l’Editoriale di Alfonso Rubinacci “Legittimazione del ruolo e prestigio sociale dei docenti: nodo e leva per la buona scuola” L a rilevazione delle opinioni sul ripensamento del sistema scolastico, avviata con il documento “La Buona Scuola” del Governo, aiuta a collocare l’attenzione, tra l’altro, su i vari profili professionali, nelle loro responsabilità, nelle loro esigenze di informazione e formazione. “La Buona Scuola”, anche se il dato concreto riguarda, in particolare, l’assunzione di 150 mila precari, ha il pregio, però, di dare l’idea di una direzione di marcia, di una prospettiva di lungo periodo. Contiene cose buone e sensate che offrono l’opportunità di riflettere, anche, su una caratteristica del tempo presente che sembra “aver smarrito il suo passato e tende a vivere in un precario presente, solcato dai timori del futuro”. Il sistema educativo ha bisogno di ritrovare subito fiducia con interventi che puntino come sottolinea Maria Pia Veladiano - alla valorizzazione degli insegnanti “che oggi vanno in classe caricati da un debito di fiducia e devono dimostrare di essere diversamente insegnanti per essere riconosciuti nel loro valore”. La perdita di prestigio del ruolo del docente, e in generale di tutti i ruoli educativi, è una rappresentazione diffusa perché la condizione sociale attuale, caratterizzata da una consolidata alfabetizzazione di base e da un policentrismo formativo, affievolisce la percezione di centralità della scuola e dei docenti, quali depositari di un sapere e rappresentanti di una cultura. La crisi del ruolo del docente deriva dal fatto che la sua soggettività non produce più quella fiducia su cui ancorare una visione del futuro che è per definizione incerto e rischioso. Oggi la “consapevolezza della incidenza del futuro si è enormemente accresciuta in un mondo globalizzato le cui parti sono interconnesse, ma in cui la comprensione dei processi è diventata più opaca e i pericoli sono non sufficientemente calcolabili” (Remo Bodei, il Sole 24ore del 14/9/14). Crisi della scuola e degli insegnanti Di fronte alla società della globalizzazione, della conoscenza pervasiva, del rischio esistenziale, sembra perdersi il “senso” della scuola che sembra limitato a “contenere” e “far passare” il tempo della crescita dei ragazzi, mentre tutto è in costante accelerazione. La scuola non è al centro di una giovinezza che avanza le sue richieste di trasformazione del mondo, ma di una difesa dell’esistente spento, stanco, lontano dal desiderio. L’immagine può apparire cruda, qualcuno potrebbe dire cattiva, ma ben esprime il disorientamento che avvolge la società circa i compiti della scuola, e che si riverbera sui genitori, sugli allievi, sugli insegnanti. Le strade per contrastare “… il vuoto di fiducia che si sta allargando intorno alla scuola non dipende solo dalle dinamiche interne al sistema educativo. Manca nella nostra società un disegno condiviso di sviluppo economico che … restituisca consapevolezza collettiva su obiettivi e spazio d’azione dell’ordinamento educativo”(La sfiducia crescente nella scuola, Censis 2014) esistono e vanno battute con perseveranza e determinazione, ma per farlo occorre mettere da parte la voglia di lanciare slogan e misurarsi con i problemi reali. Parlare sempre e solo di crisi conduce, tuttavia, ad un vicolo cieco e non consente, a partire dagli stessi operatori della scuola, di costruire condizioni di sistema che modifichino la percezione della realtà e l’idea stessa del futuro, di elaborare un modo nuovo di svolgere la professione, in relazione sia alle occasioni di riscoprire un agire di ruolo impegnativo, ma anche accattivante e ricco di soddisfazioni. Da qui l’accortezza di capire quanto sia fondamentale chiedersi il perché di ogni situazione che ci si propone di risolvere e, soprattutto, bisogna essere capaci di darsi una risposta onesta. Le ragioni le conosciamo, ma il solo elencarle aiuta a capire la gravità delle implicazioni: • Nonostante l’importanza del ruolo sociale del docente, come e perché