Continua il trasferimento di competenze dagli Stati membri all

REGIONE EMILIA ROMAGNA - SEDE DI BRUXELLES
“CONTINUA IL TRASFERIMENTO DI COMPETENZE DAGLI STATI MEMBRI
ALL’UNIONE EUROPEA: CONSEGUENZE ISTITUZIONALI PER LE REGIONI”.
In data 8 maggio 2014 si è tenuto presso l’edificio della Regione Emilia Romagna a Bruxelles l’incontro con l’avv.
Enrico Traversa, direttore dell'équipe Giustizia e Affari Interni del Servizio Giuridico della Commissione Europa.
Oggetto della discussione è stato il trasferimento delle competenze dagli Stati Membri all'Unione Europa.
L’avv. Traversa ha iniziato il suo intervento facendo presente che in questi giorni è in corso di elaborazione la
proposta di regolamento per l’istituzione della Procura Europea, prevista dal Trattato di Lisbona, la cui
competenza esclusiva sarà il perseguimento dei reati che ledono l’interesse finanziario dell’Unione Europea
mediante l’applicazione del diritto processuale penale di ciascuno degli Stati membri.
In questi ultimi decenni vi sono stati molti cambiamenti nel panorama europeo e purtroppo pochi se ne sono
accorti. Punti chiavi di questa “silenziosa rivoluzione”, come l’ha chiamata Traversa, è stata la democratizzazione
e razionalizzazione del processo legislativo dell’Unione Europea.
Con “democratizzazione” del procedimento legislativo, ha spiegato Traversa, si intende il continuo aumento delle
competenze affidate al Parlamento europeo ad ogni riforma dei Trattati; a partire dal Trattato di Maastricht,
infatti, vi è stata una generalizzazione della procedura di co-decisione (a parità di competenze con il Consiglio)
che ha avuto un impatto fortissimo sul contenuto sostanziale delle norme approvate, tanto da stravolgere
completamente, a volte, il contenuto della proposta iniziale della Commissione.
Traversa ha quindi evidenziato come l’Unione europea sia invece ferma in quegli ambiti normativi in cui è
necessario raggiungere l’unanimità dei voti per intervenire, quali l’armonizzazione fiscale - tributaria, la
sicurezza sociale, le entrate di bilancio dell’Unione Europea, alcuni atti in materia di giustizia ed alcuni relativi
all’unione bancaria, oltre al regime linguistico dell’ufficio brevetti. Il rimedio per superare questo “blocco”
sarebbe una maggiore utilizzazione della cooperazione rafforzata, cioè la possibilità per un limitato numero di
stati membri (pari almeno ad 1/3 del totale) di continuare la negoziazione inter eos. Gli atti approvati nell’ambito
della procedura di cooperazione rafforzata vincolerebbe poi solo gli stati partecipanti al negoziato. In ogni caso,
tale tipo di negoziazione rimane potenzialmente aperta a tutti i Paesi membri dell'Unione, che potrebbero
spontaneamente aderire in qualunque momento, con la precisazione che solo gli Stati che sono effettivamente in
cooperazione rafforzata hanno diritto di voto.
Con gli artt. 290 e 291 del Trattato di Lisbona, poi, vi è stato un ulteriore ampliamento delle competenze
dell’Unione europea. È stato, infatti, introdotto un meccanismo legislativo simile all’istituto italiano dei decreti
legislativi: gli atti delegati. Con tale procedimento la Commissione può direttamente legiferare nelle materie
oggetto di delega da parte del Parlamento. Materie che, ha rilevato Traversa, possono riguardare anche aree
rilevanti, come l’agricoltura, le cui ripercussioni sul territorio nazionale e regionale sono impattanti. Traversa si è
poi soffermato sul voler sottolineare che, data la delicatezza delle materie trattate e dell’impatto che un
regolamento delegato può avere a livello nazionale e soprattutto locale, è assolutamente necessario che gli stati
membri - e soprattutto le regioni - stiano in stretto contatto con gli organi della Commissione e collaborino con
essi nel processo legislativo. Infatti, nel caso di regolamenti delegati prima che un progetto di regolamento esca
in Gazzetta, non vi è nessun filtro, nessun controllo preventivo da parte del Parlamento. Il ruolo delle Regioni
quindi diventa determinante ed è assolutamente importante che le Regioni si esprimano anche entrando nel
merito del regolamento e che comunichino alla Commissione le loro esigenze in termini di politica settoriale.
Con il titolo V del Trattato di Lisbona, ha continuato Traversa, sono state assegnate all’Unione europea delle
competenze anche in materia di diritto civile e penale, sia sostanziale che processuale, in tema di abolizione delle
frontiere interne e rafforzamento delle frontiere esterne, visti, asilo e migrazione, cooperazione di polizia. La
Danimarca si è tirata fuori da questo allargamento di competenze, mentre il Regno Unito e l’Irlanda hanno
esercitato il loro diritto di opt-in. Tenuto conto che il termine entro il quale poter esercitare detto diritto scade il
30.12.2014, il Servizio Giuridico dell’Unione europea ha iniziato un lavoro di “razionalizzazione” delle norme
relativi ai diversi ambiti di competenza emanate sino ad oggi dall’Unione. Questo lavoro, ha svelato Traversa, gli
ha permesso di prendere coscienza dell’enorme lavoro fatto in questi anni a livello legislativo dall’Unione
europea, che ha, infatti, portato a produrre ben 135 atti legislativi nella sola materia penale, mentre in ambito
civile è stato realizzato un e-book di ben due volumi!
