Capitolo 5 (Maastricht) - Università degli Studi di Siena

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Capitolo 5
La transizione verso l’UM e gli accordi di Maastricht1
Indice
5.1. I criteri adesione all’UM nel Trattato di Maastricht
5.2. Perché quei criteri?
5.2.1. Far convergere i tassi di inflazione
5.2.2. Convergenza bilanci pubblici
5.2.3. Convergenza tassi di cambio
5.2.4. Convergenza dei tassi di interesse
5.5.
La Banca Centrale Europea
5.5.1. Due modelli di banca centrale
5.5.2. Caratteristiche istituzionali della BCE
5.5.3. Interessi nazionali e governo della BCE
In questo capitolo esaminiamo i parametri per l’ammissione alla moneta unica che furono stabiliti
nel Trattato di Maastricht. Alcuni riferimenti sono ai capitolo 7 e 8 di De Grauwe (2013). In
quest’ambito esaminiamo anche la struttura istituzionale della BCE. Nel capitolo 6 esamineremo
invece il funzionamento della politica monetaria quale attuato dalla BCE.
5.1. I criteri adesione all’UM nel Trattato di Maastricht
Il Trattato di Maastrict stabilì quattro parametri che i paesi avrebbero dovuto rispettare per essere
ammessi alla moneta unica. Esaminiamoli.
1. A) La stabilità dei prezzi. Il trattato prevede che "Il raggiungimento di un alto grado di stabilità
dei prezzi [...] risulterà da un tasso d'inflazione prossimo a quello dei tre Stati membri, al massimo,
che hanno conseguito i migliori risultati in termini di stabilità dei prezzi".
 il tasso d'inflazione di un dato Stato membro non deve superare di oltre l'1,5% quello dei tre Stati
membri che avranno conseguito i migliori risultati in materia di stabilità dei prezzi nell'anno che
precede l'esame della situazione dello Stato membro.
B) La situazione della finanza pubblica. Il trattato stabilisce che: "La sostenibilità della situazione
della finanza pubblica [...] risulterà dal conseguimento di una situazione di bilancio pubblico non
caratterizzata da un disavanzo eccessivo [...]".
1
E’ consigliabile studiare anche i capitoli 7 e 8 di De Grauwe (2013).
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 al momento dell'elaborazione della sua raccomandazione annuale al Consiglio dei ministri delle
finanze (Ecofin), la Commissione esamina se la disciplina di bilancio sia stata rispettata in base ai
due seguenti parametri:

il disavanzo pubblico annuale: il rapporto tra il disavanzo pubblico annuale e il prodotto
interno lordo (PIL) non deve superare il 3 % alla fine dell'ultimo esercizio finanziario
concluso. In caso contrario, tale rapporto deve essere diminuito in modo sostanziale e
costante e aver raggiunto un livello prossimo al 3% (interpretazione tendenziale) o, in
alternativa, il superamento del valore di riferimento deve essere solo eccezionale e
temporaneo e il rapporto deve restare vicino al valore di riferimento;

