scuola superiore per mediatori linguistici

Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
SCUOLA SUPERIORE PER MEDIATORI LINGUISTICI
(Decreto Ministero dell’Università 31/07/2003)
Via P. S. Mancini, 2 – 00196 - Roma
TESI DI DIPLOMA
DI
MEDIATORE LINGUISTICO
(Curriculum Interprete e Traduttore)
Equipollente ai Diplomi di Laurea rilasciati dalle Università al termine dei Corsi afferenti alla
classe delle
LAUREE UNIVERSITARIE
IN
SCIENZE DELLA MEDIAZIONE LINGUISTICA
Nuovi racconti di una stessa storia:
Tradurre la sitcom negli anni novanta
RELATORI:
CORRELATORI:
prof.ssa Adriana Bisirri
prof.ssa Marilyn Anne Scopes
prof.ssa Luciana Banegas
prof.ssa Claudia Piemonte
CANDIDATA:
Michela Lauritano
ANNO ACCADEMICO 2012/2013
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Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
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Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
A me stessa, per l‟impegno e la curiosità.
A mia madre e mio padre, per i sacrifici.
A Londra, per avermi aspettata.
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Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
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Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
NUOVI RACCONTI DI UNA STESSA STORIA:
TRADURRE LA SITCOM
NEGLI ANNI NOVANTA.
~5~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
Sommario
SEZIONE LINGUA ITALIANA ...............................................................................9
Introduzione ................................................................................................... 10
Capitolo Primo: Teoria della Traduzione Audiovisiva........................................ 14
I.1 Nuovi racconti di una stessa storia .................................................................. 14
I.2 Jakobsòn e la Traduzione come concetto ........................................................ 16
I.3 La traduzione audiovisiva e i suoi ambiti ......................................................... 18
I.4 Vincoli tecnici e vincoli culturali ....................................................................... 21
I.5 Elementi Culturospecifici.................................................................................. 25
I.6 Le strategie del traduttore ............................................................................... 29
Capitolo Secondo: Il doppiaggio come ventriloquia culturale ........................... 35
II.1 Pro e Contro di un’arte imperfetta ................................................................. 35
II.2 La lingua italiana attraverso il doppiaggio ...................................................... 40
II.3 Storia del doppiaggio, storia di un’ideologia ................................................... 42
Capitolo Terzo: Tradurre la sitcom ................................................................... 45
III.1 La sitcom: il pane e marmellata dei palinsesti ............................................... 45
III.2 La sitcom americana: dagli anni cinquanta agli anni duemila........................ 48
III.3 La coscienza di massa attraverso un genere .................................................. 53
III.4 False partenze ed eterni ritorni ...................................................................... 56
III.5 L’abbuffata commerciale degli anni ottanta .................................................. 58
III.6 Gli adattamenti forzati degli anni novanta .................................................... 59
III.7 Che cosa significa tradurre una risata? .......................................................... 63
Capitolo Quarto: Fran Fine&Francesca Cacace ................................................. 67
IV.1 Il caso: La Tata ................................................................................................ 67
IV.2 Stereotipi a confronto .................................................................................... 71
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Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
IV.3 Dallo Yiddish al Ciociaro ................................................................................. 76
IV.4 Il Cantore e il Matrimonio: una questione di incongruenze .......................... 81
IV.4.1 The Cantor Show - L’unto del Signore… si può smacchiare (3x24) ......... 82
IV.4.2 The Wedding part II- Questo matrimonio s’ha da fare parte seconda
(5x23) ................................................................................................................. 88
Conclusione .................................................................................................... 93
ENGLISH SECTION ........................................................................................... 96
Introduction ................................................................................................... 97
Chapter One: Topics in Audiovisual Translation ............................................... 99
I.1 Same story, different versions ......................................................................... 99
I.2 Jakobsòn and the Translation process as a concept ...................................... 101
I.3 Fields and limits of audiovisual translation .................................................... 103
Chapter Two: Can culture-specific humor really “cross the border”? .............. 109
II.1 Culture-specific elements in translation ....................................................... 109
II.2 How to translate a culture-specific element ................................................. 111
II.3 Translating the Verbally Expressed Humor: An intercultural issue............... 119
Chapter Three: How The Nanny became La Tata............................................ 123
III.1 Defining a genre: The Situation Comedy...................................................... 123
III.2 Classification and Evolution of the situation comedy .................................. 125
III.3 Translating sitcoms: The Nanny abroad ....................................................... 129
III.4 Comparing stereotypes ................................................................................ 132
III.5 From Yiddish into Italian dialects ................................................................. 135
III.6 The Wedding and The Cantor Show: A matter of incongruities ................... 138
Conclusion .................................................................................................... 142
SECCIÓN ESPAÑOLA ...................................................................................... 145
Introducción ................................................................................................. 146
Capítulo Primero: Teoría de la Traducción Audiovisual .................................. 148
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Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
I.1 Nuevos cuentos de la misma historia ............................................................ 148
I.2 Jakobsòn y la Traducción como concepto...................................................... 150
I.3 La Traducción Audiovisual: ámbitos y vínculos .............................................. 152
Capítulo Segundo: Las Trasferencias Lingüísticas, espejo de una cultura ......... 157
II.1 El doblaje como ventriloquio cultural ........................................................... 157
II.2 Historia del doblaje en España ...................................................................... 160
Capítulo Tercero: Analizar y Traducir la comedia de situación ........................ 164
III.1 Definir un género: La comedia de situación................................................. 164
III.2 Clasificación y Evolución de la sitcom de los años cincuenta a los años dos
mil. ........................................................................................................................ 167
III.3 Entender y traducir el humor ....................................................................... 171
Conclusiones ................................................................................................ 183
Bibliografia ................................................................................................... 186
Sitografia...................................................................................................... 190
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Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
SEZIONE LINGUA ITALIANA
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Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
Introduzione
“Per comprendere il riso bisogna riportarlo nel suo ambiente
naturale che è la società, bisogna soprattutto determinare la funzione
utile, che è funzione sociale. Se la risata è un fenomeno esclusivamente
umano, e anche universalmente umano, al tempo stesso, la sua
esperienza varia con il variare delle culture. Il comico dipende sempre
dallo specifico ambiente all’interno del quale si mostra.” 1
Trasportare il comico e l’ironia da un contesto culturale ad un altro
è decisamente complesso considerando che è proprio quel contesto,
spesso, a contare più dello stesso testo. Il processo di adattamento e la
successiva adozione di un prodotto mediale straniero in un contesto
culturale e sociale completamente diverso, può quindi comportare una
sorta di “riappropriazione nazionale” che avvicina, che adegua, quel
prodotto ai gusti e alle aspettative di un determinato pubblico. Questo
mio lavoro si propone quindi di illustrare e prendere in esame il difficile
processo di traduzione e adattamento della situation comedy americana
in contesti sociali e culturali completamente differenti, un processo che
in alcuni casi ha portato alla completa trasformazione e ad uno
stravolgimento del prodotto originale, per far sì che questo potesse
andare incontro alle nostre necessità, alla nostra storia, al nostro modo di
ridere davanti la TV. Non può trattarsi quindi di un solo cambio di
lingua ma, spesso, di una vera e propria riscrittura del prodotto originale
per spedirlo altrove, in un altro Paese, conferendogli nuove
interpretazioni, valori e connotazioni. Molto spesso la traduzione ed il
successivo adattamento di questo genere di prodotti mediali, è fonte di
1
H. Bergson, Saggio sul significato del comico, Laterza Editore, Roma, 1993, p. 52.
~ 10 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
molte critiche, soprattutto da parte delle nuove generazioni che sempre
più spesso prediligono il prodotto originale a quello adattato, anche e
soprattutto per la percezione che si ha al giorno d’oggi di quella cultura
tutta americana in cui idee, stili di vita, abitudini e tradizioni vengono
raccontate attraverso TV e cinema. Questo lavoro nasce da un mio
particolare interesse proprio nel prodotto finito, trasformato, reimpacchettato,
e
quindi
italianizzato.
