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JE SUIS PRÊT
Io sono pronto. È l’attimo quando la sospensione e l’attesa, di qualcosa che sta per avvenire,
annunciano la tensione, per poi approdare in una dimensione senza tempo, nella quale la vita dà
forma ad un’idea, una necessità che arriva ad essere estensione del corpo e forma materiale.
Nasce così la messa in scena nella quale il corpo e l’immagine diventano dispositivi simbolici, la
metafora dell’umano e del divino, ma anche una verifica personale e sociale.
Nel nostro tempo il controllo e l ’ esposizione del corpo equivalgono alla sua formazione e
trasformazione, che si affermano nella destrutturazione linguistica. Nell ’ archivio fotografico
mediatico il corpo è diventato liquido, più morbido alle forme e sfugge ad un’immagine efficace e
statica. Nel momento in cui il corpo viene socializzato e diventa qualcosa da mostrare, il suo
controllo totale risulta irrealizzabile.
In questo modo “se il corpo perde forma” è più trasformabile ma, in maniera paradossale, può
svelare resistenze e risorse inquiete, mediante un processo che ci conduce a rincorrere ciò che è
fuggevole e, contemporaneamente, a cercare di eludere qualcosa a cui non possiamo sottrarci.
Mostrare il corpo in azione o nella sua immanenza, con l’esplicitazione di un pensiero non violento
è, sicuramente, a livello intellettuale, provocatorio e minaccioso, in quanto mette in dubbio valori e
modelli tradizionali, per favorire energie psico-fisiche di liberazione insieme all’acquisizione del
limite e della fragilità umana.
Il corpo “prende forma” o “perde forma” in rapporto alla nostra esperienza di vita, perché è nella
relazione che sperimentiamo la verità: prendiamo forma quando il corpo è preso da un altro.
L’arte della performance rappresenta un modo di estendere l’identità umana, in cui emerge una
cultura del “tutto intorno” e delle relazioni. La costruzione del sé che partiva da un punto, la posizione
del soggetto in rapporto alla gabbia prospettica umanista, ha subito uno slittamento circolare e
morbido, dentro un circuito elettrico di connessioni e interazioni.
Questa cultura materiale ha determinato un processo creativo polisemantico, che prevede l ’
annullamento del soggetto, come modello forte e istituzionale, e favorisce diverse possibilità di vita.
In questo modo l’opera d’arte è significativa in rapporto all’umanità, perché traccia un itinerario di
relazioni a tema, personali e sociali, tra un’opera e l’altra, l’evento di una mostra ed un progetto
performativo, dentro una dinamica che oscilla tra contemplazione e fruizione.
Je suis prêt è la performance che l’artista Valter Luca Signorile presenta al MACT/CACT Arte
Contemporanea Ticino, in occasione dell’inaugurazione della sua personale dal titolo emblematico:
KEIN KÖRPER (Nessun corpo), una ricostruzione poetica della sua multiforme esperienza artistica,
legittimata dallo sviluppo di un pensiero civile, filosofico e teologico, in relazione ad una produzione,
irregolare ed anti-accademica, che utilizza la tecnologia di massa ma anche la manualità
espressiva.
La performance Je suis prêt è un’allegoria di lunga durata, dal tramonto all’alba, un viaggio nella
notte per incontrare l’alterità, in rapporto al mistero enigmatico che guida l’uomo verso forze esterne
e contrapposte, differenti ma complementari.
L’azione performativa trae spunti evocativi dall’episodio biblico che riguarda la lotta contro un essere
soprannaturale, un episodio enigmatico della Genesi: Giacobbe contro l’angelo.
L’esibizione estenuante implica una sfida, che riguarda la restrizione e la determinazione del sé; in
questo senso si vuole liberare il proprio corpo ma nello stesso tempo è lo stesso corpo che inchioda.
La messa in atto rimanda al tema dell’opposizione, nel quale la poetica del decostruire per costruire,
mediante un lavoro ripetitivo, che circoscrive e vincola, rappresenta un modo per affermare la
metafora del trauma che inevitabilmente rimanda a livelli di debolezza, perché è anche nella forza
che la fragilità si insinua.
L’artista in questo contesto recupera la sua dimensione spirituale secondo un approccio laico, dove
la tradizione contribuisce a recuperare un approccio magico che lo conduce all’astrazione della
realtà per percepire l’invisibile. Nella natura delle cose l’incontro-scontro, l’unione e la separazione,
la notte ed il giorno, l’umano e il divino, sono elementi necessari ma destinati ad essere circoscritti
nella loro collocazione fisica e simbolica.
Je suis prêt è un processo di tempo catartico, quando la natura profonda viene disvelata mediante
una danza romantica e primordiale, in cui il momento con l’Altro, temuto e desiderato, dimostra
anche l’incapacità, il bisogno di un rifugio in una speranza di salvezza.
Giuseppe Carrubba, 2014