C. Pruneti e F. Fontana Psicofisiologia Clinica Libreria Medico Scientifica Parma Copyright 2010 Casa Editrice Libreria Medico Scientifica Via M. D’Azeglio, 57 - Parma Mail: [email protected] È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico non autorizzata ed è punita con una sanzione penale. 2 Prefazione Il presente testo è stato pensato come ausilio teorico pratico per lo studio di quella disciplina, denominata Psicofisiologia Clinica, che si occupa dell’osservazione, rilevazione e valutazione dei cambiamenti fisiologici dell’organismo precedenti, concomitanti e conseguenti a fenomeni comportamentali, emozionali e cognitivi. Questi aspetti, fondamentali nella vita dell’uomo, possono essere studiati con diversi strumenti d’indagine, e tra questi, non ultimo, quello psicofisiologico. Il testo desidera perciò offrire a studenti, specializzandi, ma anche a professionisti, una guida che illustri quel settore della Psicofisiologia Clinica che si occupa principalmente dell’assetto neurovegetativo e delle influenze reciproche tra questo e il comportamento interno e di relazione dell’individuo. Sono comprese nel testo ampie descrizioni ed evidenze di forti relazioni tra quadri psicofisiologici particolari, a livello dell’attività autonomica, e sindromi psicopatologiche ascrivibili all’asse I del DSM IV-TR (American Psychiatric Association, APA, 2000). Carlo Pruneti. 3 4 INDICE CAPITOLO 1 : EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI STRESS PAG. 7 CAPITOLO 2 : NEUROFISIOLOGIA DELL’ATTIVAZIONE PAG. 27 CAPITOLO 3 : LA REGISTRAZIONE DEL POTENZIALE PAG. 45 ELETTRICO DEL MUSCOLO FRONTALE CAPITOLO 4 : LA MISURAZIONE DELL’ATTIVITA’ PAG. 49 ELETTRODERMICA CAPITOLO 5 : LA MISURAZIONE DELLA FREQUENZA PAG. 55 CARDIACA CAPITOLO 6 : LA MISURAZIONE DELLA TEMPERATURA PAG. 63 CUTANEA PERIFERICA CAPITOLO 7 : VALUTAZIONE DIAGNOSTICA PAG. 67 MULTIMODALE E MULTIDIMENSIONALE IN PSICOLOGIA CLINICA CAPITOLO 8 : PSICOFISIOLOGIA E VALUTAZIONE PAG. 83 PSICOFISIOLOGICA CAPITOLO 9 : PSICOFISIOLOGIA DEI DISTURBI D’ANSIA PAG.103 CAPITOLO 10 : QUADRI CLINICI E UTILITA’ PAG.127 DIAGNOSTICA DEL PROFILO PSICOFISIOLOGICO CAPITOLO 11 : L’IMPIEGO DEL PROFILO PAG.145 PSICOFISIOLOGICO NELLA VALUTAZIONE DEI TRATTAMENTI BIBLIOGRAFIA PAG. 149 5 EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI STRESS Il termine inglese “stress” deriva da quello latino “strictus” che significa stretto, serrato, compresso. Prima di essere introdotto nel lessico scientifico, è stato per molto tempo impiegato nel linguaggio anglosassone mutando però il suo significato nel corso dei secoli. Nel XVII secolo, in riferimento alla vita delle persone, connotava una condizione di “difficoltà, avversità, afflizione”. Successivamente, nei secoli XVIII e XIX, indicava “forza, pressione, tensione, sforzo”, quali condizioni di sollecitazione cui veniva sottoposto soprattutto un materiale rigido. In questa accezione, la parola iniziò ad essere frequentemente utilizzato nel campo della lavorazione del ferro e venne così prevalentemente ad appartenere al lessico ingegneristico. A tal proposito Hinkle (1973), nel suo excursus storico del termine “stress”, si è riferito all’esperienza di Robert Hooke, fisico del XVII secolo che si dedicò allo studio di quelle strutture architettoniche, come ad esempio i ponti, progettate in modo tale da poter sopportare enormi carichi e resistere alle forti sollecitazioni dei venti, dei terremoti e di altri fenomeni naturali. Hooke indicò con la parola “load” il peso sulla struttura, con “stress” l’area sulla quale veniva esercitata la pressione e con “strain” la deformazione della struttura determinata dall’incontro tra il “load” e lo “stress”. L’analisi di Hooke, per quanto al tempo dedicata prevalentemente alla fisica dei materiali, successivamente influenzò in maniera determinante l’elaborazione di modelli teorici dello stress nell’ambito della fisiologia, psicologia e delle neuroscienze. A lungo, infatti, è sopravvissuta l’idea che lo stress fosse un carico o una forza esterna tollerato da un sistema psicobiologico. Hooke si interessò inoltre allo studio delle differenze riguardanti l'elasticità dei metalli per valutarne la resistenza allo “strain”. Ad esempio, egli osservò che la ghisa è rigida e si spezza facilmente, mentre invece il ferro battuto è flessibile e malleabile per cui si piega senza spezzarsi. Lazarus (1984) si riferisce a questo fenomeno fisico come metafora: così come tra le proprietà dei metalli può essere annoverata la resistenza alla deformazione, così nelle 7 persone può essere individuata la capacità di reagire più o meno adeguatamente agli eventi stressanti. Anche Hinkle (1977) si riferisce al termine “stress” per la definizione di uno stato di tensione o di resistenza che si oppone a forze esterne agenti su oggetti o persone. L'introduzione della parola nell'ambito scientifico e nello specifico in psicologia e medicina è dovuta a Walter Cannon che identificò nel “livello critico di stress” “il massimo livello di stimolazione sopportabile dai meccanismi di compenso fisiologici” (1935, 1963). Cannon si occupò inizialmente degli aspetti psiconeuroendocrini dello stress e, nello specifico, studiò lo stato di attivazione della midollare del surrene. Egli definì il concetto di “reazione di allarme” come modello di risposta tipico caratterizzato da liberazione di adrenalina, aumento della frequenza cardiaca, aumento della frequenza e ampiezza respiratoria, ridistribuzione della circolazione sanguigna volta a migliorare l'irrorazione e quindi l'ossigenazione dei muscoli scheletrici e liberazione in essa di glucosio a partire dalla conversione del glicogeno operata dal fegato. Sempre Cannon (1914, 1929) sostenne che alcune condizioni come il dolore, la fame, la paura o la rabbia sono da considerare fattori elicitanti uno schema di attivazione fisiologico ed endocrino che procede in modo relativamente uniforme. Il lavoro di Cannon consentì in seguito la formulazione del concetto di “mobilitazione dell'energia” di Duffy e l'elaborazione teorica più completa del concetto di stress da parte di Selye. Il contributo di Duffy (1972) consistette principalmente nell'integrazione degli aspetti comportamentali, associati alla “reazione di allarme”, e nell’avere concepito quindi l’attivazione come uno stato di mobilitazione completa dell’organismo. Egli osservò infatti che le variazioni di alcune funzioni fisiologiche, come l'elettromiogramma, la respirazione, l'attività elettrodermica, la temperatura cutanea periferica e l'elettroencefalogramma, in risposta a una situazione-stimolo, si associavano a risposte comportamentali di avvicinamento o di allontanamento. L’utilizzo del termine stress si deve comunque al fisiologo di origine austriaca, Hans Selye, che, ancora studente di medicina presso l’Università di Praga, nell’ascoltare le 8 lezioni di clinica medica di Von Jaksch, si accorse che nella descrizione clinica della maggior parte delle malattie venivano tralasciati o tenuti in scarsa considerazione, alcuni sintomi aspecifici presenti nella maggior parte delle sindromi morbose, quali febbre e senso di malessere generale, disturbi della cenestesi, perdita dell’appetito, dolori muscolari ed articolari, astenia, diminuzione della libido, perdita dell’interesse e della concentrazione. Tali sintomi, proprio perché presenti nella fase iniziale di quasi tutte le malattie, erano probabilmente ritenuti troppo generici ed aspecifici per essere, al tempo, presi in considerazione. Dieci anni più tardi Selye si era trasferito a lavorare all’Università ed Ospedale McGill di Montreal ed era coinvolto in un progetto di ricerca sugli ormoni sessuali che prevedeva, tra l'altro, l'iniezione di estratti di ovaie e di placenta nei ratti. Mentre lavorava al suo progetto si accorse che negli animali da esperimento era presente sempre una reazione contraddistinta da ingrossamento della corteccia surrenale, riduzione del volume del timo, della milza e dei gangli linfatici e di tutti gli altri tessuti linfoidi del corpo con presenza di ulcere gastriche e duodenali. Decise allora di cambiare la sostanza da iniettare, e, probabilmente in modo del tutto casuale, scelse della formalina, una sostanza chimica presente in qualsiasi laboratorio di ricerca comparata in quanto utilizzato per la conservazione dei tessuti, organi o interi organismi animali. Ancora una volta, ma in maniera ancor più marcata, fu riscontrata, dopo l’iniezione della formalina, la stessa risposta. Selye ebbe perciò il pregio di essere il primo ad attribuire queste alterazioni ad un’attivazione aspecifica dell’asse ipotalamo – ipofisi – cortico surrene (figura 1), suggerendo come, nelle fasi iniziali di ogni malattia, siano presenti sintomi generali ed aspecifici attivati dal sistema nervoso centrale e vegetativo, con conseguente attivazione della corteccia surrenale e relativa produzione di ormoni e interessamento dei linfonodi e delle mucose gastrica e duodenale. Questo insieme di reazioni fu denominato da Selye: “General Adaptation Syndrome” (GAS; “Sindrome Generale di Adattamento”). 9 Asse ipotalamo-ipofisi-surrene STIMOLO IPOTALAMO CRF CORTECCIA SURRENALE IPOFISI Glucocorticoidi ACTH MIDOLLARE DEL SURRENE ADRENALINA Ippocampo Recettori per i glucocorticoidi Ipotalamo - CRH + Ipofisi ACTH + - Corticale del surrene cortisolo figura 1 - Schema che illustra il funzionamento dell’asse ipotalamo.ipofisi-cortico surrene per il rilascio di glucocorticoidi in risposta ad uno stimolo stressante, in alto, e dei meccanismi di controllo e bilanciamento della risposta (feedback) in basso. Proseguendo nelle sue ricerche, Selye giunse alla conclusione che in effetti, questa reazione o sindrome generale ed aspecifica, poteva essere provocata dalle più svariate cause e non solo da fenomeni morbosi quali le malattie organiche. Ad esempio, anche il lavoro pesante, la fatica prolungata, l’eccesso di caldo o di freddo, i traumi, le emorragie, gli stessi interventi chirurgici e alcuni farmaci, potevano indurre nell'organismo sempre la stessa reazione: aumento di volume ed attivazione della corteccia surrenale, diminuzione del volume del timo (ghiandola linfoepiteliale, 10 collocata sul pericardio, è importante per lo sviluppo del sistema immunitario in quanto rappresenta il sito primario responsabile della maturazione delle cellule-T) , ingrossamento o, in alcuni casi, diminuzione del volume dei linfonodi, ulcerazioni gastro-duodenali, oltre che, ovviamente, altri sintomi più specifici di qualunque malattia. Nel 1936 la rivista “Nature” pubblicò un articolo di Selye nel quale veniva sottolineato il concetto fondamentale alla base della teoria del GAS: agenti stressanti diversi sono in grado di provocare una reazione assai simile. Lo stress non è quindi da considerare di per sé una malattia ma una reazione aspecifica dell’organismo nei confronti di qualsiasi agente stressante, definito con il termine “stressor” (Di Nuovo e coll., 2000). Già lo stesso Hans Selye, infatti, sottolineò che il termine stress descrive una risposta che è di per sè adattiva, in quanto potenzialmente in grado di permettere all'organismo, posto di fronte a problemi, ovvero a stressor di varia natura, di attivare sia risorse fisiologiche che psicologiche nel tentativo di affrontare la situazione per poi cercare di ristabilire l'equilibrio omeostatico dell’individuo appena ciò risulterà possibile e vantaggioso. Selye descrisse successivamente due modelli distinti ed antitetici di stress, in base agli effetti che questi producevano ad ogni livello sull'organismo e definì con la parola "eustress" l'effetto postumo piacevole, desiderabile ed adattivo dello stress, con la parola "distress" l'effetto disadattivo, dannoso, spiacevole di questo (Selye, 1970; 1974). Ancora, lo stesso Selye sottolineò il concetto secondo il quale si può parlare di un ruolo positivo dello stress, nel senso dell'eustress e di una necessità di evitamento, di controllo o di annullamento del distress. Da notare che, in studi successivi, si è arrivati a concludere che la sperimentazione dell'eustress può addirittura prevenire o bilanciare i negativi effetti del distress, come se una sorta di accumulo di eventi piacevoli, divertenti e rilassanti fosse in effetti in grado di aumentare gli effettivi meccanismi di fronteggiamento nei confronti dello stress negativo (Cousins 1983; Pruneti, 1996; 2008). 11 Ancora Selye, per primo, mise in evidenza che la risposta di stress era essenzialmente caratterizzata, dal punto di vista fisiologico, da un'attivazione ipotalamico ipofisaria con relativa produzione di ormoni tra i quali la prolattina (PRL) e dalla stimolazione della corteccia e della midollare del surrene, con conseguente produzione di ormoni quali il cortisolo ed altri, da lui definiti nell'insieme: "ormoni dello stress". Infine, Selye, suggerì come la reazione di stress potesse essere anche attivata direttamente dagli stimoli emozionali, che, a loro volta, non sono innescati da qualunque stimolo ma solo da quelli che riescono a penetrare una sorta di filtro, definibile come "valutazione cognitiva" (Pancheri, 1984). Ovvia conseguenza di ciò è che proprio i fattori di tipo cognitivo ovvero i pensieri, le sensazioni e le emozioni sono, in ultima analisi, fonte di stress. Ciò vale soprattutto per l'uomo, nel quale ricordi, fantasie, rapporti interpersonali, rappresentano la parte predominante della sua attività psichica, elementi, questi, che in taluni ambienti o situazioni possono essere in grado di attivare livelli anche elevati di tensione. Studi successivi hanno sottolineato come lo stress, per assumere un ruolo importante nella genesi di alcune malattie, oltre a possedere un'intensità tale da innescare i processi biochimici che sottendono ai vari tipi di risposta, deve essere in grado di produrre, attraverso i meccanismi automatici di controllo dell'organismo, un pattern di risposta cronico, ovvero debba perdurare ben oltre il fisiologico tempo di risposta psicofisiologica richiesto e volto al controllo della situazione. Esiste perciò una legge generale che regola il funzionamento di tutti gli organismi viventi quando sono sottoposti a fenomeni stressanti. Secondo tale schema, di fronte ad un problema, l'attivazione è immediata e forte; segue un primo adattamento alla situazione ma, se questa perdura oltre un certo limite di tempo, sino a diventare intollerabile, ciò può condurre prima a tensioni esagerate, poi a squilibri o a disturbi di vario genere (Pruneti, 1998). Selye impiegò il termine “stress” per indicare l'attivazione dell'asse ipotalamo-ipofisicorticosurrene e sostenne che si trattasse di una reazione aspecifica, uguale di fronte a stimoli diversi, comunque sempre adattiva e difensiva in quanto utile all'organismo e, solo successivamente, potenzialmente patogena. 12 Egli descrisse lo sviluppo della GAS articolato in tre fasi consecutive: allarme, resistenza e esaurimento. Durante la prima fase (allarme), alla presentazione dello stimolo o situazione stressante (stressor), si manifesta principalmente l'attivazione della branca simpatica del sistema nervoso autonomo e la conseguente attivazione della porzione midollare delle ghiandole surrenali, costituita dalla secrezione di adrenalina e noradrenalina. Mentre il primo neurotrasmettitore attiva il metabolismo del glucosio, rendendo disponibili le riserve immagazzinate nel tessuto muscolare perchè forniscano l'energia necessaria a sostenere uno sforzo intenso, entrambe le catecolamine aumentano la gittata cardiaca incrementando così l'irrorazione ematica della muscolatura scheletrica. L'organismo mobilita le risorse energetiche e organizza la propria attività orientandola verso un obiettivo prioritario: sostenere i comportamenti di lotta o fuga (fight and flight behaviours). Sempre nella stessa fase, si osserva una preliminare attivazione dell'asse endocrino ipofisi-corticossurrene con la conseguente iniziale secrezione di glucocorticoidi. In particolare il cortisolo, noto anche come “ormone dello stress”, innesca la conversione delle proteine in glucosio, coinvolge i lipidi nella produzione di energia immediatamente disponibile, aumenta il flusso ematico e attiva le risposte comportamentali. Durante la seconda fase (resistenza), la “reazione di allarme” di Cannon è sempre attiva e si accompagna a iperproduzione di cortisolo: l'organismo si organizza anatomo-funzionalmente per adattarsi e fronteggiare lo stimolo o situazione stressante. Il termine “esaurimento” denomina la terza fase della GAS e ne indica due possibili esiti: l'estinzione della risposta di stress, per cessazione dello stimolo o situazione stressante, o una condizione di esaurimento funzionale che subentra quando l’esposizione allo stressor si protrae in modo abnorme e l’organismo non può mantenere oltre lo stato di resistenza e non ha le risorse per adattarsi ulteriormente. In questo caso, si producono nell’organismo patologie difficilmente reversibili, e nei casi estremi, la morte. Mentre nei primi lavori di Selye, culminati nel celebre volume “Stress” (1950), il termine “stress” significò la condizione dell’organismo sottoposto all’azione di uno 13 stressor, nei suoi ultimi, egli impiegò la parola per indicare contemporaneamente sia lo stimolo o situazione stressante, sia lo stato da questo provocato, nell’ambito di una situazione interattiva tra organismo e ambiente (Seyle, 1976). Pancheri (1993) sottolinea l’importanza del contributo di Selye e lo giustifica in base a tre motivi: in primo luogo, in campo biologico, è stata analizzata per la prima volta scientificamente, una relazione tra stimoli ambientali e reazione interna dell’organismo. In secondo luogo, Selye ha precisato che la risposta di stress è aspecifica, cioè uniforme di fronte a stimoli eterogenei (fisici, biologici o psicosociali). In terzo luogo, egli ha messo in evidenza l’aspetto più importante dello stress: anche se, in alcune circostanze, è potenzialmente all’origine di patologie, esso è una reazione fondamentale, poiché adattiva e difensiva per l’organismo. In aggiunta, secondo la sua ultima formulazione, Selye ha sostenuto che lo stress non può essere evitato in quanto costituisce l’essenza stessa della vita: “La completa libertà dallo stress è la morte. Contrariamente a quanto si pensa di solito, noi non dobbiamo, e in realtà non possiamo, evitare lo stress, ma possiamo incontrarlo in modo efficace, e trarne vantaggio imparando di più sui suoi meccanismi ed adattando la nostra filosofia dell’esistenza ad esso.” (Selye, 1973). Nel 1974, egli chiarì una distinzione qualitativa, basata sull’aspetto “salutare” dello stress, tra eustress e distress. Mentre con il primo etichettò una risposta benigna, associata presumibilmente a emozioni positive e a una condizione di salute fisica, attribuì al secondo il significato di reazione correlata a emozioni negative e a una condizione di disagio fisico. Il contributo di Mason fu quello di sviluppare l'idea, già formulata da Selye, circa l'esistenza di un “primo mediatore” (“first mediator”), un tramite di natura biochimica o nervosa tra gli stimoli e la reazione fisiologica ed endocrina di stress. Data la constatazione empirica che stimoli di natura psicosociale (interazioni con carattere di minaccia, pericolo per l'incolumità fisica o per la vita della persona, ecc.), cui si associa una reazione emozionale, attivavano il sistema ipotalamo-ipofisi- corticosurrene, Mason intuì che la risposta biologica di stress fosse mediata da un'attivazione emozionale. Egli in seguito verificò la sua ipotesi attraverso diversi 14 esperimenti basati sulla dissociazione dello stimolo fisico da quello emotivo nello stressor presentato (Mason, 1971). Indipendentemente dalla natura dello stimolo (fisico, psicosociale o intrapsichico), la risposta fisiologica ed endocrina di stress, cioè l'attivazione simpatica della midollare del surrene e dell'asse ipotalamo-ipofisicorticosurrene, è innescata solo se lo stressor induce una reazione emozionale. Mason individuò nel sistema limbico la sede anatomofisiologica di mediazione emotiva e coordinamento della reazione non solo biologica ma anche comportamentale di stress. Esso presenta infatti non solo connessioni discendenti con l'ipotalamo e l'ipofisi, ma anche ascendenti con la corteccia, luogo in cui l'azione difensiva e adattiva viene programmata, organizzata e coordinata. Rispetto a Selye, Mason suggerì la possibilità di una relativa specificità nella risposta di stress osservando come la reazione, sia dei primati che degli uomini, non fosse sempre identica alla presentazione degli stessi stressors. Egli precisò che gli individui rispondono a stimoli di natura psicosociale secondo uno schema di attivazione multiormonale la cui configurazione è specifica e personalizzata (Mason, 1975). Nell'ambito della psicofisiologia diverse ricerche avevano già dimostrato, da una parte, una elevata variabilità nella risposta di attivazione neurovegetativa tra diversi individui sottoposti agli stessi stressors, e dall'altra, una bassa variabilità nella risposta di stress dello stesso individuo a stressors differenti (Lazarus e coll., 1963). Altri contributi sperimentali (Lacey, 1967) avevano invece verificato che l'attivazione neurovegetativa risulta più specifica, personalizzata, se l'individuo è messo di fronte a stressors psicosociali o di bassa intensità. Stressors intensi o con elevato significato di minaccia, come quelli impiegati da Selye, non consentirono invece di osservare un pattern specifico e personalizzato di attivazione multidimensionale. Data l'alta variabilità interidividuale nella risposta emozionale e di stress allo stesso stressor psicosociale, è ipotizzabile che nella sua elicitazione e modulazione sia determinante un'elaborazione cognitiva tanto più complessa tanto maggiore è il livello evolutivo del Sistema Nervoso Centrale in termini filogenetici. Valutazioni, inferenze e deduzioni, in altre parole l'intero sistema cognitivo, connoterebbe specificamente e personalmente il significato 15 di minaccia o di pericolo dello stimolo e di conseguenza sia la reazione emozionale che la risposta di stress. Durante gli stessi anni in cui Mason si dedicò allo studio sperimentale della connessione tra reazione emozionale e risposta di stress, Lazarus sostenne l’importanza della valutazione cognitiva degli stimoli quale fattore determinante del suo innesco. Lazarus (1984) descrisse il processo di stress articolato in quattro elementi fondamentali: 1. un agente causale interno o esterno, generalmente chiamato “stress” o “stressor”; 2. una valutazione cognitiva che distingue ciò che è minaccioso o nocivo da ciò che è benigno (“appraisal”); 3. le strategie di “coping” impiegate per affrontare gli stressors; 4. un pattern complesso di meccanismi biologico-comportamentali che caratterizza la risposta di stress. Lazarus ritenne che un’analisi esauriente dello stress avrebbe dovuto basarsi, oltre che sulla considerazione di parametri quantitativi come intensità, frequenza e durata dell'attivazione fisiologica, anche sull’indagine di aspetti di natura qualitativa. Il suo contributo più importante fu quello di aver sottolineato l’importanza della valutazione del significato dello stimolo nella mediazione emotiva della risposta di stress (Pancheri, 1982). Egli stesso (Lazarus, 1993) chiarì di aver focalizzato i suoi studi sullo stress psicologico piuttosto che sullo stress biologico. Lazarus distinse tre tipi di stress: la ripercussione psicologica di un evento già avvenuto (harm), la minaccia costituita da un pericolo imminente, non ancora concretizzatosi (threat) e le richieste impegnative (challenge) (Lazarus, 1966, 1981; Lazarus & Launier, 1978; Lazarus & Folkman, 1984). Lazarus e i suoi collaboratori misero a punto una serie di ricerche sperimentali volte a evocare stress psicologico in situazioni di laboratorio. 16 Alcuni soggetti furono invitati a guardare una serie di filmati a contenuto altamente stressante (circoncisioni, sperimentatori incidenti sul lavoro). Contemporaneamente, gli registravano e monitoravano continuamente alcune funzioni del sistema nervoso autonomo (frequenza cardiaca e atività elettrodermica) e annotavano i resoconti verbali sulle immagini proposte. Prima della visione dei filmati, i partecipanti avevano ascoltato un’introduzione descrittiva sul loro contenuto, precedentemente registrata e formulata allo scopo di orientare la valutazione dei soggetti circa ciò che stavano per guardare. Alcune introduzioni negavano l’evidenza delle immagini: “... questi incidenti non sono accaduti realmente, sono stati inscenati con degli effetti ...”. Altre immagini furono oggetto di intellettualizzazioni e prese di distanza scientifiche: “ … questo è un interessante studio antropologico sui riti di iniziazione ...”. Infine, una terza formula introduttiva enfatizzava il contenuto minaccioso dei filmati: “... le persone che vedrete in questo filmato provano un dolore acuto ...”. Le risposte autoriferite e psicofisiologiche relative a queste visioni furono confrontate con quelle ottenute da un gruppo di controllo cui erano stati proposti gli stessi filmati senza esser stati anticipati da introduzioni orientanti. Gli autori dimostrarono che le chiavi di lettura erano state significativamente influenti sui resoconti soggettivi e sulle reazioni fisiologiche agli stressors visivi presentati. I risultati di queste ricerche consentirono a Lazarus di verificare la propria ipotesi circa l’esistenza di un mediatore cognitivo della risposta di stress (“appraisal”). Lazarus ha anche introdotto il concetto di “coping” e ne ha sottolineato la caratteristica processuale (Lazarus, 1966, 1981; Lazarus & Folkman, 1984; Lazarus & Launier, 1978). Esso consiste nello sviluppo di strategie personali, sia cognitive che comportamentali, volte a gestire specifiche richieste ritenute gravose e opprimenti. Sebbene esistano stili permanenti di coping, Lazarus (1984) ha precisato che il coping è altamente contestuale poiché, per essere efficace, deve adattarsi alla variabilità delle diverse condizioni stressanti. 