Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta SCUOLA SUPERIORE PER MEDIATORI LINGUISTICI (Decreto Ministero dell’Università 31/07/2003) Via P. S. Mancini, 2 – 00196 - Roma TESI DI DIPLOMA DI MEDIATORE LINGUISTICO (Curriculum Interprete e Traduttore) Equipollente ai Diplomi di Laurea rilasciati dalle Università al termine dei Corsi afferenti alla classe delle LAUREE UNIVERSITARIE IN SCIENZE DELLA MEDIAZIONE LINGUISTICA Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta RELATORI: CORRELATORI: prof.ssa Adriana Bisirri prof.ssa Marilyn Anne Scopes prof.ssa Luciana Banegas prof.ssa Claudia Piemonte CANDIDATA: Michela Lauritano ANNO ACCADEMICO 2012/2013 ~1~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta ~2~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta A me stessa, per l‟impegno e la curiosità. A mia madre e mio padre, per i sacrifici. A Londra, per avermi aspettata. ~3~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta ~4~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta NUOVI RACCONTI DI UNA STESSA STORIA: TRADURRE LA SITCOM NEGLI ANNI NOVANTA. ~5~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta Sommario SEZIONE LINGUA ITALIANA ...............................................................................9 Introduzione ................................................................................................... 10 Capitolo Primo: Teoria della Traduzione Audiovisiva........................................ 14 I.1 Nuovi racconti di una stessa storia .................................................................. 14 I.2 Jakobsòn e la Traduzione come concetto ........................................................ 16 I.3 La traduzione audiovisiva e i suoi ambiti ......................................................... 18 I.4 Vincoli tecnici e vincoli culturali ....................................................................... 21 I.5 Elementi Culturospecifici.................................................................................. 25 I.6 Le strategie del traduttore ............................................................................... 29 Capitolo Secondo: Il doppiaggio come ventriloquia culturale ........................... 35 II.1 Pro e Contro di un’arte imperfetta ................................................................. 35 II.2 La lingua italiana attraverso il doppiaggio ...................................................... 40 II.3 Storia del doppiaggio, storia di un’ideologia ................................................... 42 Capitolo Terzo: Tradurre la sitcom ................................................................... 45 III.1 La sitcom: il pane e marmellata dei palinsesti ............................................... 45 III.2 La sitcom americana: dagli anni cinquanta agli anni duemila........................ 48 III.3 La coscienza di massa attraverso un genere .................................................. 53 III.4 False partenze ed eterni ritorni ...................................................................... 56 III.5 L’abbuffata commerciale degli anni ottanta .................................................. 58 III.6 Gli adattamenti forzati degli anni novanta .................................................... 59 III.7 Che cosa significa tradurre una risata? .......................................................... 63 Capitolo Quarto: Fran Fine&Francesca Cacace ................................................. 67 IV.1 Il caso: La Tata ................................................................................................ 67 IV.2 Stereotipi a confronto .................................................................................... 71 ~6~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta IV.3 Dallo Yiddish al Ciociaro ................................................................................. 76 IV.4 Il Cantore e il Matrimonio: una questione di incongruenze .......................... 81 IV.4.1 The Cantor Show - L’unto del Signore… si può smacchiare (3x24) ......... 82 IV.4.2 The Wedding part II- Questo matrimonio s’ha da fare parte seconda (5x23) ................................................................................................................. 88 Conclusione .................................................................................................... 93 ENGLISH SECTION ........................................................................................... 96 Introduction ................................................................................................... 97 Chapter One: Topics in Audiovisual Translation ............................................... 99 I.1 Same story, different versions ......................................................................... 99 I.2 Jakobsòn and the Translation process as a concept ...................................... 101 I.3 Fields and limits of audiovisual translation .................................................... 103 Chapter Two: Can culture-specific humor really “cross the border”? .............. 109 II.1 Culture-specific elements in translation ....................................................... 109 II.2 How to translate a culture-specific element ................................................. 111 II.3 Translating the Verbally Expressed Humor: An intercultural issue............... 119 Chapter Three: How The Nanny became La Tata............................................ 123 III.1 Defining a genre: The Situation Comedy...................................................... 123 III.2 Classification and Evolution of the situation comedy .................................. 125 III.3 Translating sitcoms: The Nanny abroad ....................................................... 129 III.4 Comparing stereotypes ................................................................................ 132 III.5 From Yiddish into Italian dialects ................................................................. 135 III.6 The Wedding and The Cantor Show: A matter of incongruities ................... 138 Conclusion .................................................................................................... 142 SECCIÓN ESPAÑOLA ...................................................................................... 145 Introducción ................................................................................................. 146 Capítulo Primero: Teoría de la Traducción Audiovisual .................................. 148 ~7~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta I.1 Nuevos cuentos de la misma historia ............................................................ 148 I.2 Jakobsòn y la Traducción como concepto...................................................... 150 I.3 La Traducción Audiovisual: ámbitos y vínculos .............................................. 152 Capítulo Segundo: Las Trasferencias Lingüísticas, espejo de una cultura ......... 157 II.1 El doblaje como ventriloquio cultural ........................................................... 157 II.2 Historia del doblaje en España ...................................................................... 160 Capítulo Tercero: Analizar y Traducir la comedia de situación ........................ 164 III.1 Definir un género: La comedia de situación................................................. 164 III.2 Clasificación y Evolución de la sitcom de los años cincuenta a los años dos mil. ........................................................................................................................ 167 III.3 Entender y traducir el humor ....................................................................... 171 Conclusiones ................................................................................................ 183 Bibliografia ................................................................................................... 186 Sitografia...................................................................................................... 190 ~8~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta SEZIONE LINGUA ITALIANA ~9~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta Introduzione “Per comprendere il riso bisogna riportarlo nel suo ambiente naturale che è la società, bisogna soprattutto determinare la funzione utile, che è funzione sociale. Se la risata è un fenomeno esclusivamente umano, e anche universalmente umano, al tempo stesso, la sua esperienza varia con il variare delle culture. Il comico dipende sempre dallo specifico ambiente all’interno del quale si mostra.” 1 Trasportare il comico e l’ironia da un contesto culturale ad un altro è decisamente complesso considerando che è proprio quel contesto, spesso, a contare più dello stesso testo. Il processo di adattamento e la successiva adozione di un prodotto mediale straniero in un contesto culturale e sociale completamente diverso, può quindi comportare una sorta di “riappropriazione nazionale” che avvicina, che adegua, quel prodotto ai gusti e alle aspettative di un determinato pubblico. Questo mio lavoro si propone quindi di illustrare e prendere in esame il difficile processo di traduzione e adattamento della situation comedy americana in contesti sociali e culturali completamente differenti, un processo che in alcuni casi ha portato alla completa trasformazione e ad uno stravolgimento del prodotto originale, per far sì che questo potesse andare incontro alle nostre necessità, alla nostra storia, al nostro modo di ridere davanti la TV. Non può trattarsi quindi di un solo cambio di lingua ma, spesso, di una vera e propria riscrittura del prodotto originale per spedirlo altrove, in un altro Paese, conferendogli nuove interpretazioni, valori e connotazioni. Molto spesso la traduzione ed il successivo adattamento di questo genere di prodotti mediali, è fonte di 1 H. Bergson, Saggio sul significato del comico, Laterza Editore, Roma, 1993, p. 52. ~ 10 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta molte critiche, soprattutto da parte delle nuove generazioni che sempre più spesso prediligono il prodotto originale a quello adattato, anche e soprattutto per la percezione che si ha al giorno d’oggi di quella cultura tutta americana in cui idee, stili di vita, abitudini e tradizioni vengono raccontate attraverso TV e cinema. Questo lavoro nasce da un mio particolare interesse proprio nel prodotto finito, trasformato, reimpacchettato, e quindi italianizzato. Questa tendenza allo smantellamento, alla riscrittura, all’italianizzazione delle situation comedy Made in Usa ha caratterizzato un periodo ben preciso: gli anni novanta. A tal proposito ho deciso di prendere in analisi una serie in particolare: La Tata. Si tratta di una serie televisiva che ha fatto storia da un punto di vista traduttivo e di adattamento; ho scelto quindi di analizzarne alcuni degli episodi più interessanti da questo punto di vista. Attraverso questo lavoro intendo illustrare, sotto un aspetto pratico e teorico, i problemi dell’adattamento e della collocazione di un prodotto mediale estraneo in un contesto culturale altrettanto estraneo, facendo riferimento sia alla teoria della traduzione audiovisiva ma anche alla storia e all’evoluzione di un genere, quello della sitcom appunto; prendendo in analisi, non tanto il gran numero di prodotti americani sui nostri palinsesti, quanto i processi di addomesticamento che questi hanno dovuto subire in passato per sembrare “più italiani”. Il primo capitolo è interamente dedicato allo studio della teoria della traduzione audiovisiva che mi ha permesso di approfondire concetti fondamentali, passando dalla traduzione intersemiotica di Jakobsòn, agli ambiti della traduzione audiovisiva analizzati da I. Ranzato, fino ad arrivare all’analisi dei trasferimenti linguistici della traduzione audiovisiva elaborati da F. Chaume. Nel primo capitolo vengono inoltre affrontate le problematiche legate ai vincoli tecnici e culturali a cui il traduttore deve far fronte ~ 11 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta lavorando con l’audiovisivo. Sono proprio questi vincoli tecnici e culturali a gridare l’appartenenza del prodotto, ricordandola allo spettatore italiano; suddetti vincoli rappresentano una vera e propria sfida proprio perché spesso “tagliano le gambe” al traduttore, costretto quindi ad arrendersi di fronte ad un’intraducibilità. In questo senso verranno analizzati due concetti fondamentali tra gli approcci adottati dal traduttore per far fronte a certi ostacoli, quali l’addomesticamento e l’estraniamento elaborati da L. Venuti. Il secondo capitolo è dedicato all’analisi del trasferimento linguistico, in particolar modo del doppiaggio inteso come ventriloquia culturale. In questa seconda parte, verrà dapprima fornita una breve analisi storica del doppiaggio, l’origine e l’evoluzione in corrispondenza con la lingua italiana, per poi analizzare i pro ed i contro di quest’arte imperfetta, spesso denigrata e sottovalutata ma che ha pur sempre fatto la storia del cinema internazionale in Italia. Nel terzo capitolo si approfondirà il concetto di situation comedy, inteso come il pane e marmellata dei palinsesti, con un approfondimento sulle tendenze di adattamento degli anni ottanta e novanta. In questo senso si parlerà di due tendenze fondamentali: l’abbuffata commerciale dei primi, e gli adattamenti forzati dei secondi, prendendo in esame alcune delle sitcom che hanno fatto storia da questo punto di vista come Roseanne, The Sopranos ed, ovviamente, The Nanny. Il quarto ed ultimo capitolo è interamente dedicato a La Tata. In quest’ ultima parte la versione originale verrà messa a confronto con la versione italiana, evidenziando quindi le scelte adottate in due episodi specifici, in cui più emergono le problematiche legate a vincoli culturali e tecnici, approfonditi proprio nei capitoli precedenti. ~ 12 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta Alla luce di queste considerazioni, la mia tesi mirerà dapprima ad un’analisi di concetti teorici della traduzione dell’audiovisivo e dell’ironia in un ambito come quello delle situation comedy, considerando le strategie che i professionisti adottano e gli ostacoli a cui devono far fronte confrontandosi con un genere sempre più nazionale vista la trasformazione subita, per poi concentrarsi sull’aspetto più pratico. Se i primi tre capitoli spiegano, l’ultimo analizza basandosi esclusivamente su esempi pratici e sul processo di traduzione e adattamento nudo e crudo. ~ 13 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta Capitolo Primo: Teoria della Traduzione Audiovisiva I.1 Nuovi racconti di una stessa storia In traduzione si parla di principio di reversibilità secondo cui “in condizioni ideali, ritraducendo una traduzione si dovrebbe ottenere una sorta di clone dell’opera originale.” 2 A tal proposito, il professore tedesco Timm Ulrichs, tra il 1968 e il 1974, decide di mettere in pratica un esperimento, o meglio ancora, un progetto artistico basato proprio su questo principio. Prendendo come riferimento una voce da un comune dizionario di lingua tedesca, il professore dà il via ad un ciclo poliglotta di traduzioni. La voce è stata infatti tradotta dapprima in inglese, poi in francese, poi resa in spagnolo e via dicendo. Il testo è passato nelle mani di ben 24 diversi traduttori, è stato analizzato, riscritto, smantellato per venire adattato a lingue, alfabeti e culture completamente diversi da quelli d’origine. La fase finale di questo esperimento ha previsto un’ultima traslazione dall’hindi, la sua ultima traduzione, verso la sua lingua sorgente, il tedesco appunto. Nonostante il testo fosse stato riportato nella sua lingua d’origine, le differenze tra il punto di partenza e quello di arrivo risultarono abissali. Il testo finale non è altro che il frutto di innumerevoli interpretazioni, smantellamenti, variazioni e incrostazioni successive. L’esperimento di Ulrichs oltre a provare gli innumerevoli scarti linguistici e culturali tra una lingua e l’altra, dimostra quanto tutte le 2 U. Eco, Dire quasi la stessa cosa, Bompiani Editore, Milano, 2003, p. 319. ~ 14 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta variazioni, spesso irreversibili, presenti in un testo in seguito ad una traduzione, diventino parte integrante di quello stesso testo; in questo senso è impossibile e riduttivo guardare al processo traduttivo come ad un processo meccanico ed automatico. Ed è proprio questo che rende così affascinante e stimolante questa disciplina chiamata traduzione per cui, parafrasando Eco nel suo celebre libro Dire quasi la stessa cosa, “un discorso indiretto si maschera in discorso diretto”. “Non si può non comunicare”, affermava lo psicologo e filosofo austriaco Paul Watzlawick 3. È proprio partendo da questo presupposto che possiamo considerare l’idea ed il significato più ampio della parola Traduzione. L’uomo non può non comunicare e le barriere linguistiche e culturali hanno da sempre rappresentato degli ostacoli inevitabili, ma non insormontabili. Considerando l’assioma di Watzlawick, potremmo ampliare l’idea di traduzione a qualsiasi attività umana in quanto “ogni linguaggio contiene in sé la possibilità di una sua traduzione” 4 , ogni tipo di comunicazione o di trasposizione da un linguaggio ad un altro non è che una forma di traduzione continua, che muta e si rinnova sistematicamente e costantemente, spesso inconsciamente. In questo senso Luca Barra, nel suo Risate in Scatola, parla di traduzione in quanto storicizzazione di un‟opera, ovvero un’interpretazione che si rapporta necessariamente al preciso periodo storico e contesto culturale in cui viene affrontata, e quindi una negoziazione che obbliga il traduttore a raggiungere dei compromessi ristrutturando ed ampliando così l’idea di fedeltà. 3 4 Cfr. L. Barra, Risate in Scatola, Vita e Pensiero Editore, Milano, 2012, p.72. Ivi, p. 47. ~ 15 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta I.2 Jakobsòn e la Traduzione come concetto “Nessuno può comprendere la parola formaggio, se prima non ha un’esperienza non linguistica del formaggio”.5 Citando questo concetto di Russell, Romàn Jakobsòn apre Saggi di Linguistica Generale, pubblicato nel 1959 e tutt’oggi considerato un testo sacro da chi si interroga sulle questioni della traduzione. Dobbiamo il termine di traduzione intersemiotica proprio al linguista russo, in effetti in questo saggio spiccano delle importanti riflessioni sui problemi della traduzione. In realtà con i concetti espressi, Jakobsòn va oltre le problematiche traduttive concentrandosi sulla traduzione in quanto concetto più che attività. La citazione sopra riportata rappresenta un concetto chiave delle riflessioni del linguista, in questo modo Russell afferma che per un individuo estraneo ad una certa cultura lontana dalla propria è impossibile assimilarne determinate parole. Jakobsòn critica tutto ciò, sostenendo che per un individuo appartenente ad una cultura in cui non esiste il formaggio, sia sufficiente sapere cosa sia il latte cagliato per risalire al significato della parola sconosciuta, il linguista giunge alla conclusione secondo cui il significato delle parole è un fatto semiotico più che linguistico. Il significato di una parola non è altro che la sua traduzione in altre parole, ed in questo senso Jakobsòn ci dimostra quanto la traduzione, intesa in senso lato, sia fondamentale per la comunicazione tra culture diverse poiché se non esistesse la traduzione non ci sarebbe possibile conoscere oggetti, parole, concetti o storie lontane dalla nostra cultura. 5 R. Jakobsòn, Saggi di linguistica generale, Feltrinelli Editore, 2008, p. 56. ~ 16 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta Nel saggio Jakobsòn elabora una teoria secondo cui esistono tre modi per interpretare un segno verbale: La traduzione interlinguistica anche definita traduzione vera e propria. Si intende una interpretazione di segni verbali per mezzo di un’altra lingua. Si verifica quando traduciamo da un testo da una lingua ad un’altra. La traduzione intralinguistica o riformulazione. Jakobsòn intende una intepretazione di segni verbali per mezzo di altri segni della stessa lingua. La traduzione intersemiotica o trasmutazione. Si tratta di un’interpretazione di segni verbali per mezzo di segni di sistemi segnici non verbali. Si verifica nella “traduzione” di un romanzo in film o di una favola in balletto. La traduzione intersemiotica è il tratto più innovativo della proposta avanzata da Jakobsòn, proprio perché al giorno d’oggi siamo abituati a questo tipo di interpretazione attraverso i trasferimenti linguistici dei prodotti audiovisivi. ~ 17 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta I.3 La traduzione audiovisiva e i suoi ambiti È proprio negli anni novanta che, attraverso l’esportazione di prodotti audiovisivi in tutto il mondo, si inizia ad approfondire e a prendere sempre più in considerazione il campo della traduzione audiovisiva, fino ad allora sottovalutato. Per traduzione audiovisiva intendiamo quella disciplina traduttiva che opera nel campo multimediale attraverso diversi canali e settori come la televisione, il cinema, il web e la pubblicità. La traduzione audiovisiva si occupa principalmente di testi in cui diversi codici, quello verbale, quello visivo e quello sonoro, si intrecciano a tal punto da risultare dipendenti l’uno dall’altro. Film and tv translation, audiovisual language transfer, traduzione diagonale, sono solo alcune delle definizioni proposte negli anni novanta dagli esperti del settore. Y. Gambier, professore di traduzione presso l’Università di Turku in Finlandia, agli inizi del duemila conia il termine transadaptation, fondendo così le due discipline della traduzione e dell’adattamento senza però raccogliere grandi consensi dagli addetti ai lavori. Recentemente la traduzione audiovisiva è divenuta oggetto di molteplici discussioni, soprattutto per quanto riguarda due degli ambiti che questa abbraccia: il doppiaggio e l’adattamento di prodotti distribuiti su tutti gli schermi, dal cinema alla televisione. Non a caso, la definizione più azzeccata sembra essere quella coniata dal mondo anglossassone: screen translation. Quando parliamo di traduzione audiovisiva, intendiamo una traduzione totale, vista la presenza di vincoli legati a diversi codici (verbale, visivo e culturale), ed ovviamente vincolata viste le limitazioni che questi codici impongono alla traduzione. Se, come afferma Ranzato, ~ 18 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta “le traduzioni sono fatti della cultura d’arrivo” 6, allora un testo tradotto è in grado di avere una vita propria lontana dalla cultura d’origine, quella che lo ha prodotto, e adeguarsi, anzi “adattarsi” perfettamente, al contesto socio-culturale che lo ospita, ed è proprio questa una delle peculiarità del testo audiovisivo. In questo senso è interessante parlare di riscrittura, almeno nel campo dell’adattamento di prodotti mediali stranieri. In effetti il lavoro di traduttori e adattatori, può trasformare il testo tradotto in un’opera completamente differente, spesso migliore, rispetto all’originale. E se il testo tradotto diventa più ricco di spunti rispetto a quello d’origine, allora anche i rapporti con il contesto in cui viene inserito si moltiplicano inevitabilmente. Sicuramente la traduzione audiovisiva rappresenta una bella sfida per il traduttore dato che, il concetto di fedeltà va oltre i problemi puramente linguistici e traduttivi, estendendosi ai personaggi, alle trame e ai contesti e, se necessario, deve spingersi ad una radicale operazione di sostituzione e quindi di riscrittura. In questo senso possiamo parlare di traduzione audiovisiva in quanto totale e vincolata. “Il trasferimento linguistico descrive i mezzi con cui un film o un programma televisivo è reso comprensibile a un pubblico di destinazione che non è familiare con la lingua di partenza con cui l’originale è stato prodotto.” 7 6 I. Ranzato, La Traduzione Audiovisiva-analisi degli elementi culturospecifici, Bulzoni Editore, Roma, 2010, p. 13. 7 G.M. Luyken, Ovecoming Language Barriers in Television, European Institute for the Media, Manchester, 1991, p. 11. ~ 19 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta A proposito di trasferimenti linguistici, la traduzione audiovisiva ne comprende diversi e Frederic Chaume, nel 2004 ne elabora una classificazione 8 e la estende ai seguenti ambiti: Il doppiaggio, ovvero quel procedimento applicato al cinema e in tv secondo il quale la voce dell’attore originale viene sostituita da quella del doppiatore. Questo tipo di traduzione implica una perfetta sincronia articolatoria espressiva. La sottotitolazione interlinguistica, vale a dire l’utilizzo di sottotitoli che vengono applicati direttamente alla pellicola con varie tecniche oppure sotto lo schermo. La sottotitolazione intralinguistica, ovvero la traduzione mediante sottotitoli per le persone con difficoltà uditive. Il voice over, in altre parole il così detto fuori campo attraverso il quale viene applicata la traduzione doppiata direttamente sull’originale, senza alcuna sincronizzazione. I sopratitoli, utilizzati soprattutto negli spettacoli teatrali od operistici, i sottotitoli proiettati sopra o sotto la scena. L’audio descrizione, vale a dire il commento audio che descrive ciò che sta accadendo in una scena o in un film. 8 I. Ranzato, La Traduzione audiovisiva-Analisi degli elementi culturospecifici, Bulzoni Editore, Roma, 2010, p. 24. ~ 20 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta I.4 Vincoli tecnici e vincoli culturali Una delle peculiarità del prodotto audiovisivo che lo allontana dal testo scritto, è il fatto che il messaggio verbale, le immagini ed il suono spesso seguono delle strade diametralmente opposte; ovvero, il messaggio segue la strada dettata dal doppiaggio o dal sottotitolaggio mentre le immagini ed il suono rimangono radicate alla cultura d’origine, rivendicandone l’appartenenza. Si parla quindi di vincoli tecnici che impongono al traduttore di accettare il rischio di una perdita semiotica che, se da un lato può rappresentare uno stimolo alla creatività, dall’altro può rivelarsi dannosa per l’intero prodotto multimediale. Oltre alla presenza di una lingua scritta interna alla scena e quindi cartelli o insegne, un altro vincolo tecnico imposto alla traduzione audiovisiva riguarda il rapporto tra il codice visivo e quello verbale, ossia “tutto quello che appare sullo schermo non può essere eliminato o modificato dalla traduzione del dialogo” e questo ha importati conseguenze sull’attività traduttiva; spesso infatti si smantellano interi dialoghi anche centrali pur di garantire una sorta di credibilità. Per quanto possano essere impeccabili le strategie di adattamento e doppiaggio adottate, le immagini, il contesto, i paesaggi, le insegne, in una parola i vincoli tecnici, continueranno a gridare la loro appartenenza, continueranno a ricordarci che ciò che stiamo guardando in fondo non ha nulla a che vedere con la nostra cultura ed il nostro Paese. Pensiamo alla Tata Francesca, The Nanny in origine. Francesca Cacace potrà anche rivendicare le sue origini ciociare, ma all’altare a sposarla sarà un rabbino con tanto di Kippah. E non esiste strategia traduttiva in grado di superare quest’ostacolo. E quindi, fino a che punto le traduzioni sono ~ 21 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta fatti della cultura di arrivo? Fino a che punto un prodotto audiovisivo straniero può assorbire la nostra cultura, italianizzandosi? Il sistema mediale contemporaneo racconta storie di mondi e culture sempre più estranei e la sua tendenza all’importazione di queste ultime non fa che obbligare lo spettatore, il consumatore, se non ad accettare, perlomeno a conoscere determinate nazioni, determinati luoghi, determinate culture, determinate idee; stabilendone così delle relazioni. Proprio la percezione, e quindi la relazione, del fruitore di queste nuove realtà non potrà che scatenarne l’interesse e la curiosità aumentando così la domanda che verrà soddisfatta proprio dagli stessi media. Se da un lato possiamo considerare l’importazione di tali prodotti, ovviamente americani, come una forma di colonizzazione dell‟immaginario 9 , dall’altra tutto ciò non può che comportare, dapprima la circolazione di storie a noi estranee, e poi la conseguente mediazione di queste per renderle più omogenee ed in linea con le consapevolezze di un Paese e della sua cultura. Suddetta mediazione può, in questo senso, trasformarle completamente dando vita a qualcosa di completamente nuovo, cucito addosso alla cultura e alle idee di quel determinato pubblico. Tradurre un prodotto mediale, che può essere un film o una serie televisiva, significa adattare un’opera pensata per un determinato contesto sociale e culturale ad un nuovo background lontano da quello d’origine, questo passaggio sempre più spesso comporta l’inevitabile sradicamento. In questo senso parliamo di vincoli culturali che impongono al traduttore di mettere in relazione due culture, due società, due mondi. Sebbene ogni tipo di traduzione debba far fronte a questi 9 L. Barra, Op. cit. , p. 5. ~ 22 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta vincoli, la traduzione audiovisiva si trova ad affrontare questioni estremamente sensibili visto il vasto pubblico a cui film e programmi televisivi sono indirizzati. In questo senso Eco afferma che ogni traduttore, di fronte ad una qualsiasi limitazione legata ad un’immagine o ad una frase tipica del contesto culturale di origine, deve chiedersi: “Una traduzione deve condurre il lettore a comprendere l’universo linguistico e culturale del testo di origine, o deve trasformare il testo originale per renderlo accettabile al lettore della lingua e della cultura di destinazione?” 10 Nel primo caso la posizione che prenderà il traduttore sarà quella dello straniamento, anche noto come foreignization, un concetto per cui è lo spettatore a doversi adeguare alla cultura del pubblico di origine, avvicinandosi così all’autore e quindi al traduttore, entrando in contatto con riferimenti sociali, culturali e mediali diversi dai propri. La strategia di straniamento si verifica quando, parafrasando Venuti, il traduttore lascia l’autore in pace, il più possibile,conducendo il lettore verso di lui. Nel secondo caso il traduttore sceglierà di annullare i legami di appartenenza alla cultura di origine per rendere quel testo più credibile nella cultura ricevente, il traduttore prenderà per mano lo spettatore e lo guiderà compiendo o facilitando per lui il processo di decodifica di alcuni aspetti poco comprensibili in origine, in questo caso si parla di addomesticamento11, o domestication. Questa strategia rende familiare allo spettatore un prodotto che di familiare ha ben poco; Venuti lo definisce addirittura come “un atto imperialistico che riduce il testo 10 U. Eco, Op.cit. , Bompiani Editore, Milano, 2003, p. 171. L’analisi dei concetti di straniamento e addomesticamento è stata elaborata da L. Venuti riprendendo un’analisi già elaborata precedentemente da Friedrich Schleiermacher tra traduzione target-oriented e source-oriented. 11 ~ 23 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta straniero ai valori culturali di quello di arrivo” 12 . Ed in effetti l’Italia reagì con un atteggiamento fortemente nazionalista e addomesticante proprio nel ventennio fascista, creando l’industria del doppiaggio. Non a caso in Italia ancora si tende ad un atteggiamento addomesticante nei confronti dei prodotti stranieri. Sia il concetto di addomesticamento che il concetto di straniamento giocano un ruolo fondamentale nella traduzione, l’ideale, per il traduttore, sarebbe trovare il giusto equilibrio tra il testo di partenza e quello di arrivo, tenendo conto del contesto e del testo originale, della cultura di arrivo, della ricezione nel Paese di destinazione e delle sue abitudini mediali. Il traduttore quindi, può rivestire due ruoli: “quello di un simulacro dei tanti possibili lettori ed insieme quello di un surrogato dell’autore, che ricrea l’opera per lettori differenti da quelli previsti.” 13 Una delle maggiori limitazioni che la traduzione audiovisiva si trova ad affrontare è proprio questa insanabile frattura tra straniamento e addomesticamento, una delle peculiarità che la rende un settore in cui, il più delle volte, non si può parlare di traduttore invisibile. Il traduttore c’è. E si vede. Per trovare una posizione intermedia tra questi due poli così estremi, è necessario che il traduttore ridefinisca il concetto di fedeltà come una negoziazione tra scelte che siano adeguate e scelte che siano meno adeguate ma comunque accettabili e non fatali ai fini della comprensione: “Forse la teoria aspira ad una purezza di cui l’esperienza può fare a meno, ma il problema interessante è quanto e di che cosa l’esperienza possa fare a meno. Di qui l’idea che la traduzione si fondi su alcuni processi di negoziazione, processo in base al quale, per ottenere 12 L. Venuti, L’invisibilità del traduttore: una storia della traduzione, Armando Editore, Roma, 1995, p. 20. 13 L. Barra, Op. cit. , p. 49. ~ 24 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta qualcosa, si rinuncia a qualcosa d’altro e alla fine le parti in gioco dovrebbero uscirne con un senso di ragionevole e reciproca soddisfazione alla luce dell’aureo principio per cui non si può avere tutto.” 