05 Diffrazione dei raggi X nei cristalli

Corso di laurea triennale in Scienza dei Materiali
a.a. 2013-2014
Diffrazione dei raggi X nei cristalli
La diffrazione mediante raggi X è il metodo ideale per comprendere le strutture dei minerali (e
altri materiali cristallini) su una scala atomica. Essa permette quindi di stabilire le relazioni
tra struttura e le proprietà chimico-fisiche del materiale investigato, oppure permette
l’investigazione delle relazioni tra struttura cristallina e condizioni termodinamiche nelle
quali un minerale (o una roccia) si forma, fornendo importanti informazioni petrologiche e
geologiche. In particolare la diffrazione da polveri permette identificazioni non ambigue delle
fasi mineralogiche e l’analisi quantitativa delle stesse.
Docente: Ernesto Mesto
e-mail: [email protected]
Website: www.geo.uniba.it/mesto.html
L’analisi strutturale
L’analisi strutturale dei cristalli si basa sui fenomeni di diffrazione
causata dall’interazione della materia con radiazioni di diversa
natura aventi l paragonabili alle distanze interatomiche presenti nel
cristallo (0.1 - 2 Å).
Sebbene la teoria della diffrazione è la stessa per tutti i tipi di
radiazione (raggi X, elettroni, neutroni, protoni, …) normalmente
sono adoperati i raggi X, elettroni e neutroni. In particolare, la
radiazione cui si farà riferimento nelle prossime slide è quella dei
raggi X.
Ricordiamo che per il concetto di dualismo onda-particella (o dualismo onda-corpuscolo), espresso all'interno del
principio di complementarità, tutte le particelle elementari della materia, come l'elettrone o il fotone, mostrano una
duplice natura, sia corpuscolare sia ondulatoria.
Tale evidenza nasce dall'interpretazione di alcuni esperimenti compiuti all'inizio del XX secolo: ad esempio l'effetto
fotoelettrico, suggeriva una natura corpuscolare della luce, che d'altra parte manifestava chiaramente da tempo
proprietà ondulatorie attraverso i fenomeni della diffrazione e dell'interferenza (esperimento di Young).Il paradosso
rimase fino alla formulazione completa della meccanica quantistica, quando finalmente si riuscì a descrivere i due
aspetti in maniera unificata.
Dualismo onda-particella
Louis de Broglie ipotizzò che, come la luce possiede proprietà corpuscolari e ondulatorie, tutta la materia abbia
anche proprietà ondulatorie: a un corpo con quantità di moto p = mv veniva infatti associata un'onda di
lunghezza d'onda: l =
ℎ
𝑝
(dive h è la constante di Plank).
Solo per particelle di massa piccola (o momento p piccolo) si
possono evidenziare fenomeni ondulatori. Nel 1927, i fisici Clinton
Joseph Davisson e Lester Halbert Germer confermarono le previsioni
della formula di De Broglie dirigendo un fascio di elettroni contro
un reticolo cristallino e osservandone figure di diffrazione.
Esperimenti con risultati analoghi furono eseguiti diversi anni dopo,
come quello della variante dell'esperimento di Young condotta con
elettroni, protoni e particelle più pesanti (esperimento della doppia
fenditura).
Raggi-X
L'impiego dei raggi X nell'analisi dei materiali è dovuta in massima parte alla loro elevata penetrazione in molti
materiali; nella generalità dei casi è infatti vero che, per ottenere, con un’indagine non distruttiva, informazioni
analitiche o strutturali su di un campione, occorre che si verifichino contemporaneamente due fatti:
a) la radiazione penetri sufficientemente nel campione in modo da attraversarlo o perlomeno da penetrare
significativamente;
b) la radiazione deve interagire con gli atomi del materiale in maniera sufficientemente frequente da permettere
dall'esterno di osservare ciò che è avvenuto all'interno del campione.
Risulta evidente che la prima condizione è molto restrittiva per gran parte della radiazione elettromagnetica ed
elastica di bassa energia, fatte ovviamente le dovute eccezioni (NMR, ultrasuoni, ecc.). La seconda condizione può
essere verificata solo conoscendo i meccanismi di interazione delle radiazioni con la materia e la metodologia
seguita per dedurre l'informazione analitica o strutturale. E’ utile anche notare che le due precedenti condizioni
sono in contraddizione tra loro: se infatti vi è un maggior numero di interazione, quindi una maggiore probabilità
di interazione, la penetrazione del fascio risulterà minore.
Metodi analitici che usano
i raggi X
La scoperta dei raggi X è avvenuta per caso: Roentgen (1895) durante un
esperimento per la produzione di raggi catodici si accorse di aver causato
fluorescenza in un minerale e la imputò a una nuova radiazione che chiamò X,
perché non ne conosceva la natura. Essa venne essenzialmente impiegata in tre
grandi campi:
Radiografia con raggi-X: è la tecnica che consente di ottenere immagini del
contenuto di un solido, in funzione della sua capacità di assorbirmento, mediante
Schema del processo di base di una
impressione di un elemento sensibile (pellicola, schermo, ecc.) da parte di
radiografia a raggi X
radiazioni ionizzanti quali raggi X o raggi .
Flurorescenza a raggi X: permette l’identificazione degli
elementi chimici che sono presenti, o compongono il
campione esaminato. Il principio prevede che impiegando
una radiazione X di energia ed intensità appropriate è
possibile creare, per effetto fotoelettrico, una vacanza
elettronica in un guscio interno dell’atomo di un elemento.
Tale posizione viene successivamente rioccupata da un
elettrone che appartiene ad uno dei gusci più esterni, che
nella diseccitazione produce un fotone che ha una energia
pari alla differenza tra le energie dell’elettrone nelle due
Schema del processo di base della Fluorescenza dei raggi X
posizioni iniziale e finale.
Metodi analitici che
usano i raggi X
Cristallografia mediante raggi X: sfrutta la diffrazione dei raggi X dai
cristalli per calcolarne le mappe di densità elettronica le quali, in pratica,
sono immagini della distribuzione dei costituenti del cristallo all’interno del
reticolo cristallino.
L’applicazione dei raggi X allo studio dei cristalli ha dato un grande impulso
alla mineralogia.
Prima di allora i cristallografi avevano giustamente supposto, ma solo
supposto, l’ordinamento periodico dei cristalli dalla morfologia, dalla
sfaldatura, dalle proprietà ottiche, ecc.
Dopo di allora fu possibile non solo misurare le distanze fra piani
reticolari, ma localizzare la posizione degli ioni, degli atomi,ecc. e
quindi determinare le strutture. I Bragg (padre e figlio) nel 1914
risolsero la prima struttura, che fu quella del salgemma.
La cristallografia a raggi X può localizzare ogni
atomo nella zeolite, un alluminosilicato utilizzato in
applicazioni come la purificazione dell'acqua.
Effetto dell’irraggiamento da raggi X
Fotone incidente
Scattering anelastico
Sorgente di
raggi X
elettrone
Diffrazione incoerente
Campione
Calore
Diffusione
Scattering
elastico
Fascio trasmesso
Fotone-X
incidente
Elettrone cade
nella lacuna
Fotone-X
secondario
Fotone incidente
Diffrazione coerente
Elettrone
fotoespulso
Effetto fotoelettrico +
Fluorescenza
1°
Ef f e t t o
Co m p t o n
Dif f raz ione
l Compt on > l X
l diffrat t a =
X
l X
-
elet t roni
secondari
2 ° - raggi X di f luorescenza
l f luorescenza  l x
Interazione raggi X materia
Diagramma dell’interazione atomo-raggio X. P: Fotoionizzazione, A: Decadimento Auger (Coster-Kronig), F:
fluorescenza, SO: shake-off, S: elastic x-ray scattering elastico del raggio X.
Il fenomeno della diffrazione
La diffrazione è un complesso fenomeno di diffusione e interferenza originato dall’interazione di
onde elettromagnetiche (raggi X) o particelle “relativistiche” (neutroni e elettroni) aventi
appropriata lunghezza d’onda (dell’ordine dell’Å) con un reticolo cristallino.
Il processo di diffusione (o scattering)
L’interazione di un’onda elettromagnetica con la materia avviene essenzialmente attraverso due
processi di scattering che riflettono il dualismo onda-particella della radiazione incidente:
Δλ = 0.024 (1-cos 2θ)
Diffusione di un fotone da parte di un elettrone e diagramma vettoriale delle
componenti dei momenti di fotoni e elettrone
1) scattering non-elastico: il fotone cede parte
della sua energia (Scattering Compton), la
radiazione diffusa risultante ha quindi
lunghezza d’onda maggiore di quella
incidente. Non essendoci alcuna relazione
fra radiazione incidente e radiazione
diffusa, questo tipo di scattering è definito
incoerente. Questo fenomeno non dà luogo a
processi di interferenza.
Il fenomeno della diffrazione
2) scattering elastico: i fotoni della radiazione incidente vengono deviati in ogni direzione
dello spazio senza perdita di energia (scattering Thomson) . Esiste dunque una precisa
relazione fra radiazione incidente e radiazione diffusa per cui il processo viene definito
coerente. Questo processo è alla base della diffrazione.
Scattering elastico
del fotone X
Fotone X incidente
Proprietà della radiazione elettromagnetica X
• Si propagano nel vuoto von velocità c pari a circa 300.000 Km/sec.
• I due vettori campo elettrico E e magnetico H sono disposti entrambi ortogonalmente alla direzione di
propagazione dell’onda, sono ortogonali fra loro e variano nel tempo con legge sinusoidale:
𝑥
𝐸𝑖 = 𝐸0𝑖 exp 2𝜋𝑖n(𝑡 − ).
𝑐
• L’indice di rifrazione dei raggi X è molto vicino
all’unità: per l = 2 Å e per le sostanze più dense a
differenza dall’unità dell’indice di rifrazione è
dell’ordine di 10-4. Pertanto i raggi X non possono
essere focalizzati attraverso lenti come la luce ordinaria
e gli elettroni.
Non si può parlare per
i raggi X, come per la
luce visibile e gli
elettroni,
di
osservazione diretta dei
cristalli
attraverso
strumenti equivalenti
ai microscopi ottici e
elettronici
I Raggi X
È nota come raggi X quella porzione dello spettro elettromagnetico con una lunghezza d'onda compresa
approssimativamente tra 10 nanometri (nm) e 1/1000 di nanometro (1 picometro).
Raggi X con una lunghezza d'onda superiore a 0,1 nm sono chiamati raggi X molli. A lunghezze minori, sono
chiamati raggi X duri.