il debito pubblico: il rapporto tra il debito pubblico lordo e il PIL non deve superare il 60 %
alla fine dell'ultimo esercizio di bilancio concluso. In caso contrario, tale rapporto deve
essersi ridotto in misura sufficiente e deve avvicinarsi al valore di riferimento con ritmo
adeguato (interpretazione tendenziale).
C) Il tasso di cambio. Il trattato prevede "il rispetto dei margini normali di fluttuazione previsti dal
meccanismo di cambio del Sistema monetario europeo per almeno due anni, senza svalutazione nei
confronti della moneta di qualsiasi altro Stato membro".
Lo Stato membro deve aver partecipato al meccanismo di cambio del Sistema monetario europeo
senza soluzione di continuità nel corso dei due anni precedenti l'esame della sua situazione, senza
peraltro essere stato soggetto a gravi tensioni.
Inoltre, lo Stato membro non deve aver svalutato la moneta nazionale (ovvero il tasso centrale
bilaterale della propria valuta in rapporto a quella di un altro Stato membro) di propria iniziativa nel
corso del suddetto periodo. Dopo il passaggio alla terza fase dell'Unione economica e monetaria
(UEM), il sistema monetario europeo è stato sostituito da un nuovo meccanismo di cambio (ERM
II), che, peraltro, vale solo per gli Stati membri non ancora ammessi ad adottare l'euro.
D) I tassi di interesse a lungo termine. Il trattato prevede che "i livelli dei tassi di interesse a lungo
termine [...] riflettano la stabilità della convergenza raggiunta dallo Stato membro".
 i tassi di interesse nominali a lungo termine non devono superare di più del 2 % quelli dei tre
Stati membri, al massimo, che avranno conseguito i migliori risultati in termini di stabilità dei
prezzi (si tratta di fatto dei medesimi presi in considerazione per il parametro della stabilità dei
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prezzi). Il periodo da considerare è l'anno precedente l'esame della situazione nello Stato membro in
questione.
Il 3 maggio 1998 il Consiglio dell'Unione europea, nella composizione dei capi di Stato o di
governo con la decisione 98/317/CE] verificò all'unanimità che 11 Stati membri: Belgio, Germania,
Spagna, Francia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Austria, Portogallo e Finlandia
soddisfacevano le condizioni necessarie per l'adozione della moneta unica, prevista per il 1º gennaio
1999,
2001 adesione della Grecia, 2007 Slovenia, 2008 Cipro e Malta, 2009 Slovacchia, 2011 Estonia
adotta l'euro. La Lettonia ha adottato l'euro dal primo gennaio 2014 portando così i paesi dell'unione
monetaria a 18.
La Polonia ha per ora rinunciato ad aderire, e pour cause. A differenza dei paesi periferici dell’EZ,
essa ha attraversato la crisi mantenendo tassi di crescita positivi. Un dibattito è aperto nel paese
riguardo a una futura adesione
http://online.wsj.com/article/SB10001424127887324582004578456580340057200.html.
5.2. Perché quei criteri?
Prendendo come riferimento l’esposizione, piuttosto standard, di De Grauwe, cerchiamo di darci
una ragione dei parametri di Maastricht.
5.2.1. Far convergere i tassi di inflazione
Supponiamo che i paesi candidati all’UM presentino preferenze differenti in tema di inflazione.
Prendiamo due paesi, Germania e Italia, per semplicità identici per tutto tranne queste preferenze:
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p
EI
CdPh.I
EG
CdPh.G
un
u
Rifacendoci al modello di Barro & Gordon, assumiamo per semplicità che i due paesi abbiano un un
in comune. Prima dell’UM l’equilibrio dell’I è EI (le autorità italiane tollerano più inflazione per
una data disoccupazione) e quello della G è EG (le autorità tedesche tollerano meno inflazione a
parità di disoccupazione). Si può ritenere che, in assenza di ulteriori regole, nel caso di una UM il
tasso di inflazione si collocherà in una posizione intermedia fra EI ed EG. Il paese G subirà una
perdita di benessere e dunque porrà alcune condizioni al paese I prima di realizzare l’UM. Una
prima condizione è che la nuova BC sia una copia della banca centrale virtuosa (la Bundesbank),
ma ciò non è sufficiente perché la direzione della nuova BC sarà collegiale. Da ciò se ne deduce
che:
 il criterio sulla convergenza dei tassi di inflazione è una prima condizione affinché i paesi