14 Ad ogni modo, se da un lato la traduzione di prodotti audiovisivi possa sembrare estremamente vincolante, dall’altro gode di una malleabilità sicuramente ridotta in altri tipi di testi; basti pensare alla globalizzazione e alla conseguente internazionalizzazione che ormai hanno reso molti riferimenti culturali condivisibili ovunque, oppure alla vicinanza culturale di alcuni testi, ad esempio un prodotto spagnolo o francese sarà molto più vicino all’Italia da un punto di vista culturale rispetto a quanto non lo sia un prodotto cinese. I.5 Elementi Culturospecifici Quando parliamo di vincoli ne campo della traduzione audiovisiva non possiamo non parlare degli elementi culturospecifici che impongono, quindi, dei vincoli culturali. Si tratta di elementi estremamente vincolanti dal contenuto culturale e non linguistico che possono essere incomprensibili alla cultura di arrivo. L’addomesticamento e lo straniamento sono i due approcci più comuni che vengono adottati dal traduttore per rendere al meglio questi elementi. Ranzato distingue questi elementi in culturospecifici e culturali. Per culturospecifici si riferisce a quegli elementi appartenenti alla cultura di origine, mentre per culturali a quelli che appartengono ad una cultura 14 U. Eco, Op. cit., p. 18. ~ 25 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta terza o sono ormai diventati transnazionali e quindi globalmente noti. Sono state elaborate molte classificazioni sui riferimenti culturali, qui di seguito riporterò integralmente una versione elaborata da Jorge Dìaz Cintas e Aline Remael in Audiovisual Translation: Subtitling tradotta da Irene Ranzato: Riferimenti geografici: oggetti della geografia fisica: savana, mistral, tornado. Oggetti geografici: Downs, Plaza Mayor. Specie endemiche di animali e piante: sequoia, zebra. Riferimenti etnografici: Oggetti della vita quotidiana: tapas, trattoria, igloo. Riferimenti al lavoro: farmer, gaucho, machete, ranch. Riferimenti ad arte e cultura: blues, Giorno del Ringraziamento, Romeo e Giulietta. Riferimenti alla nazionalità o al luogo di nascita: gringo, Cockney, parigino. Misure: pollice, oncia, euro, sterlina. Riferimenti sociopolitici: Riferimenti a unità amministrative o territoriali: contea, bidonville, stato. Riferimenti a istituzioni e funzioni: Reichstag, sceriffo, Congresso. Riferimenti alla vita socioculturale: Ku Klux Klan, proibizionismo, landed gentry. ~ 26 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta Riferimenti a istituzioni e oggetti militari: Feldwebel, marine, Smith & Wesson.15 Oltre agli elementi culturospecifici, esistono ulteriori parametri che possono influenzare profondamente la traduzione; come ad esempio la transculturalità 16. Al giorno d’oggi molti caratteri di una cultura sono pian piano diventati sempre più condivisibili con tutte le altre e universalmente noti. La transculturalità non è altro che il modo in cui le culture sono interconnesse fra loro. Il Professore scandinavo Jan Pedersen aggiunge agli elementi transculturali, quelli monoculturali, ovvero l’esatto opposto dei primi e quindi propri di una cultura specifica e sconosciuti a tutte le altre, e quelli microculturali, potremmo definire un sottogruppo dei precedenti, cioè talmente specifici da essere comprensibili solo ad un piccolo gruppo all’interno di una stessa cultura o società. In Italia il traduttore ha “il vizio” di guidare lo spettatore, tendendo quindi a ridurre al minimo gli elementi culturospecifici perché considerati un ostacolo alla ricezione del pubblico. Quando lo spettatore si scontra con un certo tipo di elementi possiamo parlare di una sorta di “shock culturale”. In questo senso è stato coniato il termine Culture Bump: “A culture bump occurs when an individual from one culture finds himself or herself in a different, strange, or uncomfortable situation when interacting with persons of a different culture.” 17 15 I. Ranzato, Op.cit., p. 41-42. Cfr. J. Padersen, How is Culture Rendered in Subtitles?, 2005. 17 C. Archer, Culture Bump and Beyond, University of Huston, p. 170. 16 ~ 27 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta Quando invece è il traduttore a trovarsi di fronte ad un elemento culturospecifico di importanza fondamentale all’interno del film o dell’episodio televisivo, vale a dire un elemento che, ad esempio, può influire sul titolo del film, esso deve rimanere assolutamente inalterato. Questo parametro è detto centralità dei riferimenti. Vanno poi, ovviamente, tenute sempre in considerazione le questioni relative alla Skopos Theory introdotta nella teoria della traduzione dal tedesco Hans J. Vermeer. Skopos in greco significa fine, scopo; ed infatti secondo questa teoria è lo scopo a determinare le strategie traduttive da adottare. Solo prendendo in considerazione lo scopo riusciremo a produrre una traduzione adeguata. In questo senso, il nostro skopos sarà il tipo di pubblico fruitore, l’orario della messa in onda del nostro prodotto mediale, i problemi pragmatici come le scadenze ed il tipo di remunerazione. A tal proposito non basta che la trasposizione sia culture-specific, ma deve necessariamente essere anche medium-specific, ovvero in linea con i caratteri peculiari del mezzo televisivo. In tal senso Barra parla di mediazione più che di trasposizione: “Oltre alla serialità, al flusso e alla ripetizione si possono poi aggiungere la possibilità di creare eventi capaci di radunare ampie quantità di pubblico.” 18 Il contesto mediale, quindi, influisce enormemente su quello traduttivo e sul suo skopos, proprio perché composto da varie forme di mediazione e adattamento, oltre che da traduzioni. Successivamente verranno analizzate le strategie applicate dal traduttore per risolvere le problematiche legate proprio agli elementi culturospecifici e alla traduzione dell’umorismo nell’audiovisivo. 18 L. Barra, Op.cit. , p. 71. ~ 28 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta I.6 Le strategie del traduttore Di fronte alle difficoltà traduttive legate ad un gioco di parole, ad una battuta o più semplicemente a quegli elementi culturospecifici di cui abbiamo parlato nel paragrafo precedente e difficilmente traslabili in una realtà diversa da quella d’origine, ogni traduttore può prendere in considerazione delle strategie che trasformino un’ipotetica intraducibilità in una soluzione adeguata. Precedentemente si è parlato di concetti di addomesticamento ed estraniamento, ma oltre a questi è possibile elaborare un’ulteriore classificazione più dettagliata in cui vengano elencate delle tattiche e degli appigli a cui il traduttore può fare affidamento. Di seguito verrà riportata integralmente un’interessante classificazione sviluppata da Ranzato nel suo saggio La Traduzione audiovisiva- Analisi degli elementi culturospecifici dove ad ogni strategia corrisponde un esempio pratico nell’adattamento italiano di celebri film e sitcom: Il prestito: La parola o la frase del testo fonte rimane inalterata anche nel testo di arrivo. Will You‟re not going to come over, you want me to, uh… talk you through it? Grace It‟s tempting, but I think I‟ll watch ER here. Will Se non ti va di venire da me, ti va di farlo… per telefono? Grace Umm, stimolante, ma preferisco guardarmi ER. (Will&Grace, Serie 1 Episodio 1) ~ 29 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta Il calco o traduzione letterale. Will You know what? I think it‟s time for $25,000 Pyramid. Will Sentite, perché non giochiamo tutti al gioco della Piramide? (Will&Grace, Serie 1 Episodio 1) L’esplicitazione: il testo è reso più accessibile con una specificazione o una generalizzazione. Chandler Hey, you guys in the living room all know what you want to do. You know, you have goals. You have dreams. I don‟t have a dream. Ross Ah, the lesser-known “I don’t have a dream” speech. Chandler Dunque, voi che siete sul divano sapete cosa volete. Avete tutti delle mete, avete dei sogni. Io non ce l‟ ho un sogno. Ross Ehi, sembra quasi il discorso di Martin Luther King. (Friends, Serie 1 Episodio 15) ~ 30 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta La sostituzione: per varie ragioni di opportunità o per obiettivi vincoli tecnici, a un riferimento ne viene sostituito un altro più o meno lontano da quello di origine. Jack (when Grace comes in) Oh, look, it‟s Sporty Spice. Jack (quando entra Grace) E che ha, il morbo di Parkinson? (Will&Grace, Serie 1 Episodio 15) La trasposizione: il concetto culturale di una cultura è tradotto con il concetto culturale di un’altra. Maxwell: Where is Miss Fine anyways? Niles: She‟s upstairs getting all fapitzed. Maxwel: La signorina Francesca è scesa? Niles: Come dicono in Ciociaria, è su che si pitta. (The Nanny, Serie 3 Episodio 1) ~ 31 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta La ricreazione lessicale: invenzione di un neologismo. Halloran I can remember when I was a little boy my grandmother and I could hold conversations entirely without ever opening our mouths. She called it “shining” and for a long time I thought it was just the two of us that had “the shine” to us. Halloran Sai, mi viene in mente quando ero ancora bambino, mia nonna e io riuscivamo a fare delle lunghe conversazioni e senza mai aver bisogno di aprire bocca. Diceva che era lo “shining”, la “luccicanza”. E per molto tempo io credevo che eravamo solo noi due ad averla, la luccicanza. (The Shining, Stanley Kubrick, 1980) Compensazione: Si crea di bilanciare una perdita in un punto della traduzione mediante un’aggiunta in un altro punto della stessa. Nate (doing the HAL voice, from 2001 A Space Odyssey) We are looking quite spiffy in that suit, Dave. Dave That‟s so clever. You’re talking like the computer in the movie. Wow, you‟re funny. ~ 32 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta Nate (parla con voce normale) Con quel completino sei un vero schianto, Dave. Dave Grazie mille Mr 2001 Odissea nello Strazio. Non sei divertente. (Six Feet Under, Serie 1 Episodio 2) L’omissione. Will Did you get that black, flowy thing? Grace No, you were right. It‟s too “Stevie Nicks: The Heavy Years”. Will Hai preso quella guêpière nera? Grace No, avevi ragione, era troppo stile vedova allegra. (Will&Grace, Serie 1 Episodio 1) L’aggiunta. Alvy Now, listen to this. I was in a record store. There‟s this big, tall, blond, crew-cutted guy looking at me in a funny way and smiling and he‟s saying: “We have a sale this week on Wagner”. Wagner, Max. Wagner. I knew what he was really trying to tell me, very significantly. Wagner. ~ 33 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta Alvy Ieri ero in un negozio di dischi, senti un po‟ questa. Il commesso era un tipo alto, biondo, con la sfumatura alta. Mi guarda in un modo strano e con un sorriso maligno e dice: “Le interessa? C‟è una vendita speciale di Wagner. Wagner, signore, Wagner”, tutto Gerusalemme lemme. A parte l’antisemitismo implicito in Wagner, aggiunge “Ne resterà inebreato”. (Annie Hall,Woody Allen, 1977)19 19 I. Ranzato, Op. cit. , p. 42-45. ~ 34 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta Capitolo Secondo: Il doppiaggio come ventriloquia culturale II.1 Pro e Contro di un’arte imperfetta “Nella vita non parliamo tutti allo stesso modo, e non parliamo sempre allo stesso modo. Anche in un film è così. La domanda che l’adattatore deve porsi è: come parlerebbe quel tale personaggio in quella situazione se parlasse la mia lingua?” 20 Ricordo chiaramente la delusione nello scoprire che La Tata Francesca non si chiamava Francesca, ma Fran, che non era affatto di Frosinone, ma di New York. Quella delusione coincise con la scoperta di una pratica chiamata adattamento e le domande che sorsero furono schiette, semplici, dirette: come hanno fatto? Allora, di cosa ridono gli americani guardandola? Visto il grande successo dei prodotti audiovisivi stranieri nel nostro Paese, è giunto il momento di affrontare il problema degli adattamenti, o meglio, di quelle pratiche che permettono al divo americano di parlare miracolosamente italiano. Come nella letteratura o nella poesia, anche dietro ad una battuta o ad una scena commovente c’è un lavoro di traduzione non indifferente. Questo lavoro, che in letteratura viene dato per scontato, nell’audiovisivo desta sempre molte polemiche. Nonostante per molto tempo l’adattamento ed il successivo doppiaggio, siano stati considerati umili arti al servizio del cinema e della televisione, esercitate in maniera magistrale da comunità di attori e 20 C. Wagstaff, Il Cinema Italiano nel Mercato Internazionale, Fondazione Agnelli Editore,Torino, 1996, p. 35. ~ 35 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta tecnici, oggi l’utilità di questi mezzi viene spesso messa in dubbio da critici e spettatori puristi che prediligono la visione delle opere audiovisive in lingua originale con l’ausilio del sottotitolo, accusando così l’adattamento ed il doppiaggio di snaturare il prodotto e spesso di comprometterne il successo fuori dal Paese di origine. In un mondo americanizzato in cui l’inglese si è trasformato nella nostra lingua adottiva, queste pratiche, che ormai hanno più di settant’anni, vengono guardate con un certo snobbismo e spesso si sollevano non poche polemiche al riguardo. Procedure di questo tipo vengono considerate dai sostenitori come veicolo di cultura, arti nell’ombra, e in quanto tali, meritano il giusto riconoscimento e la giusta attenzione. Potremmo definirlo come un male necessario, che, nel bene e nel male, finisce col plasmare gran parte della nostra cultura quotidiana interessando anche le nostre competenze linguistiche e quindi il nostro modo di parlare, di interagire con le persone che ci circondano e di comprendere quello che ci dicono. Del resto, la storia del doppiaggio parla chiaro; l’introduzione di questa pratica durante il ventennio fascista ha contribuito fortemente alla divulgazione di un italiano che fosse standard, e non più dialettale; ma questo argomento verrà affrontato più dettagliatamente nel paragrafo successivo. L’adattatore, che lavora al testo prima di passarlo nelle mani del doppiatore, non deve quindi affrontare solo problemi traduttivi bensì prendere in considerazione diversi fattori culturali ma anche comunicativi; si parla di fattori interni nel momento in cui tra i vari interlocutori del film emergono certe espressività verbali tipiche di un’area geografica, e di esterni21 nel momento in cui questi riguardano la relazione tra i locutori ed il pubblico, in questo senso entrano in gioco 21 Cfr M. Paolinelli, E. Di Fortunato, Tradurre per il Doppiaggio. La Trasposizione Linguistica dell’Audiovisivo: Teoria e Pratica di un’Arte Imperfetta, Ulrico Hoepli Editore, Milano, 2005. ~ 36 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta ulteriori elementi come, ad esempio, la competenza linguistica dello spettatore. L’adattatore, in quanto primo spettatore, riveste il ruolo dello spettatore-tipo che grazie alla profonda conoscenza, sia della propria cultura che di quella del testo di partenza, scompone, analizza, smantella quel prodotto con lo stesso criterio utilizzato nell’originale per poi ricostruirlo, superando così diversità non solo linguistiche ma anche culturali. Se da un lato l’adattamento prima, ed il doppiaggio poi, sono la quintessenza della televisione, ma soprattutto del cinema italiano, dall’altro molteplici sono le critiche che si muovono attorno queste pratiche, giudicate antiche, artificiali, inutili e dannose per l’opera originale a favore così, di un altro trasferimento linguistico, un altro adattamento se vogliamo: il sottotitolo. Un pregio di questo tipo di trasposizione linguistica è proprio la sua grande flessibilità, l’inserimento è molto più rapido e soprattutto taglia i costi che ci sono dietro ad un doppiaggio (adattamento incluso). Parlare di flessibilità però, significa parlare di riduzione sia qualitativa che quantitativa. Attraverso il sottotitolo il prodotto viene presentato nella sua integrità, nudo e crudo agli occhi dello spettatore che non sarà più costretto ad assistere ad una seconda versione dell’originale manipolata in ultimo dal doppiatore che, come fosse un ventriloquo, presta la voce e, perché no, anche la propria cultura all’attore originale. Nonostante uno dei pro del doppiaggio sia proprio di natura culturale, una delle critiche più comuni mosse contro queste pratiche riguarda proprio la cultura. A tal proposito gli integralisti parlano di doppiaggio e adattamento come pratiche provinciali, anacronistiche, antiquate e stantie che contribuiscono alla totale chiusura di un Paese verso altre culture, rendendolo sordo ed ignorante. Privano ~ 37 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta lo spettatore di immergersi e comprendere completamente un’altra cultura, al contrario del sottotitolo che protegge, invece, la cultura locale. Un altro punto su cui spesso si dibatte riguarda la competenza linguistica, è noto infatti che nei Paesi nordici, in cui l’arte del doppiaggio è bandita a favore del sottotitolaggio, i bambini siano in grado di apprendere lingue straniere molto più velocemente. Assorbire parole, pronunce, strutture sintattiche ed, ovviamente, altre culture, permette così al cervello di abituarsi facilmente ad una lingua diversa dalla propria. Tecnicamente parlando, la maggior parte dei film e telefilm provengono dalla mecca hollywoodiana; questo rende l’ausilio del sottotitolo in italiano decisamente efficace e, soprattutto, fattibile, dato che, bene o male, la percezione dell’inglese al giorno d’oggi è tale da poter comprendere il senso di una scena o di un intero episodio o film leggendo il sottotiolo e ascoltando il dialogo in inglese. Ma la domanda è: saremmo in grado di comprendere e goderci il tutto, leggendo sottotitoli in italiano sovrapposti a dialoghi in coreano, tedesco, cinese o indiano? Certo è che non tutti i film sono di produzione americana e allora lì il doppiaggio e l’adattamento risulterebbero vitali e necessari, al fine di godersi il prodotto e comprenderlo a pieno. Ad ogni modo, a prescindere dalla posizione a favore o contro di queste due trasposizioni linguistiche, è implicito il valore di entrambe. Se il doppiaggio tende ad addomesticare, avvicinare, italianizzare ciò che italiano non è, il sottotitolo àncora quel prodotto alla sua cultura di origine; se il primo vanta la comprensibilità universale, il secondo gode dell’autenticità. Ovviamente, alla base della scelta di una o dell’altra procedura ci sono ragioni culturali ed economiche. Esistono infatti Paesi con un mercato dell’audiovisivo più importate che prediligono il doppiaggio (dubbing countries), ed altri invece con minori risorse che ~ 38 ~ quindi adottano Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta maggiormente il sottotitolo (subtitling countries) 22 , in questo caso spesso si tratta di aree linguistiche più piccole. In conclusione potremmo rifarci a quanto affermato da Barra, ossia che “doppiaggio e sottotitolaggio sono più vicini di quanto possa sembrare, dato che entrambi presentano i loro vantaggi e le loro specificità. Tutti e due gli elementi entrano a pieno titolo in una nuova concezione del film e del prodotto TV come poli-sistema, oggetto di una continua rielaborazione attraverso le frontiere e composto dai testi nazionali e da quelli tradotti, doppiati o sottotitolati.”23 22 23 Cfr M. Paolinelli, E. Di Fortunato, Op.cit. L. Barra, Op. cit. , p.65. ~ 39 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta II.2 La lingua italiana attraverso il doppiaggio L’audiovisivo è stato, e continua ad essere, il principale mezzo di unificazione linguistica nazionale. Il cinema e la televisione hanno da sempre contribuito profondamente al mutamento e all’evoluzione della lingua nazionale, alfabetizzando il paese e dando vita ad un italiano popolare unitario. Basti pensare al celebre Maestro Manzi che, negli anni sessanta, nel suo programma Non è mai troppo tardi trasmesso dalla RAI, insegnava l’italiano agli italiani. Proprio dopo l’inizio della produzione di film sonori, tra la fine degli anni venti e l’inizio degli anni trenta, il cinema cominciò a prendere spunto dalla lingua del teatro per assicurarsi un pubblico più borghese, accantonando così l’uso del dialetto che vi conferiva una valenza esclusivamente comica-svalutativa. L’avvento del cinema sonoro e quindi anche doppiato ha permesso all’Italia, soprattutto meridionale, di apprendere attraverso il cinema la lingua nazionale. Oggigiorno, dal cinema e dalla televisione di stampo straniero, e quindi doppiato, adottiamo modi di dire ed espressioni. Siamo tutti sottoposti ed influenzati da questo modello, perfino gli autori italiani che spesso trasferiscono nelle fiction nostrane forme linguistiche che non ci appartengono, figlie dell’adattamento e del doppiaggio. Siamo stati abituati ad assorbire inconsciamente il modello americano del cinema e della TV . “Ogni prodotto mediale porta con se un insieme di significati, inferenze, implicazioni, presupposizioni che hanno a che fare con la vita quotidiana, con le istituzioni sociali, con le tradizioni, con un sapere ~ 40 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta spesso dato per scontato. Chi si occupa della trasposizione, quindi, da un lato deve fidarsi delle capacità del pubblico, dall’altro deve metterlo in condizione di decodificare adeguatamente.” 24 E qui la domanda sorge spontanea: se l’adattamento preclude anche una vera e propria adozione di modi di dire, espressioni, significati, inferenze e presupposizioni che hanno a che fare con una vita quotidiana completamente diversa dalla nostra, allora siamo tutti americani senza esserlo mai stati? La lingua adattata al cinema e alla TV è senza dubbio una lingua non-spontanea, non-reale, perché sottoposta ad una profonda elaborazione, che possa renderla comprensibile ad una platea il più ampia possibile. Si tratta della lingua italiana più irreale, quella del doppiaggio, perché nata per necessità tecniche, da scelte di pochi, sempre sottoposte ad un condizionamento esterno. In questo senso potremo dire che la storia della lingua italiana nel cinema e quella del doppiaggio e dell’adattamento si intrecciano. 24 Ivi, P. 68. ~ 41 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta II.3 Storia del doppiaggio, storia di un’ideologia Questo trasferimento linguistico appare per la prima volta in Italia tra la fine degli anni venti e l’inizio degli anni trenta del Novecento, proprio in parallelo con la diffusione del cinema sonoro nel nostro Paese. Ovviamente dietro alla nascita del doppiaggio c’è un’ideologia, il doppiaggio è un sistema volutamente ideologico e questa sua natura non può essere ignorata. Lo sviluppo di questa pratica è stato voluto dallo Stato perché in linea con i capisaldi del fascismo, ossia l’autarchia e la totale indipendenza dall’influenza culturale straniera a favore della promozione di un’identità nazionale. Inizialmente, i prodotti stranieri venivano sì importati in Italia, ma letteralmente ammutoliti; veniva infatti conservata la colonna musicale e i dialoghi venivano descritti in sintesi dalle didascalie tipiche dei film muti, spesso molto lunghe al punto da complicarne la lettura a quel pubblico italiano per lo più analfabeta. Nel 1931 si iniziò a considerare l’idea del doppiaggio, in questo periodo i primi film stranieri venivano importati anche in Italia e tradotti nella nostra lingua direttamente dai produttori stranieri in maniera del tutto approssimativa. Da questo momento in poi anche l’Italia comincia a puntare ad un mercato, non più locale, bensì internazionale. Il 1933 si rivelerà un anno estremamente importante per l’adattamento ed il doppiaggio, infatti in quell’anno verrà emanato un decreto che vietava l’importazione di film stranieri che non fossero stati doppiati in Italia, a Roma per la precisione. Fino a quel momento, i film stranieri venivano doppiati direttamente all’estero, ingaggiando attori italo-americani che scimmiottavano un italiano del tutto improbabile. A dimostrazione di questo basterebbe andare a ripescare qualche film ~ 42 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta dell’epoca, come ad esempio L‟amazzone mascherata25, versione italiana di Riders of the Purple Sage, in cui i cow boys recitavano con un accento tra il romanesco ed il napoletano. Per risparmiare si finiva con l’ingaggiare attori dalla colonia italiana di Los Angeles o di New York, il cui italiano era caratterizzato da inflessioni dialettali siciliane o napoletane decisamente lontane dall’italiano, quello vero. Un altro celebre esempio è quello dalla coppia di comici Stan Laurel e Oliver Hardy, Stanlio&Olio in Italia, che inizialmente si auto-doppiavano in diverse lingue, fra cui l'italiano. Il pubblico del tempo, dal canto suo, non gradiva questo modo di doppiare, sentendosi giustamente estraneo. Le prime critiche si fecero avanti, con pareri decisamente contrastanti. Infatti, secondo lo scrittore Alberto Savinio, la lingua del doppiaggio era “senza carattere, né sesso, insipida e incolore”, mentre il critico letterario Giacomo Debenedetti riconosceva al doppiaggio di “stare debellando quell’artificiosa intonazione degli attori, sostituendo il recitato con il più concreto parlato” 26. Uno degli obiettivi del fascismo era l’omogeneizzazione nazionale e lo sradicamento regionale, in questo senso il dialetto doveva essere abolito, così i film stranieri dovevano venire doppiati in un italiano pulito, standard se vogliamo, senza alcuna inflessione dialettale. I pronomi allocutivi, anche sugli schermi, furono un altro bersaglio linguistico del fascismo, assieme all’utilizzo di nomi solo ed esclusivamente italiani anche nei film stranieri. In tal senso l’11 aprile 25 26 Cfr M. Paolinelli, E. Di Fortunato, Op.cit, p.35. Ivi, p.50. ~ 43 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta del 1938 venne emanato un provvedimento che vietava l’uso del pronome allocutivo “lei” a favore del “voi” e del “tu”. “Si può dire che qualsiasi traduzione sia ideologica dato che la scelta di un testo fonte e l’utilizzo al quale è sottoposto il relativo testo di arrivo sono determinate dagli interessi, dai fini e dagli obiettivi di agenti sociali.” 27 Le varie forme di traduzione in Italia siano frutto di realtà sociali, culturali e politiche, sopratutto in periodi storici in cui il totalitarismo si preoccupava dei pericoli del trasferimento da una cultura ad un’altra. Negli anni trenta, Marinetti, il fondatore del movimento futurista in Italia, criticò aspramente l’importazione della letteratura straniera. In quel periodo anch’essa venne sottoposta a tali pratiche: iniziò un vero e proprio censimento delle traduzioni, venivano corretti e tagliati dialoghi interi, sostituite le forme di cortesia, i nomi stranieri con quelli italiani, insomma si italianizzava l’opera, proprio come accadeva sugli schermi. È in questo contesto che si sviluppa questo rapporto così complesso tra fascismo, manipolazione e censura che ha portato alla nascita dell’industria audiovisiva e alla successiva formazione di pratiche moderne come la traduzione per il doppiaggio. 27 C. Shäffner, Third ways and new centres- Ideological unity or difference? Manchester, 2003, p. 23. ~ 44 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta Capitolo Terzo: Tradurre la sitcom III.1 La sitcom: il pane e marmellata dei palinsesti Per considerare e mettere a fuoco le caratteristiche della situation comedy, capendone le origini e le evoluzioni nel nostro Paese potremmo partire da una definizione: “Sottogenere televisivo costituito da una serie in più episodi della durata di mezz’ora ciascuno, basati su dialoghi comici e “situazioni di commedia”, caratterizzate dal punto di vista degli ambienti e dei personaggi. Un elemento caratteristico sono le riprese quasi esclusivamente in interni, dalla chiara impostazione teatrale, insieme alla centralità dei dialoghi, in cui le battute più taglienti ed efficaci vengono sottolineate fuori campo dalle risate del pubblico.”28 In quanto a definizioni, quella di Grasso è sicuramente la più diplomatica; anche se quando parliamo di sitcom risulta complicato elaborare una definizione che accumuni la maggior parte dei programmi televisivi inglobati in questa categoria. Quel che è certo è che si tratta di un prodotto industriale i cui punti di forza sono la semplicità seguita dalla commedia e dall’umorismo. J. Ellis parla della sitcom come del genere televisivo ideale29 mentre Butsch ne dà una definizione, a mio avviso, poetica: definisce il genere un perno, il pane e marmellata della TV di prima serata30. Ad ogni modo, proprio grazie a questa sua efficace semplicità, questo genere ha sempre trovato spazio nei nostri palinsesti, destando un genuino interesse nel pubblico. Questa sua apparente 28 A. Grasso, Televisione, Garzanti Editore, Milano, 2005, p. 748. J. Ellis, Seeing Things. Television in the Age of Uncertainty, Tauris Editore, Londra, p. 120 30 R. Butsch, Five Decades and Three Hundred Sitcoms about Class and Gender, EdgertonRose Editore, Londra, 2005, p. 111. 29 ~ 45 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta leggerezza però, rende complesso individuare le peculiarità di questo genere, necessarie a spiegare le evoluzioni nella storia della TV americana che lo ha creato e le difficoltà di programmazione, adattamento e ricezione in Italia e negli altri Paesi. Le sitcom dipendono dalla familiarità, dall’identificazione e dalle credenze popolari ed, in quanto tali, finiscono per diventare un vero teatro familiare, dove proprio le famiglie prendono parte sia sulla scena sia come pubblico. Nell’albero genealogico della sitcom troviamo il teatro, il cinema comico e la radio31 ed infatti, approda in TV in quanto approssimazione del teatro. La dimensione teatrale è quasi ovvia se consideriamo quattro fattori: prima di tutto la struttura in tre atti, in secondo luogo la rappresentazione della commedia attraverso dialoghi, personaggi e situazioni, poi l’ambientazione in interni ed infine la presenza del pubblico in scena, o meglio delle sue risate, reali o alterate. Analizziamo ora i fattori più significativi: innanzitutto è bene affrontare la questione del rapporto tra pubblico e sitcom che, in questo senso, potremmo considerare fondamentale, a prescindere dalla presenza di quest’ultimo in scena. Il pubblico della sitcom è un pubblico addomesticato, che viene educato a ridere al momento giusto attraverso le così dette laugh track, o risate in scatola come le definisce Barra nel suo saggio, risate spesso registrate laddove il pubblico non sia presente o addolcite se considerate non abbastanza fragorose. A tal proposito sono interessanti le definizioni fornite dal giornalista B. Placido32, fermo oppositore di questa pratica. Riferendosi alle risate preconfezionate, Placido le paragona allo sciacquone dei palinsesti, aggiungendo: “ciò 31 Sam and Harry fu la prima sitcom radiofonica della storia, trasmessa nel 1926 dalla radio WGN di Chicago. 32 Giornalista e critico letterario italiano. Sin dai primi numeri, collaborò con il quotidiano La Repubblica in cui ha curato per anni la rubrica di critica televisiva A parer mio. ~ 46 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta che più mi dispiace in certe trasmissioni televisive è lo sciacquone. Termine probabilmente grossolano, me ne rendo ben conto [...] Ma come definire altrimenti quello scroscio di risate falso, artificiale, registrato che interrompe certe commediole televisive a puntate (sit-comedies, all' americana) […] Raimondo Vianello e Sandra Mondaini sanno farci ridere o sorridere quando vogliono. Ma pare che non basti. Di tanto in tanto, qualcuno tira rumorosamente lo sciacquone, in quella loro casa che ci si immagina tanto più silenziosa, e viene giù uno scroscio di risate: prefabbricate.” 