15 gennaio 2014 «Volete voi che la Catalogna sia

SPAGNA
LA “VIA CATALANA” ALL’INDIPENDENZA:
UNA SFIDA CONTINUA ALL’UNITÀ DELLA SPAGNA MODERNA
15 gennaio 2014
«Volete voi che la Catalogna sia uno Stato? E che sia uno Stato indipendente?». Queste sono
le due frasi rivoluzionarie che, per la prima volta, in modo concreto, mettono seriamente in
discussione l’unità della Spagna moderna. Con una sfida senza precedenti al governo centrale
di Madrid, quelle due semplici frasi saranno contenute in una scheda nel referendum che
l’autorità della Generalitat, il governo autonomo con sede a Barcellona, indirà il 9 novembre
2014.
In tanti modi il popolo della Catalogna aveva espresso la volontà di superare l’attuale
situazione di rifiuto dell'evoluzione democratica della Comunità autonoma nel seno dello
Stato spagnolo. Le manifestazioni del 10 luglio 2010, con lo slogan “Siamo una nazione, noi
decidiamo” e quella dell’11 settembre 2012, invocando “Catalogna nuovo stato d’Europa”,
sono espressione del vento di indipendenza che spirava forte a Barcellona. Nel 2012, la causa
separatista, storicamente sostenuta dal partito di sinistra della Esquerra Republicana de
Catalunya aveva conquistato la maggioranza dei catalani. Il fuoco dell'indipendentismo,
covato per mesi sotto la cenere, fu acceso quando il presidente Artur Mas convocò
anticipatamente le elezioni, dopo il «no» del governo spagnolo all'ipotesi del nuovo patto
fiscale avanzata dal Parlamento di Barcellona, che, il 27 settembre, aveva lanciato il guanto di
sfida secessionista a Madrid votando, con 83 «sì» su 135, una risoluzione non vincolante sulla
possibilità di organizzare un referendum sull'indipendenza. Mediante la risoluzione 742/IX, il
Parlamento della Catalogna sosteneva il bisogno del popolo della Catalogna di poter
determinare liberamente e democraticamente il proprio futuro collettivo mediante una
consultazione popolare. Ebbene, le elezioni del 25 di novembre 2012 hanno espresso e
confermato questa volontà in modo chiaro ed inequivocabile.
Dopo le elezioni regionali dello scorso novembre, il Parlament della Catalogna approvò il 23
gennaio 2013, con una maggioranza di 85 voti contro 44, l’annunciata Dichiarazione di
sovranità e del diritto di decidere del popolo della Catalogna, proclamando il popolo catalano
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«soggetto politico e giuridico sovrano». La Dichiarazione sulla sovranità, con la quale la
Catalogna aveva compiuto il primo simbolico passo sul cammino verso il referendum per
l’indipendenza dalla Spagna, era stata approvata con i voti favorevoli dei nazionalisti di
Convergia i Uniò, Esquerra Republicana e Iniciativa para Catalunya. Contrari alla
dichiarazione si pronunciarono i socialisti del del Partido popular, di Citadans e del Partido
socialista de Catalunya, ma 5 di loro votarono a favore, rompendo la disciplina di partito.
Con tale dichiarazione, il Parlamento catalano incoraggiava «l’insieme dei cittadini e cittadine
ad essere attivi e protagonisti di questo processo democratico dell’esercizio del diritto di
decidere del popolo della Catalogna». Ma, il 8 maggio 2013, il Governo di Rajoy aveva
presentato ricorso al Tribunal Constitucional, impugnando il tentativo del Parlamento
catalano di distaccarsi dal potere centrale spagnolo. Accogliendo il ricorso dello Stato, la
Corte costituzionale spagnola aveva sospeso per cinque mesi la dichiarazione catalana. Tale
dichiarazione rappresenta una «sfida aperta contro la Costituzione», una minaccia alla
sovranità dello Stato spagnolo, una evidente forzatura “politica”, è un atto senza effetti
giuridici, che apre l'opportunità per il popolo catalano di avviarsi verso il separatismo.
L'eventuale indipendenza potrà diventare realtà soltanto per mezzo di una decisione presa
dall'intero del popolo spagnolo, nella manifestazione della sua indissolubile sovranità, che
potrebbe riconoscere in modo costituzionalmente valido la sovranità del popolo di Catalogna.