Traversa ha proseguito il suo intervento evidenziando che la particolarità del processo di allargamento delle
competenze dell’Unione storicamente è individuabile nell’art. 114, concepito con il Trattato di Roma e redatto in
funzione dell’attuazione di “direttive”; poi con l’Atto Unico del 1986 è stato sostituito il termine “direttive” con
“misure”. Tale modifica, apparentemente irrilevante, ha avuto invece enormi ripercussioni sul sistema. Infatti, a
partire dal Trattato di Lisbona per “misure” si intendono sia direttive che regolamenti con la conseguenza che da
quattro anni a questa parte tutti i servizi della Commissione hanno l’obbligo di proporre in primis dei
regolamenti (i quali, si ricorda, sono direttamente applicabili) e, solo eccezionalmente, delle direttive. Questo in
pratica significa che in molti settori (anche nevralgici, si pensi ad esempio all’agricoltura) il diritto comunitario
sta sostituendo la legislazione nazionale con propri regolamenti. Ciò con un impatto enorme sul sistema
nazionale. Si pensi, infatti, che dagli anni 70 la giurisprudenza della Corte di Giustizia europea è unanime nel
ritenere che, laddove esiste un regolamento comunitario, qualsiasi legge nazionale è contraria al Trattato e va ,
quindi, disapplicata in quanto non possono coesistere nello stesso ambito una norma di regolamento europea ed
una nazionale. Quindi nel caso vi sia un regolamento europeo, il legislatore nazionale non ha più competenza
perché vi è stato un radicale trasferimento di competenza a favore dell’Unione europea. E ciò, ha sottolineato
Traversa, senza entrare nel merito della normativa nazionale.
Esempi evidenti del trasferimento di competenze verso l’Unione europea sono l’unione bancaria e la mobilità dei
pazienti. Dopo aver dettagliato quali siano i quattro pilastri dell’unione bancaria, Traversa si è soffermato sul
tema della mobilità dei pazienti la cui direttiva è stata approvata nel 2011 ed il cui termine assegnato agli Stati
membri per l’attuazione era stato posto lo scorso 25.10.2013.
In poche parole, Traversa ha spiegato che obiettivo della direttiva è completare il regolamento europeo sulla
sicurezza sociale dei lavoratori migranti, in vigore dal 1964, la quale prevedeva che, su autorizzazione preventiva
dell’autorità competente dello stato di residenza, un cittadino potesse farsi curare in un altro stato ed il relativo
rimborso avviene sulla base della legislazione dello stato di cura. Il principio della direttiva del 1964 è quindi
quello della previa autorizzazione perché il rimborso dei costi delle cure mediche era effettuato dallo stato di
provenienza del paziente al tasso di rimborso dello stato ove si svolgevano le cure. Il problema è sorto quando
molti pazienti hanno iniziato a muoversi fuori dall’ambito di regolamentazione del sistema sociale. Sono quindi
nati dei contenziosi che sono arrivati fino alla Corte di Giustizia in quanto alcuni stati si rifiutavano di rimborsare
il costo delle spese mediche sostenute dai propri cittadini in un altro stato membro. Mediante l’elaborazione di
alcuni importanti principi giurisprudenziali, oggi trasfusi nell’attuale direttiva, la Corte di Giustizia ha precisato
che ogni cittadino europeo ha il diritto sia di scegliere lo stato membro ove farsi curare, sia al relativo rimborso
dalla sicurezza sociale dello stato membro di provenienza. Il cittadino verrà rimborsato al tasso dello stato
membro di appartenenza e non dello stato membro dove viene effettuata la cura. L’attuale normativa prevede
poi quali siano i criteri applicativi e le modalità di attuazione a carico sia dello stato di provenienza che dello
stato di “accoglienza” i quali devono assicurare tutta una serie di garanzie al cittadino che si sposta.
Traversa ha poi posto l’accento sulla circostanza che l’applicazione della direttiva sulla mobilità dei pazienti
potrebbe riguardare direttamente le regioni: infatti gli stati membri dovranno definire per quali prestazioni è
previsto il rimborso ed a quale tasso (quota di rimborso del servizio sanitario nazionale). Decisioni che rientrano
ex art. 117 Costituzione Italiana nella competenza concorrente stato-regioni e che, conseguentemente,
potrebbero essere definite anche a livello regionale. Inoltre, gli stati membri dovranno dotarsi di un sistema
trasparente per la verifica dei costi dell’assistenza sanitaria transfrontaliera da rimborsare, cioè si dovrà
prevedere in anticipo quali saranno i criteri di rimborso delle prestazioni mediche effettuate negli altri stati
membri, nel rispetto del principio di non discriminazione.
In conclusione, Traversa ha rimarcato che le legislazioni regionali giocano un ruolo decisivo nel panorama
odierno ed ha auspicato una loro maggiore partecipazione ed integrazione nel sistema europeo.
Corinna RUBIU
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