Pruneti psicofisiologia clinica - Archivio della ricerca dell

C. Pruneti e F. Fontana
Psicofisiologia Clinica
Libreria Medico Scientifica
Parma
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compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico non autorizzata ed
è punita con una sanzione penale.
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Prefazione
Il presente testo è stato pensato come ausilio teorico pratico per lo studio di quella
disciplina, denominata Psicofisiologia Clinica, che si occupa dell’osservazione,
rilevazione e valutazione dei cambiamenti fisiologici dell’organismo precedenti,
concomitanti e conseguenti a fenomeni comportamentali, emozionali e cognitivi.
Questi aspetti, fondamentali nella vita dell’uomo, possono essere studiati con diversi
strumenti d’indagine, e tra questi, non ultimo, quello psicofisiologico.
Il testo desidera perciò offrire a studenti, specializzandi, ma anche a professionisti,
una guida che illustri quel settore della Psicofisiologia Clinica che si occupa
principalmente dell’assetto neurovegetativo e delle influenze reciproche tra questo e
il comportamento interno e di relazione dell’individuo.
Sono comprese nel testo ampie descrizioni ed evidenze di forti relazioni tra quadri
psicofisiologici
particolari,
a
livello
dell’attività
autonomica,
e
sindromi
psicopatologiche ascrivibili all’asse I del DSM IV-TR (American Psychiatric
Association, APA, 2000).
Carlo Pruneti.
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INDICE
CAPITOLO 1 :
EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI STRESS
PAG. 7
CAPITOLO 2 :
NEUROFISIOLOGIA DELL’ATTIVAZIONE
PAG. 27
CAPITOLO 3 :
LA REGISTRAZIONE DEL POTENZIALE
PAG. 45
ELETTRICO DEL MUSCOLO FRONTALE
CAPITOLO 4 :
LA MISURAZIONE DELL’ATTIVITA’
PAG. 49
ELETTRODERMICA
CAPITOLO 5 :
LA MISURAZIONE DELLA FREQUENZA
PAG. 55
CARDIACA
CAPITOLO 6 :
LA MISURAZIONE DELLA TEMPERATURA
PAG. 63
CUTANEA PERIFERICA
CAPITOLO 7 :
VALUTAZIONE DIAGNOSTICA
PAG. 67
MULTIMODALE E MULTIDIMENSIONALE
IN PSICOLOGIA CLINICA
CAPITOLO 8 :
PSICOFISIOLOGIA E VALUTAZIONE
PAG. 83
PSICOFISIOLOGICA
CAPITOLO 9 :
PSICOFISIOLOGIA DEI DISTURBI D’ANSIA
PAG.103
CAPITOLO 10 :
QUADRI CLINICI E UTILITA’
PAG.127
DIAGNOSTICA DEL PROFILO
PSICOFISIOLOGICO
CAPITOLO 11 :
L’IMPIEGO DEL PROFILO
PAG.145
PSICOFISIOLOGICO NELLA
VALUTAZIONE DEI TRATTAMENTI
BIBLIOGRAFIA
PAG. 149
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EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI STRESS
Il termine inglese “stress” deriva da quello latino “strictus” che significa stretto,
serrato, compresso. Prima di essere introdotto nel lessico scientifico, è stato per molto
tempo impiegato nel linguaggio anglosassone mutando però il suo significato nel
corso dei secoli.
Nel XVII secolo, in riferimento alla vita delle persone, connotava una condizione di
“difficoltà, avversità, afflizione”. Successivamente, nei secoli XVIII e XIX, indicava
“forza, pressione, tensione, sforzo”, quali condizioni di sollecitazione cui veniva
sottoposto soprattutto un materiale rigido. In questa accezione, la parola iniziò ad
essere frequentemente utilizzato nel campo della lavorazione del ferro e venne così
prevalentemente ad appartenere al lessico ingegneristico.
A tal proposito Hinkle (1973), nel suo excursus storico del termine “stress”, si è
riferito all’esperienza di Robert Hooke, fisico del XVII secolo che si dedicò allo
studio di quelle strutture architettoniche, come ad esempio i ponti, progettate in
modo tale da poter sopportare enormi carichi e resistere alle forti sollecitazioni dei
venti, dei terremoti e di altri fenomeni naturali. Hooke indicò con la parola “load” il
peso sulla struttura, con “stress” l’area sulla quale veniva esercitata la pressione e con
“strain” la deformazione della struttura determinata dall’incontro tra il “load” e lo
“stress”. L’analisi di Hooke, per quanto al tempo dedicata prevalentemente alla fisica
dei materiali, successivamente influenzò in maniera determinante l’elaborazione di
modelli teorici dello stress nell’ambito della fisiologia, psicologia e delle
neuroscienze. A lungo, infatti, è sopravvissuta l’idea che lo stress fosse un carico o
una forza esterna tollerato da un sistema psicobiologico.
Hooke si interessò inoltre allo studio delle differenze riguardanti l'elasticità dei
metalli per valutarne la resistenza allo “strain”. Ad esempio, egli osservò che la ghisa
è rigida e si spezza facilmente, mentre invece il ferro battuto è flessibile e malleabile
per cui si piega senza spezzarsi.
Lazarus (1984) si riferisce a questo fenomeno fisico come metafora: così come tra le
proprietà dei metalli può essere annoverata la resistenza alla deformazione, così nelle
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persone può essere individuata la capacità di reagire più o meno adeguatamente agli
eventi stressanti. Anche Hinkle (1977) si riferisce al termine “stress” per la
definizione di uno stato di tensione o di resistenza che si oppone a forze esterne
agenti su oggetti o persone.
L'introduzione della parola nell'ambito scientifico e nello specifico in psicologia e
medicina è dovuta a Walter Cannon che identificò nel “livello critico di stress” “il
massimo livello di stimolazione sopportabile dai meccanismi di compenso
fisiologici” (1935, 1963).
Cannon si occupò inizialmente degli aspetti psiconeuroendocrini dello stress e, nello
specifico, studiò lo stato di attivazione della midollare del surrene. Egli definì il
concetto di “reazione di allarme” come modello di risposta tipico caratterizzato da
liberazione di adrenalina, aumento della frequenza cardiaca, aumento della frequenza
e ampiezza respiratoria, ridistribuzione della circolazione sanguigna volta a
migliorare l'irrorazione e quindi l'ossigenazione dei muscoli scheletrici e liberazione
in essa di glucosio a partire dalla conversione del glicogeno operata dal fegato.
Sempre Cannon (1914, 1929) sostenne che alcune condizioni come il dolore, la fame,
la paura o la rabbia sono da considerare fattori elicitanti uno schema di attivazione
fisiologico ed endocrino che procede in modo relativamente uniforme.
Il lavoro di Cannon consentì in seguito la formulazione del concetto di
“mobilitazione dell'energia” di Duffy e l'elaborazione teorica più completa del
concetto di stress da parte di Selye.
Il contributo di Duffy (1972) consistette principalmente nell'integrazione degli aspetti
comportamentali, associati alla “reazione di allarme”, e nell’avere concepito quindi
l’attivazione come uno stato di mobilitazione completa dell’organismo.
Egli osservò infatti che le variazioni di alcune funzioni fisiologiche, come
l'elettromiogramma, la respirazione, l'attività elettrodermica, la temperatura cutanea
periferica e l'elettroencefalogramma, in risposta a una situazione-stimolo, si
associavano a risposte comportamentali di avvicinamento o di allontanamento.
L’utilizzo del termine stress si deve comunque al fisiologo di origine austriaca, Hans
Selye, che, ancora studente di medicina presso l’Università di Praga, nell’ascoltare le
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lezioni di clinica medica di Von Jaksch, si accorse che nella descrizione clinica della
maggior parte delle malattie venivano tralasciati o tenuti in scarsa considerazione,
alcuni sintomi aspecifici presenti nella maggior parte delle sindromi morbose, quali
febbre e senso di malessere generale, disturbi della cenestesi, perdita dell’appetito,
dolori muscolari ed articolari, astenia, diminuzione della libido, perdita dell’interesse
e della concentrazione. Tali sintomi, proprio perché presenti nella fase iniziale di
quasi tutte le malattie, erano probabilmente ritenuti troppo generici ed aspecifici per
essere, al tempo, presi in considerazione. Dieci anni più tardi Selye si era trasferito a
lavorare all’Università ed Ospedale McGill di Montreal ed era coinvolto in un
progetto di ricerca sugli ormoni sessuali che prevedeva, tra l'altro, l'iniezione di
estratti di ovaie e di placenta nei ratti. Mentre lavorava al suo progetto si accorse che
negli animali da esperimento era presente sempre una reazione contraddistinta da
ingrossamento della corteccia surrenale, riduzione del volume del timo, della milza e
dei gangli linfatici e di tutti gli altri tessuti linfoidi del corpo con presenza di ulcere
gastriche e duodenali. Decise allora di cambiare la sostanza da iniettare, e,
probabilmente in modo del tutto casuale, scelse della formalina, una sostanza chimica
presente in qualsiasi laboratorio di ricerca comparata in quanto utilizzato per la
conservazione dei tessuti, organi o interi organismi animali. Ancora una volta, ma in
maniera ancor più marcata, fu riscontrata, dopo l’iniezione della formalina, la stessa
risposta. Selye ebbe perciò il pregio di essere il primo ad attribuire queste alterazioni
ad un’attivazione aspecifica dell’asse ipotalamo – ipofisi – cortico surrene (figura 1),
suggerendo come, nelle fasi iniziali di ogni malattia, siano presenti sintomi generali
ed aspecifici attivati dal sistema nervoso centrale e vegetativo, con conseguente
attivazione della corteccia surrenale e relativa produzione di ormoni e interessamento
dei linfonodi e delle mucose gastrica e duodenale. Questo insieme di reazioni fu
denominato da Selye: “General Adaptation Syndrome” (GAS; “Sindrome Generale di
Adattamento”).
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Asse ipotalamo-ipofisi-surrene
STIMOLO
IPOTALAMO
CRF
CORTECCIA
SURRENALE
IPOFISI
Glucocorticoidi
ACTH
MIDOLLARE DEL
SURRENE
ADRENALINA
Ippocampo
Recettori per i
glucocorticoidi
Ipotalamo
-
CRH
+
Ipofisi
ACTH
+
-
Corticale del surrene
cortisolo
figura 1 - Schema che illustra il funzionamento dell’asse ipotalamo.ipofisi-cortico surrene per il
rilascio di glucocorticoidi in risposta ad uno stimolo stressante, in alto, e dei meccanismi
di controllo e bilanciamento della risposta (feedback) in basso.
Proseguendo nelle sue ricerche, Selye giunse alla conclusione che in effetti, questa
reazione o
sindrome generale ed aspecifica, poteva essere provocata dalle più
svariate cause e non solo da fenomeni morbosi quali le malattie organiche. Ad
esempio, anche il lavoro pesante, la fatica prolungata, l’eccesso di caldo o di freddo, i
traumi, le emorragie, gli stessi interventi chirurgici e alcuni farmaci, potevano indurre
nell'organismo sempre la stessa reazione: aumento di volume ed attivazione della
corteccia surrenale, diminuzione del volume del timo (ghiandola linfoepiteliale,
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collocata sul pericardio, è importante per lo sviluppo del sistema immunitario in
quanto rappresenta il sito primario responsabile della maturazione delle cellule-T) ,
ingrossamento o, in alcuni casi, diminuzione del volume dei linfonodi, ulcerazioni
gastro-duodenali, oltre che, ovviamente, altri sintomi più specifici di qualunque
malattia.
Nel 1936 la rivista “Nature” pubblicò un articolo di Selye nel quale veniva
sottolineato il concetto fondamentale alla base della teoria del GAS: agenti stressanti
diversi sono in grado di provocare una reazione assai simile.
Lo stress non è quindi da considerare di per sé una malattia ma
una reazione
aspecifica dell’organismo nei confronti di qualsiasi agente stressante, definito con il
termine “stressor” (Di Nuovo e coll., 2000).
Già lo stesso Hans Selye, infatti, sottolineò che il termine stress descrive una risposta
che è di per sè adattiva, in quanto potenzialmente in grado di permettere
all'organismo, posto di fronte a problemi, ovvero a stressor di varia natura, di attivare
sia risorse fisiologiche che psicologiche nel tentativo di affrontare la situazione per
poi cercare di ristabilire l'equilibrio omeostatico dell’individuo appena ciò risulterà
possibile e vantaggioso.
Selye descrisse successivamente due modelli distinti ed antitetici di stress, in base
agli effetti che questi producevano ad ogni livello sull'organismo e definì con la
parola "eustress" l'effetto postumo piacevole, desiderabile ed adattivo dello stress,
con la parola "distress" l'effetto disadattivo, dannoso, spiacevole di questo (Selye,
1970; 1974).
Ancora, lo stesso Selye sottolineò il concetto secondo il quale si può parlare di un
ruolo positivo dello stress, nel senso dell'eustress e di una necessità di evitamento, di
controllo o di annullamento del distress. Da notare che, in studi successivi, si è
arrivati a concludere che la sperimentazione dell'eustress può addirittura prevenire o
bilanciare i negativi effetti del distress, come se una sorta di accumulo di eventi
piacevoli, divertenti e rilassanti fosse in effetti in grado di aumentare gli effettivi
meccanismi di fronteggiamento nei confronti dello stress negativo (Cousins 1983;
Pruneti, 1996; 2008).
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Ancora Selye, per primo, mise in evidenza che la risposta di stress era essenzialmente
caratterizzata, dal punto di vista fisiologico, da un'attivazione ipotalamico ipofisaria
con relativa produzione di ormoni tra i quali la prolattina (PRL) e dalla stimolazione
della corteccia e della midollare del surrene, con conseguente produzione di ormoni
quali il cortisolo ed altri, da lui definiti nell'insieme: "ormoni dello stress".
Infine, Selye, suggerì come la reazione di stress potesse essere anche attivata
direttamente dagli stimoli emozionali, che, a loro volta, non sono innescati da
qualunque stimolo ma solo da quelli che riescono a penetrare una sorta di filtro,
definibile come "valutazione cognitiva" (Pancheri, 1984). Ovvia conseguenza di ciò è
che proprio i fattori di tipo cognitivo ovvero i pensieri, le sensazioni e le emozioni
sono, in ultima analisi, fonte di stress. Ciò vale soprattutto per l'uomo, nel quale
ricordi, fantasie, rapporti interpersonali, rappresentano la parte predominante della
sua attività psichica, elementi, questi, che in taluni ambienti o situazioni possono
essere in grado di attivare livelli anche elevati di tensione.
Studi successivi hanno sottolineato come lo stress, per assumere un ruolo importante
nella genesi di alcune malattie, oltre a possedere un'intensità tale da innescare i
processi biochimici che sottendono ai vari tipi di risposta, deve essere in grado di
produrre, attraverso i meccanismi automatici di controllo dell'organismo, un pattern
di risposta cronico, ovvero debba perdurare ben oltre il fisiologico tempo di risposta
psicofisiologica richiesto e volto al controllo della situazione.
Esiste perciò una legge generale che regola il funzionamento di tutti gli organismi
viventi quando sono sottoposti a fenomeni stressanti. Secondo tale schema, di fronte
ad un problema, l'attivazione è immediata e forte; segue un primo adattamento alla
situazione ma, se questa perdura oltre un certo limite di tempo, sino a diventare
intollerabile, ciò può condurre prima a tensioni esagerate, poi a squilibri o a disturbi
di vario genere (Pruneti, 1998).
Selye impiegò il termine “stress” per indicare l'attivazione dell'asse ipotalamo-ipofisicorticosurrene e sostenne che si trattasse di una reazione aspecifica, uguale di fronte a
stimoli diversi, comunque sempre adattiva e difensiva in quanto utile all'organismo e,
solo successivamente, potenzialmente patogena.
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Egli descrisse lo sviluppo della GAS articolato in tre fasi consecutive: allarme,
resistenza e esaurimento. Durante la prima fase (allarme), alla presentazione dello
stimolo o situazione stressante (stressor), si manifesta principalmente l'attivazione
della branca simpatica del sistema nervoso autonomo e la conseguente attivazione
della porzione midollare delle ghiandole surrenali, costituita dalla secrezione di
adrenalina e noradrenalina. Mentre il primo neurotrasmettitore attiva il metabolismo
del glucosio, rendendo disponibili le riserve immagazzinate nel tessuto muscolare
perchè forniscano l'energia necessaria a sostenere uno sforzo intenso, entrambe le
catecolamine aumentano la gittata cardiaca incrementando così l'irrorazione ematica
della muscolatura scheletrica. L'organismo mobilita le risorse energetiche e organizza
la propria attività orientandola verso un obiettivo prioritario: sostenere i
comportamenti di lotta o fuga (fight and flight behaviours). Sempre nella stessa fase,
si osserva una preliminare attivazione dell'asse endocrino ipofisi-corticossurrene con
la conseguente iniziale secrezione di glucocorticoidi. In particolare il cortisolo, noto
anche come “ormone dello stress”, innesca la conversione delle proteine in glucosio,
coinvolge i lipidi nella produzione di energia immediatamente disponibile, aumenta il
flusso ematico e attiva le risposte comportamentali.
Durante la seconda fase (resistenza), la “reazione di allarme” di Cannon è sempre
attiva e si accompagna a iperproduzione di cortisolo: l'organismo si organizza
anatomo-funzionalmente per adattarsi e fronteggiare lo stimolo o situazione
stressante.
Il termine “esaurimento” denomina la terza fase della GAS e ne indica due possibili
esiti: l'estinzione della risposta di stress, per cessazione dello stimolo o situazione
stressante, o una condizione di esaurimento funzionale che subentra quando
l’esposizione allo stressor si protrae in modo abnorme e l’organismo non può
mantenere oltre lo stato di resistenza e non ha le risorse per adattarsi ulteriormente. In
questo caso, si producono nell’organismo patologie difficilmente reversibili, e nei
casi estremi, la morte.
Mentre nei primi lavori di Selye, culminati nel celebre volume “Stress” (1950), il
termine “stress” significò la condizione dell’organismo sottoposto all’azione di uno
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stressor, nei suoi ultimi, egli impiegò la parola per indicare contemporaneamente sia
lo stimolo o situazione stressante, sia lo stato da questo provocato, nell’ambito di una
situazione interattiva tra organismo e ambiente (Seyle, 1976).
Pancheri (1993) sottolinea l’importanza del contributo di Selye e lo giustifica in base
a tre motivi: in primo luogo, in campo biologico, è stata analizzata per la prima volta
scientificamente,
una
relazione
tra stimoli ambientali e
reazione
interna
dell’organismo.
In secondo luogo, Selye ha precisato che la risposta di stress è aspecifica, cioè
uniforme di fronte a stimoli eterogenei (fisici, biologici o psicosociali).
In terzo luogo, egli ha messo in evidenza l’aspetto più importante dello stress: anche
se, in alcune circostanze, è potenzialmente all’origine di patologie, esso è una
reazione fondamentale, poiché adattiva e difensiva per l’organismo. In aggiunta,
secondo la sua ultima formulazione, Selye ha sostenuto che lo stress non può essere
evitato in quanto costituisce l’essenza stessa della vita: “La completa libertà dallo
stress è la morte. Contrariamente a quanto si pensa di solito, noi non dobbiamo, e in
realtà non possiamo, evitare lo stress, ma possiamo incontrarlo in modo efficace, e
trarne vantaggio imparando di più sui suoi meccanismi ed adattando la nostra
filosofia dell’esistenza ad esso.” (Selye, 1973). Nel 1974, egli chiarì una distinzione
qualitativa, basata sull’aspetto “salutare” dello stress, tra eustress e distress. Mentre
con il primo etichettò una risposta benigna, associata presumibilmente a emozioni
positive e a una condizione di salute fisica, attribuì al secondo il significato di
reazione correlata a emozioni negative e a una condizione di disagio fisico.
Il contributo di Mason fu quello di sviluppare l'idea, già formulata da Selye, circa
l'esistenza di un “primo mediatore” (“first mediator”), un tramite di natura biochimica
o nervosa tra gli stimoli e la reazione fisiologica ed endocrina di stress. Data la
constatazione empirica che stimoli di natura psicosociale (interazioni con carattere di
minaccia, pericolo per l'incolumità fisica o per la vita della persona, ecc.), cui si
associa
una
reazione
emozionale,
attivavano il sistema
ipotalamo-ipofisi-
corticosurrene, Mason intuì che la risposta biologica di stress fosse mediata da
un'attivazione emozionale. Egli in seguito verificò la sua ipotesi attraverso diversi
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esperimenti basati sulla dissociazione dello stimolo fisico da quello emotivo nello
stressor presentato (Mason, 1971). Indipendentemente dalla natura dello stimolo
(fisico, psicosociale o intrapsichico), la risposta fisiologica ed endocrina di stress,
cioè l'attivazione simpatica della midollare del surrene e dell'asse ipotalamo-ipofisicorticosurrene, è innescata solo se lo stressor induce una reazione emozionale. Mason
individuò nel sistema limbico la sede anatomofisiologica di mediazione emotiva e
coordinamento della reazione non solo biologica ma anche comportamentale di
stress. Esso presenta infatti non solo connessioni discendenti con l'ipotalamo e
l'ipofisi, ma anche ascendenti con la corteccia, luogo in cui l'azione difensiva e
adattiva viene programmata,
organizzata e coordinata. Rispetto a Selye, Mason
suggerì la possibilità di una relativa specificità nella risposta di stress osservando
come la reazione, sia dei primati che degli uomini, non fosse sempre identica alla
presentazione degli stessi stressors.
Egli precisò che gli individui rispondono a stimoli di natura psicosociale secondo uno
schema di attivazione multiormonale la cui configurazione è specifica e
personalizzata (Mason, 1975).
Nell'ambito della psicofisiologia diverse ricerche
avevano già dimostrato, da una parte, una elevata variabilità nella risposta di
attivazione neurovegetativa tra diversi individui sottoposti agli stessi stressors, e
dall'altra, una bassa variabilità nella risposta di stress dello stesso individuo a
stressors differenti (Lazarus e coll., 1963). Altri contributi sperimentali (Lacey, 1967)
avevano invece verificato che l'attivazione neurovegetativa risulta più specifica,
personalizzata, se l'individuo è messo di fronte a stressors psicosociali o di bassa
intensità. Stressors intensi o con elevato significato di minaccia, come quelli
impiegati da Selye, non consentirono invece di osservare un pattern specifico e
personalizzato di attivazione multidimensionale. Data l'alta variabilità interidividuale
nella risposta emozionale e di stress allo stesso stressor psicosociale, è ipotizzabile
che nella sua elicitazione e modulazione sia determinante un'elaborazione cognitiva
tanto più complessa tanto maggiore è il livello evolutivo del Sistema Nervoso
Centrale in termini filogenetici. Valutazioni, inferenze e deduzioni, in altre parole
l'intero sistema cognitivo, connoterebbe specificamente e personalmente il significato
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di minaccia o di pericolo dello stimolo e di conseguenza sia la reazione emozionale
che la risposta di stress.
Durante gli stessi anni in cui Mason si dedicò allo studio sperimentale della
connessione tra reazione emozionale e risposta di stress, Lazarus sostenne
l’importanza della valutazione cognitiva degli stimoli quale fattore determinante del
suo innesco.
Lazarus (1984) descrisse il processo di stress articolato in quattro elementi
fondamentali:
1. un agente causale interno o esterno, generalmente chiamato “stress” o
“stressor”;
2. una valutazione cognitiva che distingue ciò che è minaccioso o nocivo da ciò
che è benigno (“appraisal”);
3. le strategie di “coping” impiegate per affrontare gli stressors;
4. un pattern complesso
di
meccanismi biologico-comportamentali che
caratterizza la risposta di stress.
Lazarus ritenne che un’analisi esauriente dello stress avrebbe dovuto basarsi, oltre
che sulla considerazione di parametri quantitativi come intensità, frequenza e durata
dell'attivazione fisiologica, anche sull’indagine di aspetti di natura qualitativa.
Il suo contributo più importante fu quello di aver sottolineato l’importanza della
valutazione del significato dello stimolo nella mediazione emotiva della risposta di
stress (Pancheri, 1982).
Egli stesso (Lazarus, 1993) chiarì di aver focalizzato i suoi studi sullo stress
psicologico piuttosto che sullo stress biologico.
Lazarus distinse tre tipi di stress: la ripercussione psicologica di un evento già
avvenuto (harm), la minaccia costituita da un pericolo imminente, non ancora
concretizzatosi (threat) e le richieste impegnative (challenge) (Lazarus, 1966, 1981;
Lazarus & Launier, 1978; Lazarus & Folkman, 1984).
Lazarus e i suoi collaboratori misero a punto una serie di ricerche sperimentali volte a
evocare stress psicologico in situazioni di laboratorio.
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Alcuni soggetti furono invitati a guardare una serie di filmati a contenuto altamente
stressante
(circoncisioni,
sperimentatori
incidenti
sul
lavoro).
Contemporaneamente,
gli
registravano e monitoravano continuamente alcune funzioni del
sistema nervoso autonomo (frequenza cardiaca e atività elettrodermica) e annotavano
i resoconti verbali sulle immagini proposte.
Prima della visione dei filmati, i partecipanti avevano ascoltato un’introduzione
descrittiva sul loro contenuto, precedentemente registrata e formulata allo scopo di
orientare la valutazione dei soggetti circa ciò che stavano per guardare. Alcune
introduzioni negavano l’evidenza delle immagini: “... questi incidenti non sono
accaduti realmente, sono stati inscenati con degli effetti ...”. Altre immagini furono
oggetto di intellettualizzazioni e prese di distanza scientifiche: “ … questo è un
interessante studio antropologico sui riti di iniziazione ...”. Infine, una terza formula
introduttiva enfatizzava il contenuto minaccioso dei filmati: “... le persone che
vedrete in questo filmato provano un dolore acuto ...”.
Le risposte autoriferite e psicofisiologiche relative a queste visioni furono confrontate
con quelle ottenute da un gruppo di controllo cui erano stati proposti gli stessi filmati
senza esser stati anticipati da introduzioni orientanti.
Gli autori dimostrarono che le chiavi di lettura erano state significativamente influenti
sui resoconti soggettivi e sulle reazioni fisiologiche agli stressors visivi presentati.
I risultati di queste ricerche consentirono a Lazarus di verificare la propria ipotesi
circa l’esistenza di un mediatore cognitivo della risposta di stress (“appraisal”).
Lazarus ha anche introdotto il concetto di “coping” e ne ha sottolineato la
caratteristica processuale (Lazarus, 1966, 1981; Lazarus & Folkman, 1984; Lazarus
& Launier, 1978).
Esso consiste nello sviluppo di strategie personali, sia cognitive che comportamentali,
volte a gestire specifiche richieste ritenute gravose e opprimenti.
Sebbene esistano stili permanenti di coping, Lazarus (1984) ha precisato che il coping
è altamente contestuale poiché, per essere efficace, deve adattarsi alla variabilità delle
diverse condizioni stressanti.
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Egli ha definito le strategie di coping “centrate sul problema” (“problem-focused
coping”) le risorse personali e rese disponibili dall'ambiente circostante impiegate per
trovare una soluzione al problema. Riferendosi invece alle cognizioni e ai
comportamenti che mirano ad aggirare il problema e a fornire interpretazioni
alternative agli eventi, in modo tale da influenzarne la valutazione
e,
conseguentemente, la reazione emozionale, Lazarus parla di strategie di coping
“centrate sulle emozione” (“emotion-focused coping“): il diniego, la presa di distanza
e la razionalizzazione, ad esempio, sono tecniche molto efficaci nell’alleviare lo
stress.
Folkman & Lazarus (1985) hanno precisato che la scelta del tipo di strategia di
coping da impiegare dipende dalla valutazione del problema: se dopo un'analisi
accurata delle circostanze la persona conclude che non è possibile trovare o praticare
alcuna soluzione in grado di cambiare la situazione stressante, allora sarà più
efficace, adattivo, utilizzare tecniche di coping “emotion-focused”. A volte però
l'impiego di tecniche evitanti, in qualità di strategie “emotion-focused“, viene estesa
frequentemente alla soluzione della maggior parte dei problemi quotidiani, che, per
quanto siano impegnativi, tuttavia sono realisticamente risolvibili. L'annientamento
dell'ansia e il sollievo immediati, rinforzano negativamente questo stile di coping,
consolidano le aspettative negative circa la possibilità di risolvere il problema e
distolgono la motivazione del soggetto orientandolo a ripiegare su obiettivi di
secondaria importanza.
Alcune strategie di coping sono maggiormente estendibili a diverse situazioni
problematiche. La reinterpretazione positiva degli eventi, ad esempio, riflette una
caratteristica di personalità, fa parte cioè di un repertorio di risposte comportamentali
consolidate e collaudate e perciò è reiterata pressochè costantemente. La ricerca del
sostegno di familiari o amici, invece, dipende sia dall'estensione della rete sociale di
appartenenza, sia dal contesto in cui si presenta il problema. Essa perciò non è
sempre facilmente reperibile.
Lazarus ha chiarito che l'elaborazione cognitiva dello stressor (“appraisal primario”)
si articola in due fasi distinte: in primo luogo, una valutazione della sua significatività
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a livello personale, in termini di minaccia, pericolo. Secondariamente, una
valutazione circa la disponibilità delle risorse necessarie alla sua gestione (“appraisal
secondario”).
I due processi di appraisal interagiscono tra loro e determinano la connotazione
stressante di una situazione (Lazarus & Folkman, 1984). La formulazione teorica
riguardo lo stress proposta da Lazarus e Folkman (1984) stabilisce dunque che la
valutazione cognitiva (appraisal) di uno stimolo, evento, può sia elicitare e modulare
la risposta biologica di stress, sia selezionare gli atteggiamenti e i comportamenti per
fronteggiarlo (coping).
Pancheri (1984) ha sottolineato come Selye, fisiologo, Mason, psichiatra e Lazarus,
psicologo, pur appartenendo a settori disciplinari differenti, arrivarono a concludere
che lo stress fosse una reazione complessa, non solo o biologica o comportamentale,
ma funzione dell'interazione tra queste due componenti e finalizzata a un miglior
adattamento.
Tuttavia, nessuno di loro né approfondì il rapporto tra aspetti biologici e
comportamentali né la relazione tra questi e la patologia, somatica o psichica.
Fu Bahnson (1969), un autore di scuola psicoanalitica, a offrire un primo modello, di
orientamento psicodinamico, in grado di spiegare, in termini di coordinazione tra
pulsioni e meccanismi di difesa, il funzionamento a “bilancia” che determina l'esito
patologico, psichico o somatico, della risposta di stress. In base alle sue osservazioni
cliniche, egli constatò che, a parità di elevato eccitamento pulsionale, mentre
meccanismi di difesa come la proiezione e lo spostamento si associavano
frequentemente a nevrosi o psicosi, patologie
caratterizzate quindi da disturbi
comportamentali, altri meccanismi di difesa come la negazione e la repressione erano
spesso correlati a disturbi psicosomatici.
La metafora della bilancia descrive il modello (figura 2) proposto più recentemente
da Pancheri (1980). Egli descrisse i programmi psicocomportamentale e
psicobiologico entrambi funzionali al fronteggiamento dello stressor e al miglior
adattamento. Mentre il primo è costituito da modalità preorganizzate di attacco e
fuga, il secondo prevede schemi di attivazione fisiologica e endocrina finalizzati alla
19
preparazione e ottimizzazione delle risorse energetiche dell'organismo per sostenere
un'azione immediata.
comportamenti finalizzati
a neutralizzare lo stress
S
T
R
E
S
S
O
R
S
valutazione
cognitiva
programma
psico
comportamentale
reazioni
specifiche
e aspecifiche
disturbo
psichico
programma
psico
biologico
reazioni
specifiche
e aspecifiche
disturbo
somatico
attivazione
emozionale
modificazioni somatiche
finalizzate a compensare
gli effetti biologici
dello stress
figura 2 - Il modello a “bilancia” (modificata da Pancheri, 1986).
Il programma psicobiologico esaurisce la propria attività in funzione dell'efficacia del
programma psicocomportamentale. Quest'ultimo può riuscire nella gestione dello
stressor sia attraverso l'azione, sia per via simbolica, mediante la comunicazione
verbale e non verbale delle emozioni. Tuttavia, nel corso dello sviluppo, alcuni
individui possono apprendere a privilegiare l'impiego di un solo programma. Il gioco
del rinforzo e dell'estinzione in uno specifico contesto educativo, ad esempio, può
condizionare l'annullamento dell'azione, la manifestazione del proprio vissuto
emotivo e, addirittura, il suo riconoscimento da parte della stessa persona. Questo