candidati facciano un serio sforzo di avvicinarsi al tasso di inflazione tedesco.
 tassi di inflazione convergenti sono anche apparsi necessari perché non emergessero squilibri di
competitività – dovuti ai disallineamenti nei tassi di cambio reali. Come sappiamo questo è invece
accaduto.
5.2.2. Convergenza bilanci pubblici
Una prima motivazione di questo parametro è che un elevato debito pubblico induce la tentazione di
disfarsene attraverso un’improvvisa inflazione (supponendo che i titoli siano stati emessi nel
passato in base a una più bassa inflazione attesa). Anche questo criterio si basa dunque sull’idea di
evitare una distorsione inflazionistica all’UM.
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Secondo il punto di vista tradizionale, che prevalse a Maastricht e che De Grauwe accetta, elevati
disavanzi pubblici in un paese, per esempio in Italia, spiazzano (crowding out) gli investimenti del
paese virtuoso, per esempio della Germania, poiché comportano un rialzo dei tassi di interesse.
Utilizzando il tradizionale schema IS-LM (figura H), si vede come un aumento della spesa in
disavanzo in Italia determina uno spostamento della funzione IS verso destra determinando un
aumento del tasso di interesse che si ripercuote negativamente sugli investimenti tedeschi.
i
LM
i1
i0
IS1
IS0
Y
Figura H
In maniera critica si può sostenere che se la BC mantiene fermo il tasso di interesse obiettivo i0 essa
può impedire questo aumento dei tassi. Inoltre, da un punto di vista keynesiano una maggiore spesa
in disavanzo nel paese I genera anche maggiore domanda per i prodotti del paese G e in tal senso
incoraggia (non scoraggia) gli investimenti in quel paese.2 Naturalmente, se il paese G è vicino alla
piena occupazione, la maggiore domanda per i propri beni che proviene dal paese I può determinare
una inflazione indesiderata in G.3 La banca centrale potrebbe in questo caso voler accrescere i tassi
di interesse per tenere la domanda aggregata sotto controllo. Se, tuttavia, il paese G non è in piena
occupazione, esso sarà un beneficiario netto dei disavanzi fiscali nel paese I. 4 5
2
E’ un fatto empiricamente assodato, peraltro, che gli investimenti non dipendano dal tasso
dell’interesse ma dalla domanda attesa.
3
In questo senso si dice che i paesi “più keynesiani” esportino inflazione nei paesi “più rigoristi”.
4
Per completezza va precisato che, come s’è visto nel capitolo 4, se l’espansione della domanda nel
paese I genera un disavanzo corrente verso il paese G e un indebitamento (estero) netto verso questo
paese, questo può sfociare in una crisi finanziaria.
5
Si guardi al caso della Grecia e della Germania. Per anni la G non ha criticato la spesa militare del
governo greco che si traduceva in acquisti di armamenti tedeschi e francesi. Fonti malevoli
affermano che le critiche cominciarono quando il governo greco cancellò l’acquisto di alcuni
sottomarini tedeschi usati (quelli già acquistati pare fossero peraltro difettosi)..
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Il punto di vista convenzionale afferma inoltre che in una UM v’è un rischio di moral hazard ta
parte dei governi meni disciplinati che potrebbero essere tentati da maggiori disavanzi pubblici
avvantaggiandosi dei più bassi tassi di interesse apportati dall’UM e dall’aspettativa di un
salvataggio europeo in caso di difficoltà a finanziare il debito. Di qui il divieto contenuto nel
Trattato di Maastrcht a interventi di salvataggio della BCE attraverso acquisti di titoli pubblici a
gfavore di Stati in difficoltà (“no bail out clause”). Come vedremo, in seguito alla crisi tali
interventi si sono invece verificati.
Domandiamoci ora, perché i due criteri del 3% e del 60%?
Denominando B il debito pubblico e D il disavanzo pubblico, per definizione si ha:
B  D
Definendo b = B/Y, ovvero B = bY, differenziando si ha:
B  b Y  Yb
e combinando le due espressioni:
b Y  Yb  D
Ovvero
:
Y
D / Y  b  b
Y
Cioè:
b  d  gb
dove d = D/Y e
g  Y Y .
La stabilizzazione del rapporto debito/Pil, cioè b  0 implica che d =gb, cioè che il disavanzo
cresca al prodotto fra tasso di crescita e stock del debito pubblico sul PIL.
Quando furono stabiliti i parametri, quello del 60% era il valore medio di b per l’EZ (e per la