17 Egli ha definito le strategie di coping “centrate sul problema” (“problem-focused coping”) le risorse personali e rese disponibili dall'ambiente circostante impiegate per trovare una soluzione al problema. Riferendosi invece alle cognizioni e ai comportamenti che mirano ad aggirare il problema e a fornire interpretazioni alternative agli eventi, in modo tale da influenzarne la valutazione e, conseguentemente, la reazione emozionale, Lazarus parla di strategie di coping “centrate sulle emozione” (“emotion-focused coping“): il diniego, la presa di distanza e la razionalizzazione, ad esempio, sono tecniche molto efficaci nell’alleviare lo stress. Folkman & Lazarus (1985) hanno precisato che la scelta del tipo di strategia di coping da impiegare dipende dalla valutazione del problema: se dopo un'analisi accurata delle circostanze la persona conclude che non è possibile trovare o praticare alcuna soluzione in grado di cambiare la situazione stressante, allora sarà più efficace, adattivo, utilizzare tecniche di coping “emotion-focused”. A volte però l'impiego di tecniche evitanti, in qualità di strategie “emotion-focused“, viene estesa frequentemente alla soluzione della maggior parte dei problemi quotidiani, che, per quanto siano impegnativi, tuttavia sono realisticamente risolvibili. L'annientamento dell'ansia e il sollievo immediati, rinforzano negativamente questo stile di coping, consolidano le aspettative negative circa la possibilità di risolvere il problema e distolgono la motivazione del soggetto orientandolo a ripiegare su obiettivi di secondaria importanza. Alcune strategie di coping sono maggiormente estendibili a diverse situazioni problematiche. La reinterpretazione positiva degli eventi, ad esempio, riflette una caratteristica di personalità, fa parte cioè di un repertorio di risposte comportamentali consolidate e collaudate e perciò è reiterata pressochè costantemente. La ricerca del sostegno di familiari o amici, invece, dipende sia dall'estensione della rete sociale di appartenenza, sia dal contesto in cui si presenta il problema. Essa perciò non è sempre facilmente reperibile. Lazarus ha chiarito che l'elaborazione cognitiva dello stressor (“appraisal primario”) si articola in due fasi distinte: in primo luogo, una valutazione della sua significatività 18 a livello personale, in termini di minaccia, pericolo. Secondariamente, una valutazione circa la disponibilità delle risorse necessarie alla sua gestione (“appraisal secondario”). I due processi di appraisal interagiscono tra loro e determinano la connotazione stressante di una situazione (Lazarus & Folkman, 1984). La formulazione teorica riguardo lo stress proposta da Lazarus e Folkman (1984) stabilisce dunque che la valutazione cognitiva (appraisal) di uno stimolo, evento, può sia elicitare e modulare la risposta biologica di stress, sia selezionare gli atteggiamenti e i comportamenti per fronteggiarlo (coping). Pancheri (1984) ha sottolineato come Selye, fisiologo, Mason, psichiatra e Lazarus, psicologo, pur appartenendo a settori disciplinari differenti, arrivarono a concludere che lo stress fosse una reazione complessa, non solo o biologica o comportamentale, ma funzione dell'interazione tra queste due componenti e finalizzata a un miglior adattamento. Tuttavia, nessuno di loro né approfondì il rapporto tra aspetti biologici e comportamentali né la relazione tra questi e la patologia, somatica o psichica. Fu Bahnson (1969), un autore di scuola psicoanalitica, a offrire un primo modello, di orientamento psicodinamico, in grado di spiegare, in termini di coordinazione tra pulsioni e meccanismi di difesa, il funzionamento a “bilancia” che determina l'esito patologico, psichico o somatico, della risposta di stress. In base alle sue osservazioni cliniche, egli constatò che, a parità di elevato eccitamento pulsionale, mentre meccanismi di difesa come la proiezione e lo spostamento si associavano frequentemente a nevrosi o psicosi, patologie caratterizzate quindi da disturbi comportamentali, altri meccanismi di difesa come la negazione e la repressione erano spesso correlati a disturbi psicosomatici. La metafora della bilancia descrive il modello (figura 2) proposto più recentemente da Pancheri (1980). Egli descrisse i programmi psicocomportamentale e psicobiologico entrambi funzionali al fronteggiamento dello stressor e al miglior adattamento. Mentre il primo è costituito da modalità preorganizzate di attacco e fuga, il secondo prevede schemi di attivazione fisiologica e endocrina finalizzati alla 19 preparazione e ottimizzazione delle risorse energetiche dell'organismo per sostenere un'azione immediata. comportamenti finalizzati a neutralizzare lo stress S T R E S S O R S valutazione cognitiva programma psico comportamentale reazioni specifiche e aspecifiche disturbo psichico programma psico biologico reazioni specifiche e aspecifiche disturbo somatico attivazione emozionale modificazioni somatiche finalizzate a compensare gli effetti biologici dello stress figura 2 - Il modello a “bilancia” (modificata da Pancheri, 1986). Il programma psicobiologico esaurisce la propria attività in funzione dell'efficacia del programma psicocomportamentale. Quest'ultimo può riuscire nella gestione dello stressor sia attraverso l'azione, sia per via simbolica, mediante la comunicazione verbale e non verbale delle emozioni. Tuttavia, nel corso dello sviluppo, alcuni individui possono apprendere a privilegiare l'impiego di un solo programma. Il gioco del rinforzo e dell'estinzione in uno specifico contesto educativo, ad esempio, può condizionare l'annullamento dell'azione, la manifestazione del proprio vissuto emotivo e, addirittura, il suo riconoscimento da parte della stessa persona. Questo comporta l'impossibilità di interrompere la richiesta al programma psicobiologico, la 20 sua attivazione cronica e, a lungo termine, lo stato di esaurimento funzionale dell'organismo, precursore della malattia psicosomatica. D'altra parte, una storia personale caratterizzata dal rinforzo sistematico di manifestazioni comportamentali, non accompagnate da risposte biologiche, può riscontrarsi in alcuni quadri psicopatologici di tipo nevrotico (ansia generalizzata, ipocondria, isteria, ecc.). Una condizione di stress cronico, secondo la rassegna bibliografica di Pancheri (1984), sembra quindi caratterizzarsi per la sua associazione con il blocco o inibizione comportamentale. D'altra parte, come sottolinea lo stesso autore, il programma psicobiologico, prevede un'attivazione fisiologica e endocrina finalizzata all'azione. Una risposta biologica non disattivata, a causa del procrastinato o mancato passaggio all'azione, comporterà uno stato di attivazione iperprotratto cui seguirà una condizione di esaurimento funzionale dell'organismo e il conseguente sviluppo della malattia psicosomatica. Sempre Pancheri (1984), partendo dalla premessa che il sostegno dell'azione è l'obiettivo della mobilitazione dell'organismo, sostiene che una buona funzionalità del programma psicobiologico dipende dalla presenza ottimale di stressors. Stimoli ambientali e psicosociali forniscono quindi la base “allenante” per la risposta neurofisiologica e neuroendocrina di stress. È ipotizzabile allora che un'ulteriore condizione di vulnerabilità per la malattia psicosomatica possa scaturire dalla riduzione di stressors, dovuta a un contesto ambientale deprivato o dall'evitamento sistematico di situazioni problematiche ma realisticamente affrontabili. Questo stile di coping, o addirittura di vita, pervasivo può riflettere, ad esempio, uno quadro di personalità caratterizzato da inibizione, abitudinarietà o difensività. Il mancato o scarso ricorso alla risposta di stress può determinare una iporeattività funzionale dei sistemi neurofisiologico e neuroendocrino e dunque da parte del programma psicobiologico un sostegno insufficiente, inefficace per l'adattamento agli stressors. Un annullamento del passaggio all'azione non necessariamente si verifica come conseguenza di un prevalente stile di coping evitante: nel caso dell'alessitimia, la persona non ha la capacità di leggere e esprimere il proprio vissuto emotivo. 21 Budzynski, Stoyva, Anderson & Vaughn (1979) condussero a Denver, presso il Centro Medico dell’Università del Colorado, una serie di studi clinici e sperimentali allo scopo di analizzare lo stress cronico associato allo sviluppo di diversi disturbi come ipertensione essenziale, ansia generalizzata, emicrania e cefalea tensiva, sia dal punto di vista della sua valutazione psicofisiologica, che dal punto di vista della sua gestione e del suo trattamento con la terapia di biofeedback. Secondo questi autori lo stress consiste in un disturbo o in uno squilibrio di uno o più processi fisiologici ed è l'espressione dello sforzo che il corpo impiega per prepararsi ad evitare o ad affrontare una minaccia reale o immaginaria. Essi, ribadendo quindi la tesi di Selye secondo cui la funzione dello stress è generalmente adattiva, ne sottolinearono in particolare l’aspetto pragmatico, i suoi effetti sul comportamento. In questo senso, lo stress è da considerarsi adattivo se consente di affrontare adeguatamente la situazione, viceversa, se risulta inappropriato alla situazione è da considerarsi disadattivo (figura 3). figura 3 - Budzynski et al. (1979) disegnano in maniera stilizzata un ipotetico “profilo di stress” (da A. Angoli, 1979) 22 Budzynski e coll. (1979) precisarono che la risposta di stress può essere definita inappropriata quando viene elicitata troppo frequentemente, quando è mantenuta troppo a lungo, quando, dopo l’evento stressante, il ritorno al livello di riposo è troppo lento, quando da luogo ad un peggioramento della performance e quando porta allo sviluppo di un disturbo da stress. La figura 3, a proposito, mostra la stilizzazione di due ipotetici andamenti: “adattivo” e “disadattivo” in condizioni di riposo, presentazione dello stressor e recupero. Budzynski e coll. (1979), dopo queste considerazioni, sostennero che esistono due linee di difesa contro un modello disadattivo di stress: se si parte dal presupposto che i preparativi per far fronte allo stress sono estesi in funzione della percezione del grado di gravità della situazione, una prima strategia per far fronte ad esso sarà quella di studiare i problemi quotidiani da una prospettiva più realistica; l’individuo potrà scegliere la strategia più efficace solo quando il suo obiettivo sarà concreto e raggiungibile e quando avrà stabilito quali e quanti passi saranno necessari al suo conseguimento. L’assunzione di premesse sbagliate, cioè irrealistiche, comporta una visione distorta degli eventi e rende più difficile distinguere, metaforicamente, quanto alto sia l’ostacolo da superare e, di conseguenza, quanta rincorsa e potenza muscolare sia necessario utilizzare per scavalcarlo. Gli autori sostennero anche che un evento stressante può essere affrontato se la persona può decidere presto un’azione adeguata e metterla in atto. A parer loro, anche l’indecisione può provocare una risposta di stress prolungata che può essere disadattiva se mantenuta troppo a lungo. Una seconda difesa contro lo sviluppo di disturbi da stress può consistere nella capacità di ritornare velocemente a una condizione di rilassamento pre-stress dopo che l’evento stressante si è verificato; altrimenti, un lento recupero implica il mantenimento della risposta a livelli elevati, se lo stimolo stressante si verifica spesso, e la conseguente cronicizzazione dello stress. La figura 4 mostra l’andamento 23 della pressione sanguigna in un recupero di tipo adeguato (abituazione) e in uno di tipo inadeguato (accumulo). figura 4 - Recupero adeguato ed inadeguato a frequenti stimolazioni stressanti (modificata da A. Angoli, 1979) Pancheri (1993) ha ricordato che lo stress, anche se nel linguaggio comune è sinonimo di fattore negativo ed indica uno stato o un complesso di fattori che possono facilitare una malattia sia somatica che psichica, è allo stesso tempo l’essenza della vita. La reazione di stress, infatti, serve oggi, così come è servita per millenni, ad ogni organismo per adattarsi plasticamente all’ambiente ed alle sue richieste. Pancheri (1993) ha parlato perciò di stress “ottimale” che consiste in una condizione di attivazione e disattivazione rapida, con una reazione di stress articolata in risposte biologiche e comportamentali sincrone ed integrate tra loro. Essa inoltre, pur essendo 24 di intensità variabile sia in funzione della situazione che della persona, raggiunge raramente livelli eccessivi ed è limitata nel tempo (figura 3). Lo stesso autore ha descritto quattro reazioni patologiche principali, quattro forme di deviazione dalle caratteristiche ideali della risposta di stress “ottimale” che possono determinare più di altre un rapporto tra stress e aumentato rischio di malattia: stress acuto di elevata intensità, stress in condizioni acute e/o croniche di blocco dell’azione, stress cronico iperprotratto, stress acuto in un sistema con inibizione della reazione di stress (figura 5). figura 5 – Comparazione tra una reazione di stress ottimale a reazioni di stress nocive (modificata da Pancheri, 1993) La reazione di stress acuta, consiste in una attivazione eccessiva che può essere dovuta a stimoli fisici o psicosociali oggettivamente o soggettivamente intensi. 25 Lo stress acuto e/o cronico in condizioni di blocco dell’azione è contraddistinto da una condizione di attivazione biologica e contemporaneamente da una mancanza di possibilità di reazione comportamentale aperta allo stressor; essa è data, a seconda dei casi, da circostanze esterne o interne all’individuo. Lo stress cronico iperprotratto è costituito da una condizione in cui l’esposizione allo stressor prosegue nel tempo al di là della possibilità di reazione dell’organismo. La condizione di stress acuto in un sistema con inibizione cronica della reazione di stress è stata osservata in studi sperimentali effettuati su animali che per un certo periodo di tempo erano stati “protetti” artificialmente da normali stimolazioni stressanti. Successivamente, terminata questa fase, la risposta a normali stressor anche di moderata entità è risultata anormale ed eccessiva. In particolare sul piano biologico si è rilevata una iper-risposta dell’asse ipofisi-surrene e sul piano comportamentale una maggiore disorganizzazione e incapacità a impostare una reazione di lotta/fuga adeguata. Pancheri (1993) ha sostenuto che nell’uomo, a tal proposito, giocherebbero un ruolo fondamentale caratteristiche di personalità o fattori cognitivi. Se l’individuo ha consolidato uno stile di vita che predilige strategie di evitamento degli stressors o che comunque ne filtra e minimizza l’impatto emozionale eviterà di conseguenza l’attivazione della normale reazione di stress producendo uno stato di inibizione cronica dello stesso. Questo tipo di organizzazione presenta aspetti chiaramente protettivi, dall’altra parte, espone il soggetto a maggiori e più devastanti effetti, una volta che i meccanismi psicologici di difesa vengono superati. 26 NEUROFISIOLOGIA DELL’ATTIVAZIONE Il presente capitolo vuole fornire una descrizione delle strutture nervose coinvolte nell’elaborazione della risposta emotiva e di stress. La figura e la successiva tabella 6 localizzano, raffigurano e descrivono la suddivisione anatomica e funzionale del Sistema Nervoso Centrale (SNC). 1 3 4 2 5 7 6 8 9 10 11 27 divisione primaria ventricolo suddivisioni strutture principali corteccia cerebrale (1) ventricolo laterale funzioni pianificazione e esecuzione del comportamento (parte anteriore) percezione e apprendimento (parte posteriore) telencefalo gangli della base (2) controllo del movimento apprendimento e memoria Proencefalo sistema limbico: corteccia limbica (3) terzo ventricolo diencefalo sensazione, espressione, riconoscimento e memoria delle emozioni talamo (4) coordinamento funzioni sensoriali ipotalamo (5) ipofisi (6) controllo fuzioni autonome e endocrine tetto: collicoli inferiori e superiori riflessi a stimoli visivi e uditivi tegmento: tronco dell’encefalo: mesencefalo tronco dell’encefalo: romboencefalo formazione reticolare (parte rostrale) acquedotto mesencefalo sostanza grigia cerebrale (7) regolazione livello di veglia comportamenti di lotta e fuga periacqueduttale quarto ventricolo metencefalo nucleo rosso e substantia nigra trasmissione comando motorio area tegmentale ventrale meccanismi di rinforzo cervelletto (8) coordinazione motoria ponte (9) riflessi motori mielencefalo bulbo (10) midollo spinale (11) riflessi vegetativi trasmissione informazioni sensoriali e motorie figura 6 – Modificata da Carlson (2002): la suddivisione anatomica e funzionale del Sistema Nervoso Centrale (SNC). Damasio (1994, p. 339) descrive con le seguenti parole l’essenziale funzione adattiva del cervello: “La funzione fondamentale del cervello è quella di essere ben informato su ciò che sta succedendo in lui e nell’ambiente che circonda l’organismo, in modo da consentire gli accomodamenti tra organismo e ambiente necessari alla sopravvivenza”. 28 Nei successivi paragrafi saranno descritte e illustrate le principali strutture nervose coinvolte nella concertazione della risposta emotiva e adattiva dell’organismo. Il sistema limbico Il termine “lobo limbico” (dal latino limbus = orlo, bordo, contorno) fu introdotto da Paul Broca per indicare quella parte della corteccia, filogeneticamente primitiva, e comune a tutti i mammiferi, disposta ad anello attorno al tronco dell'encefalo e al margine mediale degli emisferi cerebrali che comprende il giro paraippocampico, il giro del cingolo e il giro subcallosale (figura 7a). James Papez, successivamente (1937), ipotizzò che il circuito neurale costituito dal lobo limbico fosse la base neuroanatomica dei processi motivazionali e emotivi. Papez basò le sue osservazioni su studi riguardanti il ruolo dell'ipotalamo nei correlati fisiologici e endocrini delle emozioni e constatò l'influenza reciproca tra queste variabili e le cognizioni: solo quando le emozioni raggiungono il livello di coscienza (esperienza soggettiva dell'emozione) influiscono sul pensiero, e questo e altre funzioni del sistema cognitivo influenzano le emozioni. Papez ipotizzò dunque quali fossero le connessioni tra le strutture neurali responsabili di queste funzioni: la corteccia comunica con i corpi mamillari dell'ipotalamo attraverso il giro del cingolo, passando poi per l'ippocampo e successivamente per il fornice. Una parte dell’ipotalamo, i corpi mammillari, comunica invece con la corteccia, attraverso il giro del cingolo, passando per i nuclei talamici anteriori (figura 7a). Paul McLean (1949) ampliò il concetto di sistema limbico includendovi altre strutture che sono in relazione anatomica e funzionale con quelle a suo tempo indicate da Papez: l’area settale, alcune parti dell’ipotalamo, il nucleo accumbens, alcune aree neocorticali (corteccia orbitofrontale) e, infine l'ippocampo e l’amigdala, due strutture sottocorticali localizzate nel lobo temporale (figura 7b). Mentre il primo è coinvolto nei processi di apprendimento e memoria, la seconda sembra svolgere una importante funzione nel riconoscimento degli stimoli significativi, a carattere di minaccia o 29 pericolo personali e coordinazione delle risposte emotive comportamentali, fisiologiche e endocrine. L'amigdala è a sua volta costituita da diversi nuclei, mediale, laterale e basolaterale e centrale, connessi con l'ipotalamo, l'ippocampo, il talamo e la neocorteccia. figura 7a - Il circuito nervoso per le emozioni proposto da Papez (linee in grassetto). Kupfermann (1994) riporta in aggiunta le connessioni più recentemente individuate (linee sottili) (da E. R. Kandel, 1994). 30 corpo calloso talamo fornice giro del cingolo giro subcallosale corteccia prefrontale corpo mamillare amigdala ippocampo figura 7b – Il sistema limbico. Il nucleo mediale dell’amigdala riceve afferenze sensoriali e le ritrasmette al proencefalo basale e all'ipotalamo. I nuclei laterali e basolaterali ricevono invece afferenze relative alla presenza di stimoli ambientali, elementi contestuali, dalla corteccia sensoriale primaria, dalla corteccia associativa, dal talamo e dall'ippocampo. Questi nuclei proiettano efferenze allo striato ventrale, area coinvolta nell'effetto prodotto da stimoli rinforzanti sull'apprendimento e al nucleo dorsomediale del talamo che inoltra a sua volta alla corteccia prefrontale. Le informazioni sensoriali ricevute dai nuclei laterale e basolaterale afferiscono inoltre al nucleo centrale dell'amigdala. Quest'ultimo proietta all'ipotalamo, al mesencefalo, al ponte e al bulbo, centri responsabili delle manifestazioni fisiologiche ed endocrine della risposta emozionale. Fu Le Doux nel 1995 a dimostrare che il nucleo centrale dell'amigdala è responsabile dello sviluppo di risposte emozionali condizionate. Come precisa Carlson (2002), all'interno di questo nucleo si verifica l'associazione, 31 costituita da modificazioni della plasticità neurale, tra stimoli differenti, neutri e incondizionati. Le principali proiezioni efferenti sono la stria terminale, che innerva il nucleo accumbens e l'ipotalamo e la via amigdalo fuga ventrale che innerva l'ipotalamo, il nucleo dorsomediale del talamo e la parte rostrale del giro del cingolo (Kandel, 1994). Alcune delle principali proiezioni efferenti innervano poi il nucleo reticolare del ponte caudale che è uno dei centri responsabili della modulazione del riflesso di allarme, una reazione motoria di sobbalzo che si manifesta di fronte a stimoli improvvisi, intensi e transitori, caratterizzata da una contrazione muscolare flessoria dalla testa agli arti e dalla rapida e intensa chiusura delle palpebre, nota come riflesso di ammiccamento (startle blink). Altre proiezioni efferenti innervano l'ipotalamo, coordinatore delle risposte fisiologiche ed endocrine di stress. Mentre la sua porzione anteriore regola l'attivazione della branca parasimpatica del Sistema Nervoso Autonomo (SNA), quella posteriore partecipa all’organizzazione della reazione neurovegetativa di stress, mediata dalla branca simpatica del SNA, che sostiene la risposta di difesa. Quest'ultima si caratterizza tra l’altro per l'aumento di afflusso sanguigno all'apparato muscolo-scheletrico, l’incremento della frequenza e della gittata cardiaca, della pressione arteriosa, della frequenza e ampiezza respiratoria. L'ipotalamo, attraverso la mediazione dell'ipofisi, controlla anche le risposte neuroendocrine: neuroni secretori della regione ipotalamica paraventricolare rilasciano nell'eminenza mediana della porzione anteriore dell'ipofisi (adenoipofisi) l'ormone rilasciante la corticotropina (corticotropin releasing hormone, CRH), conosciuto anche come fattore rilasciante la corticotropina (corticotropin releasing factor, CRF). Il CRH attraverso i capillari primari del circolo portale dell'adenoipofisi, arriva alle cellule corticotrope della stessa dove viene secreta corticotropina, o ormone corticotropo (Adeno Cortico Tropin Hormone, ACTH). L’ACTH, a sua volta, attraverso il circolo sistemico, raggiunge la porzione corticale delle ghiandole surrenali dove attiva la secrezione di glucocorticoidi, in particolare il cortisolo, noto anche come ormone dello stress. Quest’ultimo ormone è in grado di produrre varie reazioni nell’organismo tra le quali una delle più importanti è 32 l’aumento della glicemia, attraverso la stimolazione della gluconeogenesi epatica, a sua volta sostenuta dagli amminoacidi derivanti da un accentuato catabolismo proteico, soprattutto a livello dei muscoli scheletrici. Ancora dall'amigdala, una terza via di proiezione efferente innerva la sostanza grigia periacqueduttale e il corpo striato dei gangli della base, strutture responsabili delle risposte comportamentali (Lang et al., 1998). Mentre la parte dorsolaterale della sostanza grigia periacqueduttale è coinvolta nella preparazione dei comportamenti di attacco/fuga (fight/flight behaviours), quella ventromediale organizza comportamenti di difesa passivi o inibitori (freezing), di immobilizzazione tonica (Fanselow, 1991). Altre connessioni efferenti sono stabilite con strutture corticali, sottocorticali e troncoencefaliche che svolgono funzioni connesse con l'elaborazione emotiva degli stimoli. Proiezioni dirette al talamo, alla corteccia sensoriale e associativa, all'ippocampo e alla corteccia entorinale, sembrano coinvolte nell'estrazione di informazioni sensoriali e mnestiche rilevanti per attuare un rapido adattamento all'ambiente (Davis e Whalen, 2001; Kipps et al., 2007). Quelle dirette invece alla corteccia prefrontale sono coinvolte nella programmazione di comportamenti adeguati al contesto. Nello specifico, mentre la corteccia prefrontale laterale elabora le cognizioni associate ai comportamenti intenzionali, quella orbitofrontale ne modula le componenti emotive. Nella figura 8 sono rappresentate le principali proiezioni efferenti del nucleo centrale dell’amigdala. 33 NEOCORTECCIA: CORTECCIA SENSORIALE PRIMARIA CORTECCIA ASSOCIATIVA TALAMO coordinamento informazioni sensoriali IPOTALAMO LATERALE: aumento frequenza cardiaca e pressione sanguigna, vasocostrizione NUCLEO PARAVENTRICOLARE IPOTALAMO: CRF - risposte endocrine IPOFISI: ACTH SOSTANZA GRIGIA PERIACQUEDUTTALE: comportamenti di attacco, fuga, immobilizzazione tonica AMIGDALA NUCLEO CENTRALE NUCLEO RETICOLARE DEL PONTE CAUDALE: riflesso motorio d'allarme NUCLEO VENTROLATERALE ROSTRALE DEL BULBO: regolazione attività simpatica NUCLEO PARABRACHIALE: aumento frequenza e ampiezza respiratoria figura 8 – Le principali proiezioni efferenti del nucleo centrale dell’amigdala 34 Sistema reticolare attivante ascendente Alcune cellule del sistema nervoso centrale (tronco dell'encefalo, talamo e ipotalamo, ecc.) sono specializzate nella modulazione del livello di eccitazione della corteccia cerebrale, luogo di analisi e sintesi delle informazioni sensoriali. Questo complesso sistema neuronale, denominato Sistema Reticolare Attivante Ascendente (ARAS), è situato, con una disposizione a rete, nel mesencefalo e nel mielencefalo (ponte e bulbo) e i suoi assoni percorrono il tronco dell’encefalo sia in senso rostrale che caudale (figura 9). Il ARAS è attivato da stimolazioni sensoriali e ottimizza il loro riconoscimento eccitando, a livello corticale, vari centri deputati all’elaborazione delle informazioni. Questi circuiti neurali sembrano quindi costituire la base neuroanatomica almeno di alcune delle funzioni attentive. Una prima via afferente è costituita da fibre collaterali a quelle provenienti dal midollo spinale che trasmettono l’informazione sensitiva alla corteccia cerebrale. Una seconda via afferente è invece costituita da fibre provenienti dalla corteccia cerebrale e dal sistema limbico (ipotalamo, amigdala). Le principali funzioni della formazione reticolare sono mediate dalle 3 principali efferenze: fibre dirette alla corteccia cerebrale, che regolano la soglia di eccitazione dei centri che analizzano l’informazione e di quelli che programmano il movimento orientato all’esplorazione ambientale; fibre dirette al midollo spinale attraverso il bulbo, che determinano l’attivazione motoria periferica (reazione di sobbalzo, tono muscolare, postura) e quella dei centri vegetativi; fibre dirette al midollo spinale, che modulano la sensibilità al dolore. Sembra quindi che la funzione principale del ARAS sia quella di amplificare e diffondere l’informazione riguardante la variazione delle condizioni ambientali e favorirne quindi l’elaborazione da parte delle strutture corticali e sotto-corticali. Moruzzi e Magoun (1949) dimostrarono per primi nel gatto che la stimolazione elettrica del sistema reticolare attivatore ascendente produce il suo risveglio dal sonno, un aumento dello stato di vigilanza e dell’attenzione verso gli stimoli esterni 35 con una reazione di desincronizzazione dell’elettroencefalogramma corticale che gli stessi autori indicarono con il termine arousal. Lindsley, successivamente (1950), formulò una teoria dell’attivazione che definì la relazione tra arousal, stato di veglia e performance. In base alla rappresentazione grafica di questa relazione, ad un livello di attivazione ottimale o intermedio, rispetto ai livelli alti o bassi di attivazione, corrisponderebbero le migliori prestazioni motorie e cognitive che realizzano una performance adattiva. Malmo (1966) ha ulteriormente elaborato l’impostazione di Lindsley includendovi le caratteristiche fisiologiche periferiche (ad esempio EMG e frequenza cardiaca) e introducendo il concetto di attivazione tonica. corteccia prefrontale talamo ponte Sistema Reticolare Attivante Ascendente (ARAS) bulbo o midollo allungato figura 9 – Il Sistema Reticolare Attivante Ascendente (ARAS). 36 Il sistema nervoso autonomo Il termine simpatico deriva dal greco e significa “soffrire insieme”. Il sistema simpatico partecipa all’attività dell’organismo regolando le funzioni viscerali. Il sistema ortosimpatico ha i suoi centri nel corno laterale da C8 fino a L2; da questi nuclei nascono delle fibre che si chiamano pregangliari, dotate di rivestimento mielinico. L’impulso passa, secondo la teoria saltatoria, da un nodo di Ranvier all’altro, saltando da un internodo all’altro. Queste fibre, dette rami comunicanti bianchi, si portano nella catena del simpatico. A ciascun lato della colonna vertebrale c’è una catena a grani di rosario (gangli collegati da fibre bianche) che va dall’encefalo (zona occipitale) quasi fino al coccige. Ci sono anche degli altri gangli meno numerosi, situati davanti alla colonna vertebrale chiamati gangli paravertebrali. Tra questi si può prendere in esame il plesso solare o ganglio celiaco, situato a livello dell’ombelico. Esso riceve rami comunicanti bianchi, (che non si sono fermati nei gangli laterovertebrali), detti nervi splancnici toracici. È di rilevante importanza perché innerva i visceri addominali dell’intestino medio fino alla flessura sinistra. In dipendenza da questo vi sono i gangli mesenterici, superiori e inferiori, e i gangli renali. Ad esempio, nella boxe sono vietati i colpi al di sotto della cintura, per evitare che un colpo raggiunga il ganglio celiaco che ha effetto di vasocostrizione. Se venisse colpito, i vasi si dilaterebbero e il sangue si accumulerebbe nel distretto intestinale. Quindi non arriverebbe più sangue al cervello, nei casi meno gravi, porterebbe a una lipotimia (svenimento), oppure, in caso di colpo violento, a coma e morte. Hess (1936) fu il primo a dimostrare che la stimolazione elettrica dell'ipotalamo produceva risposte da parte del Sistema Nervoso Autonomo (SNA). Infatti, a una stimolazione della porzione anteriore corrispose un'attivazione della branca parasimpatica del SNA con, tra l’altro, una riduzione del tono muscolare, che porta a una condizione di rilassamento e a una sincronizzazione delle onde elettriche cerebrali, come in uno stato di veglia rilassata. Hess associò a questo quadro neurofisiologico il termine “trofotropismo” (dal greco trofos=nutrimento) e lo 37 impiegò per indicare la situazione di recupero energetico (anabolismo) e di riposo dell'organismo. Una stimolazione della porzione posteriore dell'ipotalamo produce invece un'attivazione della branca simpatica del SNA con corrispondente desincronizzazione elettroencefalografica, come in uno stato di veglia attenta, vigile. Hess indicò con il termine “ergotropismo” (dal greco ergon=lavoro, attività) questo situazione di eccitazione diffusa (arousal) e di dispendio energetico dell'organismo. Successivamente fu Gellhorn (1968) a dimostrare sperimentalmente che la stimolazione elettrica dell'ipotalamo anteriore produce non solo l'attivazione della branca parasimpatica del SNA ma anche una relativa inibizione di quella simpatica. Sembra quindi che la condizione trofotropica o ergotropica dell'organismo non risulti dalle attivazioni mutualmente escludentesi delle due branche ma piuttosto da un loro bilanciamento. Inoltre, a un'attivazione marcata di una branca corrisponde, quando possibile, un controbilanciamento adattivo operato dall'altra (“rimbalzo”). Il sistema nervoso autonomo o vegetativo (SNA o SNV) è costituito da un insieme di vie afferenti e efferenti che mediano la comunicazione tra il sistema nervoso centrale (SNC) e gli organi di apparati e sistemi coinvolti nelle varie funzioni dell’organismo. Il SNA, dal punto di vista funzionale, è divisibile in due sezioni: simpatica e parasimpatica. Entrambe le sezioni sono costituite da catene di gangli, ovvero ammassi di cellule nervose, vere e proprie stazioni sinaptiche di ritrasmissione situate al di fuori del sistema nervoso centrale, e da neuroni pre e post-gangliari (figura 10). Le fibre pre-gangliari della branca simpatica sono costituite da neuroni i cui corpi cellulari sono posti nel corno laterale della sostanza grigia delle sezioni toracica e lombare superiore del midollo spinale (figura 10). I loro neuriti, o cilindrassi, emergono dal midollo spinale attraverso le radici dei nervi spinali corrispondenti e arrivano ai gangli paravertebrali e al plesso celiaco. Il plesso celiaco (dal latino “plexus coeliacus”) fa parte del plesso solare (dal latino “plexus solaris”) che si trova nella parte addominale del corpo, esattamente sotto il diaframma, centralmente dal passaggio dell’aorta nel diaframma (attraverso il “hiatus aorticus”). Il plesso solare è un plesso simpatico, che oltre al plesso celiaco, è essenzialmente composto anche dal 38 ganglio mesenterico craniale e dal plesso renale. Le fibre pre-gangliari della branca parasimpatica originano dal mesencefalo, dal ponte, dal bulbo, dalla sezione sacrale del midollo, ma soprattutto, dal nucleo bulbare del nervo vago. Arrivano ai gangli situati in prossimità degli organi da innervare e qui si connettono sinapticamente con le brevi fibre post-gangliari (figura 11). figura 10 - Gangli e neuroni pre e post- gangliari (da E. R. Kandel et al., 1994). 