիների մտավոր գանձերը՝ դրանց համադրելով իր սեփականը: Պատերազմի դաժան տարիներին նա դպրոցն ավարտել էր արծաթե մեդալով, զրկանքներով լի էին նաև հետպատերազմյան տարիները: 1951 թվականին Սեն Արևշատյանը Երևանի պետական համալսարանի պատմության ֆակուլտետն ավարտում է գերազանցության դիպլոմով: Այնուհետև ստանալով գիտական խորհրդի որոշումը մասնագիտացավ ՀՍՍՀ Գիտությունների Ակադեմիայի ասպիրանտուրայում՝ հին և միջնադարյան փիլիսոփայության պատմության բնագավառում: Ինչպես Դավիթ Անհաղթն է ասում՝ ողջախոհ մոլությամբ անձնատուր լինել մարդկային զբաշմունքներից ամենանագեղեցիկին ու պատվականին... Դրանից հետո Սենին դժվար էր տեսնել՝ նա սուզվել էր գրքերի ու մտքերի աշխարհը, ինչպես ջուրը տոչոր հողում: Եվ 1956 թվին նորից ի հայտ է գալիս արդեն լուրջ ուսումնասիրությամբ՝ «Գրիգոր Տաթևացու փիլիսոփայական հայացքները» թեմայով, հաջողությամբ պաշտպանելով թեկնածուական դիսերտացիա: Այդ տարիներին նա աշակերտում էր փիլիսոփայական գիտությունների դոկտոր, պրոֆեսոր, հանրապետության Գիտությունների Ակադեմիայի թղթակից անդամ Վ. Չալոյանին և իր երախտագիտությունը սիրելի ուսուցչի արտահայտում էր նրա գործը շարունակելով ու զարգացնելով: հանդեպ 1954 թվականից մինչև 1959 թվականը Սեն Արևշատյանը աշխատել է հանրապետության Գիտությունների Ակադեմիայի փիլիսոփայության սեկտորում, սկզբում կրտսեր, ապա՝ ավագ գիտաշխատող: 1958-1960 թվականներին համատեղության կարգով աշխատել է Գիտությունների Ակադեմիայի «Պատմա-բանասիրական հանդեսի» պատասխանատու քարտուղար: Այդ տարիներին հրատարակվել են նրա գիտական հոդվածները: Սեն Արևշատյանի համար լայն գիտական աշխատանքի ասպարեզ բացվեց հատկապես 1959 թվականին, երբ նրան տեղափոխեցին ՀՍՍՀ Մինիստրների Խորհրդին առընթեր նորաստեղծ հնագույն ձեռագրերի ինստիտուտ՝ Մատենադարան, որպես սկզբնաղբյուրների գիտական թարգմանության բաժնի վարիչ, իսկ 1973 թվականից աշխատել է որպես բնագրերի ուսումնասիրման և հրատարակման բաժնի վարիչ: Այստեղ է, որ Սեն Արևշատյանը փիլիսոփայության պատմաբանի մասնագիտությունը հմտորեն զուգակցեց աղբյուրագետի, տեքստաբանի ու թարգմանչի մասնագիտություններին: 1971 թվականին Սեն Արևշատյանը փայլուն կերպով պաշտպանեց դոկտորական դիսերտացիան՝ «Փիլիսոփայական գիտության ձևավորումը հին Հայաստանում» թեմայով: Սեն Արևշատյանը շուրջ հարյուր գիտական աշխատությունների, առանձին գրքերով լույս ընծայված 25 մենագրությունների ու հրատարակումների հեղինակ է, գիտության գծով ՀՍՍՀ պետական մրցանակի դափնեկիր, հանրապետության Գիտությունների Ակադեմիայի թղթակից անդամ: Հիրավի մեծ է նրա ավանդը հայագիտության նոր բնագավառի՝ հայ փիլիսոփայական մտքի պատմության աղբյուրագիտական հիմքի ամրացման գործում; մի բնագավառ, որը հիմնականում վերջին երեք տասնամյակների ANNO 9, NUMERO 177 on line ընթհացքում նրա հրատարակումների ու թարգմանությունների շնորհիվ իր արժանի տեղը գրավեց հանրապետության հասարակական գիտությունների շարքում: Հայաստանի փիլիսոփայական և բնագիտական մտքի ժառանգությունը, որը մինչ այդ անհայտ էր, կամ սակավահայտ ու պահվում էր ձեռագիր վիճակում, գրաբարից թարգմանվեց ժամանակակից հայոց լեզվով, ու ռուսերեն միևնույն համարժեքությամբ դուրս բերվեց լայն ասպարեզ, որպես հայ և համաշխարհային հոգևոր մշակույթի արժեքավոր ժառանգություն: Դրանց թվում են Անանիա Շիրակացու, Զենոն Իմաստասերի, Հովհան Որոտնեցու և այլոց աշխատությունները: Սեն Արևշատյանը կազմել, թարգմանել և մեկնաբանել է Մոսկվայում լույս տեսած «Համաշխարհային փիլիսոփայության անթոլոգիայի» և «Արևելյան երկրների