33, oppure, “risate meccaniche, registrate su nastro, e messe lì per dire: quanto ci divertiamo. Vi state divertendo anche voi a casa? È un vezzo, un vizio preso di peso dalla situation comedy americana e applicato meccanicamente da noi un po’ dappertutto”.34 Le ragioni per cui si ricorre a questo espediente sono diverse, prima di tutto uno dei loro scopi è quello di trasmettere questo senso di comunità allo spettatore, quasi per non farlo sentire solo tra le mura domestiche, il secondo scopo, quello più tecnico e decisamente meno affascinante, riguarda la necessità di nascondere gli stacchi di montaggio (sonori e visivi). Tornando ai 3 fattori che imparentano la sitcom col teatro, è bene analizzare la questione dei tre atti. Proprio come una rappresentazione teatrale, la situation comedy presenta una struttura narrativa divisa in tre parti: un equilibrio iniziale e la rottura di questo equilibrio nel prologo, i conseguenti squilibri nella sezione centrale, la risoluzione ed il ristabilirsi degli equilibri iniziali nella conclusione. In questo senso si denota la tipica struttura circolare per cui alla fine di ogni episodio tutto torna alle origini: ogni elemento, ogni personaggio torna nella propria 33 34 B. Placido, Le Risate Artificiali come lo Sciacquone, in La Repubblica, 19 gennaio 1991. B. Placido, Ma quelle risate son proprio necessarie?, in La Repubblica, 8 gennaio 1992. ~ 47 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta scatolina assieme ai suoi aspetti fondamentali; tutto torna nella sua posizione originaria. È proprio per questo aspetto che per molto tempo la sitcom è stata categorizzata come sottogenere della serie non considerando il fatto che questo genere, quello della sitcom, ha ben poco a che vedere, da un punto di vista storico ma anche di produzione, con il mondo delle serie TV. Si tratta di un genere a sé stante, un genere televisivo totalmente indipendente. III.2 La sitcom americana: dagli anni cinquanta agli anni duemila Molti studiosi e critici televisivi hanno dedicato attenzione al genere americano per eccellenza, elaborandone classificazioni ed evoluzioni. Una delle più quotate, e sicuramente più dettagliate, è quella sviluppata dallo scrittore spagnolo Natxo López nel suo Manual de guionista de commedias televisivas (2008) 35. López suddivide la sitcom in sette sottogeneri: Commedia Familiare: Genitori in blue jeans (Growing Pains, ABC 1985-1992), Sposati… con figli (Married with children, FOX 1987-1997). Il tratto distinitvo è rappresentato dal fatto che tutti gli avvenimenti si sviluppano all’interno di un ambiente prettamente familiare. Commedia Corale: Friends (NBC 1994-2004), The big bang theory (CBS 2007-in corso), How I met your mother 35 G. Padilla-Castillo, P. Requeijo-Rey, La sitcom o comedia de situación: origenes, evolución y nuevas prácticas, Fonseca, Journal of Communication 2172-9077 Num. 1, Madrid, 2010. ~ 48 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta (CBS 2005-in corso). In questo tipo di sitcom non esiste un protagonista unico a cui ruoti attorno tutta la storia, nella commedia corale tutti hanno un ruolo centrale. Potremmo considerare protagonista l’intero gruppo. Commedia con Vehiculo Estrella, ovvero sitcom il cui protagonista è un personaggio già celebre al pubblico, è il caso di The Bill Cosby Show (NBC 1969-1971), The Dick Van Dyke Show (CBS 1961-1966) o del The Doris Day Show (CBS 1968-1973). La scelta di ingaggiare un personaggio già molto celebre e fargli girare attorno l’intera commedia è legata alla garanzia di una certa fetta di pubblico, già affezionato al personaggio ancor prima che alla sitcom. Commedia etnica: Willy, il principe di Bel-Air (The fresh prince of Bel-Air, NBC 1990-1996), Otto sotto un tetto (Family Matters, ABC/CBS 1989-1997). Si tratta di commedie dedicate ed indirizzate ad un pubblico specifico, in questo caso a quello afroamericano. Commedia sociale: si tratta di sitcom in cui l’elemento umoristico viene utilizzato per affrontare questioni di natura politica o sociale, è il caso della serie M*A*S*H (CBS 1972-1983), nata negli anni settanta come protesta alla guerra del Vietnam. Commedia generazionale: Bayside School (Saved by the bell, NBC 1989-1993). Si tratta di sitcom indirizzate ad un pubblico molto giovane. ~ 49 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta Commedia Fantastica: Vita da strega (Bewitched, ABC 1964-1972), Strega per amore (I dream of Jeannie, NBC 1965-1970), Super Vicki (Small Wonder, 20 Century Fox Television 1985-1989). Il tratto distintivo di queste sitcom è il fatto che degli avvenimenti del tutto fantastici come la presenza di streghe, robot ed incantesimi si mescolino ad elementi umoristici e quotidiani. Dopo aver classificato e suddiviso il genere della commedia di situazione, è ora di elaborarne una breve ma dettagliata evoluzione che vada di pari passo con la storia e la stessa evoluzione della società contemporanea americana e delle sue prospettive socioculturali dagli anni cinquanta agli anni duemila. Il 1951 è l’anno della svolta per questo genere televisivo: I love Lucy viene trasmessa per la prima volta dal canale americano CBS. Si tratta della prima vera sitcom della storia e narra le vicende di una coppia mista: Lucy, una donna americana, e Ricky, un cubano trapiantato a New York. In tutta la commedia si evidenziano le differenze culturali che dividono i due coniugi. I love Lucy riscosse grande successo in America come in tanti altri Paesi europei dove venne esportata, e proprio questo suo successo inaspettato influì enormemente su tutti i prodotti successivi, delinando i tratti distintivi di quello che poi si sarebbe trasformato in un genere televisivo a sé stante. Gli anni cinquanta sono gli anni della commedia familiare in cui vengono sottolineati i valori della famiglia tradizionale ~ 50 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta americana. Al centro delle vicende c’erano sempre famiglie borghesi e felici in cui il marito lavorava e la moglie badava alla casa e ai figli. Negli anni sessanta si sviluppano trame per tutti i gusti, sono gli anni delle commedie fantastiche como Vita da strega (Bewitched) o delle commedie incentrate su personaggi già molto famosi come The Dick van Dyke Show. Negli anni settanta, in linea con lo spirito sessantottino, si fa avanti una corrente decisamente “progressista”. Difatti si cominciano a trattare tematiche piuttosto innovative legate, ovviamente, al sociale. Si comincia a parlare di donne sole, senza figli e felici. Si mettono da parte i valori e i “sani principi” della famiglia tradizionale americana, ponendo invece l’attenzione sulle relazioni personali sviluppate al di fuori dell’ambito familiare. Gli anni ottanta sono gli anni della crisi dovuta a costi di produzione eccessivamente alti rispetto alla domanda del pubblico americano che, in questo perido, inizia ad interessarsi ad altri prodotti televisivi. Nel 1984 approda sugli schermi The Bill Cosby Show risollevenado le sorti di questo genere. Gli anni novanta rappresentano gli anni d’oro per la sitcom americana. Il grande successo di questi anni è dovuto alla grande varietà di argomenti che vengono affrontati, ce n’è davvero per tutti i gusti. Si inzia finalmente a parlare di omosessualità, di famiglie allargate e atipiche. Sono gli anni di Friends, di Will&Grace, di The Nanny. ~ 51 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta Gli anni duemila delineano da una parte, una sorta di rivoluzione nelle pratiche di realizzazione con l’utilizzo di camere manuali e di un’illuminazione più naturale, dall’altro continuano a conservarsi quelle peculiarità che hanno caratterizzato il genere come le risate registrate, la presenza del pubblico in sala e la durata degli episodi di circa 30 minuti. Negli anni duemila la commedia di situazione viene valorizzata a tal punto che prodotti come The big bang theory o How I met your mother si guadagnano addirittura premi e riconoscimeni televisivi molto importanti. Chissà che la crisi economica e cinematografica, non abbia influito positivamente sul destino di questo genere molto spesso sottovalutato, emblema di quella leggerezza, genuinità e autenticità (anche televisiva) di cui in questo momento storico, sentiamo forse la mancanza. ~ 52 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta III.3 La coscienza di massa attraverso un genere “No other European television, notwithstanding the preoccupations and the mandates of politicians and intellectuals, has been as American as Italian television. American not so much in relation to the news, always prisoners of the national political games, but American in regard to TV fiction and entertainment, particularly after the coming of commercial television in the early 1980s.”36 Il forte impatto e la forte influenza degli Stati Uniti nel panorama televisivo italiano è giustificato da questioni di genere. In effetti la televisione italiana, più di ogni altra televisione europea, è quella più americanizzata. In un contesto del genere è interessante prendere in analisi, non tanto il gran numero di prodotti americani importati sui nostri palinsesti, quanto i processi di addomesticamento che questi hanno dovuto subire per sembrare “più italiani”. Analizziamo quindi la storia e l’evoluzione dell’intrattenimento a stelle e strisce sui palinsesti italiani. Se consideriamo la sitcom uno strumento industriale, questa deve necessariamente riflettere e riguardare un certo tipo di pubblico per trasformarlo da consumatore ideale a spettatore fedele. Lo scopo è quello di riuscire a radunare più individui possibili, ad un orario preciso, e far sì che questi ridano insieme. Non a caso, per rendere questo legame sitcomspettatore ancora più saldo, la realtà del prodotto tende ad andare di pari passo con la realtà dello spettatore; la contemporaneità è infatti una caratteristica fondamentale di questo genere. Contemporaneità significa riferirsi ad un tempo ed a uno spazio ben preciso ed è qui che sradicare la 36 C. F. Ferrari, Since When is Fran Drescher Jewish?, Texas University Press, Texas, 2010, p. 12. ~ 53 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta sitcom dal suo contesto di origine diventa complicato. Più saldo sarà questo legame spazio-tempo, maggiori saranno le difficoltà di esportazione e ridimensionamento del prodotto. In questo senso l’aggettivo americana anteposto al sostantivo sitcom diventa essenziale e pregnante. “Se ridere di se stessi è un tratto distintivo americano ne consegue allora che la commedia TV, per essere compresa appieno, merita di essere studiata nel contesto delle tradizioni sociali, religiose e letterarie americane.” 37 La sitcom è un genere decisamente, fortemente e indissolubilmente americano ed ogni sua caratteristica o sfumatura grida questa sua appartenenza. Ed è proprio questo legame indissolubile con una comunità nazionale specifica a pesare tantissimo sul genere e su un’eventuale esportazione. La motivazione principale di questa difficoltà di sradicamento è l’essenza di questo genere: l’umorismo; di cui la sitcom vive e si nutre. Le battute, i giochi di parole, la quotidianità dei personaggi svelano e spiegano la coscienza di massa di una nazione, gli aspetti o gli eventi per cui quella nazione ride. “Le sitcom americane sono estremamente esportabili nel mondo, dato che usano una formula tanto trasparente da poter occupare il posto della programmazione indigena per l’audience locale.” 38 È difficile condividere questo punto di vista dato che, nella storia dell’esportazione di questo genere, il successo di numerose sitcom in Italia, è sempre stato imprevedibile e caratterizzato da alti e bassi legati perlopiù alla forte connotazione a “stelle e strisce” del prodotto. Ragion per cui non possiamo parlare di trasparenza nel momento in cui un prodotto approda in un altro Paese 37 per venire manipolato, M.V. Tueth, Laughter in the Living Room. Television Comedy and the American Home Audience, Peter Lang Editore, New York, 2005, p. 1. 38 J Hartley, Situation Comedy: Part 1, Creeber Editore, 2001, p. 65. ~ 54 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta ridimensionato, stravolto e adeguato a quella coscienza di massa indigena. D’altro canto però, è innegabile il tentativo degli Stati Uniti di rendere i loro prodotti sempre più cosmopoliti, moderni e quindi appetibili agli occhi di un’Europa invaghita e affascinata da questo impero mediale irresistibile. I prodotti americani approdano in altri Paesi e diffondono un’immagine dell’America costruita per far sì che questa risulti più accettabile agli occhi delle altre culture, un’immagine però distorta, forzata e soprattutto americanocentrica del mondo senza che I Paesi “periferici” se ne rendano conto. Il prezzo da pagare per prodotti moderni, semplici, efficaci e cosmopoliti è proprio una sorta di svuotamento e appiattimento delle culture nazionali a favore di un universalizzazione dei media che diventano, in questo modo, americani. Da sempre, gli Stati Uniti rappresentano il baluardo della modernità, un’ iper-realtà, un’utopia raggiunta se vogliamo, e si fanno garanti di un sentire che diventa prima occidentale e poi mondiale; a tal proposito non si può non citare la provocazione avanzata da Baudrillard, tanto azzardata quanto indovinata, secondo cui “l’America è la versione originale della modernità. Noi ne siamo la versione doppiata o sottotitolata.” 39 In questo senso, potremmo guardare agli Stati Uniti come coloro alla guida della produzione mediale mondiale mentre alle resistenze degli altri Paesi come delle mere imitazioni dell‟originale. 39 J. Baudrillard, Amérique, Grasset Editore, Parigi, 1986, p. 76. ~ 55 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta III.4 False partenze ed eterni ritorni Per analizzare l’evoluzione e l’approdo della sitcom americana in Italia è fondamentale considerare e distinguere tre periodi cruciali nella storia della televisione italiana rispetto al genere della commedia di situazione: gli anni ottanta, ovvero gli anni delle sbornie e delle abbuffate commerciali, gli anni novanta caratterizzati invece dagli stravolgimenti e dagli adattamenti forzati ed infine il duemila, in cui si verifica un vero e proprio ritorno alle origini. E partiamo proprio dalle origini: il 6 febbraio 1960 approda in Italia la prima sitcom Made in USA: Lucy ed Io (alle origini, I Love Lucy). Nonostante l’enorme successo in America, e non solo, purtroppo in Italia questo primo esperimento si rivelò un insuccesso per due ragioni ben precise: prima di tutto a causa della mancanza di chiavi di lettura adeguate sia nel pubblico che negli addetti ai lavori, ed in secondo luogo a causa di una percezione della comicità totalmente diversa, forse più debole rispetto a quella nazionale. Questa seconda ragione è ovviamente legata a delle difficoltà di traduzione e di adattamento non indifferenti. In seguito al fallimentare esperimento di Lucy ed Io, la presenza dell’America sugli schermi italiani verrà caratterizzata da un silenzio durato più di venti anni. In effetti i palinsesti italiani sembrano dimenticare le programmazioni Made in Usa, ad eccezione della Famiglia Addams, andata in onda sulla RAI sin dal 1966. Questo silenzio durerà sino al 1977 quando approderà sugli schermi italiani una serie che ha affascinato un’intera generazione: Happy Days. Questo prodotto diventa un fenomeno di costume, fornendo un modello tradizionale e rassicurante. A confermarne il successo non ci sono solo i dati di ascolto, ma anche e soprattutto l’ingresso nella vita quotidiana di una ~ 56 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta generazione che adotta gesti e movenze del protagonista di Happy Days, il teppista buono, Fonzie: “Il Grande Fonzie, scivolando sulle onde del Primo, entra nelle case di almeno quindici milioni di ragazzi italiani. Ci arriva con i suoi blue jeans sfilacciati, con il giubbotto di pelle nera […]. Centinaia di migliaia di ragazzini italiani hanno imparato a camminare come lui, dondolandosi sulle anche. A fare i suoi gesti, ad appoggiarsi come lui alla moto, a dire “Uauu” agitando il pollice […]. I nostri ragazzini vorrebbero assomigliare al Grande Fonzie, le ragazzine ne sono innamorate”.40 Mentre gli americani raccontano, attraverso Happy Days, una certa nostalgia per gli anni cinquanta facendo trasparire anche una volontà di ritorno alle origini e a quel prototipo di famiglia americana andato in pezzi dopo le turbolenze dei primi anni settanta, in Italia questa sitcom permette agli italiani di proiettarsi in quell’immaginario di anni cinquanta forse mai vissuto realmente, cercando così, e con non poca fatica, di comprendere e rispecchiarsi in quella realtà così americana. Da un punto di vista strettamente televisivo, possiamo considerare Happy Days come il prodotto apripista, a cui seguirà una fitta importazione di prodotti di stampo americano dando così inizio a quel periodo che potremo definire come quello delle abbuffate commerciali: gli anni ottanta. 40 L. Vergani, È morto Goldrake ma il nuovo idolo è il teppista buono, in Corriere della Sera, 13 gennaio 1979. ~ 57 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta III.5 L’abbuffata commerciale degli anni ottanta Con la nascita delle TV private, gli anni ottanta della televisione italiana sono caratterizzati da un uso e abuso di prodotti ready made 41 provenienti dall’America. In questo periodo la televisione italiana diverrà la più grande importatrice di telefilm statunitensi. La ragione principale di questo “abuso” va ritrovata, ovviamente, nel vantaggio economico. Le situation comedy americane erano di gran lunga più economiche rispetto ai film. Il termine abbuffata commerciale, o sbornia, si riferisce alla tendenza tipica di questi anni per cui si comincia a riciclare, recuperare, riproporre numerosi titoli del passato, a distanza di dieci o addirittura venti anni dalla prima messa in onda. È in questi anni che verrà ripescato lo sfortunato Lucy ed io insieme ad Happy Days, ad esempio. Per questa ragione si comincia a parlare delle sitcom americane come di tappabuchi necessari ai palinsesti italiani grazie alla loro ripetibilità e modularità. Gli anni ottanta sono anche gli anni dei nuovi arrivi, in questo periodo approdano sitcom del calibro dei Jefferson, spin-off di Arcibaldo (All in the Family), e dei Robinson, destinate a continue repliche fino al duemila. Sono gli anni di Genitori in Blue Jeans (Growing Pains), de La Famiglia Brady (The Brady Bunch), Super Vicky (Small Wonder). La natura di queste ultime sitcom, basate sulle vicende di famiglie americane borghesi, porterà all’esclusione di tutti gli altri filoni che non avranno 41 L. Barra, Op. cit. , p. 112. ~ 58 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta mai spazio nei palinsesti italiani degli anni ottanta. Oltre che tradurre e adattare questi prodotti, in questo periodo si tenta anche di tradurre la formula americana italianizzandola. Ispirandosi al termine sitcom nascono prodotti homemade come Zanzibar, Casa Vianello o Vicini di Casa. III.6 Gli adattamenti forzati degli anni novanta Gli anni novanta non sono certo caratterizzati dalla ricchezza dell’offerta tipica del decennio precedente, bensì da un ridimensionamento di questo genere nei palinsesti italiani. Le conseguenze di questo approccio saranno fondamentali per delineare la storia italiana della sitcom americana. In questi anni si delinea un atteggiamento televisivo per cui i palinsesti si liberano del fardello americano, abbandonando quell’identità moderna, attuale e innovativa tipica degli anni ottanta. Diventano sempre meno cosmopoliti e sempre più nazional-popolari. In questi anni si cerca di dare un nuovo slancio alla sitcom, conferendole un retrogusto più italiano, in tal senso Barra parla di una sitcom ridotta e italianizzata 42 . E così si interviene pesantemente sugli adattamenti, si cambiano interi dialoghi, si stravolgono le personalità e i tratti distintivi dei personaggi originali Made in Usa dando vita, spesso, a vere e proprie riscritture nell’edizione italiana. I casi più eclatanti sono tre: Pappa e 42 Cfr Ibidem, p. 117. ~ 59 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta Ciccia (Roseanne), La Tata (The Nanny) e I Soprano (The Sopranos). Nel primo caso la sitcom americana è incentrata sulle vicende di una coppia di origini ebraiche della working class arrabbiata, Roseanne e Dan Conner. La serie tocca tematiche abbastanza importanti come la povertà, l’obesità, l’omosessualità e il femminismo. Nella versione italianizzata, Roseanne diventa Anna Rosa e della donna emergono, più che le origini ebraiche, quelle napoletane; infatti nel doppiaggio Anna Rosa parla con uno spiccato accento partenopeo. La serie verrà trasmessa dal 1992 al 1997. Nel caso de I Soprano invece si adottano entrambe le strategie di addomesticamento ed estraniamento. La serie originale trattava argomenti tanto scomodi quanto familiari alla TV italiana, quali la mafia e lo stereotipo dell’italo-americano mafioso. Per questa ragione la serie, che ha riscosso un enorme successo negli Stati Uniti, in Italia è stata ostacolata da orari di messa in onda alquanto discutibili. Se da un lato lo spettatore veniva proiettato negli Stati Uniti attraverso l’omissione di elementi troppo familiari e quindi, offensivi, dall’altro si optava per la sostituzione ed il ri-adattamento di elementi legati alla mafia con elementi legati allo stereotipo del Sud Italia. Un altro caso di ristrutturazione e forte italianizzazione è poi quello de La Tata. In questo caso la colorita ragazza del Queens, tipica JAP (Jewish American Princess), si trasforma nell’italo-americana Francesca Cacace. Oltre a perdersi ogni traccia di ebraismo, la storia personale della protagonista viene del tutto stravolta. Francesca è italiana, ed è giunta nella Grande Mela direttamente da Frosinone. Ed è proprio all’analisi dell’adattamento italiano di questa sitcom che verrà dedicato il capitolo successivo. ~ 60 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta Questi cambiamenti azzardati e così drastici sono stati oggetto di critica ma, allo stesso tempo, hanno anche contribuito al grande successo di questi prodotti in Italia. La Tata, ad esempio, ha affascinato e divertito il pubblico italiano per anni proprio grazie a quegli elementi aggiunti in fase di adattamento, per una ragione puramente culturale: chi avrebbe mai colto l’umorismo di battute con chiari riferimenti alla cultura o alla lingua parlata dalla comunità ebraica newyorkese? Al di là degli escamotage italianizzanti, gli anni novanta sono anche gli anni della sitcom dal sapore “nazional-popolare”, e quindi adatta a tutta la famiglia, come Otto sotto un tetto (Family Matters) o Willy il principe di Bel Air (The Fresh prince of bel Air), anche se il vero mainstream di quegli anni sono quelle sitcom in cui vengono rappresentate sia le famiglie disfunzionali o alternative ma anche i gruppi di amici, magari coinquilini, e l’ambientazione è quasi sempre metropolitana. Non a caso, una delle sitcom che ha riscontrato più successo alla fine degli anni novanta è proprio Friends, in onda sugli schermi italiani dal 1997 al 2005. La formula vincente di questa sitcom ha decisamente influenzato tutti quei prodotti successivi, basti pensare ai grandi successi contemporanei come The Big Bang Theory o How I met your mother. Il primo decennio del duemila è stato caratterizzato da una sorta di ritorno alle origini. I palinsesti italiani si chiudono e la sitcom comincia a venire marginalizzata destando l’interesse di nicchia, è infatti l’evoluzione di canali come Mtv, che comincia a trasmettere e ~ 61 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta valorizzare il genere. Dopo la sbornia degli anni ottanta, l’italianizzazione dei novanta e il ritorno alle origini degli anni duemila, siamo giunti all’epoca più contemporanea in cui i mezzi di comunicazione sono cambiati e in cui, a “dettare legge”, non sono più le sole TV private o satellitari bensì il web. La sitcom trova nuova vita grazie a forme di TV convergenti, che rinunciano all’idea di italianizzare l’America. Oggi l’idea di adattamento forzato in stile anni novanta sarebbe impensabile e inaccettabile, e , nel momento in cui si presentano anche solo accenni ad un ipotesi di forzatura, le critiche non si risparmiamo. Queste rifiuto è legato, ovviamente, ad una diversa percezione dell’America e ad una più ampia comprensione della lingua inglese, rispetto ai decenni scorsi. Alla luce di questa lunga storia ed evoluzione della sitcom americana e della sua storia in Italia possiamo concludere considerando quanto questo genere, semplice, immediato e genuino, proprio come pane e marmellata, sia un genere, sì in continua evoluzione, ma che in fin dei conti, decenni dopo decenni, rimane sempre uguale a se stesso, e proprio questa sua caratteristica gli permette di adattarsi e contestualizzarsi all’epoca e alle generazioni che ne fruiscono. ~ 62 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta III.7 Che cosa significa tradurre una risata? “Leggere l’ironia è in qualche modo come tradurre, come decodificare, come decifrare, è come scrutare da dietro una maschera.” 43 Nella prima parte del capitolo è stata definito un genere, quello della sitcom, e ne è stata delineata la sua evoluzione in Italia, dall’esordio fino all’età contemporanea. Questa seconda parte del capitolo è invece dedicata ad una questione cruciale parlando di sitcom: la traduzione dell’ironia. Abbiamo affrontato il discorso dello scollamento, del distacco dal prodotto originale; questi profondi cambiamenti influenzano enormemente il prodotto finale ma soprattutto l’idea italiana di tale prodotto. La maggior parte degli studi e le ricerche sulla traduzione dell’umorismo nell’audiovisivo, focalizzano l’attenzione su due fattori: l’estrema difficoltà nel traslare certe battute, certi giochi di parole da un contesto ad un altro in maniera credibile, e l’eventuale impossibilità dell’operazione, la così detta intraducibilità. Un vecchio aforisma dice che tutte le persone ridono nella stessa lingua; certamente la modalità è sempre la stessa, ma ciò che cambia è la ragione per cui si ride e questo non fa che confermare lo stretto legame tra l’umorismo ed il contesto culturale in cui esso si sviluppa. Flavia Cavaliere parla di racist humour 44 , dato questo suo strettissimo legame con il contesto culturale e sociale a cui appartiene e l’impossibilità di adattarsi altrove. Spesso la negoziazione linguistica e la condivisione di concetti a livello globale permettono allo spettatore di afferrarne l’ironia, ma cosa succede 43 H. Bergson, Saggio sul Significato del Comico, Laterza Editore, Roma-Bari 1993, p. 33. Cfr F. Cavaliere, Can Culture-specific Humour Really Cross the Border?, articolo accademico in Textus XXI (2008), p. 67. 44 ~ 63 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta quando questa è radicata così a fondo in quel contesto da non poter essere condivisa dallo stesso schema cognitivo e socioculturale? “Traducendo non si mettono in gioco soltanto due lingue ma anche due culture”.45 Detto ciò, è cruciale considerare ancor prima di iniziare a tradurre, il ruolo della cultura in quel determinato testo. Tradurre l’umorismo, significa conoscere a pieno tanto il contesto di partenza quanto quello di arrivo, ma soprattutto implica il saper scambiare sistemi di riferimento per afferrare quell’ambiguità così caratteristica dell’umorismo nell’ audiovisivo. La dimensione del Verbally Expressed Humor (VEH) ha introdotto un livello di complessità che limita l’accesso alla risata a coloro che hanno una buona (se non ottima) padronanza della lingua e della cultura di partenza. Spesso la riproduzione dell’umorismo in un’altra lingua può essere legata a diversi fattori, come ad esempio il senso dell’umorismo del traduttore stesso e l’umore di questo durante l’operazione; non è poi da sottovalutare la possibilità che il traduttore possa cogliere sì la dimensione del VEH, ma trovarla sgradevole: “If the creation of VEH is a talent or a special skill and the translator is not a particularly funny person, isn’t it asking a great deal of them to suddenly become a wit in another language?” 46 Quel che è certo è che il comico, ricopre una funzione sociale molto importante proprio perché svela le rigidità dei meccanismi della vita quotidiana, è proprio per questo motivo che “per comprendere il riso bisogna riportarlo nel suo ambiente naturale, che è la società, bisogna soprattutto determinarne la funzione utile, che è funzione sociale”,47 45 U. Eco, Experiences in Translation, University of Toronto Press, Toronto, 2001, p. 62, [Trad. Michela Lauritano]. 46 D. Chiaro, Verbally expressed Humor and Translation: An overview of a neglected field, articolo accademico in Humor 18-2 (2005), p.135. 47 H. Bergson, Ivi, p. 7. ~ 64 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta quindi la trasposizione dell’umorismo da un contesto ad un altro può essere molto rischiosa se non si conoscono a fondo entrambi i contesti. H. Bergson48 riconosce due tipi di comicità, quella di situazione e quella di parola49. La prima ha una soglia di traducibilità decisamente più alta seppure con un’eventuale impoverimento o approssimazione dell’originale, la seconda invece è legata alla distrazione momentanea del linguaggio50, caratterizzata da giochi di parole difficilmente traducibili da un contesto linguistico e socio-culturale ad un altro. In questo modo, la comicità di parola può viaggiare da un Paese all’altro solo attraverso tradimenti, negoziazioni, strategie applicate dal traduttore, in questo senso un vero e proprio acrobata delle parole. Questo difficile passaggio del comico e dell’ironia da una realtà ad un’altra, implica lo scontro tra un doppio principio: da un parte quello culturale, dall’altra quello creativo. Se il primo tenta di ancorare il testo di origine al suo contesto di origine mantenendone la specificità, il secondo, pur di avvicinare quel prodotto al pubblico di destinazione ne contempla la destrutturazione, lo smantellamento concedendo quindi forzature, fraintendimenti, sovrascritture ed eliminazioni. In fondo si tratta della dialettica dello straniamento e della domesticazione di cui abbiamo parlato nel primo capitolo in riferimento ai vincoli tecnici e culturali della traduzione audiovisiva. La questione della traduzione dell‟umorismo è legata quasi ed esclusivamente a problemi interculturali più che intralinguistici. Basti pensare alla pièce teatrale inglese The Play What I Wrote, di Sean Foley 48 Filosofo francese del novecento (Parigi 1856-Parigi 1941). Il suo pensiero influenzò diversi ambiti come la psicologia, la biologia, la letteratura e la teologia. Nel 1927 ricevette il Premio Nobel per la Letteratura. 49 Cfr H. Bergson, op. cit. 50 Cfr Ivi. ~ 65 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta e Hamish McColl. Lo sceneggiato narra la storia di due giganti della commedia inglese, Morecambe e Wire e delle loro disavventure nel rimettere in piedi il loro spettacolo. The Play What I Wrote trabocca di continui riferimenti a battute, giochi di parole e atteggiamenti tipici dei due comici, che hanno fatto la storia della commedia inglese. Nel momento in cui lo spettacolo è approdato nei teatri d’oltreoceano, è stato necessario adattarlo ad un audience americana sostituendone battute e giochi di parole troppo specificatamente british, e non in linea con la comicità a stelle e strisce; e la cosa buffa è che stiamo parlando addirittura della stessa lingua! Il risultato non è stato tanto soddisfacente quanto in Inghilterra ed in effetti questo inaspettato insuccesso è necessariamente ed esclusivamente legato alla confusione al disorientamento del pubblico americano. Ciò a conferma del fatto che il successo e la riuscita dell’umorismo sono tali solo entro i confini del paese di origine, soprattutto nel momento in cui questo non possa sopravvivere se privato della sua linfa. A tal proposito potremmo ipotizzare l’impossibilità dell’umorismo di oltrepassare le frontiere e questo non è un limite da attribuire alla competenza del traduttore, bensì all’intrinseca intraducibilità di troppe implicazioni socioculturali rispetto ai vincoli dei media. Non possiamo quindi che condividere il pensiero di R.C. Solomon quando afferma “The background and presuppositions of humor go deeper and are more complex than virtually anything else in a culture […] Humor is the last frontier to be crossed, in the complete understanding of a culture”.51 51 R.C. Solomon, Racist Humor : Notes toward a Cross Cultural Understanding, 1997, p. 20. ~ 66 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta Capitolo Quarto: Fran Fine&Francesca Cacace IV.1 Il caso: La Tata Quest’ultimo capitolo è dedicato all’analisi dell’adattamento italiano di The Nanny, la celebre sitcom americana esportata in tutto il mondo. Lo scopo è quello di considerare gli aspetti linguistici e culturali e fornire una spiegazione delle ragioni per cui si è optato per un cambiamento così drastico in seguito al quale Fran Fine si è trasformata in Francesca Cacace. Ciò che rende interessante quest’analisi è il fatto che il caso italiano di questo adattamento televisivo non è altro che un esempio lampante di manipolazione testuale, a metà strada tra la traduzione più tradizionale e la completa ristrutturazione. Questo prodotto è stato esportato in molti Paesi lontani dagli stereotipi nordamericani, come l’Argentina, il Messico o il Chile ma si è sempre trattato di versioni locali in cui a recitare non c’era il divo di Hollywood ma l’attore locale e in cui l’unica cosa a rimanere inalterata era proprio la trama e le peculiarità dei personaggi. In Italia, invece, gli addetti ai lavori si sono trovati di fronte a degli ostacoli culturali apparentemente insormontabili ed il risultato finale, La Tata, rappresenta proprio il tentativo di questi di accogliere la globalizzazione senza però disinteressare il pubblico italiano, perché in fin dei conti ricordiamoci che lo scopo ultimo per cui un prodotto mediale venga smantellato, riscritto e adattato alla cultura del paese di ~ 67 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta arrivo, non è certo legato alla salvaguardia di una specificità culturale e nazionale bensì al profitto che se ne trarrà: più regionale e italianizzato sarà, più risulterà comprensibile al pubblico a casa e più alti saranno gli ascolti. L’adattamento di questa sitcom ha fatto storia da un punto di vista traduttivo proprio per i suoi stravolgimenti, per cui interi dialoghi e scene sono state totalmente riscritte, senza però precludere il successo del prodotto in Italia. Siamo negli anni novanta, l’era in cui prodotti profondamente americani, come The Nanny, diventano italiani sfidando l’idea di una televisione importata che fosse globale, standardizzata e, perché no, americanizzata. “Guardare la televisione americanizzata in Italia fece accrescere in me una sorta di orgoglio nazionale, perché sinceramente (e forse anche ingenuamente) credevo davvero che gli autori americani avessero deciso di scrivere degli italiani. […] Consideravo un privilegio (ed ovviamente una curiosa coincidenza) che fra tutte le etnie e le nazionalità negli Stati Uniti d’America, gli autori americani avessero scelto di raccontare e rappresentare proprio le storie degli italiani. […] Mi ci volle del tempo e qualche ora di aereo per capire (durante una lezione e non guardando la TV) che la mia tata preferita, la Tata Francesca, non aveva niente a che fare con l’Italia. Discutendo della rappresentazione delle etnie nella TV americana con i miei compagni e professori universitari (americani), qualcuno menzionò e criticò il ritratto esageratamente stereotipato della JAP, The Jewish American Princess, proposto da Fran Drescher in The Nanny. Tutto d’un tratto non mi raccapezzai più: Since When Fran Drescher is Jewish? chiesi.”52 Già, da quando Francesca Cacace è ebrea? In questo senso si può percepire quanto complicato e necessario sia stato tradurre ed adattare nomi, etnie, 52 C. Ferrari, Since When is Fran Drescher Jewish?, Texas University Press, Texas, 2010, p. 2 [Trad. Michela Lauritano] ~ 68 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta culture e storie completamente diverse da quelle a cui siamo abituati. Il processo che ha visto trasformare l’intera storia e origine della nostra protagonista potrebbe essere definito come un processo di relocalization53, o re-localizzazione, per cui un ritratto stereotipato di un gruppo etnico deve necessariamente venire modificato per rendere il tutto comprensibile ad un nuovo pubblico: chi avrebbe mai riso alle battute di una tata ebrea basate su continui riferimenti e giochi di parole tra l’inglese e lo Yiddish54. Ovviamente questo processo va contestualizzato. A tal proposito Corizza, il direttore del doppiaggio de La Tata, afferma in un’intervista rilasciata alla scrittrice C. F. Ferrari, che 15 anni fa in Italia non c’era la stessa percezione dello stile di vita americano che abbiamo oggi, spiega che proprio questa ragione ha portato ad addomesticare alcuni elementi che altrimenti sarebbero risultati incomprensibili al pubblico italiano. Il cibo, ad esempio, insieme agli elementi legati al gruppo etnico di cui Fran Fine fa parte, diventano un difficile ostacolo da superare; non a caso Corizza racconta di essere stato obbligato a tradurre pancakes con frittelle per dare un’idea più chiara di cosa stessero mangiando i protagonisti. Oggi traduttori e adattatori non devono più ingegnarsi per trovare il giusto corrispondente o l’alternativa più adeguata nella traduzione dell’audiovisivo, proprio perché tutti sappiamo cosa sono i pancakes e la percezione dell’America e del suo stile di vita è decisamente cambiata. Negli Stati Uniti The Nanny va in onda dal 1993 al 1999 sul canale CBS e racconta la storia di Fran Fine, una giovane e pittoresca ebrea 53 54 Ivi, p. 3. Lingua germanica parlata dalle comunità ebraiche in tutto il mondo. ~ 69 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta newyorkese dal quartiere di Flushing, nel Queens. Dopo essere stata licenziata dal fidanzato, gestore di un negozio di abiti da sposa, Fran bussa alla porta di casa Sheffield nelle vesti di una rappresentante di cosmetici. In seguito ad una serie di divertenti fraintendimenti il signor Sheffield, un vedovo inglese che produce musical a Broadway, la assume come nuova tata dei suoi tre figli: Maggie, Brighton e Gracie. La famiglia di Fran è composta invece dalla madre Sylvia e la nonna Yetta, che incarnano in pieno lo stereotipo delle donne ebree americane del Flushing. L’elemento comico della sitcom gira proprio attorno a questa contrapposizione: la personalità eccentrica ed invasiva di Fran e dei suoi parenti da una parte e l’indole fredda, distaccata, dannatamente british, di Maxwell e dei suoi conoscenti. In Italia, invece, La Tata va in onda dal 1995 al 1998 prima su Canale 5 e poi su Italia 1 e racconta la storia di Francesca Cacace, una stravagante ragazza italo-americana di origini ciociare. Tutta la sua famiglia è di Frosinone ed è di religione cattolica. La donna vive in casa con la zia Assunta (in America è Sylvia, la madre) lo zio Antonio (in America è Morty, il padre) e la zia polacca Yetta (in America è la nonna, ed ovviamente non ha origini polacche) moglie del fratello di zia Assunta. Della famiglia Cacace si conoscono alcuni parenti di origine romana, napoletana, sicula e sarda. La breve descrizione del personaggio di Fran Fine potrebbe sembrare lontana anni luce da quella di Francesca Cacace ma prestando attenzione ci si rende conto di quanto questi due stereotipi così lontani siano in realtà più vicini di quanto possiamo pensare. ~ 70 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta IV.2 Stereotipi a confronto “La Tata è globale, se adattata. In fin dei conti, la mamma ebrea non è poi così diversa dalla mamma italiana: quella che si preoccupa se non mangi abbastanza, quella che coccola i figli, quella che non si fa mai gli affari suoi. Lo stereotipo è molto simile, ma deve essere adattato”.55 Per stereotipo si intende un’ opinione precostituita su persone o gruppi, che prescinde dalla valutazione del singolo caso ed è frutto di un antecedente processo d’ipergeneralizzazione e ipersemplificazione, ovvero risultato di una falsa operazione deduttiva. Quando si parla di stereotipi in genere si fa riferimento agli stereotipi sociali, ossia a credenze condivise da più persone56. La rappresentazione dello stereotipo è l’elemento chiave di entrambe le versioni, sia quella originale che quella italiana. Rappresentare la diversità con lo stereotipo è tipico della televisione americana ma non è detto che la specificità non possa essere adattata altrove. L’adattamento de La Tata dimostra che a volte, lo stereotipo deve necessariamente essere tradotto con lo stereotipo ed è per questo che i personaggi vengono ridisegnati culturalmente e linguisticamente facendo riferimento a miti e cliché tutti italiani. Non a caso, gli stereotipi presi in considerazione nelle versioni italiane di sitcom americane come La Tata, I Soprano, I Simpson mettono in luce l’eterno confronto tra nord e sud. 55 Intervista a Massimo Corizza, direttore del doppiaggio e dialoghista per la versione italiana di The Nanny in C. Ferrari, Ibidem, p. 53, [Trad. Michela Lauritano]. 