39 figura 11 – Il Sistema Nervoso Autonomo o Vegetativo (SNA o SNV) 40 Mentre la branca simpatica modula in genere lo svolgimento delle funzioni necessarie al fronteggiamento degli stimoli o eventi attivanti, stressanti, più in generale supportando i cosiddetti “comportamenti di attacco e fuga”, la branca parasimpatica regola perlopiù i processi digestivi e, in generale, tende a riportare l’organismo a una condizione di riposo. Nella figura 12 la tabella suddivide le funzioni neurovegetative a seconda del tipo di comunicazione neurotrasmettitoriale. La secrezione delle ghiandole sudoripare e della midollare del surrene, pur essendo gestite dalla branca simpatica del SNA, è regolata dall’acetilcolina. ORGANO trasmissione adrenergica trasmissione colinergica occhio contrazione del muscolo radiale dell’iride (MIDRIASI) contrazione del muscolo circolare dell’iride (MIOSI) ghiandole salivari secrezione densa e vischiosa secrezione profusa, acquosa ghiandole sudoripare secrezione generalizzata polmoni rilasciamento della muscolatura bronchiale contrazione della muscolatura bronchiale cuore aumento della contrattilità e velocità di conduzione diminuzione della contrattilità e velocità di conduzione fegato glicogenolisi, gluconeogenesi (chetogenesi) stomaco diminuzione della motilità e del tono, contrazione degli sfinteri, inibizione della secrezione secrezione di acidi pancreatici produzione e rilascio di insulina → glicogenesi pancreas intestino midollare surrenale aumento della motilità e del tono, rilasciamento degli sfinteri, stimolazione della secrezione diminuzione della motilità e del tono, contrazione degli sfinteri, inibizione della secrezione aumento della motilità e del tono, rilasciamento degli sfinteri, stimolazione della secrezione secrezione di adrenalina e noradrenalina figura 12 - Tabella riassuntiva dell’attività del SNA. Distinzione tra fibre colinergiche e fibre adrenergiche piuttosto che tra fibre post-gangliari parasimpatiche e simpatiche (modificata da Pancheri, 1980). 41 Tra le funzioni adattive mediate del SNA si possono citare: dalla sezione cervicale della catena gangliare paravertebrale arrivano all’occhio afferenze simpaticoadrenergiche che regolano la contrazione del muscolo radiale dell’iride e quindi la dilatazione della pupilla (midriasi); dal mesencefalo, attraverso il nervo oculomotore comune (neurone pre-gangliare), passando per il ganglio ciliare e il rispettivo neurone post-gangliare, arrivano afferenze parasimpatico-colinergiche che modulano la contrazione del muscolo circolare dell’iride e quindi il restringimento della pupilla (miosi). L’attivazione della branca simpatica del SNA predispone quindi l’occhio all’esplorazione ambientale volta alla ricerca di segnali, o stimoli significativi. Dalla sezione toracica superiore della catena paravertebrale arrivano poi al polmone afferenze simpatico-adrenegiche che regolano: il rilasciamento della muscolatura dei bronchi nei polmoni, l’aumento della frequenza cardiaca, l’incremento della contrattilità atriale e ventricolare e della velocità di conduzione delle fibre del miocardio. Dal bulbo, attraverso il nervo vago, afferisce agli stessi tessuti l’azione antagonista parasimpatico-colinergica. L’attivazione della branca simpatica del SNA favorisce quindi un maggior immagazzinamento di ossigeno e una sua più rapida distribuzione nell’organismo. Nel ganglio celiaco, che riceve afferenze pre-gangliari dalla sezione toracica del midollo spinale, attraverso la catena gangliare paravertebrale, sono situati i nuclei dei neuroni post-gangliari simpatici che entrano in contatto sinaptico con il fegato, lo stomaco, l’intestino tenue e la midollare del surrene (digestione). L’attivazione della branca simpatica del SNA riduce l’attività dello stomaco e dell’intestino attraverso la diminuzione del tono e della motilità, la contrazione degli sfinteri e l’inibizione della secrezione. Dalla sezione cervicale della catena gangliare paravertebrale afferiscono neuroni post-gangliari simpatici che stimolano nelle ghiandole salivari una secrezione densa e vischiosa che ostacola l’assunzione di cibo. 42 Analogamente, l’azione inibitoria delle attività dell’intestino crasso è mediata dai neuroni pre-gangliari delle sezioni toracica e lombare del midollo spinale e dai neuroni post-gangliari siti nei gangli mesenterico superiore e inferiore . Contemporaneamente, mentre nel fegato le afferenze simpatico-adrenergiche regolano la conversione del glicogeno immagazzinato in glucosio per mezzo dell’ormone glucagone rendendo gli zuccheri immediatamente disponibili per l’attività muscolare, nella midollare del surrene le afferenze simpatico-colinergiche modulano la secrezione di adrenalina e noradrenalina, neurotrasmettitori a loro volta in grado, tra l’altro,di mediare l’attività simpatica del SNA. L’azione antagonista colinergica della branca parasimpatica del SNA, mediata dal nervo vago, aumenta invece il tono e la motilità di stomaco e intestino, rilascia gli sfinteri e incrementa la loro attività secretiva. Inoltre, nel pancreas, stimola, sia la secrezione di enzimi digestivi,che di insulina che regola la conversione del glucosio in glicogeno e quindi l’immagazzinamento dello stesso a livello epatico. La branca parasimpatica del SNA stimola anche, nelle ghiandole salivari, una secrezione profusa e acquosa che favorisce l’assimilazione del cibo. L’attivazione della branca simpatica del SNA ha perciò la funzione di sospendere i processi nutritivi dell’organismo per agevolare contemporaneamente quelli che preparano l’organismo al fronteggiamento degli stimoli o eventi stressanti o percepiti come pericolosi, potenzialmente nocivi. I neuroni pre-gangliari simpatici della sezione lombare del midollo spinale e quelli post-gangliari siti nel ganglio mesenterico inferiore, stimolano il rilasciamento del detrusore e la contrazione del trigono e dello sfintere nella vescica urinaria. Altre afferenze simpatico-adrenergiche della stessa provenienza stimolano l’orgasmo negli organi riproduttivi. Le relative azioni antagoniste, compresa l’erezione peniena, parasimpatico-colinergiche, sono mediate direttamente dal nervo splancnico e indirettamente dallo stesso nervo splancnico attraverso il plesso pelvico. 43 44 LA MISURAZIONE DEL POTENZIALE ELETTRICO DEL MUSCOLO FRONTALE Un aumento del tono muscolare di base è dunque il correlato periferico di un incremento del livello di arousal centrale, ovvero del livello di reattività del sistema nervoso centrale agli stimoli, ed entrambi corrispondono ad una condizione di allerta o di vigilanza generale. Nello stato di veglia, la muscolatura, anche se non è contratta per l’esecuzione di un’azione motoria, mantiene un certo livello di tono muscolare detto di “base”. Il tono muscolare di base, anch’esso dovuto all’accorciamento di alcune fibre muscolari in stato di riposo, è un riflesso posturale, ovvero, dipende dagli impulsi eccitatori provenienti dalla periferia somatica (propriocettori muscolari). Per cui la contrazione di un muscolo evoca per via riflessa la contrazione dello stesso e, dove presente, dell’antagonista. Infatti, se si misura il livello di attività di un muscolo a riposo è possibile rilevare la presenza di continue oscillazioni del livello del tono (sia nella frequenza che nell’ampiezza). È perciò sempre possibile osservare una certa continuità tra tensione muscolare di base e contrazione. Nella singola fibra muscolare il fenomeno della contrazione si attua solo quando lo stimolo, dato da un neurone motorio che termina nella placca motrice raggiunge una certa intensità (soglia d’azione), e la contrazione non aumenta se lo stimolo non supera il valore della soglia (legge del tutto o niente). Nel muscolo invece, la contrazione aumenta con l’intensità dello stimolo perché entrano in azione più fibre. Si contraddistinguono due tipi di contrazione, una fasica che è isotonica, ovvero non si ha un’apprezzabile variazione del tono muscolare, mentre vi è una estesa variazione in lunghezza, ed una tonica che è isometrica, cioè un tipo di contrazione che non produce cambiamenti nella lunghezza del muscolo mentre si ha una significativa variazione del tono muscolare. La variazione del tono muscolare può essere misurata tramite una specifica tecnica denominata elettromiogramma (EMG). Tra le varie metodiche di rilevazione, quella psicofisiologica o elettromiogramma di superbie, è l’unica incruenta. L’esame 45 consiste nella registrazione, a livello epidermico, dell’attività elettrica delle diverse unità motorie coinvolte nella sua contrazione. In particolare, la rilevazione del potenziale elettrico del muscolo frontale viene effettuata tramite elettrodi di superficie da applicare a contatto con la cute nelle zone corrispondenti alle fibre muscolari d’interesse. Per il loro fissaggio sulla pelle vengono solitamente impiegati dei collarini bi-adesivi (figura 13a). figura 13a – Elettrodi e collarini biadesivi. Successivamente, al centro di ciascun elettrodo viene versata una goccia di gel o pasta elettroconduttrice che favorisce il passaggio delle cariche elettriche (figura 13b). figura 13b – Gel elettroconduttore. 46 Per il loro corretto posizionamento in sede frontale è utile chiedere al soggetto di guardare un punto fermo davanti a sé e fissare entrambi gli elettrodi attivi lungo la verticale passante per la pupilla, circa un centimetro sopra le sopracciglia. L’elettrodo di riferimento va applicato in posizione intermedia, al centro della fronte, cioè in una zona cutanea elettricamente inattiva perchè in corrispondenza di un osso piatto (figura 13c). figura 13c – Posizionamento degli elettrodi in sede frontale. 47 48 LA MISURAZIONE DELL’ATTIVITA’ ELETTRODERMICA La pelle, l’organo più esteso del corpo umano, tanto da coprire tutta la sua superficie, ha funzione di protezione e difesa, di regolazione della temperatura e di mediare le sensazioni tattili e dolorifiche ricevendo e traducendo gli stimoli esterni. La pelle dalla superficie alla profondità è definita come: epidermide, più in superficie, quindi derma e ipoderma. In essa troviamo le ghiandole sudoripare distinguibili in ghiandole eccrine e apocrife, vasi sanguigni, ghiandole sebacee, i bulbi piliferi e le terminazioni nervose (figura 14). figura 14- Rappresentazione schematica della pelle. Nello strato più profondo della pelle, il derma, esattamente in una struttura a forma di tubo raggomitolato, il glomerulo, viene prodotta una secrezione acquosa, a base salina, il sudore, che sale lungo un’altra struttura a tubo, il dotto retto, fino a sfociare 49 ampiezza (2), pari alla differenza tra il livello di base e il valore massimo della risposta; durata (3), pari al tempo che intercorre tra la comparsa della risposta e il ritorno al livello di base; tempo di recupero (4), pari al tempo che intercorre tra il valore massimo della risposta e il valore che corrisponde al suo 50-60%; frequenza, pari al numero di risposte registrate in un dato intervallo temporale. conduttanza cutanea 3,5 3 2,5 uS 2 1,5 1 0,5 0 3 2 4 recupero recupero recupero recupero recupero recupero recupero recupero s tress s tress s tress s tress S T R E S S riposo riposo riposo riposo riposo riposo riposo riposo 1 figura 17 – Parametri che descrivono l’attività elettrodermica fasica (Boucsein, 1992). Boucsein, tra gli altri (1992), sintetizzando i risultati dei numerosi studi sperimentali, individua tre principali sedi a livello del SNC alle quali corrispondono tre diverse componenti dell’attività elettrodermica (figura 18): EDA 1 (Electrodermal Activity 1), associata all’attivazione della zona termoregolatrice dell’ipotalamo che, in generale, organizza tutta l’attività neurovegetativa e che supporta i già citati comportamenti di “lotta-fuga”. L’ipotalamo, a sua volta, è stimolato dall’amigdala, una struttura del sistema 53 libico che svolge la funzione di riconoscimento degli stimoli di minaccia significativi per la persona; EDA 2 (Electrodermal Activity 2), associata all’attivazione delle zone corticali pre-motorie e dai nuclei talamici, entrambe coinvolte nella preparazione di azioni motorie specifiche; EDA 3 (Electrodermal Activity 3) associata, insieme all’aumento del tono muscolare, all’attivazione del sistema reticolare attivatore ascendente che regola lo stato generale di vigilanza. figura 18 - Elicitazione centrale dell’attività elettrodernica (da W. Boucsein, 1996) 54 LA MISURAZIONE DELLA FREQUENZA CARDIACA Il cuore si divide in 4 camere o compartimenti: 2 atri, destro e sinistro, nella sua parte superiore e 2 ventricoli, destro e sinistro, nella sua parte inferiore (figura 19). arteria aorta vena cava superiore vena polmonare arteria polmonare vena polmonare AD vena cava inferiore VD AS VS figura 19 – Rappresentazione schematica della suddivisione anatomica-funzionale del cuore Gli atri ricevono il sangue e lo spingono ai ventricoli dai quali sarà pompato nuovamente nel circolo sanguigno. L’atrio destro riceve dalla periferia il sangue già utilizzato per l’irrorazione dei vari organi, e quindi carico di anidride carbonica, e lo spinge nel ventricolo destro dal quale verrà poi pompato ai polmoni che provvederanno ad arricchire di ossigeno. L’atrio sinistro riceve invece il sangue carico di ossigeno dai polmoni, lo spinge nel ventricolo sinistro dal quale esso verrà poi nuovamente pompato nella rete sanguigna che lo distribuirà ai distretti periferici per l’irrorazione dei vari organi (figura 19). La misurazione della frequenza cardiaca, cioè del numero di battiti cardiaci per minuto, viene effettuata a partire dalla rilevazione del potenziale elettrico del 55 muscolo cardiaco. La figura 20 mostra l’andamento temporale dell’attività elettrica del cuore che ne rispecchia il meccanismo fisiologico. In sintesi, il meccanismo di pompaggio che consente il passaggio del sangue tra atri e ventricoli e dai ventricoli alla rete sanguigna avviene tramite le contrazioni non sincronizzate di queste camere o compartimenti ovvero mediante l’accorciamento e quindi la depolarizzazione delle fibre muscolari di cui sono costituite. A riposo, all’interno della cellula è presente una maggiore concentrazione di ioni potassio (K+) e anioni organici (A-), cioè prodotti intermedi dei processi metabolici della cellula. All’esterno della cellula è invece presente una maggiore concentrazione di ioni sodio (Na+) e cloro (Cl-). Il risultato dell’equilibrio tra le forze elettrostatiche e di diffusione è una maggiore presenza di ioni negativi e quindi di cariche elettriche negative nel fluido intracellulare rispetto che in quello extracellulare (figura 21a). La differenza di potenziale tra interno e esterno della cellula, assumendo per convenzione il valore di quest’ultimo pari a zero, è di circa -70 millivolts (potenziale di riposo). fluido extracellulare + Na+ Cl- Na+ Na+ Cl- K+ Na+ Cl- Na+ + - + + + + A- A- K+ A- A- K+ A- A- Na+ A- A- K+ A- + - Na membrana cellulare fluido intracellulare figura 21a – Rappresentazione della distribuzione ionica all’interno e all’esterno della cellula durante il potenziale di riposo. Una volta eccitata, in seguito all’apertura di canali specifici per il sodio e quindi all’ingresso di cariche positive nel fluido intracellulare (figura 21b), la differenza di potenziale elettrico tra interno e esterno della cellula diventa positiva (~ +40 millivolts). Per depolarizzazione s’intende dunque questa brusca riduzione della quantità di carica negativa nel fluido intracellulare e quindi della differenza di potenziale elettrico tra l’interno e l’esterno della cellula (figura 21c). 56 fluido extracellulare Na + Na+ Cl- Na+ Na+ Cl- K+ Na+ Cl- Na+ membrana cellulare - A- K+ A- A- K+ A- A- Na+ A- A- K+ A- + - - A fluido intracellulare figura 21b – rappresentazione dell’ingresso degli ioni sodio all’interno della cellula. fluido extracellulare Na + Cl- Cl- Na+ Cl- Cl- K+ Cl- Cl- Na+ Cl- Clmembrana cellulare - Na+ K+ A- Na+ K+ A- Na+ Na+ A- Na+ A fluido intracellulare figura 21c – rappresentazione della distribuzione ionica, all’interno e all’esterno della cellula, dopo l’ingresso degli ioni sodio . Il ritmo delle contrazioni atrio-ventricolari ha origine dal nodo seno-atriale, una regione situata nella parte posteriore dell’atrio destro del cuore, ed è scandito dalla generazione tonica e ciclica di potenziali d’azione (le cosiddette “cellule pacemaker”). Il nodo seno atriale è innervato da fibre del sistema nervoso autonomo le cui afferenze simpatico-noradrenergiche, hanno un effetto eccitante-accelerante, mentre quelle acetilcolinergiche, della branca parasimpatica, hanno un effetto inibente-rallentante. L’onda depolarizzante, dopo essersi estesa anche all’atrio sinistro, raggiunge il nodo atrio-ventricolare, un’importante stazione di trasmissione dell’impulso nervoso e da qui si diffonde al sistema ventricolare attraverso il fascio di His e la rete di Purkinje. L’onda depolarizzante può essere rappresentata da un vettore che cambia di direzione, verso e intensità dato che, a seconda della regione 57 depolarizzata, cambia anche la qualità e la quantità delle fibre muscolari coinvolte (figura 20). AD AS VD AD VS AS VD R P VS R P Quando l’atrio destro viene depolarizzato, a partire dal nodo seno-atriale, l’atrio sinistro non è stato ancora raggiunto dall’onda depolarizzante: quindi, la differenza di potenziale tra parte destra e sinistra del cuore aumenta e osserviamo che il tracciato raggiunge l’apice dell’onda P. AD Quando l’onda polarizzante raggiunge anche l’atrio sinistro, gli atri sono parimenti eccitati: quindi, la differenza di potenziale torna nuovamente nulla. AS VD AD VS VD R P AS VS R P Analogamente accade per la contrazione ventricolare, indicata dall’onda R del tracciato, con la sola differenza che i ventricoli comprendono più fibre e maggiormente conduttrici (sistema di Purkinje) per cui l’onda R rispetto a quella P risulta essere più acuta, cioè più intensa e più veloce. figura 20 – Fasi principali che caratterizzano l’attività elettrica del cuore. 58 Nella figura 20 è rappresentata l’attività elettrica del muscolo cardiaco espressa in differenza di potenziale tra la sua parte destra e la sua parte sinistra. Quando l’atrio destro viene depolarizzato, a partire dal nodo seno-atriale, l’atrio sinistro non è stato ancora raggiunto dall’onda depolarizzante: quindi, la differenza di potenziale tra parte destra e sinistra del cuore aumenta e osserviamo nella figura in alto che il tracciato raggiunge l’apice dell’onda P. Quando l’onda polarizzante raggiunge anche l’atrio sinistro, gli atri sono parimenti eccitati: quindi, la differenza di potenziale torna nuovamente nulla. Analogamente accade per la contrazione ventricolare indicata dall’onda R del tracciato con la sola differenza che i ventricoli comprendono più fibre e maggiormente conduttrici (sistema di Purkinje) per cui l’onda R rispetto a quella P risulta essere più acuta, cioè più intensa e più veloce. Questa differenza di potenziale può essere rilevata posizionando due elettrodi su zone elettricamente attive, ad esempio alle estremità delle braccia a livello dei polsi, con un terzo elettrodo di riferimento (derivazione bipolare) (figura 22). figura 22 – Applicazione degli elettrodi secondo lo schema classico della derivazione bipolare per elettrocardiogramma. 59 Le apparecchiature per la rilevazione dalla registrazione dell’attività elettrica miocardica, prendono come riferimento del ritmo cardiaco il picco dell’onda R (figura 23) rilevando in millisecondi il tempo che intercorre tra un suo passaggio e l’altro (figura 24), ovvero tra una contrazione ventricolare e l’altra. figura 23 - ECG, il complesso PQRST dell’onda elettrocardiografica. IIB: intervallo inter-battito (si esprime in millisecondi) R P figura 24 - Intervallo inter-battito (IIB). 60 R P A partire da questa distanza temporale (intervallo inter battito, IIB), i diversi dispositivi calcolano il valore reciproco ovvero la frequenza cardiaca (FC=60000ms/IIB), cioè il numero di battiti cardiaci per minuto (bpm). Altri dispositivi, chiamati fototrasduttori, sono sensori di tipo ottico costituiti da un emettitore e un rivelatore di raggi infrarossi; Questi, posizionati a contatto con la cute, ad esempio dell’ultima falange di un dito qualsiasi della mano, inviano un fascio luminoso che, sulla base del volume sanguigno sottostante, viene rifratto (vedi capitolo “La misurazione della temperatura cutanea periferica”). Maggiore è il grado di irrorazione dei tessuti e quindi il volume sanguigno sottostante ad essi (ampiezza sfigmica), maggiore sarà la rifrazione del raggio luminoso. L’accoppiamento del rilevatore ad una resistenza elettrica consente di convertire il segnale luminoso in una variazione di voltaggio rilevata dall’apparecchiatura che calcolerà l’intervallo temporale in millisecondi tra un segnale e l’altro, ovvero tra un passaggio e l’altro dell’onda sfigmica in periferia e quindi della frequenza cardiaca. Un altro trasduttore, a forma di pinza e provvisto di un pulsante da sovrapporre al punto della cute in cui maggiormente si sente la pulsazione dell’arteria radiale, può venire posizionato sul polso (figura 25). figura 25 – Trasduttore a “pinza” per la rilevazione della pulsazione radiale a livello del polso. 61 Il pulsante verrà premuto ogni volta che l’onda sfigmica al suo passaggio provocherà la dilatazione dell’arteria radiale. In questo caso, la pressione del pulsante esercita una modificazione della resistenza elettrica del trasduttore e quindi la variazione del segnale elettrico diretto all’apparecchiatura che calcolerà l’intervallo temporale, sempre in millisecondi tra un segnale e l’altro, ovvero tra una pulsazione a livello radiale e l’altra, ovvero il suo inverso, la frequenza cardiaca. Abbinando il posizionamento degli elettrodi nella derivazione bipolare a quello di uno dei due trasduttori prima descritti si può ottenere la misurazione di un correlato della pressione arteriosa, attraverso la misurazione dell’intervallo di transito dell’onda sfigmica. Questo è reso possibile dal fatto che l’apparecchiatura calcola l’intervallo temporale, espresso in millisecondi, tra la contrazione ventricolare, indicata dall’onda R, e l’arrivo dell’onda sfigmica in periferia, indicato dal segnale inviato dal fototrasduttore o dalla pinza. Maggiore è la spinta che riceve l’onda sfigmica, funzione della gittata cardiaca e della vasocostrizione delle arterie, ovviamente presupponendo arterie pervie, minore risulterà il tempo che il flusso sanguigno impiega per giungere ai distretti periferici per la loro irrorazione (figura 26). frequenza cardiaca 130 110 90 70 50 BBBBBBBBBBBBBBBBBBBSSSSSSSSSRRRRRRRRRRRRRRRRRRR STRESS 140 120 100 80 60 40 20 0 BBBBBBBBBBBBBBBBBBBSSSSSSSSSRRRRRRRRRRRRRRRRRRR intervallo di transito dell'onda sfigmica figura 26 – Andamenti a confronto della frequenza cardiaca e dell’intervallo di transito dell’onda sfigmica nel corso di un PPF 62 LA MISURAZIONE DELLA TEMPERATURA CUTANEA PERIFERICA La regolazione del flusso sanguigno ha sede, a livello del SNC, nel centro vasomotore del bulbo che riceve afferenze dalla corteccia motoria, dal cervelletto, dal sistema libico e dall’ipotalamo. Le sue efferenze, attraverso la branca simpatica del sistema nervoso autonomo, innervano la muscolatura liscia che circonda il lume di tutte le arterie, ad eccezione di quelle coronariche e cerebrali. A livello vascolare, di interesse per la termoregolazione, l’attivazione simpatica produce: rilascio di noradrenalina a livello delle terminazioni nervose che agiscono sui recettori alfa-adrenergici dei muscoli lisci delle arterie che irrorano i tessuti cutanei e sottocutanei ad esempio del viso, delle mani e delle dita, oltre ad altri organi interni, quali quelli deputati allo svolgimento delle funzioni digestive e riproduttive. L’accorciamento delle fibre muscolari determina quindi la riduzione di calibro del vaso sanguigno, ovvero la vasocostrizione. rilascio di acetilcolina con conseguente aumento del calibro delle piccole arterie che irrorano l’apparato muscolo-scheletrico, la vasodilatazione. Questa duplice azione ha lo scopo di distribuire il flusso sanguigno privilegiando in caso di stress l’irrorazione del sistema muscolo-scheletrico rispetto a quella dei sistemi gastro-intestinale, riproduttivo e dei tessuti cutanei e sottocutanei periferici. Mentre infatti l’azione vasocostrittrice produce una temporanea sospensione delle attività metaboliche, la vasodilatazione favorisce l’incremento dell’attività muscolare richiesta, dalla possibile attivazione della reazione di attacco o fuga. La vasocostrizione può essere misurata, indirettamente, rilevando la temperatura cutanea tramite un apposito trasduttore chiamato termistore, che è in genere posizionato sulle ultime falangi delle dita (temperatura cutanea distale) (figura 27a) o sull’eminenza ipotenare della mano (temperatura cutanea periferica) (figura 27b) fissandolo tramite un cerotto o una fascetta di velcro facendo attenzione a non 63 premerlo troppo contro alla pelle per non produrre una vasocostrizione meccanica e quindi una conseguente e artificiosa diminuzione della temperatura. Un accorgimento molto utile può essere impiegare un batuffolo di ovatta, tra il termistore e il cerotto o la fascetta di velcro, per migliorare l’isolamento termico rispetto all’ambiente esterno. La riduzione del volume del flusso sanguigno in corrispondenza di una reazione di vasocostrizione comporta un abbassamento della temperatura del tessuto cutaneo e sottocutaneo del distretto corporeo irrorato. La conseguente variazione termica della resistenza elettrica di cui è provvisto i termistore produce una variazione del voltaggio rilevata dall’apparecchiatura. figura 27a - Applicazione del trasduttore (termistore) per la registrazione della temperatura cutanea distale. figura 27b - Applicazione del trasduttore (termistore) per la registrazione della temperatura cutanea periferica. 64 Altri dispositivi, chiamati fototrasduttori, sono sensori di tipo ottico costituiti da un emettitore e un rivelatore di raggi infrarossi, che posizionati a contatto con la cute, ad esempio dell’ultima falange di un qualsiasi dito della mano, inviano un fascio luminoso che, sulla base del volume sanguigno sottostante, viene rifratto (figura 28). figura 28 – Fototrasduttore e suo posizionamento in sede distale per la rilevazione dell’ampiezza del flusso sanguigno. Maggiore è il grado di irrorazione dei tessuti e quindi il volume sanguigno sottostante (ampiezza sfigmica), maggiore è la rifrazione del raggio luminoso; l’accoppiamento del rilevatore ad una resistenza elettrica consente di convertire il segnale luminoso in una variazione di voltaggio che sarà poi rilevata da un’apparecchiatura. Nella figura 29 sono riportati esempi di tracciati che degli andamenti della temperatura cutanea periferica e dell’ampiezza dell’onda sfigmica nel corso delle tre fasi del profilo psicofisiologico: riposo, stress e recupero. Come è possibile osservare dalle risposte a confronto, alla presentazione e alla cessazione dello stimolo stressante (mental arithmetic task, MAT), la variazione della temperatura cutanea periferica risulta più lenta rispetto a quella dell’ampiezza dell’onda sfigmica. È utile, a questo proposito, in sede di lettura e interpretazione di 65 un profilo psicofisiologico, tenere presente la latenza della risposta di questo parametro, dato che la rilevazione della temperatura cutanea periferica, rispetto alla fotopletismografia, è comunque una misura solo indiretta della vasocostrizione sanguigna, per cui la latenza, ovvero il tempo che può intercorrere tra la presentazione di uno stimolo e l’osservazione del fenomeno, ovvero la diminuzione o aumento della temperatura, può essere anche di diversi secondi. temperatura cutanea periferica 35,2 35 34,8 34,6 34,4 34,2 34 B B B B B B B B B B B B B B B B STRESS BBSSSSSSSSSSSSSRRRRRRRRRRRRRRRRRR 200 150 100 50 0 BBBBBBBBBBBBBBBBBBSSSSSSSSSSSSSRRRRRRRRRRRRRRRRRR ampiezza dell'onda sfigmica figura 29 - Andamenti a confronto dell’ampiezza dell’onda sfigmica e della temperatura cutanea periferica nel corso di un PPF. 66 VALUTAZIONE DIAGNOSTICA MULTIMODALE E MULTIDIMENSIONALE IN PSICOLOGIA CLINICA La valutazione diagnostica, in psicologia clinica, secondo un approccio multidimensionale, consiste in un processo continuo di osservazione e raccolta di informazioni per quanto possibile misurabili, quantificabili, in qualche modo descrivibili, utili per la formulazione di ipotesi che cerchino di spiegare in modo plausibile l’avvento, il mantenimento e l’entità del disturbo. È possibile riassumere le principali fasi della psicodiagnosi secondo un approccio multimodale come segue: 1. osservazione accurata del soggetto che presenta il problema; 2. accogliere, descrivere e delimitare la sintomatologia prevalente osservata, descritta e analizzata secondo un approccio multidimensionale; 3. costruire un modello di funzionamento della persona che comprenda le relazioni antecedenti e conseguenti del/dei comportamenti problema e i meccanismi in grado di mantenerlo; 4. descrivere e analizzare gli schemi cognitivi prevalenti, il “coping”, i tratti di personalità, le relazioni emozionali e affettive rilevanti; 5. individuare gli obiettivi intermedi prima ancora dell’obiettivo finale da raggiungere e concordare con la persona quelli realizzabili, i tempi e i modi; 6. individuare le modalità di trattamento più appropriate riguardo alla malattia: psicologiche, farmacologiche, miste, e alla intensità del trattamento: tipo di farmaco e posologia o counseling, terapia di sostegno o intensiva ; 7. decidere circa la presa in carico. La formulazione e verifica delle ipotesi diagnostiche, alla stregua di un qualsiasi processo logico, continuo, ma non ripetitivo, non circolare, ma progressivo, a spirale, condurrà inevitabilmente a restringere il campo verso ipotesi più proponibili. 