եր. գեղագիտության» հայկական բաժինները: Մատենադարանում, Երուսաղեմում, Բեյրութում, Հալեպում և այլուր, մանրազննին ուսումնասիրելով սկզբնաղբյուրները, Սեն Արևշատյանը բացահայտել է Հայաստանի հոգևոր մշակույթի, հատկապես փիլիսոփայության պատմության մինչ այդ անհայտ շատ կարևոր էջեր, որոնք արտացոլվել են նրա «Փիլիսոփայական գիտության ձևավորումը հին Հայաստանում», «Միջնադարյան Հայաստանի փիլիսոփայական դպրոցների պատմության շուրջը» և այլ մենագրություններում հրապարակված գիտական հոդվածներում: Առանձնահատուկ նվիրումով ու պատասխանատվության բարձր զգացումով է գիտնականը ճշգրտել Հայաստանի խոշորագույն փիլիսոփա Դավիթ Անհաղթի գրավոր ժառանգությունը, որը գրաբարից թարգմանել է ժամանակակից հայերեն և ռուսերեն լեզուներով և հրատարակել ընդարձակ մեկնաբանություններով: Շուրջ 20 տարվա քրտնաջան աշխատանքի արդյունքը եղավ այն, որ ընթերցողների սեղանին դրվեցին Դավիթ Անհաղթի «Սահմանաց գիրքը», Արիստոտելի «Անալիտիկայի մեկնաբանությունը», «Պորփյուրիի ներածության վերլուծությունը» քննական բնագրերից թարգմանված նաև ռուսերեն, ընդարձակ առաջաբաններով ու ծանոթագրություններով: Դավիթ Անհաղթի 1500-ամյա հոբելյանի առթիվ Սեն Արևշատյանը պատրաստեց և հրատարակեց փիլիսոփայի բոլոր հայտնի երկերի մեկ հատորը հայերեն, իսկ ռուսերեն թարգմանությունները հրատարակվեցին Մոսկվայում: Մոսկվայում հրատարակվեց նաև գիտնականի աշխատությունը հայ ականավոր փիլիսոփայի մասին: Լայն հասարակայնությանը ակնառու էր, որ առանց Սեն Արևշատյանի ջանքերի հնարավոր չէր նման պատշաճ ձևով նշելու Դավիթ Անհաղթի1500-ամյակը: Պատահական չէ, որ Փարիզի (Սորբոնի) համալսարանից նրան էին հրավիրել Դավիթ Անհաղթի մասին գիտական կոնֆերանսում զեկուցում կարդալու, ապա փարիզեցիները նրան ունկնդրեցին հերուստատեսությամբ: Սեն Արևշատյանի մի շարք աշխատություններ հրատարակվել են Բեռլինում, Փարիզում, Վարշավայում, Շտուտգարդում: Այժմ ևս պատրաստվում է տպագրության «Հայ հին և միջնադարյան փիլիսոփայության անթոլոգիան»: Լինելով մատենադարանի տնօրենը, Սեն Արևշատյանը գիտակազմակերպչական ծավալուն աշխատանք է կատարում: Նա մատենադարանի, ՀՍՍՀ Գիտությունների Ակադեմիայի փիլիսոփայության ու իրավունքի ինստիտուտի, Երևանի պետական համալսարանի փիլիսոփայական գիտությունների դոկտորի աստիճան շնորհող գիտական խորհուրդների, «Բանբեր մատենադարանի» խմբագրական կոլեգիայի անդամ է, հաճախ հանդես է գալիս դասախոսություններով ու զեկուցումներով: Պատկերը լրիվ չէր լինի, եթե այդ ամենին չգումարենք նաև նրա հասարակական ակտիվ աշխատանքը: Սեն Արևշատյանը ՍՍՀՄ-Հնդկաստան ընկերության հայկական բաժանմունքի վարչության նախագահն է, ՍՍՀՄ-Ավստրիա ընկերության հայկական վարչության անդամ է, Արտասահմանյան երկրների հետ մշակութային կապերի հայկական ընկերության հասարակական գիտությունների սեկցիայի նախագահի տեղակալ: Ու հասցնում է այդ ամենը անել, ոչ մի անգամ շտապողականություն չցուցաբերելով, քանզի գիտե ժամանակը գնահատել, ուժեղ կամք ունի և հաստատուն սկզբունքներով է առաջնորդվում իր առջև դրված խնդիրները կատարելու ճանապարհին: Վարդան Մկրտչյան Pagina 5 6 Akhtamar on line L’Armenia piange lo scultore Ara Shiraz Lo scorso 14 marzo è scomparso all’età di 74 anni il grande scultore armeno Ara Shiraz. Nato a Yerevan nel 1941 si laureò nel 1966 all’Istituto delle Belle Arti della capitale armena dimostrando immediatamente tutto il suo talento. Partecipò a numerose mostre di giovani artisti in tutta l’Unione Sovietica. Dal 1968 è stato membro dell’Unione degli