comporta l'impossibilità di interrompere la richiesta al programma psicobiologico, la
20
sua attivazione cronica e, a lungo termine, lo stato di esaurimento funzionale
dell'organismo, precursore della malattia psicosomatica. D'altra parte, una storia
personale caratterizzata dal rinforzo sistematico di manifestazioni comportamentali,
non accompagnate da risposte biologiche, può riscontrarsi in alcuni quadri
psicopatologici di tipo nevrotico (ansia generalizzata, ipocondria, isteria, ecc.).
Una condizione di stress cronico, secondo la rassegna bibliografica di Pancheri
(1984), sembra quindi caratterizzarsi per la sua associazione con il blocco o
inibizione comportamentale. D'altra parte, come sottolinea lo stesso autore, il
programma psicobiologico, prevede un'attivazione fisiologica e endocrina finalizzata
all'azione. Una risposta biologica non disattivata, a causa del procrastinato o mancato
passaggio all'azione, comporterà uno stato di attivazione iperprotratto cui seguirà una
condizione di esaurimento funzionale dell'organismo e il conseguente sviluppo della
malattia psicosomatica. Sempre Pancheri (1984), partendo dalla premessa che il
sostegno dell'azione è l'obiettivo della mobilitazione dell'organismo, sostiene che una
buona funzionalità del programma psicobiologico dipende dalla presenza ottimale di
stressors. Stimoli ambientali e psicosociali forniscono quindi la base “allenante” per
la risposta neurofisiologica e neuroendocrina di stress. È ipotizzabile allora che
un'ulteriore condizione di vulnerabilità per la malattia psicosomatica possa scaturire
dalla riduzione di stressors, dovuta a un contesto ambientale deprivato o
dall'evitamento
sistematico
di
situazioni
problematiche
ma
realisticamente
affrontabili. Questo stile di coping, o addirittura di vita, pervasivo può riflettere, ad
esempio, uno quadro di personalità caratterizzato da inibizione, abitudinarietà o
difensività. Il mancato o scarso ricorso alla risposta di stress può determinare una
iporeattività funzionale dei sistemi neurofisiologico e neuroendocrino e dunque da
parte del programma psicobiologico un sostegno insufficiente, inefficace per
l'adattamento agli stressors. Un annullamento del passaggio all'azione non
necessariamente si verifica come conseguenza di un prevalente stile di coping
evitante: nel caso dell'alessitimia, la persona non ha la capacità di leggere e esprimere
il proprio vissuto emotivo.
21
Budzynski, Stoyva, Anderson & Vaughn (1979) condussero a Denver, presso il
Centro Medico dell’Università del Colorado, una serie di studi clinici e sperimentali
allo scopo di analizzare lo stress cronico associato allo sviluppo di diversi disturbi
come ipertensione essenziale, ansia generalizzata, emicrania e cefalea tensiva, sia dal
punto di vista della sua valutazione psicofisiologica, che dal punto di vista della sua
gestione e del suo trattamento con la terapia di biofeedback. Secondo questi autori lo
stress consiste in un disturbo o in uno squilibrio di uno o più processi fisiologici ed è
l'espressione dello sforzo che il corpo impiega per prepararsi ad evitare o ad
affrontare una minaccia reale o immaginaria. Essi, ribadendo quindi la tesi di Selye
secondo cui la funzione dello stress è generalmente adattiva, ne sottolinearono in
particolare l’aspetto pragmatico, i suoi effetti sul comportamento. In questo senso, lo
stress è da considerarsi adattivo se consente di affrontare adeguatamente la
situazione, viceversa, se risulta inappropriato alla situazione è da considerarsi
disadattivo (figura 3).
figura 3 - Budzynski et al. (1979) disegnano in maniera stilizzata un ipotetico “profilo
di stress” (da A. Angoli, 1979)
22
Budzynski e coll. (1979) precisarono che la risposta di stress può essere definita
inappropriata quando viene elicitata troppo frequentemente, quando è mantenuta
troppo a lungo, quando, dopo l’evento stressante, il ritorno al livello di riposo è
troppo lento, quando da luogo ad un peggioramento della performance e quando porta
allo sviluppo di un disturbo da stress. La figura 3, a proposito, mostra la stilizzazione
di due ipotetici andamenti: “adattivo” e “disadattivo” in condizioni di riposo,
presentazione dello stressor e recupero.
Budzynski e coll. (1979), dopo queste considerazioni, sostennero che esistono due
linee di difesa contro un modello disadattivo di stress: se si parte dal presupposto che
i preparativi per far fronte allo stress sono estesi in funzione della percezione del
grado di gravità della situazione, una prima strategia per far fronte ad esso sarà quella
di studiare i problemi quotidiani da una prospettiva più realistica; l’individuo potrà
scegliere la strategia più efficace solo quando il suo obiettivo sarà concreto e
raggiungibile e quando avrà stabilito quali e quanti passi saranno necessari al suo
conseguimento. L’assunzione di premesse sbagliate, cioè irrealistiche, comporta una
visione distorta degli eventi e rende più difficile distinguere, metaforicamente, quanto
alto sia l’ostacolo da superare e, di conseguenza, quanta rincorsa e potenza muscolare
sia necessario utilizzare per scavalcarlo.
Gli autori sostennero anche che un evento stressante può essere affrontato se la
persona può decidere presto un’azione adeguata e metterla in atto.
A parer loro, anche l’indecisione può provocare una risposta di stress prolungata che
può essere disadattiva se mantenuta troppo a lungo.
Una seconda difesa contro lo sviluppo di disturbi da stress può consistere nella
capacità di ritornare velocemente a una condizione di rilassamento pre-stress dopo
che l’evento stressante si è verificato; altrimenti, un lento recupero implica il
mantenimento della risposta a livelli elevati, se lo stimolo stressante si verifica
spesso, e la conseguente cronicizzazione dello stress. La figura 4 mostra l’andamento
23
della pressione sanguigna in un recupero di tipo adeguato (abituazione) e in uno di
tipo inadeguato (accumulo).
figura 4 - Recupero adeguato ed inadeguato a frequenti stimolazioni stressanti (modificata da A.
Angoli, 1979)
Pancheri (1993) ha ricordato che lo stress, anche se nel linguaggio comune è
sinonimo di fattore negativo ed indica uno stato o un complesso di fattori che
possono facilitare una malattia sia somatica che psichica, è allo stesso tempo
l’essenza della vita.
La reazione di stress, infatti, serve oggi, così come è servita per millenni, ad ogni
organismo per adattarsi plasticamente all’ambiente ed alle sue richieste. Pancheri
(1993) ha parlato perciò di stress “ottimale” che consiste in una condizione di
attivazione e disattivazione rapida, con una reazione di stress articolata in risposte
biologiche e comportamentali sincrone ed integrate tra loro. Essa inoltre, pur essendo
24
di intensità variabile sia in funzione della situazione che della persona, raggiunge
raramente livelli eccessivi ed è limitata nel tempo (figura 3).
Lo stesso autore ha descritto quattro reazioni patologiche principali, quattro forme di
deviazione dalle caratteristiche ideali della risposta di stress “ottimale” che possono
determinare più di altre un rapporto tra stress e aumentato rischio di malattia: stress
acuto di elevata intensità, stress in condizioni acute e/o croniche di blocco
dell’azione, stress cronico iperprotratto, stress acuto in un sistema con inibizione
della reazione di stress (figura 5).
figura 5 – Comparazione tra una reazione di stress ottimale a reazioni di stress nocive (modificata
da Pancheri, 1993)
La reazione di stress acuta, consiste in una attivazione eccessiva che può essere
dovuta a stimoli fisici o psicosociali oggettivamente o soggettivamente intensi.
25
Lo stress acuto e/o cronico in condizioni di blocco dell’azione è contraddistinto da
una condizione di attivazione biologica e contemporaneamente da una mancanza di
possibilità di reazione comportamentale aperta allo stressor; essa è data, a seconda dei
casi, da circostanze esterne o interne all’individuo.
Lo stress cronico iperprotratto è costituito da una condizione in cui l’esposizione allo
stressor prosegue nel tempo al di là della possibilità di reazione dell’organismo.
La condizione di stress acuto in un sistema con inibizione cronica della reazione di
stress è stata osservata in studi sperimentali effettuati su animali che per un certo
periodo di tempo erano stati “protetti” artificialmente da normali stimolazioni
stressanti. Successivamente, terminata questa fase, la risposta a normali stressor
anche di moderata entità è risultata anormale ed eccessiva. In particolare sul piano
biologico si è rilevata una iper-risposta dell’asse ipofisi-surrene e sul piano
comportamentale una maggiore disorganizzazione e incapacità a impostare una
reazione di lotta/fuga adeguata. Pancheri (1993) ha sostenuto che nell’uomo, a tal
proposito, giocherebbero un ruolo fondamentale caratteristiche di personalità o fattori
cognitivi. Se l’individuo ha consolidato uno stile di vita che predilige strategie di
evitamento degli stressors o che comunque ne filtra e minimizza l’impatto
emozionale eviterà di conseguenza l’attivazione della normale reazione di stress
producendo uno stato di inibizione cronica dello stesso.
Questo tipo di organizzazione presenta aspetti chiaramente protettivi, dall’altra parte,
espone il soggetto a maggiori e più devastanti effetti, una volta che i meccanismi
psicologici di difesa vengono superati.
26
NEUROFISIOLOGIA DELL’ATTIVAZIONE
Il presente capitolo vuole fornire una descrizione delle strutture nervose coinvolte
nell’elaborazione della risposta emotiva e di stress. La figura e la successiva tabella 6
localizzano, raffigurano e descrivono la suddivisione anatomica e funzionale del
Sistema Nervoso Centrale (SNC).
1
3
4 2
5
7
6
8
9
10
11
27
divisione primaria ventricolo
suddivisioni strutture principali
corteccia cerebrale (1)
ventricolo
laterale
funzioni
pianificazione e esecuzione
del comportamento (parte
anteriore)
percezione e apprendimento
(parte posteriore)
telencefalo
gangli della base (2)
controllo del movimento
apprendimento e memoria
Proencefalo
sistema limbico:
corteccia limbica (3)
terzo
ventricolo
diencefalo
sensazione, espressione,
riconoscimento e memoria
delle emozioni
talamo (4)
coordinamento funzioni
sensoriali
ipotalamo (5)
ipofisi (6)
controllo fuzioni autonome e
endocrine
tetto:
collicoli inferiori e superiori riflessi a stimoli visivi e
uditivi
tegmento:
tronco
dell’encefalo:
mesencefalo
tronco
dell’encefalo:
romboencefalo
formazione reticolare
(parte rostrale)
acquedotto mesencefalo
sostanza grigia
cerebrale
(7)
regolazione livello di veglia
comportamenti di lotta e fuga
periacqueduttale
quarto
ventricolo
metencefalo
nucleo rosso e substantia
nigra
trasmissione comando
motorio
area tegmentale ventrale
meccanismi di rinforzo
cervelletto (8)
coordinazione motoria
ponte (9)
riflessi motori
mielencefalo bulbo (10)
midollo spinale (11)
riflessi vegetativi
trasmissione informazioni
sensoriali e motorie
figura 6 – Modificata da Carlson (2002): la suddivisione anatomica e funzionale del Sistema
Nervoso Centrale (SNC).
Damasio (1994, p. 339) descrive con le seguenti parole l’essenziale funzione
adattiva del cervello: “La funzione fondamentale del cervello è quella di essere
ben informato su ciò che sta succedendo in lui e nell’ambiente che circonda
l’organismo, in modo da consentire gli accomodamenti tra organismo e
ambiente necessari alla sopravvivenza”.
28
Nei successivi paragrafi saranno
descritte e illustrate le principali strutture nervose coinvolte nella concertazione
della risposta emotiva e adattiva dell’organismo.
Il sistema limbico
Il termine “lobo limbico” (dal latino limbus = orlo, bordo, contorno) fu introdotto da
Paul Broca per indicare quella parte della corteccia, filogeneticamente primitiva, e
comune a tutti i mammiferi, disposta ad anello attorno al tronco dell'encefalo e al
margine mediale degli emisferi cerebrali che comprende il giro paraippocampico, il
giro del cingolo e il giro subcallosale (figura 7a).
James Papez, successivamente (1937), ipotizzò che il circuito neurale costituito dal
lobo limbico fosse la base neuroanatomica dei processi motivazionali e emotivi.
Papez basò le sue osservazioni su studi riguardanti il ruolo dell'ipotalamo nei correlati
fisiologici e endocrini delle emozioni e constatò l'influenza reciproca tra queste
variabili e le cognizioni: solo quando le emozioni raggiungono il livello di coscienza
(esperienza soggettiva dell'emozione) influiscono sul pensiero, e questo e altre
funzioni del sistema cognitivo influenzano le emozioni. Papez ipotizzò dunque quali
fossero le connessioni tra le strutture neurali responsabili di queste funzioni: la
corteccia comunica con i corpi mamillari dell'ipotalamo attraverso il giro del cingolo,
passando poi per l'ippocampo e successivamente per il fornice. Una parte
dell’ipotalamo, i corpi mammillari, comunica invece con la corteccia, attraverso il
giro del cingolo, passando per i nuclei talamici anteriori (figura 7a).
Paul McLean (1949) ampliò il concetto di sistema limbico includendovi altre strutture
che sono in relazione anatomica e funzionale con quelle a suo tempo indicate da
Papez: l’area settale, alcune parti dell’ipotalamo, il nucleo accumbens, alcune aree
neocorticali (corteccia orbitofrontale) e, infine l'ippocampo e l’amigdala, due strutture
sottocorticali localizzate nel lobo temporale (figura 7b). Mentre il primo è coinvolto
nei processi di apprendimento e memoria, la seconda sembra svolgere una importante
funzione nel riconoscimento degli stimoli significativi, a carattere di minaccia o
29
pericolo personali e
coordinazione delle risposte emotive comportamentali,
fisiologiche e endocrine. L'amigdala è a sua volta costituita da diversi nuclei,
mediale, laterale e basolaterale e centrale, connessi con l'ipotalamo, l'ippocampo, il
talamo e la neocorteccia.
figura 7a - Il circuito nervoso per le emozioni proposto da Papez (linee in grassetto).
Kupfermann (1994) riporta in aggiunta le connessioni più recentemente
individuate (linee sottili) (da E. R. Kandel, 1994).
30
corpo calloso
talamo
fornice
giro del
cingolo
giro
subcallosale
corteccia
prefrontale
corpo
mamillare
amigdala
ippocampo
figura 7b – Il sistema limbico.
Il nucleo mediale dell’amigdala riceve afferenze sensoriali e le ritrasmette al
proencefalo basale e all'ipotalamo. I nuclei laterali e basolaterali ricevono invece
afferenze relative alla presenza di stimoli ambientali, elementi contestuali, dalla
corteccia
sensoriale
primaria,
dalla
corteccia
associativa,
dal
talamo
e
dall'ippocampo. Questi nuclei proiettano efferenze allo striato ventrale, area coinvolta
nell'effetto prodotto da stimoli rinforzanti sull'apprendimento e al nucleo
dorsomediale del talamo che inoltra a sua volta alla corteccia prefrontale. Le
informazioni sensoriali ricevute dai nuclei laterale e basolaterale afferiscono inoltre al
nucleo centrale dell'amigdala. Quest'ultimo proietta all'ipotalamo, al mesencefalo, al
ponte e al bulbo, centri responsabili delle manifestazioni fisiologiche ed endocrine
della risposta emozionale. Fu Le Doux nel 1995 a dimostrare che il nucleo centrale
dell'amigdala è responsabile dello sviluppo di risposte emozionali condizionate.
Come precisa Carlson (2002), all'interno di questo nucleo si verifica l'associazione,
31
costituita da modificazioni della plasticità neurale, tra stimoli differenti, neutri e
incondizionati.
Le principali proiezioni efferenti sono la stria terminale, che innerva il nucleo
accumbens e l'ipotalamo e la via amigdalo fuga ventrale che innerva l'ipotalamo, il
nucleo dorsomediale del talamo e la parte rostrale del giro del cingolo (Kandel,
1994). Alcune delle principali proiezioni efferenti innervano poi il nucleo reticolare
del ponte caudale che è uno dei centri responsabili della modulazione del riflesso di
allarme, una reazione motoria di sobbalzo che si manifesta di fronte a stimoli
improvvisi, intensi e transitori, caratterizzata da una contrazione muscolare flessoria
dalla testa agli arti e dalla rapida e intensa chiusura delle palpebre, nota come riflesso
di ammiccamento (startle blink). Altre proiezioni efferenti innervano l'ipotalamo,
coordinatore delle risposte fisiologiche ed endocrine di stress. Mentre la sua porzione
anteriore regola l'attivazione della branca parasimpatica del Sistema Nervoso
Autonomo (SNA), quella posteriore partecipa all’organizzazione della reazione
neurovegetativa di stress, mediata dalla branca simpatica del SNA, che sostiene la
risposta di difesa. Quest'ultima si caratterizza tra l’altro per l'aumento di afflusso
sanguigno all'apparato muscolo-scheletrico, l’incremento della frequenza e della
gittata cardiaca, della pressione arteriosa, della frequenza e ampiezza respiratoria.
L'ipotalamo, attraverso la mediazione dell'ipofisi, controlla anche le risposte
neuroendocrine: neuroni secretori della regione ipotalamica paraventricolare
rilasciano nell'eminenza mediana della porzione anteriore dell'ipofisi (adenoipofisi)
l'ormone rilasciante la corticotropina (corticotropin releasing hormone, CRH),
conosciuto anche come fattore rilasciante la corticotropina (corticotropin releasing
factor, CRF). Il CRH attraverso i capillari primari del circolo portale
dell'adenoipofisi, arriva alle cellule corticotrope della stessa dove viene secreta
corticotropina, o ormone corticotropo (Adeno Cortico Tropin Hormone, ACTH).
L’ACTH, a sua volta, attraverso il circolo sistemico, raggiunge la porzione corticale
delle ghiandole surrenali dove attiva la secrezione di glucocorticoidi, in particolare il
cortisolo, noto anche come ormone dello stress. Quest’ultimo ormone è in grado di
produrre varie reazioni nell’organismo tra le quali una delle più importanti è
32
l’aumento della glicemia, attraverso la stimolazione della gluconeogenesi epatica, a
sua volta sostenuta dagli amminoacidi derivanti da un accentuato catabolismo
proteico, soprattutto a livello dei muscoli scheletrici. Ancora dall'amigdala, una terza
via di proiezione efferente innerva la sostanza grigia periacqueduttale e il corpo
striato dei gangli della base, strutture responsabili delle risposte comportamentali
(Lang et al., 1998). Mentre la parte dorsolaterale della sostanza grigia
periacqueduttale è coinvolta nella preparazione dei comportamenti di attacco/fuga
(fight/flight behaviours), quella ventromediale organizza comportamenti di difesa
passivi o inibitori (freezing), di immobilizzazione tonica (Fanselow, 1991). Altre
connessioni efferenti sono stabilite con strutture corticali, sottocorticali e
troncoencefaliche che svolgono funzioni connesse con l'elaborazione emotiva degli
stimoli. Proiezioni dirette al talamo, alla corteccia sensoriale e associativa,
all'ippocampo e alla corteccia entorinale, sembrano coinvolte nell'estrazione di
informazioni sensoriali e mnestiche rilevanti per attuare un rapido adattamento
all'ambiente (Davis e Whalen, 2001; Kipps et al., 2007). Quelle dirette invece alla
corteccia prefrontale sono coinvolte nella programmazione di comportamenti
adeguati al contesto. Nello specifico, mentre la corteccia prefrontale laterale elabora
le cognizioni associate ai comportamenti intenzionali, quella orbitofrontale ne
modula
le componenti emotive. Nella figura 8 sono rappresentate le principali
proiezioni efferenti del nucleo centrale dell’amigdala.
33
NEOCORTECCIA:
CORTECCIA SENSORIALE PRIMARIA
CORTECCIA ASSOCIATIVA
TALAMO
coordinamento
informazioni
sensoriali
IPOTALAMO LATERALE:
aumento frequenza cardiaca
e pressione sanguigna,
vasocostrizione
NUCLEO
PARAVENTRICOLARE
IPOTALAMO:
CRF - risposte endocrine
IPOFISI:
ACTH
SOSTANZA GRIGIA
PERIACQUEDUTTALE:
comportamenti di
attacco,
fuga,
immobilizzazione tonica
AMIGDALA
NUCLEO
CENTRALE
NUCLEO
RETICOLARE
DEL PONTE CAUDALE:
riflesso motorio d'allarme
NUCLEO
VENTROLATERALE
ROSTRALE DEL BULBO:
regolazione attività simpatica
NUCLEO
PARABRACHIALE:
aumento frequenza e
ampiezza respiratoria
figura 8 – Le principali proiezioni efferenti del nucleo centrale dell’amigdala
34
Sistema reticolare attivante ascendente
Alcune cellule del sistema nervoso centrale (tronco dell'encefalo, talamo e ipotalamo,
ecc.) sono specializzate nella modulazione del livello di eccitazione della corteccia
cerebrale, luogo di analisi e sintesi delle informazioni sensoriali. Questo complesso
sistema neuronale, denominato Sistema Reticolare Attivante Ascendente (ARAS), è
situato, con una disposizione a rete, nel mesencefalo e nel mielencefalo (ponte e
bulbo) e i suoi assoni percorrono il tronco dell’encefalo sia in senso rostrale che
caudale (figura 9). Il ARAS è attivato da stimolazioni sensoriali e ottimizza il loro
riconoscimento eccitando, a livello corticale, vari centri deputati all’elaborazione
delle informazioni. Questi circuiti neurali sembrano quindi costituire la base
neuroanatomica almeno di alcune delle funzioni attentive.
Una prima via afferente è costituita da fibre collaterali a quelle provenienti dal
midollo spinale che trasmettono l’informazione sensitiva alla corteccia cerebrale. Una
seconda via afferente è invece costituita da fibre provenienti dalla corteccia cerebrale
e dal sistema limbico (ipotalamo, amigdala). Le principali funzioni della formazione
reticolare sono mediate dalle 3 principali efferenze:
 fibre dirette alla corteccia cerebrale, che regolano la soglia di eccitazione dei
centri che analizzano l’informazione e di quelli che programmano il
movimento orientato all’esplorazione ambientale;
 fibre dirette al midollo spinale attraverso il bulbo,
che determinano
l’attivazione motoria periferica (reazione di sobbalzo, tono muscolare, postura)
e quella dei centri vegetativi;
 fibre dirette al midollo spinale, che modulano la sensibilità al dolore.
Sembra quindi che la funzione principale del ARAS sia quella di amplificare e
diffondere l’informazione riguardante la variazione delle condizioni ambientali e
favorirne quindi l’elaborazione da parte delle strutture corticali e sotto-corticali.
Moruzzi e Magoun (1949) dimostrarono per primi nel gatto che la stimolazione
elettrica del sistema reticolare attivatore ascendente produce il suo risveglio dal
sonno, un aumento dello stato di vigilanza e dell’attenzione verso gli stimoli esterni
35
con una reazione di desincronizzazione dell’elettroencefalogramma corticale che gli
stessi autori indicarono con il termine arousal. Lindsley, successivamente (1950),
formulò una teoria dell’attivazione che definì la relazione tra arousal, stato di veglia e
performance. In base alla rappresentazione grafica di questa relazione, ad un livello
di attivazione ottimale o intermedio, rispetto ai livelli alti o bassi di attivazione,
corrisponderebbero le migliori prestazioni motorie e cognitive che realizzano una
performance adattiva. Malmo (1966) ha ulteriormente elaborato l’impostazione di
Lindsley includendovi le caratteristiche fisiologiche periferiche (ad esempio EMG e
frequenza cardiaca) e introducendo il concetto di attivazione tonica.
corteccia
prefrontale
talamo
ponte
Sistema Reticolare
Attivante Ascendente (ARAS)
bulbo o midollo allungato
figura 9 – Il Sistema Reticolare Attivante Ascendente (ARAS).
36
Il sistema nervoso autonomo
Il termine simpatico deriva dal greco e significa “soffrire insieme”. Il sistema
simpatico partecipa all’attività dell’organismo regolando le funzioni viscerali. Il
sistema ortosimpatico ha i suoi centri nel corno laterale da C8 fino a L2; da questi
nuclei nascono delle fibre che si chiamano pregangliari, dotate di rivestimento
mielinico. L’impulso passa, secondo la teoria saltatoria, da un nodo di Ranvier
all’altro, saltando da un internodo all’altro. Queste fibre, dette rami comunicanti
bianchi, si portano nella catena del simpatico. A ciascun lato della colonna vertebrale
c’è una catena a grani di rosario (gangli collegati da fibre bianche) che va
dall’encefalo (zona occipitale) quasi fino al coccige. Ci sono anche degli altri gangli
meno numerosi, situati davanti alla colonna vertebrale chiamati gangli paravertebrali.
Tra questi si può prendere in esame il plesso solare o ganglio celiaco, situato a livello
dell’ombelico. Esso riceve rami comunicanti bianchi, (che non si sono fermati nei
gangli laterovertebrali), detti nervi splancnici toracici. È di rilevante importanza
perché innerva i visceri addominali dell’intestino medio fino alla flessura sinistra. In
dipendenza da questo vi sono i gangli mesenterici, superiori e inferiori, e i gangli
renali. Ad esempio, nella boxe sono vietati i colpi al di sotto della cintura, per evitare
che un colpo raggiunga il ganglio celiaco che ha effetto di vasocostrizione. Se venisse
colpito, i vasi si dilaterebbero e il sangue si accumulerebbe nel distretto intestinale.
Quindi non arriverebbe più sangue al cervello, nei casi meno gravi, porterebbe a una
lipotimia (svenimento), oppure, in caso di colpo violento, a coma e morte.
Hess (1936) fu il primo a dimostrare che la stimolazione elettrica dell'ipotalamo
produceva risposte da parte del Sistema Nervoso Autonomo (SNA). Infatti, a una
stimolazione della porzione anteriore corrispose un'attivazione della branca
parasimpatica del SNA con, tra l’altro, una riduzione del tono muscolare, che porta a
una condizione di rilassamento e a una sincronizzazione delle onde elettriche
cerebrali, come in uno stato di veglia rilassata. Hess associò a questo quadro
neurofisiologico il termine “trofotropismo” (dal greco trofos=nutrimento) e lo
37
impiegò per indicare la situazione di recupero energetico (anabolismo) e di riposo
dell'organismo.
Una stimolazione della porzione posteriore dell'ipotalamo produce invece
un'attivazione della branca simpatica del SNA con corrispondente desincronizzazione
elettroencefalografica, come in uno stato di veglia attenta, vigile. Hess indicò con il
termine “ergotropismo” (dal greco ergon=lavoro, attività) questo situazione di
eccitazione
diffusa
(arousal)
e
di
dispendio
energetico
dell'organismo.
Successivamente fu Gellhorn (1968) a dimostrare sperimentalmente che la
stimolazione elettrica dell'ipotalamo anteriore produce non solo l'attivazione della
branca parasimpatica del SNA ma anche una relativa inibizione di quella simpatica.
Sembra quindi che la condizione trofotropica o ergotropica dell'organismo non risulti
dalle attivazioni mutualmente escludentesi delle due branche ma piuttosto da un loro
bilanciamento. Inoltre, a un'attivazione marcata di una branca corrisponde, quando
possibile, un controbilanciamento adattivo operato dall'altra (“rimbalzo”).
Il sistema nervoso autonomo o vegetativo (SNA o SNV) è costituito da un insieme di
vie afferenti e efferenti che mediano la comunicazione tra il sistema nervoso centrale
(SNC) e gli organi di apparati e sistemi coinvolti nelle varie funzioni dell’organismo.
Il SNA, dal punto di vista funzionale, è divisibile in due sezioni: simpatica e
parasimpatica. Entrambe le sezioni sono costituite da catene di gangli, ovvero
ammassi di cellule nervose, vere e proprie stazioni sinaptiche di ritrasmissione situate
al di fuori del sistema nervoso centrale, e da neuroni pre e post-gangliari (figura 10).
Le fibre pre-gangliari della branca simpatica sono costituite da neuroni i cui corpi
cellulari sono posti nel corno laterale della sostanza grigia delle sezioni toracica e
lombare superiore del midollo spinale (figura 10). I loro neuriti, o cilindrassi,
emergono dal midollo spinale attraverso le radici dei nervi spinali corrispondenti e
arrivano ai gangli paravertebrali e al plesso celiaco. Il plesso celiaco (dal latino
“plexus coeliacus”) fa parte del plesso solare (dal latino “plexus solaris”) che si trova
nella parte addominale del corpo, esattamente sotto il diaframma, centralmente dal
passaggio dell’aorta nel diaframma (attraverso il “hiatus aorticus”). Il plesso solare è
un plesso simpatico, che oltre al plesso celiaco, è essenzialmente composto anche dal
38
ganglio mesenterico craniale e dal plesso renale. Le fibre pre-gangliari della branca
parasimpatica originano dal mesencefalo, dal ponte, dal bulbo, dalla sezione sacrale
del midollo, ma soprattutto, dal nucleo bulbare del nervo vago. Arrivano ai gangli
situati in prossimità degli organi da innervare e qui si connettono sinapticamente con
le brevi fibre post-gangliari (figura 11).
figura 10 - Gangli e neuroni pre e post- gangliari (da E. R. Kandel et al., 1994).
39
figura 11 – Il Sistema Nervoso Autonomo o Vegetativo (SNA o SNV)
40
Mentre la branca simpatica modula in genere lo svolgimento delle funzioni necessarie
al fronteggiamento degli stimoli o eventi attivanti, stressanti, più in generale
supportando i cosiddetti “comportamenti di attacco e fuga”, la branca parasimpatica
regola perlopiù i processi digestivi e, in generale, tende a riportare l’organismo a una
condizione di riposo.
Nella figura 12 la tabella suddivide le funzioni neurovegetative a seconda del tipo di
comunicazione neurotrasmettitoriale. La secrezione delle ghiandole sudoripare e della
midollare del surrene, pur essendo gestite dalla branca simpatica del SNA, è regolata
dall’acetilcolina.
ORGANO
trasmissione adrenergica
trasmissione colinergica
occhio
contrazione del muscolo radiale dell’iride
(MIDRIASI)
contrazione del muscolo circolare dell’iride
(MIOSI)
ghiandole
salivari
secrezione densa e vischiosa
secrezione profusa, acquosa
ghiandole
sudoripare
secrezione generalizzata
polmoni
rilasciamento della muscolatura
bronchiale
contrazione della muscolatura bronchiale
cuore
aumento della contrattilità e velocità di
conduzione
diminuzione della contrattilità e velocità di
conduzione
fegato
glicogenolisi, gluconeogenesi (chetogenesi)
stomaco
diminuzione della motilità e del tono,
contrazione degli sfinteri,
inibizione della secrezione
secrezione di acidi pancreatici
produzione e rilascio di insulina → glicogenesi
pancreas
intestino
midollare
surrenale
aumento della motilità e del tono,
rilasciamento degli sfinteri,
stimolazione della secrezione
diminuzione della motilità e del tono,
contrazione degli sfinteri,
inibizione della secrezione
aumento della motilità e del tono,
rilasciamento degli sfinteri,
stimolazione della secrezione
secrezione di adrenalina e
noradrenalina
figura 12 - Tabella riassuntiva dell’attività del SNA. Distinzione tra fibre colinergiche e fibre
adrenergiche piuttosto che tra fibre post-gangliari parasimpatiche e
simpatiche (modificata da Pancheri, 1980).
41
Tra le funzioni adattive mediate del SNA si possono citare: dalla sezione cervicale
della catena gangliare paravertebrale arrivano all’occhio afferenze simpaticoadrenergiche che regolano la contrazione del muscolo radiale dell’iride e quindi la
dilatazione della pupilla (midriasi); dal mesencefalo, attraverso il nervo oculomotore
comune (neurone pre-gangliare), passando per il ganglio ciliare e il rispettivo neurone
post-gangliare, arrivano afferenze parasimpatico-colinergiche che modulano la
contrazione del muscolo circolare dell’iride e quindi il restringimento della pupilla
(miosi).
L’attivazione della branca simpatica del SNA predispone quindi l’occhio
all’esplorazione ambientale volta alla ricerca di segnali, o stimoli significativi.
Dalla sezione toracica superiore della catena paravertebrale arrivano poi al polmone
afferenze simpatico-adrenegiche che regolano: il rilasciamento della muscolatura dei
bronchi nei polmoni, l’aumento della frequenza cardiaca, l’incremento della
contrattilità atriale e ventricolare e della velocità di conduzione delle fibre del
miocardio.
Dal bulbo, attraverso il nervo vago, afferisce agli stessi tessuti l’azione antagonista
parasimpatico-colinergica.
L’attivazione della branca simpatica del SNA favorisce quindi un maggior
immagazzinamento di ossigeno e una sua più rapida distribuzione nell’organismo.
Nel ganglio celiaco, che riceve afferenze pre-gangliari dalla sezione toracica del
midollo spinale, attraverso la catena gangliare paravertebrale, sono situati i nuclei dei
neuroni post-gangliari simpatici che entrano in contatto sinaptico con il fegato, lo
stomaco, l’intestino tenue e la midollare del surrene (digestione). L’attivazione della
branca simpatica del SNA riduce l’attività dello stomaco e dell’intestino attraverso la
diminuzione del tono e della motilità, la contrazione degli sfinteri e l’inibizione della
secrezione. Dalla sezione cervicale della catena gangliare paravertebrale afferiscono
neuroni post-gangliari simpatici che stimolano nelle ghiandole salivari una secrezione
densa e vischiosa che ostacola l’assunzione di cibo.
42
Analogamente, l’azione inibitoria delle attività dell’intestino crasso è mediata dai
neuroni pre-gangliari delle sezioni toracica e lombare del midollo spinale e dai
