Marathon des sables Scrivi per inserire testo Guido A. Morina Marathon des sables Significati psicologici di un moderno rituale di iniziazione Ebook Morina Editore Università Popolare di Scienze della Salute Psicologiche e Sociali (UNIPSI) Marathon des sables Proprietà letteraria riservata. Qualsiasi parte di questo Ebook può essere riprodotta con ogni mezzo purché a scopo di ricerca o divulgazione, ma con il consenso degli autori. Qualsiasi riferimento a persone, enti, società e situazioni non è casuale ed è stato rigorosamente accertato e documentato nella sua correttezza e veridicità. L’autore è naturalmente disponibile a rettificare immediatamente qualunque dato possa essere dimostrato contrario alla realtà dei fatti e ingiustamente lesivo dell’immagine e della dignità altrui, riservandosi il diritto di difendere la propria. Ebook Morina Editore Corso Einaudi 39 bis, 10129 Torino www.ebookcounselingnaturopatia.it Per ogni informazione, per segnalare errori, imprecisioni o per comunicare con noi, scrivere a : [email protected] Prima edizione: maggio 2014 Università Popolare di Scienze della Salute Psicologiche e Sociali (UNIPSI) Marathon des sables Indice Introduzione! 1 Capitolo 1°. Che cos’è la Marathon des sables! 2 Capitolo 2°. La gara.! 5 Capitolo 3°. Il vero protagonista della Marathon des sables: le vesciche.! 6 Capitolo 4°. Psicopatologia dell’ultrarunner! 7 Capitolo 5°. Che cosa spinge persone intelligenti a compiere azioni così stupide?! 9 Conclusioni! Università Popolare di Scienze della Salute Psicologiche e Sociali (UNIPSI) 13 Marathon des sables Introduzione La Marathon des sables è una competizione che si svolge da 29 anni nel deserto meridionale del Marocco su un percorso di circa 243 km suddivisi in sei tappe da percorrere a piedi, in quasi totale autosufficienza. Nel corso degli anni essa è riuscita a superare e trascendere il semplice significato di gara podistica estrema, per “trasfigurarsi” e assumere il ruolo di manifestazione o evento di culto, riservato a persone straordinarie, o che si ritengono tali, più o meno inconsciamente. In realtà, una sana e robusta costituzione fisica, unita a una buona capacità di adattamento e a una minima resistenza alla fatica, permettono praticamente a chiunque di portare a termine questa gara, a condizione che si sia forniti della sufficiente motivazione per camminare a passo relativamente spedito per alcune ore (indicativamente da otto a trenta per ciascuna tappa) e di sopportare qualche disagio. Nell’ultima edizione, la 29ª, i partecipanti italiani erano soltanto 41. Sottolineo “soltanto” non solo per mettere in evidenza l’enorme divario, dal punto di vista della partecipazione, con paesi non particolarmente più popolosi o più dediti alle competizioni estreme rispetto all’Italia (come la Gran Bretagna, che vede una partecipazione di quasi quattrocento atleti ad ogni edizione), ma perché questo numero è, a mio parere, oggettivamente troppo ridotto. Perché, mi sono chiesto, pochissime decine di italiani, tra le decine o centinaia di migliaia che praticano abitualmente attività fisica e specialmente la corsa, mostrano interesse per una competizione affascinante, famosa e di richiamo come questa? Perché migliaia di italiani partecipano tutti gli anni a maratone che si limitano ad attraversare le strade asfaltate delle grandi metropoli del mondo, ma non prendono neppure in considerazione di trasferirsi nel deserto per correre in un ambiente naturale? E ancora, per quale motivo poche decine di italiani (per limitare il nostro studio a un campione ridotto ma rappresentativo, con il quale ho avuto maggiori possibilità di confronto e di osservazione nel corso della competizione) sono disposti a spendere complessivamente alcune migliaia di euro e a sobbarcarsi il disagio di una settimana di pernottamenti in tenda, di ! Università Popolare di Scienze della Salute Psicologiche e Sociali (UNIPSI)! 