artisti di Armenia. L’arte di Shiraz era caratterizzata dalle sue imponenti opere scultoree come i monumenti di Baruyr Sevag (Yerevan, 1974), Yeghishe Charents (Charentsavan, 1977), Alexander Myasnikyan (Yerevan, 1980) e William Saroyan (Pantheon di Yerevan, 1991). Nel 1979 a Shiraz fu assegnato il Premio di Stato dell’Armenia per le sue sculture ornamentali che decorano la facciata dell'Hotel Dvin a Yerevan. Nel 1977 gli fu concesso il titolo di Artista Benemerito di Armenia. Nel 1987 è stato eletto presidente dell’Unione degli Artisti di Armenia e membro della Segreteria degli Artisti dell'Unione dell'URSS. Tra le opere più celebri di Shiraz ricordiamo i busti di Pablo Picasso, Yervand Kochar, Hovhannes Shiraz e Vruir Galstian. Molte delle sue composizioni scultoree sono in mostra permanente nel Museo d'Arte Moderna di Armenia, alla Galleria di Stato di Armenia a Yerevan, alla Galleria Tret'jakov e presso il Museo delle Nazioni d'Arte orientale di Mosca. Dipinti e sculture di Shiraz si trovano in molte collezioni private di tutto il mondo (Mosca, San Pietroburgo, Tbilisi, Beirut, Parigi, Londra, New York, Los Angeles, Chicago, Detroit, Montreal). Shiraz è anche autore della statua (foto sotto) del generale Andranik realizzata nel 2002 nei pressi della cattedrale di san Gregorio a Yerevan. Andranik è raffigurato in posa su due cavalli che vogliono simboleggiare l’Armenia occidentale e l’Armenia orientale. Qui Armenia GAS IRANIANO L’Iran ha deciso di destinare due milioni di dollari all’Armenia per lo sviluppo della rete di distribuzione del gas nelle città prossime al confine di Meghri e Agarak. L’Armenia dal canto suo contribuirà al progetto con mezzo milione di dollari. L’accordo era stato siglato nel lontano 2011 ma è divenuto operativo da pochi giorni. ITALIA ED ARMENIA Proseguono i colloqui che il nuovo ambasciatore italiano in Armenia, Giovanni Ricciulli, ha intrapreso con le autorità della repubblica. Lo scorso 21 marzo ha incontrato il ministro dell’ambiente Aram Harutyunyan con il quale si è intrattenuto su numerosi argomenti di reciproco interesse e finalizzati al rafforzamento della cooperazione fra i due stati. EUROPA NOSTRA Armen Ghazaryan, rappresentante dell’organizzazione ICOMOS/Armenia è risultato vincitore dell’edizione 2014 del premio dell’Unione Europea “Europa nostra” dedicato ai lavori che consolidano la memoria culturale dei beni architettonici ed ambientali nel con ANNO 9, NUMERO 177 tinente. Il suo lavoro “Architettura delle chiese del VII secolo nel Caucaso meridionale” è stato scelto fra 160 progetti provenienti da trenta diverse nazioni. EUROFESTIVAL 2014 Si respira aria di cauto ottimismo al ritorno della delegazione armena da una riunione di lavoro a Copenaghen dove a maggio si disputerà la edizione 2014 dell’Eurofestival. Il brano “Not alone” di Aram Mp3 è piaciuto molto ed è stato già scaricato su internet moltissime volte ottenendo una buona copertura mediatica. La capo delegazione Gohar Gasparyan nel corso della conferenza stampa si è detta molto fiduciosa sul risultato del cantante armeno. EXPORT FRUTTA E VERDURA Buone notizie dal fronte agricoltura. Nei primi tre mesi dell’anno