neuroni post-gangliari siti nei gangli mesenterico superiore e inferiore .
Contemporaneamente, mentre nel fegato le afferenze simpatico-adrenergiche
regolano la conversione del glicogeno immagazzinato in glucosio per mezzo
dell’ormone glucagone rendendo gli zuccheri immediatamente disponibili per
l’attività muscolare, nella midollare del surrene le afferenze simpatico-colinergiche
modulano la secrezione di adrenalina e noradrenalina, neurotrasmettitori a loro volta
in grado, tra l’altro,di mediare l’attività simpatica del SNA. L’azione antagonista
colinergica della branca parasimpatica del SNA, mediata dal nervo vago, aumenta
invece il tono e la motilità di stomaco e intestino, rilascia gli sfinteri e incrementa la
loro attività secretiva. Inoltre, nel pancreas, stimola, sia la secrezione di enzimi
digestivi,che di insulina che regola la conversione del glucosio in glicogeno e quindi
l’immagazzinamento dello stesso a livello epatico.
La branca parasimpatica del SNA stimola anche, nelle ghiandole salivari, una
secrezione profusa e acquosa che favorisce l’assimilazione del cibo.
L’attivazione della branca simpatica del SNA ha perciò la funzione di sospendere i
processi nutritivi dell’organismo per agevolare contemporaneamente quelli che
preparano l’organismo al fronteggiamento degli stimoli o eventi stressanti o percepiti
come pericolosi, potenzialmente nocivi.
I neuroni pre-gangliari simpatici della sezione lombare del midollo spinale e quelli
post-gangliari siti nel ganglio mesenterico inferiore, stimolano il rilasciamento del
detrusore e la contrazione del trigono e dello sfintere nella vescica urinaria. Altre
afferenze simpatico-adrenergiche della stessa provenienza stimolano l’orgasmo negli
organi riproduttivi. Le relative azioni antagoniste, compresa l’erezione peniena,
parasimpatico-colinergiche, sono mediate direttamente dal nervo splancnico e
indirettamente dallo stesso nervo splancnico attraverso il plesso pelvico.
43
44
LA MISURAZIONE DEL POTENZIALE ELETTRICO DEL MUSCOLO
FRONTALE
Un aumento del tono muscolare di base è dunque il correlato periferico di un
incremento del livello di arousal centrale, ovvero del livello di reattività del sistema
nervoso centrale agli stimoli, ed entrambi corrispondono ad una condizione di allerta
o di vigilanza generale. Nello stato di veglia, la muscolatura, anche se non è contratta
per l’esecuzione di un’azione motoria, mantiene un certo livello di tono muscolare
detto di “base”. Il tono muscolare di base, anch’esso dovuto all’accorciamento di
alcune fibre muscolari in stato di riposo, è un riflesso posturale, ovvero, dipende dagli
impulsi eccitatori provenienti dalla periferia somatica (propriocettori muscolari). Per
cui la contrazione di un muscolo evoca per via riflessa la contrazione dello stesso e,
dove presente, dell’antagonista. Infatti, se si misura il livello di attività di un muscolo
a riposo è possibile rilevare la presenza di continue oscillazioni del livello del tono
(sia nella frequenza che nell’ampiezza). È perciò sempre possibile osservare una certa
continuità tra tensione muscolare di base e contrazione.
Nella singola fibra muscolare il fenomeno della contrazione si attua solo quando lo
stimolo, dato da un neurone motorio che termina nella placca motrice raggiunge una
certa intensità (soglia d’azione), e la contrazione non aumenta se lo stimolo non
supera il valore della soglia (legge del tutto o niente).
Nel muscolo invece, la contrazione aumenta con l’intensità dello stimolo perché
entrano in azione più fibre.
Si contraddistinguono due tipi di contrazione, una fasica che è isotonica, ovvero non
si ha un’apprezzabile variazione del tono muscolare, mentre vi è una estesa
variazione in lunghezza, ed una tonica che è isometrica, cioè un tipo di contrazione
che non produce cambiamenti nella lunghezza del muscolo mentre si ha una
significativa variazione del tono muscolare.
La variazione del tono muscolare può essere misurata tramite una specifica tecnica
denominata elettromiogramma (EMG). Tra le varie metodiche di rilevazione, quella
psicofisiologica o elettromiogramma di superbie, è l’unica incruenta. L’esame
45
consiste nella registrazione, a livello epidermico, dell’attività elettrica delle diverse
unità motorie coinvolte nella sua contrazione. In particolare, la rilevazione del
potenziale elettrico del muscolo frontale viene effettuata tramite elettrodi di
superficie da applicare a contatto con la cute nelle zone corrispondenti alle fibre
muscolari d’interesse. Per il loro fissaggio sulla pelle vengono solitamente impiegati
dei collarini bi-adesivi (figura 13a).
figura 13a – Elettrodi e collarini biadesivi.
Successivamente, al centro di ciascun elettrodo viene versata una goccia di gel o
pasta elettroconduttrice che favorisce il passaggio delle cariche elettriche (figura
13b).
figura 13b – Gel elettroconduttore.
46
Per il loro corretto posizionamento in sede frontale è utile chiedere al soggetto di
guardare un punto fermo davanti a sé e fissare entrambi gli elettrodi attivi lungo la
verticale passante per la pupilla, circa un centimetro sopra le sopracciglia. L’elettrodo
di riferimento va applicato in posizione intermedia, al centro della fronte, cioè in una
zona cutanea elettricamente inattiva perchè in corrispondenza di un osso piatto
(figura 13c).
figura 13c – Posizionamento degli elettrodi in sede frontale.
47
48
LA MISURAZIONE DELL’ATTIVITA’ ELETTRODERMICA
La pelle, l’organo più esteso del corpo umano, tanto da coprire tutta la sua superficie,
ha funzione di protezione e difesa, di regolazione della temperatura e di mediare le
sensazioni tattili e dolorifiche ricevendo e traducendo gli stimoli esterni. La pelle
dalla superficie alla profondità è definita come: epidermide, più in superficie, quindi
derma e ipoderma. In essa troviamo le ghiandole sudoripare distinguibili in ghiandole
eccrine e apocrife, vasi sanguigni, ghiandole sebacee, i bulbi piliferi e le terminazioni
nervose (figura 14).
figura 14- Rappresentazione schematica della pelle.
Nello strato più profondo della pelle, il derma, esattamente in una struttura a forma di
tubo raggomitolato, il glomerulo, viene prodotta una secrezione acquosa, a base
salina, il sudore, che sale lungo un’altra struttura a tubo, il dotto retto, fino a sfociare
49
 ampiezza (2), pari alla differenza tra il livello di base e il valore massimo della
risposta;
 durata (3), pari al tempo che intercorre tra la comparsa della risposta e il ritorno
al livello di base;
 tempo di recupero (4), pari al tempo che intercorre tra il valore massimo della
risposta e il valore che corrisponde al suo 50-60%;
 frequenza, pari al numero di risposte registrate in un dato intervallo temporale.
conduttanza cutanea
3,5
3
2,5
uS 2
1,5
1
0,5
0
3
2
4
recupero
recupero
recupero
recupero
recupero
recupero
recupero
recupero
s tress
s tress
s tress
s tress
S
T
R
E
S
S
riposo
riposo
riposo
riposo
riposo
riposo
riposo
riposo
1
figura 17 – Parametri che descrivono l’attività elettrodermica fasica (Boucsein, 1992).
Boucsein, tra gli altri (1992), sintetizzando i risultati dei numerosi studi sperimentali,
individua tre principali sedi a livello del SNC alle quali corrispondono tre diverse
componenti dell’attività elettrodermica (figura 18):
 EDA 1 (Electrodermal Activity 1), associata all’attivazione della zona
termoregolatrice dell’ipotalamo che, in generale, organizza tutta l’attività
neurovegetativa e che supporta i già citati comportamenti di “lotta-fuga”.
L’ipotalamo, a sua volta, è stimolato dall’amigdala, una struttura del sistema
53
libico che svolge la funzione di riconoscimento degli stimoli di minaccia
significativi per la persona;
 EDA 2 (Electrodermal Activity 2), associata all’attivazione delle zone corticali
pre-motorie e dai nuclei talamici, entrambe coinvolte nella preparazione di
azioni motorie specifiche;
 EDA 3 (Electrodermal Activity 3) associata, insieme all’aumento del tono
muscolare, all’attivazione del sistema reticolare attivatore ascendente che
regola lo stato generale di vigilanza.
figura 18 - Elicitazione centrale dell’attività elettrodernica (da W. Boucsein, 1996)
54
LA MISURAZIONE DELLA FREQUENZA CARDIACA
Il cuore si divide in 4 camere o compartimenti: 2 atri, destro e sinistro, nella sua parte
superiore e 2 ventricoli, destro e sinistro, nella sua parte inferiore (figura 19).
arteria aorta
vena cava
superiore
vena
polmonare
arteria
polmonare
vena
polmonare
AD
vena cava
inferiore
VD
AS
VS
figura 19 – Rappresentazione schematica della suddivisione anatomica-funzionale del cuore
Gli atri ricevono il sangue e lo spingono ai ventricoli dai quali sarà pompato
nuovamente nel circolo sanguigno.
L’atrio destro riceve dalla periferia il sangue già utilizzato per l’irrorazione dei vari
organi, e quindi carico di anidride carbonica, e lo spinge nel ventricolo destro dal
quale verrà poi pompato ai polmoni che provvederanno ad arricchire di ossigeno.
L’atrio sinistro riceve invece il sangue carico di ossigeno dai polmoni, lo spinge nel
ventricolo sinistro dal quale esso verrà poi nuovamente pompato nella rete sanguigna
che lo distribuirà ai distretti periferici per l’irrorazione dei vari organi (figura 19).
La misurazione della frequenza cardiaca, cioè del numero di battiti cardiaci per
minuto, viene effettuata a partire dalla rilevazione del potenziale elettrico del
55
muscolo cardiaco. La figura 20 mostra l’andamento temporale dell’attività elettrica
del cuore che ne rispecchia il meccanismo fisiologico.
In sintesi, il meccanismo di pompaggio che consente il passaggio del sangue tra atri e
ventricoli e dai ventricoli alla rete sanguigna avviene tramite le contrazioni non
sincronizzate di queste camere o compartimenti ovvero mediante l’accorciamento e
quindi la depolarizzazione delle fibre muscolari di cui sono costituite. A riposo,
all’interno della cellula è presente una maggiore concentrazione di ioni potassio (K+)
e anioni organici (A-), cioè prodotti intermedi dei processi metabolici della cellula.
All’esterno della cellula è invece presente una maggiore concentrazione di ioni sodio
(Na+) e
cloro (Cl-). Il risultato dell’equilibrio tra le forze elettrostatiche e di
diffusione è una maggiore presenza di ioni negativi e quindi di cariche elettriche
negative nel fluido intracellulare rispetto che in quello extracellulare (figura 21a). La
differenza di potenziale tra interno e esterno della cellula, assumendo per
convenzione il valore di quest’ultimo pari a zero, è di circa -70 millivolts (potenziale
di riposo).
fluido extracellulare
+ Na+ Cl- Na+ Na+ Cl- K+ Na+ Cl- Na+
+ - + + + + A- A- K+ A- A- K+ A- A- Na+ A- A- K+ A- + - Na
membrana cellulare
fluido intracellulare
figura 21a – Rappresentazione della distribuzione ionica all’interno e all’esterno della cellula
durante il potenziale di riposo.
Una volta eccitata, in seguito all’apertura di canali specifici per il sodio e quindi
all’ingresso di cariche positive nel fluido intracellulare (figura 21b), la differenza di
potenziale elettrico tra interno e esterno della cellula diventa positiva (~ +40
millivolts). Per depolarizzazione s’intende dunque questa brusca riduzione della
quantità di carica negativa nel fluido intracellulare e quindi della differenza di
potenziale elettrico tra l’interno e l’esterno della cellula (figura 21c).
56
fluido extracellulare
Na
+ Na+ Cl- Na+ Na+ Cl- K+ Na+ Cl- Na+
membrana cellulare
- A- K+ A- A- K+ A- A- Na+ A- A- K+ A- + - -
A
fluido intracellulare
figura 21b – rappresentazione dell’ingresso degli ioni sodio all’interno della cellula.
fluido extracellulare
Na
+ Cl- Cl- Na+ Cl- Cl- K+ Cl- Cl- Na+ Cl- Clmembrana cellulare
- Na+ K+ A- Na+ K+ A- Na+ Na+ A- Na+
A
fluido intracellulare
figura 21c – rappresentazione della distribuzione ionica, all’interno e all’esterno della cellula, dopo
l’ingresso degli ioni sodio .
Il ritmo delle contrazioni atrio-ventricolari ha origine dal nodo seno-atriale, una
regione situata nella parte posteriore dell’atrio destro del cuore, ed è scandito dalla
generazione tonica e ciclica di potenziali d’azione (le cosiddette “cellule
pacemaker”). Il nodo seno atriale è innervato da fibre del sistema nervoso autonomo
le cui afferenze simpatico-noradrenergiche, hanno un effetto eccitante-accelerante,
mentre quelle acetilcolinergiche, della branca parasimpatica, hanno un effetto
inibente-rallentante. L’onda depolarizzante, dopo essersi estesa anche all’atrio
sinistro, raggiunge il nodo atrio-ventricolare, un’importante stazione di trasmissione
dell’impulso nervoso e da qui si diffonde al sistema ventricolare attraverso il fascio di
His e la rete di Purkinje. L’onda depolarizzante può essere rappresentata da un
vettore che cambia di direzione, verso e intensità dato che, a seconda della regione
57
depolarizzata, cambia anche la qualità e la quantità delle fibre muscolari coinvolte
(figura 20).
AD
AS
VD
AD
VS
AS
VD
R
P
VS
R
P
Quando l’atrio destro viene depolarizzato, a
partire dal nodo seno-atriale, l’atrio sinistro
non è stato ancora raggiunto dall’onda
depolarizzante: quindi, la differenza di
potenziale tra parte destra e sinistra del
cuore aumenta e osserviamo che il
tracciato raggiunge l’apice dell’onda P.
AD
Quando
l’onda
polarizzante
raggiunge anche l’atrio sinistro,
gli atri sono parimenti eccitati:
quindi, la differenza di potenziale
torna nuovamente nulla.
AS
VD
AD
VS
VD
R
P
AS
VS
R
P
Analogamente accade per la contrazione ventricolare, indicata dall’onda R del tracciato,
con la sola differenza che i ventricoli comprendono più fibre e maggiormente conduttrici
(sistema di Purkinje) per cui l’onda R rispetto a quella P risulta essere più acuta, cioè più
intensa e più veloce.
figura 20 – Fasi principali che caratterizzano l’attività elettrica del cuore.
58
Nella figura 20 è rappresentata l’attività elettrica del muscolo cardiaco espressa in
differenza di potenziale tra la sua parte destra e la sua parte sinistra. Quando l’atrio
destro viene depolarizzato, a partire dal nodo seno-atriale, l’atrio sinistro non è stato
ancora raggiunto dall’onda depolarizzante: quindi, la differenza di potenziale tra
parte destra e sinistra del cuore aumenta e osserviamo nella figura in alto che il
tracciato raggiunge l’apice dell’onda P. Quando l’onda polarizzante raggiunge anche
l’atrio sinistro, gli atri sono parimenti eccitati: quindi, la differenza di potenziale
torna nuovamente nulla. Analogamente accade per la contrazione ventricolare
indicata dall’onda R del tracciato con la sola differenza che i ventricoli comprendono
più fibre e maggiormente conduttrici (sistema di Purkinje) per cui l’onda R rispetto a
quella P risulta essere più acuta, cioè più intensa e più veloce.
Questa differenza di potenziale può essere rilevata posizionando due elettrodi su zone
elettricamente attive, ad esempio alle estremità delle braccia a livello dei polsi, con
un terzo elettrodo di riferimento (derivazione bipolare) (figura 22).
figura 22 – Applicazione degli elettrodi secondo lo schema classico della derivazione bipolare per
elettrocardiogramma.
59
Le apparecchiature per la rilevazione dalla registrazione dell’attività elettrica
miocardica, prendono come riferimento del ritmo cardiaco il picco dell’onda R
(figura 23) rilevando in millisecondi il tempo che intercorre tra un suo passaggio e
l’altro (figura 24), ovvero tra una contrazione ventricolare e l’altra.
figura 23 - ECG, il complesso PQRST dell’onda elettrocardiografica.
IIB: intervallo inter-battito (si esprime in millisecondi)
R
P
figura 24 - Intervallo inter-battito (IIB).
60
R
P
A partire da questa distanza temporale (intervallo inter battito, IIB), i diversi
dispositivi
calcolano
il
valore
reciproco
ovvero
la
frequenza
cardiaca
(FC=60000ms/IIB), cioè il numero di battiti cardiaci per minuto (bpm). Altri
dispositivi, chiamati fototrasduttori, sono sensori di tipo ottico costituiti da un
emettitore e un rivelatore di raggi infrarossi; Questi, posizionati a contatto con la
cute, ad esempio dell’ultima falange di un dito qualsiasi della mano, inviano un fascio
luminoso che, sulla base del volume sanguigno sottostante, viene rifratto (vedi
capitolo “La misurazione della temperatura cutanea periferica”). Maggiore è il grado
di irrorazione dei tessuti e quindi il volume sanguigno sottostante ad essi (ampiezza
sfigmica), maggiore sarà la rifrazione del raggio luminoso. L’accoppiamento del
rilevatore ad una resistenza elettrica consente di convertire il segnale luminoso in una
variazione di voltaggio rilevata dall’apparecchiatura che calcolerà l’intervallo
temporale in millisecondi tra un segnale e l’altro, ovvero tra un passaggio e l’altro
dell’onda sfigmica in periferia e quindi della frequenza cardiaca. Un altro trasduttore,
a forma di pinza e provvisto di un pulsante da sovrapporre al punto della cute in cui
maggiormente si sente la pulsazione dell’arteria radiale, può venire posizionato sul
polso (figura 25).
figura 25 – Trasduttore a “pinza” per la rilevazione della pulsazione radiale a livello del polso.
61
Il pulsante verrà premuto ogni volta che l’onda sfigmica al suo passaggio provocherà
la dilatazione dell’arteria radiale. In questo caso, la pressione del pulsante esercita
una modificazione della resistenza elettrica del trasduttore e quindi la variazione del
segnale elettrico diretto all’apparecchiatura che calcolerà l’intervallo temporale,
sempre in millisecondi tra un segnale e l’altro, ovvero tra una pulsazione a livello
radiale e l’altra, ovvero il suo inverso, la frequenza cardiaca. Abbinando il
posizionamento degli elettrodi nella derivazione bipolare a quello di uno dei due
trasduttori prima descritti si può ottenere la misurazione di un correlato della
pressione arteriosa, attraverso la misurazione dell’intervallo di transito dell’onda
sfigmica. Questo è reso possibile dal fatto che l’apparecchiatura calcola l’intervallo
temporale, espresso in millisecondi, tra la contrazione ventricolare, indicata dall’onda
R, e l’arrivo dell’onda sfigmica in periferia, indicato dal segnale inviato dal
fototrasduttore o dalla pinza. Maggiore è la spinta che riceve l’onda sfigmica,
funzione della gittata cardiaca e della vasocostrizione delle arterie, ovviamente
presupponendo arterie pervie, minore risulterà il tempo che il flusso sanguigno
impiega per giungere ai distretti periferici per la loro irrorazione (figura 26).
frequenza cardiaca
130
110
90
70
50
BBBBBBBBBBBBBBBBBBBSSSSSSSSSRRRRRRRRRRRRRRRRRRR
STRESS
140
120
100
80
60
40
20
0
BBBBBBBBBBBBBBBBBBBSSSSSSSSSRRRRRRRRRRRRRRRRRRR
intervallo di transito dell'onda sfigmica
figura 26 – Andamenti a confronto della frequenza cardiaca e dell’intervallo di transito dell’onda
sfigmica nel corso di un PPF
62
LA MISURAZIONE DELLA TEMPERATURA CUTANEA PERIFERICA
La regolazione del flusso sanguigno ha sede, a livello del SNC, nel centro
vasomotore del bulbo che riceve afferenze dalla corteccia motoria, dal cervelletto, dal
sistema libico e dall’ipotalamo.
Le sue efferenze, attraverso la branca simpatica del sistema nervoso autonomo,
innervano la muscolatura liscia che circonda il lume di tutte le arterie, ad eccezione di
quelle coronariche e cerebrali. A livello vascolare, di interesse per la
termoregolazione, l’attivazione simpatica produce:
 rilascio di noradrenalina a livello delle terminazioni nervose che agiscono sui
recettori alfa-adrenergici dei muscoli lisci delle arterie che irrorano i tessuti
cutanei e sottocutanei ad esempio del viso, delle mani e delle dita, oltre ad altri
organi interni, quali quelli deputati allo svolgimento delle funzioni digestive e
riproduttive. L’accorciamento delle fibre muscolari determina quindi la
riduzione di calibro del vaso sanguigno, ovvero la vasocostrizione.
 rilascio di acetilcolina con conseguente aumento del calibro delle piccole
arterie che irrorano l’apparato muscolo-scheletrico, la vasodilatazione.
Questa duplice azione ha lo scopo di distribuire il flusso sanguigno privilegiando in
caso di stress l’irrorazione del sistema muscolo-scheletrico rispetto a quella dei
sistemi gastro-intestinale, riproduttivo e dei tessuti cutanei e sottocutanei periferici.
Mentre infatti l’azione vasocostrittrice produce una temporanea sospensione delle
attività metaboliche, la vasodilatazione favorisce l’incremento dell’attività muscolare
richiesta, dalla possibile attivazione della reazione di attacco o fuga.
La vasocostrizione può essere misurata, indirettamente, rilevando la temperatura
cutanea tramite un apposito trasduttore chiamato termistore, che è in genere
posizionato sulle ultime falangi delle dita (temperatura cutanea distale) (figura 27a) o
sull’eminenza ipotenare della mano (temperatura cutanea periferica) (figura 27b)
fissandolo tramite un cerotto o una fascetta di velcro facendo attenzione a non
63
premerlo troppo contro alla pelle per non produrre una vasocostrizione meccanica e
quindi una conseguente e artificiosa diminuzione della temperatura.
Un accorgimento molto utile può essere impiegare un batuffolo di ovatta, tra il
termistore e il cerotto o la fascetta di velcro, per migliorare l’isolamento termico
rispetto all’ambiente esterno.
La riduzione del volume del flusso sanguigno in corrispondenza di una reazione di
vasocostrizione comporta un abbassamento della temperatura del tessuto cutaneo e
sottocutaneo del distretto corporeo irrorato. La conseguente variazione termica della
resistenza elettrica di cui è provvisto i termistore produce una variazione del
voltaggio rilevata dall’apparecchiatura.
figura 27a - Applicazione del trasduttore (termistore)
per la registrazione della temperatura cutanea distale.
figura 27b - Applicazione del trasduttore (termistore) per la registrazione della temperatura cutanea
periferica.
64
Altri dispositivi, chiamati fototrasduttori, sono sensori di tipo ottico costituiti da un
emettitore e un rivelatore di raggi infrarossi, che posizionati a contatto con la cute, ad
esempio dell’ultima falange di un qualsiasi dito della mano, inviano un fascio
luminoso che, sulla base del volume sanguigno sottostante, viene rifratto (figura 28).
figura 28 – Fototrasduttore e suo posizionamento in sede distale per la rilevazione dell’ampiezza
del flusso sanguigno.
Maggiore è il grado di irrorazione dei tessuti
e quindi il volume sanguigno
sottostante (ampiezza sfigmica), maggiore è la rifrazione del raggio luminoso;
l’accoppiamento del rilevatore ad una resistenza elettrica consente di convertire il
segnale luminoso in una variazione di voltaggio che sarà poi rilevata da
un’apparecchiatura.
Nella figura 29 sono riportati esempi
di tracciati che degli andamenti della
temperatura cutanea periferica e dell’ampiezza dell’onda sfigmica nel corso delle tre
fasi del profilo psicofisiologico: riposo, stress e recupero.
Come è possibile osservare dalle risposte a confronto, alla presentazione e alla
cessazione dello stimolo stressante (mental arithmetic task, MAT), la variazione della
temperatura cutanea periferica risulta più lenta rispetto a quella dell’ampiezza
dell’onda sfigmica. È utile, a questo proposito, in sede di lettura e interpretazione di
65
un profilo psicofisiologico, tenere presente la latenza della risposta di questo
parametro, dato che la rilevazione della temperatura cutanea periferica, rispetto alla
fotopletismografia, è comunque una misura solo indiretta della vasocostrizione
sanguigna, per cui la latenza, ovvero il tempo che può intercorrere tra la
presentazione di uno stimolo e l’osservazione del fenomeno, ovvero la diminuzione o
aumento della temperatura, può essere anche di diversi secondi.
temperatura cutanea periferica
35,2
35
34,8
34,6
34,4
34,2
34
B B B B B B B B B B B B B B B B STRESS
BBSSSSSSSSSSSSSRRRRRRRRRRRRRRRRRR
200
150
100
50
0
BBBBBBBBBBBBBBBBBBSSSSSSSSSSSSSRRRRRRRRRRRRRRRRRR
ampiezza dell'onda sfigmica
figura 29 - Andamenti a confronto dell’ampiezza dell’onda sfigmica e della temperatura cutanea
periferica nel corso di un PPF.
66
VALUTAZIONE DIAGNOSTICA MULTIMODALE E MULTIDIMENSIONALE
IN PSICOLOGIA CLINICA
La
valutazione
diagnostica,
in psicologia
clinica,
secondo
un approccio
multidimensionale, consiste in un processo continuo di osservazione e raccolta di
informazioni per quanto possibile misurabili, quantificabili, in qualche modo
descrivibili, utili per la formulazione di ipotesi che cerchino di spiegare in modo
plausibile l’avvento, il mantenimento e l’entità del disturbo.
È possibile riassumere le principali fasi della psicodiagnosi secondo un approccio
multimodale come segue:
1. osservazione accurata del soggetto che presenta il problema;
2. accogliere, descrivere e delimitare la sintomatologia prevalente osservata,
descritta e analizzata secondo un approccio multidimensionale;
3. costruire un modello di funzionamento della persona che comprenda le
relazioni
antecedenti e conseguenti del/dei comportamenti problema
e i
meccanismi in grado di mantenerlo;
4. descrivere e analizzare gli schemi cognitivi prevalenti, il “coping”, i tratti di
personalità, le relazioni emozionali e affettive rilevanti;
5. individuare gli obiettivi intermedi prima ancora dell’obiettivo finale da
raggiungere e concordare con la persona quelli realizzabili, i tempi e i modi;
6. individuare le modalità di trattamento più appropriate riguardo alla malattia:
psicologiche, farmacologiche, miste, e alla intensità del trattamento: tipo di
farmaco e posologia o counseling, terapia di sostegno o intensiva ;
7. decidere circa la presa in carico.
La formulazione e verifica delle ipotesi diagnostiche, alla stregua di un qualsiasi
processo logico, continuo, ma non ripetitivo, non circolare, ma progressivo, a spirale,
condurrà inevitabilmente a restringere il campo verso ipotesi più proponibili.
67
Ad esempio, le impressioni e le intuizioni dopo un primo colloquio possono offrire al
clinico diversi spunti per la ricerca di ulteriori informazioni, il loro approfondimento,
la loro integrazione e la valorizzazione degli elementi salienti. Man mano che il
lavoro di analisi e comprensione del caso avanza, il modello teorico di riferimento del
clinico suggerirà le possibili soluzioni in base al modello di funzionamento interno
dell’individuo.
La diagnosi
In termini di filosofia della scienza la deduzione, l’operazione cioè di astrarre, trarre
fuori un’idea da situazioni concrete si traduce nella prassi nella ricerca di una regola
che organizzi i dati osservati. Questo, in psicologia clinica potrebbe essere tradotto in
frasi come: questi comportamenti sono innescati da … e mantenuti (rinforzati) da ….
Il processo deduttivo conduce al passo successivo, l’induzione, ovvero la
formulazione di una previsione, che, se risulterà valida nella situazione specifica,
produrrà un dato effetto, un cambiamento nella direzione desiderata a livello sia del
comportamento esterno che interno dell’individuo, delle sue cognizioni, emozioni e
modi di essere. È ovvio che il modello teorico di riferimento del clinico guiderà sia la
formulazione di un’ipotesi diagnostica adeguata che il tipo e le modalità di attuazione
degli interventi. In ogni caso la diagnosi clinico psicologica, condotta secondo un
approccio multimodale, si avvale principalmente del colloquio clinico, fulcro su cui
fa leva l’intero processo diagnostico integrato successivamente da più strumenti e
procedure per completare l’indagine del comportamento umano nella sua accezione
più ampia.
Le principali aree di interesse che andranno gradualmente indagate sono:
 i comportamenti interni: cognizioni, emozioni, pensieri, colloquio interno;
 i comportamenti esterni: espressione verbale, postura, motricità, mimica,
gestualità, modalità di relazione;
68
 le abitudini e lo stile di vita: comportamenti ricorrenti in situazioni simili, le
relazioni sociali e quelle intime;
 tratti stabili della personalità: modalità comportamentali che riflettono il
prodotto dell’interazione tra la componente genetica, temperamentale,
costituzionale e ambientale;
 sintomi e tratti psicopatologici: disposizione, tendenza ad assumere cognizioni
e praticare comportamenti clinicamente rilevanti;
 quadro neuropsicologico: valutazione delle funzioni cognitive (memoria,
attenzione, organizzazione percettiva, ragionamento);
 profilo psicofisiologico: valutazione del livello e della risposta di attivazione
neurovegetativa;
 quadro psiconeuroendocrino: esami ematochimici e dosaggi ormonali di
interesse per l’area clinico psicologica e psicopatologica.
Altra caratteristica saliente del processo di valutazione in psicologia clinica è la
multidimensionalità. Nel periodo tra gli anni ‘60 e ’70 del secolo scorso, furono
pubblicati numerosi studi che miravano alla dimostrazione dell’efficacia delle terapie
ad indirizzo cognitivo-comportamentali: alcuni autori si avvalsero di metodi di
autovalutazione, altri dell’osservazione diretta del comportamento, altri ancora di
procedure psicofisiologiche. Spesso però i risultati incoraggianti ottenuti da alcuni
venivano successivamente contraddetti o anche parzialmente smentiti da altri. Tra gli
altri Lang, (1971) condusse alcuni studi sulle fobie e, basandosi sui risultati ottenuti
propose un cambiamento di paradigma: se prima l’assunto di base aveva sostenuto
che indici soggettivi, comportamentali e fisiologici erano intercorrelati e che quindi
fosse ragionevole convalidare i dati sperimentali confrontando i diversi metodi di
rilevazione, la nuova premessa di Lang proponeva che i tre sistemi di risposta
riassunti nei termini: cognitivo-verbale, comportamentale-motorio e psicofisiologico,
pur interagendo tra di loro fossero relativamente indipendenti (Sanavio, 1991).
La descrizione e comprensione del comportamento umano in generale e del problema
oggetto di valutazione in psicologia clinica in particolare si può rappresentare perciò
69
in tre dimensioni, raffigurabili come tre coordinate diversamente orientate nello
spazio (figura 30).
È implicito che le informazioni che provengono da punti di vista diversi difficilmente
potranno essere del tutto parallele o coincidenti. È anzi, frequentemente riscontrabile,
una certa contraddizione tra i tre sistemi di risposta: per cui, nel modello
multidimensionale di psicodiagnosi non è possibile nemmeno a priori disporre le tre
coordinate tra loro ortogonali. In alcuni casi accade infatti che la proiezione di una
dimensione si perda senza incontrare nessuna delle altre dimensioni.
figura 30 – Rappresentazione geometrica del modello di valutazione multidimensionale
In
letteratura
questa
eventualità
viene
riconosciuta
con
l’espressione
di
“frazionamento della risposta”. I pazienti psicosomatici, ad esempio, manifestano un
elevato ed improprio livello di attivazione neurovegetativa che però spesso si
accompagna spesso alla negazione di un qualsiasi problema psicologico (Anderson,
1981).
Una diagnosi condotta secondo un approccio multidimensionale è in ogni caso l’unica
metodica che può consentire di impostare il trattamento terapeutico più adeguato. Tra
i vari studi si è visto, ad esempio, che le persone con fobia sociale che manifestano la
propria ansia in maniera più accentuata a livello comportamentale, traggono
maggiore beneficio dall’apprendimento di nuove abilità sociali, mentre, quelle che
70
rispondono alla situazione ansiogena di interazione con una maggiore attivazione
neurovegetativa sembrano essere più sensibili a
tecniche di rilassamento e di
biofeedback (Ost, Jerremalm e Johansson, 1981). Risultati simili sono stati ottenuti
dagli stessi autori su soggetti claustrofobici, valutati multidimensionalmente e
assegnati a trattamenti con tecniche di rilassamento e biofeedback o procedure di
esposizione in vivo (Ost, Jerremalm e Johansson, 1982).
Un altro settore di ricerca, portato avanti da Hodgson e Rachman nel campo delle
fobie (1974), ha ulteriormente evidenziato il nfenomeo della relativa indipendenza
tra i tre sistemi di risposta anche nella loro evoluzione temporale durante un
trattamento teraupetico a largo spettro. Nel caso dell’agorafobia, ad esempio, durante
un trattamento tradizionale di esposizione in vivo, sono stati osservati i primi
miglioramenti a breve termine sul piano comportamentale seguiti da quelli basati
sulle autovalutazioni e infine da quelli psicofisiologici (Mavissakalian, Michelson,
1982). Tale fenomeno, noto come desincronia della risposta suggerisce, ancora una
volta, la necessità di impiegare un approccio multidimensionale non solo in fase
diagnostica ma, anche successivamente per la valutazione dell’efficacia del
trattamento intrapreso.
L’impostazione di un piano di intervento psicologico dovrà prevedere poi una
valutazione multimodale e multidimensionale delle seguenti aree (Pruneti, 2004;
2007):
1. la gravità del problema,