Germania). Il tasso di crescita nominale fu stimato al 5% (di cui 2% di inflazione pari all’obiettivo
della ECB e 3% reale – assai ottimistico!). Ne deriva un disavanzo tollerabile del 3%.
Si noti che dato g, tanto più alto b, tanto maggiore d. Cioè tanto maggiore è lo stock del debito sul
PIl, tanto più grande è il disavanzo in quota del PIL che un paese può permettersi, a parità di tasso
di crescita, nel rispetto della stabilizzazione del rapporto corrente debito/Pil. Un maggiore
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disavanzo potrebbe avere effetti positivi su g, in un circolo virtuoso in particolare se con bassi tassi
di interesse frutto di una politica monetaria accomodante il disavanzo è indirizzato a spesa pubblica
o riduzione delle imposte ai ceti medio bassi e non più al pagamento di interessi sul debito ai ceti
medio alti. Su questa base alcuni economisti hanno proposto in luogo dell’austerità scelta
dall’Europa, si punti a stabilizzare (non ridurre) b accanto a una politica monetaria accomodante.
Per contro, con le misure di austerità b è aumentato nei paesi della periferia europea. Torneremo su
questo nel capitolo 7.
5.2.3. Convergenza tassi di cambio
Con questo criterio si intendevano evitare svalutazioni last minute per avvantaggiarsi sui partner.
Come s’è visto nel capitolo 4, alcuni economisti tedeschi giustificano le politiche di moderazione
salariale adottate in Germania nei primi anni dell’UME sulla base della tesi che quel paese entrò
nell’euro a un tasso di cambio nominale (e fissato il cambio con i partner, reale) sopravvalutato. Si
trattava dunque per la Germania di recuperare competitività attraverso la moderazione salariale e un
tasso di inflazione più basso dei concorrenti. Anche se fosse stato vero che la Germania entrò a tassi
di cambio sopravvalutati, questo era perfettamente in linea col fatto che l’inflazione nei paesi
partner era, e sarebbe plausibilmente rimasta, superiore a quella tedesca.
5.2.4. Convergenza dei tassi di interesse
La motivazione di questo criterio è che una volta che le parità di cambio sono fissate
irrevocabilmente, un paese con tassi di interesse sui titoli a lungo termine più elevati avrebbe
attirato investimenti finanziari a discapito dei partner. L’esperienza ha mostrato come una volta che
vi sia un’aspettativa consolidata che un paese aderisca all’accordo di cambio, i tassi di interesse
cominciano a convergere in quanto cade il rischio di svalutazione. Quindi la regola tende a autoavvalorarsi. Ciò è accaduto per i tassi dei paesi periferici che hanno cominciato a diminuire prima
del 2008. Questo aiutò, peraltro, l’ingresso dell’Italia perché diminuì il costo della raccolta per il
settore pubblico agevolando, assieme ad altre misure, il rientro nel parametro del 3%.
5.5. La Banca Centrale Europea6
5.5.1. Due modelli di banca centrale
6
Sugli aspetti istituzionali della BCE c’è un utile video che si può utilmente consultare:.
http://www.ecb.int/ecb/educational/movies/html/index.en.html (role & task/ monetary policy
strategy/governing bodies)
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De Grauwe (2013 confronta due modelli di BC:
 anglo-francese, in cui la BC si occupa sia di stabilità dei prezzi che di stabilizzare ciclo, piena
occupazione, crescita, stabilità sistema finanziario ecc.
 tedesco, in cui stabilità dei prezzi è il solo obiettivo
Lo statuto BCE quale approvato a Maastricht segue il modello tedesco per cui ogni altro obiettivo è
subordinato alla realizzazione della stabilità dei prezzi. Si sancisce inoltre l’indipendenza politica e
il divieto al finanziamento disavanzi pubblici.
Da un punto di vista analitico, il modello tedesco avrebbe prevalso in ragione della
controrivoluzione monetarista (modello B&G) prevalente all’epoca dei Trattati, e comunque
condiviso dalla grande maggioranza degli economisti tedeschi. Secondo tale visine, il tasso di
disoccupazione è ancorato al suo valore naturale, e una disoccupazione più bassa implica costo
inflazionistico. Il NAIRU si può diminuire solo con politiche strutturali di liberalizzazione dei
mercati. Date le pressioni dei governi sulle BC, queste vanno rese indipendenti dal potere politico.
Marcello De Cecco, il grande studioso di economia internazionale, argomentò tempo fa che le
