Il sistema portuale costituisce un elemento cruciale per la

LA RIFORMA DEL SISTEMA PORTUALE ITALIANO
LE PRIORITÀ E LE PROPOSTE DI CONFINDUSTRIA
1.
PREMESSA: I PORTI COME INFRASTRUTTURE FONDAMENTALI PER LO SVILUPPO
Il sistema portuale costituisce un elemento cruciale per la competitività e lo sviluppo del
nostro Paese e riveste un ruolo fondamentale nella complessa e articolata rete logistica
nazionale.
I porti sono, da una parte, i nodi infrastrutturali strategici del nostro sistema logistico, le
“porte di accesso” ai mercati nazionali attraverso cui transitano materie prime e semilavorati destinati alla produzione industriale, nonché prodotti finiti destinati alla
commercializzazione; dall’altra, rappresentano l’infrastruttura fondamentale di un settore
economico, la cd. “economia del mare” (cantieristica, imprese terminaliste, imprese che
erogano servizi tecnico-nautici, servizi all’armamento, crocierismo, etc.), che contribuisce
per il 2,6% alla formazione del PIL ed alimenta significativamente i flussi di export ed import.
Nonostante la grande potenzialità del sistema portuale italiano, negli anni è emersa talvolta
una concezione dei porti come sistemi chiusi ed a valenza localistica, che ha di fatto
condizionato alcuni scali nella crescita e nello sviluppo in linea con la domanda di servizi
derivante dalla trasformazione dei commerci internazionali, profondamente mutata negli
ultimi anni ed in continua trasformazione, riducendone così il contributo alla creazione di
una filiera di servizi ed infrastrutture di logistica integrata.
La portualità italiana sconta, inoltre, una serie di ulteriori “difficoltà” tra cui in particolare: i)
un’inadeguatezza delle risposte infrastrutturali ai cambiamenti dei mercati e dei traffici; ii)
una carenza di moderne connessioni ferroviarie e stradali; iii) l’assenza di una visione
strategica nazionale circa la valutazione, la scelta e la realizzazione degli investimenti; iv) in
diversi casi, un’insoddisfacente amministrazione dei porti; v) una burocrazia eccessiva; vi) il
mancato coordinamento tra le diverse Amministrazioni pubbliche coinvolte; vii) un
incremento di tasse/diritti portuali e canoni anche in periodo economico recessivo.
I porti italiani, anche per effetto dell’andamento dell’economia nazionale, hanno così
progressivamente maturato un significativo gap competitivo con i principali sistemi portuali
del Nord-Europa ed hanno assunto una posizione di sostanziale difesa degli attuali traffici,
anziché di sviluppo concorrenziale, come quello intrapreso dalle altre portualità europee del
Mediterraneo (soprattutto spagnole) e di quelle emergenti del Nord Africa, perdendo così
(soprattutto nei container) il ruolo di leadership dell’Area raggiunto negli anni precedenti.
2.
IL CONTRIBUTO DI PROPOSTA DI CONFINDUSTRIA
In questo quadro problematico, ulteriormente gravato dalla perdurante crisi economica,
Confindustria condivide appieno – a 20 anni dall’adozione della legge quadro per la
1
portualità, L. 84/1994 – la necessità di una riforma del sistema portuale che miri ad
sostenere la competitività dei porti italiani, all’interno di una visione strategica di più ampio
respiro per il rilancio dell’intero settore logistico.
Per realizzare un‘efficace riforma portuale, Confindustria ha individuato 11 tematiche sulle
quali ritiene prioritario intervenire, quali:
1) La programmazione del sistema portuale e la classificazione dei porti;
2) Gli strumenti di pianificazione del porto;
3) La natura giuridica e le funzioni degli enti di gestione dei porti;
4) La governance portuale – Organi decisionali e consultivi dell’Autorità Portuale;
5) L’autonomia finanziaria e il finanziamento degli investimenti portuali;
6) Il mercato delle attività e dei servizi portuali;
7) La regolazione del mercato del lavoro portuale;
8) Le responsabilità e le competenze amministrative nel porto;
9) Le concessioni portuali;
10) L’attività di dragaggio;
11) La fiscalità portuale.
Su tali tematiche, vengono qui di seguito esplicitate le osservazioni e le proposte condivise
da Sistema Associativo di Confindustria, a cui aderiscono rappresentanze di categoria e
territoriali direttamente interessate alla riforma portuale.