2. la complessità del problema,
3. il livello di sofferenza individuale,
4. la motivazione al cambiamento,
5. gli schemi cognitivi di riferimento,
6. lo stile di coping,
7. il livello di resistenza / oppositività.
71
Gravità del problema, livello di sofferenza individuale e motivazione al cambiamento
sono tra loro strettamente connesse. Valutare la gravità del problema comporta
avvalersi del colloquio ma anche di strumenti e altre procedure standardizzate per
individuare le aree del funzionamento compromesse da un punto di vista sia
oggettivo ma anche soggettivo (livello di sofferenza individuale). Nel corso dei primi
colloqui è utile lasciare alla persona la possibilità di descrivere il problema dal suo
punto di vista, permettergli di focalizzarsi sugli aspetti salienti e esprimersi riguardo a
quando, dove e quanto è disturbante il problema.
Alcuni questionari di autovalutazione contribuiscono a quantificare lo stato di
malessere psicologico espresso tramiti sintomi di ansia, depressione, ostilità e sintomi
somatici (Symptom Questionnaire, SQ; Fava e Kellner, 1981), il livello di ansia
esperito al momento (State & Trait Anxiety Inventory – forma X1, STAI-X1,
Spielberg et al., 1983; trad. it- 1989). Altri forniscono una misura della soddisfazione
per i diversi aspetti della qualità della vita (Satisfaction Profile, SAT-P, Majani e
Calegari, 1998). In maniera più sistematica, il Cognitive Behavioural Assessment 2.0 (CBA-2.0,Bertolotti, Michielin, Simonetti, Sanavio, Vidotto, & Zotti, 1985), è in
grado di fornire un’idea circa i bisogni prioritari e quindi la gerarchia dei problemi
lamentati.
Altre procedure invece, consentono di valutare più obbiettivamente lo stato di
compromissione della persona, in primo luogo, della sua capacità di elaborare le
informazioni e, in secondo luogo, di adattarsi alle richieste ambientali. A questo
scopo un esame neuropsicologico1 per valutare la padronanza delle principali
funzioni cognitive come attenzione, concentrazione e memoria (figura 31). Una
valutazione dell’attività neurovegetativa e dello stile di risposta fisiologica alle
emozioni per mezzo del Profilo Psicofisiologico (PPF) potrà invece permettere di
descrivere lo schema di risposta e attivazione individuale allo stress configurato
dall’andamento di più parametri fisiologici come, ad esempio, conduttanza cutanea,
frequenza cardiaca, potenziale elettrico del muscolo frontale e temperatura periferica,
1
Un esame neuropsicologico può spaziare dalla semplice somministrazione di test come il Bender Visual Motor Gestalt
Test (tempo necessario 5-6 minuti) a prove molto più complesse come le scale Wechsler o la batteria Luria-Nebraska.
72
lungo tre fasi: riposo per ottenere una linea di base, stress, durante la quale è prevista
l’esecuzione di un compito mentale attivante e stressogeno e recupero per consentire
l’eventuale ripristino della linea di base iniziale.
Un quadro di compromissione a livello del funzionamento cognitivo può infatti
accompagnarsi sia ad uno stato di esaurimento funzionale che ad una esagerata
attivazione dell’organismo e quindi mostrare una condizione di adattamento
disfunzionale alle richieste ambientali. Mentre nel paziente ansioso una performance
scadente alle prove neuropsicologiche può riflettere l’effetto disorganizzante di uno
stato d’allerta eccessivamente elevato e quindi di un’attenzione focalizzata
prevalentemente su quegli stimoli percepiti come potenzialmente nocivi o non
gratificanti, nel paziente depresso, risulta più determinante l’atteggiamento dimesso
di impotenza appresa (learned helpllessness). Per livelli di arousal eccessivamente
bassi o molto elevati, l’elaborazione cognitiva delle informazioni e l’attivazione
comportamentale risultano perciò essere inefficaci, con ovvie conseguenze anche
sulla motivazione al cambiamento: Il paziente ansioso infatti, difficilmente
abbandonerà le proprie, già stabilizzate, strategie di evitamento, cos’ come, il
paziente depresso avrà già “imparato” che nessuna nuova esperienza sarà mai per lui
gratificante per cui prevarrà l’immobilità mentale oltre che verbale e motoria. In
entrambi i casi, il lavoro iniziale del clinico consisterà perciò nell’ottenere un livello
di arousal generale ottimale per quel dato soggetto necessario per ottenere un livello
basale di interazione. E questo può anche avvenire ricorrendo a prescrizioni
farmacologiche “ad hoc”, come ad esempio un ansiolitico per permettere
all’individuo un approccio meno destabilizzante al problema, o un antidepressivo o
stabilizzatore dell’umore per, al contrario, consentire un adeguato livello di
attenzione e concentrazione.
73
Funzione
Prova
cognitiva
neuropsicologica
- Attenzione
- Concentrazione
- Attenzione
- Concentrazione
- Attenzione
- Concentrazione
Matrici attentive
Trail Making (A e B)
Breve descrizione
cancellare uno o più numeri target nascosti tra altri su
un foglio
unire dei numeri o delle lettere sparsi su un foglio il
più velocemente e accuratamente possibile
nominare il colore di parole colorate in modo
Stroop Test
incongruente rispetto al significato ( es. rosso scritto
in verde)
- Attenzione
- Concentrazione,
subtest
- Memoria a breve
“Ragionamento
termine
aritmetico”
- Funzioni logico
(WAIS-R)
14 problemi aritmetici di crescente difficoltà
astratte
- Attenzione
- Concentrazione
subtest
- Memori a breve
“Memoria di cifre”
termine per
ripetizione immediata, diretta e inversa, di sequenza
di numeri di crescente lunghezza
(WAIS-R)
contenuti astratti
una serie di 90 numeri (dall’1 al 9); si chiede al
- Attenzione
- Concentrazione
Subtest
soggetto di disegnare nella relativa casella vuota il
“Associazione simboli simbolo associato a ogni numero, secondo il codice
- Memoria a breve
a numeri”
riportato nella parte superiore della scheda di
termine
(WAIS-R)
notazione
figura 31 – Alcune prove neuropsicologiche utili per la valutazione delle funzioni cognitive
implicate nella gravità del problema.
Un livello ottimale di gravità del problema, anche dal punto di vista del livello di
sofferenza individuale, e la concordanza tra informazioni soggettive, autoriferite
(livello di sofferenza individuale) e oggettive di disagio, è un altro buon indicatore
soprattutto della motivazione al cambiamento (Pruneti, 2004; 2008).
74
In alcuni casi può accadere, che un basso livello di sofferenza individuale
si
accompagni a una condizione influenzata dalla gravità del problema: ad esempio,
alcuni pazienti pur presentando un certo stato di compromissione, sia a livello del
funzionamento cognitivo, sia dello stato di attivazione neurovegetativa, che del
funzionamento sociale, possono negare le proprie difficoltà ed essere quindi poco
motivati al cambiamento. Il lavoro iniziale con queste persone dovrà perciò
focalizzarsi sull’incremento della consapevolezza di sé, cosa che è possibile tramite
un approccio graduale e non direttivo fin dal primo colloquio. Il paziente dovrà avere
la possibilità di presentare il problema dal suo punto di vista e il clinico avrà il
compito di ascoltare e restituire alla persona il contenuto espresso in termini di
situazioni-stimolo (antecedenti), comportamento in oggetto e rinforzatori positivi o
negativi come fattori di mantenimento (conseguenti).
Indagare l’area della complessità del problema significa poi valutare se il problema
sia transitorio piuttosto che stabile, cioè se è ristretto o circoscritto o se riflette una
modalità comportamentale più radicata, ascrivibile cioè al background culturale, ad
abitudini, caratteristiche di tratto, aspetti del sistema cognitivo quali schemi, stili di
coping e stile attribuzionale, e come tutto questo possa poi avere ricadute nella vita
del paziente ben al di là della sola sintomatologia o sindrome (Pruneti, 2006). Oltre al
colloquio, la consultazione di schede di rilevazione anamnestica come Cognitive
Behavioural Assessment - 2.0 (CBA-2.0; Bertolotti, Michielin, Simonetti,
Sanavio,Vidotto & Zotti, 1985) può permettere una ricostruzione del problema:
alcuni item raccolgono infatti informazioni sulla storia familiare, scolastica,
lavorativa e medica, consentendo di formulare ipotesi circa l’apprendimento e il
consolidamento delle caratteristiche più stabili del comportamento sopra citate.
Alcuni questionari di autovalutazione aiutano poi a leggere meglio il significato delle
informazioni che si riferiscono alla gravità del problema, sia soggettive che
oggettive, in termini di complessità del problema. Ad esempio, un punteggio elevato
sulla scala globale “Ansia” del Symptom Questionnaire (SQ, Fava & kellner 1981,
trad. it. 1989) o sulla State & Trait Anxiety Inventory – forma X1 (STAI-X1,
Spielberg et a. al 1983; trad. it 1989) e un quadro di iperattivazione neurovegetativa
75
valutato tramite il Profilo Psicofisiologico se associati a punteggi significativi sui
fattori del Sixteen Personality Factors Questionnaire (16PF-5, Cattell, 1994; trad. it.
2001) riguardanti l’instabilità emotiva (C-), l’inibizione (F-), la vigilanza (L+),
l’apprensività (O+) e la tensione (Q4+) o a punteggi significativi su alcune scale
cliniche del Minnesota Multiphasic Personality Inventory – 2 (MMPI-2; Hataway &
McKinley, 1989; trad. it. 1995) come “Ipocondria” (Hs) o “Psicastenia” (Pt)
consentono di orientarsi verso l’ipotesi di un disagio psicologico ascrivibile a
condizionamenti più radicati.
Anche l’indagine sulla frequenza di impiego delle principali strategie di coping
contribuisce all’approfondimento della complessità del problema. Le caratteristiche
di tratto possono infatti esprimersi in modalità abituali di fronteggiamento degli
eventi stressanti. Persone caratterizzate da instabilità emotiva, apprensività e
tensione, molto probabilmente ricorreranno piuttosto frequentemente a strategie di
coping centrate sull’emozione, finalizzate cioè a ridurre la tensione emotiva piuttosto
che a strategie di coping centrate sul problema, finalizzate cioè alla gestione e alla
soluzione del problema. Ancora, persone poco espansive e/o diffidenti possono
ricorrere più facilmente a strategie di coping centrate sul problema trascurando
l’aspetto emotivo mentre quelle piuttosto rigide e coscienziose potrebbero dimostrarsi
poco flessibili nella scelta della reazione più adatta alla situazione stressante. Inoltre
l’individuazione del pattern configurato dalla frequenza di adozione delle diverse
strategie di coping, ad esempio tramite il questionario Coping Orientation for
Problem Experienced (COPE), consente di ipotizzare se la persona abbia o meno a
disposizione una gamma sufficiente di risorse personali di fronteggiamento e
adattamento: punteggi elevati relativi a poche strategie di coping e punteggi bassi
relativi alle restanti potrebbero ad esempio indicare un dominio ristretto di abilità di
fronteggiamento oppure una rigidità che si manifesta nella scarsa capacità di adottare
quella adeguata associata all’impiego stereotipato di alcune. Contrariamente,
punteggi nella norma riguardanti la maggior parte delle strategie di coping possono
suggerire una buona flessibilità e adattabilità. Sempre per quanto riguarda la
complessità del problema anche l’esito
76
di alcune prove neuropsicologiche può
aiutare a valutare alcuni aspetti dell’intelligenza generale che potrebbero aver
contribuito a determinare o che continuano a mantenere le difficoltà attuali (figura
32):
Funzione cognitiva
- Pensiero logico-astratto
Prova
matrici di Raven
- Background culturale
subtest
- Livello di adattamento
“Informazione”
sociale
Breve descrizione
neuropsicologica
(WAIS-R)
completamento di figure individuando e
applicando la logica nascosta
quesiti di cultura generale di crescente
difficoltà
domande che chiedono di descrivere il
- Giudizio
- Livello di adattamento
sociale
subtest
“Comprensione”
(WAIS-R)
subtest
- Pensiero logico-astratto
“Analogie”
(WAIS-R)
subtest
- Pensiero logico-astratto
“Vocabolario”
proprio eventuale comportamento in
determinate situazioni, il significato di
alcuni proverbi,la conoscenza di alcune
norme sociali
individuare in cosa sono simili 13 coppie di
sostantivi
vocaboli di cui il soggetto deve spiegare il
significato
(WAIS-R)
- Capacità di comprendere una
situazione globale, di
anticiparne le conseguenze e
di valutarne le implicazioni
subtest
“Riordinamento di
storie figurate”
vignette da riordinare per formare una
storia
(WAIS-R)
figura 32 – Prove neuropsicologiche per la valutazione delle funzioni cognitive implicate nella
complessità del problema.
Anche la verifica dell’eventuale presenza di schemi cognitivi disfunzionali può
rientrare nella valutazione della complessità del problema: alcune asserzioni
77
categoriche espresse sotto la forma “se…allora…” con un rapporto di causa-effetto
possono introdurre distorsioni nel processo di elaborazione delle informazioni,
modellare l’interpretazione delle esperienze e condizionare il comportamento
rendendo la persona poco sensibile alle contingenze di rinforzo della situazione
specifica. Alcuni aspetti del sistema cognitivo in relazione con gli schemi, sono i
pensieri negativi, le distorsioni cognitive (figura 33) e le idee irrazionali (figura 34).
Un ultimo aspetto, sempre riguardante l’area cognitiva che deve essere oggetto di
indagine per la valutazione della complessità del problema è la configurazione dello
stile attribuzionale, cioè la modalità abituale della persona di inquadrare gli
avvenimenti. è infatti facilmente riscontrabile in soggetti depressi lo stile
attribuzionale seguente: locus of control interno (anziché esterno), stabilità (anziché
transitorietà) e globalità (anziché specificità). Ad esempio, un soggetto con queste
caratteristiche potrebbe riferirere: “il colloquio di lavoro che ho sostenuto è andato
male. D’altra parte non mi riesce di concludere mai niente (globalità) perché non
posseggo le capacità adeguate (locus of control interno) e probabilmente non le avrò
mai (stabilità e globalità). Un altro soggetto, con un comportamento e stile di vita di
tipo A potrebbe invece sostenere: “il colloquio di lavoro è andato male ma,
l’esaminatore era un cretino (locus of control esterno) … in ogni situazione
(globalità), e da sempre (stabilità), c’è sempre qualcuno che mi mette i bastoni tra le
ruote! Un esempio di pattern “sano” potrebbe invece essere espresso con la seguente
affermazione: “il colloquio è andato male anche perché in effetti non ero poi così
preparato come avrei voluto (locus of control interno). In questo periodo devo
ammettere di essere molto impegnato (transitorietà), altre volte sono stato più
concentrato ed in effetti è andata meglio (specificità).
Un’altra area d’indagine ai fini della programmazione di un intervento psicologico
personalizzato è la valutazione del livello di resistenza/oppositività. Alcune
caratteristiche più stabili del comportamento, valutate nei colloqui o misurate tramite
questionari di autosvalutazione, possono aiutare a stimare il grado di apertura, di
disponibilità e di adesione della persona (Pruneti, 2006; 2008).
78
Alcune abitudini e uno stile di vita stressogeno, sovrapponibili alle caratteristiche che
fanno riferimento al cosiddetto comportamento di “tipo A”, misurate ad esempio,
tramite il Pisa Stress Questionnaire (PSQ, Pruneti, 1996), possono predire un elevato
livello di resistenza/oppositività. Queste persone non hanno alcuna intenzione di
allentare il proprio ritmo di vita quotidiano e in genere non riportano al colloquio
quanto stanno male ma quanto gli altri, a volte compreso il clinico, siano d’intralcio
al raggiungimento dei loro obiettivi.
Altri aspetti più stabili del comportamento, riconducibili ai tratti di personalità,
valutabili ad esempio con questionari come il Sixteen Personality Factors
Questionnaire-5 (16PF-5, Cattell, 1994), possono costituire un ostacolo alla
collaborazione: alcune persone potrebbero assumere un atteggiamento di chiusura
perché tendenzialmente hanno difficoltà a manifestare spontaneamente la propria
emotività (espansività, fattore A del 16PF) o perché si caratterizzano per un
atteggiamento guardingo e diffidente (sospettosità, fattore L).
Altre persone ancora, potrebbero assumere un atteggiamento irrisorio, provocatorio
(astrattezza, fattore M) oppure prevaricante, addirittura ribelle (dominanza, fattore
E). Altre ancora, potrebbero dimostrarsi restie di fronte alla proposta di sperimentare
nuove esperienze (apertura al cambiamento, fattore G e Q1) o, anche se inizialmente
disponibili, poco perseveranti e incostanti (autocontrollo, fattore Q3).
Il livello di resistenza/oppositività, espresso sotto forma di atteggiamento insincero,
può essere indagato tramite le diverse scale di controllo di alcuni questionari di
autovalutazione come il già citato Sixteen Personality Questionnaire (16PF-5) o il
Minnesota Multiphasic Personality Inventory-II (MMPI-II): gli indici dello stile di
risposta del 16 PF-5: management dell’immagine, infrequenza, acquiescenza ma,
anche la scala Lie dell’Eysenck Personality Questionnaire (EPQ) valutano la presenza
di uno stile di risposta orientato a fornire una bella immagine di sé, desiderabile
socialmente. Ancora, nel MMPI-II mentre la scala K indaga la tendenza a negare
problemi, la scala F misura la volontà di esagerare, ingigantire il quadro
psicopatologico.
79
astrazione selettiva :
concentrare l’attenzione su aspetti particolari della
situazione in esame, tralasciandone altri più
importanti
inferenza arbitraria :
trarre conclusioni in mancanza di evidenze sufficienti
“ … ha guardato l’orologio …”,
“… ha sbadigliato …”,
“…ha sospirato …”,
“… ha riso …”
“ … lo sto annoiando…”,
“ … non è interessato a quello che dico ”
eccessiva generalizzazione :
adattare conclusioni derivate da eventi isolati a
“ … quello che dico … non interessa
svariate situazioni
mai a nessuno … ”
ingigantire/minimizzare :
“ … si, ho risposto bene ma la domanda
esaltare o ridurre l’importanza di eventi e situazioni.
era facile …”
Minimizzare è un processo simile a quello della
“ … ho risposto male a questa domanda,
“svalutazione” in cui le esperienze positive non
ora le cose …
vengono considerate in quanto prive di valore
non possono che peggiorare ! ”
personalizzazione :
interpretare eventi esterni in relazione alla propria
persona, in mancanza di evidenze plausibili
“ … ha interrotto il colloquio non perché
aveva un altro appuntamento ma perché
l’ho stancato …”
catastrofizzazione :
soffermarsi sulle conseguenze peggiori di una
situazione e sovrastimare la possibilità che queste si
“ … ora mi caccerà umiliandomi …”
verifichino
lettura del pensiero :
essere convinti che le persone nutrano sentimenti
negativi nei nostri confronti in assenza della benchè
“ sta pensando che sono un deficiente ”
minima prova di ciò
figura 33 – Le principali distorsioni cognitive: descrizione e esempi (modificata da Beck, 1978).
80
doverizzazioni :
“ io devo sempre essere all’altezza, in ogni
situazione “
insopportabilità, intolleranza :
“ non posso sopportare di essere stato così
criticato dall’esaminatore”
giudizi totali su di sé e/o sugli altri
catastrofizzazione :
“ sono un fallito “, “ è una persona spregevole “
“ è terribile che io non abbia saputo rispondere a
quella domanda “
indispensabilità, bisogni assoluti
“ io ho assolutamente bisogno di essere
approvato, sempre “
figura 34 – Alcuni esempi delle principali idee irrazionali (modificata Ellis, 1962).
81
82
PSICOFISIOLOGIA E VALUTAZIONE PSICOFISIOLOGICA
La psicofisiologia si occupa dello studio delle relazioni tra il comportamento, interno
o esterno dell’individuo, e le connessioni tra questo e il sistema nervoso autonomo
(SNA), il sistema nervoso centrale (SNC) il sistema psiconeuroendocrino (PNEI).
Tradizionalmente la nascita della psicofisiologia, come la psicologia fisiologica, si fa
risalire alla seconda metà dell’800, nel periodo cioè in cui la psicologia si affranca
dalle altre discipline per avvalersi dell’approccio e dei principi d’indagine del metodo
scientifico.
Quattro sono le colonne portanti sui cui si regge il metodo scientifico:
1. oggettività: la possibilità cioè che due o più persone, poste nella stesse
condizioni, riescano ad effettuare la stessa osservazione. È fondamentale che a
questo scopo i costrutti psicologici siano tradotti in termini operativi, in
comportamenti osservabili (operativizzazione), scevri da ogni interpretazione o
personalizazzione.
2. variabile: ogni oggetto o evento presenta diverse caratteristiche e proprietà.
Queste possono assumere stati differenti, una variabile è perciò il risultato della
traduzione della proprietà di un fenomeno in termini empirici, attribuendo ad
essa una definizione operativa, ed utilizzando una procedura standard per la
rilevazione (operativizzazione), in questo modo si potrà parlare di modalità e
di valori e non più in stati.
3. controllo: nello studio della relazione tra una variabile indipendente e quella
dipendente è necessario annullare l’effetto di variabili potenzialmente influenti
sulla variabile dipendente.
83
4. misurazione: le proprietà degli oggetti posti in osservazione sono associate alle
proprietà dei numeri: che però devono utilizzati propriamente perché
l’osservazione scientifica abbia un senso. Si distinguono:
 Scala nominale: i numeri sono etichette e classificano.
 Scala ordinale: i numeri sono ranghi, posizioni e ordinano gli oggetti.
 Scala a intervalli equivalenti: i numeri corrispondono al numero di unità
di misura di distanza da uno zero relativo, convenzionale.
 Scala a rapporti equivalenti: i numeri corrispondono alla distanza,
espressa in unità di misura, dallo zero assoluto (assenza della
caratteristica).
Il primo ricercatore che introdusse questo nuovo paradigma in psicologia fu
sicuramente Wundt che studiò i “contenuti di coscienza”, ovvero i costrutti
psicologici secondo la terminologia dell’epoca, ricercandone le loro basi fisiologiche
e denominando non a casa questa nuova “scienza”: “psicofisica”. In psicofisiologia la
variabile
indipendente, cioè quella
manipolata dallo sperimentatore, è il
comportamento mentre quella dipendente è una o più funzioni fisiologiche ad esso
correlate e osservabili. Ad esempio, la richiesta di risolvere un problema, anche
mentalmente, può provocare un aumento della frequenza cardiaca, così come nello
sforzo fisico.
Al contrario, in psicologia fisiologica, in neurofisiologia e in neuropsicologia la
variabile indipendente, cioè quella controllata dallo sperimentatore, è una specifica
condizione fisiologica dell’organismo. Ad esempio, soggetti che presentano una
lesione cerebrale in sede frontale perseverano nel rispondere erroneamente allo stesso
quesito nonostante le correzioni precedentemente fornite. Mentre il paradigma
d’indagine della psicofisiologia è di tipo correlazionale quello della psicologia
fisiologica è di tipo causale. Si può infatti sostenere quasi con certezza che un
comportamento perseverativo sia causato da un danno cerebrale acquisito come un
trauma cranico, mentre non si può ritenere il problema posto al soggetto come di per
sé in grado di provocare un aumento della frequenza cardiaca. In psicofisiologia
84
perciò è possibile specificare la relazione tra comportamento e funzioni fisiologiche
tramite l’approfondimento delle variabili indipendenti e di quelle intervenienti in
gioco: ad esempio, lo sperimentatore potrebbe controllare la difficoltà del compito, la
sua durata ma anche la motivazione, le abilità cognitive e l’emotività del soggetto per
ricercare la “rete” di possibili concause e processi in grado di produrre il fenomeno.
Negli ultimi anni le metodologie applicate al campo della ricerca in psicofisiologia
clinica ha scoperto e descritto alcuni principi concettuali quali l’equilibrio
autonomico (autonomic balance), legge dei valori iniziali (law of initials values),
abituazione e rimbalzo.
Il concetto di equilibrio autonomico, introdotto da Wenger (Wenger, 1966; Wenger e
Cullen, 1972) si riferisce al rapporto tra il livello di attivazione delle due branche del
SNA. Wenger descrisse un metodo di calcolo che consente di ricavare un indice
numerico in grado di esprimere la predominanza del simpatico sul parasimpatico o
viceversa. A tale scopo vengono misurati parametri fisiologici come l'attività
elettrodermica, la frequenza cardiaca, la pressione arteriosa, la frequenza e ampiezza
respiratoria e la salivazione. Un punteggio elevato corrisponde a una prevalente
dominanza parasimpatica e caratterizza individui vagotonici. Un punteggio basso,
invece, contraddistingue individui simpaticotonici, in cui cioè prevale in generale
l'attività della branca simpatica del SNA. Mentre bassi punteggi sembrano predire
una maggiore vulnerabilità per disturbi sia fisici che psicologici e associarsi a diversi
quadri clinici (disturbi d'ansia, alcune forme di schizofrenia, ipertensione, cefalea,
disturbo antisociale di personalità e disturbo da deficit di attenzione e iperattività),
alti punteggi sembrano invece più caratterizzare un quadro generale di salute mentale
e fisica.
La legge dei valori iniziali (Wilder, 1967) descrive l'influenza del livello di
attivazione neurovegetativa basale sulla risposta allo stimolo stressante presentato.
Maggiore è il primo, minore sarà l'ampiezza della seconda (“ceiling effect” o “effetto
tetto”) e viceversa, ovvero, maggiore sarà l’attivazione di base già presente
nell’individuo, ad esempio una pressione arteriosa o una frequenza cardiaca già
elevata, minore sarà il picco di attivazione.. Analogamente, più è basso il livello di
85
attivazione a riposo, minore sarà il decremento dei valori se al soggetto sarà invece
presentato uno stimolo rilassante (“floor effect” o “effetto pavimento”). Sembra che
questa regola sia particolarmente rispettata da parametri cardiaci, vascolari e
respiratori mentre attività elettrodermica e salivazione risultano più indipendenti da
essa. Il fenomeno noto come “abituazione” consiste nella riduzione dell'ampiezza o
della frequenza della risposta di un parametro fisiologico alla presentazione continua
nel tempo di stimoli omogenei per modalità sensoriale (visivi, uditivi, ecc.), durata,
frequenza e intensità. Il “rimbalzo” è invece l'assestamento del livello di attivazione
neurovegetativa, successivamente alla presentazione dello stimolo, a valori inferiori
rispetto a quelli che avevano caratterizzato l'attività di base.
Altri principi
metodologici riguardano specifici patterns di attivazione neurovegetativa. Alcune
ricerche hanno dimostrato che, per la maggior parte degli individui, categorie di
stimoli specifiche elicitano configurazioni di risposte fisiologiche specifiche
(specificità della risposta allo stimolo o stimulus-response specificity).
emozione
RABBIA
PAURA
DEPRESSIONE
sistema limbico
nucleo centrale
dell'amigdala
nucleo basale
dell'amigdala
solco dell'ippocampo
comportamento
lotta
fuga
ritiro
pressione arteriosa ↑↑↑ pressione arteriosa ↑
pressione arteriosa ↔
frequenza cardiaca ↑↑↑ frequenza cardiaca ↑
frequenza cardiaca ↔
noradrenalina
↑↑↑ noradrenalina
↑
ACTH
↑↑↑
pattern
adrenalina
↑
adrenalina
↑↑↑
cortisolo
↑↑↑
neuroendocrini
renina
↑↑↑ cortisolo
↑
endorfine
↑↑↑
testosterone
↑↑↑
testosterone
↓
cortisolo
↔
catecolamine
↔
figura 35 – Pattern comportamentali e neuroendocrini di tre emozioni fondamentali: rabbia, paura e
depressione (Henry, 1986).
Per primo, Ax (1953), verificò la specificità dell'attivazione fisiologica di fronte a
situazioni stimolo emotigene: mentre la paura si distingue per risposte fisiologiche
86
che necessitano di una maggiore produzione di adrenalina, la rabbia sembra
caratterizzarsi invece una maggiore richiesta di noradrenalina.
Più recentemente, Henry (1986) ha illustrato come rabbia, paura e depressione
corrispondano a pattern di attivazione neurofisiologici e neuroendocrini caratteristici.
Nella figura 35 sottostante una sintesi schematica del suo contributo.
Lacey e coll. (1963) condussero un esperimento che prevedeva la registrazione della
frequenza cardiaca e della conduttanza cutanea in soggetti sottoposti all'esecuzione di
compiti differenti: alcuni richiedevano di porre attenzione a stimoli visivi (flash di
luce), uditivi (rumore bianco), scene di recitazione drammatica, altri di eseguire
calcoli a mente, sillabare al contrario, costruire frasi o ricevere stimolazioni dolorose
(cold-pressor test). Mentre le variazioni della conduttanza cutanea si dimostrarono
omogenee, quelle relative alla frequenza cardiaca risultarono bidirezionali: nella
maggior parte dei soggetti si osservò un'accelerazione del battito cardiaco durante i
compiti che richiedevano un'elaborazione cognitiva dello stimolo e un rallentamento
invece in corrispondenza dei compiti di attenzione (figura 36). Lacey e coll. (1967)
definirono tale fenomeno “frazionamento direzionale”.
100
50
0
-50
-100
Fr
Ar
Pc
Do
Re
Dr
Ru
Fl
FC (+)
75
90
70
80
40
15
30
20
FC (-)
-25 -10 -30 -20 -60 -85 -70 -80
figura 36 – Percentuale di soggetti con accelerazione (+) o rallentamento (-) della frequenza
cardiaca alla presentazione di flash di luce (Fl), di rumore bianco (Ru), di scene di
recitazione drammatica (Re), alla costruzione di frasi (Fr), all'esecuzione di calcoli a
mente (Ar), alla pronuncia di sillabe al contrario (Pc) e a stimolazione dolorosa (Do)
(modificata da Lacey e coll., 1967).
87
Anche Sanavio e Bettinardi (1984) hanno confermato che compiti mentali rispetto
alla semplice presentazione di stimoli, costituiscono stressors differenti: gli autori
hanno osservato un generale quadro di attivazione simpatica durante sia l'esecuzione
del calcolo mentale (sottrazione seriata) che il completamento del Reattivo delle Frasi
da Completare di Sacks (Riva, 1969). La presentazione di stimoli acustici (rumore
bianco) e segnali minaccianti shock elettrici ha prodotto il succitato fenomeno di
frazionamento direzionale caratterizzato principalmente da decelerazione della
frequenza cardiaca (figura 37).
STIMOLI
SOTTRAZIONE
SERIATA
FRASI DA
COMPLETARE
RUMORE
BIANCO
Conduttanza
cutanea
Potenziale
elettrico del
muscolo frontale
Temperatura
periferica
Frequenza
cardiaca
↑↑↑
↑↑↑
↑
↑↑↑
↑↑↑
↑↑↑
↔
↑
↓↓↓
↓↓↓
↓↓↓
↓↓↓
↑↑↑
↑↑↑
↓
↓
SHOCK
ELETTRICI
figura 37 – modificata da Sanavio, E., Bettinardi, O. (1984). Parametri psicofisiologici e cognitivoverbali: contributo alla validazione di un “Profilo di stress”. Atti del V Congresso Nazionale di
Biofeedback e Medicina Comportamentale “Approccio integrato psicobiologico alla terapia e alla
riabilitazione”. Milano: Liviana Editrice.
Fu sempre Lacey a fornire il primo contributo circa la cosiddetta specificità della
risposta individuale (individual response stereotypy): egli osservò che una buona
percentuale di soggetti, indipendentemente dallo stimolo presentato o compito
eseguito, rispondeva attraverso un pattern personale, di attivazione neurovegetativa.
Nella figura 38 è rappresentato lo schema tipico di risposta autonomica che
caratterizza i pazienti ipertesi. I valori assunti dai diversi parametri fisiologici (FC=
frequenza cardiaca, PA=pressione arteriosa, TEMP=temperatura cutanea periferica,
EMG=potenziale elettrico del muscolo frontale, RESP=frequenza respiratoria e
88
EDA=attività elettrodermica) durante la presentazione degli stimoli attivanti,
stressanti, sono espressi in punti z, cioè in numero di deviazioni standard rispetto al
valore medio a riposo.
calcolo mentale
diapositive
speech test
imagery
1
0,8
0,6
0,4
0,2
0
-0,2
-0,4
FC
PA
TEMP
EMG
RESP
EDA
figura 38 - Schema tipico di risposta neurovegetativa in un campione di pazienti ipertesi.
Come si può osservare dal grafico, la massima reattività viene espressa dalle variabili
cardiovascolari. In particolare, la pressione arteriosa sembra costituire il parametro
eletto a rappresentare la risposta di stress del paziente iperteso. Inoltre,
generalizzando a tutti i disturbi psicosomatici (ipertensione, emicrania e cefalea
censiva, gastrite e colite cronica, ecc.), l’organismo sembra attivarsi in maniera
stereotipata indipendentemente dallo stressor.
Il riflesso di orientamento e il riflesso di difesa (Pavlov, 1927; Sokolov, 1963; Lacey,
1967) corrispondono a schemi di attivazione neurovegetativa corrispondenti a
situazioni stimolo specifiche. Il riflesso di orientamento è la risposta dell’organismo a
stimoli che presentano caratteristiche di novità. La sua funzione adattiva consiste
nell’ “orientare”, appunto, l’organismo verso lo stimolo nuovo, sia esso una novità
assoluta o presenti una variazione significativa rispetto al contesto (ad esempio una
porta che sbatte in casa). L’organismo si prepara, quindi e si organizza ad esplorarlo,
ad analizzarne il contenuto e il significato e ne possono risultare un certo numero di
attività fisiologiche:
89