67 Ad esempio, le impressioni e le intuizioni dopo un primo colloquio possono offrire al clinico diversi spunti per la ricerca di ulteriori informazioni, il loro approfondimento, la loro integrazione e la valorizzazione degli elementi salienti. Man mano che il lavoro di analisi e comprensione del caso avanza, il modello teorico di riferimento del clinico suggerirà le possibili soluzioni in base al modello di funzionamento interno dell’individuo. La diagnosi In termini di filosofia della scienza la deduzione, l’operazione cioè di astrarre, trarre fuori un’idea da situazioni concrete si traduce nella prassi nella ricerca di una regola che organizzi i dati osservati. Questo, in psicologia clinica potrebbe essere tradotto in frasi come: questi comportamenti sono innescati da … e mantenuti (rinforzati) da …. Il processo deduttivo conduce al passo successivo, l’induzione, ovvero la formulazione di una previsione, che, se risulterà valida nella situazione specifica, produrrà un dato effetto, un cambiamento nella direzione desiderata a livello sia del comportamento esterno che interno dell’individuo, delle sue cognizioni, emozioni e modi di essere. È ovvio che il modello teorico di riferimento del clinico guiderà sia la formulazione di un’ipotesi diagnostica adeguata che il tipo e le modalità di attuazione degli interventi. In ogni caso la diagnosi clinico psicologica, condotta secondo un approccio multimodale, si avvale principalmente del colloquio clinico, fulcro su cui fa leva l’intero processo diagnostico integrato successivamente da più strumenti e procedure per completare l’indagine del comportamento umano nella sua accezione più ampia. Le principali aree di interesse che andranno gradualmente indagate sono: i comportamenti interni: cognizioni, emozioni, pensieri, colloquio interno; i comportamenti esterni: espressione verbale, postura, motricità, mimica, gestualità, modalità di relazione; 68 le abitudini e lo stile di vita: comportamenti ricorrenti in situazioni simili, le relazioni sociali e quelle intime; tratti stabili della personalità: modalità comportamentali che riflettono il prodotto dell’interazione tra la componente genetica, temperamentale, costituzionale e ambientale; sintomi e tratti psicopatologici: disposizione, tendenza ad assumere cognizioni e praticare comportamenti clinicamente rilevanti; quadro neuropsicologico: valutazione delle funzioni cognitive (memoria, attenzione, organizzazione percettiva, ragionamento); profilo psicofisiologico: valutazione del livello e della risposta di attivazione neurovegetativa; quadro psiconeuroendocrino: esami ematochimici e dosaggi ormonali di interesse per l’area clinico psicologica e psicopatologica. Altra caratteristica saliente del processo di valutazione in psicologia clinica è la multidimensionalità. Nel periodo tra gli anni ‘60 e ’70 del secolo scorso, furono pubblicati numerosi studi che miravano alla dimostrazione dell’efficacia delle terapie ad indirizzo cognitivo-comportamentali: alcuni autori si avvalsero di metodi di autovalutazione, altri dell’osservazione diretta del comportamento, altri ancora di procedure psicofisiologiche. Spesso però i risultati incoraggianti ottenuti da alcuni venivano successivamente contraddetti o anche parzialmente smentiti da altri. Tra gli altri Lang, (1971) condusse alcuni studi sulle fobie e, basandosi sui risultati ottenuti propose un cambiamento di paradigma: se prima l’assunto di base aveva sostenuto che indici soggettivi, comportamentali e fisiologici erano intercorrelati e che quindi fosse ragionevole convalidare i dati sperimentali confrontando i diversi metodi di rilevazione, la nuova premessa di Lang proponeva che i tre sistemi di risposta riassunti nei termini: cognitivo-verbale, comportamentale-motorio e psicofisiologico, pur interagendo tra di loro fossero relativamente indipendenti (Sanavio, 1991). La descrizione e comprensione del comportamento umano in generale e del problema oggetto di valutazione in psicologia clinica in particolare si può rappresentare perciò 69 in tre dimensioni, raffigurabili come tre coordinate diversamente orientate nello spazio (figura 30). È implicito che le informazioni che provengono da punti di vista diversi difficilmente potranno essere del tutto parallele o coincidenti. È anzi, frequentemente riscontrabile, una certa contraddizione tra i tre sistemi di risposta: per cui, nel modello multidimensionale di psicodiagnosi non è possibile nemmeno a priori disporre le tre coordinate tra loro ortogonali. In alcuni casi accade infatti che la proiezione di una dimensione si perda senza incontrare nessuna delle altre dimensioni. figura 30 – Rappresentazione geometrica del modello di valutazione multidimensionale In letteratura questa eventualità viene riconosciuta con l’espressione di “frazionamento della risposta”. I pazienti psicosomatici, ad esempio, manifestano un elevato ed improprio livello di attivazione neurovegetativa che però spesso si accompagna spesso alla negazione di un qualsiasi problema psicologico (Anderson, 1981). Una diagnosi condotta secondo un approccio multidimensionale è in ogni caso l’unica metodica che può consentire di impostare il trattamento terapeutico più adeguato. Tra i vari studi si è visto, ad esempio, che le persone con fobia sociale che manifestano la propria ansia in maniera più accentuata a livello comportamentale, traggono maggiore beneficio dall’apprendimento di nuove abilità sociali, mentre, quelle che 70 rispondono alla situazione ansiogena di interazione con una maggiore attivazione neurovegetativa sembrano essere più sensibili a tecniche di rilassamento e di biofeedback (Ost, Jerremalm e Johansson, 1981). Risultati simili sono stati ottenuti dagli stessi autori su soggetti claustrofobici, valutati multidimensionalmente e assegnati a trattamenti con tecniche di rilassamento e biofeedback o procedure di esposizione in vivo (Ost, Jerremalm e Johansson, 1982). Un altro settore di ricerca, portato avanti da Hodgson e Rachman nel campo delle fobie (1974), ha ulteriormente evidenziato il nfenomeo della relativa indipendenza tra i tre sistemi di risposta anche nella loro evoluzione temporale durante un trattamento teraupetico a largo spettro. Nel caso dell’agorafobia, ad esempio, durante un trattamento tradizionale di esposizione in vivo, sono stati osservati i primi miglioramenti a breve termine sul piano comportamentale seguiti da quelli basati sulle autovalutazioni e infine da quelli psicofisiologici (Mavissakalian, Michelson, 1982). Tale fenomeno, noto come desincronia della risposta suggerisce, ancora una volta, la necessità di impiegare un approccio multidimensionale non solo in fase diagnostica ma, anche successivamente per la valutazione dell’efficacia del trattamento intrapreso. L’impostazione di un piano di intervento psicologico dovrà prevedere poi una valutazione multimodale e multidimensionale delle seguenti aree (Pruneti, 2004; 2007): 1. la gravità del problema, 2. la complessità del problema, 3. il livello di sofferenza individuale, 4. la motivazione al cambiamento, 5. gli schemi cognitivi di riferimento, 6. lo stile di coping, 7. il livello di resistenza / oppositività. 71 Gravità del problema, livello di sofferenza individuale e motivazione al cambiamento sono tra loro strettamente connesse. Valutare la gravità del problema comporta avvalersi del colloquio ma anche di strumenti e altre procedure standardizzate per individuare le aree del funzionamento compromesse da un punto di vista sia oggettivo ma anche soggettivo (livello di sofferenza individuale). Nel corso dei primi colloqui è utile lasciare alla persona la possibilità di descrivere il problema dal suo punto di vista, permettergli di focalizzarsi sugli aspetti salienti e esprimersi riguardo a quando, dove e quanto è disturbante il problema. Alcuni questionari di autovalutazione contribuiscono a quantificare lo stato di malessere psicologico espresso tramiti sintomi di ansia, depressione, ostilità e sintomi somatici (Symptom Questionnaire, SQ; Fava e Kellner, 1981), il livello di ansia esperito al momento (State & Trait Anxiety Inventory – forma X1, STAI-X1, Spielberg et al., 1983; trad. it- 1989). Altri forniscono una misura della soddisfazione per i diversi aspetti della qualità della vita (Satisfaction Profile, SAT-P, Majani e Calegari, 1998). In maniera più sistematica, il Cognitive Behavioural Assessment 2.0 (CBA-2.0,Bertolotti, Michielin, Simonetti, Sanavio, Vidotto, & Zotti, 1985), è in grado di fornire un’idea circa i bisogni prioritari e quindi la gerarchia dei problemi lamentati. Altre procedure invece, consentono di valutare più obbiettivamente lo stato di compromissione della persona, in primo luogo, della sua capacità di elaborare le informazioni e, in secondo luogo, di adattarsi alle richieste ambientali. A questo scopo un esame neuropsicologico1 per valutare la padronanza delle principali funzioni cognitive come attenzione, concentrazione e memoria (figura 31). Una valutazione dell’attività neurovegetativa e dello stile di risposta fisiologica alle emozioni per mezzo del Profilo Psicofisiologico (PPF) potrà invece permettere di descrivere lo schema di risposta e attivazione individuale allo stress configurato dall’andamento di più parametri fisiologici come, ad esempio, conduttanza cutanea, frequenza cardiaca, potenziale elettrico del muscolo frontale e temperatura periferica, 1 Un esame neuropsicologico può spaziare dalla semplice somministrazione di test come il Bender Visual Motor Gestalt Test (tempo necessario 5-6 minuti) a prove molto più complesse come le scale Wechsler o la batteria Luria-Nebraska. 72 lungo tre fasi: riposo per ottenere una linea di base, stress, durante la quale è prevista l’esecuzione di un compito mentale attivante e stressogeno e recupero per consentire l’eventuale ripristino della linea di base iniziale. Un quadro di compromissione a livello del funzionamento cognitivo può infatti accompagnarsi sia ad uno stato di esaurimento funzionale che ad una esagerata attivazione dell’organismo e quindi mostrare una condizione di adattamento disfunzionale alle richieste ambientali. Mentre nel paziente ansioso una performance scadente alle prove neuropsicologiche può riflettere l’effetto disorganizzante di uno stato d’allerta eccessivamente elevato e quindi di un’attenzione focalizzata prevalentemente su quegli stimoli percepiti come potenzialmente nocivi o non gratificanti, nel paziente depresso, risulta più determinante l’atteggiamento dimesso di impotenza appresa (learned helpllessness). Per livelli di arousal eccessivamente bassi o molto elevati, l’elaborazione cognitiva delle informazioni e l’attivazione comportamentale risultano perciò essere inefficaci, con ovvie conseguenze anche sulla motivazione al cambiamento: Il paziente ansioso infatti, difficilmente abbandonerà le proprie, già stabilizzate, strategie di evitamento, cos’ come, il paziente depresso avrà già “imparato” che nessuna nuova esperienza sarà mai per lui gratificante per cui prevarrà l’immobilità mentale oltre che verbale e motoria. In entrambi i casi, il lavoro iniziale del clinico consisterà perciò nell’ottenere un livello di arousal generale ottimale per quel dato soggetto necessario per ottenere un livello basale di interazione. E questo può anche avvenire ricorrendo a prescrizioni farmacologiche “ad hoc”, come ad esempio un ansiolitico per permettere all’individuo un approccio meno destabilizzante al problema, o un antidepressivo o stabilizzatore dell’umore per, al contrario, consentire un adeguato livello di attenzione e concentrazione. 73 Funzione Prova cognitiva neuropsicologica - Attenzione - Concentrazione - Attenzione - Concentrazione - Attenzione - Concentrazione Matrici attentive Trail Making (A e B) Breve descrizione cancellare uno o più numeri target nascosti tra altri su un foglio unire dei numeri o delle lettere sparsi su un foglio il più velocemente e accuratamente possibile nominare il colore di parole colorate in modo Stroop Test incongruente rispetto al significato ( es. rosso scritto in verde) - Attenzione - Concentrazione, subtest - Memoria a breve “Ragionamento termine aritmetico” - Funzioni logico (WAIS-R) 14 problemi aritmetici di crescente difficoltà astratte - Attenzione - Concentrazione subtest - Memori a breve “Memoria di cifre” termine per ripetizione immediata, diretta e inversa, di sequenza di numeri di crescente lunghezza (WAIS-R) contenuti astratti una serie di 90 numeri (dall’1 al 9); si chiede al - Attenzione - Concentrazione Subtest soggetto di disegnare nella relativa casella vuota il “Associazione simboli simbolo associato a ogni numero, secondo il codice - Memoria a breve a numeri” riportato nella parte superiore della scheda di termine (WAIS-R) notazione figura 31 – Alcune prove neuropsicologiche utili per la valutazione delle funzioni cognitive implicate nella gravità del problema. Un livello ottimale di gravità del problema, anche dal punto di vista del livello di sofferenza individuale, e la concordanza tra informazioni soggettive, autoriferite (livello di sofferenza individuale) e oggettive di disagio, è un altro buon indicatore soprattutto della motivazione al cambiamento (Pruneti, 2004; 2008). 74 In alcuni casi può accadere, che un basso livello di sofferenza individuale si accompagni a una condizione influenzata dalla gravità del problema: ad esempio, alcuni pazienti pur presentando un certo stato di compromissione, sia a livello del funzionamento cognitivo, sia dello stato di attivazione neurovegetativa, che del funzionamento sociale, possono negare le proprie difficoltà ed essere quindi poco motivati al cambiamento. Il lavoro iniziale con queste persone dovrà perciò focalizzarsi sull’incremento della consapevolezza di sé, cosa che è possibile tramite un approccio graduale e non direttivo fin dal primo colloquio. Il paziente dovrà avere la possibilità di presentare il problema dal suo punto di vista e il clinico avrà il compito di ascoltare e restituire alla persona il contenuto espresso in termini di situazioni-stimolo (antecedenti), comportamento in oggetto e rinforzatori positivi o negativi come fattori di mantenimento (conseguenti). Indagare l’area della complessità del problema significa poi valutare se il problema sia transitorio piuttosto che stabile, cioè se è ristretto o circoscritto o se riflette una modalità comportamentale più radicata, ascrivibile cioè al background culturale, ad abitudini, caratteristiche di tratto, aspetti del sistema cognitivo quali schemi, stili di coping e stile attribuzionale, e come tutto questo possa poi avere ricadute nella vita del paziente ben al di là della sola sintomatologia o sindrome (Pruneti, 2006). Oltre al colloquio, la consultazione di schede di rilevazione anamnestica come Cognitive Behavioural Assessment - 2.0 (CBA-2.0; Bertolotti, Michielin, Simonetti, Sanavio,Vidotto & Zotti, 1985) può permettere una ricostruzione del problema: alcuni item raccolgono infatti informazioni sulla storia familiare, scolastica, lavorativa e medica, consentendo di formulare ipotesi circa l’apprendimento e il consolidamento delle caratteristiche più stabili del comportamento sopra citate. Alcuni questionari di autovalutazione aiutano poi a leggere meglio il significato delle informazioni che si riferiscono alla gravità del problema, sia soggettive che oggettive, in termini di complessità del problema. Ad esempio, un punteggio elevato sulla scala globale “Ansia” del Symptom Questionnaire (SQ, Fava & kellner 1981, trad. it. 1989) o sulla State & Trait Anxiety Inventory – forma X1 (STAI-X1, Spielberg et a. al 1983; trad. it 1989) e un quadro di iperattivazione neurovegetativa 75 valutato tramite il Profilo Psicofisiologico se associati a punteggi significativi sui fattori del Sixteen Personality Factors Questionnaire (16PF-5, Cattell, 1994; trad. it. 2001) riguardanti l’instabilità emotiva (C-), l’inibizione (F-), la vigilanza (L+), l’apprensività (O+) e la tensione (Q4+) o a punteggi significativi su alcune scale cliniche del Minnesota Multiphasic Personality Inventory – 2 (MMPI-2; Hataway & McKinley, 1989; trad. it. 1995) come “Ipocondria” (Hs) o “Psicastenia” (Pt) consentono di orientarsi verso l’ipotesi di un disagio psicologico ascrivibile a condizionamenti più radicati. Anche l’indagine sulla frequenza di impiego delle principali strategie di coping contribuisce all’approfondimento della complessità del problema. Le caratteristiche di tratto possono infatti esprimersi in modalità abituali di fronteggiamento degli eventi stressanti. Persone caratterizzate da instabilità emotiva, apprensività e tensione, molto probabilmente ricorreranno piuttosto frequentemente a strategie di coping centrate sull’emozione, finalizzate cioè a ridurre la tensione emotiva piuttosto che a strategie di coping centrate sul problema, finalizzate cioè alla gestione e alla soluzione del problema. Ancora, persone poco espansive e/o diffidenti possono ricorrere più facilmente a strategie di coping centrate sul problema trascurando l’aspetto emotivo mentre quelle piuttosto rigide e coscienziose potrebbero dimostrarsi poco flessibili nella scelta della reazione più adatta alla situazione stressante. Inoltre l’individuazione del pattern configurato dalla frequenza di adozione delle diverse strategie di coping, ad esempio tramite il questionario Coping Orientation for Problem Experienced (COPE), consente di ipotizzare se la persona abbia o meno a disposizione una gamma sufficiente di risorse personali di fronteggiamento e adattamento: punteggi elevati relativi a poche strategie di coping e punteggi bassi relativi alle restanti potrebbero ad esempio indicare un dominio ristretto di abilità di fronteggiamento oppure una rigidità che si manifesta nella scarsa capacità di adottare quella adeguata associata all’impiego stereotipato di alcune. Contrariamente, punteggi nella norma riguardanti la maggior parte delle strategie di coping possono suggerire una buona flessibilità e adattabilità. Sempre per quanto riguarda la complessità del problema anche l’esito 76 di alcune prove neuropsicologiche può aiutare a valutare alcuni aspetti dell’intelligenza generale che potrebbero aver contribuito a determinare o che continuano a mantenere le difficoltà attuali (figura 32): Funzione cognitiva - Pensiero logico-astratto Prova matrici di Raven - Background culturale subtest - Livello di adattamento “Informazione” sociale Breve descrizione neuropsicologica (WAIS-R) completamento di figure individuando e applicando la logica nascosta quesiti di cultura generale di crescente difficoltà domande che chiedono di descrivere il - Giudizio - Livello di adattamento sociale subtest “Comprensione” (WAIS-R) subtest - Pensiero logico-astratto “Analogie” (WAIS-R) subtest - Pensiero logico-astratto “Vocabolario” proprio eventuale comportamento in determinate situazioni, il significato di alcuni proverbi,la conoscenza di alcune norme sociali individuare in cosa sono simili 13 coppie di sostantivi vocaboli di cui il soggetto deve spiegare il significato (WAIS-R) - Capacità di comprendere una situazione globale, di anticiparne le conseguenze e di valutarne le implicazioni subtest “Riordinamento di storie figurate” vignette da riordinare per formare una storia (WAIS-R) figura 32 – Prove neuropsicologiche per la valutazione delle funzioni cognitive implicate nella complessità del problema. Anche la verifica dell’eventuale presenza di schemi cognitivi disfunzionali può rientrare nella valutazione della complessità del problema: alcune asserzioni 77 categoriche espresse sotto la forma “se…allora…” con un rapporto di causa-effetto possono introdurre distorsioni nel processo di elaborazione delle informazioni, modellare l’interpretazione delle esperienze e condizionare il comportamento rendendo la persona poco sensibile alle contingenze di rinforzo della situazione specifica. Alcuni aspetti del sistema cognitivo in relazione con gli schemi, sono i pensieri negativi, le distorsioni cognitive (figura 33) e le idee irrazionali (figura 34). Un ultimo aspetto, sempre riguardante l’area cognitiva che deve essere oggetto di indagine per la valutazione della complessità del problema è la configurazione dello stile attribuzionale, cioè la modalità abituale della persona di inquadrare gli avvenimenti. è infatti facilmente riscontrabile in soggetti depressi lo stile attribuzionale seguente: locus of control interno (anziché esterno), stabilità (anziché transitorietà) e globalità (anziché specificità). Ad esempio, un soggetto con queste caratteristiche potrebbe riferirere: “il colloquio di lavoro che ho sostenuto è andato male. D’altra parte non mi riesce di concludere mai niente (globalità) perché non posseggo le capacità adeguate (locus of control interno) e probabilmente non le avrò mai (stabilità e globalità). Un altro soggetto, con un comportamento e stile di vita di tipo A potrebbe invece sostenere: “il colloquio di lavoro è andato male ma, l’esaminatore era un cretino (locus of control esterno) … in ogni situazione (globalità), e da sempre (stabilità), c’è sempre qualcuno che mi mette i bastoni tra le ruote! Un esempio di pattern “sano” potrebbe invece essere espresso con la seguente affermazione: “il colloquio è andato male anche perché in effetti non ero poi così preparato come avrei voluto (locus of control interno). In questo periodo devo ammettere di essere molto impegnato (transitorietà), altre volte sono stato più concentrato ed in effetti è andata meglio (specificità). Un’altra area d’indagine ai fini della programmazione di un intervento psicologico personalizzato è la valutazione del livello di resistenza/oppositività. Alcune caratteristiche più stabili del comportamento, valutate nei colloqui o misurate tramite questionari di autosvalutazione, possono aiutare a stimare il grado di apertura, di disponibilità e di adesione della persona (Pruneti, 2006; 2008). 78 Alcune abitudini e uno stile di vita stressogeno, sovrapponibili alle caratteristiche che fanno riferimento al cosiddetto comportamento di “tipo A”, misurate ad esempio, tramite il Pisa Stress Questionnaire (PSQ, Pruneti, 1996), possono predire un elevato livello di resistenza/oppositività. Queste persone non hanno alcuna intenzione di allentare il proprio ritmo di vita quotidiano e in genere non riportano al colloquio quanto stanno male ma quanto gli altri, a volte compreso il clinico, siano d’intralcio al raggiungimento dei loro obiettivi. Altri aspetti più stabili del comportamento, riconducibili ai tratti di personalità, valutabili ad esempio con questionari come il Sixteen Personality Factors Questionnaire-5 (16PF-5, Cattell, 1994), possono costituire un ostacolo alla collaborazione: alcune persone potrebbero assumere un atteggiamento di chiusura perché tendenzialmente hanno difficoltà a manifestare spontaneamente la propria emotività (espansività, fattore A del 16PF) o perché si caratterizzano per un atteggiamento guardingo e diffidente (sospettosità, fattore L). Altre persone ancora, potrebbero assumere un atteggiamento irrisorio, provocatorio (astrattezza, fattore M) oppure prevaricante, addirittura ribelle (dominanza, fattore E). Altre ancora, potrebbero dimostrarsi restie di fronte alla proposta di sperimentare nuove esperienze (apertura al cambiamento, fattore G e Q1) o, anche se inizialmente disponibili, poco perseveranti e incostanti (autocontrollo, fattore Q3). Il livello di resistenza/oppositività, espresso sotto forma di atteggiamento insincero, può essere indagato tramite le diverse scale di controllo di alcuni questionari di autovalutazione come il già citato Sixteen Personality Questionnaire (16PF-5) o il Minnesota Multiphasic Personality Inventory-II (MMPI-II): gli indici dello stile di risposta del 16 PF-5: management dell’immagine, infrequenza, acquiescenza ma, anche la scala Lie dell’Eysenck Personality Questionnaire (EPQ) valutano la presenza di uno stile di risposta orientato a fornire una bella immagine di sé, desiderabile socialmente. Ancora, nel MMPI-II mentre la scala K indaga la tendenza a negare problemi, la scala F misura la volontà di esagerare, ingigantire il quadro psicopatologico. 79 astrazione selettiva : concentrare l’attenzione su aspetti particolari della situazione in esame, tralasciandone altri più importanti inferenza arbitraria : trarre conclusioni in mancanza di evidenze sufficienti “ … ha guardato l’orologio …”, “… ha sbadigliato …”, “…ha sospirato …”, “… ha riso …” “ … lo sto annoiando…”, “ … non è interessato a quello che dico ” eccessiva generalizzazione : adattare conclusioni derivate da eventi isolati a “ … quello che dico … non interessa svariate situazioni mai a nessuno … ” ingigantire/minimizzare : “ … si, ho risposto bene ma la domanda esaltare o ridurre l’importanza di eventi e situazioni. era facile …” Minimizzare è un processo simile a quello della “ … ho risposto male a questa domanda, “svalutazione” in cui le esperienze positive non ora le cose … vengono considerate in quanto prive di valore non possono che peggiorare ! ” personalizzazione : interpretare eventi esterni in relazione alla propria persona, in mancanza di evidenze plausibili “ … ha interrotto il colloquio non perché aveva un altro appuntamento ma perché l’ho stancato …” catastrofizzazione : soffermarsi sulle conseguenze peggiori di una situazione e sovrastimare la possibilità che queste si “ … ora mi caccerà umiliandomi …” verifichino lettura del pensiero : essere convinti che le persone nutrano sentimenti negativi nei nostri confronti in assenza della benchè “ sta pensando che sono un deficiente ” minima prova di ciò figura 33 – Le principali distorsioni cognitive: descrizione e esempi (modificata da Beck, 1978). 80 doverizzazioni : “ io devo sempre essere all’altezza, in ogni situazione “ insopportabilità, intolleranza : “ non posso sopportare di essere stato così criticato dall’esaminatore” giudizi totali su di sé e/o sugli altri catastrofizzazione : “ sono un fallito “, “ è una persona spregevole “ “ è terribile che io non abbia saputo rispondere a quella domanda “ indispensabilità, bisogni assoluti “ io ho assolutamente bisogno di essere approvato, sempre “ figura 34 – Alcuni esempi delle principali idee irrazionali (modificata Ellis, 1962). 81 82 PSICOFISIOLOGIA E VALUTAZIONE PSICOFISIOLOGICA La psicofisiologia si occupa dello studio delle relazioni tra il comportamento, interno o esterno dell’individuo, e le connessioni tra questo e il sistema nervoso autonomo (SNA), il sistema nervoso centrale (SNC) il sistema psiconeuroendocrino (PNEI). Tradizionalmente la nascita della psicofisiologia, come la psicologia fisiologica, si fa risalire alla seconda metà dell’800, nel periodo cioè in cui la psicologia si affranca dalle altre discipline per avvalersi dell’approccio e dei principi d’indagine del metodo scientifico. Quattro sono le colonne portanti sui cui si regge il metodo scientifico: 1. oggettività: la possibilità cioè che due o più persone, poste nella stesse condizioni, riescano ad effettuare la stessa osservazione. È fondamentale che a questo scopo i costrutti psicologici siano tradotti in termini operativi, in comportamenti osservabili (operativizzazione), scevri da ogni interpretazione o personalizazzione. 2. variabile: ogni oggetto o evento presenta diverse caratteristiche e proprietà. Queste possono assumere stati differenti, una variabile è perciò il risultato della traduzione della proprietà di un fenomeno in termini empirici, attribuendo ad essa una definizione operativa, ed utilizzando una procedura standard per la rilevazione (operativizzazione), in questo modo si potrà parlare di modalità e di valori e non più in stati. 