nomine delle altissime cariche della Bundesbank sono solitamente politicamente pilotate, a
differenza della Banca d’Italia che in genere promuove per carriera interna. Chi scrive preferisce le
nomine politiche, che bene o male rispondono agli elettori, a quelle tecnocratiche. Per cui la
Germania fa benissimo a fare come fa. Ciò che non apprezzo è l’ipocrisia circa ciò che si predica
agli altri e ciò che si fa in casa propria.
Da un punto di vista politico, la Germania aveva interesse a una BC europea che perpetuasse il
ruolo della Bundesbank di controllo dell’andamento dei salari nominali e di un tasso di cambio
esterno relativamente “forte”. Questi obiettivi, volti a mantenere un livello di inflazione
relativamente basso, sono funzionali al modello mercantilista tedesco. Così la Germania ha
scambiato la rinuncia al DM con una BC europea erede della Bundesbank.
A confronto con la Fed americana, si può osservare che:
 L’indipendenza statutaria della BCE le dà una forza notevole rispetto alle istituzioni
democratiche europee come il Parlamento, forza che la FED non ha. Nel caso della FED,
infatti, il Parlamento può modificare le attribuzioni della FED, ciò che non è il caso della
BCE. Quindi le implicazioni delle audizioni parlamentari dei Presidenti sono nei due casi
ben diverse.
 Inoltre, dice DG, è stata la BCE stessa a interpretare la vaghezza dei Trattati circa i propri
obiettivi dando maggiore e quasi esclusiva enfasi alla stabilità dei prezzi, Mentre la FED è
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per statuto obbligata a perseguire anche la piena occupazione, la BCE ha come obiettivo
prioritario la stabilità dei prezzi. Secondo De Grauwe la BCE ha interpretato piuttosto alla
lettera tale mandato.
In effetti, ciò che emerge dai dati è che la BCE è molto più cauta della FED nel manovrare i tassi.
Figura W
Figura T
La BCE: una banca centrale “conservatrice”? (da De Grauwe 2013, cap. 8).
Secondo De Grauwe, la controrivoluzione monetarista e la posizione dominante della
Germania hanno portato alla creazione di una BCE fortemente impegnata a mantenere la stabilità
dei prezzi ma scarsamente responsabile nei riguardi della stabilizzazione delle fluttuazioni della
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produzione e dell’occupazione. Possiamo allora affermare che la BCE è una banca centrale
«conservatrice», cioè un’istituzione che, rispetto al resto della società, considera la stabilità dei
prezzi molto più importante della salvaguardia della produzione e dell’occupazione? Cosa ci
suggerisce l’esperienza? Non è facile rispondere. De Grauwe confronta le azioni di politica
economica intraprese dalla BCE e quelle della Fed americana. La figura W mostra i tassi di
interesse a breve fissati da queste banche centrali. È interessante osservare come la Fed abbia
reagito molto più intensamente al rallentamento dell’economia del 2001: ha portato il tasso di
interesse dal 6,5% della fine del 2000 a meno del 2% della fine del 2001 – sebbene molti
osservatori abbiano poi sostenuto che la Fed abbia mantenuto il tasso di interesse troppo basso e
troppo a lungo, innescando così la bolla dei mercati immobiliari che ebbe origine
approssimativamente a quel tempo.) Dal 2004 in poi la Fed ha iniziato a irrigidire nuovamente la
politica monetaria e ha accresciuto il tasso di interesse al di sopra del 5%, fino all’esplosione della
crisi finanziaria dell’agosto 2007, quando lo ha tagliato in modo repentino.
Il contrasto con la BCE è molto chiaro (Figura T). La BCE è stata molto più moderata nel
manovrare il proprio tasso di interesse. Per esempio, durante la recessione del 2001-03 la BCE ha
ridotto il tasso di interesse in modo molto meno severo della Fed, e lo ha accresciuto di meno
durante il boom del 2006-07. E ancora, all’inizio della recessione del 2008 ha reagito con maggiore
ritardo e meno intensamente della Fed.
La differenza di attivismo fra la Fed e la BCE – continua De Grauwe – viene confermata
anche dal fatto che nel periodo 1999-2011 lo scarto quadratico medio del tasso di interesse di
riferimento della Fed fu pari all’2,1%, contro l’1,1% di quello della BCE (mentre la media di questi
tassi di riferimento era la stessa negli Stati Uniti e nell’UE, ossia del 2,7%). Questo semplice