1) La programmazione del sistema portuale e la classificazione dei porti
Appare indispensabile una specifica “pianificazione di sistema”, a livello nazionale, della
portualità – basata su logiche di integrazione logistica delle reti e delle attività economiche e
di prevalenti specializzazioni (considerando quelle già espresse) degli scali – attraverso la
predisposizione, ad esempio, di linee guida chiare ed operative, che indichino le scelte
politico-strategiche nazionali in materia, alle quali le diverse realtà portuali territoriali
saranno chiamate ad uniformarsi, “integrandosi” con le pianificazioni territoriali di
riferimento.
Una particolare attenzione dovrà essere riservata allo sviluppo delle infrastrutture
ferroviarie interne al porto e alla loro relativa interconnessione con la rete nazionale
ferroviaria. Tali collegamenti dovrebbero risultare vincolanti per poter qualificare i singoli
porti tra quelli aventi rilevanza economica internazionale e nazionale, nella logica di
migliorare l’efficienza generale del sistema portuale e di agire come leva per incrementarne
l’attrattività per utenti ed investitori.
La portualità nazionale deve, quindi, riscoprire la propria vocazione ad operare nell’ambito di
una complessiva competitività di sistema, superando la tendenza ad alimentare una
competizione tra singoli porti (non sempre in grado di valorizzare al meglio capacità
operative e vocazioni, né di orientare gli investimenti infrastrutturali), per assicurare così
un’adeguata crescita operativa dei porti ed adeguati ritorni agli investimenti pubblici e
privati.
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In tale contesto, occorre attuare politiche di sviluppo adeguate alle funzione del porto,
tenendo in debita considerazione la differenziane degli scali portuali in “gateway” e
“transhipment”, considerato che quest’ultimi, diversamente dai primi, operano in un
contesto competitivo intercontinentale e subiscono la pressione di concorrenti soprattutto
extra UE.
In questa logica, non si ritiene condivisibile la creazione di ulteriori livelli intermedi
amministrativo-decisionali, come pare delinearsi nel disegno di riforma portuale del
Governo, le cd. “Autorità portuali logistiche” (APL), che complicherebbero ulteriormente e
non semplificherebbero un quadro già di per sé stesso complesso.
Nell’attuale assetto istituzionale di riferimento, risulta coerente e auspicabile che la
pianificazione nazionale si articoli anche sulla base di livelli territoriali intermedi, che
favoriscano sinergie e convergenze, infrastrutturali e logistiche, ma senza prevedere un
ulteriore e nuovo livello intermedio di “governo” portuale, frutto di una mera, quanto
forzata aggregazione delle attuali Autorità Portuali (AP).
A quanto sopra è strettamente correlata la questione dell’eccessiva numerosità delle attuali
Autorità portuali, ciascuna per ogni porto di interesse nazionale e internazionale.
Al riguardo, Confindustria condivide pienamente la proposta di razionalizzare il sistema di
tali Autorità, nell’ottica di renderne maggiormente efficiente la gestione.
Tale processo di razionalizzazione – anche tenuto conto delle indicazioni su questo tema
contenute nelle proposte della Commissione Europea di "Raccomandazioni del Consiglio UE
sul programma nazionale di riforma 2014 dell’Italia" del 2 giugno scorso – non dovrà
realizzarsi mediante “tagli lineari”, ma all’interno di un disegno generale di riforma della
portualità, in coerenza con le TEN-T. Lo stesso processo dovrà, inoltre, assumere una
prospettiva dinamica e non statica di sviluppo del sistema portuale nazionale, centrata
soprattutto sulle “reali potenzialità” di traffico (merci e passeggeri) derivanti da: le dotazioni
infrastrutturali per l’attracco delle navi, la movimentazione dei flussi, la lavorazione delle
merci e la localizzazione di attività industriali, la presenza e la connessione a infrastrutture
logistiche, la completa integrazione modale ferro-strada.
2) Gli strumenti di pianificazione del porto
Confindustria conferma la validità operativa degli attuali strumenti di pianificazione portuale
territoriale, quali il Piano Regolatore Portuale (PRP) ed il Piano Operativo Triennale (POT).