3. controllo: nello studio della relazione tra una variabile indipendente e quella dipendente è necessario annullare l’effetto di variabili potenzialmente influenti sulla variabile dipendente. 83 4. misurazione: le proprietà degli oggetti posti in osservazione sono associate alle proprietà dei numeri: che però devono utilizzati propriamente perché l’osservazione scientifica abbia un senso. Si distinguono: Scala nominale: i numeri sono etichette e classificano. Scala ordinale: i numeri sono ranghi, posizioni e ordinano gli oggetti. Scala a intervalli equivalenti: i numeri corrispondono al numero di unità di misura di distanza da uno zero relativo, convenzionale. Scala a rapporti equivalenti: i numeri corrispondono alla distanza, espressa in unità di misura, dallo zero assoluto (assenza della caratteristica). Il primo ricercatore che introdusse questo nuovo paradigma in psicologia fu sicuramente Wundt che studiò i “contenuti di coscienza”, ovvero i costrutti psicologici secondo la terminologia dell’epoca, ricercandone le loro basi fisiologiche e denominando non a casa questa nuova “scienza”: “psicofisica”. In psicofisiologia la variabile indipendente, cioè quella manipolata dallo sperimentatore, è il comportamento mentre quella dipendente è una o più funzioni fisiologiche ad esso correlate e osservabili. Ad esempio, la richiesta di risolvere un problema, anche mentalmente, può provocare un aumento della frequenza cardiaca, così come nello sforzo fisico. Al contrario, in psicologia fisiologica, in neurofisiologia e in neuropsicologia la variabile indipendente, cioè quella controllata dallo sperimentatore, è una specifica condizione fisiologica dell’organismo. Ad esempio, soggetti che presentano una lesione cerebrale in sede frontale perseverano nel rispondere erroneamente allo stesso quesito nonostante le correzioni precedentemente fornite. Mentre il paradigma d’indagine della psicofisiologia è di tipo correlazionale quello della psicologia fisiologica è di tipo causale. Si può infatti sostenere quasi con certezza che un comportamento perseverativo sia causato da un danno cerebrale acquisito come un trauma cranico, mentre non si può ritenere il problema posto al soggetto come di per sé in grado di provocare un aumento della frequenza cardiaca. In psicofisiologia 84 perciò è possibile specificare la relazione tra comportamento e funzioni fisiologiche tramite l’approfondimento delle variabili indipendenti e di quelle intervenienti in gioco: ad esempio, lo sperimentatore potrebbe controllare la difficoltà del compito, la sua durata ma anche la motivazione, le abilità cognitive e l’emotività del soggetto per ricercare la “rete” di possibili concause e processi in grado di produrre il fenomeno. Negli ultimi anni le metodologie applicate al campo della ricerca in psicofisiologia clinica ha scoperto e descritto alcuni principi concettuali quali l’equilibrio autonomico (autonomic balance), legge dei valori iniziali (law of initials values), abituazione e rimbalzo. Il concetto di equilibrio autonomico, introdotto da Wenger (Wenger, 1966; Wenger e Cullen, 1972) si riferisce al rapporto tra il livello di attivazione delle due branche del SNA. Wenger descrisse un metodo di calcolo che consente di ricavare un indice numerico in grado di esprimere la predominanza del simpatico sul parasimpatico o viceversa. A tale scopo vengono misurati parametri fisiologici come l'attività elettrodermica, la frequenza cardiaca, la pressione arteriosa, la frequenza e ampiezza respiratoria e la salivazione. Un punteggio elevato corrisponde a una prevalente dominanza parasimpatica e caratterizza individui vagotonici. Un punteggio basso, invece, contraddistingue individui simpaticotonici, in cui cioè prevale in generale l'attività della branca simpatica del SNA. Mentre bassi punteggi sembrano predire una maggiore vulnerabilità per disturbi sia fisici che psicologici e associarsi a diversi quadri clinici (disturbi d'ansia, alcune forme di schizofrenia, ipertensione, cefalea, disturbo antisociale di personalità e disturbo da deficit di attenzione e iperattività), alti punteggi sembrano invece più caratterizzare un quadro generale di salute mentale e fisica. La legge dei valori iniziali (Wilder, 1967) descrive l'influenza del livello di attivazione neurovegetativa basale sulla risposta allo stimolo stressante presentato. Maggiore è il primo, minore sarà l'ampiezza della seconda (“ceiling effect” o “effetto tetto”) e viceversa, ovvero, maggiore sarà l’attivazione di base già presente nell’individuo, ad esempio una pressione arteriosa o una frequenza cardiaca già elevata, minore sarà il picco di attivazione.. Analogamente, più è basso il livello di 85 attivazione a riposo, minore sarà il decremento dei valori se al soggetto sarà invece presentato uno stimolo rilassante (“floor effect” o “effetto pavimento”). Sembra che questa regola sia particolarmente rispettata da parametri cardiaci, vascolari e respiratori mentre attività elettrodermica e salivazione risultano più indipendenti da essa. Il fenomeno noto come “abituazione” consiste nella riduzione dell'ampiezza o della frequenza della risposta di un parametro fisiologico alla presentazione continua nel tempo di stimoli omogenei per modalità sensoriale (visivi, uditivi, ecc.), durata, frequenza e intensità. Il “rimbalzo” è invece l'assestamento del livello di attivazione neurovegetativa, successivamente alla presentazione dello stimolo, a valori inferiori rispetto a quelli che avevano caratterizzato l'attività di base. Altri principi metodologici riguardano specifici patterns di attivazione neurovegetativa. Alcune ricerche hanno dimostrato che, per la maggior parte degli individui, categorie di stimoli specifiche elicitano configurazioni di risposte fisiologiche specifiche (specificità della risposta allo stimolo o stimulus-response specificity). emozione RABBIA PAURA DEPRESSIONE sistema limbico nucleo centrale dell'amigdala nucleo basale dell'amigdala solco dell'ippocampo comportamento lotta fuga ritiro pressione arteriosa ↑↑↑ pressione arteriosa ↑ pressione arteriosa ↔ frequenza cardiaca ↑↑↑ frequenza cardiaca ↑ frequenza cardiaca ↔ noradrenalina ↑↑↑ noradrenalina ↑ ACTH ↑↑↑ pattern adrenalina ↑ adrenalina ↑↑↑ cortisolo ↑↑↑ neuroendocrini renina ↑↑↑ cortisolo ↑ endorfine ↑↑↑ testosterone ↑↑↑ testosterone ↓ cortisolo ↔ catecolamine ↔ figura 35 – Pattern comportamentali e neuroendocrini di tre emozioni fondamentali: rabbia, paura e depressione (Henry, 1986). Per primo, Ax (1953), verificò la specificità dell'attivazione fisiologica di fronte a situazioni stimolo emotigene: mentre la paura si distingue per risposte fisiologiche 86 che necessitano di una maggiore produzione di adrenalina, la rabbia sembra caratterizzarsi invece una maggiore richiesta di noradrenalina. Più recentemente, Henry (1986) ha illustrato come rabbia, paura e depressione corrispondano a pattern di attivazione neurofisiologici e neuroendocrini caratteristici. Nella figura 35 sottostante una sintesi schematica del suo contributo. Lacey e coll. (1963) condussero un esperimento che prevedeva la registrazione della frequenza cardiaca e della conduttanza cutanea in soggetti sottoposti all'esecuzione di compiti differenti: alcuni richiedevano di porre attenzione a stimoli visivi (flash di luce), uditivi (rumore bianco), scene di recitazione drammatica, altri di eseguire calcoli a mente, sillabare al contrario, costruire frasi o ricevere stimolazioni dolorose (cold-pressor test). Mentre le variazioni della conduttanza cutanea si dimostrarono omogenee, quelle relative alla frequenza cardiaca risultarono bidirezionali: nella maggior parte dei soggetti si osservò un'accelerazione del battito cardiaco durante i compiti che richiedevano un'elaborazione cognitiva dello stimolo e un rallentamento invece in corrispondenza dei compiti di attenzione (figura 36). Lacey e coll. (1967) definirono tale fenomeno “frazionamento direzionale”. 100 50 0 -50 -100 Fr Ar Pc Do Re Dr Ru Fl FC (+) 75 90 70 80 40 15 30 20 FC (-) -25 -10 -30 -20 -60 -85 -70 -80 figura 36 – Percentuale di soggetti con accelerazione (+) o rallentamento (-) della frequenza cardiaca alla presentazione di flash di luce (Fl), di rumore bianco (Ru), di scene di recitazione drammatica (Re), alla costruzione di frasi (Fr), all'esecuzione di calcoli a mente (Ar), alla pronuncia di sillabe al contrario (Pc) e a stimolazione dolorosa (Do) (modificata da Lacey e coll., 1967). 87 Anche Sanavio e Bettinardi (1984) hanno confermato che compiti mentali rispetto alla semplice presentazione di stimoli, costituiscono stressors differenti: gli autori hanno osservato un generale quadro di attivazione simpatica durante sia l'esecuzione del calcolo mentale (sottrazione seriata) che il completamento del Reattivo delle Frasi da Completare di Sacks (Riva, 1969). La presentazione di stimoli acustici (rumore bianco) e segnali minaccianti shock elettrici ha prodotto il succitato fenomeno di frazionamento direzionale caratterizzato principalmente da decelerazione della frequenza cardiaca (figura 37). STIMOLI SOTTRAZIONE SERIATA FRASI DA COMPLETARE RUMORE BIANCO Conduttanza cutanea Potenziale elettrico del muscolo frontale Temperatura periferica Frequenza cardiaca ↑↑↑ ↑↑↑ ↑ ↑↑↑ ↑↑↑ ↑↑↑ ↔ ↑ ↓↓↓ ↓↓↓ ↓↓↓ ↓↓↓ ↑↑↑ ↑↑↑ ↓ ↓ SHOCK ELETTRICI figura 37 – modificata da Sanavio, E., Bettinardi, O. (1984). Parametri psicofisiologici e cognitivoverbali: contributo alla validazione di un “Profilo di stress”. Atti del V Congresso Nazionale di Biofeedback e Medicina Comportamentale “Approccio integrato psicobiologico alla terapia e alla riabilitazione”. Milano: Liviana Editrice. Fu sempre Lacey a fornire il primo contributo circa la cosiddetta specificità della risposta individuale (individual response stereotypy): egli osservò che una buona percentuale di soggetti, indipendentemente dallo stimolo presentato o compito eseguito, rispondeva attraverso un pattern personale, di attivazione neurovegetativa. Nella figura 38 è rappresentato lo schema tipico di risposta autonomica che caratterizza i pazienti ipertesi. I valori assunti dai diversi parametri fisiologici (FC= frequenza cardiaca, PA=pressione arteriosa, TEMP=temperatura cutanea periferica, EMG=potenziale elettrico del muscolo frontale, RESP=frequenza respiratoria e 88 EDA=attività elettrodermica) durante la presentazione degli stimoli attivanti, stressanti, sono espressi in punti z, cioè in numero di deviazioni standard rispetto al valore medio a riposo. calcolo mentale diapositive speech test imagery 1 0,8 0,6 0,4 0,2 0 -0,2 -0,4 FC PA TEMP EMG RESP EDA figura 38 - Schema tipico di risposta neurovegetativa in un campione di pazienti ipertesi. Come si può osservare dal grafico, la massima reattività viene espressa dalle variabili cardiovascolari. In particolare, la pressione arteriosa sembra costituire il parametro eletto a rappresentare la risposta di stress del paziente iperteso. Inoltre, generalizzando a tutti i disturbi psicosomatici (ipertensione, emicrania e cefalea censiva, gastrite e colite cronica, ecc.), l’organismo sembra attivarsi in maniera stereotipata indipendentemente dallo stressor. Il riflesso di orientamento e il riflesso di difesa (Pavlov, 1927; Sokolov, 1963; Lacey, 1967) corrispondono a schemi di attivazione neurovegetativa corrispondenti a situazioni stimolo specifiche. Il riflesso di orientamento è la risposta dell’organismo a stimoli che presentano caratteristiche di novità. La sua funzione adattiva consiste nell’ “orientare”, appunto, l’organismo verso lo stimolo nuovo, sia esso una novità assoluta o presenti una variazione significativa rispetto al contesto (ad esempio una porta che sbatte in casa). L’organismo si prepara, quindi e si organizza ad esplorarlo, ad analizzarne il contenuto e il significato e ne possono risultare un certo numero di attività fisiologiche: 89 modifica del tracciato elettroencefalografico che si manifesta attraverso un’attivazione corticale (arousal), ovvero il passaggio da un ritmo lento a uno rapido elettroencefalografico (desincronizzazione); dilatazione pupillare (midriasi) per favorire l’esplorazione visiva; si dilatano i vasi sanguigni cefalici, per favorire i processi metabolici che supportano le attività di elaborazione cognitiva svolte dalle strutture corticali e sotto-corticali del sistema nervoso centrale (vasodilatazione cefalica); si dilatano i vasi sanguigni che irrorano la cute delle dita (vasodilatazione digitale), per favorire i processi metabolici che supportano le attività di esplorazione tattile; si mette in moto una risposta bifasica di decelerazione prima e di accelerazione poi della frequenza cardiaca; aumenta la conduttanza cutanea per permettere, tra l’altro, un veloce raffreddamento del corpo quando sottoposto ad uno stress metabolico con conseguente aumento della temperatura. Alcuni autori sostengono poi che la funzione adattiva dell’attività elettrodermica sia quella di acuire la sensibilità tattile, aumentare la ricettività agli stimoli e quindi favorire l’esplorazione ambientale. Il riflesso di difesa è invece la risposta dell’organismo a stimoli che presentano caratteristiche di minaccia per la persona. La sua funzione adattiva consiste principalmente nel preparare e organizzare un comportamento atto ad affrontare o evitare un pericolo imminente. L’organismo mobilita e attinge dalle proprie riserve energetiche attraverso tutta una serie di attività fisiologiche: i vasi sanguigni che irrorano la cute delle dita (vasocostrizione distale) e, in generale la periferia del corpo (vasocostrizione periferica) si restringono, e quelli che irrorano le strutture corticali e sottocorticali dell’encefalo (vasocostrizione cefalica). Contemporaneamente, si dilatano i vasi sanguigni che irrorano la 90 muscolatura striata. L’organismo favorisce così la preparazione di un’azione immediata finalizzata alla sopravvivenza; aumenta la frequenza cardiaca, la pressione arteriosa, la frequenza e l’ampiezza respiratoria. L’organismo velocizza e intensifica così l’apporto di ossigeno necessario per la combustione degli zuccheri che forniscono l’energia indispensabile per il lavoro muscolare; aumenta il tono muscolare di base così che l’organismo è teso e pronto all’azione; aumenta ancora l’attività elettrodermica e , mentre nel riflesso di orientamento la risposta della conduttanza cutanea manifesta abituazione, ovvero si riduce di ampiezza dopo ripetute stimolazioni della stessa qualità, intensità e frequenza, nel riflesso di difesa, la risposta della conduttanza cutanea presenta un andamento incrementale o costante e un tempo di recupero maggiore (Edelberg, 1973). Il Profilo Psicofisiologico Il profilo psicofisiologico (PPF) è una delle procedure impiegate per la valutazione dell’influenza del comportamento sulla risposta di neurovegetativa di stress (Fuller, 1979; Sanavio & Bettinardi, 1984; Sanavio, 1985; Zotti, Bettinardi, Soffiantino, Gavazzi & Steptoe, 1991; Hoehn, 1997). Le risposte fisiologiche a cui si fa riferimento sono il prodotto di variazioni biochimiche che avvengono nelle vie nervose e nei muscoli, durante le quali si generano potenziali elettrici. Per differenza di potenziale (tensione o voltaggio, V) s’intende la concentrazione di cariche elettriche opposte in due punti detti poli, e si misura in volt. Le differenze di potenziale elettrico sono rilevabili attraverso sensori metallici, o elettrodi, posizionati al di sopra (macroelettrodi di superficie, macroelettrodi di superficie) o al di sotto della pelle (elettrodi ad ago). La misurazione di un qualsiasi potenziale bioelettrico 91 richiede la presenza di due elettrodi, ne consegue che la tensione registrata è in realtà la differenza di potenziale tra i due elettrodi. Se invece l’attività fisiologica monitorata ha un carattere non elettrico, ad esempio la temperatura periferica, sarà necessario utilizzare dei trasduttori che convertono i segnali non direttamente rilevabili come differenza di potenziale in potenziali elettrici. Le risposte biologiche considerate generalmente determinano fenomeni di entità limitata, dell’ordine dei microvolt, l’apparecchiatura di rilevazione sarà dunque fornita di un amplificatore in grado di aumentare l’ampiezza del segnale lasciandone inalterate le caratteristiche salienti. Il segnale può essere visualizzato secondo due modalità: la modalità analogica in cui vengono rappresentate in modo continuo le variazioni di ampiezza in funzione del tempo, e la modalità digitale in cui il segnale continuo viene convertito in un formato discreto, numerico (computer) (figura 39). figura 39 - Apparecchiatura per la rilevazione del profilo PPF (ditta Satem, Roma). Il PPF consiste nella registrazione simultanea di alcuni parametri fisiologici in genere articolata in tre fasi consecutive: “riposo”, “stress” e recupero”. 92 Per eseguire un PPF è necessario disporre di una stanza silenziosa e priva di stimoli distraenti. Ad esempio, presso un centro medico, dato che l’ambulatorio di psicologia clinica sarà circondato da altri studi polispecialistici e si affaccerà sulla sala d’attesa, può essere utile affiggere fuori dalla porta un cartello di avviso della registrazione in corso e di invito a non entrare, a non bussare e a mantenere il silenzio. Nella stanza, è importante staccare il telefono, ma anche invitare il paziente a spegnere il suo, informare il personale della segreteria e invitarlo a non inoltrare telefonate. È fondamentale inoltre che l’ambulatorio sia provvisto di dispositivi, meglio se elettronici per il controllo automatico della temperatura, da contenere tra i 18° C e i 22° C, e del tasso d’umidità, da mantenere al di sotto del 50%, tramite apposito apparecchio estrattore. Mentre infatti ad un ambiente troppo freddo l’organismo risponde con un incremento del tono muscolare e vasocostrizione, quindi con un conseguente abbassamento della temperatura cutanea periferica, ad un ambiente troppo caldo esso risponde con un incremento della secrezione di sudore e vasodilatazione, ovvero con un aumento della temperatura cutanea periferica. Le condizioni fisiche del setting clinico non devono quindi sollecitare l’organismo a produrre una risposta volta a ristabilire l’omeostasi perché questa impedirebbe di riconoscere l’attivazione neurovegetativa a riposo e quella elicitata dallo stimolo stressante previsto e somministrato dallo psicologo. Oltre alla predisposizione del setting, è importante preparare adeguatamente la persona informandola del contenuto e del significato della procedura, si potrebbe dire ad esempio: “ . . . si tratta di una breve registrazione che sarà utile per capire quanto il suo corpo è stato stressato nell’ultimo periodo e come di solito reagisce allo stress . . . a questo scopo misurerò la tensione dei muscoli, il battito del cuore, la sudorazione e la temperatura delle mani . . . inizialmente la lascerò riposare, poi, dopo qualche minuto, le chiederò di svolgere un compito a mente . . . quando la interromperò, la inviterò nuovamente a riposarsi . . . “. La persona viene quindi invitata a sdraiarsi su un lettino oppure a sedersi su una poltrona. Questa deve disporre di braccioli ampi, poggiatesta e schienale reclinabile, 93 in modo da permettere al paziente di assumere una posizione sufficientemente comoda, naturale. Successivamente si provvede a pulire la pelle con un batuffolo di cotone e alcol,nelle zone dove saranno applicati i diversi sensori, elettrodi e trasduttori, quindi si provvederà ad impostare l’apparecchiatura per la registrazione e monitorare l’andamento dei valori dei vari parametri fisiologici. A questo proposito, è importante descrivere con parole semplici la funzione dei dispositivi impiegati allo scopo di rassicurare circa la non invasività e l’assoluta non nocività della procedura: “ . . . adesso le strofinerò la pelle con questo batuffolo di cotone imbevuto di alcool etilico, ho bisogno di pulirle la pelle per migliorare la qualità della registrazione . . . i fili che le sto attaccando e l’apparecchiatura servono solo per registrare da Lei alcune funzioni fisiologiche e Lei è completamente isolato dalla rete elettrica . . . “. La fase preliminare sopra descritta può essere definita di “adattamento” in quanto si le informazioni utili e lascia trascorre il tempo necessario alla persona per abituarsi alla novità della situazione. Trascorso questo periodo, della durata di circa 4-5 minuti, inizia la registrazione articolata nelle seguenti 3 fasi: 1) “riposo”, di circa 6 minuti, durante la quale si registra l’attività fisiologica di base, ovvero in assenza di stimolazioni, per valutare lo stato di attivazione neurovegetativa di base, tipico della persona o almeno associato all’ultimo periodo della sua vita. Al soggetto viene generalmente chiesto di chiudere gli occhi, per ridurre al minimo possibile le fonti di distrazione, di rimanere fermo, per evitare la registrazione di artefatti, e di aspettare tranquillamente le successive istruzioni. La fase “riposo” può essere eventualmente prolungata di qualche minuto nel caso i valori di uno o più parametri fisiologici non si fossero ancora assestati. Viene anche suggerito di non parlare e di segnalare eventuali necessità come, ad esempio, la necessità di tossire, alzando l’indice della mano “libera”, ovvero di quella dove non sono posizionati gli elettrodi. 2) “stress”, di circa 4 minuti, durante la quale si registra l’attività fisiologica in condizioni di stress indotto, mentre il soggetto è impegnato nello svolgimento di un 94 compito o sottoposto a stimoli ansiogeni, per valutare il tipo di risposta neurovegetativa (figura 40). figura 40 - Esempio di posizionamento di elettrodi e sensori per l’esecuzione di un profilo psicofisiologico (PPF). Tra i diversi stimoli stressanti (stressors), uno dei più semplici e diffusi è la sottrazione seriata (mental arithmetic task, MAT), che consiste nel sottrarre una cifra (es. 13) da un numero elevato di quattro cifre, ad esempio 1007, e di continuare a ripetere l’operazione su ogni risultato ottenuto (Sanavio & Bettinardi, 1984). Allo stesso scopo possono essere impiegate anche prove di tipo “problem solving” o di ragionamento logico e analogico come ad esempio, le matrici progressive colorate di Raven (CPM47) nella loro versione computerizzata. Questa prova, oltre a mantenere elevato il livello di attenzione per tutta la sua durata, grazie alla presentazione di stimoli visivi e sonori attivanti e rinforzanti, offre anche 95 l’opportunità di superare eventuali inconvenienti inerenti le procedure di somministrazione ed il ruolo dell’esaminatore (Pruneti, 1995). La figura 41 illustra una schermata del programma in cui viene presentata una delle matrici progressive colorate di Raven. figura 41 - Versione computerizzata delle matrici progressive colorate di Raven (CPM47). Il soggetto viene invitato a osservare bene la figura principale e a scegliere, tra i diversi pezzi a disposizione, quello che la completa. In alcune matrici è necessario individuare la logica sottostante la composizione della figura principale. La prova risulta attivante grazie a stimoli visivi e uditivi: il soggetto viene sollecitato a rispondere velocemente da un cronometro digitale e da un grafico a barre che rappresenta il tempo che rimane a disposizione per rispondere. In più, un segnale sonoro (beep) aumenta di frequenza e di intensità man mano che trascorrono i secondi. La persona può rispondere digitando su una tastiera il numero del tassello scelto o utilizzando un mouse e quindi “trascinando” il pezzo sulla figura principale. 96 È prevista inoltre l’elargizione di rinforzatori per rendere il compito più motivante e quindi attivante: se la risposta è corretta, la schermata successiva sarà di colore verde e presenterà la scritta “bravo!”, altrimenti, in caso di insuccesso, la schermata sarà rossa e presenterà la scritta “hai sbagliato, riprova!”. In figura 43a sono rappresentati i valori medi, a riposo e durante stress indotto, utilizzando la presentazione della versione computerizzata delle CPM4712, di un gruppo di soggetti con infarto acuto del miocardio (IMA) e un gruppo di controllo (GC) (Pruneti, 1995). tensione muscolare conduttanza cutanea µS 25 20 15 10 5 0 µV IM A GC riposo 12,09 5,9 stress 19,57 9,75 frequenza cardiaca bpm 100 80 60 40 20 0 12 10 8 6 4 2 0 IM A GC riposo 4,4 2,3 st ress 9,91 3,4 temperatura cutanea periferica 33 °C IMA GC riposo 64,4 70,2 stress 84,3 82,2 31 29 IMA GC riposo 31,37 32,7 stress 30,92 32,1 figura 42a – Da: Pruneti, C. (1994). Presentazione e valutazione psicofisiologica di una versione computerizzata delle CPM di Raven. Bollettino di Psicologia Applicata, 210, 41-47. 2 La versione computerizzata delle CPM47 è un software sviluppato a livello sperimentale, è stato sviluppato in collaborazione con L’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR di Pisa. 97 I grafici (figura 42a) dimostrano che la prova delle CPM47 è in effetti risultata in grado di attivare la risposta dei 4 parametri in entrambi i gruppi e di mettere in evidenza il maggior livello di attivazione neurovegetativa del gruppo di pazienti infartuati. In figura 42b è rappresentato il tracciato medio del parametro conduttanza cutanea dei due gruppi (GC e IMA). 98 Nel corso di un PPF vengono solitamente registrati contemporaneamente più parametri fisiologici, tra questi, i più frequentemente utilizzati, sono: il potenziale elettrico del muscolo frontale (EMG), la temperatura cutanea periferica (THE), la frequenza cardiaca (HR) e la conduttanza cutanea (GSR). La scelta di monitorare e misurare più funzioni riguardanti l’attività neurovegetativa del soggetto è giustificata dalla constatazione che spesso queste possono assumere un andamento discordante. In alcuni casi infatti una condizione di iperattivazione neurovegetativa si può manifestare attraverso un solo parametro fisiologico: ad esempio, più del 70% delle persone affette da cefalea censiva o vasomotoria presentano anche a riposo un livello di tensione muscolare dei muscoli frontali e prefrontale più elevato, una risposta più marcata allo stress e un recupero incompleto o assente dello stesso parametro. Analogamente, nei casi di ipertensione essenziale, spesso i soggetti manifestano una disregolazione della risposta fisiologica di stress ben riconoscibile dall’andamento dei valori della pressione arteriosa. Tenendo quindi presente che, in alcuni casi, un solo parametro fisiologico è in grado di esprimere in maniera più spiccata degli altri una condizione di iperattivazione neurovegetativa, si potranno avere: i valori di uno o più parametri fisiologici, registrati a riposo, che risultano elevati (EMG > 2-3 µV, GSR > 6 µS, HR > 80 bpm, THE < 30° C). Si ricorda che in genere la condizione fisiologica di base riflette il carico di stress cui l’organismo ha dovuto far fronte nell’ultimo periodo (circa 3 mesi); i valori di uno o più parametri fisiologici, durante la registrazione a riposo, invece di assestarsi gradualmente per un fenomeno di abituazione, presentano un assetto lento, incostante, fluttuante o assente. uno o più parametri fisiologici, alla presentazione dello stress, si caratterizzano per una risposta immediata e di elevata ampiezza. uno o più parametri fisiologici, al termine della procedura, presentano un lento, incostante o assente ripristino dei valori iniziali nel corso della fase “recupero”. 