Questa
tendenza
allo
smantellamento, alla riscrittura, all’italianizzazione delle situation
comedy Made in Usa ha caratterizzato un periodo ben preciso: gli anni
novanta. A tal proposito ho deciso di prendere in analisi una serie in
particolare: La Tata. Si tratta di una serie televisiva che ha fatto storia da
un punto di vista traduttivo e di adattamento; ho scelto quindi di
analizzarne alcuni degli episodi più interessanti da questo punto di vista.
Attraverso questo lavoro intendo illustrare, sotto un aspetto pratico e
teorico, i problemi dell’adattamento e della collocazione di un prodotto
mediale estraneo in un contesto culturale altrettanto estraneo, facendo
riferimento sia alla teoria della traduzione audiovisiva ma anche alla
storia e all’evoluzione di un genere, quello della sitcom appunto;
prendendo in analisi, non tanto il gran numero di prodotti americani sui
nostri palinsesti, quanto i processi di addomesticamento che questi hanno
dovuto subire in passato per sembrare “più italiani”. Il primo capitolo è
interamente dedicato allo studio della teoria della traduzione audiovisiva
che mi ha permesso di approfondire concetti fondamentali, passando
dalla traduzione intersemiotica di Jakobsòn, agli ambiti della traduzione
audiovisiva analizzati da I. Ranzato, fino ad arrivare all’analisi dei
trasferimenti linguistici della traduzione audiovisiva elaborati da F.
Chaume. Nel primo capitolo vengono inoltre affrontate le problematiche
legate ai vincoli tecnici e culturali a cui il traduttore deve far fronte
~ 11 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
lavorando con l’audiovisivo. Sono proprio questi vincoli tecnici e
culturali a gridare l’appartenenza del prodotto, ricordandola allo
spettatore italiano; suddetti vincoli rappresentano una vera e propria
sfida proprio perché spesso “tagliano le gambe” al traduttore, costretto
quindi ad arrendersi di fronte ad un’intraducibilità. In questo senso
verranno analizzati due concetti fondamentali tra gli approcci adottati dal
traduttore per far fronte a certi ostacoli, quali l’addomesticamento e
l’estraniamento elaborati da L. Venuti. Il secondo capitolo è dedicato
all’analisi del trasferimento linguistico, in particolar modo del
doppiaggio inteso come ventriloquia culturale. In questa seconda parte,
verrà dapprima fornita una breve analisi storica del doppiaggio, l’origine
e l’evoluzione in corrispondenza con la lingua italiana, per poi analizzare
i pro ed i contro di quest’arte imperfetta, spesso denigrata e sottovalutata
ma che ha pur sempre fatto la storia del cinema internazionale in Italia.
Nel terzo capitolo si approfondirà il concetto di situation comedy, inteso
come il pane e marmellata dei palinsesti, con un approfondimento sulle
tendenze di adattamento degli anni ottanta e novanta. In questo senso si
parlerà di due tendenze fondamentali: l’abbuffata commerciale dei primi,
e gli adattamenti forzati dei secondi, prendendo in esame alcune delle
sitcom che hanno fatto storia da questo punto di vista come Roseanne,
The Sopranos ed, ovviamente, The Nanny. Il quarto ed ultimo capitolo è
interamente dedicato a La Tata. In quest’ ultima parte la versione
originale verrà messa a confronto con la versione italiana, evidenziando
quindi le scelte adottate in due episodi specifici, in cui più emergono le
problematiche legate a vincoli culturali e tecnici, approfonditi proprio
nei capitoli precedenti.
~ 12 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
Alla luce di queste considerazioni, la mia tesi mirerà dapprima ad
un’analisi di concetti teorici della traduzione dell’audiovisivo e
dell’ironia in un ambito come quello delle situation comedy,
considerando le strategie che i professionisti adottano e gli ostacoli a cui
devono far fronte confrontandosi con un genere sempre più nazionale
vista la trasformazione subita, per poi concentrarsi sull’aspetto più
pratico. Se i primi tre capitoli spiegano, l’ultimo analizza basandosi
esclusivamente su esempi pratici e sul processo di traduzione e
adattamento nudo e crudo.
~ 13 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
Capitolo Primo: Teoria della Traduzione Audiovisiva
I.1 Nuovi racconti di una stessa storia
In traduzione si parla di principio di reversibilità secondo cui “in
condizioni ideali, ritraducendo una traduzione si dovrebbe ottenere una
sorta di clone dell’opera originale.”
2
A tal proposito, il professore
tedesco Timm Ulrichs, tra il 1968 e il 1974, decide di mettere in pratica
un esperimento, o meglio ancora, un progetto artistico basato proprio su
questo principio. Prendendo come riferimento una voce da un comune
dizionario di lingua tedesca, il professore dà il via ad un ciclo poliglotta
di traduzioni. La voce è stata infatti tradotta dapprima in inglese, poi in
francese, poi resa in spagnolo e via dicendo. Il testo è passato nelle mani
di ben 24 diversi traduttori, è stato analizzato, riscritto, smantellato per
venire adattato a lingue, alfabeti e culture completamente diversi da
quelli d’origine. La fase finale di questo esperimento ha previsto
un’ultima traslazione dall’hindi, la sua ultima traduzione, verso la sua
lingua sorgente, il tedesco appunto.
Nonostante il testo fosse stato riportato nella sua lingua d’origine,
le differenze tra il punto di partenza e quello di arrivo risultarono
abissali. Il testo finale non è altro che il frutto di innumerevoli
interpretazioni, smantellamenti, variazioni e incrostazioni successive.
L’esperimento di Ulrichs oltre a provare gli innumerevoli scarti
linguistici e culturali tra una lingua e l’altra, dimostra quanto tutte le
2
U. Eco, Dire quasi la stessa cosa, Bompiani Editore, Milano, 2003, p. 319.
~ 14 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
variazioni, spesso irreversibili, presenti in un testo in seguito ad una
traduzione, diventino parte integrante di quello stesso testo; in questo
senso è impossibile e riduttivo guardare al processo traduttivo come ad
un processo meccanico ed automatico. Ed è proprio questo che rende
così affascinante e stimolante questa disciplina chiamata traduzione per
cui, parafrasando Eco nel suo celebre libro Dire quasi la stessa cosa, “un
discorso indiretto si maschera in discorso diretto”.
“Non si può non comunicare”, affermava lo psicologo e filosofo
austriaco Paul Watzlawick 3. È proprio partendo da questo presupposto
che possiamo considerare l’idea ed il significato più ampio della parola
Traduzione. L’uomo non può non comunicare e le barriere linguistiche e
culturali hanno da sempre rappresentato degli ostacoli inevitabili, ma
non insormontabili. Considerando l’assioma di Watzlawick, potremmo
ampliare l’idea di traduzione a qualsiasi attività umana in quanto “ogni
linguaggio contiene in sé la possibilità di una sua traduzione”
4
, ogni
tipo di comunicazione o di trasposizione da un linguaggio ad un altro
non è che una forma di traduzione continua, che muta e si rinnova
sistematicamente e costantemente, spesso inconsciamente. In questo
senso Luca Barra, nel suo Risate in Scatola, parla di traduzione in quanto
storicizzazione di un‟opera, ovvero un’interpretazione che si rapporta
necessariamente al preciso periodo storico e contesto culturale in cui
viene affrontata, e quindi una negoziazione che obbliga il traduttore a
raggiungere dei compromessi ristrutturando ed ampliando così l’idea di
fedeltà.