1 Marathon des sables lunghe ore di camminata o di corsa sotto il sole, di vera e propria sofferenza dovuta alle vesciche che, fatalmente, rendono ogni passo una piccola tortura per la maggior parte dei partecipanti? Che cos’è, in definitiva, che spinge alcuni individui a vivere con passione, entusiasmo e vera e propria gioia condizioni che, per la stragrande maggioranza dei loro conspecifici, sarebbero da evitare come la peste e da cancellare dalle esperienze che meritano di essere vissute? Cercherò di rispondere a queste e ad altre domande senza la pretesa di scrivere un vero e proprio trattato di psicologia applicata alle competizioni di endurance, ma con l’intento di analizzare aspetti inusuali e anomali del comportamento umano allo scopo di conoscerlo meglio e possibilmente scoprire quali siano i significati più profondi che inconsciamente alcuni esseri umani vanno a ricercare in esperienze forti e intense come questa. Capitolo 1°. Che cos’è la Marathon des sables Una ultra maratona a tappe come quella che stiamo considerando richiede, per essere portata a termine con buone probabilità di successo, una preparazione fisica specifica che non si può improvvisare. I partecipanti dedicano alla corsa gran parte, se non la totalità del loro tempo libero, dal momento che la preparazione implica allenamenti di durata variabile, ma comunque spesso superiori alle due o tre ore, specialmente in prossimità della competizione. Coloro che partecipano a competizioni di questo genere, tuttavia, si dividono in due categorie anche dal punto di vista della sincerità con cui dichiarano quale tipo di preparazione abbiano seguito per la gara. Da un lato, infatti, ci sono coloro che non hanno problemi nel dichiarare di essersi allenati, nei limiti del tempo e delle loro possibilità, con particolare dedizione seguendo un programma di allenamento rigoroso e particolarmente impegnativo, così come una competizione di questo tipo richiede. Così facendo, tuttavia, la persona si espone a un grosso rischio: nel caso in cui si ritiri o la sua prestazione risulti inferiore alle proprie o alle altrui aspettative, essa si trova nella condizione poco invidiabile di chi abbia speso molto per ricavare poco. Si spiega così il motivo per cui esiste un’altra categoria, la ! Università Popolare di Scienze della Salute Psicologiche e Sociali (UNIPSI)! 2 Marathon des sables quale non riesce, pur con la più buona volontà, ad ammettere di essersi preparata nella maniera migliore possibile, ma è costretta dal proprio inconscio a minimizzare la propria preparazione atletica, attraverso strategie di ogni tipo: per esempio, lamentando problemi di salute fisica, oppure lavorativi o familiari, che le abbiano impedito di allenarsi a dovere; oppure, e questi sono i casi più interessanti, coloro che tendono a ridimensionare l’importanza della competizione a partire proprio dalla preparazione effettuata (“non ho mai corso più di 15 km, e mai più di due o tre volte la settimana”) in modo da porsi al riparo da ogni eventuale critica nel caso in cui dovessero abbandonare la corsa o registrare un tempo poco apprezzabile. Inoltre, si consideri che la corsa si svolge in autosufficienza, per cui ogni partecipante deve essere fornito di un apposito zaino contenente, tra l’altro, materassino e sacco a pelo, indumenti di ricambio e di protezione dalle intemperie e, specialmente, razioni alimentari sufficienti per una settimana, oltre a una infinità di piccoli strumenti e attrezzi utili per la sopravvivenza. Correre, ma anche camminare, con uno zaino di peso variabile tra i sei e i 10-12 chili (considerando che si corre sempre con una provvista di almeno 1 litro e mezzo d’acqua) non è agevole ed è reso molto più faticoso dal terreno tutt’altro che regolare, spesso sassoso, pietroso o caratterizzato dalla presenza di sabbia nella quale è inevitabile sprofondare. Non mancano le salite, naturalmente. Si tratta spesso di dislivelli di poche centinaia di metri, ma da affrontare sotto il sole cocente e, spesso, affondando ad ogni passo nella sabbia che rende il procedere estremamente difficoltoso. Durante le sei tappe della gara, nonostante per molti partecipanti esse abbiano una durata di parecchie ore, non si mangia, o si limita l’alimentazione a gel o barrette energetiche. In compenso si beve molto, almeno sette-dieci litri per ogni tappa, e si assumono piccole pastiglie di sali per reintegrare le perdite. In effetti, si consideri che, nonostante il caldo, si suda pochissimo perché il sudore viene immediatamente asciugato dal vento che, per la stragrande maggioranza del tempo, soffia lungo il percorso asciugando immediatamente ogni goccia di sudore. Ciò che accompagna i partecipanti a una gara nel deserto è, naturalmente, la presenza di un sole costante e implacabile. Nel corso dell’ultima edizione, per esempio, i tratti che si sono potuti percorrere all’ombra sono stati un totale di non più di poche decine di metri sull’intero percorso. Tutto ciò, per quanto riguarda la corsa vera e propria. ! Università Popolare di Scienze della Salute Psicologiche e Sociali (UNIPSI)! 