I = KA2
E = hn = hc/l
n = c/l
Schema della propagazione di un’onda elettromagnetica,
dove il campo elettrico (E) e magnetico (H) sono
mutualmente perpendicolari tra loro e perpendicolari al
vettore di propagazione (k) dell’onda. La lunghezza
d'onda (l) è la distanza tra due creste o fra due ventri.
Ampiezza
Il fenomeno della diffrazione
Un reticolo cristallino può essere approssimato
ad un reticolo di fenditure.
Quindi la fisica della diffrazione di raggi X si
fonda in parte sulla fisica della diffrazione di
onde luminose da reticoli di fenditure e sulla
teoria della riflessione "semplice".
L’analogia tra un atomo ed una fenditura
deriva dal fatto che l’atomo, come la fenditura
che riceve una certa onda incidente, diviene
sorgente secondaria di radiazione.
A small scattering object is a secondary source
Slide gentilmente concessa dal dott. M. Zema dell’Università di Pavia.
What Is Diffraction?
A wave interacts with
A single particle
The particle scatters the
incident beam uniformly
in all directions.
A crystalline material
The scattered beam may
add together in a few
directions and reinforce
each other to give
diffracted beams.
Scattering di un particella
Onda sferica diffusa
nelle tre dimensioni
Il campo elettro-magnetico dell'onda X incidente
accelera la particella inducendo l'emissione di
radiazione della stessa frequenza dell'onda
incidente; in questo modo l'onda incidente viene
diffusa. Nel caso di una particella in moto nonrelativistico (cioè con velocità trascurabile rispetto a
quella della luce), la principale causa
dell'accelerazione della particella sarà dovuta al
campo elettrico dell'onda incidente mentre gli effetti
del campo magnetico della stessa possono essere
trascurati. La particella si muoverà nella direzione
del campo elettrico oscillante, generando radiazione
Fotone X
elettro-magnetica di dipolo.
incidente
La particella irradia in modo più intenso nelle direzioni perpendicolari al suo moto e in queste
direzioni la radiazione sarà polarizzata lungo la direzione del moto della particella. Pertanto,
in base alla posizione dell'osservatore, la radiazione prodotta in un elemento di volume può
sembrare più o meno polarizzata.
Scattering da un elettrone libero
y
Q
Supponiamo che nell’origine del nostro sistema di riferimento (x,
r
y, z) vi sia una particella materiale libera di carica elettrica e,
avente massa m e che un’onda elettromagnetica piana,
x
monocromatica con frequenza n e vettore campo elettrico Ei si
propaghi lungo l’asse x.
Il campo elettrico associato all’onda elettromagnetica è definito
𝑥
dall’equazione: 𝐸𝑖 = 𝐸0𝑖 𝑒𝑥𝑝2𝜋𝑖n(𝑡 − ), dove Eoi è
𝑐
z
l’ampiezza dell’onda, ed Ei è il valore del campo elettrico in x al
tempo t.
Quando il campo elettromagnetico investe la particella, il campo Ei eserciterà una forza F = e·Ei che sarà periodica di
frequenza n. Tale forza imprimerà un’oscillazione periodica alla particella (a= F/m = e·Ei/m) con frequenza n.
(non si considera il campo magnetico perché il suo modulo è trascurabile rispetto a quello del campo elettrico). Secondo
la teoria classica dell’elettromagnetismo, una particella carica in moto accelerato è sorgente di radiazione
elettromagnetica: il suo campo nel punto Q, definito dal vettore r, è proporzionale all’accelerazione e giace nel piano
(Ei, r). In Q si misurerà un campo elettrico Ed dovuto alla radiazione diffuso, dato da:
𝑥
𝐸𝑑 = 𝐸0𝑑 𝑒𝑥𝑝[2𝜋𝑖n 𝑡 − − 𝑖𝛼]
𝑐
Dove a è un fattore di fase dovuto al ritardo con cui la carica riemette la «radiazione incidente» (per l’elettrone a =
p).Per cui questo fenomeno di diffusione è coerente, perché c’è una relazione di fase ben definita tra il fascio incidente
e quello diffuso.
Diffusione Thomson
Nella diffusione coerente (effetto Thomson) la radiazione diffusa ha la stessa lunghezza d'onda di quella
incidente.
𝑒4
1+𝑐𝑜𝑠 22𝜃
y
Thomson ricavò che: 𝐼 = 𝐼
(
)
𝑖𝑒𝑡ℎ
𝑖 𝑚2𝑟2𝑐4
2
dove: Iieth = intensità della radiazione diffusa;
Ii = intensità della radiazione incidente;
e,m = carica (e = 1.602x10-19 Coulomb) e massa
( m = dell’elettrone);
2𝜃= angolo tra l'accelerazione della particella e
direzione del punto di osservazione distante r dalla
particella (angolo fra Ei e r).
r = distanza dell’elettrone dal punto di
osservazione.(il decadimento di 𝐼𝑖𝑒𝑡ℎ con r è
dovuto al fatto che la radiazione è diffusa in tutte
le direzioni. )
Q
r
x
2q
z
Quando i fotoni sono diffusi da elettroni differenti, possono interagire tra loro con una relazione di
fase ben definita tra radiazione incidente e radiazione diffusa (interferenza).
Fattore di polarizzazione
y
Consideriamo tre casi in cui il fascio incidente è completamente
polarizzato con Ei lungo l’asse z, lungo l’asse y e non polarizzato:
1° Caso: Fascio incidente completamente polarizzato con Ei
lungo z
L’angolo fra direzione di osservazione (r) e la direzione
di oscillazione Ei sarà: j = 90
Q
𝐼𝑒𝑡ℎ = 𝐼𝑖
𝑒4
r
𝑚2 𝑟 2 𝑐 4
J=90
x
z
𝐼𝑒𝑡ℎ
𝑒4
= 𝐼𝑖 2 2 4 𝑐𝑜𝑠 22𝜃
𝑚 𝑟 𝑐
y
Q
r
j
2q
z
2° Caso: Fascio incidente completamente polarizzato con Ei
lungo y
L’angolo fra direzione di osservazione (r) e la direzione
di oscillazione Ei sarà:
x j = 90 -2q, dove 2q è l’angolo fra la direzione
incidente e la direzione di osservazione.
Quindi risulterà che :
sen j = sen(90-2q) = cos(-2q) = cos (2q)
Fattore di polarizzazione
y
3° Caso: Fascio incidente non polarizzato
Un fascio incidente non polarizzato può essere
decomposto in due fasci completamente polarizzati
in cui la direzione di oscillazione del campo
elettrico Ei sono rispettivamente lungo l’asse y e z.
Se Ii è l’intensità del fascio non polarizzato
incidente, Ii/2 sarà l’intensità di ciascun fascio
completamente polarizzato. Allora Ieth del fascio
diffuso a seguito del fascio non polarizzato sarà la
somma delle intensità:
e
𝐼𝑒𝑡ℎ
Q
r
x
z
𝑒4
= 𝐼𝑖 2 2 4 𝑐𝑜𝑠 22𝜃
𝑚 𝑟 𝑐
dei fasci diffusi a seguito dei due fasci componenti polarizzati, e cioè:
𝑒4
1 + 𝑐𝑜𝑠 2 2𝜃
𝐼𝑒𝑡ℎ = 𝐼𝑖 2 2 4 (
)
𝑚 𝑟 𝑐
2
dove il termine P =
1+𝑐𝑜𝑠2 2𝜃
2
è chiamato «fattore di polarizzazione».
Effetti della polarizzazione
• Se il fascio incidente è completamente polarizzato con Ei lungo l’asse z,
la radiazione diffusa è la stessa in tutte le direzioni.
• Se il fascio incidente è completamente polarizzato con Ei lungo l’asse y,
la radiazione diffusa varia nelle diverse direzioni ed in particolare è
massima nella direzione del fascio incidente ed è nulla in direzioni
perpendicolari al fascio incidente.
• Se il fascio incidente è non polarizzato, la radiazione diffusa è massima
nella direzione del fascio incidente ed è minima in direzioni
perpendicolari al fascio incidente.
Nella pratica si usano radiazioni polarizzate.
Inoltre la radiazione diffusa sarà sempre parzialmente polarizzata, anche se il fascio
incidente non lo è.
Interferenza costruttuva e distruttiva di
onde
Nei due casi limite dell’interazione tra due onde aventi un vettore di propagazione (K) parallelo.
L’interferenza costruttiva di due onde in fase porta a un raddoppiamento dell’ampiezza, mentre un
interferenza distruttiva tra due onde completamente non in fase risulta in un ampiezza finale nulla, ovvere le
due onde si estinguono.
Diffrazione da un reticolo ottico
Sia XY la differenza di
cammino fra i raggi diffratti 1
2:

2
a
sin = XY/a
1
X
Y
 XY = a sin 
Coherent incident light

Diffracted light
La condizione perché’ i raggi 1 e 2 siano in fase e diano interferenza
costruttiva, è che XY = l, 2l, 3l, 4l…..nl
Cioè:
a sin  = nl
con n ordine della diffrazione
Diffrazione da un reticolo ottico
Conseguenze:
poiché al massimo
sin = 1  a = l
Realisticamente, sin <1  a > l
Cioè il periodo di ripetizione deve essere dello stesso ordine, ma un po’ più
grande, della lunghezza d’onda della luce
Poiché nei cristalli le distanze interatomiche variano 0.1 - 2 Å
Dobbiamo usare radiazione con l = 0.1 - 2 Å
Vanno bene raggi X, elettroni, neutroni
Interferenza tra onde
diffuse
O’
𝑠0
𝑟∗
𝑟
B
A
q
q
q
O
𝑠0
𝜆
Intermini vettoriali, consideriamo due diffusori puntuali nelle posizioni O e O’ (due particelle cariche). Se un’onda
piana li investe, questi diventano sorgenti di onde sferiche secondarie che interferiscono fra loro. Sia 𝑠0 il versore
associato alla direzione di propagazione dei raggi X incidenti ed 𝑠 il versore associato alla direzione di
propagazione dei raggi diffusi lungo la quale vogliamo studiare i fenomeni di interferenza.
La differenza di cammino ottico tra i raggi diffusi in O e O’ lungo la direzione S sarà:
(differenza di cammino) = 𝐵𝑂 + 𝐴𝑂 = 𝑟 ⋅ (𝑠 − 𝑠0)
Interferenza tra onde diffuse
(differenza di cammino) = 𝐵𝑂 + 𝐴𝑂 = 𝑟 ⋅ (𝑠 − 𝑠0)
dove 𝑟 è il vettore che va da O a O’.