3
4
Cfr. L. Barra, Risate in Scatola, Vita e Pensiero Editore, Milano, 2012, p.72.
Ivi, p. 47.
~ 15 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
I.2 Jakobsòn e la Traduzione come concetto
“Nessuno può comprendere la parola formaggio, se prima non ha
un’esperienza non linguistica del formaggio”.5
Citando questo concetto di Russell, Romàn Jakobsòn apre Saggi di
Linguistica Generale, pubblicato nel 1959 e tutt’oggi considerato un
testo sacro da chi si interroga sulle questioni della traduzione. Dobbiamo
il termine di traduzione intersemiotica proprio al linguista russo, in
effetti in questo saggio spiccano delle importanti riflessioni sui problemi
della traduzione. In realtà con i concetti espressi, Jakobsòn va oltre le
problematiche traduttive concentrandosi sulla traduzione in quanto
concetto più che attività. La citazione sopra riportata rappresenta un
concetto chiave delle riflessioni del linguista, in questo modo Russell
afferma che per un individuo estraneo ad una certa cultura lontana dalla
propria è impossibile assimilarne determinate parole. Jakobsòn critica
tutto ciò, sostenendo che per un individuo appartenente ad una cultura in
cui non esiste il formaggio, sia sufficiente sapere cosa sia il latte cagliato
per risalire al significato della parola sconosciuta, il linguista giunge alla
conclusione secondo cui il significato delle parole è un fatto semiotico
più che linguistico. Il significato di una parola non è altro che la sua
traduzione in altre parole, ed in questo senso Jakobsòn ci dimostra
quanto la traduzione, intesa in senso lato, sia fondamentale per la
comunicazione tra culture diverse poiché se non esistesse la traduzione
non ci sarebbe possibile conoscere oggetti, parole, concetti o storie
lontane dalla nostra cultura.
5
R. Jakobsòn, Saggi di linguistica generale, Feltrinelli Editore, 2008, p. 56.
~ 16 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
Nel saggio Jakobsòn elabora una teoria secondo cui esistono tre
modi per interpretare un segno verbale:
La traduzione interlinguistica anche definita traduzione
vera e propria. Si intende una interpretazione di segni
verbali per mezzo di un’altra lingua. Si verifica quando
traduciamo da un testo da una lingua ad un’altra.
La traduzione intralinguistica o riformulazione. Jakobsòn
intende una intepretazione di segni verbali per mezzo di
altri segni della stessa lingua.
La traduzione intersemiotica o trasmutazione. Si tratta di
un’interpretazione di segni verbali per mezzo di segni di
sistemi segnici non verbali. Si verifica nella “traduzione” di
un romanzo in film o di una favola in balletto.
La traduzione intersemiotica è il tratto più innovativo della
proposta avanzata da Jakobsòn, proprio perché al giorno d’oggi siamo
abituati a questo tipo di interpretazione attraverso i trasferimenti
linguistici dei prodotti audiovisivi.
~ 17 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
I.3 La traduzione audiovisiva e i suoi ambiti
È proprio negli anni novanta che, attraverso l’esportazione di
prodotti audiovisivi in tutto il mondo, si inizia ad approfondire e a
prendere sempre più in considerazione il campo della traduzione
audiovisiva, fino ad allora sottovalutato. Per traduzione audiovisiva
intendiamo
quella
disciplina
traduttiva
che
opera
nel
campo
multimediale attraverso diversi canali e settori come la televisione, il
cinema, il web e la pubblicità. La traduzione audiovisiva si occupa
principalmente di testi in cui diversi codici, quello verbale, quello visivo
e quello sonoro, si intrecciano a tal punto da risultare dipendenti l’uno
dall’altro.
Film and tv translation, audiovisual language transfer,
traduzione diagonale, sono solo alcune delle definizioni proposte negli
anni novanta dagli esperti del settore. Y. Gambier, professore di
traduzione presso l’Università di Turku in Finlandia, agli inizi del
duemila conia il termine transadaptation, fondendo così le due discipline
della traduzione e dell’adattamento senza però raccogliere grandi
consensi dagli addetti ai lavori. Recentemente la traduzione audiovisiva
è divenuta oggetto di molteplici discussioni, soprattutto per quanto
riguarda due degli ambiti che questa abbraccia: il doppiaggio e
l’adattamento di prodotti distribuiti su tutti gli schermi, dal cinema alla
televisione. Non a caso, la definizione più azzeccata sembra essere
quella coniata dal mondo anglossassone: screen translation.
Quando parliamo di traduzione audiovisiva, intendiamo una
traduzione totale, vista la presenza di vincoli legati a diversi codici
(verbale, visivo e culturale), ed ovviamente vincolata viste le limitazioni
che questi codici impongono alla traduzione. Se, come afferma Ranzato,
~ 18 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
“le traduzioni sono fatti della cultura d’arrivo” 6, allora un testo tradotto
è in grado di avere una vita propria lontana dalla cultura d’origine, quella
che lo ha prodotto, e adeguarsi, anzi “adattarsi” perfettamente, al
contesto socio-culturale che lo ospita, ed è proprio questa una delle
peculiarità del testo audiovisivo. In questo senso è interessante parlare di
riscrittura, almeno nel campo dell’adattamento di prodotti mediali
stranieri. In effetti il lavoro di traduttori e adattatori, può trasformare il
testo tradotto in un’opera completamente differente, spesso migliore,
rispetto all’originale. E se il testo tradotto diventa più ricco di spunti
rispetto a quello d’origine, allora anche i rapporti con il contesto in cui
viene inserito si moltiplicano inevitabilmente. Sicuramente la traduzione
audiovisiva rappresenta una bella sfida per il traduttore dato che, il
concetto di fedeltà va oltre i problemi puramente linguistici e traduttivi,
estendendosi ai personaggi, alle trame e ai contesti e, se necessario, deve
spingersi ad una radicale operazione di sostituzione e quindi di
riscrittura. In questo senso possiamo parlare di traduzione audiovisiva in
quanto totale e vincolata.
“Il trasferimento linguistico descrive i mezzi con cui un film o un
programma televisivo è reso comprensibile a un pubblico di destinazione
che non è familiare con la lingua di partenza con cui l’originale è stato
prodotto.” 7
6
I. Ranzato, La Traduzione Audiovisiva-analisi degli elementi culturospecifici, Bulzoni
Editore, Roma, 2010, p. 13.
7
G.M. Luyken, Ovecoming Language Barriers in Television, European Institute for the
Media, Manchester, 1991, p. 11.
~ 19 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
A proposito di trasferimenti linguistici, la traduzione audiovisiva
ne comprende diversi e Frederic Chaume, nel 2004 ne elabora una
classificazione 8 e la estende ai seguenti ambiti:
Il doppiaggio, ovvero quel procedimento applicato al
cinema e in tv secondo il quale la voce dell’attore originale
viene sostituita da quella del doppiatore. Questo tipo di
traduzione implica una perfetta sincronia articolatoria
espressiva.
La sottotitolazione interlinguistica, vale a dire l’utilizzo di
sottotitoli che vengono applicati direttamente alla pellicola
con varie tecniche oppure sotto lo schermo.
La sottotitolazione intralinguistica, ovvero la traduzione
mediante sottotitoli per le persone con difficoltà uditive.
Il voice over, in altre parole il così detto fuori campo
attraverso il quale viene applicata la traduzione doppiata
direttamente sull’originale, senza alcuna sincronizzazione.