modifica del tracciato elettroencefalografico che si manifesta attraverso
un’attivazione corticale (arousal), ovvero il passaggio da un ritmo lento a uno
rapido elettroencefalografico (desincronizzazione);

dilatazione pupillare (midriasi) per favorire l’esplorazione visiva;

si dilatano i vasi sanguigni cefalici, per favorire i processi metabolici che
supportano le attività di elaborazione cognitiva svolte dalle strutture corticali e
sotto-corticali del sistema nervoso centrale (vasodilatazione cefalica);

si dilatano i vasi sanguigni che irrorano la cute delle dita (vasodilatazione
digitale), per favorire i processi metabolici che supportano le attività di
esplorazione tattile;

si mette in moto una risposta bifasica di decelerazione prima e di
accelerazione poi della frequenza cardiaca;

aumenta la conduttanza cutanea per permettere, tra l’altro, un veloce
raffreddamento del corpo quando sottoposto ad uno stress metabolico con
conseguente aumento della temperatura. Alcuni autori sostengono poi che la
funzione adattiva dell’attività elettrodermica sia quella di acuire la sensibilità
tattile, aumentare la ricettività agli stimoli e quindi favorire l’esplorazione
ambientale.
Il riflesso di difesa è invece la risposta dell’organismo a stimoli che presentano
caratteristiche di minaccia per la persona. La sua funzione adattiva consiste
principalmente nel preparare e organizzare un comportamento atto ad affrontare o
evitare un pericolo imminente. L’organismo mobilita e attinge dalle proprie riserve
energetiche attraverso tutta una serie di attività fisiologiche:

i vasi sanguigni che irrorano la cute delle dita (vasocostrizione distale) e, in
generale la periferia del corpo (vasocostrizione periferica) si restringono, e quelli
che irrorano le strutture corticali e sottocorticali dell’encefalo (vasocostrizione
cefalica). Contemporaneamente, si dilatano i vasi sanguigni che irrorano la
90
muscolatura striata. L’organismo favorisce così la preparazione di un’azione
immediata finalizzata alla sopravvivenza;

aumenta la frequenza cardiaca, la pressione arteriosa, la frequenza e
l’ampiezza respiratoria. L’organismo velocizza e intensifica così l’apporto di
ossigeno necessario per la combustione degli zuccheri che forniscono l’energia
indispensabile per il lavoro muscolare;

aumenta il tono muscolare di base così che l’organismo è teso e pronto
all’azione;

