Corso di laurea triennale in Scienza dei Materiali a.a. 2013-2014 Diffrazione dei raggi X nei cristalli La diffrazione mediante raggi X è il metodo ideale per comprendere le strutture dei minerali (e altri materiali cristallini) su una scala atomica. Essa permette quindi di stabilire le relazioni tra struttura e le proprietà chimico-fisiche del materiale investigato, oppure permette l’investigazione delle relazioni tra struttura cristallina e condizioni termodinamiche nelle quali un minerale (o una roccia) si forma, fornendo importanti informazioni petrologiche e geologiche. In particolare la diffrazione da polveri permette identificazioni non ambigue delle fasi mineralogiche e l’analisi quantitativa delle stesse. Docente: Ernesto Mesto e-mail: [email protected] Website: www.geo.uniba.it/mesto.html L’analisi strutturale L’analisi strutturale dei cristalli si basa sui fenomeni di diffrazione causata dall’interazione della materia con radiazioni di diversa natura aventi l paragonabili alle distanze interatomiche presenti nel cristallo (0.1 - 2 Å). Sebbene la teoria della diffrazione è la stessa per tutti i tipi di radiazione (raggi X, elettroni, neutroni, protoni, …) normalmente sono adoperati i raggi X, elettroni e neutroni. In particolare, la radiazione cui si farà riferimento nelle prossime slide è quella dei raggi X. Ricordiamo che per il concetto di dualismo onda-particella (o dualismo onda-corpuscolo), espresso all'interno del principio di complementarità, tutte le particelle elementari della materia, come l'elettrone o il fotone, mostrano una duplice natura, sia corpuscolare sia ondulatoria. Tale evidenza nasce dall'interpretazione di alcuni esperimenti compiuti all'inizio del XX secolo: ad esempio l'effetto fotoelettrico, suggeriva una natura corpuscolare della luce, che d'altra parte manifestava chiaramente da tempo proprietà ondulatorie attraverso i fenomeni della diffrazione e dell'interferenza (esperimento di Young).Il paradosso rimase fino alla formulazione completa della meccanica quantistica, quando finalmente si riuscì a descrivere i due aspetti in maniera unificata. Dualismo onda-particella Louis de Broglie ipotizzò che, come la luce possiede proprietà corpuscolari e ondulatorie, tutta la materia abbia anche proprietà ondulatorie: a un corpo con quantità di moto p = mv veniva infatti associata un'onda di lunghezza d'onda: l = ℎ 𝑝 (dive h è la constante di Plank). Solo per particelle di massa piccola (o momento p piccolo) si possono evidenziare fenomeni ondulatori. Nel 1927, i fisici Clinton Joseph Davisson e Lester Halbert Germer confermarono le previsioni della formula di De Broglie dirigendo un fascio di elettroni contro un reticolo cristallino e osservandone figure di diffrazione. Esperimenti con risultati analoghi furono eseguiti diversi anni dopo, come quello della variante dell'esperimento di Young condotta con elettroni, protoni e particelle più pesanti (esperimento della doppia fenditura). Raggi-X L'impiego dei raggi X nell'analisi dei materiali è dovuta in massima parte alla loro elevata penetrazione in molti materiali; nella generalità dei casi è infatti vero che, per ottenere, con un’indagine non distruttiva, informazioni analitiche o strutturali su di un campione, occorre che si verifichino contemporaneamente due fatti: a) la radiazione penetri sufficientemente nel campione in modo da attraversarlo o perlomeno da penetrare significativamente; b) la radiazione deve interagire con gli atomi del materiale in maniera sufficientemente frequente da permettere dall'esterno di osservare ciò che è avvenuto all'interno del campione. Risulta evidente che la prima condizione è molto restrittiva per gran parte della radiazione elettromagnetica ed elastica di bassa energia, fatte ovviamente le dovute eccezioni (NMR, ultrasuoni, ecc.). La seconda condizione può essere verificata solo conoscendo i meccanismi di interazione delle radiazioni con la materia e la metodologia seguita per dedurre l'informazione analitica o strutturale. E’ utile anche notare che le due precedenti condizioni sono in contraddizione tra loro: se infatti vi è un maggior numero di interazione, quindi una maggiore probabilità di interazione, la penetrazione del fascio risulterà minore. Metodi analitici che usano i raggi X La scoperta dei raggi X è avvenuta per caso: Roentgen (1895) durante un esperimento per la produzione di raggi catodici si accorse di aver causato fluorescenza in un minerale e la imputò a una nuova radiazione che chiamò X, perché non ne conosceva la natura. Essa venne essenzialmente impiegata in tre grandi campi: Radiografia con raggi-X: è la tecnica che consente di ottenere immagini del contenuto di un solido, in funzione della sua capacità di assorbirmento, mediante Schema del processo di base di una impressione di un elemento sensibile (pellicola, schermo, ecc.) da parte di radiografia a raggi X radiazioni ionizzanti quali raggi X o raggi . Flurorescenza a raggi X: permette l’identificazione degli elementi chimici che sono presenti, o compongono il campione esaminato. Il principio prevede che impiegando una radiazione X di energia ed intensità appropriate è possibile creare, per effetto fotoelettrico, una vacanza elettronica in un guscio interno dell’atomo di un elemento. Tale posizione viene successivamente rioccupata da un elettrone che appartiene ad uno dei gusci più esterni, che nella diseccitazione produce un fotone che ha una energia pari alla differenza tra le energie dell’elettrone nelle due Schema del processo di base della Fluorescenza dei raggi X posizioni iniziale e finale. Metodi analitici che usano i raggi X Cristallografia mediante raggi X: sfrutta la diffrazione dei raggi X dai cristalli per calcolarne le mappe di densità elettronica le quali, in pratica, sono immagini della distribuzione dei costituenti del cristallo all’interno del reticolo cristallino. L’applicazione dei raggi X allo studio dei cristalli ha dato un grande impulso alla mineralogia. Prima di allora i cristallografi avevano giustamente supposto, ma solo supposto, l’ordinamento periodico dei cristalli dalla morfologia, dalla sfaldatura, dalle proprietà ottiche, ecc. Dopo di allora fu possibile non solo misurare le distanze fra piani reticolari, ma localizzare la posizione degli ioni, degli atomi,ecc. e quindi determinare le strutture. I Bragg (padre e figlio) nel 1914 risolsero la prima struttura, che fu quella del salgemma. La cristallografia a raggi X può localizzare ogni atomo nella zeolite, un alluminosilicato utilizzato in applicazioni come la purificazione dell'acqua. Effetto dell’irraggiamento da raggi X Fotone incidente Scattering anelastico Sorgente di raggi X elettrone Diffrazione incoerente Campione Calore Diffusione Scattering elastico Fascio trasmesso Fotone-X incidente Elettrone cade nella lacuna Fotone-X secondario Fotone incidente Diffrazione coerente Elettrone fotoespulso Effetto fotoelettrico + Fluorescenza 1° Ef f e t t o Co m p t o n Dif f raz ione l Compt on > l X l diffrat t a = X l X - elet t roni secondari 2 ° - raggi X di f luorescenza l f luorescenza l x Interazione raggi X materia Diagramma dell’interazione atomo-raggio X. P: Fotoionizzazione, A: Decadimento Auger (Coster-Kronig), F: fluorescenza, SO: shake-off, S: elastic x-ray scattering elastico del raggio X. Il fenomeno della diffrazione La diffrazione è un complesso fenomeno di diffusione e interferenza originato dall’interazione di onde elettromagnetiche (raggi X) o particelle “relativistiche” (neutroni e elettroni) aventi appropriata lunghezza d’onda (dell’ordine dell’Å) con un reticolo cristallino. Il processo di diffusione (o scattering) L’interazione di un’onda elettromagnetica con la materia avviene essenzialmente attraverso due processi di scattering che riflettono il dualismo onda-particella della radiazione incidente: Δλ = 0.024 (1-cos 2θ) Diffusione di un fotone da parte di un elettrone e diagramma vettoriale delle componenti dei momenti di fotoni e elettrone 1) scattering non-elastico: il fotone cede parte della sua energia (Scattering Compton), la radiazione diffusa risultante ha quindi lunghezza d’onda maggiore di quella incidente. Non essendoci alcuna relazione fra radiazione incidente e radiazione diffusa, questo tipo di scattering è definito incoerente. Questo fenomeno non dà luogo a processi di interferenza. Il fenomeno della diffrazione 2) scattering elastico: i fotoni della radiazione incidente vengono deviati in ogni direzione dello spazio senza perdita di energia (scattering Thomson) . Esiste dunque una precisa relazione fra radiazione incidente e radiazione diffusa per cui il processo viene definito coerente. Questo processo è alla base della diffrazione. Scattering elastico del fotone X Fotone X incidente Proprietà della radiazione elettromagnetica X • Si propagano nel vuoto von velocità c pari a circa 300.000 Km/sec. • I due vettori campo elettrico E e magnetico H sono disposti entrambi ortogonalmente alla direzione di propagazione dell’onda, sono ortogonali fra loro e variano nel tempo con legge sinusoidale: 𝑥 𝐸𝑖 = 𝐸0𝑖 exp 2𝜋𝑖n(𝑡 − ). 𝑐 • L’indice di rifrazione dei raggi X è molto vicino all’unità: per l = 2 Å e per le sostanze più dense a differenza dall’unità dell’indice di rifrazione è dell’ordine di 10-4. Pertanto i raggi X non possono essere focalizzati attraverso lenti come la luce ordinaria e gli elettroni. Non si può parlare per i raggi X, come per la luce visibile e gli elettroni, di osservazione diretta dei cristalli attraverso strumenti equivalenti ai microscopi ottici e elettronici I Raggi X È nota come raggi X quella porzione dello spettro elettromagnetico con una lunghezza d'onda compresa approssimativamente tra 10 nanometri (nm) e 1/1000 di nanometro (1 picometro). Raggi X con una lunghezza d'onda superiore a 0,1 nm sono chiamati raggi X molli. A lunghezze minori, sono chiamati raggi X duri. I = KA2 E = hn = hc/l n = c/l Schema della propagazione di un’onda elettromagnetica, dove il campo elettrico (E) e magnetico (H) sono mutualmente perpendicolari tra loro e perpendicolari al vettore di propagazione (k) dell’onda. La lunghezza d'onda (l) è la distanza tra due creste o fra due ventri. Ampiezza Il fenomeno della diffrazione Un reticolo cristallino può essere approssimato ad un reticolo di fenditure. Quindi la fisica della diffrazione di raggi X si fonda in parte sulla fisica della diffrazione di onde luminose da reticoli di fenditure e sulla teoria della riflessione "semplice". L’analogia tra un atomo ed una fenditura deriva dal fatto che l’atomo, come la fenditura che riceve una certa onda incidente, diviene sorgente secondaria di radiazione. A small scattering object is a secondary source Slide gentilmente concessa dal dott. M. Zema dell’Università di Pavia. What Is Diffraction? A wave interacts with A single particle The particle scatters the incident beam uniformly in all directions. A crystalline material The scattered beam may add together in a few directions and reinforce each other to give diffracted beams. Scattering di un particella Onda sferica diffusa nelle tre dimensioni Il campo elettro-magnetico dell'onda X incidente accelera la particella inducendo l'emissione di radiazione della stessa frequenza dell'onda incidente; in questo modo l'onda incidente viene diffusa. Nel caso di una particella in moto nonrelativistico (cioè con velocità trascurabile rispetto a quella della luce), la principale causa dell'accelerazione della particella sarà dovuta al campo elettrico dell'onda incidente mentre gli effetti del campo magnetico della stessa possono essere trascurati. La particella si muoverà nella direzione del campo elettrico oscillante, generando radiazione Fotone X elettro-magnetica di dipolo. incidente La particella irradia in modo più intenso nelle direzioni perpendicolari al suo moto e in queste direzioni la radiazione sarà polarizzata lungo la direzione del moto della particella. Pertanto, in base alla posizione dell'osservatore, la radiazione prodotta in un elemento di volume può sembrare più o meno polarizzata. Scattering da un elettrone libero y Q Supponiamo che nell’origine del nostro sistema di riferimento (x, r y, z) vi sia una particella materiale libera di carica elettrica e, avente massa m e che un’onda elettromagnetica piana, x monocromatica con frequenza n e vettore campo elettrico Ei si propaghi lungo l’asse x. Il campo elettrico associato all’onda elettromagnetica è definito 𝑥 dall’equazione: 𝐸𝑖 = 𝐸0𝑖 𝑒𝑥𝑝2𝜋𝑖n(𝑡 − ), dove Eoi è 𝑐 z l’ampiezza dell’onda, ed Ei è il valore del campo elettrico in x al tempo t. Quando il campo elettromagnetico investe la particella, il campo Ei eserciterà una forza F = e·Ei che sarà periodica di frequenza n. Tale forza imprimerà un’oscillazione periodica alla particella (a= F/m = e·Ei/m) con frequenza n. (non si considera il campo magnetico perché il suo modulo è trascurabile rispetto a quello del campo elettrico). Secondo la teoria classica dell’elettromagnetismo, una particella carica in moto accelerato è sorgente di radiazione elettromagnetica: il suo campo nel punto Q, definito dal vettore r, è proporzionale all’accelerazione e giace nel piano (Ei, r). In Q si misurerà un campo elettrico Ed dovuto alla radiazione diffuso, dato da: 𝑥 𝐸𝑑 = 𝐸0𝑑 𝑒𝑥𝑝[2𝜋𝑖n 𝑡 − − 𝑖𝛼] 𝑐 Dove a è un fattore di fase dovuto al ritardo con cui la carica riemette la «radiazione incidente» (per l’elettrone a = p).Per cui questo fenomeno di diffusione è coerente, perché c’è una relazione di fase ben definita tra il fascio incidente e quello diffuso. Diffusione Thomson Nella diffusione coerente (effetto Thomson) la radiazione diffusa ha la stessa lunghezza d'onda di quella incidente. 𝑒4 1+𝑐𝑜𝑠 22𝜃 y Thomson ricavò che: 𝐼 = 𝐼 ( ) 𝑖𝑒𝑡ℎ 𝑖 𝑚2𝑟2𝑐4 2 dove: Iieth = intensità della radiazione diffusa; Ii = intensità della radiazione incidente; e,m = carica (e = 1.602x10-19 Coulomb) e massa ( m = dell’elettrone); 2𝜃= angolo tra l'accelerazione della particella e direzione del punto di osservazione distante r dalla particella (angolo fra Ei e r). r = distanza dell’elettrone dal punto di osservazione.