3 Marathon des sables Ma il fascino di questa competizione sta anche nelle ore che si vivono all’interno del campo attrezzato per i partecipanti, circa un migliaio per ogni edizione, provenienti da ogni parte del mondo, e collocati all’interno di tende in cui alloggiano da sei a otto persone. Le tende non sono nient’altro che grandi teli lunghi circa una decina di metri e larghe non più di quattro tenuti sollevati da terra tramite semplicissimi bastoni. Per terra stuoie o tappeti che poggiano, naturalmente, sul terreno pianeggiante, ma sassoso. All’interno delle tende, cui si giunge al termine di ogni tappa, ciascuno nei tempi che le proprie capacità gli consentono, i partecipanti dispongono di spazi ridottissimi, poco più di quelli necessari per distendere il proprio materassino e sacco a pelo. Nelle ore pomeridiane e nelle primissime mattutine che seguono e precedono ogni tappa, il tempo è dedicato quasi esclusivamente alla cura delle proprie vesciche e all’alimentazione, anche perché non si può fare praticamente nient’altro, compreso il lavarsi. Il tutto, essendo costretti in una tenda che non permette praticamente mai di stare in posizione eretta, e costringe quindi a stare in ginocchio, accovacciati e seduti per terra sbrigando le molteplici attività quotidiane. In realtà, la mia personale esperienza è stata quella di una ricerca continua di oggetti all’interno dello zaino, relativamente piccolo (capienza totale di 24 litri, tra zaino vero e proprio e marsupio anteriore) ma carico all’inverosimile di attrezzi, oggetti e prodotti di ogni tipo: buste di cibi disidratati, barrette energetiche, sacchetti contenenti alimenti di vario tipo (parmigiano, zucchero, te, ecc.), calze e indumenti di ricambio, cerotti, coltelli, fornellini e pastiglie di combustibile, forbici, fazzolettini disinfettanti, carta igienica, posate, eccetera. I bisogni fisiologici sono espletati all’aperto, a una distanza che ognuno ritiene sufficientemente rispettosa nei confronti degli atleti che riposano sotto le loro tende, o negli appositi gabinetti, e cioè tende delle dimensioni di una cabina telefonica che ospitano un rudimentale water di plastica sul quale far aderire un apposito sacchetto che raccoglierà le nostre deiezioni e che ognuno depositerà, ben richiuso, all’interno di un apposito bidone. Quanto all’igiene, specialmente quella intima, essa è scarsamente salvaguardata non soltanto per la scarsità d’acqua a disposizione e per la mancanza di intimità, ma anche per il fatto che è difficile lavarsi con una mano sola essendo l’altra occupata dalla bottiglia d’acqua. Ogni azione che, nella comodità della propria abitazione, seduti su una sedia a un tavolo, è assolutamente banale, qui diventa di estrema ! Università Popolare di Scienze della Salute Psicologiche e Sociali (UNIPSI)! 4 Marathon des sables complicazione e richiede tempi lunghissimi. La notte porta con sé l’aria fresca e ventilata del deserto, per cui il sonno è relativamente confortevole e riposante per la maggior parte dei partecipanti. Capitolo 2°. La gara. Ogni tappa è una gara che inizia verso le 8.30 del mattino e si conclude poche ore dopo, per i migliori, o nel tardo pomeriggio per gli ultimi in classifica. La partenza vede un migliaio di persone, tutte protette da indumenti leggeri, traspiranti e il più possibile confortevoli che vengono lanciati a camminare o correre per alcune decine di chilometri dall’organizzatore della corsa che, armato di microfono e di un sistema di altoparlanti che diffonde musica rock, ricorda ogni mattina, con molto buon senso e diligentemente, tutte le precauzioni che devono essere adottate per affrontare la competizione. In essa, almeno alla partenza, si ritrovano fianco a fianco giovani marocchini (da sempre vincitori della competizione) insieme ad anziani, uomini e donne talvolta in sovrappeso, atleti che affrontano questa gara come un allenamento per competizioni ancora più dure e difficili, altri che la corrono per l’ennesima volta e altri ancora che la vivono come esperienza unica e irripetibile. Si cammina o si corre, finché si può, sempre incolonnati o affiancati da altri atleti, ognuno dei quali identificabile per nome di battesimo e per nazionalità dal pettorale. Ognuno ha il suo ritmo, le sue aspettative, la sua storia dietro le spalle. Ognuno corre per sé stesso, ma talvolta anche per altri, come dimostrano i casi di coloro che per una settimana portano sullo zaino foto di figli, di parenti o di persone alle quali dedicano la loro fatica. Di per sé, almeno per chi è abituato a correre quasi tutti i giorni per almeno 15-20 km, ogni tappa, per quanto dura, non è certo massacrante. Si giunge all’arrivo zoppicando solo ed esclusivamente per le vesciche e non certo per dolori muscolari o articolari. Questo è il dato forse più sorprendente che ho potuto rilevare in questa competizione. Nonostante essa sia fondamentalmente costituita da una maratona al giorno per una settimana, essa risulta sopportabile, sul piano fisico, con una certa disinvoltura. Personalmente, muscoli e articolazioni mi hanno sempre fatto più male a ! Università Popolare di Scienze della Salute Psicologiche e Sociali (UNIPSI)! 