aumenta ancora l’attività elettrodermica e , mentre nel riflesso di
orientamento la risposta della conduttanza cutanea manifesta abituazione, ovvero
si riduce di ampiezza dopo ripetute stimolazioni della stessa qualità, intensità e
frequenza, nel riflesso di difesa, la risposta della conduttanza cutanea presenta un
andamento incrementale o costante e un tempo di recupero maggiore (Edelberg,
1973).
Il Profilo Psicofisiologico
Il profilo psicofisiologico (PPF) è una delle procedure impiegate per la valutazione
dell’influenza del comportamento sulla risposta di neurovegetativa di stress (Fuller,
1979; Sanavio & Bettinardi, 1984; Sanavio, 1985; Zotti, Bettinardi, Soffiantino,
Gavazzi & Steptoe, 1991; Hoehn, 1997). Le risposte fisiologiche a cui si fa
riferimento sono il prodotto di variazioni biochimiche che avvengono nelle vie
nervose e nei muscoli, durante le quali si generano potenziali elettrici. Per differenza
di potenziale
(tensione o voltaggio, V) s’intende la concentrazione di cariche
elettriche opposte in due punti detti poli, e si misura in volt. Le differenze di
potenziale elettrico sono rilevabili attraverso sensori metallici, o elettrodi, posizionati
al di sopra (macroelettrodi di superficie, macroelettrodi di superficie) o al di sotto
della pelle (elettrodi ad ago). La misurazione di un qualsiasi potenziale bioelettrico
91
richiede la presenza di due elettrodi, ne consegue che la tensione registrata è in realtà
la differenza di potenziale tra i due elettrodi.
Se invece l’attività fisiologica monitorata ha un carattere non elettrico, ad esempio la
temperatura periferica, sarà necessario utilizzare dei trasduttori che convertono i
segnali non direttamente rilevabili come differenza di potenziale in potenziali
elettrici. Le risposte biologiche considerate generalmente determinano fenomeni di
entità limitata, dell’ordine dei microvolt, l’apparecchiatura di rilevazione sarà dunque
fornita di un amplificatore in grado di aumentare l’ampiezza del segnale lasciandone
inalterate le caratteristiche salienti. Il segnale può essere visualizzato secondo due
modalità: la modalità analogica in cui vengono rappresentate in modo continuo le
variazioni di ampiezza in funzione del tempo, e la modalità digitale in cui il segnale
continuo viene convertito in un formato discreto, numerico (computer) (figura 39).
figura 39 - Apparecchiatura per la rilevazione del profilo PPF (ditta Satem, Roma).
Il PPF consiste nella registrazione simultanea di alcuni parametri fisiologici in genere
articolata in tre fasi consecutive: “riposo”, “stress” e recupero”.
92
Per eseguire un PPF è necessario disporre di una stanza silenziosa e priva di stimoli
distraenti. Ad esempio, presso un centro medico, dato che l’ambulatorio di psicologia
clinica sarà circondato da altri studi polispecialistici e si affaccerà sulla sala d’attesa,
può essere utile affiggere fuori dalla porta un cartello di avviso della registrazione in
corso e di invito a non entrare, a non bussare e a mantenere il silenzio. Nella stanza, è
importante staccare il telefono, ma anche invitare il paziente a spegnere il suo,
informare il personale della segreteria e invitarlo a non inoltrare telefonate.
È fondamentale inoltre che l’ambulatorio sia provvisto di dispositivi, meglio se
elettronici per il controllo automatico della temperatura, da contenere tra i 18° C e i
22° C, e del tasso d’umidità, da mantenere al di sotto del 50%, tramite apposito
apparecchio estrattore. Mentre infatti ad un ambiente troppo freddo l’organismo
risponde con un incremento del tono muscolare e vasocostrizione, quindi con un
conseguente abbassamento della temperatura cutanea periferica, ad un ambiente
troppo caldo esso risponde con un incremento della secrezione di sudore e
vasodilatazione, ovvero con un aumento della temperatura cutanea periferica.
Le condizioni fisiche del setting clinico non devono quindi sollecitare l’organismo a
produrre una risposta volta a ristabilire l’omeostasi perché questa impedirebbe di
riconoscere l’attivazione neurovegetativa a riposo e quella elicitata dallo stimolo
stressante previsto e somministrato dallo psicologo. Oltre alla predisposizione del
setting, è importante preparare adeguatamente la persona informandola del contenuto
e del significato della procedura, si potrebbe dire ad esempio: “ . . . si tratta di una
breve registrazione che sarà utile per capire quanto il suo corpo è stato stressato
nell’ultimo periodo e come di solito reagisce allo stress . . . a questo scopo misurerò
la tensione dei muscoli, il battito del cuore, la sudorazione e la temperatura delle
mani . . . inizialmente la lascerò riposare, poi, dopo qualche minuto, le chiederò di
svolgere un compito a mente . . . quando la interromperò, la inviterò nuovamente a
riposarsi . . . “.
La persona viene quindi invitata a sdraiarsi su un lettino oppure a sedersi su una
poltrona. Questa deve disporre di braccioli ampi, poggiatesta e schienale reclinabile,
93
in modo da permettere al paziente di assumere una posizione sufficientemente
comoda, naturale.
Successivamente si provvede a pulire la pelle con un batuffolo di cotone e alcol,nelle
zone dove saranno applicati i diversi sensori, elettrodi e trasduttori, quindi si
provvederà ad impostare l’apparecchiatura per la registrazione e monitorare
l’andamento dei valori dei vari parametri
fisiologici. A questo proposito, è
importante descrivere con parole semplici la funzione dei dispositivi impiegati allo
scopo di rassicurare circa la non invasività e l’assoluta non nocività della procedura: “
. . . adesso le strofinerò la pelle con questo batuffolo di cotone imbevuto di alcool
etilico, ho bisogno di pulirle la pelle per migliorare la qualità della registrazione . . . i
fili che le sto attaccando e l’apparecchiatura servono solo per registrare da Lei alcune
funzioni fisiologiche e Lei è completamente isolato dalla rete elettrica . . . “.
La fase preliminare sopra descritta può essere definita di “adattamento” in quanto si
le informazioni utili e lascia trascorre il tempo necessario alla persona per abituarsi
alla novità della situazione. Trascorso questo periodo, della durata di circa 4-5 minuti,
inizia la registrazione articolata nelle seguenti 3 fasi:
1) “riposo”, di circa 6 minuti, durante la quale si registra l’attività fisiologica di base,
ovvero in assenza di stimolazioni, per valutare lo stato di attivazione neurovegetativa
di base, tipico della persona o almeno associato all’ultimo periodo della sua vita.
Al soggetto viene generalmente chiesto di chiudere gli occhi, per ridurre al minimo
possibile le fonti di distrazione, di rimanere fermo, per evitare la registrazione di
artefatti, e di aspettare tranquillamente le successive istruzioni. La fase “riposo” può
essere eventualmente prolungata di qualche minuto nel caso i valori di uno o più
parametri fisiologici non si fossero ancora assestati. Viene anche suggerito di non
parlare e di segnalare eventuali necessità come, ad esempio, la necessità di tossire,
alzando l’indice della mano “libera”, ovvero di quella dove non sono posizionati gli
elettrodi.
2) “stress”, di circa 4 minuti, durante la quale si registra l’attività fisiologica in
condizioni di stress indotto, mentre il soggetto è impegnato nello svolgimento di un
94
compito o sottoposto a stimoli ansiogeni, per valutare il tipo di risposta
neurovegetativa (figura 40).
figura 40 - Esempio di posizionamento di elettrodi e sensori per l’esecuzione di un profilo
psicofisiologico (PPF).
Tra i diversi stimoli stressanti (stressors), uno dei più semplici e diffusi è la
sottrazione seriata (mental arithmetic task, MAT), che consiste nel sottrarre una cifra
(es. 13) da un numero elevato di quattro cifre, ad esempio 1007, e di continuare a
ripetere l’operazione su ogni risultato ottenuto (Sanavio & Bettinardi, 1984).
Allo stesso scopo possono essere impiegate anche prove di tipo “problem solving” o
di ragionamento logico e analogico come ad esempio, le matrici progressive colorate
di Raven (CPM47) nella loro versione computerizzata. Questa prova, oltre a
mantenere elevato il livello di attenzione per tutta la sua durata, grazie alla
presentazione di stimoli visivi e sonori attivanti e rinforzanti, offre anche
95
l’opportunità di superare eventuali inconvenienti inerenti le procedure di
somministrazione ed il ruolo dell’esaminatore (Pruneti, 1995). La figura 41 illustra
una schermata del programma in cui viene presentata una delle matrici progressive
colorate di Raven.
figura 41 - Versione computerizzata delle matrici progressive colorate di Raven (CPM47).
Il soggetto viene invitato a osservare bene la figura principale e a scegliere, tra i
diversi pezzi a disposizione, quello che la completa. In alcune matrici è necessario
individuare la logica sottostante la composizione della figura principale.
La prova risulta attivante grazie a stimoli visivi e uditivi: il soggetto viene sollecitato
a rispondere velocemente da un cronometro digitale e da un grafico a barre che
rappresenta il tempo che rimane a disposizione per rispondere. In più, un segnale
sonoro (beep) aumenta di frequenza e di intensità man mano che trascorrono i
secondi. La persona può rispondere digitando su una tastiera il numero del tassello
scelto o utilizzando un mouse e quindi “trascinando” il pezzo sulla figura principale.
96
È prevista inoltre l’elargizione di rinforzatori per rendere il compito più motivante e
quindi attivante: se la risposta è corretta, la schermata successiva sarà di colore verde
e presenterà la scritta “bravo!”, altrimenti, in caso di insuccesso, la schermata sarà
rossa e presenterà la scritta “hai sbagliato, riprova!”.
In figura 43a sono rappresentati i valori medi, a riposo e durante stress indotto,
utilizzando la presentazione della versione computerizzata delle CPM4712, di un
gruppo di soggetti con infarto acuto del miocardio (IMA) e un gruppo di controllo
(GC) (Pruneti, 1995).
tensione muscolare
conduttanza cutanea
µS
25
20
15
10
5
0
µV
IM A
GC
riposo
12,09
5,9
stress
19,57
9,75
frequenza cardiaca
bpm
100
80
60
40
20
0
12
10
8
6
4
2
0
IM A
GC
riposo
4,4
2,3
st ress
9,91
3,4
temperatura cutanea periferica
33
°C
IMA
GC
riposo
64,4
70,2
stress
84,3
82,2
31
29
IMA
GC
riposo
31,37
32,7
stress
30,92
32,1
figura 42a – Da: Pruneti, C. (1994). Presentazione e valutazione psicofisiologica di una versione
computerizzata delle CPM di Raven. Bollettino di Psicologia Applicata, 210, 41-47.
2
La versione computerizzata delle CPM47 è un software sviluppato a livello sperimentale, è stato sviluppato in
collaborazione con L’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR di Pisa.
97
I grafici (figura 42a) dimostrano che la prova delle CPM47 è in effetti risultata in
grado di attivare la risposta dei 4 parametri in entrambi i gruppi e di mettere in
evidenza il maggior livello di attivazione neurovegetativa del gruppo di pazienti
infartuati. In figura 42b è rappresentato il tracciato medio del parametro conduttanza
cutanea dei due gruppi (GC e IMA).
98
Nel corso di un PPF vengono solitamente registrati contemporaneamente più
parametri fisiologici, tra questi, i più frequentemente utilizzati, sono: il potenziale
elettrico del muscolo frontale (EMG), la temperatura cutanea periferica (THE), la
frequenza cardiaca (HR) e la conduttanza cutanea (GSR).
La scelta di monitorare e misurare più funzioni riguardanti l’attività neurovegetativa
del soggetto è giustificata dalla constatazione che spesso queste possono assumere un
andamento discordante. In alcuni casi infatti una condizione di iperattivazione
neurovegetativa si può manifestare attraverso un solo parametro fisiologico: ad
esempio, più del 70% delle persone affette da cefalea censiva o vasomotoria
presentano anche a riposo un livello di tensione muscolare dei muscoli frontali e
prefrontale più elevato, una risposta più marcata allo stress e un recupero incompleto
o assente dello stesso parametro. Analogamente, nei casi di ipertensione essenziale,
spesso i soggetti manifestano una disregolazione della risposta fisiologica di stress
ben riconoscibile dall’andamento dei valori della pressione arteriosa.
Tenendo quindi presente che, in alcuni casi, un solo parametro fisiologico è in grado
di esprimere in maniera più spiccata degli altri una condizione di iperattivazione
neurovegetativa, si potranno avere:
 i valori di uno o più parametri fisiologici, registrati a riposo, che risultano
elevati (EMG > 2-3 µV, GSR > 6 µS, HR > 80 bpm, THE < 30° C). Si ricorda
che in genere la condizione fisiologica di base riflette il carico di stress cui
l’organismo ha dovuto far fronte nell’ultimo periodo (circa 3 mesi);
 i valori di uno o più parametri fisiologici, durante la registrazione a riposo,
invece di assestarsi gradualmente per un fenomeno di abituazione, presentano
un assetto lento, incostante, fluttuante o assente.
 uno o più parametri fisiologici, alla presentazione dello stress, si caratterizzano
per una risposta immediata e di elevata ampiezza.
 uno o più parametri fisiologici, al termine della procedura, presentano un lento,
incostante o assente ripristino dei valori iniziali nel corso della fase “recupero”.
99
Il profilo di “rilassamento”
Il Profilo di rilassamento è una procedura impiegata spesso nella fase di assessment
della terapia dei disturbi da stress poiché consente di valutare, in base alla
registrazione e monitorizzazione dei valori assunti dai diversi parametri fisiologici, la
capacità del soggetto di rilassarsi. In base a questo tipo di verifica il clinico decide se
e quanto sia necessario dirigere la terapia verso l’acquisizione di tecniche specifiche
per migliorarla.
L’auto-rilassamento costituisce una risorsa importante poiché permette alla persona
di rigenerarsi dopo i disordini causati da reazioni massive di adattamento che
sottopongono l’organisma a tensioni ab0 1 56.64 ormi dovute al prolungamento ddllo stato di
100
Ciò che differenzia l’auto-rilassamento da un compito di aritmetica mentale è
l’ambiguità del primo rispetto alla precisione del secondo.
Nel compito aritmetico di sottrazione per sette da mille ciò che intuitivamente risulta
stressante non è tanto la sua difficoltà, dato che esso consente al soggetto di avere la
certezza dell’esattezza del risultato, quanto la sua durata e persistenza; il soggetto è
costantemente impegnato per tutta la durata della prova.
Il compito di auto-rilassamento lascia spazio alla libertà di mettere in pratica la
modalità abituale e personale di rilassarsi e, in questo senso, dovrebbe risultare
piacevole o, perlomeno non impegnativo. In esso, tuttavia, il soggetto non è in grado
di valutare obiettivamente la propria prestazione in termini di efficacia: i resoconti
soggettivi relativi alle sensazioni di benessere infatti non ricevono sistematicamente
conferma dagli indicatori biologici. Essa potrebbe essere possibile solo se al soggetto,
come avviene nel corso di una seduta di biofeedback, giungesse un segnale
(feedback) acustico, visivo, tattile che indicasse l’andamento delle proprie funzioni
biologiche coinvolte nella risposta di rilassamento.
Il soggetto può mal tollerare l’assenza di una specifica strategia che lo metta in grado
di riuscire perfettamente e di un riferimento oggettivo indicatore dell’esito dei propri
tentativi. In altre parole alcuni soggetti risentono più di altri della necessità di seguire
istruzioni inequivocabili e di attenersi ad un modello di comportamento da loro
giudicato affidabile e per questo frequentemente reiterato.
D’altra parte essi trascurano il fatto che per quanto efficace esso possa risultare in un
determinato contesto, se adoperato in un altro non necessariamente si dimostrerà
altrettanto valido.
Anche nel Profilo di stress si offre al soggetto la possibilità di rilassarsi ma ciò
avviene conseguentemente alla sospensione della prova, nella fase di recupero, ed
alla mancanza di prescrizioni, nella fase in cui si registra la linea di base.
La prescrizione dell’auto-rilassamento, “Cerchi di rilassarsi il più profondamente
possibile” (Arena et al., 1983) implica una sollecitazione, una mobilitazione e perciò
si oppone decisamente alla semplice assenza o cessazione dell’attività caratteristiche
della prima e dell’ultima fase. In altri termini ciò che viene richiesto implicitamente e
101
celato dall’assenza di specifiche istruzioni nella prima e nella terza fase, in quella
centrale viene reso esplicito. Prescrivere l’auto-rilassamento è, intuitivamente, di per
sé una pratica paradossale: rilassarsi ed eseguire un ordine sono comportamenti che si
escludono mutuamente, che di fatto non possono avvenire contemporaneamente.
Tuttavia ciò non impedisce ad alcuni soggetti di “sforzarsi” in maniera funzionale e
di riuscire nella prova. Anchisi (1996), a conferma di ciò, osserva che se nella fase
centrale della procedura il modo di rilassarsi risulta disfunzionale, si può ipotizzare
che vi sia soggiacente uno stile generale del soggetto eccessivamente perfezionistico,
che produce ulteriore stress.
Il valore euristico del “Profilo di rilassamento” consiste nella possibilità di valutare
obiettivamente come il soggetto interpreta ed affronta un compito la cui natura è
ambigua e nel quale è possibile riuscire solo ignorandone l’aspetto prescrittivo e
competitivo.
102
PSICOFISIOLOGIA DEI DISTURBI D’ANSIA
Edoardo Ercolini, Federico Fontana e Carlo Pruneti3
Esistono vari metodi e tecniche d’indagine per indagare gli aspetti psicofisiologici
degli individui. Solitamente questi metodi sono non invasivi ed innocui e talvolta
possono essere “economici” e di facile utilizzo. Generalmente si possono distinguere
metodi di rilevazione di tipo elettrico e di tipo non elettrico.
Metodi di rilevazione di variabili bioelettriche
L’Elettroencefalogramma
La scoperta di fenomeni elettrici come fondamento dell’attività delle cellule nervose
e muscolari risale agli studi di L. Galvani e della moglie alla fine del ‘700.
Solo nel 1877, però, Caton pubblicò sul British Medical Journal un articolo in cui
descriveva l’esistenza di campi elettrici fluttuanti di minima ampiezza nel cervello
del coniglio. Questo dato non suscitò l’interesse del mondo scientifico fino a quando
lo psichiatra tedesco Hans Berger, nel 1929, non riuscì a registrare nell’uomo
un’attività elettrica ritmica per mezzo di elettrodi applicati sullo scalpo, creando le
basi
di
una
tecnica
denominata
Elettroencefalografia
(EEG),
che
si
è
progressivamente approfondita e consolidata negli anni.
I progressi tecnologici della seconda metà dello scorso secolo hanno enormemente
facilitato le procedure di acquisizione, l'amplificazione, la registrazione e
l’elaborazione
del
segnale
bioelettrico
cerebrale
fino
alla
completa
computerizzazione della metodica in tutte le sue sofisticate applicazioni attuali. Si è
passati così dalla registrazione dell’attività elettrica cerebrale spontanea, che ha
permesso di riconoscere le caratteristiche del tracciato nelle diverse condizioni
fisiologiche (veglia/sonno), nelle varie età e nella patologia, allo studio delle
3
Dipartimento di Psicologia, Università Degli Studi di Parma
103
modificazioni dell’attività cerebrale spontanea a seguito di stimolazioni multimodali
(Potenziali correlati ad eventi o Event Related Potentials).
Quindi possiamo definire l’elettroencefalogramma come una registrazione grafica nel
tempo delle spontanee, autonome e continue fluttuazioni dei potenziali elettrici
cerebrali, rilevata da elettrodi di superficie (Zani, 1982).
Si dispongono a contatto del cuoio capelluto due o più elettrodi che registrano i
minuscoli potenziali elettrici derivanti dal cervello. Raccolti dagli elettrodi questi
ultimi vengono amplificati e trascritti su un foglio di carta scorrevole per essere poi
sottoposti ad un’analisi quantitativa. Le ritmiche e transitorie oscillazioni elettriche
che compongono il tracciato elettroencefalografico assumono, infatti, diverse bande
di frequenza, che per la loro costanza periodica sono contraddistinte da lettere
dell’alfabeto greco (α,β,γ,δ,ΰ). Queste ultime indicano ognuna una determinata classe
di oscillazioni, distinte l’una dall’altra in base a delle caratteristiche differenziali,
quali la forma, il periodo, la localizzazione, ma soprattutto la loro frequenza e
ampiezza.
La frequenza indica il numero di cicli completi compiuti dalle oscillazioni elettriche
cerebrali in un arco di tempo prestabilito, generalmente un secondo, e viene per
questo espressa in cicli per secondo (c/s).
Il periodo o lunghezza d’ onda rappresenta il reciproco della frequenza e indica il
tempo necessario affinché una singola oscillazione compia un ciclo completo e torni
nuovamente al punto di partenza. Maggiore è la lunghezza d’onda minore è la
frequenza.
L’ampiezza, espressa in micro-volts
(µV), indica la misura aritmetica della
grandezza delle onde che compongono le diverse bande di frequenza. Si considerano
o le deviazioni dalla linea di base o la distanza dal picco di un’onda sino al picco
dell’onda successiva di polarità opposta.
Il termine localizzazione esprime, infine, la diversa distribuzione che ogni ritmo
possiede sulla superficie registrabile della volta cranica, come venne già dimostrato
in modo conclusivo nel 1935 dai risultati di Kornmuller, secondo i quali registrando
da zone craniche diverse si ottengono forme d’onda diverse.
104
Onde alpha (α). Sono costituite da una serie di onde sincrone con frequenza variabile
tra gli 8 e i 13 c/s. La frequenza media,però, si aggira sui 10 c/s. A seconda delle
differenze individuali e dell’area cerebrale di registrazione, l’ampiezza di queste onde
varia tra i 5 e i 100 µV ma oscilla mediamente tra i 50 e i 60 µV. Sul tracciato esse
appaiono solitamente quando il soggetto, pienamente sveglio, rimane mentalmente e
fisicamente rilassato a occhi chiusi. Questo ritmo è abbastanza generale e distribuito
sul cuoio capelluto anche se non in modo uniforme. Caratteristiche onde alpha di
voltaggio crescente in senso cefalico antero-posteriore sono presenti in tutte le aree
cerebrali. Esse però raggiungono il massimo voltaggio sulle regioni parieto-occipitali
e, di solito, gli stimoli visivi hanno la maggior efficacia per la loro scomparsa.
L’apertura degli occhi o la somministrazione di stimoli visivi ad occhi chiusi sono
infatti le più comuni procedure di laboratorio per provare la reattività delle onde
alpha. E’ questo il metodo, cioè, per produrre la desincronizzazione o blocco del
ritmo alpha: si osserva un accorciamento del ritmo alpha, che si modifica in un ritmo
di maggior frequenza. Questo fenomeno è ritenuto indice di attivazione cerebrale
generale e di attenzione vigile.
Il termine desincronizzato si riferisce ad un tracciato con onde poco ampie e di
frequenza elevata, il che indica che la popolazione di neuroni attivata
simultaneamente è piuttosto ristretta; ciò testimonia l’aumento dell’attività cerebrale
globale (attivazione) e coincide con un aumento della vigilanza salvo che nel caso del
sonno paradossale.
Il ritmo sincronizzato si manifesta con un tracciato ad onde ampie e lente che
dimostra l aumento del numero di neuroni attivi simultaneamente e la diminuzione
dell’attività cerebrale globale. (Birbaumer, 1996).
Onde beta (β). Questa banda d’onda ha uno spettro di frequenza oscillante tra i 18-24
c/s ed un’ampiezza piuttosto modesta. Anche l’ampiezza è ridotta infatti solo
raramente supera i 10 µV. Come l’attività alpha, essa è distribuita sulla maggior
parte del cuoio capelluto mostrando però un voltaggio massimo sulle aree precentrale
e frontale della volta cranica. Essa si presenta tipicamente soprattutto nello stato di
105
allerta. Rappresenta, infatti, l’attività rapida che sostituisce il ritmo alpha dopo la sua
desincronizzazione.
Altri tipi d’ onda.
Le onde gamma (γ) sono tipiche oscillazioni elettriche la cui
frequenza spazia tra 30 e 50 c/s e la cui ampiezza è simile alle onda beta. entrambe
identificate da Grey-Walter, le cosiddette onde delta e theta sono presenti solo
raramente nel tracciato dei soggetti normali in stato di veglia. Le onde delta (δ) sono
onde lente di grossa ampiezza ( da 20-30 sino a parecchie centinaia di µV) con una
frequenza di 0.5-3.5 c/s. Compaiono di solito sia in caso di severe sindromi
neurologiche, quali ad esempio tumori cerebrali, che negli stati di sonno lento o
profondo. Le onde theta (ΰ) sono invece onde lente con frequenza di 5-7 c/s tipiche
delle regioni frontali e temporali. Sono spesso presenti in bambini con disordini
comportamentali. Si ricordano infine le onde kappa con frequenza di 8-12 c/s ed
ampiezza di circa 20 µV. Esse sono correlate allo svolgimento di compiti intellettivi.
I Potenziali Evocati
I potenziali evocati (PE) rappresentano le variazioni dell’attività elettrica cerebrale
prodotte da uno stimolo esterno. E’ per questo che recentemente si è diffusa
l’espressione “potenziali connessi ad un evento” (event-related potentials) per
indicare tutte le variazioni dell’attività elettrica cerebrale sincronizzate con la
presentazione di uno stimolo o con un’attività psicologica e comportamentale.
L’insieme di queste variazioni si divide però, più precisamente, in potenziali evocati
(PE) o risposte evocate (evoked potentials o responses) prodotti da stimoli esterni
appartenenti alle diverse modalità sensoriali (visiva, uditiva, somestetica) e potenziali
lenti (slow potentials) (PL) costituiti da variazione di potenziale precedenti o
concomitanti con un’attività psicomotoria svolta dal soggetto.
La distinzione fra componente esogena e componente endogena nei potenziali evocati
è moto importante e merita di essere approfondita (Birbaumer, 1996).
Il termine esogeno si riferisce ad una risposta che:
-compare entro i primi 70 msec. dallo stimolo
-mostra una distribuzione sullo scalpo specifica per il tipo di stimolo
106
-si manifesta con le stesse caratteristiche di latenza, ampiezza e distribuzione
topografica indipendentemente dal significato psicologico dello stimolo e quindi
mostra una certa stabilità intraindividuale
-ha caratteristiche di latenza e ampiezza che dipendono dai parametri fisici dello
stimolo. Può essere ottenuta anche con bassi livelli di coscienza.
Dopo 70 msec. dallo stimolo la forma delle risposte appare sempre più uniforme e
praticamente indipendente dalla modalità dello stimolo
Queste componenti tardive sono, infatti, espressione di un’attività di elaborazione
delle informazioni in arrivo in rapporto, ad esempio, ai processi mnestici o all’attività
di attenzione e selezione dello stimolo.
Queste operazioni variano in rapporto al contesto, al compito, agli obiettivi, alle
istruzioni e così via.
Questo tipo di risposte costituisce la componente endogena dei potenziali evocati ed
ha le seguenti caratteristiche :
-distribuzione topografica ampia sullo scalpo e non specifica come nel caso delle
componenti esogene
-assenza di relazione diretta con le caratteristiche fisiche dello stimolo usato
-dipendenza dallo stato psicologico, dall’impegno cognitivo indotto dal compito, dal
setting sperimentale ecc..
Il potenziale evocato è costituito da un complesso di onde la cui interpretazione non è
sempre facile e la cui morfologia varia conformemente alla modalità sensoriale
utilizzata. La latenza, la forma e l’ampiezza delle onde che compongono un
potenziale evocato uditivo sono, per intenderci, alquanto diverse da quelle delle onde
di un potenziale evocato visivo.
Graficamente le onde dei potenziali evocati hanno “picchi” (peaks) positivi e negativi
indicati rispettivamente come componenti positive (P) e negative (N). le lettere
maiuscole P e N rappresentano cioè la polarità della componente specifica, mentre
l’ordine seriale di comparsa delle componenti della stessa polarità si indica con dei
numeri sottoscritti alla lettera.
107
Tra le componenti più studiate del potenziale evocato ricordiamo la N100 e la P300.
Intorno ai 100msec. compare un picco negativo (N100) seguito da un picco positivo
(attorno ai 160-200 msec.). Queste componenti vengono sempre evocate da uno
stimolo esogeno ma possono variare in funzione della complessità dello stesso e
dell’attenzione prestata.
La P300 compare ad una latenza di circa 300msec. dallo stimolo ed è
prevalentemente legata ai processi cognitivi di elaborazione dello stimolo; essa non si
presenta necessariamente in risposta a stimoli esogeni, ma è piuttosto legata a
processi psicologici indotti dallo stimolo. La P300 è pertanto influenzata dalla
possibilità o dalla prevedibilità dello stimolo e dalla sua significatività cognitiva o
affettiva.
Metodi di rilevazione per immagini
Tomografia assiale computerizzata
La tomografia assiale computerizzata (TAC) è una tecnica di diagnosi radiologica che
ha permesso di avere un’immagine della struttura normale e patologica
dell’encefalo,senza utilizzare metodi invasivi.
Il metodo consiste in un fascio di scansione a raggi X che viene proiettato sul cranio
del soggetto e mosso in un’area di 360 gradi in modo da attraversare sezioni
progressive del cervello del paziente.
Utilizzando il fascio di raggi X a diverse altezze è possibile ottenere immagini di
diverse sezioni del cervello del paziente e il cui studio può portare all’identificazione
di eventuali alterazioni patologiche della struttura cerebrale (ad es. tumori, coaguli
ematici, dilatazione dei ventricoli, ecc.).
La TAC è prevalentemente usata per l’analisi neurologica, in quanto fornisce
immagini statiche del cervello. Questa limitazione è particolarmente rilevante in
psicologia in cui l’interesse è rivolto principalmente alle funzioni cerebrali, quindi ai
processi dinamici del cervello.
108
Tomografia ad emissione di positroni
Nella tomografia ad emissioni di positroni (PET) viene iniettato nel circolo sanguigno
del paziente una sostanza normalmente metabolizzata dal cervello (glucosio) marcata
radioattivamente da un isotopo radioattivo a vita breve (18F desossigluocosio).
Questa molecole radioattive emettono particelle chiamate positroni, le quali, entrando
in collisione con elettroni nelle zone in cui la sostanza iniettata è metabolizzata,
generano particelle radioattive luminose evidenziabili grazie ad un rilevatore di
immagini. La particolarità di questa tecnica consiste nella possibilità di ottenere
immagini dinamiche del funzionamento del cervello, poiché il computer è in grado di
convertire gli impulsi luminosi in immagini a colori, in cui le diverse gradazioni
cromatiche rappresentano zone cerebrali con differenti tassi metabolici nella
sostanza, quindi, con distinti livelli di attivazione.
Nonostante questo la velocità di analisi è comunque troppo lenta per seguire i rapidi
processi dell’elaborazione dell’informazione.
Risonanza magnetica nucleare
La risonanza magnetica nucleare (RMN), rispetto alla TAC offre notevoli vantaggi
pratici, poiché non utilizza radiazioni ionizzate potenzialmente nocive; inoltre
permette di ottenere sezioni in tutti i piani dello spazio e immagini assai nitide e
ricche di dettagli anatomici di regioni dell’encefalo inaccessibili o mal distinguibili
dalla TAC.
Con questo metodo possono essere mostrate la densità e i tempi di decelerazione di
protoni eccitati magneticamente nel cervello umano.
Schematicamente ogni nucleo si comporta come un piccolo magnete; se il capo è
posto in un campo magnetico esterno costante il protone si orienterà di conseguenza.
Un secondo campo magnetico ad alta frequenza viene poi utilizzato per disturbare
questo allineamento facendo ruotare per un certo tempo i protoni-magneti.
109
I tempi di decelerazione di tale rotazione dipendono dal tessuto che è costante così
come la velocità di rotazione di un giroscopio è modificata dal mezzo in cui è
immerso.
Dato il range di questi tempi di rotazione ci vogliono dai 0.5 ai 2.5 secondi per
ottenere una singola misura e circa 20 minuti per creare una rappresentazione grafica
di 6000 punti.
La risoluzione spaziale, benché limitata dal disturbo termico non è compromessa
dalla scarsa conduttività del corpo umano, è enormemente elevata.
Gli effetti delle correnti indotte dai campi magnetici alternati sono sconosciuti ma
sembrano essere irrilevanti.
Altre metodiche
Magnetoencefalografia
Il movimento di cariche elettriche produce un campo elettrico e, inoltre, un campo
perpendicolare al precedente.
La magnetoencefalografia (MEG) sfrutta questo principio diventando un importante
strumento per localizzare i generatori elettrici (e i relativi campi magnetici) nel
cervello, offrendo un accesso diretto all’attività neuronale, cioè alle singole unità
fisiche che elaborano l’informazione.
Questa operazione può avere anche un’elevata risoluzione temporale, nell’ambito di
msec, per cui l’attività magnetica può essere messa in relazione con le funzioni in
atto.
Questa tecnica è inoltre assolutamente sicura e relativamente semplice. (Birbaumer,
1996)
110
Disturbo di Panico: correlati neurofisiologici e psicofisiologici
I pazienti affetti da disturbo di panico, o disturbo da attacco di panico (DAP) secondo
il DSM IV-TR (APA, 2000), presentano un’elevata attivazione simpatica. Ora, visto
che la branca simpatica controlla l’incremento della frequenza cardiaca, in questa
tipologia di pazienti ci aspetteremo una ridotta variabilità cardiovascolare. McCraty
et al. (2001) hanno verificato quest’ipotesi monitorando l’attività cardiaca di un
gruppo di soggetti con Disturbo di Panico, per un periodo di 24 ore tramite un holter
e confrontando i risultati con quelli ottenuti con un gruppo di controllo. Gli autori
hanno trovato, conformemente all’ipotesi di partenza che la variabilità della
frequenza cardiaca è nettamente inferiore nei pazienti con Disturbo di Panico. Questo
porta a confermare l’ipotesi che alla base del Disturbo di Panico ci sia principalmente
una forte attivazione simpatica. Questi risultati sono anche concordi con l’alto tasso
di morbilità e mortalità a seguito di disturbi cardiovascolari in questa popolazione. A
questo proposito Lavoie et al. (2004) comparano un gruppo di pazienti con disturbi
cardiovascolari e con Disturbo di Panico con un gruppo di persone che presentano
anche loro disturbi cardiovascolari ma non il Disturbo di Panico. Anche qui è stata
misurata la variabilità cardiovascolare, ma per un periodo di 48 ore. L’unico dato
significativo che esce da questo studio è una bassa potenza delle componenti HF
(high frequency) e LF (low frequency) della variabilità cardiovascolare nei pazienti
affetti da Disturbo di Panico. La potenza HF è la componente mediata dalla
respirazione e riflette la modulazione simpatica della frequenza cardiaca. Mentre la
componente LF riflette sia l’attività simpatica sia parasimpatica. Questi risultati, pur
confermando che solo una parte della variabilità cardiovascolare è implicata nel
Disturbo di Panico, confermano che alla base del Disturbo di Panico vi è una forte
attivazione simpatica. Resta da stabilire se quest’ultima sia da attribuirsi ad un difetto
della modulazione simpatica, ad un’ipoattività parasimpatica, o infine, ad
un’interazione tra questi due fenomeni.
Shioiri et al. (2004) hanno misurato il flusso e la pressione sanguigna e la frequenza
cardiaca durante una stimolazione audiovisiva in soggetti con Disturbo di Panico e in
111
soggetti non ansiosi. Ne è risultato che vi è una differenza significativa tra i due
gruppi che si manifesta in una ridotta variabilità sia della pressione arteriosa che della
frequenza cardiaca (intervallo interbattito).
Comunque studi successivi (Alvarenga, et al. 2006) hanno portato prove che
ridimensionano l’influenza del sistema simpatico nel Disturbo di Panico. Infatti, gli
studi precedenti si erano tutti concentrati sulla variabilità cardiovascolare, dando
importanza, che questi autori considerano eccessiva, al nervo vago, responsabile della
frequenza cardiaca. Nella ricerca di Alvarenga et. (2006), oltre alla variabilità
cardiovascolare, è stato misurato il livello ematico di noradrenalina e adrenalina. I
risultati parlano di un elevato livello di noradrenalina nei pazienti affetti da Disturbo
di Panico, probabilmente dovuto anche ad un deficit nel meccanismo di reuptake di
questa sostanza, che può essere in grado di provocare, amplificando il segnale
sinaptico a livello cardiaco, due possibili effetti: uno è di sensibilizzare il cuore,
inducendo lo sviluppo della sintomatologia DAP e, secondariamente, potrebbe
contribuire ad eventuali eventi cardiaci negativi una volta che il Disturbo di Panico di
è instaurato.
Oltre alla frequenza cardiaca una componente fisiologica importante è rappresentata
dalla respirazione. Wilhem et al. (2001) hanno dimostrato che i pazienti DAP
presentano delle alterazioni del sistema respiratorio, tra cui una minor stabilità
fisiologica, sempre rispetto ad un campione di soggetti non DAP in molti valori
come: la frequenza respiratoria e la quantità di aria inspirata. Gli autori notano che
questa instabilità respiratoria si manifesta specificatamente nei soggetti affetti da
Disturbo di Panico e che quindi potrebbe essere un marker per differenziare il panico
da altri disturbi d’ansia.
A livello cognitivo è stato ipotizzato che alla base dei disturbi d’ansia vi siano degli
errori, o comunque delle disfunzioni. Ad esempio alcuni hanno ipotizzato che vi sia
un incremento della distraibilità per le informazioni irrilevanti nei pazienti affetti da
Disturbo di Panico, Disturbo Ossessivo-Compulsivo, ipocondria. Per esempio van
den Heuvel et al. (2005) comparando un gruppo di persone ansiose con diagnosi che
comprendono Disturbo di Panico, Disturbo Ossessivo - Compulsivo, e ipocondria
112
osservandole
tramite
risonanza
magnetica
funzionale
eseguita
durante
la
presentazione sia di immagini ansiogene sia neutre, hanno sostanzialmente
confermato l’ipotesi suddetta. Specificatamente per il Disturbo di Panico, questo
studio ha evidenziato che i correlati neuroanatomici di questa distraibilità sono da
ricercarsi nel sistema frontale-striatale e nel sistema libico (figure 6, 7a, 7b).
Pauli et al. (2005) usando la metodologia dei potenziali evocati hanno scoperto che
nei pazienti affetti da Disturbo di Panico, la presentazione di parole panico-correlate
provoca la comparsa precoce di potenziali (circa 100-200 msec.) rispetto al gruppo di
controllo in cui si registrano potenziali dopo circa 200-400 msec. Questo dimostra
che nei pazienti DAP vi è una maggiore reattività per gli stimoli ansiogeni. Questo
può essere considerato come un errore di elaborazione cognitiva molto efficiente,
automatico e probabilmente non consapevole. Comunque questi sono solo i primi dati
e ulteriori sono necessari prima di poter trarre delle conclusioni più precise.
Disturbo Ossessivo - Compulsivo: correlati neurofisiologici
Per quanto riguarda i correlati neurofisiologici del Disturbo Ossessivo – Compulsivo
(DOC), negli ultimi anni sono stati effettuati molti ed interessanti studi sulle possibili
strutture anatomiche coinvolte nel disturbo, sia attraverso i potenziali evocati che la
risonanza magnetica funzionale (fMR) che la Tomografia ad emissione di fotone
singolo, meglio conosciuto con l'acronimo SPECT (dall'inglese Single photon
emission computed tomography )4.
Papageorgiou e Rabavilas (2003) hanno studiato la componente P600 dei potenziali