I sopratitoli, utilizzati soprattutto negli spettacoli teatrali od
operistici, i sottotitoli proiettati sopra o sotto la scena.
L’audio descrizione, vale a dire il commento audio che
descrive ciò che sta accadendo in una scena o in un film.
8
I. Ranzato, La Traduzione audiovisiva-Analisi degli elementi culturospecifici, Bulzoni
Editore, Roma, 2010, p. 24.
~ 20 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
I.4 Vincoli tecnici e vincoli culturali
Una delle peculiarità del prodotto audiovisivo che lo allontana dal
testo scritto, è il fatto che il messaggio verbale, le immagini ed il suono
spesso seguono delle strade diametralmente opposte; ovvero, il
messaggio segue la strada dettata dal doppiaggio o dal sottotitolaggio
mentre le immagini ed il suono rimangono radicate alla cultura d’origine,
rivendicandone l’appartenenza. Si parla quindi di vincoli tecnici che
impongono al traduttore di accettare il rischio di una perdita semiotica
che, se da un lato può rappresentare uno stimolo alla creatività, dall’altro
può rivelarsi dannosa per l’intero prodotto multimediale.
Oltre alla presenza di una lingua scritta interna alla scena e quindi
cartelli o insegne, un altro vincolo tecnico imposto alla traduzione
audiovisiva riguarda il rapporto tra il codice visivo e quello verbale,
ossia “tutto quello che appare sullo schermo non può essere eliminato o
modificato dalla traduzione del dialogo” e questo ha importati
conseguenze sull’attività traduttiva; spesso infatti si smantellano interi
dialoghi anche centrali pur di garantire una sorta di credibilità. Per
quanto possano essere impeccabili le strategie di adattamento e
doppiaggio adottate, le immagini, il contesto, i paesaggi, le insegne, in
una parola i vincoli tecnici, continueranno a gridare la loro appartenenza,
continueranno a ricordarci che ciò che stiamo guardando in fondo non ha
nulla a che vedere con la nostra cultura ed il nostro Paese. Pensiamo alla
Tata Francesca, The Nanny in origine. Francesca Cacace potrà anche
rivendicare le sue origini ciociare, ma all’altare a sposarla sarà un
rabbino con tanto di Kippah. E non esiste strategia traduttiva in grado di
superare quest’ostacolo. E quindi, fino a che punto le traduzioni sono
~ 21 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
fatti della cultura di arrivo? Fino a che punto un prodotto audiovisivo
straniero può assorbire la nostra cultura, italianizzandosi?
Il sistema mediale contemporaneo racconta storie di mondi e
culture sempre più estranei e la sua tendenza all’importazione di queste
ultime non fa che obbligare lo spettatore, il consumatore, se non ad
accettare, perlomeno a conoscere determinate nazioni, determinati
luoghi, determinate culture, determinate idee; stabilendone così delle
relazioni. Proprio la percezione, e quindi la relazione, del fruitore di
queste nuove realtà non potrà che scatenarne l’interesse e la curiosità
aumentando così la domanda che verrà soddisfatta proprio dagli stessi
media. Se da un lato possiamo considerare l’importazione di tali
prodotti, ovviamente americani, come una forma di colonizzazione
dell‟immaginario
9
, dall’altra tutto ciò non può che comportare,
dapprima la circolazione di storie a noi estranee, e poi la conseguente
mediazione di queste per renderle più omogenee ed in linea con le
consapevolezze di un Paese e della sua cultura. Suddetta mediazione
può, in questo senso, trasformarle completamente dando vita a qualcosa
di completamente nuovo, cucito addosso alla cultura e alle idee di quel
determinato pubblico.
Tradurre un prodotto mediale, che può essere un film o una serie
televisiva, significa adattare un’opera pensata per un determinato
contesto sociale e culturale ad un nuovo background lontano da quello
d’origine, questo passaggio sempre più spesso comporta l’inevitabile
sradicamento. In questo senso parliamo di vincoli culturali che
impongono al traduttore di mettere in relazione due culture, due società,
due mondi. Sebbene ogni tipo di traduzione debba far fronte a questi
9
L. Barra, Op. cit. , p. 5.
~ 22 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
vincoli, la traduzione audiovisiva si trova ad affrontare questioni
estremamente sensibili visto il vasto pubblico a cui film e programmi
televisivi sono indirizzati. In questo senso Eco afferma che ogni
traduttore, di fronte ad una qualsiasi limitazione legata ad un’immagine o
ad una frase tipica del contesto culturale di origine, deve chiedersi: “Una
traduzione deve condurre il lettore a comprendere l’universo linguistico
e culturale del testo di origine, o deve trasformare il testo originale per
renderlo accettabile al lettore della lingua e della cultura di
destinazione?”
10
Nel primo caso la posizione che prenderà il traduttore
sarà quella dello straniamento, anche noto come foreignization, un
concetto per cui è lo spettatore a doversi adeguare alla cultura del
pubblico di origine, avvicinandosi così all’autore e quindi al traduttore,
entrando in contatto con riferimenti sociali, culturali e mediali diversi dai
propri. La strategia di straniamento si verifica quando, parafrasando
Venuti, il traduttore lascia l’autore in pace, il più possibile,conducendo
il lettore verso di lui.
Nel secondo caso il traduttore sceglierà di annullare i legami di
appartenenza alla cultura di origine per rendere quel testo più credibile
nella cultura ricevente, il traduttore prenderà per mano lo spettatore e lo
guiderà compiendo o facilitando per lui il processo di decodifica di
alcuni aspetti poco comprensibili in origine, in questo caso si parla di
addomesticamento11, o domestication. Questa strategia rende familiare
allo spettatore un prodotto che di familiare ha ben poco; Venuti lo
definisce addirittura come “un atto imperialistico che riduce il testo
10
U. Eco, Op.cit. , Bompiani Editore, Milano, 2003, p. 171.
L’analisi dei concetti di straniamento e addomesticamento è stata elaborata da L. Venuti
riprendendo un’analisi già elaborata precedentemente da Friedrich Schleiermacher tra
traduzione target-oriented e source-oriented.
11
~ 23 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
straniero ai valori culturali di quello di arrivo”
12
. Ed in effetti l’Italia
reagì con un atteggiamento fortemente nazionalista e addomesticante
proprio nel ventennio fascista, creando l’industria del doppiaggio. Non a
caso in Italia ancora si tende ad un atteggiamento addomesticante nei
confronti dei prodotti stranieri. Sia il concetto di addomesticamento che
il concetto di straniamento giocano un ruolo fondamentale nella
traduzione, l’ideale, per il traduttore, sarebbe trovare il giusto equilibrio
tra il testo di partenza e quello di arrivo, tenendo conto del contesto e del
testo originale, della cultura di arrivo, della ricezione nel Paese di
destinazione e delle sue abitudini mediali. Il traduttore quindi, può
rivestire due ruoli: “quello di un simulacro dei tanti possibili lettori ed
insieme quello di un surrogato dell’autore, che ricrea l’opera per lettori
differenti da quelli previsti.” 13
Una delle maggiori limitazioni che la traduzione audiovisiva si
trova ad affrontare è proprio questa insanabile frattura tra straniamento
e addomesticamento, una delle peculiarità che la rende un settore in cui,
il più delle volte, non si può parlare di traduttore invisibile. Il traduttore
c’è. E si vede. Per trovare una posizione intermedia tra questi due poli
così estremi, è necessario che il traduttore ridefinisca il concetto di
fedeltà come una negoziazione tra scelte che siano adeguate e scelte che
siano meno adeguate ma comunque accettabili e non fatali ai fini della
comprensione: “Forse la teoria aspira ad una purezza di cui l’esperienza
può fare a meno, ma il problema interessante è quanto e di che cosa
l’esperienza possa fare a meno. Di qui l’idea che la traduzione si fondi
su alcuni processi di negoziazione, processo in base al quale, per ottenere
12
L. Venuti, L’invisibilità del traduttore: una storia della traduzione, Armando Editore, Roma,
1995, p. 20.