Infatti:
𝐵𝑂 = 𝑟 ⋅ 𝑠
𝐴𝑂 = −𝑟 ⋅ 𝑠0
𝐵𝑂 + 𝐴𝑂 = 𝑟 ⋅ 𝑠 − 𝑟 ⋅ 𝑠0 = 𝑟 ⋅ (𝑠 − 𝑠0)
𝑟 e 𝑆0 hanno verso opposto.
Quindi la differenza di cammino ottico tra i raggi diffusi dai diffusori in O e O’ lungo la direzione 𝑆 sarà:
(differenza di cammino ottico ) =
(𝑑𝑖𝑓𝑓𝑒𝑟𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑑𝑖 𝑐𝑎𝑚𝑚𝑖𝑛𝑜)
𝜆
=
𝑟⋅(𝑠−𝑠0)
𝜆
La differenza di fase d fra l’onda diffusa in O’,
nella direzione definita dal versore 𝑠, e quella
diffusa in O, nella stessa direzione, è:
𝛿 = 2𝜋 ∙ 𝑑𝑖𝑓𝑓𝑒𝑟𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑑𝑖 𝑐𝑎𝑚𝑚𝑖𝑛𝑜 𝑜𝑡𝑡𝑖𝑐𝑜
𝛿=
dove
Se l è molto più grande della distanza r tra i due
diffusori, la differenza di fase d fra le onde sarà
praticamente nulla e quindi non vi saranno fenomeno
di interferenza apprezzabili.
Il modulo di 𝑟 ∗ sarà:
2𝜋
𝑟 ⋅ 𝑠 − 𝑠0 = 2𝜋𝑟 ∗ ⋅ 𝑟
𝜆
𝑟∗
1
= (𝑠 − 𝑠0 )
𝜆
2𝑠𝑒𝑛𝜃
=
𝜆
Dove 2q è l’angolo fra le direzioni dei Raggi X
incidenti e quella di osservazione.
Infatti dalla figura in alto:
La differenza di cammino, , e la differenza di fase j
𝑠
𝑠
2𝑠𝑒𝑛𝜃
0
sono legate dalla relazione: j = 2p /l
𝑟∗ =
𝑠𝑒𝑛𝜃 +
𝑠𝑒𝑛𝜃 =
𝜆
𝜆
𝜆
Si ricordi che: 𝑠0 = 𝑠 ≡ 𝑣𝑒𝑟𝑠𝑜𝑟𝑖 (cioè, il loro modulo vale 1)
𝑟∗
Q’
Interferenza tra onde
diffuse
O’
G’
𝑟∗
Q
𝑠0
𝑟
B
q
A
q
G
O
q
𝑠0
𝜆
Se tracciamo dei piani normali a 𝑟 ∗ passanti per O e O’ (QQ’ e GG’ sono le tracce di questi piani)
possiamo anche considerare la diffrazione come ottenuta per riflessione speculare rispetto a questi piani.
Scattering RX
Quindi, il fenomeno della diffrazione è analogo all’interferenza della
luce con un reticolo ottico.
Lungo alcune direzioni (direzione 3) i fasci diffratti A e B si trovano
esattamente sfasati di mezza lunghezza d’onda: si ha interferenza
distruttiva e lungo la direzione 3 si avrà intensità nulla.
Lungo le direzioni 1 e 2 i due fasci sono in fase e avremo un massimo
di intensità lungo quelle direzioni.
Tra le direzioni 1 e 2 avremo tutte le gradazioni
intermedie.
Se però considero un reticolo ottico devo
considerare non solo 2 fasci ma milioni, questo fa si
che si abbia una grande intensità esattamente per
le direzioni 1 e 2 e intensità praticamente nulla
per tutte le altre.
Scattering RX
Le direzioni lungo le quali si osserva un’interferenza
costruttiva dipendono da:
La lunghezza d’onda della luce incidente l
La distanza a dei nodi del reticolo
Perché i fasci 1 e 2 siano in fase deve valere la
seguente condizione:
AB= l, 2l, 3l, ….., nl
ma dal momento che:
AB= a sin 
Allora:
a sin  = n l
Considerazioni
• se a < l osservo solo la diffrazione di ordine zero (sin  1)
• se a » l i vari ordini di diffrazione sono così ravvicinati da dare un continuo.
Analogie fra diffrazione della luce e diffrazione
di raggi x
Il passo del reticolo è l’analogo dei parametri della cella elementare nei cristalli
e determina la geometria della diffrazione
La larghezza delle fenditure determina l'intensità diffratta
Il numero totale di fenditure determina il numero e l’intensità’ dei riflessi
satellite o massimi secondari di diffrazione
L’esperimento di Young
L'esperimento di Young è quello con cui il medico e scienziato Thomas Young, nel 1801, dimostrò
la natura ondulatoria della luce, grazie alla realizzazione di due sorgenti coerenti di luce,
illuminando due fenditure parallele con una singola sorgente.
Ciascuna apertura si comporta come una sorgente secondaria di onde e la figura di interferenza, formata
da bande alternativamente oscure e chiare, si può osservare su uno schermo posto ad una certa distanza
dalle due fenditure.
Diffrazione da parte di fenditure strette con
periodo a
Si considerano solo l’interferenza tra onde prodotte
da fenditure differenti
AB = asinan = nl
Poiché’ a/ l è alto (>100) gli angoli di diffrazione sono piccoli
sin an  an
an=n l/a
Diffrazione da parte di fenditure strette con
periodo a
Diffrazione da parte di una fenditura larga
Le onde prodotte da una stessa fenditura interferiscono
tra loro.
Diffrazione da parte di una fenditura larga
• Per ogni altra copia adiacente vale la stessa relazione, quindi per tutta la fenditura, l = d sinazom
è la condizione per cui l’intensità (massima per a = 0), cade improvvisamente a zero.
• Al crescere dell’angolo di osservazione a > azom, si può osservare un massimo secondario (di
intensità molto inferiore) dovuto a parziale interferenza costruttiva, che gradualmente sparisce in
𝜆
2
𝑑
4
prossimità di afom (fom= First Order Minimum) ove: = 𝑠𝑖𝑛𝛼𝑓𝑜𝑚 o 2𝜆 = 𝑑𝑠𝑖𝑛𝛼𝑓𝑜𝑚
Diffrazione da parte di una fenditura larga
Le posizioni dei picchi sono le stesse che per le fenditure infinitamente strette, mentre le intensità
diffratte sono modulate dal «profilo» dell’intensità della singola fenditura
Diffrazione da parte di un reticolo di finito
Si dimostra che i minimi ad intensità nulla sono per: sinan=nl/W=(n/ N)(l/a)
I massimi non sono più stretti ma sono allargati e circondati da massimi secondari, il numero delle
frange cresce con N, ma al tempo stesso la loro intensità diminuisce.
Geometria della
diffrazione
Diffrazione di solidi cristallini
Max von Laue
(1879-1960)
Paul Peter Ewald
(1888-1985)
William Bragg
(1862-1942)
Lawrence Bragg
(1890 - 1971)
Equazioni di Laue
Le equazioni di Laue per la diffrazione:
Consideriamo una disposizione regolare di nodi reticolari separati da una distanza a;
affinchè si osservi intensità diffusa, la differenza di cammino ottico tra due raggi diffratti
contigui deve essere uguale ad un numero intero di lunghezze d’onda, ovvero:
(𝑨𝑩 − 𝑪𝑫) = a cosan - a cosa0 = a [cosan - cosa0] = nx l
In termini vettoriali: siano 𝒔 e 𝒔𝟎 vettori unitari (versori)
che stanno sulle direzioni dei raggi diffratto ed incidente.
𝒂 sia il vettore traslazione lungo il filare di periodicità
𝒂.
Dalla proprietà del prodotto scalare si ha che :
𝒂 ∙ 𝒃 = 𝒂 𝒃 𝒄𝒐𝒔𝜽 = 𝒂𝒃𝒄𝒐𝒔𝜽,
Simbolo prodotto scalare
dove q è l’angolo compreso tra a e b, quindi applicandola
alla figura di fianco:
𝒂 ∙ 𝒔𝟎 = 𝒂 𝒔𝟎 𝒄𝒐𝒔𝜶𝟎 = 𝒂𝒔𝒄𝒐𝒔𝜶𝟎 = 𝒂𝒄𝒐𝒔𝜶𝟎
e
𝒂 ∙ 𝒔 = 𝒂 𝒔 𝒄𝒐𝒔𝜶𝒏 = 𝒂𝒔𝒄𝒐𝒔𝜶𝒏 = 𝒂𝒄𝒐𝒔𝜶𝒏
Spesso si indica con S (maiuscolo) il vettore
𝑆 = 𝑠 − 𝑠0 che non è generalmente un
vettore unitario ed il suo modulo dipende
dall'angolo tra s e s0. La condizione per la
diffrazione sarà 𝒂 ∙ 𝑺 = 𝒏𝒙 𝝀.
che, sostituiti in:
(𝑨𝑩 − 𝑪𝑫) = a cosan - a cosa0 = a [cosan - cosa0] = nx l
danno:
𝒂[𝒄𝒐𝒔𝜶𝒏 − 𝒄𝒐𝒔𝜶𝟎 ] = 𝒂 ∙ 𝒔 − 𝒂 ∙ 𝒔𝟎 = 𝒂 ∙ 𝒔 − 𝒔𝟎 = 𝒏𝒙 𝝀
La differenza di cammino è data dal prodotto scalare:
𝒂 ∙ 𝒔 − 𝒔𝟎
Equazioni di Laue
Attenzione: ciò che caratterizza questa condizione di interferenza costruttiva è l’angolo di
deflessione del raggio diffratto rispetto alla direzione di incidenza ().
Per uno specifico valore di nλ, Φ è costante e il
luogo di tutti i possibili raggi sarà rappresentato
da un cono con il filare dei punti diffondenti che
rappresenta l'asse centrale. Poiche´ i raggi
diffratti saranno in fase per lo stesso Φ sull'altro
lato del fascio incidente, vi sarà un altro cono
uguale ma invertito su quel lato. I coni con n=1
avranno Φ come angolo fra l'asse del cono e la
superficie esterna del cono. Quando n=0, il cono
diviene un piano che contiene il fascio incidente.