l’export di frutta e verdura è più che triplicato rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Sono state esportate 11406 tonnellate contro le 3312 dello scorso anno. A beneficiare dei prodotti armeni sono state soprattutto la Georgia (8815 tonnellate), Russia, Iraq, Ucraina ed Emirati Arabi. LOTTA ALLA POVERTA’ Secondo le statistiche ufficiali, un armeno su tre vive al di sotto della soglia di povertà. Questa fascia di popolazione in difficoltà è presente soprattutto nell’aree rurali, lontano dalle città il governo ha annunciato l’intenzione di intraprendere misure per una diminuzione nell’arco di tre anni della popolazione povera: dal 32,4% (registrato nel 2012) al 23% nel 2017 fino ad arrivare al 13% nel 2025. crescita economica ed aumento dei posti di lavoro saranno alla base dell’azione di governo. FIRMA DIGITALE L’unità per l’implementazione delle strutture di E-governance (EKENG) lavora per modernizzare in chiave informatica la gestione del Paese. In accordo con gli operatori di telefonia mobile sarà varato un progetto per estendere la possibilità di firma digitale attraverso i cellulari. Pagina 6 7 Akhtamar on line la voce dell’Artsakh IL PRESIDENTE VISITA L’UNIVERSITA’ DELL’ARTSAKH Il presidente della repubblica Bako Sahakyan si è recato in visita nell’università dell’Artsakh a Stepanakert dove ha incontrato il personale docente e gli studenti. Un aiuto subito a bambini sfortunati Bollettino interno a cura di comunitaarmena.it Q U E S T A P U B B L I C A Z I ON E E ’ E D I T A CON IL FAVORE DEL MINISTERO DELLA DIASPORA Sono circa un centinaio gli orfani, da uno a quindici anni, che vivono in Artsakh. Una cinquantina di loro sono ospitati nell’orfanotrofio “Zangak”(foto a lato) di Stepanakert che proprio pochi mesi fa è stato al centro di un intervento di riqualificazione in parte finanziato dalla Karabakh Telecom. Altri ragazzi sono ospitati in sistemazioni provvisorie. Ora il fondo armeno “Hayastan” ha iniziato i lavori di costruzione di un nuovo orfanotrofio a Shushi. Il progetto punta a dare una più calda accoglienza a questi piccoli non solo con la realizzazione di strutture confortevoli ma anche con un piano di assistenza medica e scolastica che garantisca loro pari dignità e pari opportunità con gli altri ragazzi più fortunati. Il nuovo orfanotrofio di Shushi avrà anche locali accoglienza, ambienti per attività ludiche e sportive, riscaldamento centralizzato e perfino aria condizionata. ANCORA SANGUE ARMENO SULLA LINEA DI CONFINE il numero 178 esce il 24 aprile 2014 w w w. k a ra b a k h. i t I nf or m az i one q uot i di a na i n i t al i a no s ul l ’ Ar t s akh Ancora giovane sangue armeno, ancora gravissime violazioni azere del cessate il fuoco. Il 24 mattina verso le ore 9,50 il ventiduenne Garnic Torosyan, in servizio nell’Esercito di difesa dell’Artsakh, è stato mortalmente colpito da un cecchino azero. il decesso è avvenuto all’istante. Due giorni dopo, il 27, è toccato al diciannovenne Romik Babayan cadere lungo la linea di demarcazione nord orientale. Nel mese di gennaio un altro giovane militare armeno era stato ucciso dagli azeri.
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