si affievolisce la percezione sulla centralità di questo ruolo? • Perché la femminilizzazione della professione docente (oltre il 94% nella scuola primaria)? Come impatta questo aspetto sulla crescente immigrazione appartenente a sistemi di credenze diverse dalle nostre? • Qual è il riconoscimento degli allievi e perché, rispetto ad un tempo passato, vi sono manifestazioni che denunciano uno scarso rispetto del docente? • Perché è così scarsamente considerata come categoria lavorativa, pur in presenza di numeri elevati? • Quali i rapporti scuola famiglia? Perché si registrano spesso forti conflittualità anziché una serena collaborazione? • Perché la crescente incapacità da parte della famiglia di produrre sistemi o protocolli educativi validi e strutturati? • Perché il crescente disorientamento in una agenzia di socializzazione e formazione basilare come la Scuola con la perdita di consapevolezza e di certezze valoriali? Di fronte a questa situazione cosa fare? Prenderne atto e correggerne il tiro è esercizio difficile, ma senza alternativa. Prospettive di sviluppo del profilo professionale Questo sfondo ci impone di assumere la crisi del docente come punto di partenza di una trasformazione di ruolo sociale e culturale connotato da una raffinata capacità di lettura delle condizioni dell’educabilità delle nuove generazioni. Un ruolo, quindi, non più basato semplicemente su certezze e proiezioni ( la materia insegnata, le competenze disciplinari, l’apparato amministrativo/burocratico) bensì sulla fluidità del quadro valoriale e sulla continua revisione del sapere. E’ dunque necessario un nuovo profilo ricombinante per uscire dall’immagine tradizionale. Un nuovo profilo che va definito non vagheggiando una nuova Silicon Valley, ma individuando un percorso che sia sintesi alta tra ciò che abbiamo di meglio e il nuovo ciclo che si è aperto tra le filiere culturali e sociali e i saperi/servizi. L’obiettivo è concretizzare un cambio di mentalità per incoraggiare lo sviluppo di comportamenti professionali, approcci innovativi alla leadership e modelli pedagogici che possono aiutare le istituzioni scolastiche ad adeguarsi al mondo d’oggi. Di recente il “senso comune” sembra risvegliarsi all’insegna di nuove preoccupazioni e insicurezze, con nostalgia per i segnali segue a pag. 6 TuttoscuolA n. 546 3 l’Editoriale segue da pag. 3 univoci. La società “civile”, non più capace di “dire i no”, chiede alla scuola di rafforzare la sua funzione, attraverso i richiami ricorrenti a temi quali la responsabilità, l‘etica nei comportamenti, la capacità di orientare al progetto di vita e allo sviluppo della persona. Una funzione, perciò, non di mera trasmissione del sapere ma di accompagnamento, di guida, di organizzazione, anche per garantire la mobilità sociale.. Nei confronti della società la scuola ha, tra gli altri, un compito molto preciso: alla perdita di orizzonti contrapporre la formazione e l’orientamento, al carattere casuale dei valori un modo di pensare e di agire consapevole, all’esperienza di sentirsi indifesi quella di realizzare obiettivi sociali e individuali. Per queste ragioni, abbiamo bisogno di docenti aperti di spirito e con un’affinata consapevolezza dei problemi attuali e delle prospettive della società di domani; abbiamo bisogno di docenti convinti loro stessi di svolgere un ruolo attivo e importante nel forgiare la società e il suo futuro. Perché ciò avvenga, il loro lavoro deve iscriversi in un percorso di formazione permanente, di lifelonglearning. Gli insegnanti, infatti, come tutti i lavoratori, e oserei dire cittadini, non saranno mai completamente formati. Essi generalmente non sono considerati dei ricercatori, almeno nella comune accezione del termine, ma devono comunque essere capaci di appropriarsi in maniera significativa dei risultati della ricerca in ambito educativo, di “interrogarla”, di far evolvere i propri saperi e le proprie competenze in funzione delle innovazioni. La ricerca, insomma, deve far parte della loro formazione permanente