Maggiore è il valore di n, maggiore è il valore del
cosΦ e quindi più piccolo sarà l'angolo Φ e più
stretto il cono. Tutti i coni hanno lo stesso asse e
hanno vertici comuni nello stesso punto,
all'intersezione del fascio incidente con il filare di
atomi.
Φ
Problema: Quanti sono questi possibili coni?
Dato che : a /l [cos( an) - cos (a0) ] = nx
il massimo valore che [cos(an) - cos (a0) ] può avere è: 2 = [1 - (-1)],
per (an) = 0 e (a0) = 180°, ovvero saranno possibili tutti quegli nx tali per cui:
nx < 2a /l
· Al diminuire del valore della lunghezza d’onda usata, sono possibili più condizioni di interferenza
costruttiva.
· All’aumentare della periodicità del reticolo sono possibili più condizioni di interferenza costruttiva.
Equazioni di Laue
Equazioni di Laue
𝒂 ∙ 𝒔 − 𝒔𝟎 = 𝒉𝝀
𝒃 ∙ 𝒔 − 𝒔𝟎 = 𝒌𝝀
𝒄 ∙ 𝒔 − 𝒔𝟎 = 𝒍𝝀
Per un cristallo tridimensionale estendendo la:
𝒂𝟏 𝒔𝒊𝒏𝝓𝟏 = 𝒂 ∙ 𝒔 − 𝒔𝟎 = 𝒉𝝀
alle altre due dimensioni (assi y e z), si ottiene:
𝒂𝟐 𝒔𝒊𝒏𝝓𝟐 = 𝒃 ∙ 𝒔 − 𝒔𝟎 = 𝒌𝝀
𝒂𝟑 𝒔𝒊𝒏𝝓𝟑 = 𝒄 ∙ 𝒔 − 𝒔𝟎 = 𝒍𝝀
con h, k e l = 0, 1, 2 ... N.
Per avere diffrazione tutte e tre devono essere
soddisfatte contemporaneamente. Si ha diffrazione solo
per quelle direzioni determinate dai punti di
intersezione comuni a TRE coni, centrati lungo x, y e z!
Ogni raggio diffratto sarà caratterizzato da una
direzione e da una terna di numeri interi (h, k e l) che
indicano l’ordine del cono di diffrazione di Laue
interessato.
Coni di diffrazione prodotti da tre filari non complanari di
atomi che si intersecano in un punto.
Le equazioni di Laue danno le condizioni rigorose per la
diffrazione ma non sono utilizzabili praticamente.
Legge (o condizione) di Bragg
Nel metodo proposto da W.L. Bragg nel 1912, la diffrazione viene considerata
semplicemente come una riflessione dei raggi X da parte di una famiglia di
piani reticolari.
Questa assunzione è fisicamente scorretta:
in questa trattazione infatti il fascio incidente è solo parzialmente riflesso dal
primo dei piani reticolari; la maggior parte della radiazione penetra in
profondità nel cristallo, venendo solo parzialmente riflessa dal secondo piano e
così via. È noto invece che ogni punto agisce come sorgente di onde sferiche che si
propagano in ogni direzione dello spazio.
Nel processo di diffrazione però tutto avviene come se…
Dunque, si consideri una famiglia di piani del reticolo di traslazione; d sia la
distanza interplanare, l la lunghezza d’onda della radiazione incidente e q
l’angolo di incidenza:
Legge (o condizione) di Bragg
Analogamente alla trattazione di Laue: la
differenza di cammino ottico deve essere
uguale ad un numero intero di lunghezze
d’onda. Per piani atomici paralleli (di indici
hkl) separati di spaziatura dhkl:
(hkl)
(hkl)

dhkl

2q
dhkl
(hkl)
(𝑨𝑩 + 𝑩𝑪) = ( dhkl sinq + dhkl sinq ) = 2dhkl sinq,
ovvero:
n l = 2dhkl sinq
con n = 1,2,3,…N.
q,2q– Angoli di Bragg
2=differenza di cammino ottico
2=nl– Interfernza costruttiva
} LEGGE DI BRAGG 2dsinq =nl
La differenza di cammino ottico per onde diffuse da atomi nello stesso piano (dhkl = 0) è nulla
e, per qualsiasi lunghezza d’onda, le onde diffuse interferiscono in fase costruttivamente.
La trattazione di Bragg, in termini di piani riflettenti, porta ad un’equazione visibilmente più
semplice.
Legge (o condizione) di Bragg
La legge di Bragg descrive la diffrazione come se fosse una riflessione. Si tratta
però di una riflessione selettiva perché non abbiamo raggi diffratti per ogni q,
ma solo per quelli che soddisfano la relazione:
2d sin q = nl
o
2dhkl sin q = l
Relazione fra dhkl e parametri di cella: Es. ortorombico
2
2
2
1 =h k  l
2
2
2
2
d a b c
Legge (o condizione) di Bragg
Combiniamo l’equazione di Bragg e la relazione d-cella
Raggi X di lunghezza d’onda 1.54 Å sono “riflessi” dai piani
(1 1 0) di un cristallo cubico con cella a = 6 Å.
Calcolare l’angolo di Bragg, q, per ogni ordine di riflessione, n.
1 h k l
=
2
2
d
a
2
2
d = 18 
2
2
11 0
=
= 0.056
2
6
d = 4.24 Å
Legge (o condizione) di Bragg
d = 4.24 Å
 nl 
q = sin  
 2d 
-1
n=1:
q = 10.46°
= (1 1 0)
n=2:
q = 21.30°
= (2 2 0)
n=3:
q = 33.01°
= (3 3 0)
n=4:
q = 46.59°
= (4 4 0)
n=5:
q = 65.23°
= (5 5 0)
2dhkl sin q = l
Indici di Miller non primi fra loro
q
(hkl)
q
qq
C
A
(hkl)
B
F
D
G
(hkl)
I
E
H
Se si assume che per il percorso ABC la differenza di cammino ottico sia pari a una lunghezza d’onda l: 𝐴𝐵 +
𝐵𝐶 = 1lpotrò scrivere l’equazione di Bragg: 2dhklsinq= l.
La differenza di cammino ottico per il percorso DEF sarà pari a 2l (𝐷𝐸 + 𝐸𝐹 = 2l)→
2dhklsinq= 2l, infatti i triangoli isosceli ABC e DEF sano simili perché hanno gli stessi angoli, ma hanno
l’altezza l’una doppia dell’altra, quindi anche i lati DE/EF saranno doppi rispetto a quelli AB/BC.
Per ragioni analoghe, la differenza di cammino per il percorso GHI: 𝐺𝐻 + 𝐻𝐼 = 3l→ 2dhklsinq= 3l.
In generale posso scrivere: 2dhklsinq= nl
Indici di Miller non primi fra loro
La legge di Bragg prevede:
2dhklsinq= 1l
2dhklsinq= 2l
2dhklsinq= 3l
Nell’indicizzazione si considerano i riflessi tutti
del primo ordine. Questo equivale a scrivere ...
.
.
.
.
.
.
2(dhkl/n)sinq= l
2dhklsinq= nl
d100
n=1
2(dhkl/1)sinq= l
2(dhkl/2)sinq= l
2(dhkl/3)sinq= l
d200=1/2d100
n=2
d300=1/3d100
n=3
I riflessi con indici non primi fra loro («multipli») sono dovuti alle riflessioni di ordine superiore
al primo, ma possono anche essere interpretati come riflessioni del primo ordine originate da
piani fittizzi («non reali») nel cristallo. Questi piani dividono la distanza interplanare reale di n
volte, dove n è l’ordine della riflessione.
Legge (o condizione) di Bragg
La legge di Bragg tratta la diffrazione come se fosse una riflessione selettiva descritta dalla
relazione:
2dhkl sin q =n l
Se introduciamo d’nhnknl = dhkl/n
Tutti i “riflessi” possono essere trattati come se fossero del prim’ordine, ma gli indici non sono
più primi fra loro (indici di Laue). Questo è vero sono nello spazio reciproco!
Ad es. i riflessi del secondo ordine da parte della famiglia di piani (111) con d-spacing d111
possono essere considerati riflessi del primo ordine da parte di piani con spaziatura d 111/2.
Poiché’ dimezzare le intercette significa raddoppiare gli indici questi piani possono essere
chiamati 222. Sono piani “fittizi” in quanto solo su metà di essi vi sono diffusori(atomi)
Monocromatore
Per monocromatizzare i raggi X si sfrutta la legge di Bragg. Si sceglie
un cristallo (quarzo, silicio, Ge, etc.) che abbia un riflesso intenso da
parte di un set di piani reticolari e lo si orienta all’angolo di Bragg
esatto per la Ka1
l = 1.540 Å = 2dhklsinq
Monocromatore
Esempio: il germanio è cubico , a=5.66Å. A quale angolo di Bragg occorre
orientare piani (111) per ottenere la radiazione CuKa1 (l =1.540 Å)?
1 h 2  k 2  l2
3
=
=
2
2
d
a
(5.66) 2
d=3.27Å
l=2d sinq

 l 
-1  1.540

q = sin   = sin 
 2d 
 (2  3.27) 
-1
= 13.62°
Legge di Bragg in forma vettoriale
Per i cristallografi è, d’altra parte, consuetudine utilizzare il vettore di scattering, S, inteso
come differenza tra vettore uscente s e vettore incidente s0, S = (s - s0).
Piano con i centri diffusori
I vettori incidente e uscente sono in relazione col vettore
di scattering S come le onde incidenti e riflesse da un
piano lo sono con la normale al piano.
r* = S /l
E’ chiamato vettore di reticolo reciproco. Il suo modulo è r* = 2sinJ /l . La sua direzione è
perpendicolare ai piani che contengono i centri diffusori
Legge di Bragg in forma vettoriale
Per i cristallografi è, d’altra parte, consuetudine utilizzare il vettore di scattering, 𝑆, inteso
come differenza tra vettore uscente 𝑠 e vettore incidente 𝑠𝑜 , 𝑆 = (𝑠 − 𝑠𝑜 )
𝑆 = (𝑠 − 𝑠𝑜 )
𝑠𝑜
𝑠𝑜
Piano con i centri diffusori
𝑠
I vettori incidente e uscente sono in relazione col vettore
di scattering 𝑺 come le onde incidenti e riflesse da un
piano lo sono con la normale al piano.