(il decadimento di 𝐼𝑖𝑒𝑡ℎ con r è dovuto al fatto che la radiazione è diffusa in tutte le direzioni. ) Q r x 2q z Quando i fotoni sono diffusi da elettroni differenti, possono interagire tra loro con una relazione di fase ben definita tra radiazione incidente e radiazione diffusa (interferenza). Fattore di polarizzazione y Consideriamo tre casi in cui il fascio incidente è completamente polarizzato con Ei lungo l’asse z, lungo l’asse y e non polarizzato: 1° Caso: Fascio incidente completamente polarizzato con Ei lungo z L’angolo fra direzione di osservazione (r) e la direzione di oscillazione Ei sarà: j = 90 Q 𝐼𝑒𝑡ℎ = 𝐼𝑖 𝑒4 r 𝑚2 𝑟 2 𝑐 4 J=90 x z 𝐼𝑒𝑡ℎ 𝑒4 = 𝐼𝑖 2 2 4 𝑐𝑜𝑠 22𝜃 𝑚 𝑟 𝑐 y Q r j 2q z 2° Caso: Fascio incidente completamente polarizzato con Ei lungo y L’angolo fra direzione di osservazione (r) e la direzione di oscillazione Ei sarà: x j = 90 -2q, dove 2q è l’angolo fra la direzione incidente e la direzione di osservazione. Quindi risulterà che : sen j = sen(90-2q) = cos(-2q) = cos (2q) Fattore di polarizzazione y 3° Caso: Fascio incidente non polarizzato Un fascio incidente non polarizzato può essere decomposto in due fasci completamente polarizzati in cui la direzione di oscillazione del campo elettrico Ei sono rispettivamente lungo l’asse y e z. Se Ii è l’intensità del fascio non polarizzato incidente, Ii/2 sarà l’intensità di ciascun fascio completamente polarizzato. Allora Ieth del fascio diffuso a seguito del fascio non polarizzato sarà la somma delle intensità: e 𝐼𝑒𝑡ℎ Q r x z 𝑒4 = 𝐼𝑖 2 2 4 𝑐𝑜𝑠 22𝜃 𝑚 𝑟 𝑐 dei fasci diffusi a seguito dei due fasci componenti polarizzati, e cioè: 𝑒4 1 + 𝑐𝑜𝑠 2 2𝜃 𝐼𝑒𝑡ℎ = 𝐼𝑖 2 2 4 ( ) 𝑚 𝑟 𝑐 2 dove il termine P = 1+𝑐𝑜𝑠2 2𝜃 2 è chiamato «fattore di polarizzazione». Effetti della polarizzazione • Se il fascio incidente è completamente polarizzato con Ei lungo l’asse z, la radiazione diffusa è la stessa in tutte le direzioni. • Se il fascio incidente è completamente polarizzato con Ei lungo l’asse y, la radiazione diffusa varia nelle diverse direzioni ed in particolare è massima nella direzione del fascio incidente ed è nulla in direzioni perpendicolari al fascio incidente. • Se il fascio incidente è non polarizzato, la radiazione diffusa è massima nella direzione del fascio incidente ed è minima in direzioni perpendicolari al fascio incidente. Nella pratica si usano radiazioni polarizzate. Inoltre la radiazione diffusa sarà sempre parzialmente polarizzata, anche se il fascio incidente non lo è. Interferenza costruttuva e distruttiva di onde Nei due casi limite dell’interazione tra due onde aventi un vettore di propagazione (K) parallelo. L’interferenza costruttiva di due onde in fase porta a un raddoppiamento dell’ampiezza, mentre un interferenza distruttiva tra due onde completamente non in fase risulta in un ampiezza finale nulla, ovvere le due onde si estinguono. Diffrazione da un reticolo ottico Sia XY la differenza di cammino fra i raggi diffratti 1 2: 2 a sin = XY/a 1 X Y XY = a sin Coherent incident light Diffracted light La condizione perché’ i raggi 1 e 2 siano in fase e diano interferenza costruttiva, è che XY = l, 2l, 3l, 4l…..nl Cioè: a sin = nl con n ordine della diffrazione Diffrazione da un reticolo ottico Conseguenze: poiché al massimo sin = 1 a = l Realisticamente, sin <1 a > l Cioè il periodo di ripetizione deve essere dello stesso ordine, ma un po’ più grande, della lunghezza d’onda della luce Poiché nei cristalli le distanze interatomiche variano 0.1 - 2 Å Dobbiamo usare radiazione con l = 0.1 - 2 Å Vanno bene raggi X, elettroni, neutroni Interferenza tra onde diffuse O’ 𝑠0 𝑟∗ 𝑟 B A q q q O 𝑠0 𝜆 Intermini vettoriali, consideriamo due diffusori puntuali nelle posizioni O e O’ (due particelle cariche). Se un’onda piana li investe, questi diventano sorgenti di onde sferiche secondarie che interferiscono fra loro. Sia 𝑠0 il versore associato alla direzione di propagazione dei raggi X incidenti ed 𝑠 il versore associato alla direzione di propagazione dei raggi diffusi lungo la quale vogliamo studiare i fenomeni di interferenza. La differenza di cammino ottico tra i raggi diffusi in O e O’ lungo la direzione S sarà: (differenza di cammino) = 𝐵𝑂 + 𝐴𝑂 = 𝑟 ⋅ (𝑠 − 𝑠0) Interferenza tra onde diffuse (differenza di cammino) = 𝐵𝑂 + 𝐴𝑂 = 𝑟 ⋅ (𝑠 − 𝑠0) dove 𝑟 è il vettore che va da O a O’. Infatti: 𝐵𝑂 = 𝑟 ⋅ 𝑠 𝐴𝑂 = −𝑟 ⋅ 𝑠0 𝐵𝑂 + 𝐴𝑂 = 𝑟 ⋅ 𝑠 − 𝑟 ⋅ 𝑠0 = 𝑟 ⋅ (𝑠 − 𝑠0) 𝑟 e 𝑆0 hanno verso opposto. Quindi la differenza di cammino ottico tra i raggi diffusi dai diffusori in O e O’ lungo la direzione 𝑆 sarà: (differenza di cammino ottico ) = (𝑑𝑖𝑓𝑓𝑒𝑟𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑑𝑖 𝑐𝑎𝑚𝑚𝑖𝑛𝑜) 𝜆 = 𝑟⋅(𝑠−𝑠0) 𝜆 La differenza di fase d fra l’onda diffusa in O’, nella direzione definita dal versore 𝑠, e quella diffusa in O, nella stessa direzione, è: 𝛿 = 2𝜋 ∙ 𝑑𝑖𝑓𝑓𝑒𝑟𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑑𝑖 𝑐𝑎𝑚𝑚𝑖𝑛𝑜 𝑜𝑡𝑡𝑖𝑐𝑜 𝛿= dove Se l è molto più grande della distanza r tra i due diffusori, la differenza di fase d fra le onde sarà praticamente nulla e quindi non vi saranno fenomeno di interferenza apprezzabili. Il modulo di 𝑟 ∗ sarà: 2𝜋 𝑟 ⋅ 𝑠 − 𝑠0 = 2𝜋𝑟 ∗ ⋅ 𝑟 𝜆 𝑟∗ 1 = (𝑠 − 𝑠0 ) 𝜆 2𝑠𝑒𝑛𝜃 = 𝜆 Dove 2q è l’angolo fra le direzioni dei Raggi X incidenti e quella di osservazione. Infatti dalla figura in alto: La differenza di cammino, , e la differenza di fase j 𝑠 𝑠 2𝑠𝑒𝑛𝜃 0 sono legate dalla relazione: j = 2p /l 𝑟∗ = 𝑠𝑒𝑛𝜃 + 𝑠𝑒𝑛𝜃 = 𝜆 𝜆 𝜆 Si ricordi che: 𝑠0 = 𝑠 ≡ 𝑣𝑒𝑟𝑠𝑜𝑟𝑖 (cioè, il loro modulo vale 1) 𝑟∗ Q’ Interferenza tra onde diffuse O’ G’ 𝑟∗ Q 𝑠0 𝑟 B q A q G O q 𝑠0 𝜆 Se tracciamo dei piani normali a 𝑟 ∗ passanti per O e O’ (QQ’ e GG’ sono le tracce di questi piani) possiamo anche considerare la diffrazione come ottenuta per riflessione speculare rispetto a questi piani. Scattering RX Quindi, il fenomeno della diffrazione è analogo all’interferenza della luce con un reticolo ottico. Lungo alcune direzioni (direzione 3) i fasci diffratti A e B si trovano esattamente sfasati di mezza lunghezza d’onda: si ha interferenza distruttiva e lungo la direzione 3 si avrà intensità nulla. Lungo le direzioni 1 e 2 i due fasci sono in fase e avremo un massimo di intensità lungo quelle direzioni. Tra le direzioni 1 e 2 avremo tutte le gradazioni intermedie. Se però considero un reticolo ottico devo considerare non solo 2 fasci ma milioni, questo fa si che si abbia una grande intensità esattamente per le direzioni 1 e 2 e intensità praticamente nulla per tutte le altre. Scattering RX Le direzioni lungo le quali si osserva un’interferenza costruttiva dipendono da: La lunghezza d’onda della luce incidente l La distanza a dei nodi del reticolo Perché i fasci 1 e 2 siano in fase deve valere la seguente condizione: AB= l, 2l, 3l, ….., nl ma dal momento che: AB= a sin Allora: a sin = n l Considerazioni • se a < l osservo solo la diffrazione di ordine zero (sin 1) • se a » l i vari ordini di diffrazione sono così ravvicinati da dare un continuo. Analogie fra diffrazione della luce e diffrazione di raggi x Il passo del reticolo