5 Marathon des sables seguito dei miei allenamenti nel parco cittadino, piuttosto che a seguito di 40 km corsi sotto il sole, nel deserto. L’ambiente nel quale si svolge la competizione è il deserto, naturalmente. Ambiente piuttosto inquietante quando ci si trova a dover attraversare pianori o altopiani lunghi decine di chilometri e spesso totalmente piatti. Tuttavia, la varietà del percorso è straordinaria e in esso si accavallano attraversamenti di fiumi e torrenti essiccati dal sole, colline dal terreno compatto, sassoso o pietroso, valichi di basse montagne rocciose o chilometri e chilometri di dune altissime e affascinanti. A intervalli di circa 10 -15 km al massimo, si giunge a un punto di ristoro, per usare un eufemismo, in quanto tutto ciò che viene fornito, oltre a due tende, nelle quali riposarsi all’ombra (a parte l’onnipresente tenda del pronto soccorso medico) sono le bottiglie d’acqua ( calda, naturalmente), da 1 litro e mezzo, una o due tra un punto di rifornimento e l’altro. Capitolo 3°. Il vero protagonista della Marathon des sables: le vesciche. Circa un decimo dei partecipanti si ritira nel corso della competizione. In alcuni casi si tratta di persone che non si erano rese conto dell’impegno fisico che la prova comportava; in altri si tratta di atleti vittime di disidratazione, disturbi gastrointestinali o muscolari. Nella maggior parte dei casi, però, l’elemento che caratterizza, in termini negativi, questa competizione e che è responsabile della qualità della prestazione della maggior parte degli atleti, nonché di molti ritiri, sono le vesciche ai piedi. Decine di medici e di infermieri sono infatti adibiti alla cura delle vesciche all’interno di tende da campo nelle quali quotidianamente, dal termine della propria prova fino al mattino, centinaia di persone attendono in coda, sotto il sole o sdraiati per terra sotto altre tende, il loro turno per poter accedere allo sgabello sul quale appoggeranno il loro piede per essere medicati. Spesso cura e disinfezione delle ferite, come è intuibile, non costituiscono un’operazione totalmente indolore e, anzi, le smorfie o le urla smorzate di sofferenza degli atleti rappresentano la colonna sonora dei pomeriggi durante la competizione. ! Università Popolare di Scienze della Salute Psicologiche e Sociali (UNIPSI)! 6 Marathon des sables A partire dal secondo, terzo giorno, il campo sembra affollarsi sempre più di persone sdraiate sui loro materassini, nelle tende, con vistose fasciature ai piedi, o atletici zombie che camminano appoggiando i piedi come se camminassero sulle uova, con una lentezza piuttosto inquietante. Tuttavia, il mattino successivo la maggior parte degli atleti dimentica le proprie vesciche e accetta l’idea di camminare o correre per decine di chilometri per parecchie ore sopportando le fitte di dolore che li attanagliano ad ogni passo, e sapendo perfettamente che le condizioni dei loro piedi saranno ancora peggiori il giorno dopo. Personalmente, la tappa più lunga della competizione, di 81 km e mezzo, è stata sicuramente l’esperienza più intensa della mia vita dal punto di vista della sofferenza: una sofferenza accettata, in qualche modo ricercata, intenzionale e consapevole, perché si trattava nell’unico modo di portare a termine la competizione senza subire l’onta e il disonore del ritiro. Finché le vesciche riguardano le dita dei piedi, il dolore e la prestazione fisica sono accettabili. Ma le vesciche che si formano molto spesso sulla pianta del piede costituiscono una tortura che si rinnova ad ogni passo e i passi, in una competizione come questa, sono decine di migliaia al giorno. Camminare per ore, di giorno e poi di notte, essendo continuamente superati da atleti che, sia detto a loro merito, mostravano una migliore preparazione fisica o forse una migliore sopportazione al dolore, è stata sicuramente un’esperienza durissima per il fatto di aver messo a dura prova motivazione e