𝒓∗ = 𝑺 𝝀
E’ chiamato vettore di reticolo reciproco. Il suo modulo è 𝒓∗ = 𝟐𝒔𝒊𝒏𝜽 𝝀. La sua direzione è
perpendicolare ai piani che contengono i centri diffusori
Legge di Bragg in forma vettoriale
Le onde diffuse da O e O’ interferiranno e nella direzione individuata dal versore s. La
differenza di cammino  sarà:
𝚫 = 𝑶𝑩 − 𝑨𝑶′ = 𝒓 ∙ 𝒔 − 𝒓 ∙ 𝒔𝟎 = 𝒓 ∙ 𝒔 − 𝒔𝟎 = 𝒓 ∙ 𝑺
Poiché j :2p = :l , la differenza di cammino corrisponde ad una differenza di fase
𝝋 = 𝟐𝝅𝚫 𝝀 = 𝟐𝝅(𝒓 ∙ 𝑺) 𝝀 = 𝟐𝝅 𝒓 ∙ 𝒓∗ ;
dove 𝒓∗ = 𝑺 𝝀
La differenza di fase j delle onde diffratte ha in se l’informazione sulle posizioni dei centri
diffusori.
Legge di Bragg in forma vettoriale
Affinchè si abbia intensità diffusa, deve essere che la differenza di cammino sia uguale a :
𝚫 = 𝒓 ∙ 𝑺 = 𝒏𝝀
Dividendo per l, ed esplicitando l’espressione di 𝒓 = 𝒎𝟏 𝒂 + 𝒎𝟐 𝒃 + 𝒎𝟑 𝒄, l’equazione di sopra
non sarà nulla solo quando sarà soddisfatta anche l’equazione seguente:
𝒎𝟏 𝒂 ∙ 𝒓∗ + 𝒎𝟐 𝒃 ∙ 𝒓∗ + 𝒎𝟑 𝒄 ∙ 𝒓∗ = 𝒏
Questa equazione può essere soddisfatta per tutti i valori di n (interi positivi, negativi e zero)
solo se 𝒂 ∙ 𝑺, 𝒃 ∙ 𝑺, 𝒄 ∙ 𝑺 sono individualmente interi, e ciò porta alle equazioni di Laue
𝒂∙𝑺=𝒉
𝒃∙𝑺 =𝒌 𝒄∙𝑺= 𝒍
(Equazioni di Laue)
Le tre equazioni rappresentano famiglie di piani equidistanti nello spazio reciproco,
perpendicolari ad a, b e c, rispettivamente, le cui intersezioni producono i nodi del reticolo
reciproco. Esse sono quindi equivalenti all’unica equazione dei nodi
𝑺𝒉𝒌𝒍 = 𝒉𝒂∗ + 𝒌𝒃∗ + 𝒍𝒄∗
Il reticolo reciproco
Il concetto di reticolo reciproco (e quello di spazio reciproco) è molto pervasivo nelle scienze
dello stato solido, e gioca un ruolo fondamentale nella maggior parte degli studi analitici delle
strutture periodiche. Ci si arriva da strade diverse, quali la teoria della diffrazione, lo studio
astratto di funzioni periodiche in un reticolo di Bravais, la teoria delle bande elettroniche, gli
spettri vibrazionali reticolari, e, in pratica, da ogni disciplina orientata allo studio delle
proprietà dei solidi. Esso fu introdotto per la prima volta da P. Ewald (1912, tesi di laurea).
Dal punto di vista dei cristallografi, il reticolo reciproco è uno strumento molto utile nei calcoli
metrici, e, come vedremo, nella geometria della diffrazione, permettendo di interpretare
quantitativamente i pattern di diffrazione di raggi X, elettroni, neutroni (da cui si ottengono le
strutture cristalline e molecolari). I fisici lo utilizzano nello studio della propagazione di onde
di tutti i tipi in un mezzo periodico (spazio k).
Il reticolo reciproco
Per i calcoli cristallografici è utile introdurre il concetto di reticolo reciproco. Ci sono diversi approcci al reticolo
reciproco. Cominciamo ad usare un’approccio assiomatico, una costruzione geometrica astratta, basata sull’algebra
vettoriale.
Siano a, b, c i vettori elementari di un reticolo cristallino che chiameremo diretto o reale. Un secondo reticolo,
definito dai vettori elementari a*, b*, c*, e detto reciproco del primo se soddisfa le seguenti condizioni:
a* .b = a* .c = b* .a = b* .c = c* .a = c* .b = 0
a* .a = b* .b = c* .c = 1
La prima serie di condizioni indica che a* è perpendicolare a b e c, b* è perpendicolare ad a e c, c* ad a e b.
La seconda riga fissa in modulo e verso i tre vettori reciproci fondamentali a*, b*, c*.
Potremo quindi scrivere
a* = cost .(b ∧ c),
dove il simbolo ∧ indica il prodotto vettoriale
ma essendo a* · a = 1, avremo a* · a = cost (b ∧ c) · a = cost · V = 1
Quindi: cost =1/V (V = volume di cella), e avremo per i tre parametri reciproci :
a* = (b ∧ c)/V
b* = (c ∧ a)/V
c* = (a ∧ b)/V
Il reticolo reciproco
In termini scalari:
a* = (bc sinα)/V
b* = (ac sinβ)/V
c* = (ab sinγ)/V
dove: 𝑉 = 𝑎𝑏𝑐 (1 − 𝑐𝑜𝑠2𝛼 − 𝑐𝑜𝑠2𝛽 − 𝑐𝑜𝑠2𝛾 + 2𝑐𝑜𝑠𝛼𝑐𝑜𝑠𝛽𝑐𝑜𝑠𝛾)1/2
Si noti cheV* = a* . (b* ∧ c*) = 1/V.
Le definizioni suggeriscono che i ruoli dei reticoli diretto e reciproco sono intercambiabili, nel senso che il reciproco del
reticolo reciproco è il reticolo reale. Per esempio nel caso di un reticolo ortorombico:
a* = 1/a
b* = 1/b
c* = 1/c
Vettori nello spazio reale e reciproco:
r*hkl = ha* + kb* + lc*
ruvw = ua + vb + wc
Qualsiasi vettore nello spazio reciproco sarà una combinazione lineare dei
vettori di base a*, b* e c*
Il reticolo reciproco
Si puo facilmente verificare che i reciproci dei reticoli triclini, monoclini, etc. sono
anch’essi triclini, monoclini, etc. Ma il reciproco di un reticolo F è un reticolo I e
viceversa.
Reticolo monoclino diretto: a ≠ b ≠ c, a =  = 90°, b ≠ 90°
b
V = b· (c ∧ a) = b[casen(b)]cos0 = abcsenb
L’asse binario nel reticolo diretto per
convenzione è posto lungo b, nel
reticolo reciproco sarà lungo b*.
a* = (b ∧ c)/V
𝑏𝑐𝑠𝑒𝑛90
1
𝑎∗ =
=
𝑎𝑏𝑐𝑠𝑒𝑛𝛽
𝑎𝑠𝑒𝑛𝛽
b* = (c ∧ a)/V
𝑐𝑎𝑠𝑒𝑛𝛽
1
𝑏∗ =
=
𝑎𝑏𝑐𝑠𝑒𝑛𝛽
𝑏
c* = (a ∧ b)/V
𝑎𝑏𝑠𝑒𝑛90
1
∗
𝑐 =
=
𝑎𝑏𝑐𝑠𝑒𝑛𝛽
𝑐𝑠𝑒𝑛𝛽
b*
 = * = 90
a = a* = 90
b
c
b -90°
c*
Reticolo monoclino reciproco: a* ≠ b* ≠ c*, a * =  * = 90°, b * ≠ 90°
a
b -90°
a*
b* =b-2(b-90)=180-b
Il reticolo reciproco
Reticolo ortorombico diretto: a ≠ b ≠ c, a = b =  = 90
b
V = b· (c ∧ a) = b[casen(90)]cos0 = abc
a* = (b ∧ c)/V
𝑏𝑐𝑠𝑒𝑛90
1
∗
𝑎 =
=
𝑎𝑏𝑐
𝑎
b* = (c ∧ a)/V
𝑐𝑎𝑠𝑒𝑛90
𝑏∗ =
=
𝑎𝑏𝑐
c* = (a ∧ b)/V
𝑎𝑏𝑠𝑒𝑛90
∗
𝑐 =
=
𝑎𝑏𝑐
I tre assi binari nel reticolo diretto
per convenzione sono posti lungo a, b
e c, nel reticolo reciproco saranno
lungo a*, b* e c*.
b*
1
𝑏
a = a* = 90
1
𝑐
c*
 = * = 90
a*
b = b*=90
c
Reticolo ortorombico reciproco: a* ≠ b* ≠ c*, a * = b * =  * = 90°
Analogamente per i reticoli tetragonali e cubici avremo:
Reticolo tetragonale reciproco: 𝑎∗ =
Reticolo cubico reciproco: 𝑎 ∗ =
1
:
𝑎
1
1
1
: 𝑎∗ = ∶ 𝑐 ∗ = con a * = b * =  * = 90°
𝑎
𝑎
𝑐
1
1
𝑎 ∗ = ∶ 𝑎∗ = con a * = b * =  * = 90°
𝑎
𝑎
a
Il reticolo reciproco
Reticolo trigonale o esagonale diretto: a ≠ b ≠ c, a = b = 90°,  = 120°
𝑉 = 𝑏 ∙ 𝑎 ∧ 𝑏 = 𝑐 ⋅ 𝑎𝑏𝑠𝑒𝑛120° cos 0° = 𝑎𝑏𝑐
a* = (b ∧ c)/V
𝑏𝑐𝑠𝑒𝑛90
2
∗
𝑎 =
=
𝑎𝑏𝑐𝑠𝑒𝑛120
𝑎 3
b* = (c ∧ a)/V
𝑐𝑎𝑠𝑒𝑛90
1
𝑏∗ =
=
𝑎𝑏𝑐𝑠𝑒𝑛120
𝑏 3
c* = (a ∧ b)/V
𝑐∗ =
𝑎𝑏𝑠𝑒𝑛120
𝑎𝑏𝑐𝑠𝑒𝑛120
=
1
𝑐
3
2
c
L’asse ternario o senario nel reticolo
diretto per convenzione è posto lungo
c, nel reticolo reciproco sarà lungo c*.
c*
a= a* = 90
b = b* = 90
30°
a
a*
=120
b
120° -90° = 30°
b*
* =120-2(30)=60
Reticolo trigonale o esagonale reciproco: a* ≠ b* ≠ c*, a * = b * = 90°,  * = 120° (è lo stesso che avere * = 60°).