56 Enciclopedia italiana Treccani online. ~ 71 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta Come è già stato anticipato nel paragrafo precedente lo stereotipo rappresentato dagli autori americani e quello invece scelto dai dialoghisti italiani si assomigliano enormemente. Fran Fine incarna perfettamente il modello della JAP (Jewish American Princess). Secondo questo stereotipo la donna ebrea americana viene disegnata come una donna viziata, maliziosa, eccentrica, materialista, snob e ossessionata dal cibo, da vestiti appariscenti e dagli uomini. Sebbene Woody Allen abbia contribuito a costruire un immaginario degli ebrei di New York, l’idea italiana di questo stereotipo si limita all’aggettivo taccagno, per questo motivo è stato necessario ridisegnarne i lineamenti. Se da un lato lo stereotipo della principessa esigente, non combaci con l’immaginario italiano, alcuni elementi come l’ostentata sensualità, la ricerca dell’uomo per metter su famiglia e l’ossessione per il cibo di Fran hanno aiutato a rendere credibile questa ricostruzione, in quanto si tratta di caratteristiche facilmente associabili alle donne italiane. Ed è così che Fran può facilmente diventare Francesca e l’invasiva Jewish Mother corrispondere quasi perfettamente allo stereotipo italiano della Mamma-del-sud. L’adattamento italiano si concentra proprio sui personaggi femminili per italianizzare la maggior parte degli stereotipi e gli elementi a cui si appiglia sono appunto la sensualità e la ghiottoneria di Francesca e delle sue zie. A tal proposito Massimo Corizza nell’intervista rilasciata a Chiara Ferrari afferma: ~ 72 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta “Sylvia è ossessionata dal cibo e questo fa sì che lo stereotipo italiano risulti credibile, infatti tutte le battute con riferimenti al cibo restano intatte. Ciò che ho dovuto eliminare per rendere il dialogo più accettabile, sono state le battute a sfondo sessuale, spesso troppo volgari nella versione originale. Riferimenti sessuali così espliciti sono difficili da adattare alla televisione italiana.”57 Altri elementi invece, hanno richiesto un vero e proprio stravolgimento al fine di diventare comici e destare l’interesse del pubblico italiano, primo fra tutti l’appartenenza etnica della protagonista e della sua famiglia, il suo Yiddishism. Francesca, come Sylvia e Yetta, infatti perdono questa loro “ebraicità” esibita e quasi esasperata nella versione originale diventando cattoliche, in linea con la religione dominante in Italia. Proprio questa trasformazione genererà non pochi contrasti tra il codice verbale e quello visivo considerando che “l’ebraicità” di Fran Fine e della sua famiglia è cruciale: molti sono gli episodi che girano proprio attorno ad elementi chiave nella cultura ebraica o a giochi di parole in Yiddish: “L’ebraicità è un atteggiamento, un’espressione, un modo di vestire appariscente, pacchiano ed elaborato. È una macchietta, una cornice narrativa che distingue l’eroina da tutti gli altri personaggi. Ma si tratta pur sempre di un’ebraicità artificiale, esasperata, frutto di immagini anomale e stereotipi negativi… l’ebraicità di Fran Fine risiede nella sua intonazione, nelle sue lamentele, nello Yiddish, nella sua ossessione per gli uomini e per lo shopping, nella sua famiglia ebrea. La 57 C. Ferrari, Ibidem, p.59, [Trad. Michela Lauritano]. ~ 73 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta madre che gioca a canasta e la nonna fumatrice accanita sono autentiche, quanto e come Fran.”58 Considerando invece i riferimenti espliciti alla sessualità nella versione italiana vengono addirittura cambiate le relazioni di parentela tra i personaggi. Sylvia e Yetta diventano zie per giustificare le continue allusioni al sesso e all’infedeltà, atipiche ed inappropriate per una mamma e una nonna del sud Italia: Sylvia: Darling it‟s time for the mother-daughter prenuptial toast. Zia Assunta: É ora del discorsetto prematrimoniale di una zia a una nipote. (The Wedding Part II - Questo Matrimonio s’ha da fare- 5x23) Data l’importanza della famiglia nell’ideale italiano, sarebbe stato incomprensibile e poco credibile che una madre e una nonna discorressero con la figlia/nipote della loro vita sessuale senza alcun tipo di inibizione. Ciò dimostra quanto l’adattamento possa manipolare e smantellare un testo sia sotto un punto di vista linguistico ma anche culturale. Tutti i cambiamenti che vengono apportati alla versione italiana prendono in considerazione valori e ideali presumibilmente condivisi dagli spettatori italiani. 58 J. Antler, Epilogue: Jewish Women on Television, University Press of New England Hanover, 1997, p. 246 [Trad. Michela Lauritano] ~ 74 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta La prima affermazione di Corizza con cui ho aperto il paragrafo, dimostra quanto sia complessa la concezione di una cultura omogeneizzata e globale. L’adattamento italiano de La Tata ci riporta un esempio lampante di glocalizzazione59 secondo cui il globale viene adeguato al locale attraverso negoziazioni. L’adattamento, in questo senso, indigenizza lo stereotipo adeguandolo ironicamente ad un contesto culturale specifico, che può essere quello degli italiani del sud sostituito a quello della comunità ebraica americana. 59 Termine introdotto dal sociologo Zygmunt Bauman per adeguare il panorama della globalizzazione alle realtà locali, così da studiarne meglio le loro relazioni con gli ambienti internazionali. ~ 75 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta IV.3 Dallo Yiddish al Ciociaro L’elemento comico in The Nanny gira attorno a riferimenti linguistici e culturali legati alla religione della protagonista e della sua famiglia, come ad esempio l’uso dello Yiddish. È proprio il maggiore elemento comico dell’intera sitcom, a rappresentare un ostacolo non indifferente per i traduttori, obbligati a renderlo nel modo più efficace possibile, e parlare di efficacia in questo ambito, significa parlare di comprensibilità. Tutto in Fran Fine e nella sua famiglia grida un’appartenenza etnica, dal tono della voce al modo di vestire. Più precisamente sono tre i tratti peculiari che fanno capire immediatamente allo spettatore americano che Fran Fine è ebrea: la voce nasale, il forte accento del Queens e l’uso dello Yiddish. La protagonista americana parla con un pesante accento newyorkese, tipico del Queens “impreziosito” dall’uso di parole in Yiddish totalmente incomprensibili agli altri personaggi, che, invece, si esprimono con un raffinato accento british che definisce la loro identità sofisticata ed altolocata nonché la classe sociale a cui appartengono. Questa profonda differenza linguistica, ovviamente,va tradotta con un’altrettanta profonda differenza sociale e culturale: Maxwell: Oh Fran, my darling… how can I make you understand how much I adore you? Fran: Well, a few examples would be good. Maxwell: Let‟s start with your sense of humor, I love your vivacity, your gaylessness, your irreverence. Fran: Could you use words I understand? ~ 76 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta Maxwell: Ora dimmi tu tesoro, come faccio a farti entrare in testa fino a che punto io ti adoro? Francesca: Forse se riesci a spiegarmelo, io mica sono cretina. Maxwell: D‟accordo. Prendi il tuo senso dell‟umorismo, sai mi piace la tua grande vivacità, il tuo autentico candore, la tua irriverenza… Francesca: Potresti dirlo con parole più chiare? (The WeddingPart II - Questo matrimonio s’ha da fare 5x23) In questo senso, gli autori intendono sottolineare, da un lato, l’ignoranza e la genuinità di una ragazza ebrea del Queens e dall’altro la cultura, la raffinatezza e l’eleganza borghese del produttore di Broadway. Se per Maxwell, però, le peculiarità linguistiche stanno a definirne lo status sociale ed il background culturale, per Fran ne definiscono l’ appartenenza etnica. Ciò vuol dire che lo spettatore americano, ascoltandola esprimersi e scrutandone gli atteggiamenti, potrà identificarla da un punto di vista etnico più che da un punto di vista sociale e culturale. In linea con la strategia dell’addomesticamento, nella versione italiana questo gap socioculturale viene reso attraverso l’uso di un italiano piuttosto rustico e pittoresco per lei, e da un italiano molto forbito per lui, considerando che rifarsi ad un italiano dall’accento british, in stile Stanlio&Olio, sarebbe risultato un po’ antiquato. Ad ogni modo, l’effetto finale è lo stesso della versione originale; ovvero, il gap standard english-yiddish è il medesimo dell’italiano standard-dialetto regionale. A tal proposito Massimo Corizza afferma: “Funziona non solo perché Francesca parla un italiano decisamente meno raffinato, ma anche ~ 77 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta e sopratutto perché usa il dialetto, un aspetto che la distingue particolarmente dalla famiglia di Maxwell, stesso effetto dello yiddish nella versione originale”.60 Un altro tratto distintivo e stereotipato è la voce nasale e stridente, di Fran nella versione originale. Negli Stati Uniti, infatti, la voce nasale viene associata alle persone ebree, soprattutto alle donne. Nella versione italiana invece questo tratto viene smorzato a vantaggio di un tono di voce piuttosto neutrale. Di tutti i tratti che stereotipano il personaggio di Fran Fine il più interessante è indubbiamente quello legato allo Yiddish. Nella versione originale, sin dalla prima puntata, di Fran spicca proprio quest’uso di una lingua sovversiva, parlata proprio nelle comunità ebraiche e caratterizzata da parole ed espressioni totalmente incomprensibili ad un anglofono. Considerando la sovversione di alcuni dialetti in Italia, spesso ugualmente incomprensibili, la soluzione applicata dai traduttori, ovvero quella di sostituire le parole in yiddish con termini dialettali, dal mio punto di vista è sicuramente la più azzeccata. Proprio in merito a questo aspetto è interessante prendere in analisi la versione originale e quella adattata di un dialogo tratto dal primo episodio della terza stagione intitolato The Pen Pal (Il Misterioso Lenny, 3x1) in cui yiddish e dialetto regionale vengono messi a confronto. Nell’episodio Fran è particolarmente agitata per l’incontro con il suo amico di penna, Lenny, ed il motivo dell’agitazione è, ovviamente, legato alla sua indecisione su cosa indossare. Mentre Fran è al piano di sopra a prepararsi, Maxwell e Niles, il maggiordomo inglese, parlano 60 C. F. Ferrari, Op. cit. , p. 64 [Trad. Michela Lauritano]. ~ 78 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta della stravagante tata tentando di utilizzare e confondendo dei termini yiddish, in italiano quelle espressioni vengono tradotte utilizzando il dialetto napoletano e questo è il risultato: Maxwell: Where is Miss Fine anyways? Niles: She‟s upstairs getting all fapitzed. Maxwell: What does that mean? Niles: You know, dressed. Maxwell: I thought that was flubunged. Niles: No, sir, that means confused. Maxwell: No, man, that‟s fechachda. Niles: Well, then, what‟s flishimeld? Maxwell: I think that‟s her uncle. Maxwell: la signorina Francesca è scesa? Niles: Come dicono in Ciociaria, è su che si pitta. Maxwell: Che cosa fa? Niles: Si trucca, si pitta. Maxwell: Non dicono si dipinge? Niles: No signore, quello è Raffaello. Maxwell: No, Raffaello non si pittava. Niles: Neanche andando dal Papa? Maxwell: No, era Giulio II…61 61 Ibdem, p. 66. ~ 79 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta Dalla versione originale percepiamo quanto Maxwell e Niles abbiano assimilato il bizzarro modo di esprimersi di Fran e di conseguenza la sua ebraicità. Nonostante nella versione italiana l’elemento comico lasci un po’ a desiderare rispetto alla versione originale, bisogna comunque ammettere che il testo viene sottoposto ad una trasformazione linguistica simile ed adeguata attraverso l’uso del dialetto napoletano; i due scherzano infatti sul doppio senso legato al verbo dipingere ed al suo corrispettivo dialettale pittare, menzionando anche il pittore Raffaello ed il Papa Giulio II. Questo piccolo dialogo dimostra quanto l’adattamento possa manipolare e smantellare un testo a tal punto da creare qualcosa di completamente nuovo e diverso. La domanda a questo punto sorge spontanea: “La nuova versione va quindi considerata un prodotto nuovo oltre che un nuovo testo?” 62. Rispondere a questa domanda può solo confermare il fatto che l’adattamento non si occupa solamente di modificare un prodotto bensì anche di cambiarne la percezione e l’interpretazione. 62 Ibidem, p. 67 [Trad. Michela Lauritano]. ~ 80 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta IV.4 Il Cantore e il Matrimonio: una questione di incongruenze Più lo stravolgimento di un prodotto è drastico più sarà difficile mantenerlo con lo sviluppo della serie e degli episodi. È proprio questo il caso de La Tata: alcuni episodi della versione originale sono incentrati solo ed esclusivamente su elementi culturali e religiosi, e sono proprio quegli episodi che hanno richiesto al traduttore italiano una certa creatività non potendosi più giocare la carta “dell’ebraicità” della protagonista. Molto spesso però la creatività non è bastata a causa di una incolmabile incongruenza tra il codice visivo ed il codice verbale. In alcuni episodi della versione italiana la confusione la fa da padrona proprio perché i due codici sopra menzionati non combaciano affatto, ed è proprio questo uno dei limiti fondamentali nella traduzione audiovisiva, che vede il traduttore, costretto ormai a seguire la strada dell’addomesticamento, fare triplici salti mortali tra un dialogo e l’altro. È lo scotto da pagare, un’intraducibilità a priori che porterà solo ed esclusivamente ad una traduzione deludente e poco credibile agli occhi dello spettatore che sarà costretto a chiedersi il motivo per cui una tata dichiarata cattolica per ben sei stagioni finisca con lo sposarsi di fronte ad un rabbino con tatto di Kippah. Di seguito verranno analizzate le maggiori incongruenze di due episodi significativi da questo punto di vista, che hanno rappresentato per il traduttore una vera sfida con lo scopo di cattolicizzare il più possibile alcuni elementi. ~ 81 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta IV.4.1 The Cantor Show - L’unto del Signore… si può smacchiare (3x24) Nella versione originale di questo episodio Fran inizia a frequentare il cantore officiante della sinagoga di famiglia. Dopo averlo presentato a Maxwell, il ragazzo verrà scritturato per un musical di Broadway. Ovviamente, al giovane verrà suggerito di abbandonare la sinagoga per intraprendere la carriera artistica, così Fran teme una punizione divina. Sebbene l’adattamento italiano non abbia stravolto la trama, in questo episodio ci sono molti elementi legati all’ebraismo di Fran e della sua famiglia che hanno creato non pochi problemi ai traduttori e adattatori. Alcuni vengono risolti mantenendo l’identità cattolica della protagonista, altri invece rimangono irrisolti vista l’insormontabile incongruenza tra il codice visivo ed il codice verbale. Tali incongruenze renderanno diverse scene poco credibili, come ad esempio l’ingiustificata presenza di due donne ufficialmente cattoliche in una sinagoga. The Nanny: Maggie: Fran, I‟m starving. Hadn‟t you said there was a Jewish tradition to have Chinese food at Temple? Fran: After Temple, honey, after Temple. Sylvia: Here‟s a ham sandwich. Don‟t eat it till you get to the park car. ~ 82 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta La Tata: Maggie: A me è venuta un po‟ di fame. Sapete se c‟è un bar come a teatro? Mi prenderei volentieri un panino. Francesca: è una chiesa Maggie e fra poco usciremo, cara. Assunta: Tieni, è un panino col prosciutto. Va fuori, gli ebrei non lo mangiano il maiale. Già a colpo d’occhio lo spettatore “ignorante” della reale identità di Fran Fine rimane perplesso di fronte all’ambientazione. La scena si apre infatti in una sinagoga gremita di fedeli che indossano la Kippah, e bandiera israeliana sullo sfondo. In questa prima scena della versione adattata Francesca, la zia Assunta, Maggie, e la piccola Grace si trovano proprio in una Sinagoga per celebrare il nuovo cantore officiante. Nella versione originale l’elemento comico di questa scena gira attorno al fatto che un’ebrea mangi del prosciutto, nonostante in quel frangente lo offra a Maggie. Infatti alla fine dell’episodio Sylvia mangerà un panino al prosciutto proprio all’interno della sinagoga. Nella versione italiana il dialogo viene stravolto ed ovviamente l’elemento comico scompare. Lo scopo dell’adattatore è stato quello di preservare la cristianità delle protagoniste, palesata sin dalla prima puntata della prima stagione, e per far ciò è stato necessario emarginarle dall’ambiente che le circondava, Sylvia infatti prende le distanze e ricorda a Maggie che le persone ebree non mangiano maiale. ~ 83 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta The Nanny: Sylvia: Gary! Gorgeous! Sylvia. Gary: Sylvia, it‟s always a joy to sing the wonders of God‟s universe. La Tata: Assunta: Gary! Bravo! Ha una voce magnifica. Gary: Le tue lodi cristiane salgano al signore. È sua la mia voce. Anche qui, l’adattatore utilizza lo stratagemma del termine cristiane per ricordare allo spettatore la religione del personaggio. The Nanny: Fran: Oh, I‟m sorry! Everybody I want you to meet Gary Isaacs: this is the New cantor at my Temple. La Tata: Francesca: Oh, scusatemi! Gary Isaacs, una voce stupenda che canta nella Moschea, cioè, no, la Chiesa ebraica! In questa scena la strategia applicata dagli adattatori è stata quella di mostrare l’ignoranza di Francesca in materia religiosa, confonde infatti la sinagoga con la moschea. ~ 84 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta The Nanny: Gary: My friends, I truly believe that being a cantor was the most rewarding thing in my life. And then I met Fran. Sylvia: Ahi. Gary: Fran, I want to tell you something and I hope you can accept… Sylvia: Ahi. Gary: My deepest thanks for making my dreams come true. Sylvia and Fran: And…? Gary: And I want you to be the first to know that I‟m leaving the Temple to pursue a carrier on Broadway. La Tata Gary: Amici miei, ero certo che cantare per il Signore nel suo tempio era la Gioia più grande della mia vita, ma poi ho incontrato lei. Assunta: Cristiana. Gary: E anche se sono di religione diversa, ciò che ho nel cuore lo puoi accettare. Assunta: Cioè? Gary: Ti sono davvero grato di aver realizzato i miei sogni. Assunta e Francesca: E…? Gary: E grazie a Francesca e con l‟aiuto del Signore, lascio il suo Tempio e inizio la mia carriera a Broadway. In questa scena nella versione italiana le origini di Francesca e della sua famiglia vengono nuovamente sottolineate insieme allo stereotipo della donna del sud impaziente all’idea di sposarsi, ovviamente questo stereotipo combacia con quello originale della donna ebrea, ossessionata dal matrimonio. ~ 85 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta The Nanny Fran: Ok, My, you can take off the sunglasses. Sylvia: I need somebody to recognize from their Temple so they can give me the evil eye? Fran: My, you can‟t wear the skies, you‟re not like me. You have a very distinctive voice! La Tata Francesca: Adesso, zia, te li toglierai quegli occhiali da sole? Assunta: Ho paura! Se mi vede un ebreo che sa che ho portato via Gary dal loro Tempio mi strangola! Francesca: Ma cara, non l‟hai portato via tu Gary. E non serve che ti travesti, non la potrai mai travestire quella voce! Nella versione originale si parla di Evil Eye, un concetto molto sentito nella cultura ebraica („ayin ha‟ ra), riconducibile al malocchio. Nella versione italiana viene sostituito dal verbo strangolare. Anche in questa scena si fa riferimento allo stereotipo della voce nasale attribuita alle donne ebree. Fran, nel dialogo originale, ricorda infatti alla zia che a causa di quel segno distintivo non le sarà facile nascondersi dagli altri fedeli. In italiano il dialogo viene tradotto letteralmente ma la battuta legata allo stereotipo, svanisce. The Nanny: Sylvia: Listen you two! I want my Cantor back. My friends disown me, my life is over. I want to die! … This is almond extract? ~ 86 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta Maxwell: I‟m sorry, Sylvia. But he is my star and I want him in my show. I have a contract. Fran: Ma, you‟re just gonna have to accept this like a grown-up. My side, it‟s two against one. Sylvia: It‟s not two against one. I have a higher power on my side. You‟ll see, ours in not a merciful God! La Tata Assunta: State a sentire voi due, mettermi contro Susan mi spaventa, ma mettervi proprio contro il Dio degli Ebrei mi dà proprio il terrore. Il Faraone ci ha provato! … Mmm, ma qui cosa c‟è? La crema di mandorle? Maxwell: Mi dispiace, signora, ma lui è il protagonista. E il nostro musical deve andare in scena. Abbiamo dei contratti. Francesca: Avanti! Non puoi avere di queste paure, sei un‟adulta. Guarda: noi non ne abbiamo! Assunta: Perché siete incoscienti e superficiali. Il Dio degli Ebrei non scherza! Ha fatto secco Hitler. Io, se fossi in voi, avrei paura! Quello mica scherza! Vi manda le sette piaghe d‟Egitto! Con il Dio degli Ebrei, gli adattatori hanno provato nuovamente che le due donne non hanno nulla a che vedere con l’ebraismo. Viene quindi sottolineata ulteriormente l’ignoranza di Assunta riguardo le questioni religiose quando afferma che le piaghe d’Egitto furono sette quando in realtà furono dieci, la questione delle piaghe viene esplicitata solo nella versione italiana mentre in quella originale risulta implicita nella frase finale di Sylvia: Ours is not a merciful God! ~ 87 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta IV.4.2 The Wedding part II- Questo matrimonio s’ha da fare parte seconda (5x23) In quest’ultimo episodio della quinta stagione Fran finalmente riesce a portare all’altare il suo Sheffield, se nella versione originale si tratterà di un matrimonio metà ebraico e metà cristiano celebrato da un rabbino e da un pastore anglicano, in quella italiana questa doppia presenza verrà giustificata da una cerimonia civile in cui, oltre all’officiante, è presente sacerdote. Peccato anche un soltanto che l’officiante indossi la Kippah, il tipico copricapo indossato dagli ebrei osservanti uomini. La seconda parte di questo episodio ha messo a dura prova la creatività dei traduttori e degli adattatori visti i continui riferimenti religiosi non solo verbali ma anche e soprattutto visivi. Come nell’episodio precedente anche qui alcune scelte non risolvono a pieno le incongruenze tra la versione originale e lo smantellamento della versione italiana. Vediamo ora le soluzioni adottate nella versione italiana in alcuni dialoghi particolarmente interessanti. The Nanny Maxwell: So you are so excited you have packed for the honeymoon already… Fran: Oh Sweetie… I‟m a Jewish woman going on a two months cruise, do you really thing this is all the cloths I‟m going to lead? ~ 88 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta La Tata Maxwell: Sei così eccitata che hai già fatto le valigie per la luna di miele? Francesca: Che sciocchezza… con un marito miliardario e con due mesi di crociera… che pensi che mi occorra solo una valigia di vestiti? Qui il riferimento all’etnia della protagonista e allo stereotipo della donna ebrea ossessionata dai vestiti viene direttamente omesso. The Nanny Val: Oh, Fran, it‟s never gonna be like this again. Just the two of us lying here together. La Tata Lalla: E ora ti sposerai persino civilmente, davanti a un prete e un assessore, Come hai voluto tu. In questa scena il traduttore ha sfruttato l’irrilevanza della battuta nella versione originale per giustificare la presenza del rabbino al matrimonio, specificando quindi che si tratterà di un matrimonio civile con la presenza del sacerdote per volere di Francesca. ~ 89 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta The Nanny Maxwell: Oh Niles, I just hope I can live up to Fran‟s expectations. You know, I‟ve never been with a woman in quite some time. Niles: Well, double quite some time, add two and welcome to my world. La Tata Maxwell: Sarà una cerimonia civile e anche religiosa, davanti a un prete e un assessore. Francesca ha voluto un matrimonio che non si possa sciogliere mai. Niles: Il brandy funziona meglio doppio. Quindi ne aggiunga altri due e benvenuto nel mio mondo. In questo dialogo della versione italiana c’è un chiaro esempio di manipolazione, infatti nella versione originale l’elemento comico gira attorno al fatto che entrambi hanno trascorso molto tempo senza accanto una donna. In quella italiana tutto ciò viene omesso probabilmente per ribadire, nuovamente, allo spettatore la questione del matrimonio civile e religioso. Effettivamente la risposta di Niles non sembra coerente con quanto Maxwell dice. The Nanny Reverend: We would like to began the service with a traditional Jewish prayer. La Tata Reverendo: C‟è qui al mio fianco l‟assessore Rosenthal in rappresentanza del sindaco. ~ 90 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta A sposare Fran e Maxwell ci sono due persone, il reverendo ed il rabbino. Nella versione italiana però il rabbino si trasforma nell’officiante. Sin dall’entrata in chiesa di Fran e Maxwell, si percepisce che non si tratta affatto di un matrimonio cattolico: tutti gli uomini invitati al matrimonio indossano la Kippah, come d'altronde lo stesso rabbino che difatti, dopo essere stato introdotto dal reverendo, canta una preghiera in lingua ebraica. L’abbigliamento dell’officiante, decisamente sospetto agli occhi dello spettatore italiano, verrà poi spiegato e giustificato in seguito, durante il ricevimento nuziale, più precisamente nel seguente dialogo: The Nanny Reverend: He‟s a God! Rosenthal: He‟s a man! Reverend: He‟s a God! Rosenthal: He‟s a man! Brighton: Guys, this is hardly the place for religious debate. Reverend: We‟re talking about an actor! La Tata Reverend: No, mi creda signor Rosenthal, è un Dio! Rosenthal: No, è un uomo! Reverend: No, è un Dio! Rosenthal: È solo un uomo! Brighton: Padre, l‟assessore è ebreo. Per lui è un uomo. Reverend: Ma noi parliamo di Di Caprio! ~ 91 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta Questo episodio risulta particolarmente interessante visti i chiari riferimenti a certi aspetti e usanze della religione ebraica proprio durante i matrimoni, come ad esempio la rottura del bicchiere dopo le promesse o la Hava Nagila, la danza tradizionale in cui gli invitati ballano in cerchio attorno agli sposi seduti su delle sedie. Inoltre la stanza in cui si tiene il ricevimento è adornata con i tipici candelabri con sette braccia. Questi dettagli hanno creato non pochi problemi nel processo di adattamento vista l’impossibilità di tradurre e adattare il codice visivo. Ad ogni modo, il risultato finale in questo particolare episodio risulta decisamente poco credibile. Sebbene si siano cercate delle soluzioni o giustificazioni a certi elementi sospetti, non è stato possibile far combaciare il codice visivo, decisamente pregnante, con quello verbale e lo spettatore italiano ne rimane quindi confuso, alienato e disorientato: “Questo particolare episodio sostiene quella concezione per cui i traduttori sono autori, e quegli elementi linguistici e culturali modificati producono un nuovo testo. Il desiderio dei traduttori di vestire i panni degli autori sembra essere, in questo senso, legittimo in quanto è proprio il loro lavoro a permettere un’efficace comprensione di un testo in un contesto completamente diverso.” 