è l’analogo dei parametri della cella elementare nei cristalli e determina la geometria della diffrazione La larghezza delle fenditure determina l'intensità diffratta Il numero totale di fenditure determina il numero e l’intensità’ dei riflessi satellite o massimi secondari di diffrazione L’esperimento di Young L'esperimento di Young è quello con cui il medico e scienziato Thomas Young, nel 1801, dimostrò la natura ondulatoria della luce, grazie alla realizzazione di due sorgenti coerenti di luce, illuminando due fenditure parallele con una singola sorgente. Ciascuna apertura si comporta come una sorgente secondaria di onde e la figura di interferenza, formata da bande alternativamente oscure e chiare, si può osservare su uno schermo posto ad una certa distanza dalle due fenditure. Diffrazione da parte di fenditure strette con periodo a Si considerano solo l’interferenza tra onde prodotte da fenditure differenti AB = asinan = nl Poiché’ a/ l è alto (>100) gli angoli di diffrazione sono piccoli sin an an an=n l/a Diffrazione da parte di fenditure strette con periodo a Diffrazione da parte di una fenditura larga Le onde prodotte da una stessa fenditura interferiscono tra loro. Diffrazione da parte di una fenditura larga • Per ogni altra copia adiacente vale la stessa relazione, quindi per tutta la fenditura, l = d sinazom è la condizione per cui l’intensità (massima per a = 0), cade improvvisamente a zero. • Al crescere dell’angolo di osservazione a > azom, si può osservare un massimo secondario (di intensità molto inferiore) dovuto a parziale interferenza costruttiva, che gradualmente sparisce in 𝜆 2 𝑑 4 prossimità di afom (fom= First Order Minimum) ove: = 𝑠𝑖𝑛𝛼𝑓𝑜𝑚 o 2𝜆 = 𝑑𝑠𝑖𝑛𝛼𝑓𝑜𝑚 Diffrazione da parte di una fenditura larga Le posizioni dei picchi sono le stesse che per le fenditure infinitamente strette, mentre le intensità diffratte sono modulate dal «profilo» dell’intensità della singola fenditura Diffrazione da parte di un reticolo di finito Si dimostra che i minimi ad intensità nulla sono per: sinan=nl/W=(n/ N)(l/a) I massimi non sono più stretti ma sono allargati e circondati da massimi secondari, il numero delle frange cresce con N, ma al tempo stesso la loro intensità diminuisce. Geometria della diffrazione Diffrazione di solidi cristallini Max von Laue (1879-1960) Paul Peter Ewald (1888-1985) William Bragg (1862-1942) Lawrence Bragg (1890 - 1971) Equazioni di Laue Le equazioni di Laue per la diffrazione: Consideriamo una disposizione regolare di nodi reticolari separati da una distanza a; affinchè si osservi intensità diffusa, la differenza di cammino ottico tra due raggi diffratti contigui deve essere uguale ad un numero intero di lunghezze d’onda, ovvero: (𝑨𝑩 − 𝑪𝑫) = a cosan - a cosa0 = a [cosan - cosa0] = nx l In termini vettoriali: siano 𝒔 e 𝒔𝟎 vettori unitari (versori) che stanno sulle direzioni dei raggi diffratto ed incidente. 𝒂 sia il vettore traslazione lungo il filare di periodicità 𝒂. Dalla proprietà del prodotto scalare si ha che : 𝒂 ∙ 𝒃 = 𝒂 𝒃 𝒄𝒐𝒔𝜽 = 𝒂𝒃𝒄𝒐𝒔𝜽, Simbolo prodotto scalare dove q è l’angolo compreso tra a e b, quindi applicandola alla figura di fianco: 𝒂 ∙ 𝒔𝟎 = 𝒂 𝒔𝟎 𝒄𝒐𝒔𝜶𝟎 = 𝒂𝒔𝒄𝒐𝒔𝜶𝟎 = 𝒂𝒄𝒐𝒔𝜶𝟎 e 𝒂 ∙ 𝒔 = 𝒂 𝒔 𝒄𝒐𝒔𝜶𝒏 = 𝒂𝒔𝒄𝒐𝒔𝜶𝒏 = 𝒂𝒄𝒐𝒔𝜶𝒏 Spesso si indica con S (maiuscolo) il vettore 𝑆 = 𝑠 − 𝑠0 che non è generalmente un vettore unitario ed il suo modulo dipende dall'angolo tra s e s0. La condizione per la diffrazione sarà 𝒂 ∙ 𝑺 = 𝒏𝒙 𝝀. che, sostituiti in: (𝑨𝑩 − 𝑪𝑫) = a cosan - a cosa0 = a [cosan - cosa0] = nx l danno: 𝒂[𝒄𝒐𝒔𝜶𝒏 − 𝒄𝒐𝒔𝜶𝟎 ] = 𝒂 ∙ 𝒔 − 𝒂 ∙ 𝒔𝟎 = 𝒂 ∙ 𝒔 − 𝒔𝟎 = 𝒏𝒙 𝝀 La differenza di cammino è data dal prodotto scalare: 𝒂 ∙ 𝒔 − 𝒔𝟎 Equazioni di Laue Attenzione: ciò che caratterizza questa condizione di interferenza costruttiva è l’angolo di deflessione del raggio diffratto rispetto alla direzione di incidenza (). Per uno specifico valore di nλ, Φ è costante e il luogo di tutti i possibili raggi sarà rappresentato da un cono con il filare dei punti diffondenti che rappresenta l'asse centrale. Poiche´ i raggi diffratti saranno in fase per lo stesso Φ sull'altro lato del fascio incidente, vi sarà un altro cono uguale ma invertito su quel lato. I coni con n=1 avranno Φ come angolo fra l'asse del cono e la superficie esterna del cono. Quando n=0, il cono diviene un piano che contiene il fascio incidente. Maggiore è il valore di n, maggiore è il valore del cosΦ e quindi più piccolo sarà l'angolo Φ e più stretto il cono. Tutti i coni hanno lo stesso asse e hanno vertici comuni nello stesso punto, all'intersezione del fascio incidente con il filare di atomi. Φ Problema: Quanti sono questi possibili coni? Dato che : a /l [cos( an) - cos (a0) ] = nx il massimo valore che [cos(an) - cos (a0) ] può avere è: 2 = [1 - (-1)], per (an) = 0 e (a0) = 180°, ovvero saranno possibili tutti quegli nx tali per cui: nx < 2a /l · Al diminuire del valore della lunghezza d’onda usata, sono possibili più condizioni di interferenza costruttiva. · All’aumentare della periodicità del reticolo sono possibili più condizioni di interferenza costruttiva. Equazioni di Laue Equazioni di Laue 𝒂 ∙ 𝒔 − 𝒔𝟎 = 𝒉𝝀 𝒃 ∙ 𝒔 − 𝒔𝟎 = 𝒌𝝀 𝒄 ∙ 𝒔 − 𝒔𝟎 = 𝒍𝝀 Per un cristallo tridimensionale estendendo la: 𝒂𝟏 𝒔𝒊𝒏𝝓𝟏 = 𝒂 ∙ 𝒔 − 𝒔𝟎 = 𝒉𝝀 alle altre due dimensioni (assi y e z), si ottiene: 𝒂𝟐 𝒔𝒊𝒏𝝓𝟐 = 𝒃 ∙ 𝒔 − 𝒔𝟎 = 𝒌𝝀 𝒂𝟑 𝒔𝒊𝒏𝝓𝟑 = 𝒄 ∙ 𝒔 − 𝒔𝟎 = 𝒍𝝀 con h, k e l = 0, 1, 2 ... N. Per avere diffrazione tutte e tre devono essere soddisfatte contemporaneamente. Si ha diffrazione solo per quelle direzioni determinate dai punti di intersezione comuni a TRE coni, centrati lungo x, y e z! Ogni raggio diffratto sarà caratterizzato da una direzione e da una terna di numeri interi (h, k e l) che indicano l’ordine del cono di diffrazione di Laue interessato. Coni di diffrazione prodotti da tre filari non complanari di atomi che si intersecano in un punto. Le equazioni di Laue danno le condizioni rigorose per la diffrazione ma non sono utilizzabili praticamente. Legge (o condizione) di Bragg Nel metodo proposto da W.L. Bragg nel 1912, la diffrazione viene considerata semplicemente come una riflessione dei raggi X da parte di una famiglia di piani reticolari. Questa assunzione è fisicamente scorretta: in questa trattazione infatti il fascio incidente è solo parzialmente riflesso dal primo dei piani reticolari; la maggior parte della radiazione penetra in profondità nel cristallo, venendo solo parzialmente riflessa dal secondo piano e così via. È noto invece che ogni punto agisce come sorgente di onde sferiche che si propagano in ogni direzione dello spazio. Nel processo di diffrazione però tutto avviene come se… Dunque, si consideri una famiglia di piani del reticolo di traslazione; d sia la distanza interplanare, l la lunghezza d’onda della radiazione incidente e q l’angolo di incidenza: Legge (o condizione) di Bragg Analogamente alla trattazione di Laue: la differenza di cammino ottico deve essere uguale ad un numero intero di lunghezze d’onda. Per piani atomici paralleli (di indici hkl) separati di spaziatura dhkl: (hkl) (hkl) dhkl 2q dhkl (hkl) (𝑨𝑩 + 𝑩𝑪) = ( dhkl sinq + dhkl sinq ) = 2dhkl sinq, ovvero: n l = 2dhkl sinq con n = 1,2,3,…N. q,2q– Angoli di Bragg 2=differenza di cammino ottico 2=nl– Interfernza costruttiva } LEGGE DI BRAGG 2dsinq =nl La differenza di cammino ottico per onde diffuse da atomi nello stesso piano (dhkl = 0) è nulla e, per qualsiasi lunghezza d’onda, le onde diffuse interferiscono in fase costruttivamente. La trattazione di Bragg, in termini di piani riflettenti, porta ad un’equazione visibilmente più semplice. Legge (o condizione) di Bragg La legge di Bragg descrive la diffrazione come se fosse una riflessione. Si tratta però di una riflessione selettiva perché non abbiamo raggi diffratti per ogni q, ma solo per quelli che soddisfano la relazione: 2d sin q = nl o 2dhkl sin q = l Relazione fra dhkl e parametri di cella: Es. ortorombico 2 2 2 1 =h k l 2 2 2 2 d a b c Legge (o condizione) di Bragg Combiniamo l’equazione di Bragg e la relazione d-cella Raggi X di lunghezza d’onda 1.54 Å sono “riflessi” dai piani (1 1 0) di un cristallo cubico con cella a = 6 Å. Calcolare l’angolo di Bragg, q, per ogni ordine di riflessione, n. 1 h k l = 2 2 d a 2 2 d = 18 2 2 11 0 = = 0.056 2 6 d = 4.24 Å Legge (o condizione) di Bragg d = 4.24 Å nl q = sin 2d -1 n=1: q = 10.46° = (1 1 0) n=2: q = 21.30° = (2 2 0) n=3: q = 33.01° = (3 3 0) n=4: q = 46.59° = (4 4 0) n=5: q = 65.23° = (5 5 0) 2dhkl sin q = l Indici di Miller non primi fra loro q (hkl) q qq C A (hkl) B F D G (hkl) I E H Se si assume che per il percorso ABC la differenza di cammino ottico sia pari a una lunghezza d’onda l: 𝐴𝐵 + 𝐵𝐶 = 1lpotrò scrivere l’equazione di Bragg: 2dhklsinq= l. La differenza di cammino ottico per il percorso DEF sarà pari a 2l (𝐷𝐸 + 𝐸𝐹 = 2l)→ 2dhklsinq= 2l, infatti i triangoli isosceli ABC e DEF sano simili perché hanno gli stessi angoli, ma hanno l’altezza l’una doppia dell’altra, quindi anche i lati DE/EF saranno doppi rispetto a quelli AB/BC. Per ragioni analoghe, la differenza di cammino per il percorso GHI: 𝐺𝐻 + 𝐻𝐼 = 3l→ 2dhklsinq= 3l. In generale posso scrivere: 2dhklsinq= nl Indici di Miller non primi fra loro La legge di Bragg prevede: 2dhklsinq= 1l 2dhklsinq= 2l 2dhklsinq= 3l Nell’indicizzazione si considerano i riflessi tutti del primo ordine. Questo equivale a scrivere ... . . . . . . 2(dhkl/n)sinq= l 2dhklsinq= nl d100 n=1 2(dhkl/1)sinq= l 2(dhkl/2)sinq= l 2(dhkl/3)sinq= l d200=1/2d100 n=2 d300=1/3d100 n=3 I riflessi con indici non primi fra loro («multipli») sono dovuti alle riflessioni di ordine superiore al primo, ma possono anche essere interpretati come riflessioni del primo ordine originate da piani fittizzi («non reali») nel cristallo. Questi piani dividono la distanza interplanare reale di n volte, dove n è l’ordine della riflessione. Legge (o condizione) di Bragg La legge di Bragg tratta la diffrazione come se fosse una riflessione selettiva descritta dalla relazione: 2dhkl sin q =n l Se introduciamo d’nhnknl = dhkl/n Tutti i “riflessi” possono essere trattati come se fossero del prim’ordine, ma gli indici non sono più primi fra loro (indici di Laue). Questo è vero sono nello spazio reciproco! Ad es. i riflessi del secondo ordine da parte della famiglia di piani (111) con d-spacing d111 possono essere considerati riflessi del primo ordine da parte di piani con spaziatura d 111/2. Poiché’ dimezzare le intercette significa raddoppiare gli indici questi piani possono essere chiamati 222. Sono piani “fittizi” in quanto solo su metà di essi vi sono diffusori(atomi) Monocromatore Per monocromatizzare i raggi X si sfrutta la legge di Bragg. Si sceglie un cristallo (quarzo, silicio, Ge, etc.) che abbia un riflesso intenso da parte di un set di piani reticolari e lo si orienta all’angolo di Bragg esatto per la Ka1 l = 1.540 Å = 2dhklsinq Monocromatore Esempio: il germanio è cubico , a=5.66Å. A quale angolo di Bragg occorre orientare piani (111) per ottenere la radiazione CuKa1 (l =1.540 Å)? 1 h 2 k 2 l2 3 = = 2 2 d a (5.66) 2 d=3.27Å l=2d sinq l -1 1.540 q = sin = sin 2d (2 3.27) -1 = 13.62° Legge di Bragg in forma vettoriale Per i cristallografi è, d’altra parte, consuetudine utilizzare il vettore di scattering, S, inteso come differenza tra vettore uscente s e vettore incidente s0, S = (s - s0). Piano con i centri diffusori I vettori incidente e uscente sono in relazione col vettore di scattering S come le onde incidenti e riflesse da un piano lo sono con la normale al piano. r* = S /l E’ chiamato vettore di reticolo reciproco. Il suo modulo è r* = 2sinJ /l . La sua direzione è perpendicolare ai piani che contengono i centri diffusori Legge di Bragg in forma vettoriale Per i cristallografi è, d’altra parte, consuetudine utilizzare il vettore di scattering, 𝑆, inteso come differenza tra vettore uscente 𝑠 e vettore incidente 𝑠𝑜 , 𝑆 = (𝑠 − 𝑠𝑜 ) 𝑆 = (𝑠 − 𝑠𝑜 ) 𝑠𝑜 𝑠𝑜 Piano con i centri diffusori 𝑠 I vettori incidente e uscente sono in relazione col vettore di scattering 𝑺 come le onde incidenti e riflesse da un piano lo sono con la normale al piano. 𝒓∗ = 𝑺 𝝀 E’ chiamato vettore di reticolo reciproco. Il suo modulo è 𝒓∗ = 𝟐𝒔𝒊𝒏𝜽 𝝀. La sua direzione è perpendicolare ai piani che contengono i centri diffusori Legge di Bragg in forma vettoriale Le onde diffuse da O e O’ interferiranno e nella direzione individuata dal versore s. La differenza di cammino sarà: 𝚫 = 𝑶𝑩 − 𝑨𝑶′ = 𝒓 ∙ 𝒔 − 𝒓 ∙ 𝒔𝟎 = 𝒓 ∙ 𝒔 − 𝒔𝟎 = 𝒓 ∙ 𝑺 Poiché j :2p = :l , la differenza di cammino corrisponde ad una differenza di fase 𝝋 = 𝟐𝝅𝚫 𝝀 = 𝟐𝝅(𝒓 ∙ 𝑺) 𝝀 = 𝟐𝝅 𝒓 ∙ 𝒓∗ ; dove 𝒓∗ = 𝑺 𝝀 La differenza di fase j delle onde diffratte ha in se l’informazione sulle posizioni dei centri diffusori. Legge di Bragg in forma vettoriale Affinchè si abbia intensità diffusa, deve essere che la differenza di cammino sia uguale a : 𝚫 = 𝒓 ∙ 𝑺 = 𝒏𝝀 Dividendo per l, ed esplicitando l’espressione di 𝒓 = 𝒎𝟏 𝒂 + 𝒎𝟐 𝒃 + 𝒎𝟑 𝒄, l’equazione di sopra non sarà nulla solo quando sarà soddisfatta anche l’equazione seguente: 𝒎𝟏 𝒂 ∙ 𝒓∗ + 𝒎𝟐 𝒃 ∙ 𝒓∗ + 𝒎𝟑 𝒄 ∙ 𝒓∗ = 𝒏 Questa equazione può essere soddisfatta per tutti i valori di n (interi positivi, negativi e zero) solo se 𝒂 ∙ 𝑺, 𝒃 ∙ 𝑺, 𝒄 ∙ 𝑺 sono individualmente interi, e ciò porta alle equazioni di Laue 𝒂∙𝑺=𝒉 𝒃∙𝑺 =𝒌 𝒄∙𝑺= 𝒍 (Equazioni di Laue) Le tre equazioni rappresentano famiglie di piani equidistanti nello spazio reciproco, perpendicolari ad a, b e c, rispettivamente, le cui intersezioni producono i nodi del reticolo reciproco. Esse sono quindi equivalenti all’unica equazione dei nodi 𝑺𝒉𝒌𝒍 = 𝒉𝒂∗ + 𝒌𝒃∗ + 𝒍𝒄∗ Il reticolo reciproco Il concetto di reticolo reciproco (e quello di spazio reciproco) è molto pervasivo nelle scienze dello stato solido, e gioca un ruolo fondamentale nella maggior parte degli studi analitici delle strutture periodiche. Ci si arriva da strade diverse, quali la teoria della diffrazione, lo studio astratto di funzioni periodiche in un reticolo di Bravais, la teoria delle bande elettroniche, gli spettri vibrazionali reticolari, e, in pratica, da ogni disciplina orientata allo studio delle proprietà dei solidi. Esso fu introdotto per la prima volta da