evocati. Questa onda, che è generata e/o modulata principalmente dal giro del cingolo
anteriore e dai gangli della base, è considerata un indice dell’elaborazione
dell’informazione di “secondo grado” avendo molto in comune con la memoria di
4
è una tecnica tomografica di imaging medico della medicina nucleare che adopera la radiazione ionizzante nota come
raggi gamma. È molto simile all'imaging "planare" della medicina nucleare convenzionale per il fatto che adopera una
gamma camera. Comunque, è in grado di fornire veri dati biotopologici in 3D. Questa informazione viene tipicamente
presentata come sezioni assiali "a fetta" del paziente, ma la potente elaborazione delle immagini computerizzata può
facilmente essere riformattata in sezioni sagittali o coronali oppure, a seconda delle necessità, essere manipolate con
tecniche di sottrazione di alcune strutture e la ricostruzione perfettamente roteabile della struttura isolata da studiare.
113
lavoro. Ora, le disfunzioni di queste strutture cerebrali, così come deficit nella
memoria di lavoro, è stato dimostrato che abbiano implicazione nella fisiopatologia
del Disturbo Ossessivo - Compulsivo. Questo studio ha registrato la componente
P600 durante la somministrazione di un compito sulla memoria di lavoro, sia in
soggetti non ansiosi e soggetti ossessivo - compulsivi. I risultati sono che nella
regione temporo - parietale vi è un’ampiezza più grande e una più duratura latenza
nella regione parietale destra della componente P600 nei pazienti rispetto al controllo
questi dati indicano che i pazienti presentano delle anomalie a carico
dell’elaborazione delle informazioni di secondo livello.
Alcuni studi neuropsicologici hanno mostrato una disfunzione cognitiva nei pazienti
affetti da Disturbo Ossessivo-Compulsivo. Precisamente questa disfunzione si
manifesta in un’abilità cognitiva ridotta (Cavedini et al. 1998) risultato di un basso
livello dell’attività inibitoria della corteccia frontale (figure 7b e 9). Sanz et al. (2001)
hanno ipotizzato che questo deficit potrebbe riflettersi in un’anomalia della
componente P300. Infatti questi autori hanno provato che in pazienti affetti da
Disturbo Ossessivo-Compulsivo vi è una riduzione dell’ampiezza di questa
componente. Questo interferiva con lo svolgimento del compito richiesto facendo
aumentare, rispetto al gruppo di controllo, i tempi per le risposte le quali diventavano
più incerte. Dopo un trattamento a base di farmaci serotoninergici, sia la componente
P300 sia le prestazioni cognitive sono aumentate. Questi risultati portano a
concludere che l’indecisione a rispondere, tipica degli ossessivo-compulsivi, possa
dipendere da un basso livello di serotonina nella regione frontale che si riflette in una
bassa reattività della componente P300.
Per quanto riguarda l’inibizione Roth et al. (2007), attraverso una risonanza
magnetica funzionale, hanno dimostrato che nei soggetti non ansiosi mostrano,
durante la risposta di inibizione comportamentale, un’attivazione che è pressoché
totalmente lateralizzata nell’emisfero destro e include il giro frontale inferiore. In
contrasto il gruppo dei pazienti ossessivo-compulsivi mostra un’attivazione più
diffusa a livello bilaterale che include sia i giri frontali inferiori, destro e sinistro, sia
una serie di altre strutture frontali e posteriori. Sempre durante la risposta di
114
inibizione i pazienti ossessivo-compulsivi mostrano una correlazione inversa tra i
sintomi e attivazione nell’area orbito-temporale e giro del cingolo anteriore (figura
7b), e una correlazione positiva tra i sintomi a attivazione corticale talamica e
posteriore. I risultati indicano che gli ossessivo-compulsivi presentano una sotto
attivazione del circuito frontale-striato-talamo-corticale durante la risposta di
inibizione.
I dati suggeriscono anche che il talamo (tabella e figura 6) e i suoi circuiti possa
giocare un ruolo nell’espressione e nell’intensità dei sintomi, mentre le regioni
frontali inferiori potrebbero essere coinvolte nella soppressione dei sintomi.
Kim et
al.
(2007)
ricercando
i correlati elettrofisiologici dell’inibizione
comportamentale caratteristica di questo disturbo hanno trovato che durante
l’esecuzione di un compito GO/NO-GO i pazienti manifestavano una riduzione
dell’ampiezza delle componenti P300 E P200 nella regione frontale. Gli autori
propongono che questa disfunzione nella regione frontale medi la risposta di
inibizione nei soggetti affetti da Disturbo Ossessivo-Compulsivo. Inoltre la
componente N200 si è rivelata una misura accurata dell’inibizione in questa tipologia
di pazienti.
Un coinvolgimento dell’ippocampo (figura 6 e 7b) è stato riscontrato Hashimoto et
al. (2008). Registrando la componente P50, un’onda che risponde a stimoli uditivi e
che si pensa sia generata dall’ippocampo (Tregellas, et al. 2007) si nota una riduzione
dell’ampiezza in soggetti ossessivo-compulsivi nell’esecuzione di un compito. Quindi
una riduzione di ampiezza
della P50 rispecchierebbe una riduzione dell’attività
dell’ipotalamo. Tuttavia le implicazioni di tutto ciò nel Disturbo OssessivoCompulsivo sono tutte ancora da chiarire.
Gli studi sui potenziali evocati (EP) o sui potenziali correlati ad eventi (ERP) hanno
messo in evidenza il ruolo della corteccia frontale, che aumentando la sua attivazione
induce un’accelerazione dei processi attentivi e cognitivi. Nei pazienti ossessivocompulsivi è stato ipotizzato che via sia un’iperattivazione della corteccia frontale.
Questa disfunzione potrebbe riflettersi nella componente P300, più specificatamente
nelle sue sub-componenti P3a e P3b. Mavrogiorgou et al. (2002) hanno rilevato che
115
la sub-componente P3a non presenta differenze tra il gruppo dei pazienti e il gruppo
di controllo, mentre i soggetti con Disturbo Ossessivo-Compulsivo presentano una
più larga ampiezza e una più breve latenza della componente P3b limitatamente,
però, all’emisfero destro. Questa componete, che è generata prevalentemente nella
giunzione temporo-parietale, è associata all’attenzione e alle funzioni cognitive
superiori, mentre la componente P3a è associata a reazioni di orientamento
aspecifiche. Le anomalie trovate in questi pazienti nella P3b potrebbero essere un
correlato elettrofisiologico di un’iperattenzione e di veloci processi cognitivi dovuti
ad elevati arousal e funzione noradrenergica.
Kivircik et al. (2002) hanno cercato le prove di anomalie dell’elaborazione cognitiva
utilizzando sia prove neuropsicologiche, sia registrando potenziali corretti ad eventi.
Nello specifico, per quanto riguarda i ERPs è stata studiata la componente P300. I
risultati sono stati che il gruppo dei pazienti mostrava una minor durata dei potenziali
della P300, che potrebbero indicare o un accelerazione dei processi relati al questa
componente, o un’accelerazione dei processi cogniti, o una disfunzione dei circuiti
cortico-sottocorticali o, infine, una combinazione tra tutti questi.
Il ruolo della corteccia frontale è stato sottolineato da uno studio di Lacerda et al.
(2003) che utilizzando una tomografia ad emissione di singoli fotoni (SPECT) hanno
registrato il flusso sanguigno in questa regione sia in ossessivo-compulsivi sia in
soggetto non affetti da questa patologia. Sono risultate essere quattro le regioni
cerebrali che presentano un incremento significativo del flusso sanguigno cerebrale in
caso di Disturbo Ossessivo-Compulsivo la corteccia frontale superiore ed inferiore
destra e il talamo destro e sinistro. Inoltre è emersa una correlazione positiva tra la
gravità dei sintomi (misurata attraverso i punteggi del Clinical Global Impression) e il
flusso sanguigno cerebrale nei lobi frontali e nei gangli della base destri. I
comportamenti compulsivi sono correlati inversamente correlati al flusso sanguigno
nel talamo destro.
Anche se la fisiopatologia del Disturbo Ossessivo-Compulsivo rimane controversa,
un dato che sembra acquisito è la forte implicazione del circuito corteccia frontalestrutture sottocorticali.
116
Comunque queste regioni non sono state studiate attraverso risonanza magnetica fino
al lavoro di Kang et al. (2004). Questi autori erano interessati alle dimensioni
volumetriche delle aree coinvolte nel Disturbo Ossessivo-Compulsivo. Ne è risultato
un volume ridotto dell’area orbito-frontale sinistra in questi pazienti. Inoltre la
grandezza della corteccia orbito-frontale è stata correlata negativamente alla gravità
della sintomatologia. Quindi questi risultati indicano che un’anomalia strutturale di
queste regioni è implicata nella fisiopatologia del disturbo d’ansia ossessivocompulsivo.
Alterazioni strutturali sono state trovate anche da Pujol et al. (2004), in particolare
sono emerse una riduzione del volume della sostanza grigia nella parte mediale del
giro frontale, la corteccia orbito-frontale mediale e la regione insulare sinistra. Mentre
un relativo incremento del volume della materia grigia è stato osservato nella parte
più ventrale del putamen e nella parte anteriore del cerebellum (tabella e figura 6).
Questi autori tuttavia non hanno trovato correlazione tra queste alterazioni e la
gravità, natura dei sintomi e comorbilità. Comunque pazienti con una notevole
gravità dei sintomi mostrano anche un volume ridotto dell’amigdala nell’emisfero
destro.
La corteccia orbito-frontale è una regione cerebrale che facilita la flessibilità dopo
feedback negativi. Per questo ha assunto un ruolo centrale nei modelli che tentano di
spiegare le basi neurobiologiche del Disturbo Ossessivo-Compulsivo. Questi modelli
postulano che vi sia una disfunzione, un malfunzionamento della corteccia orbitofrontale che impedirebbe al soggetto di modulare le reazione cognitive e
comportamentali in risposta a eventi negativi. In questo filone si colloca anche lo
studio di Chamberlain et al. (2008) da cui risulta un’anomala riduzione
dell’attivazione della corteccia orbito-frontale in pazienti ossessivo-compulsivi,
durante un compito che implicava la presentazione di una stimolazione a valenza
negativa.
Se nei soggetti affetti da Disturbo Ossessivo-Compulsivo si nota un’anomala
riduzione dell’attivazione della corteccia orbito-frontale, nella corteccia frontale
mediale si nota un anomalo incremento dell’attivazione. La corteccia frontale mediale
117
comprende il cingolato dorsale anteriore l’area motoria supplementare ed è una zona
critica per il controllo dell’inibizione comportamentale. Prove di questo aumento di
attivazione sono venute dal lavoro di Yucel et al. (2007) i quale i registrano appunto
un aumento dell’arousal e postulano che sia una risposta compensatoria ad un'altra
disfunzione che coinvolge la capacità, in questi soggetti, di inibire pensieri e
comportamenti sgradevoli.
Il Disturbo Ossessivo-Compulsivo è un disturbo molto vario e presenta alcuni
sottotipi. È possibile che le differenze che specificano questi sottotipi siano
rappresentate anche a livello neurofisiologico e neuroanatomico. Mataix-Cols et al.
(2004) hanno verificato questa ipotesi utilizzando la risonanza magnetica funzionale.
Ne è risultato che i soggetti del sottotipo washing mostrano una maggiore attivazione,
rispetto al controllo, in maniera predominante nella regione prefrontale ventromediale
bilateralmente. Sono anche interessate il giro temporo-mediale sinistro, il giro del
cingolo destro, il giro frontale-mediale sinistro, il nucleo caudato destro e la parte
dorsale del giro del cingolo anteriore sinistro.
Nel sottotipo checking i pazienti mostrano una maggior attivazione in regioni per le
funzioni motorie e attentive, una varia regione sottocorticale che comprende vari
nuclei del tronco dell’encefalo, e putamen/globus pallidus destro, il talamo destro e
alcune regioni corticali dorsolaterali (frontale inferiore, cingolato anteriore dorsale,
frontale mediale/superiore e il giro precentrale).
Nel sottotipo hoarding i pazienti mostrano, sempre rispetto al controllo, un
incremento dell’attivazione nella corteccia frontale precentrale e superiore e nel giro
orbito-frontale destro.
Studi sull’attività magnetoencefalografica spontanea hanno indagato sia l’attività
veloce (con un range di circa 12-30 Hz), sia l’attività lenta (circa 2-6 Hz). Sono
emerse delle differenze tra il gruppo composto da individui affetti da Disturbo
Ossessivo-Compulsivo e il gruppo di controllo, per quanto riguarda l’attività veloce,
mentre per l’attività lenta non sono emerse differenze significative. L’attività veloce
degli ossessivo-compulsivi si differenzia soprattutto nel giro temporale superiore
sinistro. Questi dati portano a pensare che le alterazioni dell’attività spontanea nella
118
corteccia prefrontale e temporale possano essere coinvolte nella patogenesi del
Disturbo Ossessivo-Compulsivo (Maihofner et al., 2007).
Se il coinvolgimento nella fisiopatologia del Disturbo Ossessivo-Compulsivo delle
anomalie a carico delle cortecce orbitofrontale e prefrontale e del nucleo caudato è
pressoché
accettato
dalla
comunità
scientifica,
dissenso
c’è
ancora
sul
coinvolgimento di anomalie dell’ippocampo. A tal proposito Hong et al. (2007)
hanno analizzato la struttura dell’ippocampo rilevandone anomalie strutturali
bilaterali, in soggetti che presentavano Disturbo Ossessivo-Compulsivo. L’analisi
della struttura dà informazioni più dettagliate,anche se necessita di ulteriori
raffinazioni,
rispetto
alla
semplice
misurazione
volumetrica.
Questi
dati
sembrerebbero confermare l’ipotesi di un coinvolgimento dell’ippocampo nel
Disturbo Ossessivo-Compulsivo, anche se sono necessarie ulteriori ricerche per
stabilire le modalità di questo coinvolgimento.
Un’altra struttura sottocorticale coinvolta nella fisiopatologia del Disturbo OssessivoCompulsivo è l’amigdala (figure 6, 7a e 7b). van den Heuvel et al. (2004) hanno
approntato un esperimento in cui soggetti con diagnosi di Disturbo OssessivoCompulsivo del sottotipo washing, e soggetti non ansiosi vengono esposti a
visualizzazioni di immagini riferite a contaminazioni e sottoposti a tomografia ad
emissioni di positroni (PET). I risultati dicono che in entrambi i gruppi alla
presentazione delle immagini aumentava l’attività della corteccia occipitale
bilateralmente. Nel gruppo degli ossessivo-compulsivi, si nota un incremento
dell’attività nella parte sinistra dell’amigdala e una sensibilizzazione della parte
destra sempre dell’amigdala.
Disturbo d’Ansia Generalizzato: correlati neurofisiologici
Tra le ipotesi sull’eziologia del Disturbo d’Ansia Generalizzato ve ne sono alcune,
molto accreditate, che teorizzano un coinvolgimento del sistema sensitivo
esterocettivo. L’elaborazione dei segnali corticali così come è stata misurata
119
attraverso i potenziali evocati uditivi, potrebbe riflettere l’integrità del sistema
sensoriale esterocettivo. Questo perché un aspetto peculiare dei potenziali evocati
uditivi è la dipendenza della componente N1/P2 al suono, inoltre questa dipendenza
potrebbe essere legata all’attività serotoninergica centrale. Quindi questa dipendenza
può essere sfruttata per indagare le disfunzioni serotoninergiche nel Disturbo d’Ansia
Generalizzato.
Partendo da queste premesse e misurando la componente N1/P2 dei potenziali evocati
uditi Senkowski et al. (2003) trovano che effettivamente un’alterazione del sistema
sensitivo esterocettivo avviene al livello però, della corteccia uditiva primaria ma non
a livello della corteccia uditiva secondaria questo perché un basso livello di
dipendenza alle sonorità è correlata ad un intensa frequenza di scarica dei neuroni
presenti nel nucleo del rafe dorsale il che rappresenterebbe una prova di un aumento
dell’attività serotoninergica nel Disturbo d’Ansia Generalizzato.
Riassumendo il lavoro di Jetty et al. (2001) possiamo dire che i correlati
neurobiologici del Disturbo d’Ansia Generalizzato sono: anomalie delle funzioni
setononinergiche e GABA ergiche, incremento dell’attività corticale e decremento
dell’attività dei gangli della base che tuttavia può risolversi con un trattamento
adeguato.
L’indefinitezza dei dati emersi e la loro non sistematicità non permettono di
formulare al momento una teoria esaustiva per questo disturbo. Questo è dovuto ance
al fatto che il Disturbo d’Ansia Generalizzato è di formulazione relativamente
recente. La precarietà dei dati si dimostra anche in un fenomeno che per ora non
riusciamo a spiegarci. Noi sappiamo che dietro ad uno stato d’ansia vi è un
iperattivazione della branca simpatica del sistema nervoso autonomo e che il Disturbo
d’Ansia Generalizzato spesso assume forme croniche, in altre parole le persone
affette da questo disturbo soffrono di uno stato d’ansia aspecifico per la maggior
parte del tempo. Ora, uno dei marker più attendibili dell’attivazione simpatica è
l’aumento della tensione muscolare ma non in tutti i soggetti con questa diagnosi vi
verifica un aumento del tono muscolare. Pleuss et al. (2008) si limitano ad ipotizzare
che la tensione muscolare sia nella sua forma soggettiva che oggettiva possa avere un
120
ruolo nel Disturbo d’Ansia Generalizzato ma per capire come e quanto sono
necessarie indagini più approfondite. Addirittura Conrad, Isaac, e Roth (2008)
avanzano l’ipotesi che la tensione muscolare non sia nemmeno un marker per il
Disturbo d’Ansia Generalizzato.
Fobie: correlati neurofisiologici
Per quanto riguarda la neurofisiologia dei disturbi fobici, i dati a nostra disposizione
attribuiscono grande importanza all’amigdala.
Cooney, et al. (2006) hanno indagato, attraverso una risonanza magnetica funzionale,
l’attivazione dell’amigdala sia in soggetti affetti da Fobia Sociale sia in soggetti non
ansiosi durante la presentazione di immagini facciali neutre, cioè non ansiogene o che
comunque non elicitavano la risposta ansiosa. L’uso di immagini come le facce è
dovuto all’ipotesi da più parti formulata che il meccanismo scatenante la reazione
ansiosa dei soggetti con fobia sociale sia da ricondursi ad un errore di elaborazione
delle espressioni facciali che veicolano la disapprovazione la rabbia e il disappunto.
Questi autori hanno trovato che vi erano dei differenti pattern di attivazione
nell’amigdala nei due gruppi. Il gruppo sperimentale presentava un iperattivazione
dell’amigdala destra. I dati sembrerebbero confermare, quindi, l’ipotesi di un errore
di elaborazione dello stimolo.
Sempre riguardo alla Fobia Sociale e usando una metodologia simile Lira Yoon et al.
(2007) hanno rilevato una incremento abnorme dell’attivazione dell’amigdala in
maniera bilaterale nei soggetti fobici, alla presentazione di immagini di facce che
esprimevano varie gradazioni di intensità emotiva.
Luan Phan et al (2006) erano interessati a determinare se ci fosse una relazione
quantitativa tra grado di attivazione dell’amigdala e gravità della sintomatologia.
Attraverso la risonanza magnetica funzionale questi autori hanno trovato che nei
soggetti fobici l’attivazione in risposta ad stimolazioni (immagini facciali anche in
questo caso) disgustate, irose e spaventate era maggiore rispetto al gruppo di
121
controllo. Inoltre questa attivazione era correlata positivamente con la gravità dei
sintomi dell’ansia sociale, ma non con la condizione generale o coi livelli di ansia di
tratto. Quindi possiamo concludere che questo tipo di attivazione è specificatamente
correlata a questo tipo di disturbo e in quanto tale potrebbe rappresentare un efficace
marker funzionale della gravità della malattia.
La Fobia Sociale potrebbe avere come possibile substrato un errore nell’elaborazione
delle facce e delle situazioni sociali. Gentili et al. (2008) hanno indagato, attraverso
risonanza magnetica funzionale, come questo processo di elaborazione viene alterato.
I risultati indicano che i soggetti fobici mostrano un incremento non solo nelle regioni
cerebrali coinvolte nei processi emotivi come l’amigdala sinistra e l’insula, ma anche
nel solco temporale superiore bilateralmente che rappresenta la parte del sistema
cerebrale di riconoscimento delle facce che è coinvolto nella valutazione delle
espressioni e dei tratti personali. In aggiunta i soggetti fobici mostrano in maniera
significativa una debole attivazione nel giro fusiforme sinistro, nella corteccia
prefrontale dorso-laterale sinistra e nel solco intra-parietale bilaterale. Questi effetti si
verificano non solo durante la presentazione di facce emotivamente connotate ma
anche durante la presentazione di facce neutre. In sostanza i soggetti fobici mostrano
un aumento dell’attività in quelle aree cerebrali coinvolte nell’elaborazione
dell’informazione in merito all’espressione emotiva e dei tratti individuali, mentre
mostrano una diminuzione dell’attività in quelle aree associate ai processi attentivi e
all’elaborazione di altre informazioni.
Kolassa
e
Miltner
(2006)
hanno
registrato
i
correlati
elettrofisiologici
dell’elaborazione di facce connotate emotivamente in soggetti affetti da Fobia Sociale
durante la presentazione di immagini rappresentanti facce umane anche in questo
caso. Ne è risultato che tra i soggetti fobici e il gruppo di controllo non sono emerse
differenze rispetto a tempi di reazione, frequenza cardiaca, ampiezza delle
componenti P1 e P2. Mentre un aumento dell’ampiezza è stato registrato nella
componente P170 a livello temporo-parietale destro durante la presentazione di facce
con espressioni di rabbia. In questa regione avvengono le elaborazioni visive primarie
e il fatto che i fobici sociali mostrino un aumento dell’attivazione in questa zona
122
durante la visione di facce che esprimono rabbia, conferma il ruolo delle disfunzioni
nell’elaborazione delle facce che esprimono rabbia e disapprovazione nell’eziologia
di questo disturbo.
Miltner et al. (2005) in uno studio svolto con la metodologia dei potenziali evocati
correlati ad eventi hanno rilevato che nei soggetti affetti da fobie specifiche per ragni
e serpenti, durante l’esposizione a stimoli fobia-correlati, si verificava un aumento
significativo delle componenti tardive, ovvero la P300 e il complesso positivo tardivo
(LPC), a non delle componenti precoci (N1, P2, N2). Questo aumento risultava
massimale nelle aree cerebrali centro-parietali e occipitali. Il fatto che l’aumento
dell’ampiezza delle componenti tardive si verifichi solo nei soggetti fobici
rappresenta un forte indizio che questa ampiezza rappresenti il correlato neurale del
significato emozionale dello stimolo.
Goossens et al. (2007) hanno sottoposto dei soggetti affetti da fobia per i ragni a
risonanza magnetica funzionale durante una presentazione di immagini di ragni.
Contrariamente al gruppo di controllo i soggetti con fobia per i ragni presentavano un
significativo incremento dell’attivazione nell’amigdala e nel nucleo pulvinar del
talamo. Un incremento dell’attivazione si nota bilateralmente nella corteccia
cingolata anteriore, nell’area motoria supplementare e nella corteccia insulare
sinistra.
Questi
risultati
confermano
il
coinvolgimento
dell’amigdala
nell’elaborazione degli stimoli fobici come già emerso dagli studi precedenti. Inoltre i
dati sul talamo indicano il coinvolgimento di una via extragenicolostriata nel
processo della paura fobica.
Il ruolo rilevante dell’amigdala nel disturbo fobico è pressoché accettato, come
d’altronde in altri disturbi ansiosi, tuttavia Wrigth et al. (2003) hanno dimostrato che
non in tutte le fobie l’amigdala ha questo ruolo da protagonista. Infatti, nel loro studio
coinvolgevano dei soggetti con una Fobia Specifica per piccoli animali e hanno
rilevato una modesta attivazione dell’amigdala contro una iperresponsività
dell’insula. Comunque anche questi autori non hanno saputo dare una spiegazione
esaustiva del fenomeno. Un aiuto in questo senso ci proviene da una recente ricerca
di Wendt et al. (2008) che aveva lo scopo di esplorare la risposta difensiva di
123
mobilitazione in soggetti con Fobia Specifica per i ragni durante un’esposizione
visiva a stimoli fobici. La risonanza magnetica funzionale, anche in questo caso, è
stata la metodologia scelta per misurare l’attivazione cerebrale. Ne è risultata
un’attivazione sia dell’amigdala sia dell’insula. Però ci sono delle specificità; infatti,
l’attivazione dell’amigdala risponde anche alla paura non fobica mentre l’attivazione
insulare sembra più direttamente coinvolta durate la presentazione dello stimolo
fobico. Questo si può spiegare col fatto che probabilmente l’amigdala è più coinvolta
nell’elaborazione dello stimolo e agisce sulla motivazione, mentre l’insula è più
strettamente associata con la risposta di mobilitazione difensiva.
Sempre riguardo alla Fobia Specifica dei ragni, Schienle et al (2005) hanno indagato,
attraverso risonanza magnetica funzionale, le reazioni di paura e di disgusto durante
la presentazione di varie tipologie di immagini (fobia-correlate, genericamente
ansiogene, disgustose e neutre). Il gruppo dei fobici ha mostrato una più grande,
rispetto al gruppo di controllo, attivazione corteccia associativa visiva, dell’amigdala,
della corteccia prefrontale dorso-laterale destra e dell’ippocampo destro. Una
specifica attivazione correlata alla fobia interviene nell’area motoria supplementare.
Inoltre un’attivazione elevata dell’amigdala sia ha anche con la presentazione di
immagini disgustose e genericamente ansiogene. Questo induce a pensare ad
un’elevata sensibilità dei fobici nei confronti degli stimoli repulsivi e pericolosi oltre
che confermare ancora una volta l’importanza dell’amigdala nei disturbi d’ansia.
Anche Larson et al. (2006) hanno sottolineato l’importanza dell’attivazione
dell’amigdala nella fisiopatologia del disturbo fobico. Infatti attraverso la tecnica
della risonanza magnetica funzionale hanno rilevato che nei soggetti fobici alla
presentazione di un stimolo ansiogeno l’attivazione dell’amigdala è più rapida, più
forte ma anche meno duratura.
Un interessante lavoro di Strauebe et al. (2005) riguarda l’attivazione cerebrale
durante l’elaborazione dello stimolo fobico in soggetti che presentino fobia
specifiche. Presentando serie di
stimoli fobici e neutri, rappresentati da figure
geometriche, con la richiesta di identificare lo stimolo, questi autori hanno rilevato
registrando mediante risonanza magnetica funzionale che nei soggetti fobici vi è una
124
grande attivazione nelle parti sinistre dell’amigdala, insula, e giro del cingolo e della
corteccia prefrontale dorsomediale durante la presentazione degli stimoli del primo
compito, e un aumento dell’attivazione nella amigdala destra e sinistra nel secondo.
Tutti questi incrementi sono risultati statisticamente significativi rispetto al gruppo di
controllo costituito da soggetti non fobici nei quali non si evidenziavano incrementi
di attivazione in nessuna delle due condizioni. Da questi risultati l’amigdala,
specialmente la parte destra, appare essere coinvolta in maniera cruciale
nell’elaborazione, tramite il cosiddetto “pensiero automatico” dello stimolo.
Un altro sottotipo di fobie specifiche studiato è quello del tipo sangue-iniezioni-ferite.
Hermann et al. (2007) hanno esaminato l’effetto che l’induzione di questo tipo di
stimolazione ha sull’attivazione neurale in questo tipo di fobia. I risultati parlano di
una diminuzione dell’attività nella corteccia prefrontale mediale. Questa regione
risulta in effetti giovare un ruolo cruciale nella regolazione cognitiva automatica delle
emozioni per cui i risultati ottenuti, per quanto preliminari, potrebbero riflettere un
ridotto controllo cognitivo delle emozioni in questa tipologia di fobie durante
l’esperienza della situazione ansioso – fobica e potrebbe, in questo tipo di soggetti,
riflettere un’elevata sensibilità al disgusto.
125
126
QUADRI
CLINICI
E
UTILITA’
DIAGNOSTICA
DEL
PROFILO
PSICOFISIOLOGICO
In psicofisiologia clinica, diversi studi hanno dimostrato la possibilità di individuare i
correlati fisiologici in alcune sindromi psicopatologiche.Tra questi, Stegagno &
Palomba (1991) hanno confermato la presenza di particolari quadri psicofisiologici in
relazione con la presenza di ansia e depressione già precedentemente descritti dalle
ricerche di Lader (1975, 1983): mentre la sindrome ansiosa si caratterizza per livelli
elevati di frequenza cardiaca, tono muscolare,
attività elettrodermica (livello e
risposta) e decremento della temperatura periferica, quella depressiva si distingue per
livelli elevati di frequenza cardiaca, tono muscolare e bassi di attività elettrodermica
(livello e risposta).
Bassi livelli di conduttanza cutanea nei pazienti depressi rispetto ad un gruppo di
controllo, durante la registrazione a riposo, sono stati osservati anche in altre ricerche
(Ward & Doerr, 1986; Thorell, Kjellman & d’Elia, 1987; Argyle, 1991; Gehricke &
Shapiro, 2001, Pruneti, Rota & Rossi, 2000) e la scarsa reattività dello stesso
parametro nel soggetto depresso è stata
verificata anche mediante tecniche di
esposizione immaginativa guidata (Gehricke & Shapiro, 2001). Nel paziente con
disturbo da attacchi di panico, Hoehn, McLeod & Zimmerli (1991) hanno individuato
un quadro di iperattivazione in parte sovrapponibile a quello individuato da Lader
(1975, 1983) nel soggetto ansioso caratterizzato da:
elevato livello di attività
elettromiografica frontale, pressione arteriosa sistolica e frequenza cardiaca associate
ad un livello di base e un‘ attività elettrodermica spontanea minori rispetto al soggetto
sano. Più recentemente, Wilhem, Trabert & Roth (2001) hanno verificato che i
pazienti con disturbo da attacchi di panico presentano un’attività neurovegetativa a
riposo distinguibile da quella dei pazienti con disturbo d’ansia generalizzata e quella
di un gruppo di controllo sulla base dei soli parametri respiratori. Tuttavia, vi sono
alcuni contributi scientifici che hanno riscontrato nel
paziente con disturbo da
attacchi di panico un tipico ed elevato livello di conduttanza cutanea a riposo (Roth et
al., 1986; Roth, Ehlers, Taylor, Margraf, & Agras, 1990; Braune, Albus, Frohler,
127
Hohn & Scheibe, 1994; Hoehn, Braune, Scheibe, & Albus, 1997; Dractu e Bond,
1998; Parente, Garcia-Leal, Del-Ben, Guimarães, & Graeff, 2005). Inoltre, sempre
sulla base della conduttanza cutanea, Roth et al. (1986) e Roth, Ehlers, Taylor,
Margraf, & Agras (1990) hanno dimostrato la bassa abituazione a stimoli neutri e
Roth, Wilhem, & Trabert (1998) la scarsa capacità di rilassamento del soggetto con
disturbo da attacchi di panico. Ancora, nei pazienti con disturbo ossessivocompulsivo è stato osservato un pattern di ridotta attività neurovegetativa
rappresentato da modificazioni tipiche nella conduttanza cutanea, frequenza cardiaca
e attività elettromiografica (Lelliott et al., 1987; Hohen, McLeod, & Hipsley, 1995;
Zahn, Leonard, Swedo & Rapaport, 1996).
conduttanza cutanea
µS
25
20
15
10
5
0
tensione muscolare
6
µV
4
2
A
D
A
D
GS
3,8
6,5
GS
3,9
3,8
GC
13
3
GC
4,4
4,1
frequenza cardiaca
100
80
60
bpm
40
20
0
temperatura cutanea periferica
34
32
°C
30
A
D
GS
67
69
GC
80
83
28
A
D
GS
31
33,3
GC
32,8
31,2
figura 43 – Pruneti, C., Rota, S. & Rossi, S. (2000). Profilo psicofisiologico di pazienti con
prevalenti sintomi ansiosi e depressivi con e senza trattamento farmacologico.
Psicoterapia Cognitiva e Comportamentale, 6 (3), 255-265.
128
In un lavoro volto a valutare l’efficacia di alcuni trattamenti farmacologici sullo stato
di attivazione neurovegetativa, Pruneti e coll. (2000) hanno osservato che i pazienti
non trattati, appartenenti quindi al gruppo di controllo (GC), si differenziavano a
seconda dei valori basali di conduttanza cutanea e di temperatura cutanea periferica
evidenziando così due sindromi psicopatologiche ben distinguibili: soggetti con
prevalenti sintomi ansiosi, caratterizzati da valori più elevati di conduttanza cutanea e
soggetti con prevalenti sintomi depressivi distinguibili per valori bassi di conduttanza
cutanea e di temperatura periferica (figura 43).
In un lavoro di Pruneti, Fontana & Bicchieri (2006) il profilo psicofisiologico è stato
impiegato per valutare lo stato e la risposta di attivazione neurovegetativa in 4 gruppi
psicopatologici diagnosticati secondo i criteri del DSM-IV (APA, American
Psychiatric Association, 1995): disturbo d’ansia generalizzata (DAG), episodio
depressivo maggiore di grado moderato (DM), disturbo da attacchi di panico (DAP) e
disturbo ossessivo-compulsivo (DOC), sono stati esclusi i pazienti con concomitanti
sindromi organiche e con comorbilità con altre sindromi di asse I e II del DSM-IV.
conduttanza cutanea
20
15
µS
10
5
0
“riposo”
“stress”
“recupero”
DAG
8,04
16,18
10,84
DM
1,83
2,9
2,89
DAP
10,97
19,83
15,25
DOC
2,58
4,09
4,44
figura 44 – Pruneti, C., Fontana, F., & Bicchieri, L. (2006). Conduttanza cutanea come indice nella
diagnosi differenziale in psicopatologia. Psicoterapia Cognitiva e Comportamentale.
12 (1), 51-65.
129
Tutti i soggetti, nel periodo in cui è stata effettuata la registrazione, non erano
sottoposti a trattamento farmacologico da almeno 3 mesi. I risultati sono rappresentati
graficamente nella figura 44.
Sulla base del valore di conduttanza cutanea registrato a riposo e della risposta dello
stesso parametro allo stress mentale, sono risultate significative le differenze tra due
raggruppamenti: pazienti con disturbo d’ansia generalizzata (DAG) e da attacchi di
panico (DAP), da una parte, e pazienti con disturbo dell’umore di tipo episodio
depressivo maggiore di grado moderato (DM) e ossessivo compulsivo (DOC)
dall’altra. I primi si distinguono dunque dai secondi per un maggiore livello generale
di attivazione neurovegetativa. Nella figura 45 è possibile osservare il tracciato medio
del parametro conduttanza cutanea di ogni gruppo psicopatologico.
DAG
DM
DAP
DOC
recupero
recupero
recupero
recupero
stress
stress
stress
stress
riposo
riposo
riposo
riposo
riposo
riposo
22
20
18
16
14
12
uS
10
8
6
4
2
0
figura 45 – Pruneti, C., Fontana, F., & Bicchieri, L. (2006). Conduttanza cutanea come indice nella
diagnosi differenziale in psicopatologia. Psicoterapia Cognitiva e Comportamentale. 12 (1), 51-65.
Mentre i pazienti con disturbo d’ansia generalizzata (DAG) e da attacchi di panico
(DAP) si caratterizzano per valori elevati a riposo, reattività spiccata e scarso o
assente recupero, i pazienti con disturbo dell’umore di tipo episodio depressivo
130
maggiore di grado moderato (DM) e ossessivo compulsivo (DOC) si distinguono per
valori bassi a riposo e scarsa reattività.
I risultati hanno quindi verificato quanto già osservato nel lavoro precedente (Pruneti
e coll.,2000) andando ulteriormente a confermare alcuni risultati già presenti in
letteratura: come una condizione di iperattivazione neurovegetativa nella sindrome
ansiosa (Lader, 1975, 1983; Stegagno e Palomba, 1994) ed uno stato di ipoattivazione
in quella depressiva (Lader, 1975, 1983; Ward & Doerr, 1986; Thorell, Kjellman &
d’Elia, 1987; Argyle, 1991; Stegagno & Palomba, 1994; Gehricke & Shapiro, 2001).
Gli stessi risultati sono risultati coerenti anche con i pattern di attivazione
neurovegetativa già
descritti, in letteratura, sempre riguardo alla risposta di
conduttanza dei pazienti con disturbo da attacchi di panico (Roth et al., 1986; Roth,
Ehlers, Taylor, Margraf, & Agras, 1990; Braune, Albus, Frohler, Hohn & Scheibe,
1994; Hoehn, Braune, Scheibe, & Albus, 1997; Dractu e Bond, 1998; Wilhem,
Trabert & Roth, 2001; Parente, Garcia-Leal, Del-Ben, Guimarães, & Graeff, 2005) e
disturbo ossessivo-compulsivo (Zahn, Leonard, Swedo, & Rapaport, 1985, Lelliott et
al., 1987; Hohen, McLeod, & Hipsley, 1995; Zahn, Leonard, Swedo & Rapaport,
1996).
L’attività elettrodermica, nel corso della registrazione dei pazienti con disturbo
d’ansia generalizzata, da attacchi di panico e dell’umore di tipo episodio depressivo
maggiore di grado moderato sembra dunque confermare la teoria del “behavioural
inhibition system” (BIS) e “behavioural activation system” (BAS) di Gray (1978) e
Fowles (1980,1988).
Questi due sistemi secondo gli autori mediano il rinforzo
comportamentale, ovvero, stabiliscono delle relazioni tra il comportamento e le sue
conseguenze. Il BIS è sensibile alla punizione, all’assenza di ricompensa che genera
frustrazione, una iperattivazione di questo sistema è collegato a disturbi ansiosi ed
emotivi. Il substrato anatomico del BIS sono i sistemi ippocampali. Il BAS, invece, è
sensibile alla ricompensa e alla non-punizione, una sua sovrareattività si associa a
disturbi della condotta e dell’attenzione. I substrati neuroanatomici sono le regioni
cortico-mesolimbiche che ricevono afferente delle vie catecolaminergiche, soprattutto
dopaminergiche. L’elevato livello di base, la risposta spiccata e il recupero
131
incompleto della conduttanza cutanea rifletterebbero perciò l’attivazione del BIS da
parte dei segnali di pericolo o di minaccia personale interni e/o esterni. A questo
proposito, Roth, Wilhem, & Trabert (1998) suggeriscono che la scarsa capacità di
rilassarsi del paziente con disturbo da attacchi di panico, indicata dalla eccessiva
fluttuazione spontanea e dalla mancata abituazione della conduttanza cutanea, sia
dovuta alla continua attenzione rivolta alle sensazioni corporee come parte delle
tecniche rivolte al controllo della tensione. Analogamente, l’andamento della
conduttanza cutanea nel paziente con disturbo d’ansia generalizzata rifletterebbe
l’attivazione del BIS da parte di stimoli interni come l’eccessiva preoccupazione,
anche a riposo, e la paura di incorrere negli errori durante il compito mentale. Al
contrario, nel paziente con disturbo dell’umore tipo episodio depressivo maggiore di
grado moderato, la ridotta attivazione del BIS, indicata dal basso livello di base e la
debole risposta risposta della conduttanza cutanea, sembrerebbe il correlato
psicofisiologico della condizione di impotenza appresa (Learned Helplessness di
Seligman,
Abramson,
Semel
&Von
Beyer,
1979),ovvero
l’estinzione
del
comportamento di ricerca degli stimoli discriminativi associati a punizioni, o alla
sospensione dei rinforzatori e del comportamento di evitamento.
Sempre gli stessi autori, in uno studio più recente hanno eseguito una valutazione
dello stato e della risposta di attivazione neurovegetativa di 89 pazienti, afferenti ad
un servizio di Psicologia Clinica, tramite l’effettuazione del profilo psicofisiologico
(PPF).
Il campione, 44 maschi e 45 femmine, di età compresa tra i 27 ed i 51 anni (età media
= 38,4 ± 9,7) è stato suddiviso nei seguenti 5 gruppi, corrispondenti a 5 diverse
condizioni psicopatologiche valutate secondo i criteri del DSM-IV 1: disturbo d’ansia
generalizzata (DAG, n=35), episodio depressivo maggiore di grado moderato (DM,
n=13), disturbo da attacchi di panico (DAP) (n=19), disturbo ossessivo-compulsivo
(DOC, n=13) e anoressia nervosa (AN, n=9).
Tutti i soggetti, al momento della rilevazione psicofisiologica, non erano sottoposti a
trattamento farmacologico da almeno 3 mesi (Pruneti e coll. 2008).
132
Sono stati esclusi i soggetti con concomitanti sindromi organiche e/o comorbilità con
altri disturbi di asse I del DSM-IV. Nello stesso luogo è stato eseguito il PPF a 34
studenti di psicologia, 26 femmine e 8 maschi, con età compresa tra 21 e 34 anni (età
media = 23.47  3.22)
Il PPF è stato articolato nelle seguenti 4 fasi:

“adattamento” (5 minuti);

“riposo” (6 minuti);

“stress” (4 minuti);

“recupero” (6 minuti).
Nel corso del PPF sono stati registrati i seguenti parametri fisiologici:

elettromiogramma del muscolo frontale (EMG), il cui potenziale elettrico è stato
rilevato mediante due elettrodi attivi, posizionati circa 1 cm sopra le sopracciglia
in allineamento con le pupille, ed uno di riferimento, al centro della fronte
(distanza tra i due poli attivi di circa 2,5 cm).

frequenza cardiaca (HR), rilevando il potenziale elettrico del muscolo cardiaco
con derivazione bipolare classica per elettrocardiogramma e calcolando il tempo
intercorrente tra un’onda R (contrazione ventricolare) e l’altra, per mezzo di
elettrodi piazzati nell’area precordiale.

temperatura periferica (THE), applicando un termistore alla base dell’eminenza
tènar della mano dominante.

conduttanza cutanea (GSR), facendo passare un corrente elettrica di bassissima
intensità tra due elettrodi posizionati sull’ultima falange delle dita della mano
dominante (in questo caso indice e medio).
I segnali dei parametri EMG e FC sono stati rilevati con elettrodi di superficie
monouso. Per il segnale GSR sono stati impiegati elettrodi dorati riutilizzabili, per il
parametro TP è stato applicato un termistore di precisione. I segnali sono stati
monitorati e memorizzati tramite il software apposito.
Dei 4 parametri considerati è stato calcolato il valore medio nei seguenti momenti:

ultimo minuto della fase “riposo”, dopo l’assestamento dei valori, come misura
del livello di attivazione di base;
133

primo minuto della fase “stress”, come misura dello stato di attivazione durante lo
svolgimento del compito mentale, al fine di escludere l’interferenza di fenomeni
di abituazione, che potrebbero portare ad una sottostima dell’ampiezza
dell’attivazione;

ultimo minuto della fase “recupero”, come misura del livello di attivazione al
termine della procedura, al fine di verificare l’entità del recupero stesso dopo un
lasso di tempo ragionevolmente sufficiente per rientrare entro i valori di base.
Verificata la distribuzione non normale dei dati con il test di Shapiro-Wilks, sono
state impiegate procedure di analisi statistica di tipo non parametrico.
È stato quindi eseguito un confronto tra i gruppi di soggetti sul valore medio di
ciascun parametro calcolato nei tre momenti considerati per ogni fase del PPF. A
questo scopo è stato impiegato il test statistico non parametrico di Mann-Withney,
per verificare la significatività nel confronto “a coppie” tra i gruppi.
Nelle figure 46a e 46b sono rappresentati graficamente i risultati.
Nel confronto tra i gruppi sui valori del parametro EMG, in condizioni di riposo e di
stress indotto, sono risultate significative le differenze tra i soggetti sani e quelli
affetti da un disturbo in asse I del DSM-IV. Tra i gruppi psicopatologici non sono
invece emerse differenze significative. I pazienti DAG, DAP, DOC, DM e AN
presentano dunque un livello di base e una risposta di tensione muscolare superiore a
rispetto ai soggetti sani. Nel confronto tra i gruppi sui valori del parametro GSR, in
condizioni di riposo, di stress indotto e di recupero, sono risultate significative le
differenze tra i soggetti sani, da una parte, e i pazienti DAG e DAP, dall’altra. Inoltre,
sempre sulla base del valore del parametro GSR , registrato nelle tre fasi, sono
risultate significative le differenze tra i soggetti sani, da una parte, e pazienti DOC,
DM e AN, dall’altra. Mentre quindi i pazienti DAG e DAP si caratterizzano per un
livello di GSR a riposo, sotto stress e durante il recupero più elevato rispetto ai
soggetti sani, i pazienti DOC, DM e AN si distinguono per valori più bassi dello
stesso parametro osservabili in tutte le fasi del PPF (figura 46a).
134
DAP
DAG
SANI
DOC
DM
AN
16
14
12
10
8
6
4
2
0
EMG (B)
EMG (S)
EMG (R)
GSR (B)
GSR (S)
GSR (R)
figura 46a – Valore medio del potenziale elettrico del muscolo frontale (EMG) e di conduttanza
cutanea (GSR) registrato in fase di riposo (B), stress (S) e recupero (R) nei 6 gruppi.
DAP
DAG
SANI
DOC
DM
AN
100
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
THE (B)
THE (S)
THE (R)
HR (B)
HR (S)
HR (R)
Figura 46b – Valore medio di temperatura cutanea periferica (THE) e di frequenza cardiaca (HR)
registrato in fase di riposo (B), stress (S) e recupero (R) nei 6 gruppi.
135
Nel confronto tra i gruppi sui valori del parametro HR, in condizioni di riposo, di
stress indotto e di recupero, sono risultate significative le differenze tra i pazienti
DAG, da una parte, e, dall’altra, i soggetti sani con i restanti pazienti affetti da un
disturbo in asse I del DSM-IV (figura 46b).
I pazienti DAG presentano dunque un livello di frequenza cardiaca, a riposo, sotto
stress e durante il recupero superiore rispetto ai soggetti sani e ai pazienti DAP, DOC,
DM e AN.
In una ricerca svolta presso il Laboratorio di Psicofisiologia Clinica del Dipartimento
di Psicologia dell’Università di Parma gli autori hanno voluto individuare
un’eventuale corrispondenza tra il quadro di attivazione neurovegetativa e alcuni
aspetti psicologici di stato e di tratto. Allo scopo sono stati reclutati 50 studenti
universitari (12 maschi e 38 femmine), di età compresa tra i 20 e i 42 anni (età
media=23,98±4,65), che hanno compilato alcuni questionari di autovalutazione ed
effettuato un profilo psicofisiologico (PPF).
Gli strumenti psicodiagnostici impiegati sono stati:
 Cognitive Behavioural Assessment (Sanavio et al., 2000): consente la raccolta
dei principali dati riguardanti l’anamnesi medica e psicologica, passata e
presente (problemi medici, disturbi psicologici o psichiatrici, uso di farmacie,
eventuale abuso di sostanze). Questa batteria psicodiagnostica permette inoltre
la misurazione dei principali costrutti psicologici di interesse clinico quali
ansia di stato e di tratto, tratti della personalità (estroversione-introversione,
nevroticismo/stabilità
emotiva,
psicoticismo)
manifestazioni depressive,
sintomi somatici, fobie e comportamenti ossessivo-compulsivi.
 Symptom Questionnaire (SQ) – forma settimanale (Fava et al., 1982): è
costituito da 92 item a risposta dicotomica (si/no oppure vero/falso) riguardanti
sintomi di benessere o malessere psicologico accusati nell’ultima settimana. Il
punteggio si articola su 8 sotto-scale e 4 scale globali: ansietà (a), depressione
(d), sintomi somatici (s), ostilità (o), rilassatezza ( r ), contentezza (c),
136
benessere fisico (bf) e buona disposizione verso gli altri (bd), Ansia (A),
Depressione (D), Sintomi Somatici (S) e Ostilità (O).
 Pisa Stress Questionnaire (PSQ) (Pruneti, 1998): è costituito da 32 item a
risposta multipla riguardanti stili di vita e abitudini stress correlati. Il punteggio
si articola su 6 scale di origine fattoriale e un punteggio totale:
1. SENSO DI RESPONSABILITÀ (SR): il soggetto tende a prendere la vita
troppo seriamente ;
2. VIGORE (V): il soggetto ha la sensazione di possedere caratteristiche di
vitalità, energia e resistenza allo stress;
3. DISTURBI DA STRESS (DS): presenza di problemi, difficoltà e sintomi
usualmente riferibili anche a reazioni da stress;
4. PRECISIONE
E
PUNTUALITÀ
(PP):
il
soggetto
esplicita
comportamenti caratterizzati da puntigliosità, precisione e puntualità;
5. TEMPO LIBERO (TL): scarsa capacità di rilassarsi e "staccare" dagli
impegni;
6. IPERATTIVITÀ (I): attività eccessiva con la presunzione di possedere
una buona resistenza alla stanchezza.
 Sixteen Personality Factors Questionnaire – forma 5 (16PF-5) (Cattell, 2001):
è costituito da 185 item a risposta multipla e fornisce, oltre a tre punteggi
indicativi dello stile di risposta, un profilo articolato su 5 fattori globali
(Estroversione-Introversione,
Ansioso-Imperturbabile,
Duro-Ricettivo,
Indipendente-Accondiscendente, Controllato-Impulsivo) e su16 fattori o
dimensioni bipolari relativamente indipendenti che riflettono i tratti stabili
della personalità:
1. A : ESPANSIVITA’
2. B : RAGIONAMENTO
3. C : STABILITA’ EMOZIONALE
4. E : DOMINANZA
5. F : VIVACITA’
6. G : COSCIENZIOSITA’
137
7. H : AUDACIA SOCIALE
8. I : SENSIBILITA’
9. L : VIGILANZA
10. M : ASTRATTEZZA
11. N : PRUDENZA
12. O: APPRENSIVTA’
13. Q1 : APERTURA AL CAMBIAMENTO
14. Q2 : FIDUCIA IN SE’
15. Q3 : PERFEZIONISMO
16. Q4 : TENSIONE
 Minnesota Multiphasic Personality Inventory-2 (Hathaway &McKinley, 1989):
è costituito da item a risposta vero/falso e fornisce, attraverso un punteggio
articolato su 10 scale cliniche, una valutazione del quadro psicopatologico
generale:
1. HS: IPOCONDRIA
2. D: DEPRESSIONE
3. HY: ISTERIA
4. PD: DEVIAZIONE PSICOPATICA
5. MF: MASCOLINITA’/FEMMINILITA’
6. PA: PARANOIA
7. PT: PSICASTENIA
8. SC: SCHIZOFRENIA
9. MA: IPOMANIA
10. SI: INTROVERSIONE SOCIALE
È possibile disporre inoltre di punteggi su 15 scale di contenuto 31 sottoscale
cliniche, 5 scale suplementari e 10 addizionali.
 Coping Orientations to Problems Experienced: è costituito da 60 item a
risporta su scala Likert (da 1 a 5) e fornisce un’indagine sulla frequenza di
impiego delle principali strategie di coping, organizzate a loro volta in 5
categorie:
138
1. SUPPORTO
SOCIALE:
RICERCA
DI
INFORMAZIONI,
RICERCA
DI
COMPRENSIONE, SFOGO EMOZIONALE;
2. EVITAMENTO:
UMORISMO, NEGAZIONE, DISTACCO COMPORTAMENTALE,
DISTACCO MENTALE, USO DI DROGHE O ALCOL;
3. ATTITUDINE POSITIVA: CONTENIMENTO, REINTERPRETAZIONE POSITIVA E
DI CRESCITA, ACCETTAZIONE;
4. ATTIVITA’:
ATTIVITA’,
PIANIFICAZIONE,
SOPPRESSIONE
DI
ATTIVITA’
COMPETITIVE
5. RELIGIONE.
Il PPF è stato articolato nelle seguenti 4 fasi:
1. “adattamento” (10 minuti): il paziente è stato fatto accomodare in una stanza
provvista di dispositivi elettronici per il controllo automatico della temperatura,
mantenuta tra i 18 e i 22° C, e il tasso d’umidità, con apposito apparecchio
estrattore, mantenuto inferiore al 50%, e fatto sedere su una poltrona provvista
di poggiatesta, braccioli ampi e schienale reclinabile. È stato quindi informato
del contenuto e del significato della procedura e rassicurato circa la non
invasività e nocività della stessa, mentre uno psicologo provvedeva a
posizionare elettrodi e trasduttori, a impostare l’apparecchiatura per la
registrazione e a monitorare l’andamento dei valori dei diversi parametri
fisiologici, in attesa di un loro assestamento;
2. “riposo” (6 minuti): la registrazione è iniziata dopo
avere istruito
precedentemente il paziente a chiudere gli occhi, a rimanere fermo e rilassato
per quanto gli era possibile e a segnalare eventuali problemi (ad esempio la
necessità di tossire) alzando l’indice della mano destra per potere interrompere
momentaneamente la registrazione;
3. “stress” (4 minuti): al soggetto è stato chiesto di eseguire un compito mentale
consistente nel sottrarre il numero 13 da 1007 e continuare la sottrazione da
ogni risultato ottenuto successivamente (sottrazione seriata);
139
4. “recupero” (6 minuti): al termine della presentazione dello stress al paziente è
stato detto di interrompere lo svolgimento del compito mentale e di riposarsi e
rilassarsi per quanto possibile.
Nel corso del PPF sono stati registrati i seguenti parametri fisiologici:
 elettromiogramma del muscolo frontale (EMG), il cui potenziale elettrico è
stato rilevato mediante due elettrodi attivi, posizionati circa 1 cm sopra le
sopracciglia in allineamento con le pupille, ed uno di riferimento, al centro
della fronte (distanza tra i due poli attivi di circa 2,5 cm).
 frequenza cardiaca (HR), rilevando il potenziale elettrico del muscolo cardiaco
con derivazione bipolare classica per elettrocardiogramma e calcolando il
tempo intercorrente tra un’onda R (contrazione ventricolare) e l’altra.
 intervallo interbattito (IT) rivela l’intervallo di tempo che passa tra l’emissione
di un onda R e l’arrivo della relativa onda sfigmica sull’ arteria radiale.
 temperatura periferica (THE), applicando un termistore alla base dell’eminenza
tènar della mano dominante.
 conduttanza cutanea (GSR), facendo passare un corrente elettrica di bassissima
intensità tra due elettrodi posizionati sull’ultima falange delle dita della mano
dominante (in questo caso indice e medio).
 frequenza respiratoria (FR) e ampiezza respiratoria (AR), rilevate con una
cinghia elastica posta a livello toracico o addominale.
I segnali dei parametri EMG e FC sono stati rilevati con elettrodi di superficie
monouso. Per il segnale della CC sono stati impiegati elettrodi dorati riutilizzabili,
per il parametro TP è stato applicato un termistore di precisione. I segnali sono stati
monitorati e memorizzati tramite il software apposito.
Trattandosi di uno studio pilota, gli autori hanno voluto preliminarmente considerare
la sola conduttanza cutanea quale parametro per individuare nel campione esaminato
soggetti caratterizzati da un profilo di iper o ipoattivazione neurovegetativa.
In primo luogo sono stati calcolati i valori medi nei seguenti momenti:
140
ultimo minuto (B6) della fase “riposo”, dopo l’assestamento dei valori, come misura
del livello di attivazione di base;
primo minuto della fase “stress” (S1), come misura dello stato di attivazione durante
lo svolgimento del compito mentale, al fine di escludere l’interferenza di fenomeni di
abituazione, che potrebbero portare ad una sottostima dell’ampiezza dell’attivazione;
ultimo minuto della fase “recupero” (R6), come misura del livello di attivazione al
termine della procedura, al fine di verificare l’entità del recupero stesso dopo un lasso
di tempo ragionevolmente sufficiente per rientrare entro i valori di base.
In secondo luogo, per ottenere una misura individuale di attivazione e di recupero,
ponderate sul livello basale, sono state calcolati i seguenti indici:
 risposta = (S1-B6)x100/B6: la risposta della GSR viene espressa come
percentuale di variazione rispetto al valore a riposo;
 stress = (R6-B6)x100/B6: il margine di recupero, o in caso di assenza di
recupero, la cumulazione dello stress, viene espressa come percentuale di
variazione rispetto al valore a riposo;
Infine, per individuare soggetti caratterizzati da ipo o iperattivazione della GSR sono
stati selezionati i seguenti criteri:
ipoattivazione
norma
iperattivazione
GSR a riposo
B6 < 2 µs
2 μs ≤ B6 ≥ 10 μs
B6 > 10 µs
risposta GSR
< 20%
stress GSR
20% ≤ risposta ≥
50%
≤ 0% (R6 ≤ B6)
> 50%
> 50%
Per verificare la corrispondenza tra aspetti psicologici di stato e di tratto e il quadro di
attivazione espresso dalla GSR sono stati effettuati confronti a coppie tra i gruppi
individuati sui punteggi ottenuti ai vari questionari di autovalutazione.
141
A questo scopo è stato impiegato il test statistico non parametrico di Mann-Withney,
data la distribuzione non normale dei dati, verificata con il test di Shapiro-Wilks, e
dato l’esiguo numero di soggetti “iperattivati” e ipoattivati”.
In base ai risultati, i soggetti iperattivati, rispetto ai soggetti con andamento della
GSR nella norma, hanno ottenuto punteggi significativamente superiori nella scala
STAI –X2 (ansia di tratto) della CBA, nella scala clinica PT del MMPI-2
(psicastenia) e nei fattori primari C, H e globale IN del 16PF-5. I soggetti che
manifestano a riposo livelli elevati di GSR, con risposta spiccata allo stimolo
attivante e con scarso o assente recupero alla fine del profilo psicofisiologico sono
facilmente perturbabili dal punto di vista emotivo, scarsamente adattabili, insicuri,
inibiti, preoccupati e apprensivi nella maggior parte delle situazioni. Per quanto
riguarda gli aspetti psicologici di stato, sintomatici, i soggetti iperattivati hanno
ottenuto punteggi significativamente più elevati nella scala STAI-X1 (ansia di stato)
della CBA, nelle scale Anx (Ansia), Frs (Paure/Fobie), Obs (Ossessività) e Wrk
(Difficoltà sul Lavoro) del MMPI-2 e nelle scale D (depressione) e S (sintomi
somatici). Sembra quindi che a un quadro di iperattivazione neurovegetativa a riposo,
associato a una risposta abnorme e a una scarsa estinzione della stessa, con recupero
assente del livello basale, corrispondano tensione somatica, preoccupazione,
rimuginazione e umore depresso. Questi sintomi, probabilmente, compromettono
inoltre lo svolgimento delle attività lavorative.
All’interno della ricerca nazionale dal titolo “Managed Care Domiciliare del paziente
cronico con scompenso cardiaco attraverso una gestione integrata tra il Centro
Clinico e gli interventi in remoto basata su nuove tecnologie di comunicazione”, in
una collaborazione tra la Sezione di Psicologia Clinica della Facoltà di Psicologia
dell’Università di Parma e l'Unità Operativa Di Riabilitazione Cardiologica
dell'Istituto Don Gnocchi di Parma, gli autori hanno verificato la corrispondenza tra
un quadro di iperattivazione neurovegetativa e alcuni aspetti comportamentali, quali
abitudini e, più in generale, lo stile di vita, spesso associati a una condizione di
distress psicofisico, in pazienti ospedalizzati affetti da scompenso cardiaco durante la
riabilitazione cardiovascolare. I soggetti presentavano, al momento del ricovero,
142
un’insufficienza cardiaca con disfunzione sistolica sinistra (frazione d’eiezione <
40%) in III o IV classe, secondo la New York Heart Association (NHYA). Rispetto a
un gruppo di controllo, il gruppo sperimentale di pazienti era stato fornito, in postdimissione, di un computer palmare attraverso il quale poteva monitorare da casa e
inviare i propri dati allo staff medico. Lo studio ha consistito principalmente nel
monitoraggio del percorso riabilitativo per verificare l’efficacia di un intervento così
integrato
rispetto a una modalità di trattamento convenzionale. La valutazione
psicodiagnostica è stata effettuata tramite la batteria CBA 2.0, il SQ, lo State & Trait
Anger Expression Inventory (STAXI), per il monitoraggio periodico di eventuali
sintomi psicologici quali ansia, umore depresso, rabbia-ostilità e attraverso il 16PF-5
e il PSQ per l’approfondimento di aspetti comportamentali più stabili quali abitudini,
stile di vita e profilo di personalità. Inoltre, per valutare l’assetto neurovegetativo e,
in generale, la capacità di gestione della risposta emozionale, gli autori hanno
eseguito sui pazienti, periodicamente, in concomitanza della somministrazione e
compilazione dei questionari di autovalutazione, un profilo psicofisiologico, in
condizioni di riposo, stress e recupero, con la registrazione simultanea di conduttanza
cutanea, frequenza cardiaca, potenziale elettrico del muscolo frontale e temperatura
cutanea periferica. In base ai risultati emersi dall’analisi statistica, si è evidenziata
una correlazione positiva tra il punteggio totale al PSQ e i valori medi, relativi ai tre
momenti del profilo psicofisiologico, di frequenza cardiaca e temperatura cutanea
periferica. Sembra quindi che l’adozione di abitudini disadattive e, in generale, di uno
stile di vita stressogeno, si rifletta in una condizione di maggiore attivazione
neurovegetativa espressa dal livello basale e dalla reattività dei parametri
cardiovascolari.
143
144
L’IMPIEGO DEL PROFILO PSICOFISIOLOGICO NELLA VALUTAZIONE DEI
TRATTAMENTI
Il profilo psicofisiologico, quale procedura valida per la valutazione dello stato e
della risposta di attivazione neurovegetativa, è risultata anche essere utile per la
verifica dell’efficacia di trattamenti farmacologici integrati alla psicoterapia e nel
campo della medicina riabilitativa, ad esempio cardiovascolare. In uno studio di
Pruneti e coll. (2002), pazienti che avevano avuto un primo episodio di infarto acuto
del miocardio sono stati assegnati, in maniera randomizzata, a un gruppo
sperimentale (GS) e a uno di controllo (GC), rispettivamente, trattati e non trattati
farmacologicamente con alprazolam, una benzodiazepina risultata in grado di inibire
il sistema nervoso centrale e di ridurre la presenza di catecolamine nel sangue.
Nella figura 47 sono osservabili i valori medi dei 4 parametri fisiologici rilevati nel
corso di un primo profilo psicofisiologico (pre), effettuato prima dell’inizio del
trattamento farmacologico, e di un secondo (post), effettuato al termine del
trattamento. I risultati dimostrano l’efficacia della benzodiazepina alprazolam a basso
dosaggio (0,25 mg. X 2/Die) nella modulazione della risposta di attivazione
neurovegetativa e neuroendocrina: nel gruppo trattato infatti, dal primo al secondo
profilo psicofisiologico, si osserva una significativa riduzione del cortisolo, della
conduttanza cutanea, tensione muscolare, frequenza cardiaca e un innalzamento della
temperatura cutanea periferica, questo anche senza alcun supporto di tipo
psicologico.
145
conduttanza cutanea
tensione muscolare
20
15
µV
µS 10
5
0
10
8
6
4
2
0
B (pre)
B (pre)
S (pre)
S (post)
riposo
riposo
stress
stress
GS
13,12
7,8
19,33
13,45
GS
5,11
4,18
8,99
7,18
GC
12,23
11,48
18,48
18,08
GC
4,57
4,14
7,14
6,84
frequenza cardiaca
temperatura cutanea periferica
35
90
bpm
°C 30
70
50
riposo
riposo
stress
stress
GS
67,31
68,47
86,15
80,12
GC
66,84
62,5
82,57
84,57
25
riposo (pre)
riposo
GS
32,2
33,05
30,7
31,88
GC
32,15
32,57
30,57
30,19
12
11
10
9
8
7
6
5
4
3
2
stress (pre) stress (post)
GS (pre)
GS (post)
GC (pre)
nadir
recupero
stress
riposo
adattamento
zenit
GC (post)
figura 47 – modificata da Pruneti, C., Giusti, M., Boem, A., Luisi, M. (2002). Behavioral, psichophysiological and salivary cortisol modifications after short-term alprazolam treatment
in patients with recent myocardial infarction. Italian Heart Journal, Vol. 3, Jannuary, 5359.
146
In un lavoro di Pruneti e coll. (2000), è stato impiegato il profilo psicofisiologico per
valutare l’efficacia di un trattamento farmacologico condotto su pazienti con
prevalenti sintomi ansiosi (A), trattati con benzodiazepine, e pazienti con prevalenti
sintomi depressivi (D), trattati con antidepressivi (figura 48).
conduttanza cutanea
µS
25
20
15
10
5
0
tensione muscolare
6
µV
A
D
GS
3,8
6,5
GC
13
3
4
2
A
D
GS
3,9
3,8
GC
4,4
4,1
frequenza cardiaca
100
80
60
bpm
40
20
0
temperatura cutanea periferica
34
32
°C
30
A
D
GS
67
69
GC
80
83
28
A
D
GS
31
33,3
GC
32,8
31,2
figura 48 – modificata da Pruneti, C., Rota, S. & Rossi, S. (2000). Profilo psicofisiologico di
pazienti con prevalenti sintomi ansiosi e depressivi con e senza trattamento
farmacologico. Psicoterapia Cognitiva e Comportamentale, 6 (3), 255-265.
Nella figura 48 si osservano i valori dei 4 parametri fisiologici rilevati nel profilo
psicofisiologico registrato alla fine del trattamento farmacologico.
Mentre per i pazienti con sintomatologia ansiosa il trattamento a base di
benzodiazepine ha condotto ad un abbassamento della conduttanza cutanea e della
frequenza cardiaca, per i pazienti con sintomatologia depressiva il trattamento a base
di antidepressivi ha condotto ad un innalzamento della conduttanza cutanea e ad un
abbassamento della frequenza cardiaca. In generale, in entrambi i gruppi il
trattamento farmacologico è risultato efficace al ripristino di una condizione ottimale
di attivazione neurovegetativa.
147
In uno studio di Pruneti e coll. (1999), il profilo psicofisiologico è stato impiegato per
valutare l’efficacia di un trattamento a base di Pivagabina (PVG), un farmaco
antagonista dell’attivazione del CRF in grado di modulare l’azione dei
neurotrasmettitori responsabili dell’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene,
cioè della risposta adattiva di stress, su pazienti con amenorrea ipotalamica, cioè con
sospensione del ciclo mestruale da almeno tre mesi.
Si è osservato come il trattamento farmacologico abbia ridotto il quadro iniziale
caratterizzato da stress cronico e quindi da una condizione di iperattivazione
neurovegetativa.
148
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Federico Fontana è professore a contratto per l’insegnamento di Psicopatologia Generale e dello
Sviluppo presso la Facoltà di Psicologia dell’Università di Parma. E’ stato professore a contratto per
i Corsi di Laurea in Logopedia, Audiometria e Tecniche Audioprotesiche della Facoltà di Medicina
e Chirurgia dell’Università di Parma.
Ha pubblicato vari articoli negli ambiti della Psicofisiologia differenziale, Neuropsicologia clinica e
Psicofisiologia clinica volti a individuare gli aspetti psicofisiologici correlati a quelli più stabili del
comportamento e a quelli corrispondenti alle diverse sindromi psicopatologiche. E’ stato titolare di
borsa di studio del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Parma.
Dal 2006, in qualità di borsista dell’AUSL di Parma, svolge attività clinica e di ricerca presso il
Consultorio per i Disturbi Cognitivi di Fidenza.
Carlo Pruneti è professore associato confermato di Psicologia clinica presso l’Università degli
Studi di Parma, svolge attività di studio e ricerca nel Dipartimento di Psicologia, dove è
responsabile della sezione di Psicologia clinica e dei relativi laboratori di Psicofisiologia e
Neuropsicologia clinica. Ha pubblicato, oltre a svariati articoli su riviste nazionali e internazionali,
diverse monografie: Stati depressivi e loro valutazione nel bambino e nell’adolescente (1996); I
disturbi dell’integrazione mente-corpo e loro valutazione (1996); La diagnosi multimodale dei
disturbi del comportamento alimentare (con Buracchi, 2003); Manuale di Diagnostica clinicopsicologica e psicofisiologica (2004); I disturbi alimentari e ponderali in medicina, chirurgia e
psicologia (con G. Mangiaracina e M. Pissacroia, 2006); Psicopatologia dei disturbi alimentari
(2006). Psicologia clinica e psicopatologia. Diagnosi funzionale e approccio multidimensionale ai
trattamenti (2008).
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