confronto dei tassi di interesse non tiene però conto della differenza esistente fra le condizioni
economiche sottostanti degli Stati Uniti e dell’Eurozona. Per trattare questo problema, mostriamo
l’evoluzione dei tassi di interesse a breve e quella degli output gap delle due economie nelle figure J
e K. (L’output gap è definito come la differenza tra il prodotto corrente e il prodotto potenziale
ottenibile dalla capacità produttiva esistente.) Il confronto tra questi dati conduce De Grauwe a
trarre le seguenti conclusioni.
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Figura J (EZ)
(fonte: De Grauwe 2013)
Figura K (USA)
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1. BCE appare reagire a variazioni dell’output gap, vale a dire se il livello dell’output
corrente è basso cerca di ridurre il valore del tasso di interesse per sostenere l’economia e viceversa.
È plausibile, dunque, che la BCE dia un peso positivo al problema della stabilizzazione dell’output,
almeno sino a quando ciò non metta in pericolo l’obiettivo primario del controllo dell’inflazione. In
conclusione, sostiene De Grauwe, i comportamenti della BCE sono stati motivati sia dalla
consapevolezza che i livelli di output condizionano l’inflazione futura, sia da un genuino desiderio
di stabilizzazione dell’output.
2. Le reazioni della BCE alle variazioni dell’output gap sono comunque state meno intense
di quelle della Fed. Da un lato la riduzione del tasso di interesse decisa dalla Fed è stata motivata
dal forte rallentamento dell’output gap americano nel 2001, mentre nello stesso periodo la BCE
non tagliò di altrettanto il tasso di interesse perché il declino dell’output gap fu meno marcato.
Tuttavia, nel biennio 2003-04, la riduzione dell’output gap nell’Eurozona fu almeno altrettanto forte
di quella americana degli anni precedenti e ciò nonostante le reazioni della BCE non sono state così
pronunciate. Vale a dire, la situazione europea nel biennio 2003-05 era paragonabile a quella
americana del 2001-03, ma la BCE si è mostrata meno propensa della Fed a stimolarla. Tale scelta
potrebbe essere spiegata dal fatto che il tasso di inflazione è stato significativamente più elevato
nell’Eurozona rispetto agli Stati Uniti, costringendo la BCE a essere più cauta nei suoi tentativi di
stimolare l’economia? La risposta è negativa, sostiene D Grauwe. Fra il 1999 e il 2010 il tasso
medio di inflazione è stato pari al 2,1% nell’Eurozona e al 2,3% negli Stati Uniti. Sembra quindi
che l’atteggiamento più moderato della BCE nei confronti della stabilizzazione dell’output non sia
stato dovuto a maggiori rischi di inflazione nell’Eurozona rispetto agli Stati Uniti. Tutto ciò appare
confermare, conclude De Grauwe, che la BCE attribuisce meno importanza alla stabilizzazione
della produzione rispetto alla Fed.
In sintesi, dall’analisi di De Grauwe risulta che la BCE è più conservatrice della Fed, in
quanto attribuisce maggiore importanza al mantenimento della stabilità dei prezzi ed è più cauta nel
rispondere alle fluttuazioni cicliche. Non si può tuttavia concludere che la Fed abbia attuato
politiche migliori di quelle della BCE. Oggi molti economisti, osserva De Grauwe,convengono che
nel periodo 2001-04 le politiche monetarie della Fed sono state troppo espansive troppo a lungo,
alimentando così un boom nel mercato immobiliare statunitense e contribuendo altresì a
un’espansione generalizzata dei consumi nel paese. Questi boom si sono sgonfiati rovinosamente
nel 2007. Altri economisti, aggiungiamo noi, sottolineano che tale politica della Fed era necessaria
per sostenere la domanda aggregata la quale era sotto gli effetti negativi del minore potere
d’acquisto dei ceti medi conseguente alla significativa redistribuzione dei redditi a favore di quelli
medio-alti che si era verificata a partire dagli anni 1980.
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5.5.2. Caratteristiche istituzionali della BCE7
Scorriamo le caratteristiche istituzionali di BCE ed Eurosistema utilizzando direttamente estratti da
un documento della BCE (http://www.ecb.int/ecb/educational/facts/orga/html/or_001.en.html)
The European System of Central Banks
The European System of Central Banks (ESCB) comprises