P. Ewald (1912, tesi di laurea). Dal punto di vista dei cristallografi, il reticolo reciproco è uno strumento molto utile nei calcoli metrici, e, come vedremo, nella geometria della diffrazione, permettendo di interpretare quantitativamente i pattern di diffrazione di raggi X, elettroni, neutroni (da cui si ottengono le strutture cristalline e molecolari). I fisici lo utilizzano nello studio della propagazione di onde di tutti i tipi in un mezzo periodico (spazio k). Il reticolo reciproco Per i calcoli cristallografici è utile introdurre il concetto di reticolo reciproco. Ci sono diversi approcci al reticolo reciproco. Cominciamo ad usare un’approccio assiomatico, una costruzione geometrica astratta, basata sull’algebra vettoriale. Siano a, b, c i vettori elementari di un reticolo cristallino che chiameremo diretto o reale. Un secondo reticolo, definito dai vettori elementari a*, b*, c*, e detto reciproco del primo se soddisfa le seguenti condizioni: a* .b = a* .c = b* .a = b* .c = c* .a = c* .b = 0 a* .a = b* .b = c* .c = 1 La prima serie di condizioni indica che a* è perpendicolare a b e c, b* è perpendicolare ad a e c, c* ad a e b. La seconda riga fissa in modulo e verso i tre vettori reciproci fondamentali a*, b*, c*. Potremo quindi scrivere a* = cost .(b ∧ c), dove il simbolo ∧ indica il prodotto vettoriale ma essendo a* · a = 1, avremo a* · a = cost (b ∧ c) · a = cost · V = 1 Quindi: cost =1/V (V = volume di cella), e avremo per i tre parametri reciproci : a* = (b ∧ c)/V b* = (c ∧ a)/V c* = (a ∧ b)/V Il reticolo reciproco In termini scalari: a* = (bc sinα)/V b* = (ac sinβ)/V c* = (ab sinγ)/V dove: 𝑉 = 𝑎𝑏𝑐 (1 − 𝑐𝑜𝑠2𝛼 − 𝑐𝑜𝑠2𝛽 − 𝑐𝑜𝑠2𝛾 + 2𝑐𝑜𝑠𝛼𝑐𝑜𝑠𝛽𝑐𝑜𝑠𝛾)1/2 Si noti cheV* = a* . (b* ∧ c*) = 1/V. Le definizioni suggeriscono che i ruoli dei reticoli diretto e reciproco sono intercambiabili, nel senso che il reciproco del reticolo reciproco è il reticolo reale. Per esempio nel caso di un reticolo ortorombico: a* = 1/a b* = 1/b c* = 1/c Vettori nello spazio reale e reciproco: r*hkl = ha* + kb* + lc* ruvw = ua + vb + wc Qualsiasi vettore nello spazio reciproco sarà una combinazione lineare dei vettori di base a*, b* e c* Il reticolo reciproco Si puo facilmente verificare che i reciproci dei reticoli triclini, monoclini, etc. sono anch’essi triclini, monoclini, etc. Ma il reciproco di un reticolo F è un reticolo I e viceversa. Reticolo monoclino diretto: a ≠ b ≠ c, a = = 90°, b ≠ 90° b V = b· (c ∧ a) = b[casen(b)]cos0 = abcsenb L’asse binario nel reticolo diretto per convenzione è posto lungo b, nel reticolo reciproco sarà lungo b*. a* = (b ∧ c)/V 𝑏𝑐𝑠𝑒𝑛90 1 𝑎∗ = = 𝑎𝑏𝑐𝑠𝑒𝑛𝛽 𝑎𝑠𝑒𝑛𝛽 b* = (c ∧ a)/V 𝑐𝑎𝑠𝑒𝑛𝛽 1 𝑏∗ = = 𝑎𝑏𝑐𝑠𝑒𝑛𝛽 𝑏 c* = (a ∧ b)/V 𝑎𝑏𝑠𝑒𝑛90 1 ∗ 𝑐 = = 𝑎𝑏𝑐𝑠𝑒𝑛𝛽 𝑐𝑠𝑒𝑛𝛽 b* = * = 90 a = a* = 90 b c b -90° c* Reticolo monoclino reciproco: a* ≠ b* ≠ c*, a * = * = 90°, b * ≠ 90° a b -90° a* b* =b-2(b-90)=180-b Il reticolo reciproco Reticolo ortorombico diretto: a ≠ b ≠ c, a = b = = 90 b V = b· (c ∧ a) = b[casen(90)]cos0 = abc a* = (b ∧ c)/V 𝑏𝑐𝑠𝑒𝑛90 1 ∗ 𝑎 = = 𝑎𝑏𝑐 𝑎 b* = (c ∧ a)/V 𝑐𝑎𝑠𝑒𝑛90 𝑏∗ = = 𝑎𝑏𝑐 c* = (a ∧ b)/V 𝑎𝑏𝑠𝑒𝑛90 ∗ 𝑐 = = 𝑎𝑏𝑐 I tre assi binari nel reticolo diretto per convenzione sono posti lungo a, b e c, nel reticolo reciproco saranno lungo a*, b* e c*. b* 1 𝑏 a = a* = 90 1 𝑐 c* = * = 90 a* b = b*=90 c Reticolo ortorombico reciproco: a* ≠ b* ≠ c*, a * = b * = * = 90° Analogamente per i reticoli tetragonali e cubici avremo: Reticolo tetragonale reciproco: 𝑎∗ = Reticolo cubico reciproco: 𝑎 ∗ = 1 : 𝑎 1 1 1 : 𝑎∗ = ∶ 𝑐 ∗ = con a * = b * = * = 90° 𝑎 𝑎 𝑐 1 1 𝑎 ∗ = ∶ 𝑎∗ = con a * = b * = * = 90° 𝑎 𝑎 a Il reticolo reciproco Reticolo trigonale o esagonale diretto: a ≠ b ≠ c, a = b = 90°, = 120° 𝑉 = 𝑏 ∙ 𝑎 ∧ 𝑏 = 𝑐 ⋅ 𝑎𝑏𝑠𝑒𝑛120° cos 0° = 𝑎𝑏𝑐 a* = (b ∧ c)/V 𝑏𝑐𝑠𝑒𝑛90 2 ∗ 𝑎 = = 𝑎𝑏𝑐𝑠𝑒𝑛120 𝑎 3 b* = (c ∧ a)/V 𝑐𝑎𝑠𝑒𝑛90 1 𝑏∗ = = 𝑎𝑏𝑐𝑠𝑒𝑛120 𝑏 3 c* = (a ∧ b)/V 𝑐∗ = 𝑎𝑏𝑠𝑒𝑛120 𝑎𝑏𝑐𝑠𝑒𝑛120 = 1 𝑐 3 2 c L’asse ternario o senario nel reticolo diretto per convenzione è posto lungo c, nel reticolo reciproco sarà lungo c*. c* a= a* = 90 b = b* = 90 30° a a* =120 b 120° -90° = 30° b* * =120-2(30)=60 Reticolo trigonale o esagonale reciproco: a* ≠ b* ≠ c*, a * = b * = 90°, * = 120° (è lo stesso che avere * = 60°). Per il reticolo romboedrico: 𝑎∗ = 𝑏∗ = 𝑐 ∗ = 𝑠𝑒𝑛𝛼 𝑎⋅ 1−3𝑐𝑜𝑠2 𝛼+2𝑐𝑜𝑠 3 𝛼 e 𝛼 ∗ = 𝛽 ∗ = 𝛾 ∗ con 𝑐𝑜𝑠𝛼 ∗ = − 𝑐𝑜𝑠𝛼 (1+𝑐𝑜𝑠𝛼) Celle dirette e reciproche Per il reticolo triclino l’analisi è più laboriosa e non l’affrontiamo. Cella diretta e indiretta triclina Ricapitolando: 𝑎∗ = 𝑠𝑒𝑛𝛼 ∗ 𝑏𝑐𝑠𝑒𝑛𝛼 ∗ ;𝑏 𝑉 = 𝑎𝑐𝑠𝑒𝑛𝛽 ∗ ;𝑐 𝑉 = 𝑎𝑏𝑠𝑒𝑛𝛾 ; 𝑉 𝑉 𝑐𝑜𝑠𝛽𝑐𝑜𝑠𝛾 − 𝑐𝑜𝑠𝛼 ∗ = ; 𝑐𝑜𝑠𝛼 = ; 𝑎𝑏𝑐𝑠𝑒𝑛𝛽𝑠𝑒𝑛𝛾 𝑠𝑒𝑛𝛽𝑠𝑒𝑛𝛾 𝑠𝑒𝑛𝛽∗ = 𝑉 𝑐𝑜𝑠𝛼𝑐𝑜𝑠𝛾 − 𝑐𝑜𝑠𝛽 ; 𝑐𝑜𝑠𝛽∗ = ; 𝑎𝑏𝑐𝑠𝑒𝑛𝛼𝑠𝑒𝑛𝛾 𝑠𝑒𝑛𝛼𝑠𝑒𝑛𝛾 𝑠𝑒𝑛𝛾 ∗ = 𝑉 𝑐𝑜𝑠𝛼𝑐𝑜𝑠𝛽 − 𝑐𝑜𝑠𝛾 ; 𝑐𝑜𝑠𝛾 ∗ = ; 𝑎𝑏𝑐𝑠𝑒𝑛𝛼𝑠𝑒𝑛𝛽 𝑠𝑒𝑛𝛼𝑠𝑒𝑛𝛽 𝛼 + 𝛼 ∗ = 180°; 𝛽 + 𝛽∗ = 180°; 𝛾 + 𝛾 ∗ = 180°; Le relazioni inverse si ottengono scambiano il ruolo dei parametri senza asterisco con i parametri asteriscati. Proprietà del reticolo reciproco Il prodotto scalare di due vettori r1 = x1a+y1b+z1c e r2* = ha*+kb*+lc*, uno definito nello spazio diretto e l’altro definito nello spazio reciproco assume una formula particolarmente semplificata: r1·r2* = (x1a+y1b+z1c)·(ha*+kb*+lc*) = x1ha·a* + y1ha·b* + z1ha·c* + y1hb·a* + y1kb·b* + + y1lb·c* + z1hc·a* + z1kc·b* + z1lc·c* = x1h1 + y1h0 + z1h0 + y1h0 + y1k1 + y1l0 + z1h0 + z1k0 + z1l1 = x1h + y1k + z1l o in forma matriciale: ℎ 𝑟1 ∙ 𝑟2∗ = 𝑥1 𝑦1 𝑧1 ∙ 𝑘 = 𝑋1 ∙ 𝐻 𝑙 alternativamente si può anche usare la notazione seguente, se si definisce r2* = (x2*a*+y2*b*+z2*c*) 𝑥2∗ 𝑟1 ∙ 𝑟2∗ = 𝑥1 𝑦1 𝑧1 ∙ 𝑦2∗ = 𝑋1 ∙ 𝑋2∗ 𝑧2∗ Proprietà del reticolo reciproco Il vettore è 𝑟𝐻∗ = ℎ𝑎∗ + 𝑘𝑏 ∗ + 𝑙𝑐 ∗ normale alla famiglia di piani reticolari (hkl) definita nel reticolo diretto C 𝑟𝐻∗ 𝑂𝐴 = 𝑎 ℎ 𝑂𝐵 = 𝑏 𝑘 𝑂𝐶 = 𝑐 𝑙 𝐴𝐵 = 𝑏 𝑘 − 𝑎 ℎ 𝐴𝐶 = 𝑐 𝑙 − 𝑎 ℎ 𝑐 𝑙 B 𝐵𝐶 = 𝑐 𝑙 − 𝑏 𝑘 O 𝑟𝐻∗ ∙ 𝐴𝐵 = ℎ𝑎∗ + 𝑘𝐵∗ + 𝑙𝑐 ∗ ∙ 𝑏 𝑘 − 𝑎 ℎ = 0 𝑟𝐻∗ ∙ 𝐴𝐶 = ℎ𝑎∗ + 𝑘𝐵 ∗ + 𝑙𝑐 ∗ ∙ 𝑐 𝑙 − 𝑎 ℎ = 0 𝑟𝐻∗ ∙ 𝐵𝐶 = ℎ𝑎∗ + 𝑘𝐵 ∗ + 𝑙𝑐 ∗ ∙ 𝑐 𝑙 − 𝑏 𝑘 = 0 hkl 𝑎 ℎ A Piano della famiglia (hkl) che passa più vicino all’origine Le equazioni sopra indicano che rH* è perpendicolare ai vettori: 𝐴𝐵, 𝐴𝐶, 𝐵𝐶. Essendo rH* perpendicolare a due rette del piano, esso è perpendicolare al piano stesso. Proprietà del reticolo reciproco Dato il vettore è 𝑟𝐻∗ = ℎ𝑎∗ + 𝑘𝑏 ∗ + 𝑙𝑐 ∗ se h, k, l sono interi primi fra lor allora 𝑟𝐻∗ = 1 C Sia 𝑛 il versore nella direzione di 𝑟𝐻∗ perpendicolare al piano ABC. 