63 63 Ibidem, pag.69-70. [Trad. Michela Lauritano]. ~ 92 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta Conclusione L’esperimento di Ulrichs citato nel primo capitolo ci insegna che tutte le variazioni, gli sradicamenti, gli smantellamenti presenti in un testo in seguito ad una traduzione, per quanto irreversibili possano essere, diventano comunque parte integrante di quello stesso testo. Lo completano, lo ridisegnano per occhi diversi. E non è forse questo lo scopo ultimo di questa disciplina chiamata traduzione? L’adattamento italiano di The Nanny è l’esempio lampante di manipolazione testuale e culturale. Una manipolazione inevitabile che ha trasformato La Tata in un prodotto profondamente americano ed italiano allo stesso tempo. Analizzare l’adattamento “sovversivo” de La Tata significa analizzare due culture in un determinato periodo storico, i loro stereotipi, la loro ironia. Per noi addetti ai lavori, affascinati da questo mondo in cui, spesso, il confine tra i verbi tradire e tradurre sembra così labile, talmente labile da illuderci che forse, in fondo, quell’enorme differenza che li separa si esaurisce in quella vocale e in quella consonante di troppo, l’analisi di questo adattamento non può che offrire continui spunti di riflessione ma, ovviamente, come afferma Corizza, va guardato anche e soprattutto come una “sfida ed una reazione a quella costante globalizzazione mediatica, sebbene alla base di tutto ci sia la speranza di trarne più profitto possibile” 64 . Ed infatti un’altra ragione per cui la serie è stata stravolta in maniera così drastica è legata a questioni di natura puramente commerciale, in altre parole la rete italiana non avrebbe mai acquistato il prodotto dall’America se non fosse stato possibile apportarvi delle modifiche. La storia della tata ebrea non 64 C. Ferrari, op.cit. , p. 71. [Trad. Michela Lauritano]. ~ 93 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta avrebbe avuto alcun senso nell’ Italia degli anni novanta, non avrebbe divertito, non avrebbe incuriosito. Inoltre il lavoro di adattatori e traduttori ci ha permesso di esplorare e rinforzare stereotipi ed elementi nazionali, identificandoci nella stravagante tata Francesca. Al giorno d’oggi questo genere di stravolgimenti sarebbe impensabile, e non poche sono le critiche che vengono mosse contro l’adattamento di fronte anche a dei minimi allontanamenti dal testo di partenza, ma, per La Tata, questo discorso non avrebbe luogo. Per queste ragioni sono sempre più convinta che la versione italiana di The Nanny, con tutti i suoi errori, con tutti quei dialoghi spesso poco credibili, debba comunque essere considerata un cimelio dell’adattamento e della traduzione audiovisiva italiana. Ha fatto storia, e per questo merita attenzione, merita curiosità da parte di noi addetti ai lavori o aspiranti tali. Il successo di questa sitcom è direttamente proporzionale al suo stravolgimento, e le ragioni vanno prima di tutto contestualizzate: La Tata ha divertito una generazione per cui il termine tecnologico veniva associato al walkman o al videoregistratore, una generazione che al pancake preferiva ancora la frittella e al muffin il panettone, ragion per cui la scelta del traduttore di prendere per mano il suo spettatore, e un’ intera generazione, per tutelarne le radici culturali ed evitargli i così detti culture shocks, è assolutamente legittima. Discutibile ma legittima. Dal mio punto di vista questo processo di italianizzazione, questo lavorio troppo spesso dato per scontato che va ad eliminare, tradurre, stravolgere un testo di partenza per far sì che venga inteso a pieno da un pubblico completamente diverso, è cruciale; o meglio lo è stato in un’epoca in cui le versioni originali venivano del tutto ignorate, in un’epoca in cui sarebbe stato impensabile importare un prodotto come La Tata senza stravolgerlo, senza trasformarlo. La domanda banale ma spontanea che sorge al ~ 94 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta termine di questo percorso è la seguente: negli anni novanta, e ripeto negli anni novanta, saremmo stati pronti a ridere di una tata americana di origini ebraiche? Saremmo stati in grado di coglierne gli stereotipi e le battute? E la risposta forse altrettanto banale ma spontanea è: probabilmente no. Se The Nanny, negli anni novanta, fosse stata trasmessa così com’era, senza particolari stravolgimenti, sarebbe durata ben poco nel piccolo schermo italiano, ancora troppo provinciale e bigotto. Contrariamente, se l’adattamento de La Tata venisse proposto oggi al telespettatore moderno, lo farebbe rabbrividire nel vero senso della parola. Ci indigneremmo tutti, oggi, di fronte a stravolgimenti di questo calibro. Nonostante le incongruenze, le forzature e le soluzioni talvolta decisamente azzardate, l’adattamento italiano de La Tata, nel bene e nel male, rappresenta un’epoca ben precisa, rispecchiando, non solo una generazione e suoi stereotipi, ma anche e sopratutto il modus operandi della traduzione audiovisiva degli anni novanta. ~ 95 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta ENGLISH SECTION ~ 96 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta Introduction “To comprehend humour it is necessary to bring it back to its original environment which is the society. Then it is necessary to pinpoint its social function. Considering that humour is a phenomenon entirely and universally related to human, its changes depends on all that changes that occurs in that specific cultural context. Humour always depends on the specific context where it develops.”65 Transporting humour and irony from one cultural context to another represents one of the biggest challenge to a translator since the specific context, sometimes, counts more than the text to translate. That’s the reason why screen adaptation may imply a sort of national reappropriation through which the “cut-to-fit” media product gets closer to the propensities of the new audience. Considering that, can culturespecific humour really cross the border through negotiations and translating strategies? Can we consider the translation of humour as an everlasting, irreparable, indispensable “treason”? Is absorbing deeply a specific culture the only way to get it properly? The aim of my work is trying to find aswers to all these questions that have arisen while reading and studying the subject before starting writing about it. I will do it examining and illustrating the main topics of audiovisual translation as well as the difficulties related to the complexities of humour and the 65 N.d.T. trad. Michela Lauritano. H. Bergson, Saggio sul significato del comico, Laterza Editore, Roma, 1993, p.52. “Per comprendere il riso bisogna riportarlo nel suo ambiente naturale che è la società, bisogna soprattutto determinare la funzione utile, che è funzione sociale. Se la risata è un fenomeno esclusivamente umano, e anche universalmente umano, al tempo stesso, la sua esperienza varia con il variare delle culture. Il comico dipende sempre dallo specifico ambiente all’interno del quale si mostra.” ~ 97 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta radical adapting process that allowed the American situation comedy to be exported to many different social and cultural contexts in the nineties: while the first two chapters are mostly dedicated to the theoeretical constructs of both the audiovisual translation and the translation of verbally expressed humour with all their complexities, the third chapter, in my opinion, represents the core of my entire dissertation, it represents the reason why I chose to go into the topics of this inspiring discipline called audiovisual translation. If the first two chapters give a theoretical explanation, the third one focused on practical examples from one of the best American sitcom that Italy has had on its screens: The Nanny, whose Italian adaptation went down in history for such radical changes. I have decided to focus on such a sitcom firstly because its domesticated approach has characterized a specific period of the Italian dubbed television, secondly the analysis of The Nanny, or La Tata, allows me to scrutinize two worlds and, most of all, two stereotypes just apparently far apart. In the last part of my dissertation I also studied the sitcom as the ideal genre, pinpointing its role, peculiarities and evolution since the first episode of the first sitcom was broadcasted in 1950. Ultimately, throgh this analysis I want to highlight from both a theoretical and a practical point of view, all the complexities connected with the adaptation of a foreign media product whose themes are deeply rooted to the specific environment where it was born, taking into account the main topics of audiovisual translation and the evolution of a specific Tv genre that has made the history of an exported American television. ~ 98 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta Chapter One: Topics in Audiovisual Translation I.1 Same story, different versions According to the principle of reversibility, retranslating a text into different languages entails creating a perfect copy of the source text. With regards to this, between 1968 and 1974 the German professor Timm Ulrichs put into practice an interesting experiment to prove it. Taking into account a simple word from a simple dictionary he started off a polyglot cycle, translating that word into many languages: firstly into English, than into French, than into Spanish and so on. The source version was translated into 24 different languages, that simple text was studied and decomposed by so many translators in order to adapt it to different alphabets, cultures and contexts. At the end of this cycle the last version in Hindi was translated back into the source language: German. The result was meaningful: the differences between the source language and the target languages were abyssal. The last version translated back into German was completely different from the original one, it was just the result of countless interpretations and mutations. This experiment shows how many linguists and cultures waste a translator must face and how all that irreversible changes become integral part of that text. Considering the translation process as automatic and mechanic would be extremely reductive since, paraphrasing what the Italian writer Umberto ~ 99 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta Eco said in his book Saying Almost The Same Thing, “it sometimes involves to turn a direct speech into indirect”.66 “One cannot not to communicate”. This is one of the five axioms about communication developed by the AustrianAmerican philosopher and communication theorist Paul Watzlawick67. Through this axiom he wanted to prove that every sort of action is a form of communication, even if we try not to communicate through certain behaviors we are just portraying something without realizing it. Considering this axiom we could think about translation as an unavoidable and continuous communication process in which linguistic and cultural barriers always interfere. Giving that, translation could be adapt to every human activity since every kind of communication or transposition from a language into another could be just considered as a form of translation. Analyzing the essay Risate in Scatola written by the Italian professor Luca Barra, I found a very interesting definition of translation. According to him translating means historicize 68 , in other words every interpretation must be contextualized to the historical and cultural context of the target language, this process involves some negotiations and compromises that, sometimes, may lead the translator to reconsider and broaden the idea of fidelity. 66 N.d.T. trad. Michela Lauritano. U. Eco, Dire quasi la stessa cosa, Bompiani Editore, 2003, Milano, p.20. “La traduzione è un discorso indiretto mascherato da discorso diretto.” 67 P. Watzlawick was an influent Austrian-American therapist and psychologist. He gave a large contribution to the communication field developing the Communication Theory and opening the door to the philosophical branch of the Radical Constructivism. 68 L. Barra, Risate in Scatola, Vita e Pensiero Editore, Milano, 2010, p. 47. ~ 100 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta I.2 Jakobsòn and the Translation process as a concept “No one can understand the word "cheese" unless he has a nonlinguistic acquaintance with cheese.” 69 The Russian linguist R. Jakobsòn starts his essay On Linguistic Aspects of Translation quoting the British philosopher Bertrand Russell. This essay published in 1959 is fundamental about intersemiotic translation. Jakobsòn introduced the idea of intersemiotic translation focusing on it as a concept more than just an activity or a discipline. The quotation mentioned above highlights their different opinions about it: According to Russell no one could understand words or concepts from a different culture. Jakobsòn disagreed with this idea and criticized it, according to him even if the idea of cheese does not exist in one culture is still possible to understand that word by connecting it to the idea of curdle milk. The Russian linguist reached the conclusion that the meaning of the word is totally related to a semiotic matter more than a linguistic matter. Broadly speaking, Jakobsòn showed us how translation is fundamental in order to connect two different cultures since if there was not translation it would not be possible to know the otherness, words and concepts far apart from our own culture. 69 R. Jakobsón, Saggi di linguistica generale, Feltrinelli Editore, 2008, p. 56. ~ 101 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta In his essay Jakobsòn proposed three different ways to understand a verbal sign: The Interlinguistic Translation that is to say the out-andout translation. It occurs when a text is translated from a language into another. The Intralinguistic Translation also known as Rewarding which is an interpretation of verbal signs by means of other signs of the same language. The Intersemiotic Translation is an interpretation of verbal signs by means of signs of non-verbal sign system. An example of intersemiotic translation occurs when a book is turned into a movie. This kind of translation is considered as the most innovative concept of his analysis, in fact nowadays we are used to this kind of interpretation through language transfers of audiovisual products. ~ 102 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta I.3 Fields and limits of audiovisual translation Film and TV translation, audiovisual language transfer, transadaptation and screen translation. These are some of the definitions forged by the experts in the field when talking about this kind of translation. Broadly speaking, the audiovisual translation (or AVT) works for the multimedia field through different channels such as television, cinema, the internet and advertising. Translating audiovisual products means comparing and following the visual code, the verbal code and the auditory code. When we talk about audiovisual translation we also talk about a total translation, and the word total explains its codes and limits which are definitely different from the traditional translation. The three codes I have mentioned before, limit relentlessly the final result of the work just because, sometimes, it is just complicated make all the codes compatible with each other. If translations belongs to the target culture70, every translated text can take on a life of its own completely distant from the culture where it was originally thought and produced. Every text has the chance to “mould” itself according to the target social and cultural context. For this reason it would be interesting considering the translation of a media product as a sort of rewriting, all things considered the work of translators and dubbing dialogists can turn the foreign product into something completely different, sometimes even better than the original, and when it occurs, then the connections with the target context increase. The audiovisual translation surely represents a 70 N.d.T. trad. Michela Lauritano. I. Ranzato, La traduzione audiovisiva-Analisi degli elementi culturospecifici, Bulzoni Editore, Roma, 2010, pag. 13. “Le traduzioni sono fatti della cultura di arrivo.” ~ 103 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta real challenge to the translator who has to consider a broader idea of fidelity which goes beyond the linguistic issues, enclosing the equivalence of characters, plots, and diametrically opposite social and cultural contexts. Thus I have talked about audiovisual translation as a sort of rewriting; because, if necessary, the translator must opt for a severe substitution in order to make the text more plausible to the new audience. The language transfer is a means which makes a movie or a TV product more comprehensible to a target audience which is not familiar with the source language and culture. The audiovisual translation includes many language transfers and the professor Frederic Chaume71 has developed a classification. According to the professor, the AVT covers different language transfers, among which: Dubbing, which is a post-production process used in filmmaking and video production through which the voice of the actor shown on the screen is replaced with the voice of a dubbing actor speaking another language. This kind of translation requires a perfect lip synchronization. Interlinguistic subtitling that is to say the subtitling across languages. The subtitle is integrated on the film in order to make it comprehensible to foreign spectators. Subtitles are limited in space so the translation of the dialogue needs to 71 Frederic Chaume is a Professor of Audiovisual Translation at the Universitat Jaume I (Castelló, Spain), where he teaches audiovisual translation theory, dubbing and subtitling, and Honorary Professor at Imperial College, London (UK). He has published several research articles on dubbing and audiovisual translation. For the past 20 years he has also been working as a professional translator for different TV channels, dubbing and subtitling companies, and film distributors and producers. ~ 104 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta be cut down to fit in, it also has to be timed perfectly to match the beginning and the end of the line. Intralinguistic subtitling, also called captioning or subtitling within the same language for the deaf or hard of hearing. Voice over, or half dubbing. According to this transfer the dubbed version and the original version are overlapped without any lip sync. Surtitles, or supertitles, which are used in opera during a stage show. They are projected just above the stage or displayed on a screen. Audiodescription which is a sort of voice over which describes to the spectator what is happening on the screen. What really differentiates a media product from a written text to translate is the fact that, sometimes, the verbal message, images and sound follow diametrically opposite paths. That is to say, the verbal message follows the path dictated by dubbing or subtitling while images and sound are still deeply rooted to their source culture, claiming their belonging to it. That is what the experts call cultural and technical limits of audiovisual translation that, sometimes, may jeopardize the reliability of the translated product. As for the technical limits, one of the most interesting regards the connection between the visual and the verbal codes: Everything that appears on the screen cannot be erased or modified through the translation of dialogues, that’s the reason why sometimes even the main dialogues need to be changed radically in order to lend credibility to that scene. No matter how flawless and brilliant the ~ 105 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta strategies are, because images, contexts, landscapes and signs will keep on crying out their belonging reminding the spectator that what he is watching has nothing to do with his own culture and country. For instance, Francesca Cacace, the Italian counterpart of the JAP Fran Fine in The Nanny, has claimed for six seasons her Christian and southern Italian roots although eventually at her wedding there is a Rabbi with even his unmistakable Kippah. There is no translation strategy to move around this barrier. Therefore, to what extent do translations belong to the target culture? To what extent can a foreign audiovisual product assimilate a different culture? As for the cultural limits, translating a media product means adapting something that was thought for a specified social and cultural context to a new background, this transition entails the unavoidable rooting out. In this sense the experts talk about cultural limits that tie the translator to bond two different cultures, two different societies, two different worlds. Although every kind of translation has to face this limits, the audiovisual one has to deal with considerable issues since it speaks to an extremely wide audience. According to the Italian writer Umberto Eco when translators face this limits they have to wonder: “Does a translation have to guide the reader to comprehend the source linguistic and cultural universe or does it have to convert the original text in order to make it acceptable to the new reader?” 72 When a cultural limits prevents the translator from finding a good solution he can follow two different paths that have been introduced by the American translation theorist L. Venuti. The first one is called foreignization: when 72 N.d.T. trad. Michela Lauritano. U. Eco, Dire quasi la stessa cosa, Bompiani Editore, Milano, 2003, p. 171. “Una traduzione deve condurre il lettore a comprendere l’universo linguistico e culturale del testo di origine, o deve trasformare il testo originale per renderlo accettabile al lettore della lingua e della cultura di destinazione?” ~ 106 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta the translator opts for this approach then the spectator, or the reader, will have to upgrade himself to the culture of the source audience getting in contact with social cultural and media references of that country. According to this strategy the translator leaves the audience alone, allowing it to accept that different world or not. The second path the translator can choose to follow is called domestication, unlike the previous one, here the social and cultural identity are nullified by the translator, in fact he chooses to domesticate that text adapting it to the target culture in order to make it more plausible abroad. In this case the translator joins hands with the spectator both guiding him and easing the decoding process. This strategy makes familiar something that is everything but familiar, according to Venuti this strategy is a sort of “imperialistic action through which a foreign text is forced into new cultural and social values”.73 Although both the foreignization and the domestication are two fundamental strategies to the translator; the ideal way would be finding the perfect balance between the source text and the target text taking into account the two contexts, the two cultures and the way the target audience will accept it considering its media habits. Overall, one of the biggest limitations of the audiovisual translation is just this unfillable gap between these two antipodes called foreignization and domestication, that’s the reason why in this field, sometimes, the idea of the translator’s invisibility cannot be considered. It is important to redefine the idea of fidelity as a negotiation between 73 N.d.T. trad. Michela Lauritano. L. Venuti, L’invisibilità del traduttore, Armando Editore, Roma, 1995, p. 20. “*…+ Un atto imperialistico che riduce il testo straniero ai valori culturali di quello di arrivo.” ~ 107 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta adequate choices and less adequate but still acceptable choices that won’t jeopardize the comprehension and the message of the text. Besides, on the one hand the audiovisual translation is extremely binding on the other could be extremely tractable compared to other kind of translations, for instance processes like globalization have made many social and cultural references universal and understandable world-wide. ~ 108 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta Chapter Two: Can culture-specific humor really “cross the border”? II.1 Culture-specific elements in translation I have previously examined the idea of cultural limits in screen translation; analyzing this kind of limits means also analyzing the culture-specific elements that bring them about. Those culture-specific items do not limit the text linguistically but rather culturally. The most common strategies adopted by screen translators to “fill the gap” are Foreignization and Domestication, which I have already mentioned above. Irene Ranzato74 has developed an interesting analysis which pinpoints culture-specific and cultural elements, the culture specific elements are those that belong to the source culture while the cultural elements are those that even though belong to a third culture, have already crossed the border and are globally known and assimilated. Nowadays facing a cultural element in translation is way common than in the past just because phenomena such as globalization have made many traits of a specific culture universally sharable among all the others, that’s when we talk about the transculturality of this elements as a parameter that may influence the translation. In a manner, the transculturality is just the way different cultures are interconnected to each other. Therefore the Scandinavian professor J. Pedersen pinpoints 74 Professor of Translation at the Sapienza University in Rome. She has published many research and essays about both the audiovisual and the intersemiotic translation. She has been working for many dubbing distribution and production companies. ~ 109 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta the transcultural, the monocultural and the microcultural elements.75 As for the monocultural elements Pedersen refers to those typical elements of a specific culture that are completely unknown to the other, the microcultural elements may be considered as a subgroup of the monocultural ones, or rather those elements that are so much typical to be comprehensible just to a small group even within the same society. In Italy, especially in the 90’s, screen translators were generally used to limiting the cultural-specific elements because they were, and maybe still are, considered a real obstacle that may jeopardize the comprehension to the Italian audience. The reaction of the spectator when running into some kind of culture-specific elements is a real culture-shock, or even a culture bump.76 Many experts in translation studies have developed different classifications of culture specific references, one of the most quoted is that one conceived by Peter Newmark which involves many different lexical fields such as ecology, social culture, traditions and activities. A more detailed version has been developed by Jorge Diaz Cintas and Aline Remael in Audiovisual translation: Subtitiling. It grounds on geographical references (references to physical geography, endemic animal and plant species), ethnographic references (references to the everyday life, work, art and culture references, country origin, base measuring unit) and sociopolitical references (references to local 75 L. Pedersen, How is Culture Rendered in Subtitles?, EU-High-Level scientific conference series MuTra 2005, Challenges of Multidimensional Translation: Conference Proceedings. 76 According to C. Archer, a culture bump occurs when an individual from one culture finds himself or herself in a different, strange, uncomfortable situation when interacting with people of a different culture. C. Archer, university of Huston Press, p. 170. ~ 110 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta administrative bodies, role of social organization, sociocultural lifeitems and roles that regards the military). II.2 How to translate a culture-specific element When translating a pun, a joke or simply a culture-specific element that may involve the untranslatability of the line or dialogue, the translator can rely upon some strategies that may restore that same credibility to the target version. I have previously talked about the Foreignization and Domestication approaches developed by L. Venuti, now I will reference below a more detailed classification of strategies carried out by Ranzato, each strategy is proven taking as an example the Italian translation of jokes and puns from different American movies and sitcoms. The Calque: according to this strategy, the word or the sentence from the source text is left unchanged, letting the reader or the spectator absorb it. Will: Your are not going to come over, you want me to, uh… talk you through it? Grace: It‟s tempting, but I think I‟ll watch ER here. ~ 111 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta Italian version Will: se non ti va di venire da me, ti va di fralo… per telefono? Grace: Umm, stimolante, ma preferisco guardarmi ER. (Will&Grace, 1x01) Here the screen translators chose to keep the reference to the American television series ER because it is something understandable everywhere since that series has been successfully imported in Italy as well. The Literal Translation: the word is translated literally because there is no reference to the target culture. Will: You know what? I think it‟s time for $25,000 Pyramid. Italian version Will: Sentite, perché non giochiamo tutti al gioco della Piramide? (Will&Grace 1x01) Here, the reference to the American quiz show doesn’t make sense in Italian, so he, or her, chose to translate it literally into Gioco della Piramide (The Pyramid game). ~ 112 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta The Explication: the translator makes the line more accessible specifying or generalizing something that otherwise would not be understood immediately. Chandler: Hey, you guys in the living room all know what you want to do. You know, you have goals. You have dreams. I don‟t have a dream. Ross: Ah, the lesser-known “I don’t have a dream” speech. Italian version: Chandler: Dunque, voi che siete sul divano sapete cosa volete. Avete tutti delle mete, avete dei sogni. Io non ce l‟ho un sogno. Ross: Ehi, sembra quasi il discorso di Martin Luther King. (Friends, 1x15) To the American collective imagination the sentence “I have a dream” immediately brings back to Martin Luther King speech. The target audience, in this particular case the Italian audience, would have not understood the reference to that single sentence so the translator explicated what “I don’t have a dream” speech was about. ~ 113 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta The Substitution: The translator applies this specific strategy because of a technical limit. The reference is changed completely. Jack: (when Grace comes in) Oh, look, it‟s Sporty Spice. Italian version Jack: E che ha, il morbo di Parkinson? (Will&Grace, 1x15) In the original version the reference to one of the Spice Girls is justified by Grace’s cloths and her speedy way to walk in. in the Italian version Jack refers to the Parkinson’s disease. When adapting, respecting the lip sync is fundamental and sometimes, it represents a real technical limit to the translation because it may force adaptors to change the reference finding something plausible to what is shown on screen. The Transposition: according to this strategy a source cultural reference is translated into a target cultural reference. Maxwell: Where is Miss Fine Anyways? Niles: She‟s upstairs getting all fapitzed. ~ 114 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta Italian version Maxwell: La signorina Francesca è scesa? Niles: Come dicono in Ciociaria, è su che si pitta. (The Nanny, 3x1) It may be considered a sort of substitution although the cultural reference is translated into its equivalent in the target culture. The translator chose to exchange the Yiddish term Fapitzed, completely unknown to the Italian audience, with the regional term Pittarsi, the southern Italian and less refined version of the Italian verb Truccarsi (to make up). The creation of neologisms to explain a verb, a word or a concept that has not a real translation in the target language. Halloran: […] She called it “shining” and for a long time I thought it was just the two of us that had “the shine” to us. Italian version Halloran: […] Diceva che era lo “shining”, la “luccicanza”. E per molto tempo io credevo che eravamo solo noi due ad averla, la luccicanza. (The Shining, Stanley Kubrick, 1980) ~ 115 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta The noun “shining” has not a real equivalent in Italian, we can just translate the English verb “to shine”. So the translator invented a neologism, a new word that may express the idea of what the original author meant: the word “luccicanza” from the verb “luccicare” (to shine). The Compensation: the translator try to compensate a loss adding something else in the same line. Nate: (doing the HAL voice. From 2001 A Space Odyssey) We are looking quite spiffy in that suit, Dave. Dave: That‟s so clever. You’re talking like the computer in the movie. Wow you‟re funny. Italian Version Nate: (Parla con voce normale) Con quel completino sei un vero schianto, Dave. Dave: Grazie mille Mr. 2001 Odissea nello Strazio. Non sei divertente. (Six Feet Under, 1x02) During the dubbing process the actor does not imitate the computer voice, besides in the following line Dave makes a reference to the movie ~ 116 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta 2001 A Space Odyssey (2001 Odissea nello Spazio), playing on the two Italian words Spazio (Space) and Strazio (Torment). The Omission: the translator chooses to get rid of something redundant or unnecessary in behalf of something similar and more comprehensible to the audience. Will: Did you get that black flowy thing? Grace: No, you were right. It‟s too “Stevie Nicks: the Heavy years”. Italian version Will: Hai preso quella guêpière nera? Grace: No, avevi ragione. Era troppo stile vedova allegra. (Will&Grace 1x01) In this case, the Italian translator omitted the reference to the American singer Stevie Nicks, taking La Vedova Allegra (The Marry Widow) as an example to express the style of that black flowy thing. The Addition: this strategy allows the translators and the adaptors to add some extra lines in the dubbed dialogue, sometimes this strategy is used to make the scene funnier. ~ 117 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta Alvy: […] There‟s this big, tall, blond, crew-cutted guy looking at me in a funny way and smiling and he‟s saying: “We have a sale this week on Wagner”. Wagner, Max. Wagner. I knew what he was really trying to tell me, very significantly. Wagner. Italian version Alvy: […] Il commesso era un tipo alto, biondo, con la sfumatura alta. Mi guarda in un modo strano e con un sorriso maligno e dice: “Le interessa? C‟è una vendita speciale di Wagner. Wagner, signore. Wagner” , tutto Gerusalemme lemme lemme. A parte l’antisemitismo implicito in Wagner, aggiunge “Ne resterà inebreato”. (Annie Hall, Woody Allen, 1977) In the Italian version Alvy not only says that the salesman was looking at him but that he also had a gloating smile in order to make the scene more comic. While, at the end of the scene, he specifies that the salesman was making a fool of him and his Jewishness suggesting a Wagner CD to him, in the original version is implicit. ~ 118 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta II.3 Translating the Verbally Expressed Humor: An intercultural issue “To understand laughter, we must put it back into its natural environment, which is society, and above all, mast we determine the utility of its function, which is a social one. Such, let us say at once, will be the leading idea of all our investigations. Laughter must answer to certain requirements of life in common. It must have a social signification. ” 77 The translation of humor is one of the most interesting , intriguing and complex challenge to a translator because it means putting into play two different cultures and ways of having fun, that is the reason why having knowledge of both the source and the target worlds is crucial. It involves exchanging the reference systems in order to grasp the ambiguity of the text. According to many studies, the translation of the VEH is characterized by two leading factors: the difficulty to plausibly translate certain jokes or puns and the potential (un)translatability. According to an old-time aphorism all people smile in the same language, of course it refers to the way people do it, what is really different is the reason why they do it, this confirms the strong bond between humor and the cultural context where it grows, Flavia Cavaliere78 talks about a Racist Humor79 to highlights how much, sometimes, it is not possible to adapt it abroad. Techniques such as negotiations, domestication and foreignization can 77 H. Bergson, Laughter: An Essay on the meaning of Comic, p. 12. Professor of Translation at the Federico II University of Naples. She wrote many essays and book about the translation of humor and the way it “crosses the borders”. 