99 Il profilo di “rilassamento” Il Profilo di rilassamento è una procedura impiegata spesso nella fase di assessment della terapia dei disturbi da stress poiché consente di valutare, in base alla registrazione e monitorizzazione dei valori assunti dai diversi parametri fisiologici, la capacità del soggetto di rilassarsi. In base a questo tipo di verifica il clinico decide se e quanto sia necessario dirigere la terapia verso l’acquisizione di tecniche specifiche per migliorarla. L’auto-rilassamento costituisce una risorsa importante poiché permette alla persona di rigenerarsi dopo i disordini causati da reazioni massive di adattamento che sottopongono l’organisma a tensioni ab0 1 56.64 ormi dovute al prolungamento ddllo stato di 100 Ciò che differenzia l’auto-rilassamento da un compito di aritmetica mentale è l’ambiguità del primo rispetto alla precisione del secondo. Nel compito aritmetico di sottrazione per sette da mille ciò che intuitivamente risulta stressante non è tanto la sua difficoltà, dato che esso consente al soggetto di avere la certezza dell’esattezza del risultato, quanto la sua durata e persistenza; il soggetto è costantemente impegnato per tutta la durata della prova. Il compito di auto-rilassamento lascia spazio alla libertà di mettere in pratica la modalità abituale e personale di rilassarsi e, in questo senso, dovrebbe risultare piacevole o, perlomeno non impegnativo. In esso, tuttavia, il soggetto non è in grado di valutare obiettivamente la propria prestazione in termini di efficacia: i resoconti soggettivi relativi alle sensazioni di benessere infatti non ricevono sistematicamente conferma dagli indicatori biologici. Essa potrebbe essere possibile solo se al soggetto, come avviene nel corso di una seduta di biofeedback, giungesse un segnale (feedback) acustico, visivo, tattile che indicasse l’andamento delle proprie funzioni biologiche coinvolte nella risposta di rilassamento. Il soggetto può mal tollerare l’assenza di una specifica strategia che lo metta in grado di riuscire perfettamente e di un riferimento oggettivo indicatore dell’esito dei propri tentativi. In altre parole alcuni soggetti risentono più di altri della necessità di seguire istruzioni inequivocabili e di attenersi ad un modello di comportamento da loro giudicato affidabile e per questo frequentemente reiterato. D’altra parte essi trascurano il fatto che per quanto efficace esso possa risultare in un determinato contesto, se adoperato in un altro non necessariamente si dimostrerà altrettanto valido. Anche nel Profilo di stress si offre al soggetto la possibilità di rilassarsi ma ciò avviene conseguentemente alla sospensione della prova, nella fase di recupero, ed alla mancanza di prescrizioni, nella fase in cui si registra la linea di base. La prescrizione dell’auto-rilassamento, “Cerchi di rilassarsi il più profondamente possibile” (Arena et al., 1983) implica una sollecitazione, una mobilitazione e perciò si oppone decisamente alla semplice assenza o cessazione dell’attività caratteristiche della prima e dell’ultima fase. In altri termini ciò che viene richiesto implicitamente e 101 celato dall’assenza di specifiche istruzioni nella prima e nella terza fase, in quella centrale viene reso esplicito. Prescrivere l’auto-rilassamento è, intuitivamente, di per sé una pratica paradossale: rilassarsi ed eseguire un ordine sono comportamenti che si escludono mutuamente, che di fatto non possono avvenire contemporaneamente. Tuttavia ciò non impedisce ad alcuni soggetti di “sforzarsi” in maniera funzionale e di riuscire nella prova. Anchisi (1996), a conferma di ciò, osserva che se nella fase centrale della procedura il modo di rilassarsi risulta disfunzionale, si può ipotizzare che vi sia soggiacente uno stile generale del soggetto eccessivamente perfezionistico, che produce ulteriore stress. Il valore euristico del “Profilo di rilassamento” consiste nella possibilità di valutare obiettivamente come il soggetto interpreta ed affronta un compito la cui natura è ambigua e nel quale è possibile riuscire solo ignorandone l’aspetto prescrittivo e competitivo. 102 PSICOFISIOLOGIA DEI DISTURBI D’ANSIA Edoardo Ercolini, Federico Fontana e Carlo Pruneti3 Esistono vari metodi e tecniche d’indagine per indagare gli aspetti psicofisiologici degli individui. Solitamente questi metodi sono non invasivi ed innocui e talvolta possono essere “economici” e di facile utilizzo. Generalmente si possono distinguere metodi di rilevazione di tipo elettrico e di tipo non elettrico. Metodi di rilevazione di variabili bioelettriche L’Elettroencefalogramma La scoperta di fenomeni elettrici come fondamento dell’attività delle cellule nervose e muscolari risale agli studi di L. Galvani e della moglie alla fine del ‘700. Solo nel 1877, però, Caton pubblicò sul British Medical Journal un articolo in cui descriveva l’esistenza di campi elettrici fluttuanti di minima ampiezza nel cervello del coniglio. Questo dato non suscitò l’interesse del mondo scientifico fino a quando lo psichiatra tedesco Hans Berger, nel 1929, non riuscì a registrare nell’uomo un’attività elettrica ritmica per mezzo di elettrodi applicati sullo scalpo, creando le basi di una tecnica denominata Elettroencefalografia (EEG), che si è progressivamente approfondita e consolidata negli anni. I progressi tecnologici della seconda metà dello scorso secolo hanno enormemente facilitato le procedure di acquisizione, l'amplificazione, la registrazione e l’elaborazione del segnale bioelettrico cerebrale fino alla completa computerizzazione della metodica in tutte le sue sofisticate applicazioni attuali. Si è passati così dalla registrazione dell’attività elettrica cerebrale spontanea, che ha permesso di riconoscere le caratteristiche del tracciato nelle diverse condizioni fisiologiche (veglia/sonno), nelle varie età e nella patologia, allo studio delle 3 Dipartimento di Psicologia, Università Degli Studi di Parma 103 modificazioni dell’attività cerebrale spontanea a seguito di stimolazioni multimodali (Potenziali correlati ad eventi o Event Related Potentials). Quindi possiamo definire l’elettroencefalogramma come una registrazione grafica nel tempo delle spontanee, autonome e continue fluttuazioni dei potenziali elettrici cerebrali, rilevata da elettrodi di superficie (Zani, 1982). Si dispongono a contatto del cuoio capelluto due o più elettrodi che registrano i minuscoli potenziali elettrici derivanti dal cervello. Raccolti dagli elettrodi questi ultimi vengono amplificati e trascritti su un foglio di carta scorrevole per essere poi sottoposti ad un’analisi quantitativa. Le ritmiche e transitorie oscillazioni elettriche che compongono il tracciato elettroencefalografico assumono, infatti, diverse bande di frequenza, che per la loro costanza periodica sono contraddistinte da lettere dell’alfabeto greco (α,β,γ,δ,ΰ). Queste ultime indicano ognuna una determinata classe di oscillazioni, distinte l’una dall’altra in base a delle caratteristiche differenziali, quali la forma, il periodo, la localizzazione, ma soprattutto la loro frequenza e ampiezza. La frequenza indica il numero di cicli completi compiuti dalle oscillazioni elettriche cerebrali in un arco di tempo prestabilito, generalmente un secondo, e viene per questo espressa in cicli per secondo (c/s). Il periodo o lunghezza d’ onda rappresenta il reciproco della frequenza e indica il tempo necessario affinché una singola oscillazione compia un ciclo completo e torni nuovamente al punto di partenza. Maggiore è la lunghezza d’onda minore è la frequenza. L’ampiezza, espressa in micro-volts (µV), indica la misura aritmetica della grandezza delle onde che compongono le diverse bande di frequenza. Si considerano o le deviazioni dalla linea di base o la distanza dal picco di un’onda sino al picco dell’onda successiva di polarità opposta. Il termine localizzazione esprime, infine, la diversa distribuzione che ogni ritmo possiede sulla superficie registrabile della volta cranica, come venne già dimostrato in modo conclusivo nel 1935 dai risultati di Kornmuller, secondo i quali registrando da zone craniche diverse si ottengono forme d’onda diverse. 104 Onde alpha (α). Sono costituite da una serie di onde sincrone con frequenza variabile tra gli 8 e i 13 c/s. La frequenza media,però, si aggira sui 10 c/s. A seconda delle differenze individuali e dell’area cerebrale di registrazione, l’ampiezza di queste onde varia tra i 5 e i 100 µV ma oscilla mediamente tra i 50 e i 60 µV. Sul tracciato esse appaiono solitamente quando il soggetto, pienamente sveglio, rimane mentalmente e fisicamente rilassato a occhi chiusi. Questo ritmo è abbastanza generale e distribuito sul cuoio capelluto anche se non in modo uniforme. Caratteristiche onde alpha di voltaggio crescente in senso cefalico antero-posteriore sono presenti in tutte le aree cerebrali. Esse però raggiungono il massimo voltaggio sulle regioni parieto-occipitali e, di solito, gli stimoli visivi hanno la maggior efficacia per la loro scomparsa. L’apertura degli occhi o la somministrazione di stimoli visivi ad occhi chiusi sono infatti le più comuni procedure di laboratorio per provare la reattività delle onde alpha. E’ questo il metodo, cioè, per produrre la desincronizzazione o blocco del ritmo alpha: si osserva un accorciamento del ritmo alpha, che si modifica in un ritmo di maggior frequenza. Questo fenomeno è ritenuto indice di attivazione cerebrale generale e di attenzione vigile. Il termine desincronizzato si riferisce ad un tracciato con onde poco ampie e di frequenza elevata, il che indica che la popolazione di neuroni attivata simultaneamente è piuttosto ristretta; ciò testimonia l’aumento dell’attività cerebrale globale (attivazione) e coincide con un aumento della vigilanza salvo che nel caso del sonno paradossale. Il ritmo sincronizzato si manifesta con un tracciato ad onde ampie e lente che dimostra l aumento del numero di neuroni attivi simultaneamente e la diminuzione dell’attività cerebrale globale. (Birbaumer, 1996). Onde beta (β). Questa banda d’onda ha uno spettro di frequenza oscillante tra i 18-24 c/s ed un’ampiezza piuttosto modesta. Anche l’ampiezza è ridotta infatti solo raramente supera i 10 µV. Come l’attività alpha, essa è distribuita sulla maggior parte del cuoio capelluto mostrando però un voltaggio massimo sulle aree precentrale e frontale della volta cranica. Essa si presenta tipicamente soprattutto nello stato di 105 allerta. Rappresenta, infatti, l’attività rapida che sostituisce il ritmo alpha dopo la sua desincronizzazione. Altri tipi d’ onda. Le onde gamma (γ) sono tipiche oscillazioni elettriche la cui frequenza spazia tra 30 e 50 c/s e la cui ampiezza è simile alle onda beta. entrambe identificate da Grey-Walter, le cosiddette onde delta e theta sono presenti solo raramente nel tracciato dei soggetti normali in stato di veglia. Le onde delta (δ) sono onde lente di grossa ampiezza ( da 20-30 sino a parecchie centinaia di µV) con una frequenza di 0.5-3.5 c/s. Compaiono di solito sia in caso di severe sindromi neurologiche, quali ad esempio tumori cerebrali, che negli stati di sonno lento o profondo. Le onde theta (ΰ) sono invece onde lente con frequenza di 5-7 c/s tipiche delle regioni frontali e temporali. Sono spesso presenti in bambini con disordini comportamentali. Si ricordano infine le onde kappa con frequenza di 8-12 c/s ed ampiezza di circa 20 µV. Esse sono correlate allo svolgimento di compiti intellettivi. I Potenziali Evocati I potenziali evocati (PE) rappresentano le variazioni dell’attività elettrica cerebrale prodotte da uno stimolo esterno. E’ per questo che recentemente si è diffusa l’espressione “potenziali connessi ad un evento” (event-related potentials) per indicare tutte le variazioni dell’attività elettrica cerebrale sincronizzate con la presentazione di uno stimolo o con un’attività psicologica e comportamentale. L’insieme di queste variazioni si divide però, più precisamente, in potenziali evocati (PE) o risposte evocate (evoked potentials o responses) prodotti da stimoli esterni appartenenti alle diverse modalità sensoriali (visiva, uditiva, somestetica) e potenziali lenti (slow potentials) (PL) costituiti da variazione di potenziale precedenti o concomitanti con un’attività psicomotoria svolta dal soggetto. La distinzione fra componente esogena e componente endogena nei potenziali evocati è moto importante e merita di essere approfondita (Birbaumer, 1996). Il termine esogeno si riferisce ad una risposta che: -compare entro i primi 70 msec. dallo stimolo -mostra una distribuzione sullo scalpo specifica per il tipo di stimolo 106 -si manifesta con le stesse caratteristiche di latenza, ampiezza e distribuzione topografica indipendentemente dal significato psicologico dello stimolo e quindi mostra una certa stabilità intraindividuale -ha caratteristiche di latenza e ampiezza che dipendono dai parametri fisici dello stimolo. Può essere ottenuta anche con bassi livelli di coscienza. Dopo 70 msec. dallo stimolo la forma delle risposte appare sempre più uniforme e praticamente indipendente dalla modalità dello stimolo Queste componenti tardive sono, infatti, espressione di un’attività di elaborazione delle informazioni in arrivo in rapporto, ad esempio, ai processi mnestici o all’attività di attenzione e selezione dello stimolo. Queste operazioni variano in rapporto al contesto, al compito, agli obiettivi, alle istruzioni e così via. Questo tipo di risposte costituisce la componente endogena dei potenziali evocati ed ha le seguenti caratteristiche : -distribuzione topografica ampia sullo scalpo e non specifica come nel caso delle componenti esogene -assenza di relazione diretta con le caratteristiche fisiche dello stimolo usato -dipendenza dallo stato psicologico, dall’impegno cognitivo indotto dal compito, dal setting sperimentale ecc.. Il potenziale evocato è costituito da un complesso di onde la cui interpretazione non è sempre facile e la cui morfologia varia conformemente alla modalità sensoriale utilizzata. La latenza, la forma e l’ampiezza delle onde che compongono un potenziale evocato uditivo sono, per intenderci, alquanto diverse da quelle delle onde di un potenziale evocato visivo. Graficamente le onde dei potenziali evocati hanno “picchi” (peaks) positivi e negativi indicati rispettivamente come componenti positive (P) e negative (N). le lettere maiuscole P e N rappresentano cioè la polarità della componente specifica, mentre l’ordine seriale di comparsa delle componenti della stessa polarità si indica con dei numeri sottoscritti alla lettera. 107 Tra le componenti più studiate del potenziale evocato ricordiamo la N100 e la P300. Intorno ai 100msec. compare un picco negativo (N100) seguito da un picco positivo (attorno ai 160-200 msec.). Queste componenti vengono sempre evocate da uno stimolo esogeno ma possono variare in funzione della complessità dello stesso e dell’attenzione prestata. La P300 compare ad una latenza di circa 300msec. dallo stimolo ed è prevalentemente legata ai processi cognitivi di elaborazione dello stimolo; essa non si presenta necessariamente in risposta a stimoli esogeni, ma è piuttosto legata a processi psicologici indotti dallo stimolo. La P300 è pertanto influenzata dalla possibilità o dalla prevedibilità dello stimolo e dalla sua significatività cognitiva o affettiva. Metodi di rilevazione per immagini Tomografia assiale computerizzata La tomografia assiale computerizzata (TAC) è una tecnica di diagnosi radiologica che ha permesso di avere un’immagine della struttura normale e patologica dell’encefalo,senza utilizzare metodi invasivi. Il metodo consiste in un fascio di scansione a raggi X che viene proiettato sul cranio del soggetto e mosso in un’area di 360 gradi in modo da attraversare sezioni progressive del cervello del paziente. Utilizzando il fascio di raggi X a diverse altezze è possibile ottenere immagini di diverse sezioni del cervello del paziente e il cui studio può portare all’identificazione di eventuali alterazioni patologiche della struttura cerebrale (ad es. tumori, coaguli ematici, dilatazione dei ventricoli, ecc.). La TAC è prevalentemente usata per l’analisi neurologica, in quanto fornisce immagini statiche del cervello. Questa limitazione è particolarmente rilevante in psicologia in cui l’interesse è rivolto principalmente alle funzioni cerebrali, quindi ai processi dinamici del cervello. 108 Tomografia ad emissione di positroni Nella tomografia ad emissioni di positroni (PET) viene iniettato nel circolo sanguigno del paziente una sostanza normalmente metabolizzata dal cervello (glucosio) marcata radioattivamente da un isotopo radioattivo a vita breve (18F desossigluocosio). Questa molecole radioattive emettono particelle chiamate positroni, le quali, entrando in collisione con elettroni nelle zone in cui la sostanza iniettata è metabolizzata, generano particelle radioattive luminose evidenziabili grazie ad un rilevatore di immagini. La particolarità di questa tecnica consiste nella possibilità di ottenere immagini dinamiche del funzionamento del cervello, poiché il computer è in grado di convertire gli impulsi luminosi in immagini a colori, in cui le diverse gradazioni cromatiche rappresentano zone cerebrali con differenti tassi metabolici nella sostanza, quindi, con distinti livelli di attivazione. Nonostante questo la velocità di analisi è comunque troppo lenta per seguire i rapidi processi dell’elaborazione dell’informazione. Risonanza magnetica nucleare La risonanza magnetica nucleare (RMN), rispetto alla TAC offre notevoli vantaggi pratici, poiché non utilizza radiazioni ionizzate potenzialmente nocive; inoltre permette di ottenere sezioni in tutti i piani dello spazio e immagini assai nitide e ricche di dettagli anatomici di regioni dell’encefalo inaccessibili o mal distinguibili dalla TAC. Con questo metodo possono essere mostrate la densità e i tempi di decelerazione di protoni eccitati magneticamente nel cervello umano. Schematicamente ogni nucleo si comporta come un piccolo magnete; se il capo è posto in un campo magnetico esterno costante il protone si orienterà di conseguenza. Un secondo campo magnetico ad alta frequenza viene poi utilizzato per disturbare questo allineamento facendo ruotare per un certo tempo i protoni-magneti. 109 I tempi di decelerazione di tale rotazione dipendono dal tessuto che è costante così come la velocità di rotazione di un giroscopio è modificata dal mezzo in cui è immerso. Dato il range di questi tempi di rotazione ci vogliono dai 0.5 ai 2.5 secondi per ottenere una singola misura e circa 20 minuti per creare una rappresentazione grafica di 6000 punti. La risoluzione spaziale, benché limitata dal disturbo termico non è compromessa dalla scarsa conduttività del corpo umano, è enormemente elevata. Gli effetti delle correnti indotte dai campi magnetici alternati sono sconosciuti ma sembrano essere irrilevanti. Altre metodiche Magnetoencefalografia Il movimento di cariche elettriche produce un campo elettrico e, inoltre, un campo perpendicolare al precedente. La magnetoencefalografia (MEG) sfrutta questo principio diventando un importante strumento per localizzare i generatori elettrici (e i relativi campi magnetici) nel cervello, offrendo un accesso diretto all’attività neuronale, cioè alle singole unità fisiche che elaborano l’informazione. Questa operazione può avere anche un’elevata risoluzione temporale, nell’ambito di msec, per cui l’attività magnetica può essere messa in relazione con le funzioni in atto. Questa tecnica è inoltre assolutamente sicura e relativamente semplice. (Birbaumer, 1996) 110 Disturbo di Panico: correlati neurofisiologici e psicofisiologici I pazienti affetti da disturbo di panico, o disturbo da attacco di panico (DAP) secondo il DSM IV-TR (APA, 2000), presentano un’elevata attivazione simpatica. Ora, visto che la branca simpatica controlla l’incremento della frequenza cardiaca, in questa tipologia di pazienti ci aspetteremo una ridotta variabilità cardiovascolare. McCraty et al. (2001) hanno verificato quest’ipotesi monitorando l’attività cardiaca di un gruppo di soggetti con Disturbo di Panico, per un periodo di 24 ore tramite un holter e confrontando i risultati con quelli ottenuti con un gruppo di controllo. Gli autori hanno trovato, conformemente all’ipotesi di partenza che la variabilità della frequenza cardiaca è nettamente inferiore nei pazienti con Disturbo di Panico. Questo porta a confermare l’ipotesi che alla base del Disturbo di Panico ci sia principalmente una forte attivazione simpatica. Questi risultati sono anche concordi con l’alto tasso di morbilità e mortalità a seguito di disturbi cardiovascolari in questa popolazione. A questo proposito Lavoie et al. (2004) comparano un gruppo di pazienti con disturbi cardiovascolari e con Disturbo di Panico con un gruppo di persone che presentano anche loro disturbi cardiovascolari ma non il Disturbo di Panico. Anche qui è stata misurata la variabilità cardiovascolare, ma per un periodo di 48 ore. L’unico dato significativo che esce da questo studio è una bassa potenza delle componenti HF (high frequency) e LF (low frequency) della variabilità cardiovascolare nei pazienti affetti da Disturbo di Panico. La potenza HF è la componente mediata dalla respirazione e riflette la modulazione simpatica della frequenza cardiaca. Mentre la componente LF riflette sia l’attività simpatica sia parasimpatica. Questi risultati, pur confermando che solo una parte della variabilità cardiovascolare è implicata nel Disturbo di Panico, confermano che alla base del Disturbo di Panico vi è una forte attivazione simpatica. Resta da stabilire se quest’ultima sia da attribuirsi ad un difetto della modulazione simpatica, ad un’ipoattività parasimpatica, o infine, ad un’interazione tra questi due fenomeni. Shioiri et al. (2004) hanno misurato il flusso e la pressione sanguigna e la frequenza cardiaca durante una stimolazione audiovisiva in soggetti con Disturbo di Panico e in 111 soggetti non ansiosi. Ne è risultato che vi è una differenza significativa tra i due gruppi che si manifesta in una ridotta variabilità sia della pressione arteriosa che della frequenza cardiaca (intervallo interbattito). Comunque studi successivi (Alvarenga, et al. 2006) hanno portato prove che ridimensionano l’influenza del sistema simpatico nel Disturbo di Panico. Infatti, gli studi precedenti si erano tutti concentrati sulla variabilità cardiovascolare, dando importanza, che questi autori considerano eccessiva, al nervo vago, responsabile della frequenza cardiaca. Nella ricerca di Alvarenga et. (2006), oltre alla variabilità cardiovascolare, è stato misurato il livello ematico di noradrenalina e adrenalina. I risultati parlano di un elevato livello di noradrenalina nei pazienti affetti da Disturbo di Panico, probabilmente dovuto anche ad un deficit nel meccanismo di reuptake di questa sostanza, che può essere in grado di provocare, amplificando il segnale sinaptico a livello cardiaco, due possibili effetti: uno è di sensibilizzare il cuore, inducendo lo sviluppo della sintomatologia DAP e, secondariamente, potrebbe contribuire ad eventuali eventi cardiaci negativi una volta che il Disturbo di Panico di è instaurato. Oltre alla frequenza cardiaca una componente fisiologica importante è rappresentata dalla respirazione. Wilhem et al. (2001) hanno dimostrato che i pazienti DAP presentano delle alterazioni del sistema respiratorio, tra cui una minor stabilità fisiologica, sempre rispetto ad un campione di soggetti non DAP in molti valori come: la frequenza respiratoria e la quantità di aria inspirata. Gli autori notano che questa instabilità respiratoria si manifesta specificatamente nei soggetti affetti da Disturbo di Panico e che quindi potrebbe essere un marker per differenziare il panico da altri disturbi d’ansia. A livello cognitivo è stato ipotizzato che alla base dei disturbi d’ansia vi siano degli errori, o comunque delle disfunzioni. Ad esempio alcuni hanno ipotizzato che vi sia un incremento della distraibilità per le informazioni irrilevanti nei pazienti affetti da Disturbo di Panico, Disturbo Ossessivo-Compulsivo, ipocondria. Per esempio van den Heuvel et al. (2005) comparando un gruppo di persone ansiose con diagnosi che comprendono Disturbo di Panico, Disturbo Ossessivo - Compulsivo, e ipocondria 112 osservandole tramite risonanza magnetica funzionale eseguita durante la presentazione sia di immagini ansiogene sia neutre, hanno sostanzialmente confermato l’ipotesi suddetta. Specificatamente per il Disturbo di Panico, questo studio ha evidenziato che i correlati neuroanatomici di questa distraibilità sono da ricercarsi nel sistema frontale-striatale e nel sistema libico (figure 6, 7a, 7b). Pauli et al. (2005) usando la metodologia dei potenziali evocati hanno scoperto che nei pazienti affetti da Disturbo di Panico, la presentazione di parole panico-correlate provoca la comparsa precoce di potenziali (circa 100-200 msec.) rispetto al gruppo di controllo in cui si registrano potenziali dopo circa 200-400 msec. Questo dimostra che nei pazienti DAP vi è una maggiore reattività per gli stimoli ansiogeni. Questo può essere considerato come un errore di elaborazione cognitiva molto efficiente, automatico e probabilmente non consapevole. Comunque questi sono solo i primi dati e ulteriori sono necessari prima di poter trarre delle conclusioni più precise. Disturbo Ossessivo - Compulsivo: correlati neurofisiologici Per quanto riguarda i correlati neurofisiologici del Disturbo Ossessivo – Compulsivo (DOC), negli ultimi anni sono stati effettuati molti ed interessanti studi sulle possibili strutture anatomiche coinvolte nel disturbo, sia attraverso i potenziali evocati che la risonanza magnetica funzionale (fMR) che la Tomografia ad emissione di fotone singolo, meglio conosciuto con l'acronimo SPECT (dall'inglese Single photon emission computed tomography )4. Papageorgiou e Rabavilas (2003) hanno studiato la componente P600 dei potenziali evocati. Questa onda, che è generata e/o modulata principalmente dal giro del cingolo anteriore e dai gangli della base, è considerata un indice dell’elaborazione dell’informazione di “secondo grado” avendo molto in comune con la memoria di 4 è una tecnica tomografica di imaging medico della medicina nucleare che adopera la radiazione ionizzante nota come raggi gamma. È molto simile all'imaging "planare" della medicina nucleare convenzionale per il fatto che adopera una gamma camera. Comunque, è in grado di fornire veri dati biotopologici in 3D. Questa informazione viene tipicamente presentata come sezioni assiali "a fetta" del paziente, ma la potente elaborazione delle immagini computerizzata può facilmente essere riformattata in sezioni sagittali o coronali oppure, a seconda delle necessità, essere manipolate con tecniche di sottrazione di alcune strutture e la ricostruzione perfettamente roteabile della struttura isolata da studiare. 113 lavoro. Ora, le disfunzioni di queste strutture cerebrali, così come deficit nella memoria di lavoro, è stato dimostrato che abbiano implicazione nella fisiopatologia del Disturbo Ossessivo - Compulsivo. Questo studio ha registrato la componente P600 durante la somministrazione di un compito sulla memoria di lavoro, sia in soggetti non ansiosi e soggetti ossessivo - compulsivi. I risultati sono che nella regione temporo - parietale vi è un’ampiezza più grande e una più duratura latenza nella regione parietale destra della componente P600 nei pazienti rispetto al controllo questi dati indicano che i pazienti presentano delle anomalie a carico dell’elaborazione delle informazioni di secondo livello. Alcuni studi neuropsicologici hanno mostrato una disfunzione cognitiva nei pazienti affetti da Disturbo Ossessivo-Compulsivo. Precisamente questa disfunzione si manifesta in un’abilità cognitiva ridotta (Cavedini et al. 1998) risultato di un basso livello dell’attività inibitoria della corteccia frontale (figure 7b e 9). Sanz et al. (2001) hanno ipotizzato che questo deficit potrebbe riflettersi in un’anomalia della componente P300. Infatti questi autori hanno provato che in pazienti affetti da Disturbo Ossessivo-Compulsivo vi è una riduzione dell’ampiezza di questa componente. Questo interferiva con lo svolgimento del compito richiesto facendo aumentare, rispetto al gruppo di controllo, i tempi per le risposte le quali diventavano più incerte. Dopo un trattamento a base di farmaci serotoninergici, sia la componente P300 sia le prestazioni cognitive sono aumentate. Questi risultati portano a concludere che l’indecisione a rispondere, tipica degli ossessivo-compulsivi, possa dipendere da un basso livello di serotonina nella regione frontale che si riflette in una bassa reattività della componente P300. Per quanto riguarda l’inibizione Roth et al. (2007), attraverso una risonanza magnetica funzionale, hanno dimostrato che nei soggetti non ansiosi mostrano, durante la risposta di inibizione comportamentale, un’attivazione che è pressoché totalmente lateralizzata nell’emisfero destro e include il giro frontale inferiore. In contrasto il gruppo dei pazienti ossessivo-compulsivi mostra un’attivazione più diffusa a livello bilaterale che include sia i giri frontali inferiori, destro e sinistro, sia una serie di altre strutture frontali e posteriori. Sempre durante la risposta di 114 inibizione i pazienti ossessivo-compulsivi mostrano una correlazione inversa tra i sintomi e attivazione nell’area orbito-temporale e giro del cingolo anteriore (figura 7b), e una correlazione positiva tra i sintomi a attivazione corticale talamica e posteriore. I risultati indicano che gli ossessivo-compulsivi presentano una sotto attivazione del circuito frontale-striato-talamo-corticale durante la risposta di inibizione. I dati suggeriscono anche che il talamo (tabella e figura 6) e i suoi circuiti possa giocare un ruolo nell’espressione e nell’intensità dei sintomi, mentre le regioni frontali inferiori potrebbero essere coinvolte nella soppressione dei sintomi. Kim et al. (2007) ricercando i correlati elettrofisiologici dell’inibizione comportamentale caratteristica di questo disturbo hanno trovato che durante l’esecuzione di un compito GO/NO-GO i pazienti manifestavano una riduzione dell’ampiezza delle componenti P300 E P200 nella regione frontale. Gli autori propongono che questa disfunzione nella regione frontale medi la risposta di inibizione nei soggetti affetti da Disturbo Ossessivo-Compulsivo. Inoltre la componente N200 si è rivelata una misura accurata dell’inibizione in questa tipologia di pazienti. Un coinvolgimento dell’ippocampo (figura 6 e 7b) è stato riscontrato Hashimoto et al. (2008). Registrando la componente P50, un’onda che risponde a stimoli uditivi e che si pensa sia generata dall’ippocampo (Tregellas, et al. 2007) si nota una riduzione dell’ampiezza in soggetti ossessivo-compulsivi nell’esecuzione di un compito. Quindi una riduzione di ampiezza della P50 rispecchierebbe una riduzione dell’attività dell’ipotalamo. Tuttavia le implicazioni di tutto ciò nel Disturbo OssessivoCompulsivo sono tutte ancora da chiarire. Gli studi sui potenziali evocati (EP) o sui potenziali correlati ad eventi (ERP) hanno messo in evidenza il ruolo della corteccia frontale, che aumentando la sua attivazione induce un’accelerazione dei processi attentivi e cognitivi. Nei pazienti ossessivocompulsivi è stato ipotizzato che via sia un’iperattivazione della corteccia frontale. Questa disfunzione potrebbe riflettersi nella componente P300, più specificatamente nelle sue sub-componenti P3a e P3b. Mavrogiorgou et al. (2002) hanno rilevato che 115 la sub-componente P3a non presenta differenze tra il gruppo dei pazienti e il gruppo di controllo, mentre i soggetti con Disturbo Ossessivo-Compulsivo presentano una più larga ampiezza e una più breve latenza della componente P3b limitatamente, però, all’emisfero destro. Questa componete, che è generata prevalentemente nella giunzione temporo-parietale, è associata all’attenzione e alle funzioni cognitive superiori, mentre la componente P3a è associata a reazioni di orientamento aspecifiche. Le anomalie trovate in questi pazienti nella P3b potrebbero essere un correlato elettrofisiologico di un’iperattenzione e di veloci processi cognitivi dovuti ad elevati arousal e funzione noradrenergica. Kivircik et al. (2002) hanno cercato le prove di anomalie dell’elaborazione cognitiva utilizzando sia prove neuropsicologiche, sia registrando potenziali corretti ad eventi. Nello specifico, per quanto riguarda i ERPs è stata studiata la componente P300. I risultati sono stati che il gruppo dei pazienti mostrava una minor durata dei potenziali della P300, che potrebbero indicare o un accelerazione dei processi relati al questa componente, o un’accelerazione dei processi cogniti, o una disfunzione dei circuiti cortico-sottocorticali o, infine, una combinazione tra tutti questi. Il ruolo della corteccia frontale è stato sottolineato da uno studio di Lacerda et al. (2003) che utilizzando una tomografia ad emissione di singoli fotoni (SPECT) hanno registrato il flusso sanguigno in questa regione sia in ossessivo-compulsivi sia in soggetto non affetti da questa patologia. Sono risultate essere quattro le regioni cerebrali che presentano un incremento significativo del flusso sanguigno cerebrale in caso di Disturbo Ossessivo-Compulsivo la corteccia frontale superiore ed inferiore destra e il talamo destro e sinistro. Inoltre è emersa una correlazione positiva tra la gravità dei sintomi (misurata attraverso i punteggi del Clinical Global Impression) e il flusso sanguigno cerebrale nei lobi frontali e nei gangli della base destri. I comportamenti compulsivi sono correlati inversamente correlati al flusso sanguigno nel talamo destro. Anche se la fisiopatologia del Disturbo Ossessivo-Compulsivo rimane controversa, un dato che sembra acquisito è la forte implicazione del circuito corteccia frontalestrutture sottocorticali. 