Per il reticolo romboedrico: 𝑎∗ = 𝑏∗ = 𝑐 ∗ =
𝑠𝑒𝑛𝛼
𝑎⋅ 1−3𝑐𝑜𝑠2 𝛼+2𝑐𝑜𝑠 3 𝛼
e 𝛼 ∗ = 𝛽 ∗ = 𝛾 ∗ con 𝑐𝑜𝑠𝛼 ∗ = −
𝑐𝑜𝑠𝛼
(1+𝑐𝑜𝑠𝛼)
Celle dirette e reciproche
Per il reticolo triclino l’analisi è più
laboriosa e non l’affrontiamo.
Cella diretta e indiretta
triclina
Ricapitolando:
𝑎∗ =
𝑠𝑒𝑛𝛼 ∗
𝑏𝑐𝑠𝑒𝑛𝛼 ∗
;𝑏
𝑉
=
𝑎𝑐𝑠𝑒𝑛𝛽 ∗
;𝑐
𝑉
=
𝑎𝑏𝑠𝑒𝑛𝛾
;
𝑉
𝑉
𝑐𝑜𝑠𝛽𝑐𝑜𝑠𝛾 − 𝑐𝑜𝑠𝛼
∗
=
; 𝑐𝑜𝑠𝛼 =
;
𝑎𝑏𝑐𝑠𝑒𝑛𝛽𝑠𝑒𝑛𝛾
𝑠𝑒𝑛𝛽𝑠𝑒𝑛𝛾
𝑠𝑒𝑛𝛽∗ =
𝑉
𝑐𝑜𝑠𝛼𝑐𝑜𝑠𝛾 − 𝑐𝑜𝑠𝛽
; 𝑐𝑜𝑠𝛽∗ =
;
𝑎𝑏𝑐𝑠𝑒𝑛𝛼𝑠𝑒𝑛𝛾
𝑠𝑒𝑛𝛼𝑠𝑒𝑛𝛾
𝑠𝑒𝑛𝛾 ∗ =
𝑉
𝑐𝑜𝑠𝛼𝑐𝑜𝑠𝛽 − 𝑐𝑜𝑠𝛾
; 𝑐𝑜𝑠𝛾 ∗ =
;
𝑎𝑏𝑐𝑠𝑒𝑛𝛼𝑠𝑒𝑛𝛽
𝑠𝑒𝑛𝛼𝑠𝑒𝑛𝛽
𝛼 + 𝛼 ∗ = 180°; 𝛽 + 𝛽∗ = 180°; 𝛾 + 𝛾 ∗ = 180°;
Le relazioni inverse si ottengono scambiano il ruolo dei parametri senza asterisco con i parametri
asteriscati.
Proprietà del reticolo reciproco
Il prodotto scalare di due vettori r1 = x1a+y1b+z1c e r2* = ha*+kb*+lc*, uno definito nello
spazio diretto e l’altro definito nello spazio reciproco assume una formula particolarmente
semplificata:
r1·r2* = (x1a+y1b+z1c)·(ha*+kb*+lc*) = x1ha·a* + y1ha·b* + z1ha·c* + y1hb·a* + y1kb·b* +
+ y1lb·c* + z1hc·a* + z1kc·b* + z1lc·c* =
x1h1 + y1h0 + z1h0 + y1h0 + y1k1 + y1l0 + z1h0 + z1k0 + z1l1 = x1h + y1k + z1l
o in forma matriciale:
ℎ
𝑟1 ∙ 𝑟2∗ = 𝑥1 𝑦1 𝑧1 ∙ 𝑘 = 𝑋1 ∙ 𝐻
𝑙
alternativamente si può anche usare la notazione seguente, se si definisce r2* = (x2*a*+y2*b*+z2*c*)
𝑥2∗
𝑟1 ∙ 𝑟2∗ = 𝑥1 𝑦1 𝑧1 ∙ 𝑦2∗ = 𝑋1 ∙ 𝑋2∗
𝑧2∗
Proprietà del reticolo reciproco
Il vettore è 𝑟𝐻∗ = ℎ𝑎∗ + 𝑘𝑏 ∗ + 𝑙𝑐 ∗ normale alla famiglia di piani reticolari (hkl) definita nel
reticolo diretto
C
𝑟𝐻∗
𝑂𝐴 = 𝑎 ℎ
𝑂𝐵 = 𝑏 𝑘
𝑂𝐶 = 𝑐 𝑙
𝐴𝐵 = 𝑏 𝑘 − 𝑎 ℎ
𝐴𝐶 = 𝑐 𝑙 − 𝑎 ℎ
𝑐
𝑙
B
𝐵𝐶 = 𝑐 𝑙 − 𝑏 𝑘
O
𝑟𝐻∗ ∙ 𝐴𝐵 = ℎ𝑎∗ + 𝑘𝐵∗ + 𝑙𝑐 ∗ ∙ 𝑏 𝑘 − 𝑎 ℎ = 0
𝑟𝐻∗ ∙ 𝐴𝐶 = ℎ𝑎∗ + 𝑘𝐵 ∗ + 𝑙𝑐 ∗ ∙ 𝑐 𝑙 − 𝑎 ℎ = 0
𝑟𝐻∗ ∙ 𝐵𝐶 = ℎ𝑎∗ + 𝑘𝐵 ∗ + 𝑙𝑐 ∗ ∙ 𝑐 𝑙 − 𝑏 𝑘 = 0
hkl
𝑎
ℎ
A
Piano della famiglia (hkl) che
passa più vicino all’origine
Le equazioni sopra indicano che rH* è perpendicolare ai vettori: 𝐴𝐵, 𝐴𝐶, 𝐵𝐶. Essendo rH*
perpendicolare a due rette del piano, esso è perpendicolare al piano stesso.
Proprietà del reticolo reciproco
Dato il vettore è 𝑟𝐻∗ = ℎ𝑎∗ + 𝑘𝑏 ∗ + 𝑙𝑐 ∗ se h, k, l sono interi primi fra lor allora 𝑟𝐻∗ = 1
C
Sia 𝑛 il versore nella direzione di 𝑟𝐻∗ perpendicolare al piano ABC.
𝑛=
𝑟𝐻∗
1
𝑟𝐻∗
𝑐
𝑎
ℎ
𝑎
ℎ
𝑟𝐻∗
hkl
𝑙
N
La distanza interplanare dH è uguale al segmento
𝑂𝑁 condotto al piano ABC perpendicolarmente, cioè
la proiezione di qualunque vettore 𝑂𝐴, 𝑂𝐵 𝑜 𝑂𝐶
secondo la direzione individuata dal versore 𝑛 ,
quindi:
𝑑𝐻 = 𝑂𝐴 ∙ 𝑛 = ∙ 𝑛 = ∙ 𝑟𝐻∗
𝑑𝐻
1
∗
𝑟𝐻
𝑎
ℎ
B
O
= ∙ ℎ𝑎∗ + 𝑘𝑏 ∗ + 𝑙𝑐 ∗
𝑎
1
∗
𝑟𝐻
A
ℎ
1
ℎ
= ∙ℎ
1
∗
𝑟𝐻
=
1
∗
𝑟𝐻
(1)
Un nodo del reticolo reciproco, con h, k, l interi e primi fra loro, rappresenta la famiglia di piani (hkl) nel
corrispondente reticolo diretto, e viceversa. Nel caso (hkl) non sono primi fra loro, la (1) è ancora valida, ma in tal
caso però le famiglie (hkl) non sono di piani reticolare ma di piani teorici, fittizi.
Proprietà del reticolo reciproco
Siano a*, b*, c* tre vettori che definiscono un sistema tridimensionale di coordinate nello spazio reciproco.
Il prodotto scalare di due vettori:
è definito come:
𝑟1∗ = ℎ1 𝑎∗ + 𝑘1𝑏 ∗ + 𝑙1𝑐 ∗
𝑟2∗ = ℎ2 𝑎∗ + 𝑘2𝑏 ∗ + 𝑙 2𝑐 ∗
𝑟1∗ ∙ 𝑟2∗ = ℎ1 𝑎∗ + 𝑘1𝑏 ∗ + 𝑙1𝑐 ∗ ∙ ℎ2 𝑎∗ + 𝑘2𝑏 ∗ + 𝑙 2𝑐 ∗ =
= ℎ1ℎ2𝑎∗2 + k1𝑘2𝑏 ∗2 + 𝑙1 𝑙2 𝑐 ∗2 + ℎ1𝑘2 + ℎ2𝑘1 𝑎∗ 𝑏 ∗ 𝑐𝑜𝑠𝛾 ∗ +
+ ℎ1𝑙2 + ℎ2𝑙1 𝑎∗ 𝑐 ∗ 𝑐𝑜𝑠𝛽∗ + 𝑘1𝑙2 + 𝑘2𝑙1 𝑏 ∗ 𝑐 ∗ 𝑐𝑜𝑠𝛼 ∗
o in notazione matriciale:
𝑎 ∗ ∙ 𝑎∗
𝑟1∗ ∙ 𝑟2∗ = ℎ1 𝑘1 𝑙1 ∙ 𝑏 ∗ ∙ 𝑎 ∗
𝑐 ∗ ∙ 𝑎∗
𝑎∗ ∙ 𝑏∗
𝑏∗ ∙ 𝑏∗
𝑐 ∗ ∙ 𝑏∗
𝑎∗ ∙ 𝑐 ∗
ℎ2
∗
∗
𝑏 ∙ 𝑐 ∙ 𝑘2 = 𝐻1 ∙ 𝐺 ∗ ∙ 𝐻2
𝑐∗ ∙ 𝑐∗
𝑙2
dove G* è detta «matrice metrica» definita nello spazio reciproco, perché il suo valore dipende dalla lunghezza
degli assi a*, b*,c* e dagli angoli a*, b*, * ossia dalla della cella reciproca.