per far sì che acquisiscano quelle competenze necessarie per analizzare le situazioni come ricercatori, prendere decisioni, agire efficacemente e modificare i propri comportamenti professionali. E per far sì che aumentino non solo l’efficacia e la significatività dell’apprendimento e dell’insegnamento, ma anche il prestigio e il riconoscimento sociale della funzione docente. Una massa di persone con mentalità diversa permetterebbe alla scuola di fare quel salto di qualità di cui ha bisogno nella prospettiva di “un’altra scuola”, sporadicamente già anticipata in alcune aule del nostro sistema scolastico ma ancora da concretizzare in un nuovo, condiviso e generale progetto che mobiliti le aspettative e le energie di tutti. I veri catalizzatori del rinnovamento nell’ambiente professionale, i promotori e propagatori del rinnovamento culturale sono i docenti che si pongono interrogativi e assumono impegni sia dal punto di vista dell’aggiornamento ed evoluzione della propria professionalità, sia dal punto di vista del genitore e del cittadino-contribuente. Il fatto è che questi docenti, oltre a non essere quasi mai riconosciuti, sono spesso anche avversati, scoraggiati o 6 isolati. Il “corpo” dei docenti è frantumato in tre livelli: in alto le avanguardie a presidiare istituti con elevato valore aggiunto, all’estremo opposto una parte consistente di docenti con poche possibilità di reggere la transizione, in mezzo una parte consistente che resiste, ma naviga a vista. Attrattività e prestigio del ruolo degli insegnanti Per un recupero deciso e significativo del riconoscimento sociale e del prestigio si impone, in modo sempre più significativo, la necessità di disporre di un quadro di riferimento che consenta lo sviluppo professionale e la carriera, ancorati a specifici standard di riferimento. Tali standard devono essere conseguiti sia attraverso percorsi formativi, sia grazie al riconoscimento di crediti. A tale riconoscimento dovrebbe corrispondere un riconoscimento economico ed organizzativo. In questo scenario, la certificazione delle competenze dei docenti può essere un utile strumento per sostenere lo sviluppo professionale di ciascun insegnante, lo sviluppo organizzativo delle istituzioni scolastiche ed anche lo sviluppo di carriera: un adeguato sistema di certificazione delle competenze dei docenti dovrebbe far parte del sistema nazionale di valutazione. In coerenza con le trasformazioni dei sistemi educativi indicate dall’Unione europea, occorre costruire in modo partecipato e condiviso, una rappresentazione dei ruoli professionali dei docenti descritti per competenze, dotandosi di un sistema di certificazione che testimoni all’interno e all’esterno dell’organizzazione scolastica la professionalità agita da ciascun insegnante: questo significa “accreditare” la professionalità docente affinché sia di nuovo riconosciuta la stima e la fiducia necessaria. Un sistema di certificazione delle competenze potrebbe concorrere a definire i livelli di responsabilità e complessità agite, a favorire lo sviluppo professionale, la valorizzazione delle potenzialità e degli esiti raggiunti, l’implementazione sostenibile del miglioramento continuo di qualità delle prestazioni professionali, la consapevolezza del proprio senso di autoefficacia professionale. Ciò produce inevitabilmente significative e positive ricadute sulla percezione del ruolo docente all’esterno. La possibilità di assicurare credibilità e affidabilità alla scuola – e, in modo particolare, ai docenti e dirigenti scolastici - è direttamente collegata alla necessità di dotarsi di un sistema di valutazione che renda certo, trasparente e rendicontabile il risultato del servizio scolastico. In tale prospettiva sembra muoversi muove il Sistema nazionale di valutazione, avviato in quest’ anno scolastico, sperando che le attese non vengano deluse dalle realizzazioni, perché sarebbe un’altra pericolosa battuta d’arresto per l’innovazione. TuttoscuolA n. 546
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