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Licenziamento per giusta causa anche con modesta entità del danno
Renzo La Costa
Il principio per il quale la modesta entità del danno cagionato0 al datore di lavoro da parte
del dipendente può non giustificare il licenziamento per giusta causa, viene superato allorquando l’episodio in questione conduce a determinare l’inaffidabilità – anche futura – del
dipendente medesimo. Così si è espressa la Corte di Cassazione in sentenza 18 settembre
2014, n. 19684. La Corte d’Appello rigettò il gravame proposto da una dipendente nei confronti della spa datrice di lavoro avverso la pronuncia di prime cure, che aveva respinto
l’impugnazione del licenziamento irrigatole per giusta causa. A sostegno del decisum la
Corte territoriale osservò quanto segue:
- la prova testimoniale svolta in grado d’appello aveva pienamente confermato i fatti quali
esposti dalla parte datoriale e, in particolare, che la lavoratrice si era resa responsabile,
mediante un accorgimento fraudolento, di acquistare un capo di abbigliamento ad un prezzo inferiore a quello fissato nel talloncino;
- la sanzione del licenziamento non poteva ritenersi sproporzionata in relazione ai fatti
contestati, poiché, a prescindere dal valore lieve del danno procurato all'azienda, era evidente la perdita di fiducia nella propria dipendente, che di per sé valeva come giusta causa
per il licenziamento, essendo stato accertato che la stessa, profittando delle sue mansioni
di addetta al reparto abbigliamento e ai camerini di prova, aveva intenzionalmente cambiato i talloncini segnaprezzo di due capi di abbigliamento, al fine di acquistare uno di essi con
il prezzo minore, anziché al prezzo originariamente segnato.
Avverso la suddetta sentenza della Corte territoriale, la dipendente ha proposto ricorso per
cassazione, assumendo tra l’altro che la Corte territoriale non aveva tenuto adeguatamente
conto della modesta entità del danno, dell’assenza di precedenti disciplinari, delle precarie
condizioni fisiche di essa ricorrente, della mancata attivazione di un procedimento penale
in relazione al fatto contestato.
A giudizio invece della suprema Corte, la motivazione della sentenza impugnata, , è pienamente coerente con le circostanze esaminate ed immune da elementi di contraddittorietà,
nel mentre le circostanze fattuali che si assumono non considerate o sono palesemente irrilevanti ai fini de quibus (asserita e non documentata assenza di sottoposizione a procedimento penale; condizioni di salute della lavoratrice) o, nell’ambito della valutazione complessiva dei fatti contestati, non assumono rilevanza decisiva ai fini dell’esclusione della
giusta causa di recesso. Ed invero, come la stessa suprema Corte ha già avuto modo di osservare, la modesta entità del fatto può essere ritenuta non tanto con riferimento alla tenuità del danno patrimoniale, quanto in relazione all'eventuale tenuità del fatto oggettivo,
sotto il profilo del valore sintomatico che lo stesso può assumere rispetto ai futuri comportamenti del lavoratore e quindi alla fiducia che nello stesso può nutrire l'azienda, essendo
necessario al riguardo che i fatti addebitati rivestano il carattere di grave negazione degli
elementi del rapporto di lavoro e, specialmente, dell'elemento essenziale della fiducia, cosicché la condotta del dipendente sia idonea a porre in dubbio la futura correttezza del suo
adempimento. Alla luce di tali principi deve quindi essere condivisa la valutazione resa dalla Corte territoriale, poiché proprio il dimostrato carattere fraudolento, nella specie palesemente doloso e premeditato, della condotta della lavoratrice è sintomatico della sua, anche prospettica, inaffidabilità e, come tale, idoneo ad incidere in maniera grave ed irreversibile, nonostante la modesta entità del danno patrimoniale e la mancanza di precedenti
disciplinari, sull’elemento fiduciario. In definitiva il ricorso è stato rigettato.