13
L. Barra, Op. cit. , p. 49.
~ 24 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
qualcosa, si rinuncia a qualcosa d’altro e alla fine le parti in gioco
dovrebbero uscirne con un senso di ragionevole e reciproca
soddisfazione alla luce dell’aureo principio per cui non si può avere
tutto.” 14
Ad ogni modo, se da un lato la traduzione di prodotti audiovisivi
possa sembrare estremamente vincolante, dall’altro gode di una
malleabilità sicuramente ridotta in altri tipi di testi; basti pensare alla
globalizzazione e alla conseguente internazionalizzazione che ormai
hanno reso molti riferimenti culturali condivisibili ovunque, oppure alla
vicinanza culturale di alcuni testi, ad esempio un prodotto spagnolo o
francese sarà molto più vicino all’Italia da un punto di vista culturale
rispetto a quanto non lo sia un prodotto cinese.
I.5 Elementi Culturospecifici
Quando parliamo di vincoli ne campo della traduzione audiovisiva
non possiamo non parlare degli elementi culturospecifici che
impongono, quindi, dei vincoli culturali. Si tratta di elementi
estremamente vincolanti dal contenuto culturale e non linguistico che
possono
essere
incomprensibili
alla
cultura
di
arrivo.
L’addomesticamento e lo straniamento sono i due approcci più comuni
che vengono adottati dal traduttore per rendere al meglio questi elementi.
Ranzato distingue questi elementi in culturospecifici e culturali. Per
culturospecifici si riferisce a quegli elementi appartenenti alla cultura di
origine, mentre per culturali a quelli che appartengono ad una cultura
14
U. Eco, Op. cit., p. 18.
~ 25 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
terza o sono ormai diventati transnazionali e quindi globalmente noti.
Sono state elaborate molte classificazioni sui riferimenti culturali, qui di
seguito riporterò integralmente una versione elaborata da Jorge Dìaz
Cintas e Aline Remael in Audiovisual Translation: Subtitling tradotta da
Irene Ranzato:
Riferimenti geografici:
oggetti della geografia fisica: savana, mistral, tornado.
Oggetti geografici: Downs, Plaza Mayor.
Specie endemiche di animali e piante: sequoia, zebra.
Riferimenti etnografici:
Oggetti della vita quotidiana: tapas, trattoria, igloo.
Riferimenti al lavoro: farmer, gaucho, machete, ranch.
Riferimenti
ad
arte
e
cultura:
blues,
Giorno
del
Ringraziamento, Romeo e Giulietta.
Riferimenti alla nazionalità o al luogo di nascita: gringo,
Cockney, parigino.
Misure: pollice, oncia, euro, sterlina.
Riferimenti sociopolitici:
Riferimenti a unità amministrative o territoriali: contea,
bidonville, stato.
Riferimenti a istituzioni e funzioni: Reichstag, sceriffo,
Congresso.
Riferimenti alla vita socioculturale: Ku Klux Klan,
proibizionismo, landed gentry.
~ 26 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
Riferimenti a istituzioni e oggetti militari: Feldwebel,
marine, Smith & Wesson.15
Oltre agli elementi culturospecifici, esistono ulteriori parametri
che possono influenzare profondamente la traduzione; come ad esempio
la transculturalità 16. Al giorno d’oggi molti caratteri di una cultura sono
pian piano diventati sempre più condivisibili con tutte le altre e
universalmente noti. La transculturalità non è altro che il modo in cui le
culture sono interconnesse fra loro. Il Professore scandinavo Jan
Pedersen aggiunge agli elementi transculturali, quelli monoculturali,
ovvero l’esatto opposto dei primi e quindi propri di una cultura specifica
e sconosciuti a tutte le altre, e quelli microculturali, potremmo definire
un sottogruppo dei precedenti, cioè talmente specifici da essere
comprensibili solo ad un piccolo gruppo all’interno di una stessa cultura
o società.
In Italia il traduttore ha “il vizio” di guidare lo spettatore, tendendo
quindi a ridurre al minimo gli elementi culturospecifici perché
considerati un ostacolo alla ricezione del pubblico. Quando lo spettatore
si scontra con un certo tipo di elementi possiamo parlare di una sorta di
“shock culturale”. In questo senso è stato coniato il termine Culture
Bump:
“A culture bump occurs when an individual from one culture finds
himself or herself in a different, strange, or uncomfortable situation
when interacting with persons of a different culture.” 17
15
I. Ranzato, Op.cit., p. 41-42.
Cfr. J. Padersen, How is Culture Rendered in Subtitles?, 2005.
17
C. Archer, Culture Bump and Beyond, University of Huston, p. 170.
16
~ 27 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
Quando invece è il traduttore a trovarsi di fronte ad un elemento
culturospecifico di importanza fondamentale all’interno del film o
dell’episodio televisivo, vale a dire un elemento che, ad esempio, può
influire sul titolo del film, esso deve rimanere assolutamente inalterato.
Questo parametro è detto centralità dei riferimenti. Vanno poi,
ovviamente, tenute sempre in considerazione le questioni relative alla
Skopos Theory introdotta nella teoria della traduzione dal tedesco Hans J.
Vermeer. Skopos in greco significa fine, scopo; ed infatti secondo questa
teoria è lo scopo a determinare le strategie traduttive da adottare. Solo
prendendo in considerazione lo scopo riusciremo a produrre una
traduzione adeguata. In questo senso, il nostro skopos sarà il tipo di
pubblico fruitore, l’orario della messa in onda del nostro prodotto
mediale, i problemi pragmatici come le scadenze ed il tipo di
remunerazione. A tal proposito non basta che la trasposizione sia
culture-specific, ma deve necessariamente essere anche medium-specific,
ovvero in linea
con i caratteri peculiari del mezzo televisivo.
In tal senso Barra parla di mediazione più che di trasposizione: “Oltre
alla serialità, al flusso e alla ripetizione si possono poi aggiungere la
possibilità di creare eventi capaci di radunare ampie quantità di
pubblico.”
18
Il contesto mediale, quindi, influisce enormemente su
quello traduttivo e sul suo skopos, proprio perché composto da varie
forme di mediazione e adattamento, oltre che da traduzioni.
Successivamente verranno analizzate le strategie applicate dal traduttore
per
risolvere
le
problematiche
legate
proprio
agli
elementi
culturospecifici e alla traduzione dell’umorismo nell’audiovisivo.
18
L. Barra, Op.cit. , p. 71.
~ 28 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
I.6 Le strategie del traduttore
Di fronte alle difficoltà traduttive legate ad un gioco di parole, ad
una battuta o più semplicemente a quegli elementi culturospecifici di cui
abbiamo parlato nel paragrafo precedente e difficilmente traslabili in una
realtà diversa da quella d’origine, ogni traduttore può prendere in
considerazione delle strategie che trasformino un’ipotetica intraducibilità
in una soluzione adeguata. Precedentemente si è parlato di concetti di
addomesticamento ed estraniamento, ma oltre a questi è possibile
elaborare un’ulteriore classificazione più dettagliata in cui vengano
elencate delle tattiche e degli appigli a cui il traduttore può fare
affidamento. Di seguito verrà riportata integralmente un’interessante
classificazione sviluppata da Ranzato nel suo saggio La Traduzione
audiovisiva- Analisi degli elementi culturospecifici dove ad ogni
strategia corrisponde un esempio pratico nell’adattamento italiano di
celebri film e sitcom:
Il prestito: La parola o la frase del testo fonte rimane
inalterata anche nel testo di arrivo.