Sono, tuttavia, valutati necessari alcuni interventi mirati a semplificare ed accelerare le
procedure di approvazione dei provvedimenti, ivi incluse le relative varianti, con l’obiettivo
di renderle più snelle e di ridurre in modo sensibile i tempi di adozione e di realizzazione
delle opere, garantendo nel medesimo tempo l’autonomia dei porti rispetto alla
pianificazione urbanistica comunale e territoriale di riferimento.
L’attività di pianificazione del porto, dovrà, peraltro rispondere ad una logica di sviluppo
logistico della sede portuale, per accentuarne e valorizzarne il ruolo di primo snodo
fondamentale di una rete più ampia, mirando a rafforzare in particolar modo l’integrazione
terra-mare e l’efficienza dei sistemi ferroviari in porto, conformemente alle indicazioni in
materia dell’Unione Europea.
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Su questi profili, Confindustria esprime una sostanziale valutazione positiva circa
l’impostazione del DDL AS 370 (art. 3) e suggerisce, tuttavia, che anche la legislazione
urbanistica generale e quella relativa al governo del territorio prevedano una specifica
pianificazione di assetto logistico e delle infrastrutture ferroviarie, rispetto alla quale quella
portuale possa più agevolmente e coerentemente integrarsi.
Sull’aspetto della pianificazione dell’infrastruttura ferroviaria in porto, Confindustria ritiene
che per i porti di rilevanza economica nazionale ed internazionale la presenza della
connessione ferroviaria sia fondamentale e vincolante. Sotto questo profilo, rileva anche il
tema della proprietà delle infrastrutture ferroviarie in porto, sul quale occorrerebbe un
intervento chiarificatore in fase di riforma, per risolvere in via definitiva alcune situazioni
“promiscue” attualmente esistenti, stabilendo se per tale tipologia di opere ferroviarie, la
titolarità spetti alla singola AP ovvero alla Rete Ferroviaria Italiana (RFI).
Nel primo caso, l’AP dovrà assicurare il coordinamento e l’integrazione della rete ferroviaria
in porto con il livello di pianificazione locale e nazionale, assicurando l’integrazione portoreti-terminal e sarà, inoltre, tenuta a finanziare gli investimenti necessari alla realizzazione.
Nel caso in cui, invece, si affidi ad RFI la proprietà della rete ferroviaria in porto, essa dovrà
necessariamente provvedere al finanziamento delle tratte, assicurando continuità delle
risorse destinate agli investimenti e coerenza degli stessi con le strategie di sviluppo logistico
portuale e nazionale. In quest’ottica, si potrebbe condividere tanto l’impostazione del DDL
AS 370, che destina una percentuale fissa del contratto di programma di RFI alle
infrastrutture ferroviarie portuali, quanto la previsione di una concessione a titolo gratuito a
favore della stessa società del demanio marittimo portuale su cui insiste la rete ferroviaria.
3) La natura giuridica e le funzioni degli enti di gestione dei porti
La corretta gestione del porto, a partire dall’ente che lo amministra, rappresenta la
condizione primaria per garantire piena efficacia e competitività all’attività portuale.
La L. 84/1994 ha, a suo tempo, fortemente innovato il sistema portuale italiano,
introducendo un modello di gestione del porto fondato sull’istituzione delle AP, soggetti di
amministrazione e regolazione, nonché sull’affidamento alle imprese private delle attività
economiche portuali.
Confindustria ritiene innanzitutto opportuno che sia chiarita l’ambiguità di fondo che
caratterizza le attuali funzioni delle AP, che si diversificano tra attività di natura pubblicistica
e privatistica commerciale.
Al riguardo si ritiene che il ruolo di tali Autorità, quali enti pubblici non economici, debba
essere confermata e riferirsi esclusivamente a funzioni di programmazione, pianificazione,
regolazione, garanzia, affidamento dei servizi del porto, con esclusione della gestione diretta
o indiretta – ossia con la presenza in società partecipate – di servizi o attività di rilevanza
economica, gestibili dalle imprese di mercato in regime di concorrenza. In tal senso, è
auspicabile un chiarimento e una precisazione delle competenze regolatorie affidate alla
recente Autorità di Regolazione dei Trasporti, nell’ambito delle revisione della L. 84/1994,
onde evitare sovrapposizioni di competenze, eventuali conflitti ed extracosti.
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4) La governance portuale – Organi decisionali e consultivi dell’Autorità Portuale
L’attuale assetto della governance portuale fissata dalla L. 84/1994 prevede una forte
“concertazione” tra rappresentanze di interessi istituzionali, sociali ed economici, e organi di
governo del porto.