Matrice metrica
𝑎∗ ∙ 𝑎∗
G* = 𝑏 ∗ ∙ 𝑎∗
𝑐 ∗ ∙ 𝑎∗
𝐷𝑒𝑡 𝐺 ∗
𝑎∗ ∙ 𝑏∗
𝑏∗ ∙ 𝑏∗
𝑐 ∗ ∙ 𝑏∗
𝑎∗ ∙ 𝑎∗
= det 𝑏 ∗ ∙ 𝑎∗
𝑐 ∗ ∙ 𝑎∗
𝑎∗ ∙ 𝑐 ∗
𝑏∗ ∙ 𝑐 ∗
𝑐∗ ∙ 𝑐∗
𝑎∗ ∙ 𝑏∗
𝑏∗ ∙ 𝑏∗
𝑐 ∗ ∙ 𝑏∗
𝑎∗ ∙ 𝑐 ∗
𝑏∗ ∙ 𝑐 ∗ =
𝑐∗ ∙ 𝑐∗
= (−1)2 𝑎∗ ∙ 𝑎 ∗ 𝑏 ∗ ∙ 𝑏 ∗ 𝑐 ∗ ∙ 𝑐 ∗ − 𝑐 ∗ ∙ 𝑏 ∗ 𝑏 ∗ ∙ 𝑐 ∗ + (−1)3 𝑏 ∗
∙ 𝑎∗ 𝑎∗ ∙ 𝑏 ∗ 𝑐 ∗ ∙ 𝑐 ∗ − 𝑐 ∗ ∙ 𝑏 ∗ 𝑎∗ ∙ 𝑐 ∗ + −1 4 𝑐 ∗ ∙ 𝑎∗ 𝑎 ∗ ∙ 𝑏 ∗ 𝑏 ∗ ∙ 𝑐 ∗ − 𝑏 ∗ ∙ 𝑏 ∗ 𝑎∗ ∙ 𝑐 ∗ =
= 𝑎∗2 𝑏 ∗2 𝑐 ∗2 − 𝑎 ∗2 𝑐 ∗ 𝑏 ∗ 𝑐𝑜𝑠𝛼 ∗ 𝑏 ∗ 𝑐 ∗ 𝑐𝑜𝑠𝛼 ∗ − 𝑎 ∗2𝑐 ∗ 𝑏 ∗ 𝑐𝑜𝑠𝛼 ∗ 𝑏 ∗ 𝑐 ∗ 𝑐𝑜𝑠𝛼 ∗
− 𝑏 ∗ 𝑎∗ 𝑐𝑜𝑠𝛾 ∗ 𝑎∗ 𝑏𝑐𝑜𝑠𝛾 ∗ 𝑐 ∗2 + 𝑏 ∗ 𝑎∗ 𝑐𝑜𝑠𝛾 ∗ 𝑐 ∗ 𝑏 ∗ 𝑐𝑜𝑠𝛼 ∗ 𝑎∗ 𝑐 ∗ 𝑐𝑜𝑠𝛽 ∗
+ 𝑐 ∗ 𝑎∗ 𝑐𝑜𝑠𝛽 ∗ 𝑎∗ 𝑏 ∗ 𝑐𝑜𝑠𝛾 ∗ 𝑏 ∗ 𝑐 ∗ 𝑐𝑜𝑠𝛼 ∗ − 𝑐 ∗ 𝑎∗ 𝑐𝑜𝑠𝛽∗ 𝑏 ∗2 𝑎∗ 𝑐 ∗ 𝑐𝑜𝑠𝛽 ∗ =
= 𝑎∗2 𝑏 ∗2 𝑐 ∗2 1 − 𝑐𝑜𝑠 2 𝛼 ∗ − 𝑐𝑜𝑠 2 𝛽∗ − 𝑐𝑜𝑠 2𝛾 ∗ + 2𝑐𝑜𝑠𝛼 ∗ 𝑐𝑜𝑠𝛽∗ 𝑐𝑜𝑠𝛾 ∗ = 𝑉 ∗2
𝐷𝑒𝑡 𝐺 ∗ = 𝑉 ∗2
Matrice metrica
𝑎∗ ∙ 𝑎∗
G* = 𝑏 ∗ ∙ 𝑎∗
𝑐 ∗ ∙ 𝑎∗
𝑎∗ ∙ 𝑏∗
𝑏∗ ∙ 𝑏∗
𝑐 ∗ ∙ 𝑏∗
𝑎∗ ∙ 𝑐 ∗
𝑏∗ ∙ 𝑐 ∗
𝑐∗ ∙ 𝑐∗
In maniera analoga a quanto fatto nel reticolo reciproco è possibile introdurre una matrice metrica G anche nel reticolo
diretto, dove:
𝑎∙𝑎
G= 𝑏∙𝑎
𝑐∙𝑎
𝑎∙𝑏
𝑏∙𝑏
𝑐∙𝑏
𝑎∙𝑐
𝑏∙𝑐
𝑐∙𝑐
𝐷𝑒𝑡 𝐺 = 𝑎2 𝑏 2 𝑐 2 1 − 𝑐𝑜𝑠 2 𝛼 − 𝑐𝑜𝑠 2 𝛽 − 𝑐𝑜𝑠 2𝛾 + 2𝑐𝑜𝑠𝛼𝑐𝑜𝑠𝛽𝑐𝑜𝑠𝛾 = 𝑉 2
Si può facilmente dimostrare che:
G* = G-1; det(G*) = 1/det(G)
Calcolo cristallografico
Se vogliamo calcolare il quadrato del modulo di un vettore, in modo ad esempio per poter determinare
la distanza dall’origine di un atomo caratterizzato dal vettore di posizione 𝑟:
r2 = 𝑥
𝑦
𝑎∙𝑎
𝑧 ∙ 𝑏∙𝑎
𝑐∙𝑎
𝑎∙𝑏
𝑏∙𝑏
𝑐∙𝑏
𝑎∙𝑐 𝑥
𝑏∙𝑐 ∙ 𝑦 =𝑋∙𝐺∙𝑋 =
𝑧
𝑐∙𝑐
= 𝑥2𝑎2 + 𝑦2𝑏2 + 𝑧2𝑐2 + 2𝑥𝑦𝑎𝑏𝑐𝑜𝑠𝛾 + 2𝑥𝑧𝑎𝑐𝑐𝑜𝑠𝛽 + 2𝑦𝑧𝑏𝑐𝑐𝑜𝑠𝛾
Se vogliamo calcolare la distanza tra due punti, ad esempio due atomi caratterizzati dai vettori posizione r1 =
x1a+y1b+z1c e r2 = x2a+y2b+z2c dobbiamo calcolare il modulo del vettore differenza r2-r1:
r2-r1
r2
Δ𝑥
𝑎∙𝑎 𝑎∙𝑏 𝑎∙𝑐
r1
𝑟2 − 𝑟1 2 = Δ𝑥 Δ𝑦 Δ𝑧 ∙ 𝑏 ∙ 𝑎 𝑏 ∙ 𝑏 𝑏 ∙ 𝑐 ∙ Δ𝑦
𝑐∙𝑎 𝑐∙𝑏 𝑐∙𝑐
Δ𝑧 r2-r1=(x2-x1)a+(y2-y1)b+(z2-z1)c =
= xa+yb+zc
Se vogliamo calcolare l’angolo q tra i due vettori r1 = x1a+y1b+z1c e r2 = x2a+y2b+z2c (ad es. l’angolo di
legame tra due atomi):
𝑟1∙𝑟2
𝑟1∙𝑟2
= 𝑐𝑜𝑠𝜃 =
𝑋1∙𝐺∙𝑋2
𝑟1 ∙𝑟2
,
dove 𝑟1 ∙ 𝑟2 indica il modulo di 𝑟1 ∙ 𝑟2
Costruzione del reticolo reciproco
Ora utilizzeremo un approccio geometrico per costruire un reticolo
reciproco. Partiremo da una cella “diretta” monoclina
PIANI RETICOLARI
(001)
(100)
(002)
(101)
(101)
(102)
Costruzione del reticolo reciproco
Consideriamo le famiglie
di piani (100) e (001)
Tracciamo le normali fermandoci
in due punti distanti 1/d
dall’origine
Questi sono vettori di reticolo
reciproco G1 e G2
Dimensioni = 1/lunghezza
G1
G2
Vettori del reticolo reciproco
Continuando per tutte le possibili famiglie di piani si potrà costruire
la maglia seguente:
 G002
G102 
Possiamo definire una cella
reciproca
 G001 c*
G101 
G100 
b*
a* = G100
O
c* = G001
|a*| = 1/d100 ; |c*| = 1/d001
a*
a* e c* non sono in generale paralleli ad a e c – questo accade solo
nei sistemi ortogonali
b* =180°- b
Il reticolo reciproco
La terna di indici di Miller (hkl), che nello spazio diretto è associata ad una famiglia di piani
paralleli, nello spazio reciproco indica le componenti del vettore d*hkl ad essi associato.
Questo vettore è normale alla famiglia di piani (hkl).
Se h, k , l sono interi primi fra loro vale la relazione:
dhkl* = K / dhkl
dove K è una costante arbitraria, che è talora conveniente prendere unitaria ma per la
diffrazione è meglio assumere uguale alla l della radiazione usata, e dhkl è la distanza
interplanare della famiglia di piani (hkl).
Questi vettori d* sono vettori del reticolo reciproco, nel senso che i loro moduli (distanze tra nodi)
hanno dimensione di [lunghezza]-1, per esempio Angstroms reciproci, Å-1, o picometri reciproci,
pm-1.
Nello spazio diretto, ruvw = ua + vb +wc
I ismboli [uvw] di una direzione sono le componenti di un vettore reale
Nello spazio reciproco, r*hkl = ha* + kb* +lc*
Gli indici di Miller (hkl) sono le componenti di un vettore reciproco.
Reticolo diretto e reciproco
Piu’ grande è la cella elementare diretta, piu’ piccola è la cella
elementare reciproca (V* = 1/V).
Se la cella unitaria ha i tre angoli a,b , retti gli assi reciproci
coincidono con quelli diretti e gli angoli reciproci sono anch’esse
retti. Diversamente saranno i supplementari degli angoli diretti
Le proprieta’ “metriche” della cella reciproca corrispondono a
quelle delle cella diretta. Ad es: il reticolo reciproco di una cella
monoclina e’ ancora monoclino, etc..
Un vettore di reticolo reciproco r* = ha*+kb*+lc* è
perpendicolare ai piani con indici di Miller (hkl)
Reticolo reciproco
 Una figura di diffrazione è la trasformata di Fourier del
reticolo diretto
 Una figura di diffrazione è una rappresentazione del
reticolo reciproco
Fenditura
Figura di diffrazione
I minimi di intensità
soddisfano
Trasformata di Fourier
Trasformata di Fourier
Trasformata di Fourier
SPAZIO DIRETTO
SPAZIO RECIPROCO
Figura di diffrazione
Fenditura
T. Fourier
T. Fourier
Fenditura
Figura di diffrazione
T. Fourier
All’aumentare del numero delle fenditure l’intensità dei massimi
secondari diminuisce
Ad ogni cella diretta corrisponde una cella reciproca
direct
reciprocal
Sfera di Ewald
(Introdotta con il reticolo reciproco per la prima volta da P. Ewald nel 1921)
 Con il reticolo reciproco si cambia prospettiva passando dai piani (hkl) su cui sono
distribuiti i centri diffusori della radiazione (atomi) alle direzioni dei raggi diffratti
 Ogni famiglia di piani (hkl) darà origine ad un raggio diffratto nella direzione individuata
dall’angolo J di Bragg. Gli indici hkl diventano le coordinate dei nodi di un reticolo, che ci
costruisce a partire dal reticolo diretto
 Con il reticolo reciproco si realizza il passaggio da una funzione delle distanze
interatomiche ( reticolo diretto, basato su dhkl(Å)) ad una funzione dell’inverso delle
distanze interatomiche (il reticolo reciproco, appunto, basato su 1/d (Å-1). Questa
operazione si chiama Trasformata di Fourier
 Si realizza interferenza costruttiva ogni volta che la variazione del vettore d’onda tra
radiazione incidente e diffratta coincide con un vettore del reticolo reciproco.