the European Central Bank (ECB) and

the national central banks (NCBs) of all 28 EU Member States.
This means that the ESCB includes the national central banks of those EU Member States that have
not yet adopted the euro, be it due to their special status (Denmark, United Kingdom) or because
they have a derogation. The latter currently applies to Sweden as well as 8 of the 13 Member States
that have joined the EU since May 2004. This means in consequence: these countries still have their
own national currency, for which they still conduct their own monetary policy and their respective
central banks keep for the time being their monetary sovereignty. This also means, of course, that
they are not involved in the performance of the core activities of Monetary Union, such as the
conduct of the monetary policy for the euro area.
The non-euro area NCBs are nevertheless committed to the principles of monetary policies which
aim at price stability. Furthermore, ESCB membership implies at varying degrees active
cooperation with the Eurosystem in several fields of activity, such as participation in the TARGET2
payment system and support in the collection of statistics. In addition, the European Exchange Rate
Mechanism II (ERM II) provides a framework for monetary and exchange rate policy cooperation
with the Eurosystem. The institutional forum for such cooperation is the General Council of the
ECB.
The Eurosystem
Members
The legal texts which established the European System of Central Banks (ESCB) - the Maastricht
Treaty and the Statute of the ESCB of 1993 - were written on the assumption that all EU Member
States will adopt the euro and that therefore the ESCB will conduct all the tasks involved in the
single currency. However, until all EU countries have introduced the euro, it is the "Eurosystem"
which is the key actor. The term "Eurosystem" covers the ECB and the national central banks of
7
Si consulti il video della BCE:
http://www.ecb.int/ecb/educational/movies/html/index.en.html?id=5
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those EU Member States that have adopted the euro. Until now an unofficial term, it is mentioned
for the first time in the Lisbon Treaty (Article 282 of the Treaty on the Functioning of the European
Union).
The Eurosystem as the central banking system of the euro area comprises:

the ECB; and

the national central banks (NCBs) of the 17 EU Member States whose common currency is
the euro.
The Eurosystem is thus a sub-set of the ESCB. Since the ECB's policy decisions, such as on
monetary policy, naturally apply only to the euro area countries, it is in reality the Eurosystem,
which, as a team, carries out the central bank functions for the euro area. In doing so, the ECB and
the NCBs jointly contribute to attaining the common goals of the Eurosystem.
Key for subscription of the ECB's capital
The shares of the national central banks (NCBs) in the ECB's capital key reflect the shares of the
Member States in the total population and gross domestic product of the EU, in equal weightings.
Eurosystem NCBs are required to pay up their subscribed capital in full. The non-euro area NCBs
only have to pay up a minimal percentage of their subscribed capital as a contribution to the
operational costs of the ECB.
Decision-making bodies of the ECB
Fulfilling the ECB’s mission
The ECB’s mission is to keep inflation low and stable. To achieve this goal, it closely follows
economic developments in the euro area and seeks to influence the state of the economy through its
decision-making. The ECB has three bodies which take all the decisions in this respect:

the Governing Council,

the Executive Board, and

the General Council.
The General Council will exist only as long as there are EU Member States which have not yet
adopted the euro as their currency. Both the decision-making procedures and the various tasks are
specified in the Statute of the European System of Central Banks (ESCB Statute).
Governing Council
Members
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The Governing Council of the ECB is the main decision-making body of the Eurosystem. It
comprises

all the members of the Executive Board of the ECB, and

the governors/presidents of all the national central banks (NCBs) of the euro area, i.e., those
EU Member States that have adopted the euro.
The Treaty on the Functioning of the European Union and the Statute of the European System of
Central Banks (ESCB Statute) assign to the Governing Council the power to take the most
important and strategically significant decisions for the Eurosystem. When taking decisions on
monetary policy and on other tasks of the Eurosystem, the members of the Governing Council act
not as national representatives but in a fully independent capacity.
The Governing Council currently meets twice a month, usually on the first and third Thursday.
Interest rate decisions are normally discussed at the first meeting of the month only. The President
of the EU Council/Eurogroup and a member of the European Commission may attend the meetings,
but without having the right to vote. Each member of the Governing Council has one vote and,
unless otherwise provided for in the ESCB Statute, the Governing Council acts by simple majority.
In the event of a tie, the President has the casting vote. Although the proceedings of the meetings
are confidential, the Governing Council makes the outcome of its deliberations public, primarily
those about setting the key interest rates, via a press conference which is held after the first
Governing Council meeting of each month. Since December 2004 decisions taken by the Governing
Council other than those setting interest rates have also been published every month on the websites
of the Eurosystem central banks.
Executive Board
The Executive Board of the ECB is the operational decision-making body of the ECB and of the
Eurosystem. It assumes the responsibility for all the decisions which need to be taken on a day-today basis. The ECB must be able to react and adapt to quickly changing conditions in the money
and capital markets, to address specific cases and to deal with matters of urgency. This function can
only be performed by a body whose members are permanently and exclusively involved in the
implementation of the ECB's policies. The Executive Board usually meets once a week.
Members
The Executive Board comprises

the President of the ECB,
17

the Vice-President of the ECB, and

four other members.
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All of the Executive Board members are chosen from among people of recognised standing and
with professional experience in monetary or banking matters. They are appointed by a qualified
majority vote of the governments of the euro area countries at the level of the Heads of State or
Government, on a recommendation from the EU Council after it has consulted the European
Parliament and the Governing Council of the ECB.
As a member of the Executive Board, the President of the ECB has a prominent status and exercises
certain functions exclusively devoted to him/her (or in his/her absence to the Vice-President):
chairing meetings of the Governing Council, the General Council and the Executive Board of the
ECB; representing the ECB externally; and presenting the Annual Report of the ECB to the EU
Council and the European Parliament. Furthermore, the President is invited to participate in EU
Council meetings in which matters relating to the objectives and tasks of the Eurosystem are
discussed. In addition, he/she is invited to the meetings of the Eurogroup, the informal group of the
euro area ministers of finance and economy.
5.5.3. Interessi nazionali e governo della BCE
Un dibattito è aperto circa la composizione del consiglio direttivo della BCE (si veda
http://www.lavoce.info/modello-fed-per-la-bce). Secondo alcuni, infatti, il fatto che tutte le BCN
sono rappresentate indica che esso è luogo di disputa di interessi nazionali. Ciò non accade nella
FED che raggruppa banche centrali regionali che a loro volta “incorporano” più Stati (v. figura E).
Comunque, una volta che i membri dell’UME siano diventati almeno 18 il sistema di voto darà tale
per cui il numero dei governatori con diritto di voto sarà ristretto a 15, a turno ma con i paesi
maggiori che voteranno più spesso.
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17/10/2014
Figura E (da http://www.lavoce.info/modello-fed-per-la-bce)