Confindustria ritiene fondamentale che venga mantenuta negli organi delle AP la presenza
delle rappresentanze economiche (bilanciata rispetto a quella dei soggetti pubblici),
ritenendo non accettabile che le scelte che incidono sullo sviluppo e l’operatività del porto
stesso possano essere assunte prescindendo dalle valutazioni e dall’apporto decisionale di
tali soggetti. La partecipazione delle rappresentanze, oltre a criteri di rappresentatività
generale (armatoriale, terminalistica, industriale, commerciale, sindacale, etc.) dovrà essere
integrata a livello di singola realtà portuale in funzione della rilevanza di specifiche
localizzazioni produttive.
Per questi motivi, Confindustria non condivide soluzioni, quale quella che sembra delinearsi
nella proposta di riforma portuale del Governo, che prevedono organi direttivi delle AP
composti esclusivamente da soggetti di designazione e di rappresentanza pubblica,
relegando la presenza dei rappresentanti degli industriali e degli imprenditori ad un ruolo
meramente consultivo-informativo.
Tale soluzione sottometterebbe inevitabilmente alle influenze della sola politica i “destini”
dei singoli porti, a definitivo detrimento dello sviluppo e della competitività del sistema
portuale in generale.
Al contrario, occorre rafforzare e migliorare la qualità della partecipazione dei soggetti
interessati alle attività portuali nelle sedi istituzionali previste, semplificando e
razionalizzando i compiti affidati agli organi decisionali (Comitato Portuale). Si potrebbero,
quindi, affidare al Presidente dell’AP o alla Commissione consultiva – in una logica di
semplificazione ed efficienza – le responsabilità decisionali su singoli atti amministrativi,
quali ad esempio le autorizzazioni ex art. 45-bis, Cod. Nav., ed ex art. 24, Reg. Cod. Nav.,
nonché il rilascio di concessioni ex art. 52 Cod. Nav.
5) L’autonomia finanziaria e il finanziamento degli investimenti portuali
L’autonomia finanziaria dei porti è un principio che deve essere salvaguardato, sebbene con
la previsione di alcuni puntuali interventi correttivi, onde evitare effetti tendenzialmente
negativi sulla portualità.
In questo senso, Confindustria, se da una parte ritiene che debba essere eliminato il tetto
annuo di 90 milioni al fondo alimentato con l’IVA generata in porto (art. 18-bis, L. 84/1994),
dall’altra sottolinea la necessità che le risorse derivanti dall’autonomia finanziaria delle AP
debbano essere esclusivamente vincolate alla realizzazione di nuovi investimenti nei porti ed
a copertura delle spese di manutenzione straordinaria delle infrastrutture portuali, non
potendo invece essere destinate a coprire la spesa corrente.
Inoltre, nell’ottica dell’efficientamento del sistema portuale e della corretta competizione
tra scali portuali, il costo complessivo di funzionamento delle AP deve essere
adeguatamente proporzionato alle “entrate proprie”, derivanti dalle concessioni e dai servizi
portuali.
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Risulta poi fondamentale che l’autonomia finanziaria delle AP sia soggetta ad un attento
controllo da parte ministeriale e della magistratura contabile, che dovranno garantire
l’effettivo utilizzo delle risorse al finanziamento delle infrastrutture portuali e la necessaria
verifica dell’efficacia e della trasparenza della spesa pubblica.
6) Il mercato delle attività e dei servizi portuali
Il mercato delle attività e dei servizi portuali si è progressivamente aperto ai privati, in linea
con l’obiettivo di ridurre la storica dimensione fortemente pubblicistica del porto,
valorizzandone il ruolo di mercato economico in sé (economia del mare), ma anche di
mercato funzionale allo sviluppo di una filiera logistica e trasportistica integrata, moderna e
funzionale a sostenere le dinamiche di import/export e di mobilità dal livello locale a quello
internazionale.
A seconda della tipologia degli stessi servizi portuali, le regole esistenti nel settore e la
configurazione del mercato contemplano modalità distinte per la loro gestione. In linea
generale, i servizi di handling portuale (operazioni portuali e servizi complementari,
accessori e specialistici) sono affidati all’imprenditoria privata in regime di concorrenza,
mentre per alcuni servizi di interesse generale, di cui all’art. 6, comma 1, lett. c), L. 84/1994,
le AP non rinunciano in qualche caso a svolgere un ruolo economico attivo.