79 F. Cavaliere, Can culture-specific humor really cross the border?, textus, 2008, p. 72. 78 ~ 119 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta help the audience to enjoy the jokes without changing and deserting the original message, nonetheless sometimes irony appears so much deeply rooted to that world that the cognitive and socio-cultural schemes cannot be shared abroad. Bergson80 recognizes two different comic elements: the comic element in situations and the comic element in words, the first one involves a wider translatability span although sometimes depletions are unavoidable, while the second one is the most risky because it involves jokes and puns which cannot be translated from a socio-cultural context into without paying an high price for an equivalence. Therefore the comic element in words or situations becomes available to other country just through depletions, loss and negotiations, this transition arouses a clash between the cultural and the creative values. While the first one claims the specificity of the source text, the second one calls for a complete dismantlements, stretch interpretations, losses and misunderstandings just to get it closer to the target culture. Paraphrasing what Delia Chiaro81 wrote in her essay Verbally Expressed Humor: An overview of a neglected field, the translation of humor is not all about interlingual problems, it really is about intercultural problems. And the transition of the English comedy play The Play that I wrote written by Hamish McColl and Sean Foley proves it. The plot is about the misfortunes of two English comedians, Morecambe 80 H. Bergson was one of the most major French philosopher. He was influential in the first half of the 20th century. In 1927 he won the Nobel Prize in Literature and in 1930 he was awarded with the Grand-Croix de la Legion d'honneur, one of the most important French Prizes. 81 She is a Professor of English Language and Translation and Director of the Master's Program in Screen Translation at the University of Bologna's Advanced School in Modern Languages for Interpreters and Translators. Since publishing The Language of Jokes: analysing verbal play in 1992 (London, Routledge) she has combined her interest in verbally expressed humour with her passion for cinema and TV by examining what occurs when verbal humour in English is dubbed and subtitled. She is currently writing The Language of Jokes in the Digital Age due for publication by Routledge in 2014. She has been invited to lecture across Europe, in Asia and New Zealand. ~ 120 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta and Wise, trying to set on foot their show. It can be consider a classic of the English comedy, in fact the whole play is brimming with that kind of groaning puns and slapsticks that made the duo so famous in Britain such as “I am France and parts of me are revolting” or exchanges such as “I’ve had two Oscars and a Tony” and “ Your private life is your own business”82. As the show was performed in London’s West End the gags were so explicit and evocative of the seventies’ duo Eric and Ernie that it was a real success. Nonetheless, the show was so culture specific that when it made landfall in the USA it was a real flop. The whole play and its hilarious gags and puns were substituted with more US culture specific ones, unfortunately the American version bemused the audience rather than amused it. It gives evidence of how much the translation of humor is an inter-cultural problem rather than a interlingual problems: even when the language is the same (more or less) the cultural barriers prevent humor from really crossing the borders, in this sense it is interesting what R. C. Solomon states about humor and its “racist” disposition : “The background and presuppositions of humor go deeper and are more complex than virtually anything else in a culture […] Humor is the last frontier to be crossed, in the complete understanding of a culture.” 83 The comic reveals the rigidity of everyday life inner workings and depicts each nation’s linguistic and cultural idiosyncrasies which sometimes are hard to translate into another reference schemes, although 82 D. Chiaro, Verbally Expressed Humor: An overview of a neglected field, Textus 2005, p. 137 83 R.C. Solomon, Racist Humor: Notes towards a Cross Cultural Understanding, 1997. ~ 121 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta there is an example of successful translation of culture-specific humor which became a great success abroad: I am talking about Filumena Marturano, the Neapolitan comedy play written in 1946 by Eduardo De Filippo. At first, when it was performed in London’s West End it was a real flop, as The Play what I wrote. Then Lawrence Olivier and Joan Plowright opted for a different approach: Neapolitanizing the play rather than localizing it. So, they decided to spent some time in Naples to properly interiorise the story and the characters, re-translate the whole play and then turn that magnificent comedy into a great success even in the UK: “Since translations are facts of target cultures, in the translation process emphasis must be placed on transmitting the essence of the represented worlds, rather than simply providing a denotative translation.”84 84 F. Cavaliere, Can Culture-Specific Humor Really “Cross the Border”?, Textus 2008, p. 68. ~ 122 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta Chapter Three: How The Nanny became La Tata III.1 Defining a genre: The Situation Comedy Finding an adequate definition of this particular television genre is not that easy, considering all the TV programmes that could be included in this category. Of course, it is an industrial product whose strong points are: Simplicity, comedy and humor. J. Ellis describes it as the ideal TV genre85, while R. Butsch as the keystone of the prime time 86 . Its “lightness” has always arisen the interest of the audience world-wide, although due to its illusory simplicity it is hard to pinpoint the necessary peculiarities to explain both the evolution of American television and the complexities concerning the adaptation and the reception of the foreign audience. The theater, the radio and the comic cinema make part of the situation comedy “family tree”, in fact this genre originally reached television as a sort of theatrical representation where the audience actively took part. The theatrical dimension is proven by four factors: the three-act-structure, the representation of comedy through dialogues, characters and situations, interior settings and then the actual presence of the spectators and their real or altered laughs. One of the most interesting factors is the three-act-structure that put the situation comedy in contact with the theater. Every episode is divided into three different parts: The opening balance and the break of it in the prologue, the resolution and 85 86 Cfr J. Ellis, Seeing Things: Television in the Age of Uncertainty, Tauris Editore, Londra, 2005 Cfr R. Butsch, Five Decades and Three Hundred Sitcoms About Class and Gender, Edgerton-Rose Editore, 2005 ~ 123 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta then the restoring of the opening balance in the conclusion. In accordance with this typical circular structure at the end of the episode, everything goes back to what it was and every character seems to go back to his own “little box” bringing all its main peculiarities and behaviors with him. Another important factor is the relation between sitcom and its audience. First of all we are talking about a domesticated audience, in fact the home spectators are well educated to laugh at the right moment through some recorded laughs which are employed when the audience is not on-stage or when it is not laughing vociferously. The “prepackaged laughs” are called laugh track. B. Placido gives a very interesting and appropriate definition of laugh track, he talks about “mechanic and recorded laughs employed to say: Look how much we are having fun. Are you at home having fun as well? It is an affectation, the American situation comedy vice that the European televisions have adopted and then applied mechanically everywhere”. 87 The use of laugh track is due to different reasons, first of all to involve the spectators and then to hide the editing cuts. 87 N.d.T. trad. Michela Lauritano. B. Placido, Ma quelle risate son proprio necessarie?, in Repubblica, 8 gennaio 1992. “*…+Risate meccaniche, registrate su nastro, e messe lì per dire: quanto ci divertiamo. Vi state divertendo anche voi a casa? È un vezzo, un vizio preso di peso dalla situation comedy americana e applicato meccanicamente da noi un po’ dappertutto.” ~ 124 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta III.2 Classification and Evolution of the situation comedy The situation comedy has been analyzed and studied by many experts who developed different classifications about it. One of the most interesting and full-scale taxonomy of this genre has been carried out by the Spanish writer N. Lopez and cited by Padilla y Roqueijo in their essay about sitcoms 88. Lopez divided sitcoms into: Family Comedy such as Growing Pains and Married with children. In this sitcoms the daily events take place in the family environment. Choral Comedy such as Friends, The Big Bang Theory or How I Met Your Mother, where there isn’t a main character. Every character is meaningful and they are all on the same level. Big named Comedy such as The Bill Cosby Show, The Dick Van Dyke Show, Seinfield, Roseanne, I Love Lucy where the main character is already famous. The sitcom develops around him or her. Social Comedy the famous American television series M*A*S*H represents this kind of comedy. The show criticized the Vietnam War taking advantage of humor. The social comedy is a sitcom where social and political matters are faced using comic elements. Racial Comedy such as The Fresh Prince of Bel-Air or Family Matters. This kind of sitcom is addressed to a 88 G. Padilla-Castillo, P. Requeijo-Rey, La sitcom o comedia de situación: origenes, evolución y nuevas prácticas, Fonseca Journal of Communication 2172-9077 Num. 1, Madrid, 2010. ~ 125 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta specific audience, in these particular cases to the AfroAmerican spectators. Generation Comedy such as Skins or Saved by the Bell which are specifically addressed to a very young audience. Fantasy Comedy such as Bewitched or I dream of Jeannie. The distinguishing feature of this group is the fact that fantasy events are mixed with both daily and comic elements. Although each country and each media system has its own classification and evolution of this particular genre, in 1981 the American writer A. Houghs carried out a more general taxonomy of the situation comedy classifying it according to specific periods of time. In his essay he wrote that we could categorize sitcoms from 1950 to 1978 considering two groups 89: Family sitcoms that are divided into traditional family (1949-1955), nuclear family (1955-1956), eccentric family (1965-1975) and then social family (1970-1978). No domestic sitcoms divided into first comedies (19481955), military comedies (1955-1970), business comedies (1960-1965), fantasy comedies (1965-1970), country comedies (1960-1970), adventure comedies (1965-1970) and then professional groups comedies (1970-1978). 89 A. Hough, Trials and Tribulations: Thirty years of sitcoms, in Understanding television: Essays on television as a social and cultural force, Richard Adler Editore, New York, 1981, p.201-223. ~ 126 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta After having studied the classification carried out by the experts, I am now going to outline briefly the evolution of the situation comedy in US from the fifties up to this time. In 1951 the first sitcom broadcasted on the American screens was I Love Lucy. The plot was about the daily life of an American interracial couple, Lucy and Ricky. She was American while he was Cuban, many episodes where focused on the differences between the two cultures. I Love Lucy was a real success even abroad and it outlined the distinguishing features of what later would have become a specific genre: The American Sitcom. Generally during the fifties the stories were always about middle class and traditional happy family in which the father went to work while the mother embodied the perfect housewife. In the sixties there were different themes, this is the period of sitcoms like M*A*S*H, Bewitched, The Dick Van Dyke Show and The Doris Day Show. During these years the authors also started writing about sitcoms whose main character had to be very famous in order to increase both the fidelity of the spectators and the TV rating. The seventies, in accordance with the spirit of 1968, were characterized by an innovative trend. During these years sitcoms faced many social matters that had been ignored until then. They started talking about single and happy women whose families were composed by friends and colleagues. During the eighties the production costs were higher compared to what people called for, in fact the spectators started being interested in ~ 127 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta many other TV programmes and this sector suffered a great crisis. Just in 1984, thanks to The Bill Cosby Show, the sitcom TV rating raised again. In the nineties the American sitcoms started talking about something new such as homosexuality and atypical families. That’s the reason why, in these years, the situation comedy literally won the day with Friends, Seinfiled and Will&Grace. At the present time on the one hand the situation comedy shows a real technical evolution through manual cameras and a more natural lighting, more over the actors start addressing to people at home while they are playing; but on the other it still maintains certain distinguishing features that we could find in the first sitcoms, such as the laugh track, the presence of some spectators on stage and the short lasting of the episodes. Currently the situation comedy has been highly reconsidered since products such as The Big Bang Theory or How I met your Mother have won important TV awards. At the end of this short analysis I wonder if the economic and also cinematographic and TV crisis has positively affected the success of this underrated genre, symbol of that “lightness” , simplicity and genuineness that in this historical period we are definitely missing. ~ 128 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta III.3 Translating sitcoms: The Nanny abroad “Watching American television in Italy created in me a feeling of national pride, because I genuinely (or perhaps naïvely) believed that American authors were indeed writing about Italians. […] Somehow, I thought it was a privilege (and certainly a curious coincidence) that among all ethnicities and nationalities in the United States, American writers opt to represent and recount stories of Italians. […] It would take me a few years and a few thousand miles to realize (in a classroom, not on TV) that the origins of my favorite nanny had nothing to do with Italy. While discussing ethnic representation on American television with my American classmates and professor in graduate school, someone mentioned and criticized Fran Drescher’s overly stereotypical portrayal of the Jewish American Princess in The Nanny. All of a sudden I was lost: Since when is Fran Drescher Jewish? I asked”.90 The last part of this chapter is entirely dedicated to the Italian adaptation of the famous American sitcom The Nanny. The aim is to consider the linguistic and cultural aspects giving an explication about the reasons why that product has been drastically modified insomuch as Fran Fine was converted into Francesca Cacace. What makes this analysis extremely inspiring is the fact that the Italian adaptation of this American sitcom is just the blatant example of textual manipulation, halfway between traditional translation and drastic “restoration”. 90 C. Ferrari, Since When Is Fran Drescher Jewish?, Texas University Press, Texas, 2010, p.2. ~ 129 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta The Nanny has been exported to many countries such as Argentina, Chile and Mexico. Although their culture and humor is way different from the North American one, they chose to create local versions with local actors and settings, the only thing they maintained was the plot and the features of the main characters. Instead in Italy the experts faced many cultural barriers and the final result, La Tata, may represent their attempt to accept globalization without keeping out the interest of the Italian audience, and it is of a paramount importance to stress the word interest because the main goal of audiovisual translation and adaptation was, and still is, distributing that product to make profit rather than safeguarding a cultural and national specificity: The more it was regional and Italianized, that is to say more comprehensible to Italians, the more the rating would have been high. The Nanny reached the Italian television during the nineties, and this is not a simple detail. During that years in Italy many American sitcoms (The Sopranos, The Simpsons, Friends) were subjected to drastic modifications defying also the idea of an imported television that had to be global, standardized and americanized. The Italian adaptation of this sitcom went down in history because of its twisting that led translators and dialogist to rewrite whole scenes and dialogues without hampering the success of it in Italy. The main barrier to Italian spectators was the ethnic group Fran Fine, the main character, belonged to. She was Jewish and the comic element of the sitcom pivoted on her Jewishness, with references, jokes and wordplays linked to that world and language, the Yiddish. The American perception of American Jewish people is completely unknown to the Italian audience so that no one, in Italy, would have had fun ~ 130 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta watching The Nanny as it was. The process they applied is called relocalization ethnic 91 group and it occurs when a stereotypical portrayal of a specific must be necessarily changed into something understandable to the target audience. Of course this process needed to be contextualized, in fact Massimo Corizza, the director of dubbing and translator for the Italian version of The Nanny, states that 15 years ago in Italy there wasn’t the perception of the American world and lifestyle we have today so it was necessary to domesticate certain elements unknown to Italians 92 . For instance, at that time the word pancakes had to be “Italianized” in order to let the audience understand what the characters were eating. Today, everyone in Italy knows what pancakes are and there is no longer need to convert them into frittelle. The Nanny was broadcasted by the CBS from 1993 to 1999. The story was about Fran Fine, a young and quirky Jewish Queens girl (or simply a JAP, Jewish American Princess) who works as a Nanny for Mr. Sheffield, the British elegant and sophisticated Broadway producer, who is also a widow. Fran’s family is made up of her mother Sylvia and her grandmother Yetta who perfectly embody the stereotype of the Jewish American women from Flushing. The comic element of the sitcom pivots on the contrast between Fran and her family’s eccentric and invasive Jewish personality, and Sheffield and his entourage’s cold, reserved, so typically British, disposition. In Italy La Tata was broadcasted by the Italian private televisions Canale Cinque and Italia Uno from 1995 to 1998. Fran Fine became Francesca Cacace, an Italian American girl who comes from Ciociaria, an Italian region situated in 91 Ibidem, p.3 From an interview granted to C. Ferrari. Cfr C. Ferrari, Since when Fran Dresher is Jewish?, Texas University Press, Texas, 2010. 92 ~ 131 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta the southern area of Lazio. Her whole catholic family is from Frosinone and she lives with her aunt Assunta (originally Sylvia), her uncle Antonio (Morty, in the US version) and her other aunt Yetta, Assunta’s sister in law. This short description of The Cacaces may appear light years away the description of The Fines, although analyzing deeply this two different stereotypes we realize how much close and similar they actually are. The next paragraph is dedicated to this inspiring and extremely interesting comparison. III.4 Comparing stereotypes “The Nanny is global if it’s adapted. In the end, the Jewish mother is like the Italian mother, worried if you don’t eat enough, caring for her children, and never minding her own business. The stereotype is very similar, but you have to adapt it.”93 Translating otherness through stereotype is so typical of the American television and, sometimes, the only way to export that specificity is just translating it with another stereotype that would work in another socio-cultural context. All the original characters have been culturally and linguistically re-created making reference to Italian cliches in order to keep the representation of the stereotype the keystone element in both versions. As for the stereotype chosen by the American authors for The Nanny, Fran Fine embodies perfectly the prototype of the JAP, Jewish 93 From an interview of M. Corizza to C. Ferrari, published in Since when is Fran Drescher Jewish?, Texas University press, Texas, 2010, p. 52. ~ 132 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta American Princess: boor, eccentric, materialistic, impish, quite snobby and obsessed by food, flashy clothes and men. Of course her jewishness is the cornerstone of the whole sitcom, at this point the question arises spontaneously: “What does the term Jewishness really mean and imply? I found an inspiring definition given by the American writer J. Antler talking about Fran Fine and the idea of Jewish women on American television: “Jewishness is, then, an attitude, a phrase, even a set of cloths, glitzy, gaudy and ornate. It is a shtick, a framing device that sets the heroine apart from the others in the cast. But it is an artificial, exaggerated Jewishness, drawn from anomalous imagies and negative stereotypes. For the most part, the nanny’s jewishness lies in her inflection, her whine, her Yiddishisms, her mania for shopping and for men, and her Jewish family. […] Like Fran, they are authentic, whether gaudily overdressed, canasta playing mother or her chain-smoking Grandma Yetta.”94 In Italy it wouldn’t have been possible to make it understandable or even funny since the Italian collective imagination of Jewish people is restricted to the only adjective “stingy”. On the one hand the portrayal of the JAP do not fit with the Italian perception of Jewish people, on the other some elements such as her extreme sensuality, her strong desire to start a family and her obsession with food helped the Italian translators to make it plausible in Italy since they also reflect the stereotype of the southern Italian woman. The result was that Fran Fine could easily become Francesca Cacace as much as her over invasive Jewish mother that perfectly corresponded to the stereotype of the southern Italian mother. 94 J. Antler, Epilogue: Jewish Women on Television, University Press of New England, Hanover, 1997, p. 202. ~ 133 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta The Italian adaptation focused its attention on the female characters, especially Fran and her quaint female family members. With regards to it, M. Corizza stated in his interview to C. Ferrari: “Sylvia is obsessed with food, therefore the Italian stereotype works well, and all the jokes about food remain intact. I had to cut jokes about sex, however, in order to make the dialogue more acceptable; sometimes the original version becomes too vulgar, and too explicit sexual references are hard to transfer on Italian television.”95 As the translator said, some elements needed to be changed radically in order to become funny or socially accettable. One of those is the kinship: In the Italian version Sylvia and Yetta become her aunts to justify their sexual allusions that would be inappropriate for a southern Italian mother and grandmother. Considering the importance of family in the Italian collective imagination it would have been everything but plausible that a mother and a grandmother converse with their daughter/granddaughter about their sex life and betrayals without any kind of inhibition. The Italian version of The Nanny demonstrates how much the adaptation process can culturally and linguistically manipulate and modify a text. All the changes improved to the Italian version took into consideration values and models that were presumably shared by the spectators. The quotation that has opened the paragraph highlights the idea of a global and homogenized culture where, the adaptation, especially in this case, opt for glocalizing 96 the stereotype of the American Jewish community in order to make it real for another culture specific context. 95 Ibidem, p. 59. The term glocalization is the combination of the words globalization and localization, it means adapting what is global to the local through negotiations. 96 ~ 134 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta III.5 From Yiddish into Italian dialects “One of the main characteristics attributed to Jews is a unique relationship to language. To the non-Jew, European Jews seem to possess a “hidden” language, Yiddish, that others cannot understand and that may be used in subversive ways” 97 Another fundamental and problematic aspect concerning The Nanny and La Tata is the fact that Fran sometimes speaks in Yiddish, the language spoken by the Jewish communities. The ethnic group the main character belongs to is meaningful and, sometimes, overstated. The American spectator immediately understands that Fran is a Jew thanks to three elements: her nasal voice, the thick Queens accent and the use of Yiddish. In fact both Fran and her aunts speaks among themselves using this exclusive linguistic code. The use of Yiddish also highlights the socio-cultural difference between the characters: Maxwell has a very elegant turn of phrase, he sometimes uses French words that Fran does not understand and of course his british accent is synonymous of a sophisticated education: Maxwell: Oh Fran, my darling… how can I make you understand how much I adore you? Fran: Well, a few examples would be good. Maxwell: Let‟s start with your sense of humor, I love your vivacity, your gaylessness, your irreverence. Fran: Could you use words I understand? 97 (The Wedding Part II, 5x23) B. Willinsky, Who talks like that? Foregrounding Stereotypes on The Nanny, in Mediated Women: Representation in Popular Culture, Cresskill, N.J. Hampton Press, 1996, p.306. ~ 135 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta Instead Fran has a very strong New York accent characterized by the use of words in Yiddish that are incomprehensible to all the other characters. In this way the American authors wanted to stress on the one hand her naivety, her genuineness as well as her illiteracy, on the other Maxwell’s education and social status. Since the first episode this subversive language stood out and the best way to express it in La Tata was taking advantage of the subversion of some Italian regional dialects. In this way the words in Yiddish were substituted with words in the dialect of southern Lazio. Let’s see an interesting example of what I have just said: In the episode, The Pen Pal (3x1), Fran is about to date a new man and while she is upstairs getting ready, Maxwell and Niles are talking about her trying to use some Yiddish words. Maxwell: Where is Miss Fine anyways? Niles: She‟s upstairs getting all fapitzed. Maxwell: What does that mean? Niles: You know, dressed. Maxwell: I thought that was flubunged. Niles: No, sir, that means confused. Maxwell: No, man, that‟s fechachda. Niles: Well, then, what‟s flishimeld? Maxwell: I think that‟s her uncle. ~ 136 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta Italian Version: Maxwell: la signorina Francesca è scesa? Niles: Come dicono in Ciociaria, è su che si pitta. Maxwell: Che cosa fa? Niles: Si trucca, si pitta. Maxwell: Non dicono si dipinge? Niles: No signore, quello è Raffaello. Maxwell: No, Raffaello non si pittava. Niles: Neanche andando dal Papa? Maxwell: No, era Giulio II… (The Pen Pal, 3x1) In this short dialogue the choice of the translators is clear, not only they substitute the Yiddish words fapitzed, flubunged, fechachda and flishimeld with the southern Italian verb pittarsi (to make up) but they also changed the meaning of some sentences in order to make it all logical. Following the domestication strategy the translators chose to fill the socio-cultural gap between Fran and Maxwell adopting a very rustic Italian for her and a polished Italian for him. In this way the gap between standard english/Yiddish and standard Italian/regional dialect is exactly the same. Another interesting aspect is Fran’s nasal voice. In the United States speaking nasally is a distinguishing feature of the Jewish American women; in the Italian version it has been chosen to eradicate this aspect dubbing the actress with a more neutral voice. ~ 137 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta III.6 The Wedding and The Cantor Show: A matter of incongruities The more you overturn a media product the more it will be harder to maintain its credibility as the sitcom goes on. That is the case of La Tata, in fact at some point of the series, especially in the last seasons, it was extremely difficult to adapt certain elements without leaving the Italian spectator confused and disaffected to the sitcom. I am talking about those episodes that are totally focused on Jewish cultural and religious elements. Although the main strategy was to turn some behaviors into catholic, others were left unresolved because of an unfillable incongruity between the verbal and the visual code. This incongruity, which is one of the biggest limits of audiovisual translation, led the Italian spectator (who still ignored she was Jewish) to wonder why a six seasoned selfconfessed catholic nanny, at some point decided to get marry in front of a Rabbi or to go to a church which was actually a Synagogue since on the background there were the flag of Israeli and a Menorah 98. There was no solution to overtake this huge barrier therefore the original meaning of some dialogues needed to be completely changed. For instance in the episode The Cantor Show (3x24), Fran and Sylvia went to their synagogue to celebrate their new cantor. In the Italian version they detached themselves from the Jews punctually clarifying their Christianity or making mistakes to show their ignorance about Jewish culture: 98 The typical seven-lamp Hebrew lampstand. ~ 138 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta The Nanny: Fran: Oh, I‟m sorry! Everybody I want you to meet Gary Isaacs: this is the New cantor at my Temple. La Tata: Francesca: Oh, scusatemi! Gary Isaacs, una voce stupenda che canta nella Moschea, cioè, no, la Chiesa ebraica! When Francesca introduces the new Cantor she shows confusion regarding what a Synagogue really is, at first she calls it Mosque. The translators adopted this approach in order to make the audience understand that she had nothing to do with that world and that she was in that Synagogue almost by accident. ~ 139 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta The last episode of the fifth season, The Wedding part II, is another one full of incongruities between the two codes mentioned above. The main problems concerned the inability to hide the specificity of the traditional Jewish wedding . Although they tried to justify certain “dodgy elements” , there were some details such as the breaking of the glass or the Hava Nagila99 during the reception, that made impossible to the translators to find an adequate solution insomuch as the result is definitely unlikely. These two episodes I quickly analyzed demonstrate that, usually, the untranslatability in audiovisual translation occurs when there is no strategy good enough to make the verbal code correspond with the visual code, this incoherence leaves the audience confused and disoriented: The Nanny Val: Oh, Fran, it‟s never gonna be like this again. Just the two of us lying here together. La Tata Lalla: E ora ti sposerai persino civilmente, davanti a un prete e un assessore, Come hai voluto tu. 99 The staple song performed at Jewish weddings while they are doing the Hora dance on the chair. ~ 140 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta In the Italian version Val’s line has been totally changed. Lalla actually reminds Fran of her civil wedding in front of a priest and an assessor. Taking advantage of the “uselessness” of the original line they tried to justify the presence of the Rabbi at the wedding. Here is an example of a drastic modification. These