Will
You‟re not going to come over, you want me to, uh…
talk you through it?
Grace It‟s tempting, but I think I‟ll watch ER here.
Will
Se non ti va di venire da me, ti va di farlo… per
telefono?
Grace Umm, stimolante, ma preferisco guardarmi ER.
(Will&Grace, Serie 1 Episodio 1)
~ 29 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
Il calco o traduzione letterale.
Will You know what? I think it‟s time for $25,000 Pyramid.
Will Sentite, perché non giochiamo tutti al gioco della
Piramide?
(Will&Grace, Serie 1 Episodio 1)
L’esplicitazione: il testo è reso più accessibile con una
specificazione o una generalizzazione.
Chandler Hey, you guys in the living room all know what
you want to do. You know, you have goals. You have
dreams. I don‟t have a dream.
Ross
Ah, the lesser-known “I don’t have a dream”
speech.
Chandler
Dunque, voi che siete sul divano sapete cosa
volete. Avete tutti delle mete, avete dei sogni. Io non ce l‟ ho
un sogno.
Ross
Ehi, sembra quasi il discorso di Martin Luther
King.
(Friends, Serie 1 Episodio 15)
~ 30 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
La sostituzione: per varie ragioni di opportunità o per
obiettivi vincoli tecnici, a un riferimento ne viene sostituito
un altro più o meno lontano da quello di origine.
Jack (when Grace comes in)
Oh, look, it‟s Sporty Spice.
Jack (quando entra Grace) E che ha, il morbo di
Parkinson?
(Will&Grace, Serie 1 Episodio 15)
La trasposizione: il concetto culturale di una cultura è
tradotto con il concetto culturale di un’altra.
Maxwell: Where is Miss Fine anyways?
Niles:
She‟s upstairs getting all fapitzed.
Maxwel: La signorina Francesca è scesa?
Niles:
Come dicono in Ciociaria, è su che si pitta.
(The Nanny, Serie 3 Episodio 1)
~ 31 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
La ricreazione lessicale: invenzione di un neologismo.
Halloran I can remember when I was a little boy my grandmother and I could hold conversations entirely without ever
opening our mouths. She called it “shining” and for a long
time I thought it was just the two of us that had “the shine”
to us.
Halloran
Sai, mi viene in mente quando ero ancora
bambino, mia nonna e io riuscivamo a fare delle lunghe
conversazioni e senza mai aver bisogno di aprire bocca.
Diceva che era lo “shining”, la “luccicanza”. E per molto
tempo io credevo che eravamo solo noi due ad averla, la
luccicanza.
(The Shining, Stanley Kubrick, 1980)
Compensazione: Si crea di bilanciare una perdita in un
punto della traduzione mediante un’aggiunta in un altro
punto della stessa.
Nate (doing the HAL voice, from 2001 A Space Odyssey)
We are looking quite spiffy in that suit, Dave.
Dave
That‟s so clever. You’re talking like the computer
in the movie. Wow, you‟re funny.
~ 32 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
Nate (parla con voce normale) Con quel completino sei un
vero schianto, Dave.
Dave Grazie mille Mr 2001 Odissea nello Strazio. Non sei
divertente.
(Six Feet Under, Serie 1 Episodio 2)
L’omissione.
Will
Did you get that black, flowy thing?
Grace No, you were right. It‟s too “Stevie Nicks: The
Heavy Years”.
Will
Hai preso quella guêpière nera?
Grace No, avevi ragione, era troppo stile vedova allegra.
(Will&Grace, Serie 1 Episodio 1)
L’aggiunta.
Alvy Now, listen to this. I was in a record store. There‟s
this big, tall, blond, crew-cutted guy looking at me in a
funny way and smiling and he‟s saying: “We have a sale
this week on Wagner”. Wagner, Max. Wagner. I knew what
he was really trying to tell me, very significantly. Wagner.
~ 33 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
Alvy
Ieri ero in un negozio di dischi, senti un po‟ questa.
Il commesso era un tipo alto, biondo, con la sfumatura alta.
Mi guarda in un modo strano e con un sorriso maligno e
dice: “Le interessa? C‟è una vendita speciale di Wagner.
Wagner, signore, Wagner”, tutto Gerusalemme lemme. A
parte l’antisemitismo implicito in Wagner, aggiunge “Ne
resterà inebreato”.
(Annie Hall,Woody Allen, 1977)19
19
I. Ranzato, Op. cit. , p. 42-45.
~ 34 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
Capitolo Secondo: Il doppiaggio come ventriloquia culturale
II.1 Pro e Contro di un’arte imperfetta
“Nella vita non parliamo tutti allo stesso modo, e non parliamo
sempre allo stesso modo. Anche in un film è così. La domanda che
l’adattatore deve porsi è: come parlerebbe quel tale personaggio in quella
situazione se parlasse la mia lingua?” 20
Ricordo chiaramente la delusione nello scoprire che La Tata
Francesca non si chiamava Francesca, ma Fran, che non era affatto di
Frosinone, ma di New York. Quella delusione coincise con la scoperta di
una pratica chiamata adattamento e le domande che sorsero furono
schiette, semplici, dirette: come hanno fatto? Allora, di cosa ridono gli
americani guardandola?
Visto il grande successo dei prodotti audiovisivi stranieri nel
nostro Paese, è giunto il momento di affrontare il problema degli
adattamenti, o meglio,
di quelle pratiche che permettono al divo
americano di parlare miracolosamente italiano. Come nella letteratura o
nella poesia, anche dietro ad una battuta o ad una scena commovente c’è
un lavoro di traduzione non indifferente. Questo lavoro,
che in
letteratura viene dato per scontato, nell’audiovisivo desta sempre molte
polemiche. Nonostante per molto tempo l’adattamento ed il successivo
doppiaggio, siano stati considerati umili arti al servizio del cinema e
della televisione, esercitate in maniera magistrale da comunità di attori e
20
C. Wagstaff, Il Cinema Italiano nel Mercato Internazionale, Fondazione Agnelli
Editore,Torino, 1996, p. 35.
~ 35 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
tecnici, oggi l’utilità di questi mezzi viene spesso messa in dubbio da
critici e spettatori puristi che prediligono la visione delle opere
audiovisive in lingua originale con l’ausilio del sottotitolo, accusando
così l’adattamento ed il doppiaggio di snaturare il prodotto e spesso di
comprometterne il successo fuori dal Paese di origine. In un mondo
americanizzato in cui l’inglese si è trasformato nella nostra lingua
adottiva, queste pratiche, che ormai hanno più di settant’anni, vengono
guardate con un certo snobbismo e spesso si sollevano non poche
polemiche al riguardo. Procedure di questo tipo vengono considerate dai
sostenitori come veicolo di cultura, arti nell’ombra, e in quanto tali,
meritano il giusto riconoscimento e la giusta attenzione.