A tal riguardo, Confindustria ritiene che sia opportuno – anche in considerazione dei diversi
interventi in materia dell’AGCM – “riportare” le AP al ruolo di terzietà che la L. 84/1994
affida loro, escludendole dallo svolgimento di attività di natura economica. Tale misura
avrebbe l’indubbio effetto positivo sulla crescita di un settore effettivamente competitivo,
quale quello dell’economia del mare.
Per quanto attiene, inoltre, ai servizi tecnico-nautici risulta essenziale che – nel rispetto di
specifiche esigenze di safety di ciascun singolo porto – la relativa regolamentazione non sia
prerogativa dei singoli scali e che sia prevista una tariffazione a livello nazionale, onde
evitare fenomeni distorsivi di mercato.
7) La regolazione del mercato del lavoro portuale
La L. 84/1994 ha riconosciuto ed assicura tutt’oggi alle ex “Compagnie portuali” un regime di
sostanziale “riserva” dei servizi di lavoro temporaneo (art. 17, L. 84/1994) che, da un lato, ha
garantito (anche se non sempre in modo soddisfacente) la gestione dei picchi di attività ma,
dall’altro, rappresenta un onere rilevante, specie nelle situazioni “normali” o di “basso
regime”.
In qualche realtà le ex Compagnie portuali offrono anche “altri” servizi (o singole fasi di
questi) aperti alla concorrenza e svolti da altre imprese, nonostante che per queste ultime
sussista l’obbligo, in caso di lavoro temporaneo portuale, di rivolgersi al soggetto autorizzato
ai sensi del citato art. 17.
Confindustria ritiene che, a 20 anni dalla L. 84/1994, possano considerarsi superati i vincoli
posti alle imprese portuali e le ragioni della riserva legale a favore dei soggetti di cui all’art.
17 e, di conseguenza, sia in prospettiva ipotizzabile (i) consentire alle imprese, in caso di
picchi di lavoro, l’autoproduzione o (ii) sottoporre i servizi di lavoro temporaneo al libero
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mercato concorrenziale tra imprese o (iii) applicare al lavoro in porto la disciplina comune
prevista per il lavoro fuori porto.
8) Le responsabilità e le competenze amministrative nel porto
La capacità di un porto (e di tutti i soggetti privati e pubblici coinvolti nelle relative attività) di
attrarre nuovi traffici e rotte è strettamente connessa alla sua risposta in termini di
efficienza e celerità all’utenza portuale.
Il sistema portuale nazionale sconta un’eccessiva burocratizzazione, con sovrapposizione di
competenze e ripetizioni di attività e controlli da parte delle diverse amministrazioni presenti
in porto, che generano extra-costi, con un forte impatto negativo sull’efficienza dello scalo
portuale e sui costi operativi delle imprese.
L’Italia, a livello europeo, vanta indici di efficienza poco confortanti. Su 12 Stati è: penultima
prima del Portogallo nello sdoganamento; quart’ultima nella capacità di tracciare e seguire
le spedizioni e nel rispetto dei tempi di spedizione. Il tutto fa sì che per movimentare il
mercato dell’import-export italiano ci vogliano oltre 17 giorni, ben al di sopra della media UE
che si attesta intorno agli 11 giorni.
In questo senso, Confindustria ritiene che sia sempre più urgente assumere misure atte alla
semplificazione/armonizzazione dei vari passaggi e dei controlli (ad es. doganali, sanitari,
veterinari) mediante: i) l’implementazione dell’operatività degli sportelli unici; ii) il
perfezionamento delle best practices, come il pre-clearing ed i “corridoi doganali” (molto
positiva l’esperienza del “corridoio ferro”), in grado di abbattere tempi e costi logistici in
termini di minore incidenza “burocratica” e di ottimizzazione dei costi di gestione della
temporanea custodia; iii) la messa a punto di sistemi informatici e tecnologie in grado di
rendere possibile la comunicazione tra i diversi soggetti; iv) l’attuazione dell’art. 8, comma 3,
lett. f), della L. 84/1994, che affida al Presidente dell’AP il coordinamento della attività svolte
dalla diverse Pubbliche Amministrazioni operanti in porto, prevedendo idonei strumenti
come la conferenza di servizi per l’assunzione delle decisioni, attribuendo all’AP il ruolo di
amministrazione procedente (art. 14, L. 241/1990).