two episodes also confirms that translators are authors, converting that new linguistic and cultural elements they redesigned, into a new story. According to a famous commonplace every translator is like a caged writer, in my opinion in the adaptation of La Tata the best and the worst of this amazing job legitimately came out in terms of rewriting, stressing all the pros and cons of a domesticated translation. As a “little” spectator I really enjoyed watching La Tata, I laughed a lot and just when I realized it had nothing to do with Italy I started thinking a great deal about it. Firstly we have to contextualize this product in order to understand its twisting: At that time and in that place (Italy), it wouldn’t have been plausible to leave the original product as it was taking into account that the aim of audiovisual adaptations was to vouch for an effective comprehension of a text in a completely different sociocultural context. ~ 141 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta Conclusion The experiment carried out by Ulrichs and cited in the first chapter shows us that all the variations we find in a translated text, although are irreversible, still make part of the text itself. Such a modification makes the new text complete, reshaping it for new eyes. This is none other than the reason why “someone” invented that fascinating discipline called Translation. The Italian adaptation of The Nanny is the specific example of textual and cultural manipulation. We are talking about an unavoidable manipulation that managed to make a deeply American sitcom “more Italian”. The analysis of the “subversive” adaptation of The Nanny offers so many causes for reflections to both professional and aspiring translators because it involves comparing two cultures, two stereotypes and two humours, and the more you analyzed them the more you understand how much close they are. Many experts consider the Italian adaptation of sitcoms such as The Nanny or Roseanne (Pappa e Cicca in Italy) a sort of reaction against a globalised television, although what really led translators to change them radically was a less “romantic” need: Italian television would have never bought a product like The Nanny if the American authors had not authorized some variations. The Jewish American nanny would not have made any sense in Italy at that time, it would not have been funny, it would not have intrigued the audience. The intense activity of Italian translators let us explore and laugh about our own stereotypes identifying ourselves with that bizarre Italian American nanny. Nowadays such a radical change would not be accepted easily because cinema and television “have updated” our ~ 142 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta perception of the American lifestyle, opinions, habits and traditions and, luckily, at this present time a Jewish American nanny would not shocked us anymore. At the end of this path which taught me a lot about this amazing discipline, I have made a couple of considerations: Regardless of all the misinterpretations and all that unlikely dialogues of the last seasons, I think that the Italian adaptation of this sitcom must represent a source of curiosity and reflections to the experts in this field. In my opinion the success of La Tata is directly proportional to its twisting, and the reasons need to be contextualized, La Tata has been entertaining an whole generation who still ignored the meaning of the words muffin and pancake, therefore the choice to join hands with the spectator may be considered licit and arguable at the same time. From my point of view the Italianizing process employed in order to meet the target and its necessity, its history, its way to laugh while watching television, was crucial at that time when the original versions of certain sitcoms, would have turn them out to be even more alien. At this point the question arises spontaneously: In the nineties would we have been able to laugh at a Jewish American nanny? Would we have been able to get all that funny jokes about Jewish people and language? The answer is as much banal as the question: probably not. If it had been broadcasted as it was it wouldn’t have lasted on the narrow-minded Italian television. Conversely, nowadays the approach when translating sitcoms mostly follows the strategy of foreignisation, allowing the new audience to meet and absorb different habits and lifestyles. Ultimately, this work is the result of a lively interest in that modified, re-packaged and Italianized products that went along my ~ 143 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta generation. Regardless of all the incongruities and all that risky choices, La Tata represents a specific period of time and reflects not only a TV generation but also its own stereotypes and idiosyncrasies as well as the modus operandi of audiovisual translation during the nineties. ~ 144 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta SECCIÓN ESPAÑOLA ~ 145 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta Introducción Trasladar el humor y la ironía desde un contexto socio-cultural a otro representa uno de los retos más arduos para el traductor cosiderando que el contexto específico, a veces, cuenta más que el texto de salida. Por eso, la traducción audiovisual puede implicar una re-apropiación nacional para que el producto final sea a medida de los gustos y de las exigencias del nuevo público. Teniendo en cuenta esa re-apropiación nacional, ¿el humor puede realmente atravesar las fronteras a través de negociaciones y estrategias de traducción? ¿Podemos considerar su traducción como una traición eterna, irremediable e indispensable?, ¿el conocimento profundo de la cultura de salida es la única manera de comprenderlo adecuadamente? El objetivo de mi trabajo es intentar responder a estas preguntas que surgieron al leer y estudiar el tema y, al mismo tiempo, examinar el difícil proceso de traducción y adaptación de un género específico: la comedia de situación norteamericana. Muy a menudo su exportación conlleva profundas transformaciones del producto original para que complazca diferentes deseos, historias y maneras de reír frente a la televisión. No se trata simplemente de un cambio de idioma sino de una re-elaboración para enviar el producto a otro lugar. Este proceso da pie a muchas críticas sobre todo para las nuevas generaciones que favorecen los productos originales, made in Usa, a los adaptados. Esta predilección se explica considerando la nueva percepción que tenemos del mundo americano, de su estilo de vida, de sus ideas, costumbres, tradiciones y humorismo que siempre han sido contadas por el cine y la televisión y que, por fas o por nefas, hemos absorbido. ~ 146 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta A través de este trabajo quiero examinar los problemas de la adaptación de productos mediales en nuevos contextos culturales, haciendo referencia tanto a la teoría de la traducción audiovisual como a la historia y a la evolución de un género específico. En el primer capítulo se discuten las cuestiones más teóricas de la traducción audiovisual, se examinan los ámbitos y los vínculos y el concepto de traducción intersemiótica introducido por el lingüista ruso R. Jakobsòn. La segunda parte se concentra en el estudio de las transferencias lingüísticas, sobre todo el doblaje, considerado el espejo de las culturas. Se analizará este proceso aportando un estudio sobre la historia del doblaje en relación a la historia de la televisión y del cine, en España. El tercer capítulo está dedicado al género de la comedia de situación y a su adaptación en las televisiones extranjeras. En este último capítulo quiero subrayar la particularidad de este género televisivo, a veces infravalorado por su aparente ligereza y sencillez. La primera parte se concentra en la definición de la comedia de situación, su clasificación y evolución en la historia de la televisión al mismo ritmo de la de la sociedad de los años cincuenta a los años dos mil. La segunda parte se concentra en la cuestión de la traducción del humor, linfa de este género, las dificultades y las barreras que el traductor encuentra y que, a veces, es imposible superar para producir un texto adecuadamente cómico sin modificarlo de la raíz. Con respecto a estas complicaciones en la última parte se tomarán como ejemplo algunos productos mediales americanos comparándolos a sus adaptaciones españolas para recalcar todos los vínculos culturales explicados en los capítulos anteriores, y las rutas que el traductor puede seguir para resolverlos. ~ 147 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta Capítulo Primero: Teoría de la Traducción Audiovisual I.1 Nuevos cuentos de la misma historia El principio de reversibilidad enseña al traductor que re-traducir otro texto ya traducido significa crear un clon de la obra original. Entre 1968 y 1974 el profesor alemán Timm Ulrichs puso en práctica un proyecto artístico para probar este principio. Dicho proyecto consistió en un ciclo polígloto traduciendo simplemente la explicación de un término de un diccionario de alemán. El texto de salida fue traducido por 24 diferentes traductores en 24 diferentes idiomas; analizado, reescrito, impugnado, adaptado a alfabetos, culturas e idiomas diferentes del original. Al final, el término fue re-traducido del hindi, su última versión, al idioma de salida, el alemán. Aunque el texto llegó a su idioma inicial las diferencias entre la primera y la última versión eran profundas pues el texto final presentaba un resultado de innumerables cambios e interpretaciones. El experimento de Ulrichs, además de probar las numerosas variaciones lingüísticas y culturales entre un idoma y otro, demostró que todas las variaciones irreversibles que se encuentran en un texto traducido llegan a ser parte integral del mismo texto. Por eso es imposible y restrictivo considerar el proceso de traducción como algo mecánico y automático. Parafraseando lo que escribió Umberto Eco en su célebre libro Dire quasi la stessa cosa, al traducir se convierte, ~ 148 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta necesariamente, un estilo indirecto en directo100 y eso es lo que hace la disciplina de traducción extremadamente fascinante y estimulante. Traducir convirtiendo el estilo indirecto en directo significa también situar el texto de salida dentro de un contexto social, cultural e histórico completamente diferente. El experimento de Ulrich nos muestra que después de tantos procesos de negociación el traductor se siente comprometido al restructuramiento del texto ampliando el concepto de fidelidad del traductor. Considerando un significado más amplio de la idea de Traducir, podemos hacer referencia a uno de los cinco axiomas del teórico austríaco Paul Watzlawick: es imposible no comunicarse. humanos no pueden no comunicarse 101 Los seres y las barreras lingüísticas y culturales siempre han representado obstáculos inevitables, pero no insuperables. En este sentido la idea de traducción se puede ampliar a todas las actividades humanas en cuanto cada tipo de lenguaje puede ser traducido, entonces todas las transposiciones de un lenguaje a otro se consideran formas de traducciones que se convierten y se renuevan sistemáticamente y, a veces, de manera incosciente. 100 U. Eco, Dire quasi la stessa cosa, Bompiani Editor, Milán, 2003, p. 20. P. Watzlawick fue uno de los principales autores de la Teoría de la comunicación humana y fundador de la corriente de pensamiento del constructivismo radical. Watzlawick elaboró cinco axiomas de la comunicación humana: 1-Es imposible no comunicarse. 2-Toda comunicación tiene un nivel de contenido y un nivel de relación, de tal manera que el último clasifica al primero, y es, por tanto, una metacomunicación. 3-La naturaleza de una relación depende de la gradación que los participantes hagan de las secuencias comunicacionales entre ellos. 4-La comunicación humana implica dos modalidades: la digital y la analógica. 5Los intercambios comunicacionales pueden ser tanto simétricos como complementarios. 101 ~ 149 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta I.2 Jakobsòn y la Traducción como concepto. "Nadie puede entender la palabra queso, a menos que no tenga un conocimiento no lingüístico del queso." 102 En su Ensayos de Lingüística General, escrito en 1956, el lingüista ruso Roman Jakobsòn cita esas palabras de B. Russell cuestionándolas. Antes de analizar la citación de Russell y la crítica de Jakobsòn es importante subrayar la importancia de este ensayo, considerado una obra clave sobre las cuestiones y los problemas de la traducción. El concepto de Traducción Intersemiótica ha sido introducido por el lungüista ruso que, examinando una idea más amplia de traducción, empieza a considerar esta disciplina más como un concepto que una simple actividad. Uno de los criterios más interesantes utilizado por Jakobsòn para demostrar su análisis es la reflexión de Bertrand Russell. Según el filósofo británico, asimilar conceptos y objetos de una cultura determinada que resultan ajenos a la propia es algo imposible. En cambio Jakobsòn nos explica que, para comprender palabras o conceptos que nos resultan ajenos es necesario relacionarlos a otros conceptos similares a nuestra cultura, por ejemplo, un individuo que pertenece a una cultura cuyo idioma no tiene la palabra “queso”, para comprender el significado le bastaría conocer la palabra o el concepto de “cuajada”. En suma, Jakobsón con este ejemplo nos quiere demostrar que el significado de una palabra no es otra cosa que su traducción utilizando otras palabras, destacando la importancia del proceso de traducción para la comunicación entre culturas diferentes. Traducir nos permite conocer 102 R. Jakobsón, Saggi di linguistica generale, Laterza Editor, 2002, p. 56. ~ 150 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta objetos y palabras propias de otras culturas que, de lo contrario, permanecerían ajenos. El lingüista saca una conclusión fundamental: el significado de las palabras es un hecho más semiótico que lingüístico. En su ensayo Jakobsòn desarrolla una teoría sobre las maneras de interpretar un signo verbal. Según él, hay tres formas de traducción para hacerlo: La Traducción Interlingüística o traducción propiamente dicha. Se verifica cuando interpretamos signos verbales mediante otro idioma. La Traducción Intralingüística llamada también Reformulación. Se verifica cuando los signos verbales se interpretan mediante otros signos del mismo idioma. La Traducción Intersemiótica o Transmutación, es el concepto más innovador de su estudio y se trata de una interpretación de signos verbales mediante signos no verbales. Un ejemplo de traducción intersemiótica es la interferencia lingüística de los productos audiovisuales. ~ 151 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta I.3 La Traducción Audiovisual: ámbitos y vínculos Traducción multimedia o transadaptation103 son algunas de las definiciones acuñadas por los expertos para definir más detalladamente el concepto de traducción audiovisual. En líneas generales, la traducción audiovisual (TAV) se ocupa de las transferencias lingüísticas y culturales de productos audiovisuales a través de medios electrónicos como la televisión, el cine, internet o la publicidad, y no-electrónicos como el teatro. Lo que caracteriza y diferencia este tipo de traducción de la tradicional es la estrecha relación entre diferentes canales: el acústico, el visual y el verbal. Por esa razón cuando hablamos de traducción audiovisual hablamos también de una traducción total y vinculada considerando la complejidad para que todos los códigos, o canales, coincidan. Los tres canales mencionados arriba limitan profundamente el resultado final porque muy a menudo no resultan compatibles. “Las traducciones son hechos de la cultura meta” 104 , según esta afirmación un texto traducido tiene vida propia lejana años luz de la cultura de salida, la que lo ha producido, y se puede amoldar perfectamente al contexto socio-cultural que lo recibe. En este sentido es interesante considerar la traducción audiovisual como una forma de reescritura. En efecto el trabajo de traductores, ajustadores y actores de doblaje puede convertirse en algo mejor que la obra original, y cuando ocurre las relaciones con el contexto meta crecen. La traducción audiovisual representa un real desafío para el traductor que tiene que 103 El Profesor de traducción Gambier acuñó en el año 2000 este término por la primera vez fundiendo los verbos ingleses to tranlsate, traducir, y to adapt, adaptar. 104 N.d.T. trad. Michela Lauritano. I. Ranzato, La Traduzione Audiovisiva, analisi degli elementi culturospecifici, Bulzoni Editor, Roma, 2010, p. 13. “Le traduzioni sono fatti della cultura di arrivo” ~ 152 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta reexaminar el concepto de fidelidad que no concierne solamente a cuestiones lingüísticas sino también a las tramas, a las equivalencias de los personajes y a dos contextos socio-culturales diametralmente opuestos, y desarrollar una radical operación de sustitución si se da el caso. La traducción audiovisual incluye diferentes transferencias lingüísticas, es decir medios que hacen productos audiovisuales ajenos, más cercanos a la nueva audiencia. Entre ellos están: El Doblaje, a través de este proceso se sustituyen los diálogos en el idioma original con los traducidos en el idioma meta. Este proceso se desarrolla después de la producción audiovisual. Este tipo de traducción necesita que la voz coincida perfectamente con los movimientos de los labios de los actores originales. El Subtitulado interlingüístico, es decir, una breve traducción de los diálogos que se integran en la película para que sea comprensible. Los subtítulos aparecen en la pantalla por pocos segundos y coinciden perfectamente con el comienzo y el final de la frase, luego tienen que ser muy breves y concentrados para que la audiencia pueda leerlos. El Subtitulado intralingüístico, es decir los subtítulos empleados para las personas sordas. El Voice-over, o sea, la voz grabada en el idioma meta se sobrepone a la voz original sin sincronizarlas. Los Surtitles, es decir los subtítulos proyectados directamente encima del escenario. Se utiliza este tipo de ~ 153 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta producción durante los espectáculos teatrales, sobre todo la ópera. La Narración, o sea una voz grabada que describe a la audiencia lo que pasa en la escena. Lo que diferencia la traducción de un producto medial de la traducción de un texto escrito es el hecho de que, muy a menudo, el mensaje verbal, las imágenes y el sonido siguen rutas diametralmente opuestas y no coinciden. Es decir, el mensaje verbal sigue la ruta dictada por el doblaje o por los subtítulos, mientras las imágenes y el sonido están todavía profundamente enraizadas a la cultura de salida, clamando sus orígenes. En este sentido los expertos hablan de vínculos culturales y vínculos técnicos que, a veces, pueden arriesgar la credibilidad del producto traducido. Por lo que concierne a los vínculos técnicos el obstáculo más grande es la contradicción entre el canal visual, o sea lo que aparece en la pantalla, y el canal verbal, es decir lo que la audiencia oye: todo lo que aparece no se puede erradicar o modificar a través de la traducción o la adaptación, por eso, muy a menudo, es necesario impugnar enteros diálogos para hacerlos más plausibles con lo que se ve. No importa cuanto las estrategias puedan resultar geniales, porque muy a menudo las imágenes, los contextos, los paisajes, los letreros siguen trayendo a la memoria del público que lo que miran no tiene nada que ver con su país y cultura. No existe estrategia para superar estas barreras, por lo tanto ¿hasta qué punto podemos considerar las traducciones hechos de la cultura meta? ¿Hasta qué punto un producto audiovisual puede adaptarse y absorber una cultura diferente? ~ 154 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta Con respecto a los vínculos culturales, traducir un producto medial significa adaptar algo concebido para un contexto socio-cultural específico, esta transición conlleva el inevitable desarraigo de la cultura de salida. Los vínculos culturales son los que “obligan” al traductor a pegar dos culturas diferentes, dos sociedades diferentes, dos mundos diferentes. Aunque en todas las formas de traducciones los traductores tengan que afrontar estos vínculos, en la audiovisual las cuestiones se multiplican considerando todos sus códigos y su amplia audiencia. Parafraseando lo que escribió Umberto Eco en su ensayo Dire quasi la stessa cosa “cuando el traductor enfrenta estas dificultades técnicas y culturales tiene que preguntarse si guiar al lector para que comprenda, y luego acepte, el universo social y cultural de origen, o bien transformar el texto original para que sea más aceptable para la nueva audiencia”.105 U. Eco anticipa las dos rutas que el traductor puede recorrer para resolver el límite: la Extranjerización y la Domesticación106. Adoptar la primera actitud significa poner en contacto al espectador, o lector, extranjero con un nuevo contexto cultural, “obligándolo” a conocerlo y absorberlo. Según esta estrategia, el traductor deja en paz su audiencia, dejándola elegir si aceptar o no las diferentes maneras de vivir y pensar. El objetivo es de preservar lo más posible el sabor de origen, el extranjerismo de la cultura de salida. Por lo contrario, la Domesticación desarraiga el texto de su hábitat de origen para adaptarlo al nuevo contexto. A través de esta estrategia se evitan los conflictos lingüísticos y culturales convirtiendo el texto en algo que sea plausible, aceptable y familiar fuera de las barreras de su cultura de origen. Ambas soluciones 105 U. Eco, Dire Quasi La Stessa Cosa, Bompiani Editor, Milán, 2003, p. 171. El teórico de la Traducción americano Lawrence Venuti introdujo los conceptos de Domesticación y Extranjerización haciendo referencia a un estudio del profesor Friedrich Schleiermacher sobre las traducciones target-oriented y source-oriented. 106 ~ 155 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta son fundamentales durante el proceso de traducción aunque la actitud ideal sea mantener la armonía y el equilibrio entre el texto de salida y el texto meta considerando los dos contextos, las dos culturas y los hábitos mediales de la nueva audiencia. El enorme gap entre estas dos estrategias es una de las grandes dificultades de la traducción audiovisual, por eso en este sector cuando hablamos de fidelidad del traductor hablamos de negociación entre elecciones validas y elecciones que son menos válidas pero siempre aceptables porque no pondrán en peligro la comprensión y el objetivo del texto de origen. Por un lado la traducción audiovisual es extremadamente vinculante, pero por el otro, resulta también extremadamente dúctil comparada con otras formas de traducción, por ejemplo, procesos como la globalización han universalizado, y también estandardizado, muchísimos aspectos sociales y culturales que, hoy en día, resultan familiares en todo el mundo y no hacen falta traducirlos. ~ 156 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta Capítulo Segundo: Las Trasferencias Lingüísticas, espejo de una cultura II.1 El doblaje como ventriloquio cultural “En la vida no hablamos todos de la misma manera, y no lo hacemos siempre de la misma manera. El adaptador tiene que preguntarse: ¿Cómo hablaría este personaje en esta situación específica si hablara mi idioma?” 107 En el capítulo anterior he hablado de las transferencias lingüísticas, este capítulo está dedicado a una de ellas: el proceso de doblaje. Considerando que los productos audiovisuales extranjeros, sobre todo estadounidenses, siempre han tenido muchísimo éxito en Europa y en América Latina es justo analizar más detalladamente la cuestión de las adaptaciones y de las prácticas que permiten al divo americano hablar español, como por arte de magia. El proceso de adaptación precede el del doblaje y a veces incluye las transformaciones de los diálogos para que se adapten y sincronicen a la versión original. El doblaje es el último paso en este largo proceso; entonces se sustituyen las voces de los actores originales con las de los actores locales que se graban después de la producción de la película pero antes de su distribución en la salas cinematográficas del país en cuestión. La del doblaje es una práctica muy antigua que ahonda sus raíces en el final de los años veinte y el 107 N.d.T. trad. Michela Lauritano. C. Wagstaff, Il Cinema Italiano nel Mercato Internazionale, Fondazione Agnelli Editor,Turín, 1996, p. 35. “Nella vita non parliamo tutti allo stesso modo, e non parliamo sempre allo stesso modo. Anche in un film è così. La domanda che l’adattatore deve porsi è: come parlerebbe quel tale personaggio in quella situazione se parlasse la mia lingua?” ~ 157 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta principio de los años treinta, un periodo histórico preciso cuyas idelogías, como el nacionalismo, se servían de esta técnica para controlar la información y fortalecer la identidad nacional. La evolución del doblaje ha permitido a muchísimos países, como Italia, Francia, España y América Latina especializarse en esta actividad y hoy se consideran como los “estudiosos” y partidarios de este tipo de transferencia lingüística. “Con el doblaje se pierde un 40% de la película, pero con los subtítulos un 60%... el doblaje solo es un mal menor.” (Alfred Hitchcock) Son indudables todas las polémicas que se despiertan sobre esta práctica. Hoy en día los puristas ponen en duda el trabajo de comunidades de traductores, adaptadores, actores y técnicos a beneficio de la versión original subtítulada, acusando el doblaje y la adaptación de desnaturalizar el producto y de comprometer su éxito en el extranjero. En un mundo americanizado cuyo segundo idioma es el inglés, se desdeñan con facilidad estas prácticas. En cambio, los partidarios de esta transferencia lingüística la consideran un vehículo de cultura, el arte infravalorado cuya importancia tiene que estar subrayada. En efecto, podemos considerar los procesos de adaptación y de doblaje como un mal necesario que acaba plasmando nuestra cultura, interesando las competencias lingüísticas, la manera de hablar y la de relacionarse con los otros. Antes que nada el proceso de adaptación, que antecede el del doblaje, además que resolver cuestiones traductivas tiene que tomar en consideración diferentes ~ 158 ~ factores culturales y Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta comunicativos. Los expertos hablan de factores internos cuando en los diálogos hay algunas expresividades verbales típicas de una zona geográfica, y factores externos108 cuando se refieren a la relación entre los interlocutores y la audiencia, en este sentido entran en juego otros elementos como la competencia lingüística de los espectadores en cuestión. Los que trabajan en este proceso, siendo primeros espectadores, desempeñan un papel fundamental: el del espectador modelo que gracias al grande conocimiento de su propia cultura y la del texto original, lo descompone, lo altera, lo analiza, lo impugna, si se da el caso, con el mismo criterio aplicado en la versión original para reconstruirlo después. De esta manera, a través de este proceso, se superan barreras y diversidades lingüísticas, y sobre todo, culturales. 108 M. Paolinelli, E. Di Fortunato, Tradurre per il Doppiaggio, Hoepli Editor, Milán, 2012, p.21. ~ 159 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta II.2 Historia del doblaje en España El nacimiento de la primera forma de doblaje coincide con el del cine mudo. Desde 1901 en las salas oscuras de Barcelona aparece, en la esquina de la pantalla, la figura del explicador cuya tarea era la de explicar al público español, en mayoría analfabeto, lo que pasaba en las escenas. El explicador improvisaba su explicación porque no podía ni prepararse ni memorizar la descripción. La figura del explicador desapareció con la llegada del cine sonoro cuando se empezaron a realizar los verdaderos. A primeros doblajes finales de los años veinte llegaron también a España las películas habladas pero resultaban incomprensibles para un público que, además, de ser analfabeto no conocía otro idioma que el suyo, lo cual imposibilitaba entenderlas. Para que el público fuera al cine se comienzan a realizar los primeros doblajes, llamados Doble Versión: los mismos actores, franceses o estadounidenses, rodaban la misma película en diferentes idiomas, los precursores de la doble versión fueron el Fox y el Goldwyn Mayer. En este periodo muchísimos talentos españoles llegaron a Hollywood para interpretar en español los personajes para la versión doblada. Esas versiones resultaban falsas porque los actores eran, por la mayoría, sudamericanos y la mezcla de variaciones lingüísticas para el público español resultaba ridícula y a veces incomprensible. La denegación del público español y los precios muy altos necesarios para rodar las películas muchas veces determinaron el ~ 160 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta nacimiento del doblaje en castellano pero todavía en los estudios franceses de la Paramount. En este periodo Edwin Hopking ideó la técnica de sincronización y luego Jakob Kard tuvo la idea de reemplazar el texto original por textos traducidos en otros idiomas así también los gasto de las versiones se reducieron. La primera película interamente doblada en español fue Entre la Espada y la Pared (1931) aunque la calidad del doblaje y de la traducción fueran muy escasas. En 1932, en Barcelona, se desarrolló la industria del doblaje y se estableció el primer estudio, bautizado con el nombre de T.R.E.C.E. Un año después se inauguraron en Madrid los famosos estudios Fono España. Desafortunadamente el doblaje nació bajo de la República así que, después de la Guerra Civil, la dictadura Franquista se sirvió de este “arte en la sombra” como instrumento de manipulación ideológica y control de la información. El 23 de abril de 1941 se promulgó una orden para prohibir la proyección cinematográfica en otros idiomas que no fuera el castellano. Además, el proceso de doblaje tenía que realizarse exclusivamente en territorio nacional por actores españoles. El Franquismo mermó irremediablemente todos los ámbitos culturales del país, incluso el doblaje que, bajo de la dictadura, no sólo suprimía las versiones originales sino las censuraba. Cuando Marlene Dietrich o Clark Gable tenían diálogos demasiados soeces para el régimen, se reemplezaba el texto sin sincronizarlo con los labios de los actores y los resultados eran bastante ridículos y pocos creíbles. Por ejemplo, en la película dirigida por Lewis Milestone en 1948, Arco de Triunfo, cuando a Ingrid Bergman le preguntaban si el caballero que la acompañaba era ~ 161 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta su esposo ella negaba claramente con la cabeza mientras en la versión doblada al español decía que “Si”. El 1947 es el año del doblaje de Lo que el viento se llevó109, fue realizado en los estudios del Metro Goldwyn Mayer y todavía está considerado como uno de los mejores en la historia española. El doblaje de esta célebre película marcó una línea para los estudios de esta disciplina. A partir de 1960 las series de producción estadounidense alcanzaron Europa, y España también; son los años de Ironside o La casa de la pradera. Desafortunadamente la televisión española (TVE) no tenía bastante dinero para doblarlas en territorio nacional entonces los doblajes se realizaban en estudios sudamericanos. Así que los personajes no hablaban con el acento castellano sino con el peculiar acento portorriqueño, rechazado por la mayoría de la audiencia castellana. En los años setenta, las teleseries americanas inundaron literalmente las pantallas europeas entonces también España tuvo que adaptarse a las circunstancias estableciendo otros estudios de doblaje en el país. Los años ochenta en toda Europa representaron el boom del doblaje y entonces de las teleseries americanas exportadas al extranjero gracias al nacimiento de las televisiones privadas y autonómicas, en este periodo en los estudios de Barcelona se desarrolla el doblaje por ritmo: los actores sincronizaban el texto siguiendo el ritmo de los labios sin haberlo memorizado antes. De esa manera se empleaba menos tiempo para doblar y los costos también bajaban. 109 Gone with the wind, es un clásico de la literatura estadounidense, escrito por Margaret Mitchell y convertido en otro clásico del cine en 1939 por Victor Fleming. ~ 162 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta En los años noventa se difundieron en las pantallas españolas las telenovelas sudamericanas mientras la televisión privada empezó a producir series propias. Eso representó una tragedia para el doblaje en España, además la situación se agravó porque entre 1988 y 1991 los precios subieron, así España se convirtió en el segundo país más caro de Europa por lo que se refería al doblaje. En estos años había una real guerra de precios porque muchos estudios cerraron, en consecuencia la calidad de los ajustes, de las traducciones y del doblaje resultaban muy escasas y el público acabó con conformarse. Los años noventa son años de luchas para preservar casi un siglo de profesión. Hoy en día la condición de este arte en España parece más estable debido a las nuevas infrastructuras tecnológicas y a las nuevas maneras de hacer y ver una televisión aun más “multicultural”. ~ 163 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta Capítulo Tercero: Analizar y Traducir la comedia de situación III.1 Definir un género: La comedia de situación Cuando hablamos de comedias de situación o, más generalmente, de sitcoms lo primero que subrayamos es el hecho de que son productos mediales típicamente norteamericanos que, por lo tanto, reflejan exactamente un mundo, una cultura y un estilo de vida específico. Prescindiendo de donde nacieron, es muy complicado acertar una definición correcta y exacta considerando que existen muchísimos productos televisivos que forman parte de esta categoría. Lo que es cierto es que la comedia de situación es un producto televisivo y al mismo tiempo industrial, cuyos puntos fuertes son: sencillez, comedia y humorismo. Parafraseando algunas definiciones desarrolladas por los expertos, se habla del género ideal para todas las televisiones 110 o de un sostén, el “pan y mantequilla” de todos los palimpsestos del horario central 111. Prácticamente se trata de un subgénero de la televisión americana cuyos episodios no duran más de una media hora, se rodan en los interiores, hacen reír y los chistes más eficaces están subrayados por las risas enlatadas. La sencillez y el humorismo ligero de este género siempre han despertado el interés del público aunque esa peculiaridad preñada no 110 Cfr J. Ellis, Seeing Things: Television in the Age of Uncertainty, Tauris Editor, Londres, 2005. 