𝑛= 𝑟𝐻∗ 1 𝑟𝐻∗ 𝑐 𝑎 ℎ 𝑎 ℎ 𝑟𝐻∗ hkl 𝑙 N La distanza interplanare dH è uguale al segmento 𝑂𝑁 condotto al piano ABC perpendicolarmente, cioè la proiezione di qualunque vettore 𝑂𝐴, 𝑂𝐵 𝑜 𝑂𝐶 secondo la direzione individuata dal versore 𝑛 , quindi: 𝑑𝐻 = 𝑂𝐴 ∙ 𝑛 = ∙ 𝑛 = ∙ 𝑟𝐻∗ 𝑑𝐻 1 ∗ 𝑟𝐻 𝑎 ℎ B O = ∙ ℎ𝑎∗ + 𝑘𝑏 ∗ + 𝑙𝑐 ∗ 𝑎 1 ∗ 𝑟𝐻 A ℎ 1 ℎ = ∙ℎ 1 ∗ 𝑟𝐻 = 1 ∗ 𝑟𝐻 (1) Un nodo del reticolo reciproco, con h, k, l interi e primi fra loro, rappresenta la famiglia di piani (hkl) nel corrispondente reticolo diretto, e viceversa. Nel caso (hkl) non sono primi fra loro, la (1) è ancora valida, ma in tal caso però le famiglie (hkl) non sono di piani reticolare ma di piani teorici, fittizi. Proprietà del reticolo reciproco Siano a*, b*, c* tre vettori che definiscono un sistema tridimensionale di coordinate nello spazio reciproco. Il prodotto scalare di due vettori: è definito come: 𝑟1∗ = ℎ1 𝑎∗ + 𝑘1𝑏 ∗ + 𝑙1𝑐 ∗ 𝑟2∗ = ℎ2 𝑎∗ + 𝑘2𝑏 ∗ + 𝑙 2𝑐 ∗ 𝑟1∗ ∙ 𝑟2∗ = ℎ1 𝑎∗ + 𝑘1𝑏 ∗ + 𝑙1𝑐 ∗ ∙ ℎ2 𝑎∗ + 𝑘2𝑏 ∗ + 𝑙 2𝑐 ∗ = = ℎ1ℎ2𝑎∗2 + k1𝑘2𝑏 ∗2 + 𝑙1 𝑙2 𝑐 ∗2 + ℎ1𝑘2 + ℎ2𝑘1 𝑎∗ 𝑏 ∗ 𝑐𝑜𝑠𝛾 ∗ + + ℎ1𝑙2 + ℎ2𝑙1 𝑎∗ 𝑐 ∗ 𝑐𝑜𝑠𝛽∗ + 𝑘1𝑙2 + 𝑘2𝑙1 𝑏 ∗ 𝑐 ∗ 𝑐𝑜𝑠𝛼 ∗ o in notazione matriciale: 𝑎 ∗ ∙ 𝑎∗ 𝑟1∗ ∙ 𝑟2∗ = ℎ1 𝑘1 𝑙1 ∙ 𝑏 ∗ ∙ 𝑎 ∗ 𝑐 ∗ ∙ 𝑎∗ 𝑎∗ ∙ 𝑏∗ 𝑏∗ ∙ 𝑏∗ 𝑐 ∗ ∙ 𝑏∗ 𝑎∗ ∙ 𝑐 ∗ ℎ2 ∗ ∗ 𝑏 ∙ 𝑐 ∙ 𝑘2 = 𝐻1 ∙ 𝐺 ∗ ∙ 𝐻2 𝑐∗ ∙ 𝑐∗ 𝑙2 dove G* è detta «matrice metrica» definita nello spazio reciproco, perché il suo valore dipende dalla lunghezza degli assi a*, b*,c* e dagli angoli a*, b*, * ossia dalla della cella reciproca. Matrice metrica 𝑎∗ ∙ 𝑎∗ G* = 𝑏 ∗ ∙ 𝑎∗ 𝑐 ∗ ∙ 𝑎∗ 𝐷𝑒𝑡 𝐺 ∗ 𝑎∗ ∙ 𝑏∗ 𝑏∗ ∙ 𝑏∗ 𝑐 ∗ ∙ 𝑏∗ 𝑎∗ ∙ 𝑎∗ = det 𝑏 ∗ ∙ 𝑎∗ 𝑐 ∗ ∙ 𝑎∗ 𝑎∗ ∙ 𝑐 ∗ 𝑏∗ ∙ 𝑐 ∗ 𝑐∗ ∙ 𝑐∗ 𝑎∗ ∙ 𝑏∗ 𝑏∗ ∙ 𝑏∗ 𝑐 ∗ ∙ 𝑏∗ 𝑎∗ ∙ 𝑐 ∗ 𝑏∗ ∙ 𝑐 ∗ = 𝑐∗ ∙ 𝑐∗ = (−1)2 𝑎∗ ∙ 𝑎 ∗ 𝑏 ∗ ∙ 𝑏 ∗ 𝑐 ∗ ∙ 𝑐 ∗ − 𝑐 ∗ ∙ 𝑏 ∗ 𝑏 ∗ ∙ 𝑐 ∗ + (−1)3 𝑏 ∗ ∙ 𝑎∗ 𝑎∗ ∙ 𝑏 ∗ 𝑐 ∗ ∙ 𝑐 ∗ − 𝑐 ∗ ∙ 𝑏 ∗ 𝑎∗ ∙ 𝑐 ∗ + −1 4 𝑐 ∗ ∙ 𝑎∗ 𝑎 ∗ ∙ 𝑏 ∗ 𝑏 ∗ ∙ 𝑐 ∗ − 𝑏 ∗ ∙ 𝑏 ∗ 𝑎∗ ∙ 𝑐 ∗ = = 𝑎∗2 𝑏 ∗2 𝑐 ∗2 − 𝑎 ∗2 𝑐 ∗ 𝑏 ∗ 𝑐𝑜𝑠𝛼 ∗ 𝑏 ∗ 𝑐 ∗ 𝑐𝑜𝑠𝛼 ∗ − 𝑎 ∗2𝑐 ∗ 𝑏 ∗ 𝑐𝑜𝑠𝛼 ∗ 𝑏 ∗ 𝑐 ∗ 𝑐𝑜𝑠𝛼 ∗ − 𝑏 ∗ 𝑎∗ 𝑐𝑜𝑠𝛾 ∗ 𝑎∗ 𝑏𝑐𝑜𝑠𝛾 ∗ 𝑐 ∗2 + 𝑏 ∗ 𝑎∗ 𝑐𝑜𝑠𝛾 ∗ 𝑐 ∗ 𝑏 ∗ 𝑐𝑜𝑠𝛼 ∗ 𝑎∗ 𝑐 ∗ 𝑐𝑜𝑠𝛽 ∗ + 𝑐 ∗ 𝑎∗ 𝑐𝑜𝑠𝛽 ∗ 𝑎∗ 𝑏 ∗ 𝑐𝑜𝑠𝛾 ∗ 𝑏 ∗ 𝑐 ∗ 𝑐𝑜𝑠𝛼 ∗ − 𝑐 ∗ 𝑎∗ 𝑐𝑜𝑠𝛽∗ 𝑏 ∗2 𝑎∗ 𝑐 ∗ 𝑐𝑜𝑠𝛽 ∗ = = 𝑎∗2 𝑏 ∗2 𝑐 ∗2 1 − 𝑐𝑜𝑠 2 𝛼 ∗ − 𝑐𝑜𝑠 2 𝛽∗ − 𝑐𝑜𝑠 2𝛾 ∗ + 2𝑐𝑜𝑠𝛼 ∗ 𝑐𝑜𝑠𝛽∗ 𝑐𝑜𝑠𝛾 ∗ = 𝑉 ∗2 𝐷𝑒𝑡 𝐺 ∗ = 𝑉 ∗2 Matrice metrica 𝑎∗ ∙ 𝑎∗ G* = 𝑏 ∗ ∙ 𝑎∗ 𝑐 ∗ ∙ 𝑎∗ 𝑎∗ ∙ 𝑏∗ 𝑏∗ ∙ 𝑏∗ 𝑐 ∗ ∙ 𝑏∗ 𝑎∗ ∙ 𝑐 ∗ 𝑏∗ ∙ 𝑐 ∗ 𝑐∗ ∙ 𝑐∗ In maniera analoga a quanto fatto nel reticolo reciproco è possibile introdurre una matrice metrica G anche nel reticolo diretto, dove: 𝑎∙𝑎 G= 𝑏∙𝑎 𝑐∙𝑎 𝑎∙𝑏 𝑏∙𝑏 𝑐∙𝑏 𝑎∙𝑐 𝑏∙𝑐 𝑐∙𝑐 𝐷𝑒𝑡 𝐺 = 𝑎2 𝑏 2 𝑐 2 1 − 𝑐𝑜𝑠 2 𝛼 − 𝑐𝑜𝑠 2 𝛽 − 𝑐𝑜𝑠 2𝛾 + 2𝑐𝑜𝑠𝛼𝑐𝑜𝑠𝛽𝑐𝑜𝑠𝛾 = 𝑉 2 Si può facilmente dimostrare che: G* = G-1; det(G*) = 1/det(G) Calcolo cristallografico Se vogliamo calcolare il quadrato del modulo di un vettore, in modo ad esempio per poter determinare la distanza dall’origine di un atomo caratterizzato dal vettore di posizione 𝑟: r2 = 𝑥 𝑦 𝑎∙𝑎 𝑧 ∙ 𝑏∙𝑎 𝑐∙𝑎 𝑎∙𝑏 𝑏∙𝑏 𝑐∙𝑏 𝑎∙𝑐 𝑥 𝑏∙𝑐 ∙ 𝑦 =𝑋∙𝐺∙𝑋 = 𝑧 𝑐∙𝑐 = 𝑥2𝑎2 + 𝑦2𝑏2 + 𝑧2𝑐2 + 2𝑥𝑦𝑎𝑏𝑐𝑜𝑠𝛾 + 2𝑥𝑧𝑎𝑐𝑐𝑜𝑠𝛽 + 2𝑦𝑧𝑏𝑐𝑐𝑜𝑠𝛾 Se vogliamo calcolare la distanza tra due punti, ad esempio due atomi caratterizzati dai vettori posizione r1 = x1a+y1b+z1c e r2 = x2a+y2b+z2c dobbiamo calcolare il modulo del vettore differenza r2-r1: r2-r1 r2 Δ𝑥 𝑎∙𝑎 𝑎∙𝑏 𝑎∙𝑐 r1 𝑟2 − 𝑟1 2 = Δ𝑥 Δ𝑦 Δ𝑧 ∙ 𝑏 ∙ 𝑎 𝑏 ∙ 𝑏 𝑏 ∙ 𝑐 ∙ Δ𝑦 𝑐∙𝑎 𝑐∙𝑏 𝑐∙𝑐 Δ𝑧 r2-r1=(x2-x1)a+(y2-y1)b+(z2-z1)c = = xa+yb+zc Se vogliamo calcolare l’angolo q tra i due vettori r1 = x1a+y1b+z1c e r2 = x2a+y2b+z2c (ad es. l’angolo di legame tra due atomi): 𝑟1∙𝑟2 𝑟1∙𝑟2 = 𝑐𝑜𝑠𝜃 = 𝑋1∙𝐺∙𝑋2 𝑟1 ∙𝑟2 , dove 𝑟1 ∙ 𝑟2 indica il modulo di 𝑟1 ∙ 𝑟2 Costruzione del reticolo reciproco Ora utilizzeremo un approccio geometrico per costruire un reticolo reciproco. Partiremo da una cella “diretta” monoclina PIANI RETICOLARI (001) (100) (002) (101) (101) (102) Costruzione del reticolo reciproco Consideriamo le famiglie di piani (100) e (001) Tracciamo le normali fermandoci in due punti distanti 1/d dall’origine Questi sono vettori di reticolo reciproco G1 e G2 Dimensioni = 1/lunghezza G1 G2 Vettori del reticolo reciproco Continuando per tutte le possibili famiglie di piani si potrà costruire la maglia seguente: G002 G102 Possiamo definire una cella reciproca G001 c* G101 G100 b* a* = G100 O c* = G001 |a*| = 1/d100 ; |c*| = 1/d001 a* a* e c* non sono in generale paralleli ad a e c – questo accade solo nei sistemi ortogonali b* =180°- b Il reticolo reciproco La terna di indici di Miller (hkl), che nello spazio diretto è associata ad una famiglia di piani paralleli, nello spazio reciproco indica le componenti del vettore d*hkl ad essi associato. Questo vettore è normale alla famiglia di piani (hkl). Se h, k , l sono interi primi fra loro vale la relazione: dhkl* = K / dhkl dove K è una costante arbitraria, che è talora conveniente prendere unitaria ma per la diffrazione è meglio assumere uguale alla l della radiazione usata, e dhkl è la distanza interplanare della famiglia di piani (hkl). Questi vettori d* sono vettori del reticolo reciproco, nel senso che i loro moduli (distanze tra nodi) hanno dimensione di [lunghezza]-1, per esempio Angstroms reciproci, Å-1, o picometri reciproci, pm-1. Nello spazio diretto, ruvw = ua + vb +wc I ismboli [uvw] di una direzione sono le componenti di un vettore reale Nello spazio reciproco, r*hkl = ha* + kb* +lc* Gli indici di Miller (hkl) sono le componenti di un vettore reciproco. Reticolo diretto e reciproco Piu’ grande è la cella elementare diretta, piu’ piccola è la cella elementare reciproca (V* = 1/V). Se la cella unitaria ha i tre angoli a,b , retti gli assi reciproci coincidono con quelli diretti e gli angoli reciproci sono anch’esse retti. Diversamente saranno i supplementari degli angoli diretti Le proprieta’ “metriche” della cella reciproca corrispondono a quelle delle cella diretta. Ad es: il reticolo reciproco di una cella monoclina e’ ancora monoclino, etc.. Un vettore di reticolo reciproco r* = ha*+kb*+lc* è perpendicolare ai piani con indici di Miller (hkl) Reticolo reciproco Una figura di diffrazione è la trasformata di Fourier del reticolo diretto Una figura di diffrazione è una rappresentazione del reticolo reciproco Fenditura Figura di diffrazione I minimi di intensità soddisfano Trasformata di Fourier Trasformata di Fourier Trasformata di Fourier SPAZIO DIRETTO SPAZIO RECIPROCO Figura di diffrazione Fenditura T. Fourier T. Fourier Fenditura Figura di diffrazione T. Fourier All’aumentare del numero delle fenditure l’intensità dei massimi secondari diminuisce Ad ogni cella diretta corrisponde una cella reciproca direct reciprocal Sfera di Ewald (Introdotta con il reticolo reciproco per la prima volta da P. Ewald nel 1921) Con il reticolo reciproco si cambia prospettiva passando dai piani (hkl) su cui sono distribuiti i centri diffusori della radiazione (atomi) alle direzioni dei raggi diffratti Ogni famiglia di piani (hkl) darà origine ad un raggio diffratto nella direzione individuata dall’angolo J di Bragg. Gli indici hkl diventano le coordinate dei nodi di un reticolo, che ci costruisce a partire dal reticolo diretto Con il reticolo reciproco si realizza il passaggio da una funzione delle distanze interatomiche ( reticolo diretto, basato su dhkl(Å)) ad una funzione dell’inverso delle distanze interatomiche (il reticolo reciproco, appunto, basato su 1/d (Å-1). Questa operazione si chiama Trasformata di Fourier Si realizza interferenza costruttiva ogni volta che la variazione del vettore d’onda tra radiazione incidente e diffratta coincide con un vettore del reticolo reciproco. Ciò è bene illustrato dalla costruzione di Ewald, che rappresenta in generale le condizioni di diffrazione. Sfera di Ewald nodo reticolo reciproco (hkl) sulla superficie della sfera P* r* = (S-S0)/l Raggio A incidente 2q C q S0/l 1/l O* origine reticolo reciproco 𝐬𝐢𝐧 𝑶∗ 𝑨𝑷∗ ∗ ∗ = 𝒔𝒊𝒏𝜽 = 𝑶 𝑷 𝑶𝑩 ∗ ∗ =𝑶 𝑷 sinq = (O*P*/2 ) l = r*hkll/2 𝟐 ( ) 𝝀 Cristallo con famiglia di piani (hkl) in diffrazione Ricordando che