volontà. Ma che cos’è, in definitiva, che spinge quindi così tante persone a ricercare intenzionalmente e consapevolmente non soltanto la fatica, ma spesso anche il dolore? Possibile che l’incentivo sia dato soltanto dal fatto di poter ostentare nei confronti del prossimo il superamento di una prova fisica particolarmente impegnativa? Capitolo 4°. Psicopatologia dell’ultrarunner Premesso che l’espressione “psicopatologia” vuole essere un modo molto scherzoso e affettuoso per descrivere le caratteristiche di personalità dei partecipanti a questo tipo di competizioni, la mia personalissima impressione è che essi, sotto il profilo culturale e sociale, siano in buona ! Università Popolare di Scienze della Salute Psicologiche e Sociali (UNIPSI)! 7 Marathon des sables parte persone di ceto e cultura medio-alta. Imprenditori e liberi professionisti sono numerosi (a parte, naturalmente, i giovani atleti professionisti o semiprofessionisti) e ciò si spiega anche con il fatto che la partecipazione a una competizione di questo genere, tra trasporti, iscrizione vera e propria, spese varie per attrezzatura, visite mediche eccetera, oscilla tra i quattro e cinque mila euro. Il partecipante alle cosiddette ultra maratone è una persona, di solito di sesso maschile e in un’età compresa mediamente tra i trenta e i sessant’anni, la quale non riesce ad accontentarsi di correre per semplice diletto o per tenersi in forma, ma sente il bisogno insopprimibile di portare sempre al limite la propria prestazione fisica e mentale. In effetti, occorre una certa attitudine mentale alle gare che implicano resistenza alla fatica, apparentemente fine a se stessa. In altre parole, occorre possedere una fortissima motivazione a mettersi in gioco in prima persona, senza l’ausilio di nient’altro, fondamentalmente, che la propria efficienza e armonia fisica e mentale. Come vedremo tra breve, la mente gioca un ruolo fondamentale, pari a quello del corpo, ai fini del superamento di prove di questo genere. Ma andiamo per ordine. Gli atleti si presentano a queste gare con un abbigliamento tecnico e sportivo che ha, nella maggior parte dei casi, uno specifico scopo: quello di esibire agli altri la propria meritoria esperienza in ambito competitivo. Non c’è nessun motivo per cui il partecipante a un’ultra maratona debba indossare la maglietta di finisher che attesta il riconoscimento ufficiale del suo completamento di una gara precedente. Raro che questa gara sia una semplice corsa o camminata non competitiva di pochi chilometri tra i vigneti dell’astigiano o sulle colline umbre: il vero ultra maratoneta deve rendere noto a tutti di aver partecipato a una competizione altrettanto dura e difficile di quella che si appresta ad affrontare. Lo scopo, evidentemente inconscio, è quello di infondersi sicurezza e di non apparire agli altri come degli sprovveduti. La sindrome degli esami non vale, naturalmente, soltanto per le competizioni sportive: chiunque abbia affrontato esami o concorsi particolarmente selettivi avrà provato, almeno per un attimo, la sensazione che tutti i suoi concorrenti siano più preparati di lui. Indossando una maglietta che testimonia il superamento di una prova difficile ci si mette al riparo dal rischio di apparire novellini o persone non temprate dall’esperienza di dure fatiche in competizioni possibilmente internazionali. ! Università Popolare di Scienze della Salute Psicologiche e Sociali (UNIPSI)! 8 Marathon des sables Un altro aspetto che definiamo in maniera molto scherzosa psicopatologico della personalità dell’ultra runner è il suo egocentrismo e narcisismo. Le conversazioni sono fondamentalmente una semplice scusa per poter far sapere agli altri di aver partecipato a una gara particolarmente difficile, in luoghi esotici e lontani, o dalle caratteristiche di percorso e ambientali che possono destare stupore e ammirazione. Lo zoccolo duro dei partecipanti a questo tipo di competizioni è infatti composto di persone che fanno parte dello stesso giro, pur provenendo da ogni parte d’Italia, e che condividono la loro comune partecipazione ad altre competizioni, delle quali non si stancano mai di ricordare aneddoti, classifiche, caratteristiche. Si tratta di una simpatica fiera delle vanità, in quanto la maggior parte di questi personaggi si dedica all’elenco dei propri meriti sportivi, disinteressandosi totalmente delle esperienze altrui, se non per poter avere informazioni circa una gara che non conoscono e che vorrebbero affrontare in futuro. È difficile per chi sia al di