111 Cfr R. Butsch, Five Decades and Three Hundred Sitcoms About Class and Gender, Edgerton-Rose Editor, Londres, 2005. ~ 164 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta haga justicia a las dificultades de programación, adaptación y recepción en los otros países. En el árbol genealógico de la sitcom se encuentran el teatro, el cine cómico y la radio112. Uno de los distintivos fundamentales para analizar y describir este género es justo su teatralidad, desde siempre la sitcom ha sido considerada como una aproximación del teatro por su estructura. La dimensión teatral resulta casi obvia si consideramos cuatro factores fundamentales: su estructura en tres actos, la representación de la comedia a través de diálogos, personajes y situaciones, la ambientación en los interiores y luego la presencia del público, mejor dicho, de sus risas que sean reales o alteradas. Por lo que concierne a su estructura circular, como si fuera una representación teatral, su narración está dividida en tres partes: hay un equilibrio inicial que se rompe en el prólogo, las consecuencias de esa ruptura en la parte central y la resolución en la parte final cuando todos los equilibrios se restablecen y cada personaje parece regresar en su caja junto a sus aspectos peculiares. Al final del episodio todo parece volver a su punto de partida. Otra característica que acerca las sitcoms a la dimensión teatral es su relación con la audiencia en casa. Antes que nada el público de la sitcom es un público que podemos definir domesticado, siendo educado a reír al momento oportuno a través de las risas “preempaquetadas” empleadas para simular la presencia del público en la escena o cuando sus risas no son bastante fragorosas. El origen de este recurso sonoro remonta a los años cincuenta, los técnicos americanos necesitaban 112 La primera comedia de situación radiofónica fue Sam and Harry, emitida por la radio WGN de Chicago en 1926. ~ 165 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta introducir estas risas para crear empatía con el público fingiendo su presencia en sala; tal vez se acentuaban, y todavía se acentúan, con aplausos y ovaciones. El primer programa televisivo donde se emplearon las risas enlatadas fue The Hank McCune Show en 1950. La cuestión de las risas enlatadas causa muchísimas críticas sobre las comedias de situación y su manera de hacer reír los espectadores en casa. En efecto muchos de ellos rechazan este recurso considerándolo un mensaje subliminal, una real manipulación o hasta un insulto a la inteligencia del público sentado en el sofá. Con tal propósito, B. Placido 113, firme opositor de este recurso, elaboró unas interesantes definiciones de este distintivo en su columna, comparando esas risas a la “descarga de agua” durante estos tipos de programas: Me doy cuenta de que sea un término grosero, [...] pero no me entero de cómo se pueda definir ese chaparrón de risas falsas, artificiales, grabadas que interrumpen los episodios de estas comedias de situación americanas. [...] De vez en cuando hay alguien que descarga el agua ruidosamente y se viene abajo el chaparrón de risas: prefabricadas. O también él afirma que se trata de risas mecánicas, grabadas y utilizadas para decir: ¡Por lo que estamos pasándolo bien! ¿Estáis pasándolo bien vosotros en casa también?. Se trata de una costumbre, mejor dicho una mala costumbre, que hemos adoptado de la televisión americana y aplicado mecanicamente por doquier. Estas risas se emplean por diferentes razones, para establecer un contacto con el espectador transmitiéndole este sentido de comunidad, 113 Periodista, presentador de televisión y crítico de literatura italiano. Trabajó para el célebre diario italiano de información general La Repubblica, escribiendo su columna de crítica de televisión titulada A Parer Mio. ~ 166 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta para “guiarlo” y también para cuestiones puramente técnicas, como por ejemplo camuflar los intervalos de montaje. III.2 Clasificación y Evolución de la sitcom de los años cincuenta a los años dos mil. Hay muchísimos estudios y análisis que clasifican las comedias de situación americanas, la más general ha sido desarrollada por el escritor López y citada en el ensayo escrito por Padilla y Roqueijo, en esta clasificación encontramos también referencias a productos televisivos propiamente españoles 114: Comedias Familiares: Los problemas crecen (Growing pains), Matrimonio con hijos (Married with children). El marco distintivo es el hecho de que todos los conflictos cotidianos se desarrollan en el ambiente familiar. Comedia Coral: Friends, The Big Bang Theory, Aquí No Hay Quien Viva, 7 Vidas. No hay un protagonista único sino también diversos, todos en el mismo nivel. Comedia con un Vehículo Estrella: La Hora de Bill Cosby (The Cosby Show), The Dick Van Dyke Show, Roseanne, Seinfield, I Love Lucy, Médico de Familia. El éxito y la fidelidad del espectador está debida a la presencia de un personaje conocido y que ya tiene su público. La sitcom está construida a su alrededor. 114 G. Padilla-Castillo, P. Requeijo-Rey, La sitcom o comedia de situación: origenes, evolución y nuevas prácticas, Fonseca, Journal of Communication 2172-9077 Num. 1, Madrid, 2010. http://dialnet.unirioja.es/descarga/articulo/3635127.pdf (visitado el 20 de gennaio de 2014) ~ 167 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta Comedia Social: se trata de comedias que se sirven del elemento humorístico para afrontar cuestiones sociales y políticas, un ejemplo es la serie americana M*A*S*H nacida en los años setenta como protesta a la Guerra de Vietnám. Comedia Racial: El Príncipe de Bel-Air (The fresh prince of BelAir), Cosas de Casas (Family Matters), o sea dirigidas a un público específico, como el afroamericano. Comedia Generacional: Salvados por la Campana (Saved by the Bell) Skins, Patito Feo. Comedias para un público muy joven. Comedia Fantástica: Embrujada (Bewitched), Mi Bella Genio (I Dream of Jeannie) cuyo marco distintivo son acontecimientos fantásticos que se mezclan con elementos humorísticos y cotidianos. Aunque cada país y sistema medial tenga una propia evolución y clasificación del género de la comedia de situación, en 1981 ha sido elaborado otra clasificación aún más general que divide las sitcoms en periodos temporales específicos. Según el autor americano A. Houghs, podemos clasificar las sitcoms americanas de 1949 a 1978 en dos grupos115: Sitcom familiares que se dividen en familia tradicional (19491955), familia nuclear (1955-1956), familia excéntrica (19651975) y familia social (1970-1978). Sitcoms no domésticas, es decir primeras comedias (1948-1955), comedias militares (1955-1970), comedias de negocios (19601965), comedias de fantasia (1965-1970), comedias rurales (1960115 A. Hough, Trials and Tributation, thirty years of sitcoms, en Understanding television: Essays on television as a social and cultural force, Richard Adler Editor, Nueva York, 1981, p.201-223. ~ 168 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta 1970) comedias de aventura (1965-1970) y comedias de grupos profesionales (1970-1978). Después del análisis de las clasificaciones elaboradas por expertos y críticos televisivos, estudiamos ahora una breve evolución de la sitcom en cuanto género que influenció las perspectivas sociales y culturales a través de las pantallas televisivas de los años cincuenta a los años dos mil. En 1951 se emitió la primera sitcom estadounidense, I Love Lucy (Yo Quiero a Lucy, en España). El argumento es la vida cotidiana y matrimonial de una pareja mista, Lucy, una mujer estadounidense, y Ricky, un hombre cubano. En los episodios se subrayan las diferencias entre las dos culturas. I Love Lucy tuvo un gran éxito tanto en América como en otros países europeos y su éxito inesperado influyó en todos los productos siguientes, marcando los signos distintivos de lo que se convirtió en un género específico. Los años cincuenta son los de la comedias de familias donde se subrayan los valores familiares tradicionales. Las protagonistas eran siempre familias burguesas y felices donde el marido trabajaba y la mujer se ocupaba de los hijos y del hogar. En los años sesenta se desarrollaron tramas argumentales más diversas, eran los años de comedias bélicas como M*A*S*H o de las de fantasía como Embrujada. Siempre en este periodo se empezaron a rodar sitcoms cuyos protagonistas eran personajes conocidos para que el índice de audiencia aumentara. En los años setenta, en línea con el espíritu del 68, había una corriente innovadora y se enfrentaron cuestiones sociales que se habían ignorado. Las comedias empezaron a hablar de mujeres solteras ~ 169 ~ y Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta felices, se olvidaron los valores de la familia tradicional, poniendo la atención en las relaciones personales. En los años ochenta ocurrió una crisis en este ámbito debida a los costes de realización que resultaban demasiado altos con respecto a la demanda de la audiencia que empezó a interesarse a otros productos televisivos. En 1984 La Hora de Bill Cosby alcanzó las pantallas americanas levantando la suerte de este género. En los años noventa se enfrentaron nuevos argumentos, y el éxito de este género en este periodo está debido justo a sus variados argumentos. Habían tramas para todos los gustos, se empezó a hablar de homosexualidad y de familias atípicas. En este periodo se destacaron Friends, Seinfield y One foot in the Grave. Los años dos mil determinan por un lado una revolución en las prácticas de realización de sitcom, en efecto se empiezan a utilizar cámaras manuales y una iluminación más natural mientras los actores se vuelven hacía el público; por otro lado se conservan las características típicas de este género que podíamos encontrar también en las primeras sitcoms, como por ejemplo las risas enlatadas, la presencia del público o la duración de media hora, más o menos. En los años dos mil la comedia de situación está revalorizada y productos como The Big Bang Theory o How I Met Your Mother han vencido premios de televisión muy importantes. Quizás que la crisis económica y la de ideas cinematográficas no hayan influido positivamente en el éxito de este género, a veces infravalorado pero que siempre ha sido el emblema de aquella ligereza, naturalidad y autenticidad (también televisiva) que en este momento histórico nos falta. ~ 170 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta III.3 Entender y traducir el humor En la primera parte del capítulo hemos definido el género de la comedia de situación nortemaericana, su estructura y distintivos, su origen y su evolución. Ahora hablamos de algo crucial para que las comedias tengan éxito dondequiera: El humor y su traducción. Definir y estudiar el humor no es tarea fácil, en general podemos hablar de todo lo que pertenece a la comunicación humana cuando produzca risas o sonrisas en los destinatarios. Por lo que concierne a la interrelación entre humor y traducción audiovisual, como sostiene Zabalbeascoa, “es posible estudiar el humor como un aspecto de la traducción o la traducción como un aspecto del humor, y lo mismo podríamos decir de estos dos con respecto a la comunicación audiovisual hasta agotar todas las combinaciones posibles.”116 La mayoría de los estudios sobre la traducción del humor en los textos audiovisuales se reconcentran en dos factores que la diferencian de las traducciones tradicionales: la dificultad al trasladar ciertos chistes, juegos de palabras y elementos culturales característicos, y luego una posible intraducibilidad. Lo que hace la traducción del humor muy compleja es el hecho de que el humor aparece en textos cuyos objetos son distintos y la tarea del traductor será la de individuar el elemento humorístico y luego detectar la función y el tipo de prioridad en el texto específico. A continuación expongo una clasificación elaborada por 116 P. Zabalbeascoa Terran, La Traducción del Humor en Textos Audiovisuales, art. Acádemico para Universitat Pompeu Fabra (Barcelona), p. 251. ~ 171 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta Zabalbeascoa para individuar las prioridades del humor en los textos audiovisuales117: Prioridad Alta: Hablamos de prioridad alta en las comedias de situación donde el elemento humorístico representa “la linfa” de todos los episodios cuyo objeto es lo de conseguir un buen nivel de audiencia. Prioridad Media: En las ficciones de aventuras o románticas (Pulp Fiction, Pretty Woman, Cabaret, Cantando bajo la lluvia) donde el elemento cómico representa un ingrediente importante, pero no fundamental como en las comedias de situación. Prioridad Baja: Cuando el elemento humorístico tiene una prioridad baja no significa que no tenga importancia sino que se convierte en una prioridad local, por ejemplo en las tragedias de Shakespeare habían muchísimos juegos de palabras o referencias irónicas. Prioridad Negativa: Cuando no hay alguna necesidad de inserir elementos que sean cómicos. Por ejemplos en las películas de terror. Un antiguo aforisma nos dice que todas las personas se ríen en el mismo idioma. No hay duda de que la manera es siempre la misma, pero lo que es diferente es el porqué ellos se ríen y eso confirma el hecho de que el humor y el contexto cultural donde se desarrolla están extremadamente liados entre ellos. Por eso F. Cavaliere habla de racist 117 P. Zabalbeascoa Terran, Ibidem, p.256. ~ 172 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta humor 118 (humor racista) en el sentido de que su estrecha conexión con el contexto cultural y social, muy a menudo, le impide superar las barreras. A veces la ironía se puede compartir gracias a conceptos conocidos mundialmente, pero ¿qué ocurre cuando está tan enraizada en su contexto que resulta imposible compartirla con otros esquemas socioculturales y cognitivos? “Para comprender el humor hay que restituirlo a su ambiente natural, o sea la sociedad. Sobre todo hay que determinar su función util, es decir función social.”119 Tener que ver con dos idiomas diferentes significa tener que ver también con dos culturas, antes que empezar a traducir el humor es fundamental ahondar ambos roles de la cultura original y de la terminal en los dos contextos. A propósito de función y papel del humor dentro de una sociedad, siempre se ha utilizado el humor con diferentes fines como el propagandístico, didáctico, el crítico y el retórico. El fin autocrítico es lo que resulta más enraizado en su contexto y difícilmente podrá convertirse en otras sociedades conservando el elemento de autocrítica de algunos aspectos de una sociedad específica. Prescindiendo del papel y de la función del elemento humorístico en la sociedad, que se conservan también en las versiones traducidas, otra cuestión fundamental es la tipología de humor con la que un traductor se enfrenta. En general el humor se reconoce gracias a juegos de palabras, de conceptos o de situaciones, más detalladamente, en sus 118 Cfr F. Cavaliere, Can Culture Specific Humor Really Cross the Border?, art. Acádemico en Textus XXI, 2008. 119 N.d.T. trad. Michela Lauritano. H. Bergson, Saggio sul significato del comico, Laterza Editor, Roma-Bari, 1993, p.7. “*…+Per comprendere il riso bisogna riportarlo nel suo ambiente naturale , che è la società, bisogna soprattutto determinarne la funzione utile, che è funzione sociale.” ~ 173 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta estudios H. Bergson reconoció diversos modelos de comicidad, entre ellos hay: Comicidad de costumbres Comicidad de carácter Comicidad de repetición Comicidad de situación Comicidad verbal La comicidad de carácter, de costumbre y de situación están caracterizadas por un umbral de traducción más alto con respecto a la comicidad verbal y de repetición cuyos juegos de lenguas no permiten exportarlas sin emplear negociaciones, traiciones y estrategias. En este sentido, el cambio de la ironía de una realidad a otra conlleva un confronto entre dos principios: lo cultural y lo creativo. Si el primero ancla el texto original a su contexto conservando su especificidad, el segundo lo impugna para que sea más cercano a la cultura terminal a través de eliminaciones y forzamientos. Traducir el humor implica problemas que son más interculturales que simplemente intralingüísticos, a confirmación de eso podemos tomar como ejemplo la adaptación de la pieza de teatro inglés The Play That I Wrote escrita por Sean Foley y Hamish McColl en 2001120. Es la historia de dos importantes y famosos cómicos ingleses, Morecambe y Wise, que deciden hacer resurgir su espectáculo teatral. The Play That I wrote rebosaba de referencias a chistes, juegos de palabras y costumbres 120 Cfr D. Chiaro, Verbally expressed Humor and Translation: An overview of a neglected field, art. Acádemico en Humor 18-2 (2005), p. 136. ~ 174 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta que hizo famosa la pareja y por eso en Inglaterra tuvo muchísimo éxito. Cuando decidieron exportarlo a Estados Unidos, en 2003, hubo que ajustarlo para que los americanos pudieran reír tanto como los ingleses. Aunque estemos hablando, más o menos, del mismo idioma, decidieron sustituir todos los chistes y los juegos de palabras demasiado british para que el producto final se acercara a los gustos y al sentido del humor estadounidense. No obstante los cambios, los espectadores estadounidenses parecieron desorientados y confusos y la pieza no fue un gran éxito. El chasco de la pieza teatral inglesa en los teatros de Broadway nos confirma el hecho de que el humorismo difícilmente puede cruzar la frontera de su país de origen, sobre todo cuando está privado de su “linfa”. Esta intraducibilidad no tiene nada que ver con las competencias del traductor sino con las muchísimas implicaciones socioculturales. En este sentido podemos concordar con R. C. Solomon cuando dijo que “el contexto y las presuposiciones del humor representan lo más profundo y complejo de una cultura. [...] La comprensión del humor es la última barrera que necesitamos sobrepasar para que se pueda comprender completamente una cultura extranjera.”121 121 N.d.T. trad. Michela Lauritano. R.C. Salomon, Racist Humor: Notes toward a cross cultural understanding, 1997, p.20. “The background and the presuppositions of humor go deeper and are more complex than virtually anything else in a culture.*…+ Humor is the last frontier to be crossed, in the complete understanding of a culture” ~ 175 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta III.4 Traducir los chistes en textos audiovisuales En la adaptación de las comedias de situación, la traducción de bromas y chistes siempre presenta muchas complicaciones, siendo el humor el espejo de una cultura y de una sociedad y siendo su traducción literal casi siempre incomprensible para otras. P. Zabalbeascoa ha desarrollado una interesante clasificación de los chistes más típicos que un traductor puede encontrar y la manera en que estos se prestan a la traducción122: El chiste Internacional: es decir un chiste independiente, cuyos elementos cómicos no tienen ningún vínculo o familiaridad con el contexto de origen. Es el más fácil de traducir, siempre y cuando el chiste resulte binacional, o sea común a ambas culturas. El chiste cultural-institucional: o sea un chiste que hace referencia a instituciones o elementos culturales o nacionales que, por la mayoría de las veces, resultan incomprensibles y desconocidos a otras sociedades. Si estamos hablando de algo globalmente conocido de la cultura de salida, no hay que cambiarlo o adaptarlo para otras, en caso contrario tendrá que ser modificado con algo más familiar a los destinatarios de la traducción. Una estrategia común es sustituir los nombres de marcas comerciales o de personas famosas con algo más conocido en la cultura meta. He aquí un ejemplo en la traducción de un diálogo de la sitcom americana Will&Grace (1x1): 122 Cfr P. Zabalbeascoa Terran, La Traducción del Humor en Textos Audiovisuales, art. Acádemico para Universitat Pompeu Fabra (Barcelona), 2005. ~ 176 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta Will: You are not going to come over, you want me to, uh… talk you through it? Grace: It‟s tempting, but I think I‟ll watch ER here. Versión Española Will: Bueno, si no vas a venir, ¿quieres que te lo cuente? Grace: Tentador, pero veré Sensación Triunfo aquí. El chiste Nacional: es decir elementos humorísticos que se basan en estereotipos, géneros cómicos como la sátira política o la parodia literaria, Zabalbeascoa describe todos estos tipos de chistes como un conjunto del sentido del humor nacional. Un ejemplo para explicar más detalladamente este chiste es el de la sitcom británica Fawlty Towers donde el español Manuel (de Barcelona) está dibujado como un chico muy bufo y, a veces, ridículo. Cuando España adquirió el producto decidió cambiar su nacionalidad de española a mexicana para no ridiculizar la imagen de los compatriotas de Barcelona en las pantallas nacionales. El chiste Lingüístico-Formal: es decir juegos lingüísticos basados en fenómenos lingüísticos como la rima, la polisemia o las referencias metalingüísticas. El objeto de estos chistes en las versiones originales es el de subrayar algunos virtuosismos o equívocos lingüísticos y por esta razón son muy difíciles de traducir. Por ejemplo en la película inglesa Cuatro Bodas y un ~ 177 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta Funeral el cura confunde unas palabras y el impacto en las dos versiones resulta totalmente diferente: Priest: […]Jesus Christ our Lord, who lives and reigns with you and the Holy Goat... Versión española Cura:[...] Nuestro Señor Jesuscristo que vive y reina contigo y el Espíritu Sano... En la versión original él confunde la palabra God (Dios) con la palabra Goat (cabra), mientras en la española simplemente se equivoca y el Espíritu Santo se convierte en Espíritu Sano. El Chiste No Verbal: es decir el chiste típico del cine mudo cuyos elementos humorísticos se reflejan en las imágenes y en el sonoro. El chiste Paralingüístico: o sea la combinación de palabras y gestos visuales como por ejemplo el uso de la mímica o la combinación de palabras y caídas o apariciones improvisas. ~ 178 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta El chiste Complejo: ocurre cuando todos los chistes mencionados antes se combinan y se mezclan entre ellos en un único texto audiovisual, en otras palabras el chiste complejo es uno de los retos más grandes para cualquier traductor. Entre las clásicas estrategias que un traductor puede emplear para resolver los chistes u otras problemáticas de traducción 123 hay dos que más pueden comprometer el éxito o el fracaso de un producto audiovisual al extranjero. Se trata de las estrategias de domesticación y extranjerización. Si la primera convierte el texto original en algo más cercano a la cultura receptora para que se eviten choques culturales, o culture bumps124, la segunda es el exacto contrario: el texto se adapta sin privarlo de su especificidad. De esta manera el traductor permite al destinatario conocer otra cultura diferente da la propia. Dos ejemplos en el sector audiovisual español que pueden explicar de manera mejor lo que significa domesticar y extranjerizar, son las adaptaciones del personaje de la televisión inglesa Ali G y la de la sitcom americana La Niñera (The Nanny). En el primer caso se decidió naturalizar completamente el producto, demasiado específico para un público español. El personaje de Ali G, en la película Ali G Indahouse (2002), fue inventado e interpretado en 1998 por el cómico inglés Sasha Baron Cohen y representa una parodia del estereotipo del hombre blanco inglés de la clase trabajadora media del oeste de Londres, que intenta imitar a los 123 El préstamo lingüístico, la explicitación, el calco, la sustitución, la transposición, la modulación, la compensación y la traducción literal. 124 Cfr C. Archer, Culture Bump and Beyond, University of Huston, p. 170. ~ 179 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta rappers negros estadounidenses. Todo lo que dice y hace Ali G es politícamente incorrecto y a través de su conducta grosera y mal educada, tal vez exagerada, se describen los estereotipos de la sociedad juvenil inglesa, sobre todo la de los suburbios londinenses. Esta película rebosaba de elementos culturales específicos entonces se optó por su domesticación a la cultura receptora. En la adaptación española, Ali G pasó a ser español: se convierte en Ali José y el barrio de Londres donde él vive, Staines, se modificó en Lugo, una de las provincias de Galicia. Para arrancar las risas al nuevo público en el proceso de adaptación se cambiaron todas las referencias a la música rap americana porque, según los ajustadores, los españoles no tenían un gran conocimiento sobre este argumento. Se introducieron también muchas referencias a actores y personajes del mundo del espectáculo español, y para naturalizar las costumbres se decidieron cambiar también los alimentos, así que la cream cake se convirtió en bocata de panceta. Otro problema que requirió un gran esfuerzo por parte de los traductores en la adaptación domesticada de Ali G fue el uso de un argot londinense típico de los jóvenes que se mezclaba con elementos agramaticales (muy a menudo en la versión original él dice I love me Lucy, confundiendo el pronombre personal objeto me con el adjetivo posesivo my), del Black English y del Inglés jamaicano. En la versión española se optó por un lenguaje más plagado que el original, caracterizado por coloquialismos y frases hechas típicas del argot juvenil español. En línea con el humor español se utilizaron muchas comparaciones (“estoy más parado de un avión de mármol” o también “os temo más que a un nublado” 125). La adaptación 125 C. Botella Tejera, La naturalización del humor en la traducción audiovisual: traducción o adaptación? El caso de los doblajes de Gomaespuma: Ali G Indahouse, Universidad de Alicante, revista electrónica de estudios filológicos, número XII, diciembre 2006. ~ 180 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta de Ali G dio pie a muchas criticas y se planteó la idea de que se había ridiculizado la versión original modificando todo lo que la definía. De lo contrario, un ejemplo de extranjerización fue la adaptación de la comedia de situación americana The Nanny. La versión original hablaba de una niñera judía neoyorquina que empieza a trabajar en la casa de un refinado inglés, el Señor Sheffield. La personalidad excéntrica e invasora de Fran y su familia, que representan los estereotipos de los judíos neoyorquinos, se contrapone a la elegancia y a la discreción del hombre inglés. Diversamente de otros países europeos, como Italia que adoptó un acercamiento totalmente domesticante, en los países latinoamericanos se optó por una estrategia extranjerizante. Hay diferentes versiones de La Niñera en el mundo hispánico, las que tuvieron mucho éxito fueron dos: la simplemente doblada y la argentina, relocalizada en Buenos Aires. Mientras en la primera simplemente se dobló la versión norteamericana, en Argentina se decidió de representarla otra vez totalmente, ambientando la comedia en Buenos Aires y empleando actores argentinos. Obviamente, en la versión argentina se modificaron todos los nombres y las orígenes de los personajes, así que Fran Fine se convirtió en Flor Finkel, judía de Lanús, y Maxwell en Juan Manuel Iraola, empresario viudo y acomodado de Buenos Aires. No obstante los cambios en la versión local, en ambas adaptaciones se conservaron todos los elementos culturales específicos de la versión original, sobre todo el hecho de que la niñera era judía y a veces, hablaba en Yidis, el idioma hablado por las comunidades judías (lo que requirió un gran esfuerzo para los traductores italianos, por ejemplo). En el diálogo siguiente de la versión doblada, los dos hombres, Maxwell y su mayordomo Niles, están esperando a la niñera, Fran, e ~ 181 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta intentan hablar utilizando palabras en yidis, equivocándose. Si en el episodio italiano este diálogo ha sido completamente modificado, en la versión latinoamericana se queda casi íntegro, solo se modifican las palabras en yidis con otras palabras igualmente incomprensibles: Maxwell: ¿Dónde está la señorita Fine? Maxwell: Where is Miss Fine? Niles: Oh, está arriba eligiendo su fapitzer. Niles: She’s fapitzed Maxwell: ¿Y eso qué es? Maxwell: What does that mean? Niles: Niles: you know, dressed. No sabe, atuendo... Maxwell: I flubunged... Maxwell: Creo que es farluz... Niles: upstairs thought getting that all was No señor, ese es confundido. Niles: No, sir, that means confused. Maxwell ¿No es estar cuchet? Niles Maxwell: No, man, that’s fechachda. ¿Entonces qué es Formechel? Maxwell Creo que es su tío. Niles: Well, then, what’s fishimeld? Maxwell: I think that’s her uncle. (La Niñera, 3x1- Amigo por correspondencia/ The Nanny, 3x1- The Pen Pal) ~ 182 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta Conclusiones El experimento de Ulrichs citado en el primer capítulo nos enseña que todas las variaciones, las impugnaciones y las desarraigaciones que se encuentran en un texto traducido siempre se convierten en una parte integrante del mismo texto. Lo completan, lo rediseñan para ojos diferentes. Y esta es la mismísima razón para que ha sido inventada una disciplina llamada Traducción. Algunas adaptaciones de productos mediales americanos representan un claro ejemplo de manipulación textual y cultural. Se trata al mismo tiempo de una manipulación inevitable, de un mal necesario, que puede transformar algo profundamente americano en algo profundamente italiano, español o francés. No cabe duda de que las adaptaciones “subversivas” del humor dan pie a críticas, ventajas e inconvenientes, pero también no cabe duda de que, analizarlos, desde un punto de vista traductológico, resulta más interesante considerando que significa analizar dos culturas, diferentes estereotipos y dos maneras de reír y entender la palabra humorismo. Para los expertos analizar la cuestión de la adaptación del humor en los productos audiovisuales como las comedias de situación, puede ofrecer motivos de reflexión. Traducir algo tan simple y espontáneo como el humor no es tarea fácil, sobre todo cuando su prioridad es muy alta, detrás de lo que nos hace reír frente a la televisión se esconden nuestras idiosincrasias, nuestros hábitos, sobre todo los que nos dan vergüenza. Detrás del humor se esconden hechos de cultura “íntimos” y traducirlos, muy a menudo, significa privarlos de su inspiración, significa traducir dos culturas, comparándolas. En este sentido estoy de acuerdo con F. Cavaliere ~ 183 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta cuando define el humor “racista”, porque no se abre a otros contextos y difícilmente se puede trasladar sin cambios radicales. Para cogerlo y entenderlo “mondo y lirondo” es necesario un profundo conocimiento de la cultura de salida, un conocimiento total que va más allá de la cognición lingüística. Para concluir el análisis podemos delinear las ventajas y las desventajas de la naturalización y extranjerización de los productos audiovisuales. En el caso de Ali G los traductores decidieron guiar los espectadores españoles, desarraigando el producto medial de su contexto original. En cambio, en el caso de la versión española de La Niñera, optaron por mantener las peculiaridades de la protagonista, acercando al mismo tiempo el público a nuevos estereotipos. Por lo que concierne a la versión argentina podemos hablar de extranjerización parcial, puesto que todo ha sido re-localizado en Buenos Aires. Si por un lado a través de la naturalización, o domesticación, el traductor da la mano al espectador facilitando su comprensión, por otro el mismo espectador podría percibir que lo que está mirando no tiene nada que ver con su mundo, preeligiendo, de esta manera, la versión original. Domesticar a veces puede representar un real desafío por el traductor o también una reacción a la constante globalización medial, de todas formas por la mayoría de los casos se opta por esta estrategia por razones puramente comerciales. Lo que me indujo a ahondar el sector de la traducción audiovisual, especialmente por lo que se refiere a las comedias de situación, ha sido el fuerte interés y curiosidad tanto para el producto final, “reempaquetado”, como para este género televisivo con el que crecí, sencillo a los ojos de los espectadores pero tan complicado y estimulante si analizado con los ojos del traductor. ~ 184 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta ~ 185 ~ Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta Bibliografia Antler J. Epilogue: Jewish Women on Television, University Press of New England Hanover, 1997. Antler J. Epilogue: Jewish Women on Television, University Press of New England, Hanover, 1997. Archer C. Culture Bump and Beyond, University of Huston. Barra L. Risate in Scatola, Vita e Pensiero Editore, Milano, 2012. Baudrillard J. Amérique, Grasset Editore, Parigi, 1986. Bergson H. 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