dhkl = 1/ r*hkl si ha che: 𝟐𝒅𝒉𝒌𝒍 𝒔𝒊𝒏𝜽 = 𝝀 Utilizzo della sfera di Ewald Per ottenere tutte i possibili fasci diffratti che un cristallo può fornire, utilizzando una radiazione di lunghezza d'onda λ, è sufficiente orientare opportunamente il cristallo e farlo ruotare, in modo che i suoi nodi reciproci abbiano la possibilità di attraversare la superficie della sfera di Ewald. Quando un nodo attraversa la superficie della sfera, un raggio diffratto sarà generato nella direzione che va dal centro della sfera al nodo sulla superficie, come descritto nella slide precedente. Rotazione del reticolo cristallino Scansione del cristallo Detector di raggi-X Sorgente di raggi-X Frames raccolti Sfera di Ewald Rotazione del reticolo reciproco Raccolta dati da diffrazione su un cristallo singolo Sferas Limite d*hkl l= 2 dhkl sinq d*hkl q s0 q 1/l origine del reticolo reale sinq1 1 2 d hkl l origine del reticolo reciproco l (d hkl )min 2 Raggio della sfera limite Condizione necessaria e sufficiente perche’ l’equazione di Bragg sia soddisfatta per la famiglia di piani (hkl) è che il nodo del reticolo reciproco definito da d* r* giaccia sulla superficie della sfera. Sfera Limite l= 2 dhkl sinq sinq1 Raggio della sfera limite 1 2 d hkl l l (d hkl )min 2 Condizione necessaria e sufficiente perché l’equazione di Bragg sia soddisfatta per la famiglia di piani (hkl) è che il nodo del reticolo reciproco definito da d* r* giaccia sulla superficie della sfera. Questa condizione può essere verificata solo per i vettori r* < 2/l. Origini di un pattern di diffrazione da polveri Una polvere può essere considerata un materiale policristalinno, costituito da cristalliti (piccoli cristalli) che sono disposti in modo uniforme secondo tutte le possibili orientazioni. Vista schematica delle differenti orientazioni dei cristalliti in una polvere. Associato ad una polvere cristallina vi è quindi un gran numero di reticoli reciproci, tutti identici (essendo la radiazione monocromatica e i cristalliti della stessa natura) e tutti aventi origine nello stesso punto, MA STATISTICAMENTE ORIENTATI come statisticamente orientati sono i granuli della polvere cristallina. Ipotizzando una polvere costituita da un numero infinito di cristalliti, i reticoli reciproci che ne derivano hanno i nodi omologhi distribuiti uniformemente sulla superficie della sfera di Ewald. Al reticolo reciproco formato da nodi (derivante da un cristallo singolo) possiamo quindi sostituire un sistema di sfere concentriche aventi raggi uguali alle distanze l/d caratteristiche di ogni nodo del reticolo reciproco. Generazione dei coni di diffrazione Le sfere che rappresentano il reticolo reciproco della polvere intersecano la superficie della sfera di Ewald secondo circonferenze di raggio diverso perpendicolari alla direzione del fascio di RX incidente Unendo ciascun punto di queste circonferenze col centro della sfera di riflessione si determinano serie di CONI coassiali con la direzione dei raggi incidenti e aventi angoli al vertice 4q compresi tra 0° e 360° Anelli di Debye Sfera di Ewald Cono di diffrazione Raggio incidente Assumendo che il numero di cristalliti si approssimi ad infinito e che essi siano uniformente distribuiti nello spazio, la densità dei vettori di scattering k1 diventa uniforme sulla superficie della sfera. L’intensità scatterata sarà perciò costante sulla circonferenza rappresentata dalla base del cono dei vettori k1 che interseca lo schermo piatto ddel detector. Queste cirfonferenze sono chiamta anelli di Debye. Anello di Debye In un esperimento di diffrazione da polveri si misurano diversi anelli di Debye con differente diametro e intensità, ciacuno emesso al relativo q di Bragg. hkl I/Io 2q(°) 111 100 43.298 002 46 50.434 022 20 74.113 113 17 89.934 222 5 95.143 004 3 116.923 133 9 136.514 024 8 144.723 Sfera di Ewald Raggio incidente Schema dei coni di diffrazione di una polvere di Cu misurati con la radiazione CuKa1. Ciascun cono è etichettati con i corrispondenti indici di Miller Polvere ideale • Cristalliti orientati in modo random • 1 cm3 di povere contiene approssimativamente 109 particelle (cristalliti di 10mm) e 1012 particelle (cristalliti di 1mm) • Dimensione dei cristalli dell’ordine di alcuni microns. Rappresentazione di un difrattogramma da polveri In uno spettro da polveri, l’intensità scatterata è arbitrariamente rappresentata come funzione di una singola variabile indipendente, l’angolo di Bragg, 2q. Questo tipo di rappresentazione è chiamata pattern di diffrazione da polveri o difrattogramma. Pattern di diffrazioni da polveri reali e simulati A differenza di quanto ipotizzato nella teoria matematica i nodi del reticoli reciproco non sono puntiformi (funzione di Dirac), ma hanno un volume proprio. Pattern di diffrazione simulato di una polvere di Cu. Inoltre anche la superficie della sfera di Ewald ha uno spessore non trascurabile (a causa delle aberazioni ottiche e della non perfetta monocromaticità del fascio incidente) Questo risulta in un ampiezza diversa zero dei picchi di Bragg. Pattern di diffrazione di una polvere di LaB6 ottenuto dall’integrazione dell’area rettangolare mostrata nella slide precedente Che informazioni possiamo ottenere da un pattern di diffrazioni da polveri Componente del Pattern Informazione Proprietà Posizione del picco Parametri della cella unitaria (a,b,c,a,b,) Assorbimento Porosità Intensità del picco Parametri atomici (x/a, y/b, z/c, B, etc.) Orientazione preferenziale Assorbimento Porosità Forma del picco Cristallinità Disordine Difetti cristallini Dimensione dei grani Strain Stress Il problema dell’indicizzazione Proiezione unidimensionale di un reticolo reciproco bidimensionale. Le scale nelle due parti della figira sono identiche 1/d = d*. Nella diffrazione da polveri, il primo passo nell’interpretazione di un difrattogramma è l’individuazione dellla cella unitaria, che in pratica equivale ad assegnare gli indici di miller ai picchi in esso presenti. Questa operazione, però, non è triviale perchè il difrattogramma sperimentale altro non è che la proiezione unidimensionale della porzione di reticolo reciproco tridimensionale esplorata durante la raccolta dati. Posizione del picco La posizione del picco è determinata dall’angolo di Bragg che a sua volta è funzione della distanza interplenare tra i piani che hanno dato origine al riflesso. La distanza interplanare è funzione dei parametri di cella e degli indici di Miller h, k e l in accordo con le equazioni seguenti: Sistema Cubico: 1 𝑑2 = Sistema Tetragonale: 1 𝑑2 Sistema Esagonale: 1 𝑑2 Sistema Ortorombico: Sistema Monoclino: Sistema Triclino: = ℎ2+𝑘2 𝑙2 +2 𝑎2 𝑐 = 4 ℎ2+ℎ𝑘+𝑘2 𝑙2 +2 3 𝑎2 𝑐 1 𝑑2 1 𝑑2 1 𝑑2 ℎ2+𝑘2+𝑙2 𝑎2 = = = ℎ2 𝑘2 𝑙2 + + 𝑎2 𝑏2 𝑐2 ℎ2 𝑘2 𝑙2 2ℎ𝑙 cos 𝛽 + + + 𝑎2 sin2 𝛼 𝑏2 𝑐2 sin2 𝛽 𝑎𝑐 sin2 𝛽 ℎ2 2𝑘𝑙 [ 2 2 + (cos 𝛽 cos 𝛾 𝑎 sin 𝛼 𝑏𝑐 ℎ2 2ℎ𝑘 cos 𝛽)+ 2 2 + (cos 𝛼 cos 𝛽 𝑎 sin 𝛾 𝑎𝑐 − 𝑘2 2ℎ𝑙 cos 𝛼)+ 2 2 + (cos 𝛼 cos 𝛾 𝑏 sin 𝛽 𝑎𝑐 − − cos 𝛾)+(1 − cos2 𝛼 − cos2 𝛽 − cos2 𝛾 + 2 cos 𝛼 cos 𝛽 cos 𝛾)
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