116 Comunque queste regioni non sono state studiate attraverso risonanza magnetica fino al lavoro di Kang et al. (2004). Questi autori erano interessati alle dimensioni volumetriche delle aree coinvolte nel Disturbo Ossessivo-Compulsivo. Ne è risultato un volume ridotto dell’area orbito-frontale sinistra in questi pazienti. Inoltre la grandezza della corteccia orbito-frontale è stata correlata negativamente alla gravità della sintomatologia. Quindi questi risultati indicano che un’anomalia strutturale di queste regioni è implicata nella fisiopatologia del disturbo d’ansia ossessivocompulsivo. Alterazioni strutturali sono state trovate anche da Pujol et al. (2004), in particolare sono emerse una riduzione del volume della sostanza grigia nella parte mediale del giro frontale, la corteccia orbito-frontale mediale e la regione insulare sinistra. Mentre un relativo incremento del volume della materia grigia è stato osservato nella parte più ventrale del putamen e nella parte anteriore del cerebellum (tabella e figura 6). Questi autori tuttavia non hanno trovato correlazione tra queste alterazioni e la gravità, natura dei sintomi e comorbilità. Comunque pazienti con una notevole gravità dei sintomi mostrano anche un volume ridotto dell’amigdala nell’emisfero destro. La corteccia orbito-frontale è una regione cerebrale che facilita la flessibilità dopo feedback negativi. Per questo ha assunto un ruolo centrale nei modelli che tentano di spiegare le basi neurobiologiche del Disturbo Ossessivo-Compulsivo. Questi modelli postulano che vi sia una disfunzione, un malfunzionamento della corteccia orbitofrontale che impedirebbe al soggetto di modulare le reazione cognitive e comportamentali in risposta a eventi negativi. In questo filone si colloca anche lo studio di Chamberlain et al. (2008) da cui risulta un’anomala riduzione dell’attivazione della corteccia orbito-frontale in pazienti ossessivo-compulsivi, durante un compito che implicava la presentazione di una stimolazione a valenza negativa. Se nei soggetti affetti da Disturbo Ossessivo-Compulsivo si nota un’anomala riduzione dell’attivazione della corteccia orbito-frontale, nella corteccia frontale mediale si nota un anomalo incremento dell’attivazione. La corteccia frontale mediale 117 comprende il cingolato dorsale anteriore l’area motoria supplementare ed è una zona critica per il controllo dell’inibizione comportamentale. Prove di questo aumento di attivazione sono venute dal lavoro di Yucel et al. (2007) i quale i registrano appunto un aumento dell’arousal e postulano che sia una risposta compensatoria ad un'altra disfunzione che coinvolge la capacità, in questi soggetti, di inibire pensieri e comportamenti sgradevoli. Il Disturbo Ossessivo-Compulsivo è un disturbo molto vario e presenta alcuni sottotipi. È possibile che le differenze che specificano questi sottotipi siano rappresentate anche a livello neurofisiologico e neuroanatomico. Mataix-Cols et al. (2004) hanno verificato questa ipotesi utilizzando la risonanza magnetica funzionale. Ne è risultato che i soggetti del sottotipo washing mostrano una maggiore attivazione, rispetto al controllo, in maniera predominante nella regione prefrontale ventromediale bilateralmente. Sono anche interessate il giro temporo-mediale sinistro, il giro del cingolo destro, il giro frontale-mediale sinistro, il nucleo caudato destro e la parte dorsale del giro del cingolo anteriore sinistro. Nel sottotipo checking i pazienti mostrano una maggior attivazione in regioni per le funzioni motorie e attentive, una varia regione sottocorticale che comprende vari nuclei del tronco dell’encefalo, e putamen/globus pallidus destro, il talamo destro e alcune regioni corticali dorsolaterali (frontale inferiore, cingolato anteriore dorsale, frontale mediale/superiore e il giro precentrale). Nel sottotipo hoarding i pazienti mostrano, sempre rispetto al controllo, un incremento dell’attivazione nella corteccia frontale precentrale e superiore e nel giro orbito-frontale destro. Studi sull’attività magnetoencefalografica spontanea hanno indagato sia l’attività veloce (con un range di circa 12-30 Hz), sia l’attività lenta (circa 2-6 Hz). Sono emerse delle differenze tra il gruppo composto da individui affetti da Disturbo Ossessivo-Compulsivo e il gruppo di controllo, per quanto riguarda l’attività veloce, mentre per l’attività lenta non sono emerse differenze significative. L’attività veloce degli ossessivo-compulsivi si differenzia soprattutto nel giro temporale superiore sinistro. Questi dati portano a pensare che le alterazioni dell’attività spontanea nella 118 corteccia prefrontale e temporale possano essere coinvolte nella patogenesi del Disturbo Ossessivo-Compulsivo (Maihofner et al., 2007). Se il coinvolgimento nella fisiopatologia del Disturbo Ossessivo-Compulsivo delle anomalie a carico delle cortecce orbitofrontale e prefrontale e del nucleo caudato è pressoché accettato dalla comunità scientifica, dissenso c’è ancora sul coinvolgimento di anomalie dell’ippocampo. A tal proposito Hong et al. (2007) hanno analizzato la struttura dell’ippocampo rilevandone anomalie strutturali bilaterali, in soggetti che presentavano Disturbo Ossessivo-Compulsivo. L’analisi della struttura dà informazioni più dettagliate,anche se necessita di ulteriori raffinazioni, rispetto alla semplice misurazione volumetrica. Questi dati sembrerebbero confermare l’ipotesi di un coinvolgimento dell’ippocampo nel Disturbo Ossessivo-Compulsivo, anche se sono necessarie ulteriori ricerche per stabilire le modalità di questo coinvolgimento. Un’altra struttura sottocorticale coinvolta nella fisiopatologia del Disturbo OssessivoCompulsivo è l’amigdala (figure 6, 7a e 7b). van den Heuvel et al. (2004) hanno approntato un esperimento in cui soggetti con diagnosi di Disturbo OssessivoCompulsivo del sottotipo washing, e soggetti non ansiosi vengono esposti a visualizzazioni di immagini riferite a contaminazioni e sottoposti a tomografia ad emissioni di positroni (PET). I risultati dicono che in entrambi i gruppi alla presentazione delle immagini aumentava l’attività della corteccia occipitale bilateralmente. Nel gruppo degli ossessivo-compulsivi, si nota un incremento dell’attività nella parte sinistra dell’amigdala e una sensibilizzazione della parte destra sempre dell’amigdala. Disturbo d’Ansia Generalizzato: correlati neurofisiologici Tra le ipotesi sull’eziologia del Disturbo d’Ansia Generalizzato ve ne sono alcune, molto accreditate, che teorizzano un coinvolgimento del sistema sensitivo esterocettivo. L’elaborazione dei segnali corticali così come è stata misurata 119 attraverso i potenziali evocati uditivi, potrebbe riflettere l’integrità del sistema sensoriale esterocettivo. Questo perché un aspetto peculiare dei potenziali evocati uditivi è la dipendenza della componente N1/P2 al suono, inoltre questa dipendenza potrebbe essere legata all’attività serotoninergica centrale. Quindi questa dipendenza può essere sfruttata per indagare le disfunzioni serotoninergiche nel Disturbo d’Ansia Generalizzato. Partendo da queste premesse e misurando la componente N1/P2 dei potenziali evocati uditi Senkowski et al. (2003) trovano che effettivamente un’alterazione del sistema sensitivo esterocettivo avviene al livello però, della corteccia uditiva primaria ma non a livello della corteccia uditiva secondaria questo perché un basso livello di dipendenza alle sonorità è correlata ad un intensa frequenza di scarica dei neuroni presenti nel nucleo del rafe dorsale il che rappresenterebbe una prova di un aumento dell’attività serotoninergica nel Disturbo d’Ansia Generalizzato. Riassumendo il lavoro di Jetty et al. (2001) possiamo dire che i correlati neurobiologici del Disturbo d’Ansia Generalizzato sono: anomalie delle funzioni setononinergiche e GABA ergiche, incremento dell’attività corticale e decremento dell’attività dei gangli della base che tuttavia può risolversi con un trattamento adeguato. L’indefinitezza dei dati emersi e la loro non sistematicità non permettono di formulare al momento una teoria esaustiva per questo disturbo. Questo è dovuto ance al fatto che il Disturbo d’Ansia Generalizzato è di formulazione relativamente recente. La precarietà dei dati si dimostra anche in un fenomeno che per ora non riusciamo a spiegarci. Noi sappiamo che dietro ad uno stato d’ansia vi è un iperattivazione della branca simpatica del sistema nervoso autonomo e che il Disturbo d’Ansia Generalizzato spesso assume forme croniche, in altre parole le persone affette da questo disturbo soffrono di uno stato d’ansia aspecifico per la maggior parte del tempo. Ora, uno dei marker più attendibili dell’attivazione simpatica è l’aumento della tensione muscolare ma non in tutti i soggetti con questa diagnosi vi verifica un aumento del tono muscolare. Pleuss et al. (2008) si limitano ad ipotizzare che la tensione muscolare sia nella sua forma soggettiva che oggettiva possa avere un 120 ruolo nel Disturbo d’Ansia Generalizzato ma per capire come e quanto sono necessarie indagini più approfondite. Addirittura Conrad, Isaac, e Roth (2008) avanzano l’ipotesi che la tensione muscolare non sia nemmeno un marker per il Disturbo d’Ansia Generalizzato. Fobie: correlati neurofisiologici Per quanto riguarda la neurofisiologia dei disturbi fobici, i dati a nostra disposizione attribuiscono grande importanza all’amigdala. Cooney, et al. (2006) hanno indagato, attraverso una risonanza magnetica funzionale, l’attivazione dell’amigdala sia in soggetti affetti da Fobia Sociale sia in soggetti non ansiosi durante la presentazione di immagini facciali neutre, cioè non ansiogene o che comunque non elicitavano la risposta ansiosa. L’uso di immagini come le facce è dovuto all’ipotesi da più parti formulata che il meccanismo scatenante la reazione ansiosa dei soggetti con fobia sociale sia da ricondursi ad un errore di elaborazione delle espressioni facciali che veicolano la disapprovazione la rabbia e il disappunto. Questi autori hanno trovato che vi erano dei differenti pattern di attivazione nell’amigdala nei due gruppi. Il gruppo sperimentale presentava un iperattivazione dell’amigdala destra. I dati sembrerebbero confermare, quindi, l’ipotesi di un errore di elaborazione dello stimolo. Sempre riguardo alla Fobia Sociale e usando una metodologia simile Lira Yoon et al. (2007) hanno rilevato una incremento abnorme dell’attivazione dell’amigdala in maniera bilaterale nei soggetti fobici, alla presentazione di immagini di facce che esprimevano varie gradazioni di intensità emotiva. Luan Phan et al (2006) erano interessati a determinare se ci fosse una relazione quantitativa tra grado di attivazione dell’amigdala e gravità della sintomatologia. Attraverso la risonanza magnetica funzionale questi autori hanno trovato che nei soggetti fobici l’attivazione in risposta ad stimolazioni (immagini facciali anche in questo caso) disgustate, irose e spaventate era maggiore rispetto al gruppo di 121 controllo. Inoltre questa attivazione era correlata positivamente con la gravità dei sintomi dell’ansia sociale, ma non con la condizione generale o coi livelli di ansia di tratto. Quindi possiamo concludere che questo tipo di attivazione è specificatamente correlata a questo tipo di disturbo e in quanto tale potrebbe rappresentare un efficace marker funzionale della gravità della malattia. La Fobia Sociale potrebbe avere come possibile substrato un errore nell’elaborazione delle facce e delle situazioni sociali. Gentili et al. (2008) hanno indagato, attraverso risonanza magnetica funzionale, come questo processo di elaborazione viene alterato. I risultati indicano che i soggetti fobici mostrano un incremento non solo nelle regioni cerebrali coinvolte nei processi emotivi come l’amigdala sinistra e l’insula, ma anche nel solco temporale superiore bilateralmente che rappresenta la parte del sistema cerebrale di riconoscimento delle facce che è coinvolto nella valutazione delle espressioni e dei tratti personali. In aggiunta i soggetti fobici mostrano in maniera significativa una debole attivazione nel giro fusiforme sinistro, nella corteccia prefrontale dorso-laterale sinistra e nel solco intra-parietale bilaterale. Questi effetti si verificano non solo durante la presentazione di facce emotivamente connotate ma anche durante la presentazione di facce neutre. In sostanza i soggetti fobici mostrano un aumento dell’attività in quelle aree cerebrali coinvolte nell’elaborazione dell’informazione in merito all’espressione emotiva e dei tratti individuali, mentre mostrano una diminuzione dell’attività in quelle aree associate ai processi attentivi e all’elaborazione di altre informazioni. Kolassa e Miltner (2006) hanno registrato i correlati elettrofisiologici dell’elaborazione di facce connotate emotivamente in soggetti affetti da Fobia Sociale durante la presentazione di immagini rappresentanti facce umane anche in questo caso. Ne è risultato che tra i soggetti fobici e il gruppo di controllo non sono emerse differenze rispetto a tempi di reazione, frequenza cardiaca, ampiezza delle componenti P1 e P2. Mentre un aumento dell’ampiezza è stato registrato nella componente P170 a livello temporo-parietale destro durante la presentazione di facce con espressioni di rabbia. In questa regione avvengono le elaborazioni visive primarie e il fatto che i fobici sociali mostrino un aumento dell’attivazione in questa zona 122 durante la visione di facce che esprimono rabbia, conferma il ruolo delle disfunzioni nell’elaborazione delle facce che esprimono rabbia e disapprovazione nell’eziologia di questo disturbo. Miltner et al. (2005) in uno studio svolto con la metodologia dei potenziali evocati correlati ad eventi hanno rilevato che nei soggetti affetti da fobie specifiche per ragni e serpenti, durante l’esposizione a stimoli fobia-correlati, si verificava un aumento significativo delle componenti tardive, ovvero la P300 e il complesso positivo tardivo (LPC), a non delle componenti precoci (N1, P2, N2). Questo aumento risultava massimale nelle aree cerebrali centro-parietali e occipitali. Il fatto che l’aumento dell’ampiezza delle componenti tardive si verifichi solo nei soggetti fobici rappresenta un forte indizio che questa ampiezza rappresenti il correlato neurale del significato emozionale dello stimolo. Goossens et al. (2007) hanno sottoposto dei soggetti affetti da fobia per i ragni a risonanza magnetica funzionale durante una presentazione di immagini di ragni. Contrariamente al gruppo di controllo i soggetti con fobia per i ragni presentavano un significativo incremento dell’attivazione nell’amigdala e nel nucleo pulvinar del talamo. Un incremento dell’attivazione si nota bilateralmente nella corteccia cingolata anteriore, nell’area motoria supplementare e nella corteccia insulare sinistra. Questi risultati confermano il coinvolgimento dell’amigdala nell’elaborazione degli stimoli fobici come già emerso dagli studi precedenti. Inoltre i dati sul talamo indicano il coinvolgimento di una via extragenicolostriata nel processo della paura fobica. Il ruolo rilevante dell’amigdala nel disturbo fobico è pressoché accettato, come d’altronde in altri disturbi ansiosi, tuttavia Wrigth et al. (2003) hanno dimostrato che non in tutte le fobie l’amigdala ha questo ruolo da protagonista. Infatti, nel loro studio coinvolgevano dei soggetti con una Fobia Specifica per piccoli animali e hanno rilevato una modesta attivazione dell’amigdala contro una iperresponsività dell’insula. Comunque anche questi autori non hanno saputo dare una spiegazione esaustiva del fenomeno. Un aiuto in questo senso ci proviene da una recente ricerca di Wendt et al. (2008) che aveva lo scopo di esplorare la risposta difensiva di 123 mobilitazione in soggetti con Fobia Specifica per i ragni durante un’esposizione visiva a stimoli fobici. La risonanza magnetica funzionale, anche in questo caso, è stata la metodologia scelta per misurare l’attivazione cerebrale. Ne è risultata un’attivazione sia dell’amigdala sia dell’insula. Però ci sono delle specificità; infatti, l’attivazione dell’amigdala risponde anche alla paura non fobica mentre l’attivazione insulare sembra più direttamente coinvolta durate la presentazione dello stimolo fobico. Questo si può spiegare col fatto che probabilmente l’amigdala è più coinvolta nell’elaborazione dello stimolo e agisce sulla motivazione, mentre l’insula è più strettamente associata con la risposta di mobilitazione difensiva. Sempre riguardo alla Fobia Specifica dei ragni, Schienle et al (2005) hanno indagato, attraverso risonanza magnetica funzionale, le reazioni di paura e di disgusto durante la presentazione di varie tipologie di immagini (fobia-correlate, genericamente ansiogene, disgustose e neutre). Il gruppo dei fobici ha mostrato una più grande, rispetto al gruppo di controllo, attivazione corteccia associativa visiva, dell’amigdala, della corteccia prefrontale dorso-laterale destra e dell’ippocampo destro. Una specifica attivazione correlata alla fobia interviene nell’area motoria supplementare. Inoltre un’attivazione elevata dell’amigdala sia ha anche con la presentazione di immagini disgustose e genericamente ansiogene. Questo induce a pensare ad un’elevata sensibilità dei fobici nei confronti degli stimoli repulsivi e pericolosi oltre che confermare ancora una volta l’importanza dell’amigdala nei disturbi d’ansia. Anche Larson et al. (2006) hanno sottolineato l’importanza dell’attivazione dell’amigdala nella fisiopatologia del disturbo fobico. Infatti attraverso la tecnica della risonanza magnetica funzionale hanno rilevato che nei soggetti fobici alla presentazione di un stimolo ansiogeno l’attivazione dell’amigdala è più rapida, più forte ma anche meno duratura. Un interessante lavoro di Strauebe et al. (2005) riguarda l’attivazione cerebrale durante l’elaborazione dello stimolo fobico in soggetti che presentino fobia specifiche. Presentando serie di stimoli fobici e neutri, rappresentati da figure geometriche, con la richiesta di identificare lo stimolo, questi autori hanno rilevato registrando mediante risonanza magnetica funzionale che nei soggetti fobici vi è una 124 grande attivazione nelle parti sinistre dell’amigdala, insula, e giro del cingolo e della corteccia prefrontale dorsomediale durante la presentazione degli stimoli del primo compito, e un aumento dell’attivazione nella amigdala destra e sinistra nel secondo. Tutti questi incrementi sono risultati statisticamente significativi rispetto al gruppo di controllo costituito da soggetti non fobici nei quali non si evidenziavano incrementi di attivazione in nessuna delle due condizioni. Da questi risultati l’amigdala, specialmente la parte destra, appare essere coinvolta in maniera cruciale nell’elaborazione, tramite il cosiddetto “pensiero automatico” dello stimolo. Un altro sottotipo di fobie specifiche studiato è quello del tipo sangue-iniezioni-ferite. Hermann et al. (2007) hanno esaminato l’effetto che l’induzione di questo tipo di stimolazione ha sull’attivazione neurale in questo tipo di fobia. I risultati parlano di una diminuzione dell’attività nella corteccia prefrontale mediale. Questa regione risulta in effetti giovare un ruolo cruciale nella regolazione cognitiva automatica delle emozioni per cui i risultati ottenuti, per quanto preliminari, potrebbero riflettere un ridotto controllo cognitivo delle emozioni in questa tipologia di fobie durante l’esperienza della situazione ansioso – fobica e potrebbe, in questo tipo di soggetti, riflettere un’elevata sensibilità al disgusto. 125 126 QUADRI CLINICI E UTILITA’ DIAGNOSTICA DEL PROFILO PSICOFISIOLOGICO In psicofisiologia clinica, diversi studi hanno dimostrato la possibilità di individuare i correlati fisiologici in alcune sindromi psicopatologiche.Tra questi, Stegagno & Palomba (1991) hanno confermato la presenza di particolari quadri psicofisiologici in relazione con la presenza di ansia e depressione già precedentemente descritti dalle ricerche di Lader (1975, 1983): mentre la sindrome ansiosa si caratterizza per livelli elevati di frequenza cardiaca, tono muscolare, attività elettrodermica (livello e risposta) e decremento della temperatura periferica, quella depressiva si distingue per livelli elevati di frequenza cardiaca, tono muscolare e bassi di attività elettrodermica (livello e risposta). Bassi livelli di conduttanza cutanea nei pazienti depressi rispetto ad un gruppo di controllo, durante la registrazione a riposo, sono stati osservati anche in altre ricerche (Ward & Doerr, 1986; Thorell, Kjellman & d’Elia, 1987; Argyle, 1991; Gehricke & Shapiro, 2001, Pruneti, Rota & Rossi, 2000) e la scarsa reattività dello stesso parametro nel soggetto depresso è stata verificata anche mediante tecniche di esposizione immaginativa guidata (Gehricke & Shapiro, 2001). Nel paziente con disturbo da attacchi di panico, Hoehn, McLeod & Zimmerli (1991) hanno individuato un quadro di iperattivazione in parte sovrapponibile a quello individuato da Lader (1975, 1983) nel soggetto ansioso caratterizzato da: elevato livello di attività elettromiografica frontale, pressione arteriosa sistolica e frequenza cardiaca associate ad un livello di base e un‘ attività elettrodermica spontanea minori rispetto al soggetto sano. Più recentemente, Wilhem, Trabert & Roth (2001) hanno verificato che i pazienti con disturbo da attacchi di panico presentano un’attività neurovegetativa a riposo distinguibile da quella dei pazienti con disturbo d’ansia generalizzata e quella di un gruppo di controllo sulla base dei soli parametri respiratori. Tuttavia, vi sono alcuni contributi scientifici che hanno riscontrato nel paziente con disturbo da attacchi di panico un tipico ed elevato livello di conduttanza cutanea a riposo (Roth et al., 1986; Roth, Ehlers, Taylor, Margraf, & Agras, 1990; Braune, Albus, Frohler, 127 Hohn & Scheibe, 1994; Hoehn, Braune, Scheibe, & Albus, 1997; Dractu e Bond, 1998; Parente, Garcia-Leal, Del-Ben, Guimarães, & Graeff, 2005). Inoltre, sempre sulla base della conduttanza cutanea, Roth et al. (1986) e Roth, Ehlers, Taylor, Margraf, & Agras (1990) hanno dimostrato la bassa abituazione a stimoli neutri e Roth, Wilhem, & Trabert (1998) la scarsa capacità di rilassamento del soggetto con disturbo da attacchi di panico. Ancora, nei pazienti con disturbo ossessivocompulsivo è stato osservato un pattern di ridotta attività neurovegetativa rappresentato da modificazioni tipiche nella conduttanza cutanea, frequenza cardiaca e attività elettromiografica (Lelliott et al., 1987; Hohen, McLeod, & Hipsley, 1995; Zahn, Leonard, Swedo & Rapaport, 1996). conduttanza cutanea µS 25 20 15 10 5 0 tensione muscolare 6 µV 4 2 A D A D GS 3,8 6,5 GS 3,9 3,8 GC 13 3 GC 4,4 4,1 frequenza cardiaca 100 80 60 bpm 40 20 0 temperatura cutanea periferica 34 32 °C 30 A D GS 67 69 GC 80 83 28 A D GS 31 33,3 GC 32,8 31,2 figura 43 – Pruneti, C., Rota, S. & Rossi, S. (2000). Profilo psicofisiologico di pazienti con prevalenti sintomi ansiosi e depressivi con e senza trattamento farmacologico. Psicoterapia Cognitiva e Comportamentale, 6 (3), 255-265. 128 In un lavoro volto a valutare l’efficacia di alcuni trattamenti farmacologici sullo stato di attivazione neurovegetativa, Pruneti e coll. (2000) hanno osservato che i pazienti non trattati, appartenenti quindi al gruppo di controllo (GC), si differenziavano a seconda dei valori basali di conduttanza cutanea e di temperatura cutanea periferica evidenziando così due sindromi psicopatologiche ben distinguibili: soggetti con prevalenti sintomi ansiosi, caratterizzati da valori più elevati di conduttanza cutanea e soggetti con prevalenti sintomi depressivi distinguibili per valori bassi di conduttanza cutanea e di temperatura periferica (figura 43). In un lavoro di Pruneti, Fontana & Bicchieri (2006) il profilo psicofisiologico è stato impiegato per valutare lo stato e la risposta di attivazione neurovegetativa in 4 gruppi psicopatologici diagnosticati secondo i criteri del DSM-IV (APA, American Psychiatric Association, 1995): disturbo d’ansia generalizzata (DAG), episodio depressivo maggiore di grado moderato (DM), disturbo da attacchi di panico (DAP) e disturbo ossessivo-compulsivo (DOC), sono stati esclusi i pazienti con concomitanti sindromi organiche e con comorbilità con altre sindromi di asse I e II del DSM-IV. conduttanza cutanea 20 15 µS 10 5 0 “riposo” “stress” “recupero” DAG 8,04 16,18 10,84 DM 1,83 2,9 2,89 DAP 10,97 19,83 15,25 DOC 2,58 4,09 4,44 figura 44 – Pruneti, C., Fontana, F., & Bicchieri, L. (2006). Conduttanza cutanea come indice nella diagnosi differenziale in psicopatologia. Psicoterapia Cognitiva e Comportamentale. 12 (1), 51-65. 129 Tutti i soggetti, nel periodo in cui è stata effettuata la registrazione, non erano sottoposti a trattamento farmacologico da almeno 3 mesi. I risultati sono rappresentati graficamente nella figura 44. Sulla base del valore di conduttanza cutanea registrato a riposo e della risposta dello stesso parametro allo stress mentale, sono risultate significative le differenze tra due raggruppamenti: pazienti con disturbo d’ansia generalizzata (DAG) e da attacchi di panico (DAP), da una parte, e pazienti con disturbo dell’umore di tipo episodio depressivo maggiore di grado moderato (DM) e ossessivo compulsivo (DOC) dall’altra. I primi si distinguono dunque dai secondi per un maggiore livello generale di attivazione neurovegetativa. Nella figura 45 è possibile osservare il tracciato medio del parametro conduttanza cutanea di ogni gruppo psicopatologico. DAG DM DAP DOC recupero recupero recupero recupero stress stress stress stress riposo riposo riposo riposo riposo riposo 22 20 18 16 14 12 uS 10 8 6 4 2 0 figura 45 – Pruneti, C., Fontana, F., & Bicchieri, L. (2006). Conduttanza cutanea come indice nella diagnosi differenziale in psicopatologia. Psicoterapia Cognitiva e Comportamentale. 