Potremmo
definirlo come un male necessario, che, nel bene e nel male, finisce col
plasmare gran parte della nostra cultura quotidiana interessando anche le
nostre competenze linguistiche e quindi il nostro modo di parlare, di
interagire con le persone che ci circondano e di comprendere quello che
ci dicono. Del resto, la storia del doppiaggio parla chiaro; l’introduzione
di questa pratica durante il ventennio fascista ha contribuito fortemente
alla divulgazione di un italiano che fosse standard, e non più dialettale;
ma questo argomento verrà affrontato più dettagliatamente nel paragrafo
successivo. L’adattatore, che lavora al testo prima di passarlo nelle mani
del doppiatore, non deve quindi affrontare solo problemi traduttivi bensì
prendere
in
considerazione diversi fattori
culturali
ma anche
comunicativi; si parla di fattori interni nel momento in cui tra i vari
interlocutori del film emergono certe espressività verbali tipiche di
un’area geografica, e di esterni21 nel momento in cui questi riguardano la
relazione tra i locutori ed il pubblico, in questo senso entrano in gioco
21
Cfr M. Paolinelli, E. Di Fortunato, Tradurre per il Doppiaggio. La Trasposizione Linguistica
dell’Audiovisivo: Teoria e Pratica di un’Arte Imperfetta, Ulrico Hoepli Editore, Milano, 2005.
~ 36 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
ulteriori elementi come, ad esempio, la competenza linguistica dello
spettatore. L’adattatore, in quanto primo spettatore, riveste il ruolo dello
spettatore-tipo che grazie alla profonda conoscenza, sia della propria
cultura che di quella del testo di partenza, scompone, analizza, smantella
quel prodotto con lo stesso criterio utilizzato nell’originale per poi
ricostruirlo, superando così diversità non solo linguistiche ma anche
culturali.
Se da un lato l’adattamento prima, ed il doppiaggio poi, sono la
quintessenza della televisione, ma soprattutto del cinema italiano,
dall’altro molteplici sono le critiche che si muovono attorno queste
pratiche, giudicate antiche, artificiali, inutili e dannose per l’opera
originale a favore così, di un altro trasferimento linguistico, un altro
adattamento se vogliamo: il sottotitolo. Un pregio di questo tipo di
trasposizione linguistica è proprio la sua grande flessibilità, l’inserimento
è molto più rapido e soprattutto taglia i costi che ci sono dietro ad un
doppiaggio (adattamento incluso). Parlare di flessibilità però, significa
parlare di riduzione sia qualitativa che quantitativa. Attraverso il
sottotitolo il prodotto viene presentato nella sua integrità, nudo e crudo
agli occhi dello spettatore che non sarà più costretto ad assistere ad una
seconda versione dell’originale manipolata in ultimo dal doppiatore che,
come fosse un ventriloquo, presta la voce e, perché no, anche la propria
cultura all’attore originale. Nonostante uno dei pro del doppiaggio sia
proprio di natura culturale, una delle critiche più comuni mosse contro
queste pratiche riguarda proprio la cultura. A tal proposito gli integralisti
parlano di doppiaggio e adattamento come pratiche provinciali,
anacronistiche, antiquate e stantie che contribuiscono alla totale chiusura
di un Paese verso altre culture, rendendolo sordo ed ignorante. Privano
~ 37 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
lo spettatore di immergersi e comprendere completamente un’altra
cultura, al contrario del sottotitolo che protegge, invece, la cultura locale.
Un altro punto su cui spesso si dibatte riguarda la competenza
linguistica, è noto infatti che nei Paesi nordici, in cui l’arte del
doppiaggio è bandita a favore del sottotitolaggio, i bambini siano in
grado di apprendere lingue straniere molto più velocemente. Assorbire
parole, pronunce, strutture sintattiche ed, ovviamente, altre culture,
permette così al cervello di abituarsi facilmente ad una lingua diversa
dalla propria. Tecnicamente parlando, la maggior parte dei film e
telefilm provengono dalla mecca hollywoodiana; questo rende l’ausilio
del sottotitolo in italiano decisamente efficace e, soprattutto, fattibile,
dato che, bene o male, la percezione dell’inglese al giorno d’oggi è tale
da poter comprendere il senso di una scena o di un intero episodio o film
leggendo il sottotiolo e ascoltando il dialogo in inglese. Ma la domanda
è: saremmo in grado di comprendere e goderci il tutto, leggendo
sottotitoli in italiano sovrapposti a dialoghi in coreano, tedesco, cinese o
indiano? Certo è che non tutti i film sono di produzione americana e
allora lì il doppiaggio e l’adattamento risulterebbero vitali e necessari, al
fine di godersi il prodotto e comprenderlo a pieno. Ad ogni modo, a
prescindere dalla posizione a favore o contro di queste due trasposizioni
linguistiche, è implicito il valore di entrambe. Se il doppiaggio tende ad
addomesticare, avvicinare, italianizzare ciò che italiano non è, il
sottotitolo àncora quel prodotto alla sua cultura di origine; se il primo
vanta la comprensibilità universale, il secondo gode dell’autenticità.
Ovviamente, alla base della scelta di una o dell’altra procedura ci sono
ragioni culturali ed economiche. Esistono infatti Paesi con un mercato
dell’audiovisivo più importate che prediligono il doppiaggio (dubbing
countries), ed altri invece con minori risorse che
~ 38 ~
quindi adottano
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
maggiormente il sottotitolo (subtitling countries)
22
, in questo caso
spesso si tratta di aree linguistiche più piccole. In conclusione potremmo
rifarci a quanto affermato da Barra, ossia che “doppiaggio e
sottotitolaggio sono più vicini di quanto possa sembrare, dato che
entrambi presentano i loro vantaggi e le loro specificità. Tutti e due gli
elementi entrano a pieno titolo in una nuova concezione del film e del
prodotto TV come poli-sistema, oggetto di una continua rielaborazione
attraverso le frontiere e composto dai testi nazionali e da quelli tradotti,
doppiati o sottotitolati.”23
22
23
Cfr M. Paolinelli, E. Di Fortunato, Op.cit.
L. Barra, Op. cit. , p.65.
~ 39 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
II.2 La lingua italiana attraverso il doppiaggio
L’audiovisivo è stato, e continua ad essere, il principale mezzo di
unificazione linguistica nazionale. Il cinema e la televisione hanno da
sempre contribuito profondamente al mutamento e all’evoluzione della
lingua nazionale, alfabetizzando il paese e dando vita ad un italiano
popolare unitario. Basti pensare al celebre Maestro Manzi che, negli
anni sessanta, nel suo programma Non è mai troppo tardi trasmesso dalla
RAI, insegnava l’italiano agli italiani.
Proprio dopo l’inizio della produzione di film sonori, tra la fine
degli anni venti e l’inizio degli anni trenta, il cinema cominciò a
prendere spunto dalla lingua del teatro per assicurarsi un pubblico più
borghese, accantonando così l’uso del dialetto che vi conferiva una
valenza esclusivamente comica-svalutativa. L’avvento del cinema
sonoro e quindi anche doppiato ha permesso all’Italia, soprattutto
meridionale, di apprendere attraverso il cinema la lingua nazionale.
Oggigiorno, dal cinema e dalla televisione di stampo straniero, e quindi
doppiato, adottiamo modi di dire ed espressioni. Siamo tutti sottoposti ed
influenzati da questo modello, perfino gli autori italiani che spesso
trasferiscono nelle fiction nostrane
forme linguistiche che non ci
appartengono, figlie dell’adattamento e del doppiaggio. Siamo stati
abituati ad assorbire inconsciamente il modello americano del cinema e
della TV .
“Ogni prodotto mediale porta con se un insieme di significati,
inferenze, implicazioni, presupposizioni che hanno a che fare con la vita
quotidiana, con le istituzioni sociali, con le tradizioni, con un sapere
~ 40 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
spesso dato per scontato. Chi si occupa della trasposizione, quindi, da un
lato deve fidarsi delle capacità del pubblico, dall’altro deve metterlo in
condizione di decodificare adeguatamente.”