Ciò è bene illustrato dalla costruzione di Ewald, che rappresenta in generale le condizioni
di diffrazione.
Sfera di Ewald
nodo reticolo reciproco (hkl)
sulla superficie della sfera
P*
r* = (S-S0)/l
Raggio
A
incidente
2q
C
q
S0/l
1/l
O*
origine reticolo
reciproco
𝐬𝐢𝐧
𝑶∗ 𝑨𝑷∗
∗ ∗
= 𝒔𝒊𝒏𝜽 = 𝑶 𝑷
𝑶𝑩
∗ ∗
=𝑶 𝑷
sinq = (O*P*/2 ) l = r*hkll/2
𝟐
( )
𝝀
Cristallo con famiglia di
piani (hkl) in diffrazione
Ricordando che dhkl = 1/ r*hkl si ha che: 𝟐𝒅𝒉𝒌𝒍 𝒔𝒊𝒏𝜽 = 𝝀
Utilizzo della sfera di Ewald
Per ottenere tutte i possibili fasci diffratti che un cristallo può fornire, utilizzando una radiazione di lunghezza
d'onda λ, è sufficiente orientare opportunamente il cristallo e farlo ruotare, in modo che i suoi nodi reciproci
abbiano la possibilità di attraversare la superficie della sfera di Ewald.
Quando un nodo attraversa la superficie della sfera, un raggio diffratto sarà generato nella direzione che va dal
centro della sfera al nodo sulla superficie, come descritto nella slide precedente.
Rotazione del reticolo cristallino
Scansione del cristallo
Detector di
raggi-X
Sorgente di
raggi-X
Frames raccolti
Sfera di
Ewald
Rotazione
del reticolo
reciproco
Raccolta dati da diffrazione su un cristallo singolo
Sferas Limite
d*hkl
l= 2 dhkl sinq
d*hkl
q
s0
q
1/l
origine del reticolo
reale
sinq1

1 2

d hkl l
origine del reticolo
reciproco

l
(d hkl )min 
2
Raggio della sfera limite
Condizione necessaria e sufficiente perche’ l’equazione di Bragg sia soddisfatta per
la famiglia di piani (hkl) è che il nodo del reticolo reciproco definito da d* r*
giaccia sulla superficie della sfera.
Sfera Limite
l= 2 dhkl sinq
sinq1

Raggio della sfera limite
1 2

d hkl l
l
(d hkl )min 
2
Condizione necessaria e sufficiente perché l’equazione di Bragg sia soddisfatta per
la famiglia di piani (hkl) è che il nodo del reticolo reciproco definito da d* r*
giaccia sulla superficie della sfera. Questa condizione può essere verificata solo
per i vettori r* < 2/l.
Origini di un pattern di diffrazione da
polveri
Una polvere può essere considerata un
materiale policristalinno, costituito da
cristalliti (piccoli cristalli) che sono disposti
in modo uniforme secondo tutte le possibili
orientazioni.
Vista schematica delle differenti orientazioni dei
cristalliti in una polvere.
Associato ad una polvere cristallina vi è quindi un gran numero di reticoli reciproci, tutti
identici (essendo la radiazione monocromatica e i cristalliti della stessa natura) e tutti aventi
origine nello stesso punto, MA STATISTICAMENTE ORIENTATI come statisticamente orientati
sono i granuli della polvere cristallina. Ipotizzando una polvere costituita da un numero
infinito di cristalliti, i reticoli reciproci che ne derivano hanno i nodi omologhi distribuiti
uniformemente sulla superficie della sfera di Ewald. Al reticolo reciproco formato da nodi
(derivante da un cristallo singolo) possiamo quindi sostituire un sistema di sfere concentriche
aventi raggi uguali alle distanze l/d caratteristiche di ogni nodo del reticolo reciproco.
Generazione dei coni di diffrazione
Le sfere che rappresentano il reticolo reciproco della polvere intersecano la superficie della sfera di Ewald secondo
circonferenze di raggio diverso perpendicolari alla direzione del fascio di RX incidente
Unendo ciascun punto di queste
circonferenze col centro della sfera di
riflessione si determinano serie di
CONI coassiali con la direzione dei
raggi incidenti e aventi angoli al
vertice 4q compresi tra 0° e 360°
Anelli di Debye
Sfera di Ewald
Cono di
diffrazione
Raggio
incidente
Assumendo che il numero di cristalliti si approssimi ad
infinito e che essi siano uniformente distribuiti nello
spazio, la densità dei vettori di scattering k1 diventa
uniforme sulla superficie della sfera. L’intensità
scatterata sarà perciò costante sulla circonferenza
rappresentata dalla base del cono dei vettori k1 che
interseca lo schermo piatto ddel detector. Queste
cirfonferenze sono chiamta anelli di Debye.
Anello di
Debye
In un esperimento di diffrazione
da polveri si misurano diversi
anelli di Debye con differente
diametro e intensità, ciacuno
emesso al relativo q di Bragg.
hkl
I/Io
2q(°)
111
100
43.298
002
46
50.434
022
20
74.113
113
17
89.934
222
5
95.143
004
3
116.923
133
9
136.514
024
8
144.723
Sfera di
Ewald
Raggio
incidente
Schema dei coni di diffrazione di una polvere di Cu
misurati con la radiazione CuKa1. Ciascun cono è
etichettati con i corrispondenti indici di Miller
Polvere ideale
• Cristalliti orientati in modo random
• 1 cm3 di povere contiene approssimativamente 109
particelle (cristalliti di 10mm) e 1012 particelle
(cristalliti di 1mm)
• Dimensione dei cristalli dell’ordine di alcuni
microns.
Rappresentazione di un difrattogramma
da polveri
In uno spettro da polveri, l’intensità
scatterata
è
arbitrariamente
rappresentata come funzione di una
singola
variabile
indipendente,
l’angolo di Bragg, 2q. Questo tipo di
rappresentazione è chiamata pattern
di diffrazione da polveri o
difrattogramma.
Pattern di diffrazioni da polveri reali e
simulati
A differenza di quanto ipotizzato nella
teoria matematica i nodi del reticoli
reciproco non sono puntiformi (funzione
di Dirac), ma hanno un volume proprio.
Pattern di diffrazione simulato di una polvere di Cu.
Inoltre anche la superficie della sfera di Ewald ha
uno spessore non trascurabile (a causa delle
aberazioni ottiche e della non perfetta
monocromaticità del fascio incidente) Questo
risulta in un ampiezza diversa zero dei picchi di
Bragg.
Pattern di diffrazione di una polvere di LaB6 ottenuto dall’integrazione
dell’area rettangolare mostrata nella slide precedente
Che informazioni possiamo ottenere da
un pattern di diffrazioni da polveri
Componente del
Pattern
Informazione
Proprietà
Posizione del picco
Parametri della cella
unitaria (a,b,c,a,b,)
Assorbimento
Porosità
Intensità del picco
Parametri atomici
(x/a, y/b, z/c, B,
etc.)
Orientazione
preferenziale
Assorbimento
Porosità
Forma del picco
Cristallinità
Disordine
Difetti cristallini
Dimensione dei grani
Strain
Stress
Il problema dell’indicizzazione
Proiezione unidimensionale di un reticolo
reciproco bidimensionale. Le scale nelle due
parti della figira sono identiche 1/d = d*.
Nella diffrazione da polveri, il primo passo
nell’interpretazione di un difrattogramma è l’individuazione
dellla cella unitaria, che in pratica equivale ad assegnare gli
indici di miller ai picchi in esso presenti. Questa operazione,
però, non è triviale perchè il difrattogramma sperimentale
altro non è che la proiezione unidimensionale della porzione
di reticolo reciproco tridimensionale esplorata durante la
raccolta dati.
Posizione del picco
La posizione del picco è determinata dall’angolo di Bragg che a sua volta è funzione della distanza
interplenare tra i piani che hanno dato origine al riflesso.
La distanza interplanare è funzione dei parametri di cella e degli indici di Miller h, k e l in accordo con le
equazioni seguenti:
Sistema Cubico:
1
𝑑2
=
Sistema Tetragonale:
1
𝑑2
Sistema Esagonale:
1
𝑑2
Sistema Ortorombico:
Sistema Monoclino:
Sistema Triclino:
=
ℎ2+𝑘2 𝑙2
+2
𝑎2
𝑐
=
4 ℎ2+ℎ𝑘+𝑘2 𝑙2
+2
3
𝑎2
𝑐
1
𝑑2
1
𝑑2
1
𝑑2
ℎ2+𝑘2+𝑙2
𝑎2
=
=
=
ℎ2 𝑘2 𝑙2
+ +
𝑎2 𝑏2 𝑐2
ℎ2
𝑘2
𝑙2
2ℎ𝑙 cos 𝛽
+
+
+
𝑎2 sin2 𝛼 𝑏2 𝑐2 sin2 𝛽 𝑎𝑐 sin2 𝛽
ℎ2
2𝑘𝑙
[ 2 2 + (cos 𝛽 cos 𝛾
𝑎 sin 𝛼 𝑏𝑐
ℎ2
2ℎ𝑘
cos 𝛽)+ 2 2 +
(cos 𝛼 cos 𝛽
𝑎 sin 𝛾 𝑎𝑐
−
𝑘2
2ℎ𝑙
cos 𝛼)+ 2 2 + (cos 𝛼 cos 𝛾
𝑏 sin 𝛽 𝑎𝑐
−
− cos 𝛾)+(1 − cos2 𝛼 − cos2 𝛽 − cos2 𝛾 + 2 cos 𝛼 cos 𝛽 cos 𝛾)