fuori del giro comprendere esattamente quali siano le motivazioni che spingono queste persone a dedicarsi in maniera intensiva, se non ossessiva, a queste competizioni, spesso in numero di parecchie decine in un solo anno. L’impressione che si ricava ascoltando i racconti di questi atleti è quella di esperienze che non vengono vissute come tali, ma solo come sfide che ci si è lasciati alle spalle, quasi con sollievo, come se ogni competizione fosse portata al limite per verificare la propria capacità di sopravvivenza e per compensare in qualche modo la mancanza di stima, di affetto, di comprensione, di apprezzamento anche sociale e professionale di cui ognuno è, in misura diversa, carente. Non che la sfida non sia connaturata alla personalità degli esseri umani, ma qui essa è ricercata compulsivamente e portata sempre all’estremo, come a richiedere una attenzione per se stessi che non arriva mai o che non sembra mai sufficiente a colmare il proprio bisogno di affetto. Capitolo 5°. Che cosa spinge persone intelligenti a compiere azioni così stupide? Dal punto di vista razionale, ma superficiale, una prova come questa ha tutte le caratteristiche per poter essere qualificata come una assurdità o ! Università Popolare di Scienze della Salute Psicologiche e Sociali (UNIPSI)! 9 Marathon des sables un’esperienza priva di senso e di utilità. Già camminare o correre nel deserto per molte ore, sotto il sole, potrebbe essere qualificata, sulla base del semplice buon senso, come un’azione che si dovrebbe compiere soltanto se spinti dalla necessità e non certo per diletto. Farlo in sei tappe quotidiane, di cui una di più di 80 km, essendo quindi costretti a correre o camminare prima sotto il sole e poi nel buio, con l’ausilio di una torcia frontale e con parecchie ore di fatica alle spalle, è un motivo in più per qualificare come assurda un’esperienza del genere. Affrontare questa prova arricchita di continui saliscendi e persino di salite molto ripide, con uno zaino sulle spalle che contiene ciò che può soddisfare i bisogni fondamentali che emergono in situazioni come queste (il sonno, la protezione dal freddo, l’alimentazione, l’idratazione) sembra apparentemente una strategia appositamente studiata per farsi del male inutilmente. Ma, naturalmente, le cose non stanno semplicemente così. Chi affronta questa prova è, nella quasi totalità dei casi, una persona con forti tratti di egocentrismo, di narcisismo, di megalomania, ma è anche una persona straordinaria nel senso di dotata di qualità fisiche e mentali al di fuori della norma. Ognuno, in rapporto alla propria prestazione, sente più o meno inconsciamente di affrontare una prova epica, che lo pone in una condizione di superiorità rispetto alla massa di persone sedentarie o comunque non in grado di affrontare l’esperienza. Esperienza che si caratterizza, come si diceva, più che altro per la fatica. Perché mai, allora, una persona nel pieno possesso delle sue facoltà mentali dovrebbe sobbarcarsi una fatica al limite della sopportazione, senza averne un tornaconto apparente e, anzi, spendendo parecchie migliaia di euro per raggiungere un obiettivo fondamentalmente inutile? Per fornire una spiegazione plausibile occorre prendere in considerazione un principio fondamentale dell’evoluzione della vita: ogni organismo vivente non fa mai nulla contro il proprio interesse alla sopravvivenza e al soddisfacimento dei propri bisogni. Quindi, sopportare fatica e sofferenza deve avere necessariamente un corrispettivo che ripaghi ampiamente. Questo corrispettivo è da ricercare in un bisogno, superiore alla media, di attenzione, di comprensione, di affetto. Chiunque organizzi intenzionalmente la propria vita attraverso allenamenti quotidiani e massacranti, per affrontare prove fatte fondamentalmente di fatica e sofferenza, fa tutto questo per ottenere un tornaconto e cioè per attirare l’attenzione del prossimo. ! Università Popolare di Scienze della Salute Psicologiche e Sociali (UNIPSI)! 10 Marathon des sables L’organizzazione di pensiero infantile, sepolta nel nostro inconscio ma pronta ad emergere sopraffacendo la componente razionale della mente, esprime attraverso la messa in atto di tali comportamenti un’esigenza che può essere riassunta con queste parole: “Guardate che cosa sto facendo, che cosa sto sopportando, a quale fatica e sofferenza mi sto sottoponendo solo per ottenere la vostra attenzione, di cui ho disperato bisogno!”