Un caso simile a quello catalano si è verificato in Italia quando la Regione Sardegna, che nel
suo statuto riconosce il popolo sardo, aveva deliberato nel 2006 la nascita di una «costituente
del popolo sardo», cioè l'inizio dell'autodeterminazione del popolo sardo. Il Governo italiano
aveva portato la questione dinanzi alla Corte costituzionale, la quale aveva sentenziato (sent.
n.365/2007) che la Regione non può rappresentare un popolo in senso internazionale, e questo
vale per ogni regione anche quando formalmente riconosciuto autonomo come nel caso
specifico. Autonomo, infatti, non va inteso in senso astratto, ma all'interno dell'architettura
costituzionale. A differenza della Catalogna, si noti che il territorio della Regione Sardegna
coincide con il territorio storico del popolo sardo. Si rammenta, inoltre, che nel 2006 con la
sentenza sullo Statuto catalano (STC 031/2010 del 28 giugno, in BOE, n. 172, 16 luglio
2010)1, la Corte costituzionale spagnola si pronunciò su una delle questioni più controverse
che aveva causato più eventi avversi in Catalogna, sostenendo che «la Costituzione non
conosce altro che la nazione spagnola». Già in quell'occasione, la sentenza rafforzò l'unità
della Spagna, nella quale i catalani sono una minoranza linguistica.
1
J. J. Solozábal Echavarría, 'La sentencia sobre el estatuto de cataluña: una visión de conjunto', Revista de
Estudios Políticos (nueva época), n. 151, Madrid, gennaio-marzo 2011, pag. 203-229.
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2
Invero, la Corte costituzionale dovrà decidere se il testo della dichiarazione, in base al quale la
Catalogna intende organizzare un referendum sulla sua indipendenza, rispetta la Costituzione.
Siccome due mesi dopo la sospensione iniziale della dichiarazione il Parlamento catalano
invocò la revoca e la Corte costituzionale decise all'unanimità di continuare la sospensione
della dichiarazione di sovranità, ad oggi, tale sospensione è ancora in vigore. Fin dall'inizio, il
Presidente della Generalitat, Artur Mas, e il presidente della Camera catalana, Nuria de
Gispert, hanno manifestato «stupore» nel commentare la decisione della Corte di sospendere
la dichiarazione, considerandola un atto «di natura politica e non giuridica»; inoltre, il
presidente di CiU ha definito «insolita, altamente preoccupante e profondamente deludente»
la decisione della Corte. Nonostante ciò, era evidente che la decisione della Corte non avrebbe
ostacolato la strada verso il referendum sulla sovranità, previsto nel 2014: «Non congeliamo
nulla – aveva dichiarato il Presidente della Generalitat Il cammino continua nonostante gli
ostacoli, perché viene deciso con il popolo della Catalogna».
Mas, con la massima discrezione, negoziò con i partiti per raggiungere un accordo per
mantenere in piedi l'obbiettivo della sovranità e, di conseguenza, anche la stabilità del suo
governo. Al contrario, l'assenza dell’accordo sulla consultazione popolare avrebbe significato
la fine del processo, e probabilmente, anche della sua carriera politica. Raggiunto l'accordo tra
i sostenitori del referendum, che rappresentano il 64,4% del Parlamento catalano, Mas è
riuscito ad attirare l'attenzione di Madrid.
Il passo compiuto il 12 dicembre, tuttavia, è un nuovo tentativo della Generalitat affinché il
Governo si sieda al tavolo dei negoziati, anche se, non per parlare di indipendenza, ma di un
sostanziale miglioramento dell’autogoverno della Comunità autonoma. Indubbiamente, tra la
Generalitat e il Governo non vi sono spazi per una contrattazione politica, soprattutto ora,
visto che nessuno informò il governo di Madrid sul contenuto delle domande del referendum
che Mas aveva presentato direttamente in una conferenza stampa.
Nonostante l'immagine di forza esposta, ci sono molte lacune nel piano presentato dal
presidente catalano. Ad esempio, il governo catalano non ha precisato se la data e le questioni
saranno parte di un decreto della Generalitat o se saranno votate in Parlamento. I fautori della
consultazione sono consapevoli del fatto che il Governo ricorrerà alla Corte costituzionale
sollevando l’incostituzionalità dell’eventuale risoluzione; l'Esecutivo di Mariano Rajoy ha
ribadito chiaramente l’intenzione di impugnare qualsiasi accordo formalizzato della
Generalitat o del Parlamento catalano.