9) Le concessioni portuali
Le concessioni demaniali marittime portuali si distinguono sostanzialmente rispetto alle altre
tipologie concessorie, non presentando né il carattere puro della “concessione di servizi” né
quello della “concessione di lavori pubblici”, soprattutto alla luce della definizione di
concessione prevista dalla Direttiva 2014/23/UE di recente adozione.
Peraltro, il funzionamento delle concessioni portuali italiane rappresenta un unicum nel
panorama europeo (soprattutto rispetto al Nord Europa), essendo caratterizzato da una
maggiore polverizzazione del mercato e da una costante e sproporzionata pressione
competitiva, che rende difficoltoso realizzare i necessari investimenti in porto. Molti
operatori terminalisti ritengono che l’assenza di un’armonizzazione delle pratiche
concessorie a livello europeo sia a detrimento della competitività dei porti nazionali nei
confronti dei principali sistemi portuali, comunitari e non, nei quali la concorrenza “nel” e
“per il” mercato risulta quanto più compressa.
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In questo quadro, Confindustria ritiene opportuno l’inserimento di alcuni correttivi alla
normativa attuale (art. 18, L. 84/1994), al fine di consentire agli operatori terminalisti e ai
porti di saper rispondere in maniera efficacia alla crescente, ancorché mutevole domanda di
servizi a sostegno delle attività di import/export.
Una prima proposta riguarda la possibilità di modificare/revisionare il contratto di
concessione in corso di validità, senza la necessità di una nuova procedura di gara, ma
comunque nel rispetto dei principi comunitari, anche condizionando tale modifica ai casi in
cui si tratti di (i) un’impresa che abbia ben performato in costanza di contratto concessorio,
(ii) di nuovi investimenti in impianti, strutture e/o opere finalizzati allo sviluppo di traffici e
(iii) al ricorrere di specifici presupposti da individuarsi (ad es. fatti sopravvenuti e di forza
maggiore che incidono sull’equilibrio economico-finanziario del concessionario).
La seconda proposta verte sulla possibilità di riconoscere un indennizzo al concessionario
uscente, da parte di quello entrante subentrante all’esito di una procedura di gara,
parametrandolo a criteri obiettivi ed economicamente attendibili (ad es. il mancato
ammortamento dell’investimento), senza che ciò si traduca in una eccessiva chiusura del
mercato.
Con tale proposta si mira ad incentivare comportamenti virtuosi da parte del concessionario,
nonché lo sfruttamento ottimale del bene concesso, evitando così ipotesi di riduzione o
sospensione degli investimenti in essere, soprattutto negli ultimi anni di durata della
concessione, con conseguente perdita di efficienza, produttività per il porto, per gli utenti e
l’occupazione.
10) L’attività di dragaggio
L’attività di dragaggio, finalizzato all’approfondimento dei fondali, riveste un’importanza
vitale per i porti, considerando soprattutto la rapida evoluzione del fenomeno del
gigantismo navale, sia nel settore delle merci che del trasporto passeggeri.
In questo quadro, Confindustria sottolinea l’importanza di semplificare e rendere più celere
l’iter di approvazione di tali interventi, anche attraverso il ricorso alla Conferenza di servizi.
Sotto l’aspetto ambientale, appare inoltre quanto mai opportuno che i fanghi ed il materiale
di risulta, derivanti dalle attività di dragaggio degli specchi acquei, siano inseriti nell’ambito
delle attività escluse dall’art. 185 del “Codice Ambiente” (D.Lgs. 152/2006).
11) La fiscalità portuale
Confindustria ritiene indispensabile un chiarimento definitivo a livello normativo sulla
questione dell’applicazione dell’ICI/IMU nei porti, nel senso di esentare i concessionari dalla
corresponsione di tale imposta, poiché già tenuti al pagamento dei canoni concessori.
Ciò si rende necessario poiché le decisioni assunte su questi temi dall’Agenzia delle Entrate a
livello territoriale e dai Comuni – con soluzioni diverse e talvolta diametralmente opposte,
che vanno dall’obbligatorietà dell’applicazione della tassa alla sua totale esenzione –
costituiscono un elemento fortemente distorsivo della concorrenza, non solo tra imprese,
ma tra gli stessi porti.
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