. E poiché l’affetto di cui abbiamo bisogno non è mai sufficiente, ognuno lo ricerca seguendo le strade che gli sono più congeniali: chi inseguendo una carriera professionale, chi ricercando continuamente nuove amicizie e nuove avventure sentimentali o sessuali, chi dedicandosi con impegno a passatempi o occupazioni di ogni tipo. L’ultra runner va alla ricerca di questa attenzione sottoponendosi a prove che, nel suo inconscio, dovrebbero attirare l’attenzione su di sé per la meritoria capacità di affrontare fatica e sofferenza, valori che, sul piano sociale, sono unanimemente condivisi. Purtroppo, non c’è mai una competizione che, portata a termine con successo, attribuisca definitivamente alla persona quel riconoscimento che si aspetta, e quindi essa andrà alla ricerca di qualche cosa di più difficile, di più estremo, di più faticoso, sperando che qualcuno risponda alla domanda che la sua organizzazione di pensiero di tipo infantile continua a martellare nel suo inconscio: “Non vedete che cosa sto facendo per meritare il vostro affetto? Possibile che debba faticare soffrire così tanto per meritarmelo? Non c’è nessuno che si occupa di me?”. Perché, nonostante si corra insieme a un migliaio di persone e non ci sia praticamente nessun momento, durante le ore della corsa, in cui si è veramente soli, senza nessuno in vista davanti o dietro, chi corre sa che la corsa è un’attività che si compie da soli, con se stessi e contro se stessi. Chi corre a questi livelli è probabilmente spesso una persona fondamentalmente sola, che fa fatica a porsi in relazione con gli altri ma che vorrebbe con tutto se stesso averne stima e approvazione. Chi corre non ha il conforto dei compagni, come avviene negli sport di squadra, né quello di alcun attrezzo, come avviene in sport altrettanto faticosi come lo sci di fondo o il ciclismo. Certo, l’imperativo psicobiologico alla competizione gioca il suo ruolo, rendendo eccitante il fatto di potersi confrontare con altri e affermare per quanto possibile la propria superiorità, se non su tutti, almeno su qualcuno. Certamente il fascino del deserto può costituire uno dei motivi che spingono le persone a prendere in considerazione un’esperienza di questo genere. ! Università Popolare di Scienze della Salute Psicologiche e Sociali (UNIPSI)! 11 Marathon des sables Ma quello che caratterizza una vera e propria prova di iniziazione come questa è anche il complesso rituale di tutta la manifestazione: il richiamo di persone provenienti da ogni parte del mondo, unite da un comune obiettivo; l’attribuzione a ciascuno di segni esteriori (il pettorale, la medaglia e la maglietta di finischer all’arrivo) che sottolineano l’eccezionalità dell’individuo rispetto alla massa e la sua appartenenza a una élite; l’uniforme, e cioè il segno esteriore di appartenenza a questa élite, costituita da cappellino, ghette, zaini e abbigliamento molto tecnico, che differenziano i partecipanti a questo tipo di gare dai semplici corridori della domenica; il luogo nel quale si svolge la competizione, identificabile in due situazioni diverse: da un lato, l’immensità del deserto, dall’altra il cerchio protettivo costituito dall’accampamento riservato solo a coloro che affrontano coraggiosamente questa prova; l’incitazione alla battaglia, rappresentata dal discorso tenuto ogni mattina dall’organizzatore, che crea spirito di unità all’interno del gruppo dei partecipanti e al tempo stesso enfatizza il fatto che chi si trova alla partenza di ogni tappa significa che ha superato, a differenza di altri, un’ulteriore prova. Si consideri, inoltre, che una esperienza come questa implica l’ingresso e lo stazionamento per un’intera settimana all’interno di una dimensione nella quale il mondo dal quale si proviene, con le sue abitudini confortevoli e le sue certezze, scompare per far posto a una quotidianità nella quale l’esistenza di ognuno si concentra quasi esclusivamente sul soddisfacimento del bisogno di sopravvivenza: l’alimentazione, l’espletamento dei bisogni fisiologici, la medicazione delle ferite, l’allestimento del riparo notturno e il sonno ristoratore, la preparazione, ogni mattina, del proprio zaino, vero e proprio tesoro contenente tutto ciò che è necessario per la sopravvivenza. In altre parole, per una settimana ogni partecipante alla competizione, rappresentante dell’Occidente evoluto, tecnologicamente, economicamente, culturalmente e socialmente avanzato, perfino sofisticato nelle sue abitudini, regredisce ad una condizione primitiva nella quale tutto ciò che conta e che esiste è il cibo, la cura del proprio corpo, la forza di volontà, la resistenza al dolore e alla fatica, la determinazione a raggiungere un obiettivo. Finalmente in situazioni come questa l’essere umano ritrova la sua esperienza primordiale dalla quale non si è mai staccato e che resta coperta solo dal velo artificiale della civiltà, e l’emozione indescrivibile di confrontarsi con problemi di sopravvivenza universali e antichissimi è talmente intensa da risvegliare energie, memorie collettive e universali, sensazioni e stati ! Università Popolare di Scienze della Salute Psicologiche e Sociali (UNIPSI)! 