In ogni caso, la Corte costituzionale non può agire e pronunciarsi sulla legittimità della
consultazione fino a quando l'accordo politico sulla data e sulle domande oggetto di
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referendum non saranno formalizzate in una risoluzione, e può farlo, soltanto dopo che sarà
proposto un ricorso contro essa. In questo momento, il Patto politico non può essere
impugnato per dichiararne l'incostituzionalità in quanto non è né una legge né un atto
normativo; la Catalogna dovrà
prima approvare la risoluzione e pubblicarla sul Diario
Oficial. Da quel momento, può presentare ricorso, oltre il Governo, il Defensor del Pueblo e
un gruppo di 50 deputati o senatori.
La Corte non dispone di scadenze nel decidere se ammettere oppure no un ricorso (tranne nel
caso di questioni elettorali in cui deve rispondere entro un massimo di 48 ore). L'ammissione
è condizionata solo da requisiti formali e comporta, necessariamente, la sospensione della
decisione impugnata per un periodo di cinque mesi. Prima della scadenza di questo termine, la
Corte deve decidere sulla ratifica o sulla revoca della sospensione. Nella fattispecie, si
potrebbe arrivare a maggio con la risoluzione sulla questione sospesa, ma se la sospensione
sarà nuovamente estesa, alla Corte costituzionale potrebbero essere necessari anni per
pronunciarsi. Si noti comunque che compete al Presidente della Corte includere nell'ordine
del giorno una discussione approfondita sull'incostituzionalità di una risoluzione.
Tuttavia, la dichiarazione e la risoluzione circa la data e le domande di consultazione seguono
percorsi diversi con sentenze altrettanto differenti. Inoltre, da ricordare che nel caso della
dichiarazione di sovranità, il governo aveva presentato un ricorso e non una questione di
incostituzionalità. L'Esecutivo di Rajoy aveva sollevato dubbi sul effetto giuridico della
dichiarazione di sovranità, approvata dal Parlamento catalano il 23 gennaio, laddove veniva
dichiarato che il popolo catalano è un "soggetto sovrano politico e giuridico".
Nonostante la corrispondenza, ultimamente invocata, tra la dichiarazione della sovranità
catalana e il Piano Ibarretxe, nella realtà si tratta di atti che hanno seguito percorsi differenti.
Allora, il Parlamento basco ha approvato uno Statuto che attribuiva a questa comunità la
propria sovranità e con essa, il diritto di determinare il suo Statuto e il rapporto con il resto
della Spagna. Il Congresso bocciò lo Statuto e Ibarretxe, anticipando le elezioni e rieletto nel
2008, aveva approvato una legge sulla questione della "convocazione e regolamentazione del
referendum", successivamente impugnata dal governo di Zapatero e sulla quale la Corte
costituzionale aveva deciso all'unanimità l' incostituzionalità in quanto violava l'articolo
149.1.32 della Costituzione spagnola2.
L'accordo raggiunto tra i partiti fissa la data del 9 novembre 2014 per celebrazione del
referendum di autodeterminazione della Catalogna. Madrid ha reagito immediatamente al
2
Art. 149.1.32: «Lo Stato ha il potere esclusivo di autorizzare l'indizione di referendum.»
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passo indipendentista: in quel fatidico 9 novembre «non si celebrerà nessuna consultazione
popolare, perché è illegale e contro la Costituzione». Il Primo ministro Rajoy e il lider PSOE,
Rubalcaba hanno subito messo in chiaro che il referendum non avrà luogo in quanto
incostituzionale e lo stesso Primo ministro ha dichiarato che «rifiuta categoricamente» la sola
idea di un referendum, arrivando a minacciare la Catalogna della sospensione dell’autonomia.
Una dichiarazione di guerra, insomma, per ora fortunatamente solo di natura istituzionale. La
battaglia per l’indipendenza della Catalogna, infatti, è stata fino ad oggi di natura
prevalentemente pacifica, a differenza, ad esempio, di quella dei Paesi baschi: eppure mai
nessuno, nella penisola iberica, aveva osato così tanto. Una sfida che, nel novero delle
organizzazioni transnazionali, non è stata accolta benissimo: l’Unione Europea e la Nato
hanno annunciato che escluderanno un’eventuale "Catalogna indipendente" dalle loro
organizzazioni. Come andrà a finire? Con il referendum la Catalogna potrà ottenere ulteriori e
maggiori forme di autonomia, ma probabilmente mai l'indipendenza.
neliana rodean
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