12 (1), 51-65. Mentre i pazienti con disturbo d’ansia generalizzata (DAG) e da attacchi di panico (DAP) si caratterizzano per valori elevati a riposo, reattività spiccata e scarso o assente recupero, i pazienti con disturbo dell’umore di tipo episodio depressivo 130 maggiore di grado moderato (DM) e ossessivo compulsivo (DOC) si distinguono per valori bassi a riposo e scarsa reattività. I risultati hanno quindi verificato quanto già osservato nel lavoro precedente (Pruneti e coll.,2000) andando ulteriormente a confermare alcuni risultati già presenti in letteratura: come una condizione di iperattivazione neurovegetativa nella sindrome ansiosa (Lader, 1975, 1983; Stegagno e Palomba, 1994) ed uno stato di ipoattivazione in quella depressiva (Lader, 1975, 1983; Ward & Doerr, 1986; Thorell, Kjellman & d’Elia, 1987; Argyle, 1991; Stegagno & Palomba, 1994; Gehricke & Shapiro, 2001). Gli stessi risultati sono risultati coerenti anche con i pattern di attivazione neurovegetativa già descritti, in letteratura, sempre riguardo alla risposta di conduttanza dei pazienti con disturbo da attacchi di panico (Roth et al., 1986; Roth, Ehlers, Taylor, Margraf, & Agras, 1990; Braune, Albus, Frohler, Hohn & Scheibe, 1994; Hoehn, Braune, Scheibe, & Albus, 1997; Dractu e Bond, 1998; Wilhem, Trabert & Roth, 2001; Parente, Garcia-Leal, Del-Ben, Guimarães, & Graeff, 2005) e disturbo ossessivo-compulsivo (Zahn, Leonard, Swedo, & Rapaport, 1985, Lelliott et al., 1987; Hohen, McLeod, & Hipsley, 1995; Zahn, Leonard, Swedo & Rapaport, 1996). L’attività elettrodermica, nel corso della registrazione dei pazienti con disturbo d’ansia generalizzata, da attacchi di panico e dell’umore di tipo episodio depressivo maggiore di grado moderato sembra dunque confermare la teoria del “behavioural inhibition system” (BIS) e “behavioural activation system” (BAS) di Gray (1978) e Fowles (1980,1988). Questi due sistemi secondo gli autori mediano il rinforzo comportamentale, ovvero, stabiliscono delle relazioni tra il comportamento e le sue conseguenze. Il BIS è sensibile alla punizione, all’assenza di ricompensa che genera frustrazione, una iperattivazione di questo sistema è collegato a disturbi ansiosi ed emotivi. Il substrato anatomico del BIS sono i sistemi ippocampali. Il BAS, invece, è sensibile alla ricompensa e alla non-punizione, una sua sovrareattività si associa a disturbi della condotta e dell’attenzione. I substrati neuroanatomici sono le regioni cortico-mesolimbiche che ricevono afferente delle vie catecolaminergiche, soprattutto dopaminergiche. L’elevato livello di base, la risposta spiccata e il recupero 131 incompleto della conduttanza cutanea rifletterebbero perciò l’attivazione del BIS da parte dei segnali di pericolo o di minaccia personale interni e/o esterni. A questo proposito, Roth, Wilhem, & Trabert (1998) suggeriscono che la scarsa capacità di rilassarsi del paziente con disturbo da attacchi di panico, indicata dalla eccessiva fluttuazione spontanea e dalla mancata abituazione della conduttanza cutanea, sia dovuta alla continua attenzione rivolta alle sensazioni corporee come parte delle tecniche rivolte al controllo della tensione. Analogamente, l’andamento della conduttanza cutanea nel paziente con disturbo d’ansia generalizzata rifletterebbe l’attivazione del BIS da parte di stimoli interni come l’eccessiva preoccupazione, anche a riposo, e la paura di incorrere negli errori durante il compito mentale. Al contrario, nel paziente con disturbo dell’umore tipo episodio depressivo maggiore di grado moderato, la ridotta attivazione del BIS, indicata dal basso livello di base e la debole risposta risposta della conduttanza cutanea, sembrerebbe il correlato psicofisiologico della condizione di impotenza appresa (Learned Helplessness di Seligman, Abramson, Semel &Von Beyer, 1979),ovvero l’estinzione del comportamento di ricerca degli stimoli discriminativi associati a punizioni, o alla sospensione dei rinforzatori e del comportamento di evitamento. Sempre gli stessi autori, in uno studio più recente hanno eseguito una valutazione dello stato e della risposta di attivazione neurovegetativa di 89 pazienti, afferenti ad un servizio di Psicologia Clinica, tramite l’effettuazione del profilo psicofisiologico (PPF). Il campione, 44 maschi e 45 femmine, di età compresa tra i 27 ed i 51 anni (età media = 38,4 ± 9,7) è stato suddiviso nei seguenti 5 gruppi, corrispondenti a 5 diverse condizioni psicopatologiche valutate secondo i criteri del DSM-IV 1: disturbo d’ansia generalizzata (DAG, n=35), episodio depressivo maggiore di grado moderato (DM, n=13), disturbo da attacchi di panico (DAP) (n=19), disturbo ossessivo-compulsivo (DOC, n=13) e anoressia nervosa (AN, n=9). Tutti i soggetti, al momento della rilevazione psicofisiologica, non erano sottoposti a trattamento farmacologico da almeno 3 mesi (Pruneti e coll. 2008). 132 Sono stati esclusi i soggetti con concomitanti sindromi organiche e/o comorbilità con altri disturbi di asse I del DSM-IV. Nello stesso luogo è stato eseguito il PPF a 34 studenti di psicologia, 26 femmine e 8 maschi, con età compresa tra 21 e 34 anni (età media = 23.47 3.22) Il PPF è stato articolato nelle seguenti 4 fasi: “adattamento” (5 minuti); “riposo” (6 minuti); “stress” (4 minuti); “recupero” (6 minuti). Nel corso del PPF sono stati registrati i seguenti parametri fisiologici: elettromiogramma del muscolo frontale (EMG), il cui potenziale elettrico è stato rilevato mediante due elettrodi attivi, posizionati circa 1 cm sopra le sopracciglia in allineamento con le pupille, ed uno di riferimento, al centro della fronte (distanza tra i due poli attivi di circa 2,5 cm). frequenza cardiaca (HR), rilevando il potenziale elettrico del muscolo cardiaco con derivazione bipolare classica per elettrocardiogramma e calcolando il tempo intercorrente tra un’onda R (contrazione ventricolare) e l’altra, per mezzo di elettrodi piazzati nell’area precordiale. temperatura periferica (THE), applicando un termistore alla base dell’eminenza tènar della mano dominante. conduttanza cutanea (GSR), facendo passare un corrente elettrica di bassissima intensità tra due elettrodi posizionati sull’ultima falange delle dita della mano dominante (in questo caso indice e medio). I segnali dei parametri EMG e FC sono stati rilevati con elettrodi di superficie monouso. Per il segnale GSR sono stati impiegati elettrodi dorati riutilizzabili, per il parametro TP è stato applicato un termistore di precisione. I segnali sono stati monitorati e memorizzati tramite il software apposito. Dei 4 parametri considerati è stato calcolato il valore medio nei seguenti momenti: ultimo minuto della fase “riposo”, dopo l’assestamento dei valori, come misura del livello di attivazione di base; 133 primo minuto della fase “stress”, come misura dello stato di attivazione durante lo svolgimento del compito mentale, al fine di escludere l’interferenza di fenomeni di abituazione, che potrebbero portare ad una sottostima dell’ampiezza dell’attivazione; ultimo minuto della fase “recupero”, come misura del livello di attivazione al termine della procedura, al fine di verificare l’entità del recupero stesso dopo un lasso di tempo ragionevolmente sufficiente per rientrare entro i valori di base. Verificata la distribuzione non normale dei dati con il test di Shapiro-Wilks, sono state impiegate procedure di analisi statistica di tipo non parametrico. È stato quindi eseguito un confronto tra i gruppi di soggetti sul valore medio di ciascun parametro calcolato nei tre momenti considerati per ogni fase del PPF. A questo scopo è stato impiegato il test statistico non parametrico di Mann-Withney, per verificare la significatività nel confronto “a coppie” tra i gruppi. Nelle figure 46a e 46b sono rappresentati graficamente i risultati. Nel confronto tra i gruppi sui valori del parametro EMG, in condizioni di riposo e di stress indotto, sono risultate significative le differenze tra i soggetti sani e quelli affetti da un disturbo in asse I del DSM-IV. Tra i gruppi psicopatologici non sono invece emerse differenze significative. I pazienti DAG, DAP, DOC, DM e AN presentano dunque un livello di base e una risposta di tensione muscolare superiore a rispetto ai soggetti sani. Nel confronto tra i gruppi sui valori del parametro GSR, in condizioni di riposo, di stress indotto e di recupero, sono risultate significative le differenze tra i soggetti sani, da una parte, e i pazienti DAG e DAP, dall’altra. Inoltre, sempre sulla base del valore del parametro GSR , registrato nelle tre fasi, sono risultate significative le differenze tra i soggetti sani, da una parte, e pazienti DOC, DM e AN, dall’altra. Mentre quindi i pazienti DAG e DAP si caratterizzano per un livello di GSR a riposo, sotto stress e durante il recupero più elevato rispetto ai soggetti sani, i pazienti DOC, DM e AN si distinguono per valori più bassi dello stesso parametro osservabili in tutte le fasi del PPF (figura 46a). 134 DAP DAG SANI DOC DM AN 16 14 12 10 8 6 4 2 0 EMG (B) EMG (S) EMG (R) GSR (B) GSR (S) GSR (R) figura 46a – Valore medio del potenziale elettrico del muscolo frontale (EMG) e di conduttanza cutanea (GSR) registrato in fase di riposo (B), stress (S) e recupero (R) nei 6 gruppi. DAP DAG SANI DOC DM AN 100 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0 THE (B) THE (S) THE (R) HR (B) HR (S) HR (R) Figura 46b – Valore medio di temperatura cutanea periferica (THE) e di frequenza cardiaca (HR) registrato in fase di riposo (B), stress (S) e recupero (R) nei 6 gruppi. 135 Nel confronto tra i gruppi sui valori del parametro HR, in condizioni di riposo, di stress indotto e di recupero, sono risultate significative le differenze tra i pazienti DAG, da una parte, e, dall’altra, i soggetti sani con i restanti pazienti affetti da un disturbo in asse I del DSM-IV (figura 46b). I pazienti DAG presentano dunque un livello di frequenza cardiaca, a riposo, sotto stress e durante il recupero superiore rispetto ai soggetti sani e ai pazienti DAP, DOC, DM e AN. In una ricerca svolta presso il Laboratorio di Psicofisiologia Clinica del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Parma gli autori hanno voluto individuare un’eventuale corrispondenza tra il quadro di attivazione neurovegetativa e alcuni aspetti psicologici di stato e di tratto. Allo scopo sono stati reclutati 50 studenti universitari (12 maschi e 38 femmine), di età compresa tra i 20 e i 42 anni (età media=23,98±4,65), che hanno compilato alcuni questionari di autovalutazione ed effettuato un profilo psicofisiologico (PPF). Gli strumenti psicodiagnostici impiegati sono stati: Cognitive Behavioural Assessment (Sanavio et al., 2000): consente la raccolta dei principali dati riguardanti l’anamnesi medica e psicologica, passata e presente (problemi medici, disturbi psicologici o psichiatrici, uso di farmacie, eventuale abuso di sostanze). Questa batteria psicodiagnostica permette inoltre la misurazione dei principali costrutti psicologici di interesse clinico quali ansia di stato e di tratto, tratti della personalità (estroversione-introversione, nevroticismo/stabilità emotiva, psicoticismo) manifestazioni depressive, sintomi somatici, fobie e comportamenti ossessivo-compulsivi. Symptom Questionnaire (SQ) – forma settimanale (Fava et al., 1982): è costituito da 92 item a risposta dicotomica (si/no oppure vero/falso) riguardanti sintomi di benessere o malessere psicologico accusati nell’ultima settimana. Il punteggio si articola su 8 sotto-scale e 4 scale globali: ansietà (a), depressione (d), sintomi somatici (s), ostilità (o), rilassatezza ( r ), contentezza (c), 136 benessere fisico (bf) e buona disposizione verso gli altri (bd), Ansia (A), Depressione (D), Sintomi Somatici (S) e Ostilità (O). Pisa Stress Questionnaire (PSQ) (Pruneti, 1998): è costituito da 32 item a risposta multipla riguardanti stili di vita e abitudini stress correlati. Il punteggio si articola su 6 scale di origine fattoriale e un punteggio totale: 1. SENSO DI RESPONSABILITÀ (SR): il soggetto tende a prendere la vita troppo seriamente ; 2. VIGORE (V): il soggetto ha la sensazione di possedere caratteristiche di vitalità, energia e resistenza allo stress; 3. DISTURBI DA STRESS (DS): presenza di problemi, difficoltà e sintomi usualmente riferibili anche a reazioni da stress; 4. PRECISIONE E PUNTUALITÀ (PP): il soggetto esplicita comportamenti caratterizzati da puntigliosità, precisione e puntualità; 5. TEMPO LIBERO (TL): scarsa capacità di rilassarsi e "staccare" dagli impegni; 6. IPERATTIVITÀ (I): attività eccessiva con la presunzione di possedere una buona resistenza alla stanchezza. Sixteen Personality Factors Questionnaire – forma 5 (16PF-5) (Cattell, 2001): è costituito da 185 item a risposta multipla e fornisce, oltre a tre punteggi indicativi dello stile di risposta, un profilo articolato su 5 fattori globali (Estroversione-Introversione, Ansioso-Imperturbabile, Duro-Ricettivo, Indipendente-Accondiscendente, Controllato-Impulsivo) e su16 fattori o dimensioni bipolari relativamente indipendenti che riflettono i tratti stabili della personalità: 1. A : ESPANSIVITA’ 2. B : RAGIONAMENTO 3. C : STABILITA’ EMOZIONALE 4. E : DOMINANZA 5. F : VIVACITA’ 6. G : COSCIENZIOSITA’ 137 7. H : AUDACIA SOCIALE 8. I : SENSIBILITA’ 9. L : VIGILANZA 10. M : ASTRATTEZZA 11. N : PRUDENZA 12. O: APPRENSIVTA’ 13. Q1 : APERTURA AL CAMBIAMENTO 14. Q2 : FIDUCIA IN SE’ 15. Q3 : PERFEZIONISMO 16. Q4 : TENSIONE Minnesota Multiphasic Personality Inventory-2 (Hathaway &McKinley, 1989): è costituito da item a risposta vero/falso e fornisce, attraverso un punteggio articolato su 10 scale cliniche, una valutazione del quadro psicopatologico generale: 1. HS: IPOCONDRIA 2. D: DEPRESSIONE 3. HY: ISTERIA 4. PD: DEVIAZIONE PSICOPATICA 5. MF: MASCOLINITA’/FEMMINILITA’ 6. PA: PARANOIA 7. PT: PSICASTENIA 8. SC: SCHIZOFRENIA 9. MA: IPOMANIA 10. SI: INTROVERSIONE SOCIALE È possibile disporre inoltre di punteggi su 15 scale di contenuto 31 sottoscale cliniche, 5 scale suplementari e 10 addizionali. Coping Orientations to Problems Experienced: è costituito da 60 item a risporta su scala Likert (da 1 a 5) e fornisce un’indagine sulla frequenza di impiego delle principali strategie di coping, organizzate a loro volta in 5 categorie: 138 1. SUPPORTO SOCIALE: RICERCA DI INFORMAZIONI, RICERCA DI COMPRENSIONE, SFOGO EMOZIONALE; 2. EVITAMENTO: UMORISMO, NEGAZIONE, DISTACCO COMPORTAMENTALE, DISTACCO MENTALE, USO DI DROGHE O ALCOL; 3. ATTITUDINE POSITIVA: CONTENIMENTO, REINTERPRETAZIONE POSITIVA E DI CRESCITA, ACCETTAZIONE; 4. ATTIVITA’: ATTIVITA’, PIANIFICAZIONE, SOPPRESSIONE DI ATTIVITA’ COMPETITIVE 5. RELIGIONE. Il PPF è stato articolato nelle seguenti 4 fasi: 1. “adattamento” (10 minuti): il paziente è stato fatto accomodare in una stanza provvista di dispositivi elettronici per il controllo automatico della temperatura, mantenuta tra i 18 e i 22° C, e il tasso d’umidità, con apposito apparecchio estrattore, mantenuto inferiore al 50%, e fatto sedere su una poltrona provvista di poggiatesta, braccioli ampi e schienale reclinabile. È stato quindi informato del contenuto e del significato della procedura e rassicurato circa la non invasività e nocività della stessa, mentre uno psicologo provvedeva a posizionare elettrodi e trasduttori, a impostare l’apparecchiatura per la registrazione e a monitorare l’andamento dei valori dei diversi parametri fisiologici, in attesa di un loro assestamento; 2. “riposo” (6 minuti): la registrazione è iniziata dopo avere istruito precedentemente il paziente a chiudere gli occhi, a rimanere fermo e rilassato per quanto gli era possibile e a segnalare eventuali problemi (ad esempio la necessità di tossire) alzando l’indice della mano destra per potere interrompere momentaneamente la registrazione; 3. “stress” (4 minuti): al soggetto è stato chiesto di eseguire un compito mentale consistente nel sottrarre il numero 13 da 1007 e continuare la sottrazione da ogni risultato ottenuto successivamente (sottrazione seriata); 139 4. “recupero” (6 minuti): al termine della presentazione dello stress al paziente è stato detto di interrompere lo svolgimento del compito mentale e di riposarsi e rilassarsi per quanto possibile. Nel corso del PPF sono stati registrati i seguenti parametri fisiologici: elettromiogramma del muscolo frontale (EMG), il cui potenziale elettrico è stato rilevato mediante due elettrodi attivi, posizionati circa 1 cm sopra le sopracciglia in allineamento con le pupille, ed uno di riferimento, al centro della fronte (distanza tra i due poli attivi di circa 2,5 cm). frequenza cardiaca (HR), rilevando il potenziale elettrico del muscolo cardiaco con derivazione bipolare classica per elettrocardiogramma e calcolando il tempo intercorrente tra un’onda R (contrazione ventricolare) e l’altra. intervallo interbattito (IT) rivela l’intervallo di tempo che passa tra l’emissione di un onda R e l’arrivo della relativa onda sfigmica sull’ arteria radiale. temperatura periferica (THE), applicando un termistore alla base dell’eminenza tènar della mano dominante. conduttanza cutanea (GSR), facendo passare un corrente elettrica di bassissima intensità tra due elettrodi posizionati sull’ultima falange delle dita della mano dominante (in questo caso indice e medio). frequenza respiratoria (FR) e ampiezza respiratoria (AR), rilevate con una cinghia elastica posta a livello toracico o addominale. I segnali dei parametri EMG e FC sono stati rilevati con elettrodi di superficie monouso. Per il segnale della CC sono stati impiegati elettrodi dorati riutilizzabili, per il parametro TP è stato applicato un termistore di precisione. I segnali sono stati monitorati e memorizzati tramite il software apposito. Trattandosi di uno studio pilota, gli autori hanno voluto preliminarmente considerare la sola conduttanza cutanea quale parametro per individuare nel campione esaminato soggetti caratterizzati da un profilo di iper o ipoattivazione neurovegetativa. In primo luogo sono stati calcolati i valori medi nei seguenti momenti: 140 ultimo minuto (B6) della fase “riposo”, dopo l’assestamento dei valori, come misura del livello di attivazione di base; primo minuto della fase “stress” (S1), come misura dello stato di attivazione durante lo svolgimento del compito mentale, al fine di escludere l’interferenza di fenomeni di abituazione, che potrebbero portare ad una sottostima dell’ampiezza dell’attivazione; ultimo minuto della fase “recupero” (R6), come misura del livello di attivazione al termine della procedura, al fine di verificare l’entità del recupero stesso dopo un lasso di tempo ragionevolmente sufficiente per rientrare entro i valori di base. In secondo luogo, per ottenere una misura individuale di attivazione e di recupero, ponderate sul livello basale, sono state calcolati i seguenti indici: risposta = (S1-B6)x100/B6: la risposta della GSR viene espressa come percentuale di variazione rispetto al valore a riposo; stress = (R6-B6)x100/B6: il margine di recupero, o in caso di assenza di recupero, la cumulazione dello stress, viene espressa come percentuale di variazione rispetto al valore a riposo; Infine, per individuare soggetti caratterizzati da ipo o iperattivazione della GSR sono stati selezionati i seguenti criteri: ipoattivazione norma iperattivazione GSR a riposo B6 < 2 µs 2 μs ≤ B6 ≥ 10 μs B6 > 10 µs risposta GSR < 20% stress GSR 20% ≤ risposta ≥ 50% ≤ 0% (R6 ≤ B6) > 50% > 50% Per verificare la corrispondenza tra aspetti psicologici di stato e di tratto e il quadro di attivazione espresso dalla GSR sono stati effettuati confronti a coppie tra i gruppi individuati sui punteggi ottenuti ai vari questionari di autovalutazione. 141 A questo scopo è stato impiegato il test statistico non parametrico di Mann-Withney, data la distribuzione non normale dei dati, verificata con il test di Shapiro-Wilks, e dato l’esiguo numero di soggetti “iperattivati” e ipoattivati”. In base ai risultati, i soggetti iperattivati, rispetto ai soggetti con andamento della GSR nella norma, hanno ottenuto punteggi significativamente superiori nella scala STAI –X2 (ansia di tratto) della CBA, nella scala clinica PT del MMPI-2 (psicastenia) e nei fattori primari C, H e globale IN del 16PF-5. I soggetti che manifestano a riposo livelli elevati di GSR, con risposta spiccata allo stimolo attivante e con scarso o assente recupero alla fine del profilo psicofisiologico sono facilmente perturbabili dal punto di vista emotivo, scarsamente adattabili, insicuri, inibiti, preoccupati e apprensivi nella maggior parte delle situazioni. Per quanto riguarda gli aspetti psicologici di stato, sintomatici, i soggetti iperattivati hanno ottenuto punteggi significativamente più elevati nella scala STAI-X1 (ansia di stato) della CBA, nelle scale Anx (Ansia), Frs (Paure/Fobie), Obs (Ossessività) e Wrk (Difficoltà sul Lavoro) del MMPI-2 e nelle scale D (depressione) e S (sintomi somatici). Sembra quindi che a un quadro di iperattivazione neurovegetativa a riposo, associato a una risposta abnorme e a una scarsa estinzione della stessa, con recupero assente del livello basale, corrispondano tensione somatica, preoccupazione, rimuginazione e umore depresso. Questi sintomi, probabilmente, compromettono inoltre lo svolgimento delle attività lavorative. All’interno della ricerca nazionale dal titolo “Managed Care Domiciliare del paziente cronico con scompenso cardiaco attraverso una gestione integrata tra il Centro Clinico e gli interventi in remoto basata su nuove tecnologie di comunicazione”, in una collaborazione tra la Sezione di Psicologia Clinica della Facoltà di Psicologia dell’Università di Parma e l'Unità Operativa Di Riabilitazione Cardiologica dell'Istituto Don Gnocchi di Parma, gli autori hanno verificato la corrispondenza tra un quadro di iperattivazione neurovegetativa e alcuni aspetti comportamentali, quali abitudini e, più in generale, lo stile di vita, spesso associati a una condizione di distress psicofisico, in pazienti ospedalizzati affetti da scompenso cardiaco durante la riabilitazione cardiovascolare. I soggetti presentavano, al momento del ricovero, 142 un’insufficienza cardiaca con disfunzione sistolica sinistra (frazione d’eiezione < 40%) in III o IV classe, secondo la New York Heart Association (NHYA). Rispetto a un gruppo di controllo, il gruppo sperimentale di pazienti era stato fornito, in postdimissione, di un computer palmare attraverso il quale poteva monitorare da casa e inviare i propri dati allo staff medico. Lo studio ha consistito principalmente nel monitoraggio del percorso riabilitativo per verificare l’efficacia di un intervento così integrato rispetto a una modalità di trattamento convenzionale. La valutazione psicodiagnostica è stata effettuata tramite la batteria CBA 2.0, il SQ, lo State & Trait Anger Expression Inventory (STAXI), per il monitoraggio periodico di eventuali sintomi psicologici quali ansia, umore depresso, rabbia-ostilità e attraverso il 16PF-5 e il PSQ per l’approfondimento di aspetti comportamentali più stabili quali abitudini, stile di vita e profilo di personalità. Inoltre, per valutare l’assetto neurovegetativo e, in generale, la capacità di gestione della risposta emozionale, gli autori hanno eseguito sui pazienti, periodicamente, in concomitanza della somministrazione e compilazione dei questionari di autovalutazione, un profilo psicofisiologico, in condizioni di riposo, stress e recupero, con la registrazione simultanea di conduttanza cutanea, frequenza cardiaca, potenziale elettrico del muscolo frontale e temperatura cutanea periferica. In base ai risultati emersi dall’analisi statistica, si è evidenziata una correlazione positiva tra il punteggio totale al PSQ e i valori medi, relativi ai tre momenti del profilo psicofisiologico, di frequenza cardiaca e temperatura cutanea periferica. Sembra quindi che l’adozione di abitudini disadattive e, in generale, di uno stile di vita stressogeno, si rifletta in una condizione di maggiore attivazione neurovegetativa espressa dal livello basale e dalla reattività dei parametri cardiovascolari. 143 144 L’IMPIEGO DEL PROFILO PSICOFISIOLOGICO NELLA VALUTAZIONE DEI TRATTAMENTI Il profilo psicofisiologico, quale procedura valida per la valutazione dello stato e della risposta di attivazione neurovegetativa, è risultata anche essere utile per la verifica dell’efficacia di trattamenti farmacologici integrati alla psicoterapia e nel campo della medicina riabilitativa, ad esempio cardiovascolare. In uno studio di Pruneti e coll. (2002), pazienti che avevano avuto un primo episodio di infarto acuto del miocardio sono stati assegnati, in maniera randomizzata, a un gruppo sperimentale (GS) e a uno di controllo (GC), rispettivamente, trattati e non trattati farmacologicamente con alprazolam, una benzodiazepina risultata in grado di inibire il sistema nervoso centrale e di ridurre la presenza di catecolamine nel sangue. Nella figura 47 sono osservabili i valori medi dei 4 parametri fisiologici rilevati nel corso di un primo profilo psicofisiologico (pre), effettuato prima dell’inizio del trattamento farmacologico, e di un secondo (post), effettuato al termine del trattamento. I risultati dimostrano l’efficacia della benzodiazepina alprazolam a basso dosaggio (0,25 mg. X 2/Die) nella modulazione della risposta di attivazione neurovegetativa e neuroendocrina: nel gruppo trattato infatti, dal primo al secondo profilo psicofisiologico, si osserva una significativa riduzione del cortisolo, della conduttanza cutanea, tensione muscolare, frequenza cardiaca e un innalzamento della temperatura cutanea periferica, questo anche senza alcun supporto di tipo psicologico. 145 conduttanza cutanea tensione muscolare 20 15 µV µS 10 5 0 10 8 6 4 2 0 B (pre) B (pre) S (pre) S (post) riposo riposo stress stress GS 13,12 7,8 19,33 13,45 GS 5,11 4,18 8,99 7,18 GC 12,23 11,48 18,48 18,08 GC 4,57 4,14 7,14 6,84 frequenza cardiaca temperatura cutanea periferica 35 90 bpm °C 30 70 50 riposo riposo stress stress GS 67,31 68,47 86,15 80,12 GC 66,84 62,5 82,57 84,57 25 riposo (pre) riposo GS 32,2 33,05 30,7 31,88 GC 32,15 32,57 30,57 30,19 12 11 10 9 8 7 6 5 4 3 2 stress (pre) stress (post) GS (pre) GS (post) GC (pre) nadir recupero stress riposo adattamento zenit GC (post) figura 47 – modificata da Pruneti, C., Giusti, M., Boem, A., Luisi, M. (2002). Behavioral, psichophysiological and salivary cortisol modifications after short-term alprazolam treatment in patients with recent myocardial infarction. Italian Heart Journal, Vol. 3, Jannuary, 5359. 146 In un lavoro di Pruneti e coll. (2000), è stato impiegato il profilo psicofisiologico per valutare l’efficacia di un trattamento farmacologico condotto su pazienti con prevalenti sintomi ansiosi (A), trattati con benzodiazepine, e pazienti con prevalenti sintomi depressivi (D), trattati con antidepressivi (figura 48). conduttanza cutanea µS 25 20 15 10 5 0 tensione muscolare 6 µV A D GS 3,8 6,5 GC 13 3 4 2 A D GS 3,9 3,8 GC 4,4 4,1 frequenza cardiaca 100 80 60 bpm 40 20 0 temperatura cutanea periferica 34 32 °C 30 A D GS 67 69 GC 80 83 28 A D GS 31 33,3 GC 32,8 31,2 figura 48 – modificata da Pruneti, C., Rota, S. & Rossi, S. (2000). Profilo psicofisiologico di pazienti con prevalenti sintomi ansiosi e depressivi con e senza trattamento farmacologico. Psicoterapia Cognitiva e Comportamentale, 6 (3), 255-265. Nella figura 48 si osservano i valori dei 4 parametri fisiologici rilevati nel profilo psicofisiologico registrato alla fine del trattamento farmacologico. Mentre per i pazienti con sintomatologia ansiosa il trattamento a base di benzodiazepine ha condotto ad un abbassamento della conduttanza cutanea e della frequenza cardiaca, per i pazienti con sintomatologia depressiva il trattamento a base di antidepressivi ha condotto ad un innalzamento della conduttanza cutanea e ad un abbassamento della frequenza cardiaca. In generale, in entrambi i gruppi il trattamento farmacologico è risultato efficace al ripristino di una condizione ottimale di attivazione neurovegetativa. 147 In uno studio di Pruneti e coll. (1999), il profilo psicofisiologico è stato impiegato per valutare l’efficacia di un trattamento a base di Pivagabina (PVG), un farmaco antagonista dell’attivazione del CRF in grado di modulare l’azione dei neurotrasmettitori responsabili dell’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, cioè della risposta adattiva di stress, su pazienti con amenorrea ipotalamica, cioè con sospensione del ciclo mestruale da almeno tre mesi. Si è osservato come il trattamento farmacologico abbia ridotto il quadro iniziale caratterizzato da stress cronico e quindi da una condizione di iperattivazione neurovegetativa. 148 BIBLIOGRAFIA Alvarenga, M.E., Richards, J.C., Lambert, G., Esler, M. (2006). Psycophysiological Mechanism in Panic Disorder: A Correlative Analysis of Noradrenaline Spillover, Neuronal Noradrenaline Reuptake, Power Spectral Analysis oh Heart Rate Variability, and Psychological Variables. Psychosomatic medicine, 68, 8-16. Anchisi, R., & Gambotto Dessy, M. (1996). 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Carlo Pruneti è professore associato confermato di Psicologia clinica presso l’Università degli Studi di Parma, svolge attività di studio e ricerca nel Dipartimento di Psicologia, dove è responsabile della sezione di Psicologia clinica e dei relativi laboratori di Psicofisiologia e Neuropsicologia clinica. Ha pubblicato, oltre a svariati articoli su riviste nazionali e internazionali, diverse monografie: Stati depressivi e loro valutazione nel bambino e nell’adolescente (1996); I disturbi dell’integrazione mente-corpo e loro valutazione (1996); La diagnosi multimodale dei disturbi del comportamento alimentare (con Buracchi, 2003); Manuale di Diagnostica clinicopsicologica e psicofisiologica (2004); I disturbi alimentari e ponderali in medicina, chirurgia e psicologia (con G. Mangiaracina e M. Pissacroia, 2006); Psicopatologia dei disturbi alimentari (2006). Psicologia clinica e psicopatologia. Diagnosi funzionale e approccio multidimensionale ai trattamenti (2008). 165
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