12 Marathon des sables d’animo profondissimi, intensi e non esperibili nella quotidianità della propria vita “civile”. In queste situazioni si dà per scontato essere sporchi e non potersi lavare, essere affamati e non poter mangiare ciò che si vuole e quando si vuole, essere costantemente assetati e poter bere soltanto acqua fondamentalmente calda, dormire all’aperto, coperti solo da un telo di lana e da un sacco a pelo, praticamente direttamente sul terreno, e poi camminare o correre con l’imbragatura dello zaino che ferisce le spalle e la schiena e che rende ogni passo molto più pesante e faticoso del normale. Tutto ciò sotto un sole implacabile, per raggiungere un obiettivo - il campo allestito ad ogni tappa - assolutamente effimero e che scomparirà nel giro di poche ore per far posto a un obiettivo identico, altrettanto privo di utilità e di significato, almeno apparentemente. Conclusioni In conclusione, alcune persone, più bisognose di affetto, di stima, di appartenenza di altre per motivi legati alle loro esperienze di vita, sentono il bisogno di vivere esperienze forti e intense per un duplice ordine di motivi: da un lato, per attirare l’attenzione del prossimo su di sé ed essere finalmente amati e considerati per compensare quell’amore e quella considerazione che non si è avuta a sufficienza nella propria infanzia; dall’altro lato, per vivere l’essenza, “il midollo” della vita che solo il contatto fisico e ineludibile con i propri bisogni fisiologici primari, legati alla sopravvivenza, può dare. L’esperienza di vivere quanto di più simile esista attualmente con quella che era la vita quotidiana dei nostri antenati, libera dai condizionamenti della cultura, della scienza, e anche del linguaggio, della comunicazione, della riflessione e della razionalità, è un’esperienza talmente forte e intensa da richiedere, una volta superata, la sua ripetizione, perché nulla dà soddisfazione a un essere umano come la constatazione (confortata dal premio e dal riconoscimento del prossimo) di aver superato una prova che altri non osano affrontare. Questo atteggiamento appartiene alla natura umana e oggi, almeno nella società odierna postindustriale, esso si manifesta attraverso la creatività, l’innovazione, non solo tecnologica, la ! Università Popolare di Scienze della Salute Psicologiche e Sociali (UNIPSI)! 13 Marathon des sables competizione economica e sociale, la ricerca continua di conoscenza ai fini dell’appropriazione delle risorse che l’ambiente è in grado di offrirci. Ma al di sotto di questa che è la sua manifestazione “civilizzata” ed esteriore, cova da sempre il prorompente impulso ad affermare il proprio istinto di sopravvivenza e di vita contro tutto e contro tutti. E così, dopo ogni competizione sempre tesa a mettere alla prova se stessi, ogni atleta tornerà a casa portando con sé un ricordo intenso e struggente, di una tale forza vitale da costringerlo a ripensare spesso all’esperienza vissuta e a desiderare di ripeterla, per poter vivere ancora una volta l’ebbrezza di essere sopravvissuti e di aver quindi goduto fino in fondo, seppur per un breve periodo, del significato più profondo della vita: la vita stessa. Guido A. Morina svolge l’attività di psicologo e counselor come libero professionista, a Torino. È laureato in Giurisprudenza, in scienze e tecniche neuropsicologiche, in Psicobiologia del comportamento umano e in Sociologia. È cofondatore e Presidente della associazione culturale di ricerca scientifica: “Università popolare di scienze della salute psicologiche e sociali” ed è autore di oltre un centinaio di manuali, di testi e di ricerche in materia di psicobiologia del comportamento umano. Sposato da 27 anni, sorprendentemente sempre con la stessa persona, che ama profondamente, è padre di due figli piuttosto bizzarri e dalla personalità complessa, sicuramente migliori di lui. ! Università Popolare di Scienze della Salute Psicologiche e Sociali (UNIPSI)! 14
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