24
E qui la domanda sorge
spontanea: se l’adattamento preclude anche una vera e propria adozione
di modi di dire, espressioni, significati, inferenze e presupposizioni che
hanno a che fare con una vita quotidiana completamente diversa dalla
nostra, allora siamo tutti americani senza esserlo mai stati? La lingua
adattata al cinema e alla TV è senza dubbio una lingua non-spontanea,
non-reale, perché sottoposta ad una profonda elaborazione, che possa
renderla comprensibile ad una platea il più ampia possibile. Si tratta
della lingua italiana più irreale, quella del doppiaggio, perché nata per
necessità tecniche, da scelte di pochi, sempre sottoposte ad un
condizionamento esterno. In questo senso potremo dire che la storia della
lingua italiana nel cinema e quella del doppiaggio e dell’adattamento si
intrecciano.
24
Ivi, P. 68.
~ 41 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
II.3 Storia del doppiaggio, storia di un’ideologia
Questo trasferimento linguistico appare per la prima volta in Italia
tra la fine degli anni venti e l’inizio degli anni trenta del Novecento,
proprio in parallelo con la diffusione del cinema sonoro nel nostro Paese.
Ovviamente dietro alla nascita del doppiaggio c’è un’ideologia, il
doppiaggio è un sistema volutamente ideologico e questa sua natura non
può essere ignorata. Lo sviluppo di questa pratica è stato voluto dallo
Stato perché in linea con i capisaldi del fascismo, ossia l’autarchia e la
totale indipendenza dall’influenza culturale straniera a favore della
promozione di un’identità nazionale. Inizialmente, i prodotti stranieri
venivano sì importati in Italia, ma letteralmente ammutoliti; veniva
infatti conservata la colonna musicale e i dialoghi venivano descritti in
sintesi dalle didascalie tipiche dei film muti, spesso molto lunghe al
punto da complicarne la lettura a quel pubblico italiano per lo più
analfabeta. Nel 1931 si iniziò a considerare l’idea del doppiaggio, in
questo periodo i primi film stranieri venivano importati anche in Italia e
tradotti nella nostra lingua direttamente dai produttori stranieri in
maniera del tutto approssimativa. Da questo momento in poi anche
l’Italia comincia a puntare
ad un mercato, non più locale, bensì
internazionale. Il 1933 si rivelerà un anno estremamente importante per
l’adattamento ed il doppiaggio, infatti in quell’anno verrà emanato un
decreto che vietava l’importazione di film stranieri che non fossero stati
doppiati in Italia, a Roma per la precisione. Fino a quel momento, i film
stranieri venivano doppiati direttamente all’estero, ingaggiando attori
italo-americani che scimmiottavano un italiano del tutto improbabile. A
dimostrazione di questo basterebbe andare a ripescare qualche film
~ 42 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
dell’epoca, come ad esempio L‟amazzone mascherata25, versione italiana
di Riders of the Purple Sage, in cui i cow boys recitavano con un accento
tra il romanesco ed il napoletano. Per risparmiare si finiva con
l’ingaggiare attori dalla colonia italiana di Los Angeles o di New York, il
cui italiano era caratterizzato da inflessioni dialettali siciliane o
napoletane decisamente lontane dall’italiano, quello vero. Un altro
celebre esempio è quello dalla coppia di comici Stan Laurel e Oliver
Hardy, Stanlio&Olio in Italia, che
inizialmente
si auto-doppiavano in
diverse lingue, fra cui l'italiano. Il
pubblico del tempo, dal canto suo, non
gradiva questo modo di doppiare,
sentendosi giustamente estraneo. Le
prime critiche si fecero avanti, con pareri decisamente contrastanti.
Infatti, secondo lo scrittore Alberto Savinio, la lingua del doppiaggio era
“senza carattere, né sesso, insipida e incolore”, mentre il critico letterario
Giacomo Debenedetti riconosceva al doppiaggio di “stare debellando
quell’artificiosa intonazione degli attori, sostituendo il recitato con il più
concreto parlato” 26.
Uno degli obiettivi del fascismo era l’omogeneizzazione
nazionale e lo sradicamento regionale, in questo senso il dialetto doveva
essere abolito, così i film stranieri dovevano venire doppiati in un
italiano pulito, standard se vogliamo, senza alcuna inflessione dialettale.
I pronomi allocutivi, anche sugli schermi, furono un altro bersaglio
linguistico del fascismo, assieme all’utilizzo di nomi solo ed
esclusivamente italiani anche nei film stranieri. In tal senso l’11 aprile
25
26
Cfr M. Paolinelli, E. Di Fortunato, Op.cit, p.35.
Ivi, p.50.
~ 43 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
del 1938 venne emanato un provvedimento che vietava l’uso del
pronome allocutivo “lei” a favore del “voi” e del “tu”.
“Si può dire che qualsiasi traduzione sia ideologica dato che la
scelta di un testo fonte e l’utilizzo al quale è sottoposto il relativo testo di
arrivo sono determinate dagli interessi, dai fini e dagli obiettivi di agenti
sociali.”
27
Le varie forme di traduzione in Italia siano frutto di realtà
sociali, culturali e politiche, sopratutto in periodi storici in cui il
totalitarismo si preoccupava dei pericoli del trasferimento da una cultura
ad un’altra. Negli anni trenta, Marinetti, il fondatore del movimento
futurista in Italia, criticò aspramente l’importazione della letteratura
straniera. In quel periodo anch’essa venne sottoposta a tali pratiche:
iniziò un vero e proprio censimento delle traduzioni, venivano corretti e
tagliati dialoghi interi, sostituite le forme di cortesia, i nomi stranieri con
quelli italiani, insomma si italianizzava l’opera, proprio come accadeva
sugli schermi. È in questo contesto che si sviluppa questo rapporto così
complesso tra fascismo, manipolazione e censura che ha portato alla
nascita dell’industria audiovisiva e alla successiva formazione di
pratiche moderne come la traduzione per il doppiaggio.
27
C. Shäffner, Third ways and new centres- Ideological unity or difference? Manchester,
2003, p. 23.
~ 44 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
Capitolo Terzo: Tradurre la sitcom
III.1 La sitcom: il pane e marmellata dei palinsesti
Per considerare e mettere a fuoco le caratteristiche della situation
comedy, capendone le origini e le evoluzioni nel nostro Paese potremmo
partire da una definizione: “Sottogenere televisivo costituito da una serie
in più episodi della durata di mezz’ora ciascuno, basati su dialoghi
comici e “situazioni di commedia”, caratterizzate dal punto di vista degli
ambienti e dei personaggi. Un elemento caratteristico sono le riprese
quasi esclusivamente in interni, dalla chiara impostazione teatrale,
insieme alla centralità dei dialoghi, in cui le battute più taglienti ed
efficaci vengono sottolineate fuori campo dalle risate del pubblico.”28
In quanto a definizioni, quella di Grasso è sicuramente la più
diplomatica; anche se quando parliamo di sitcom risulta complicato
elaborare una definizione che accumuni la maggior parte dei programmi
televisivi inglobati in questa categoria. Quel che è certo è che si tratta di
un prodotto industriale i cui punti di forza sono la semplicità seguita
dalla commedia e dall’umorismo. J. Ellis parla della sitcom come del
genere televisivo ideale29 mentre Butsch ne dà una definizione, a mio
avviso, poetica: definisce il genere un perno, il pane e marmellata della
TV di prima serata30. Ad ogni modo, proprio grazie a questa sua efficace
semplicità, questo genere ha sempre trovato spazio nei nostri palinsesti,
destando un genuino interesse nel pubblico. Questa sua apparente
28
A. Grasso, Televisione, Garzanti Editore, Milano, 2005, p. 748.
J. Ellis, Seeing Things. Television in the Age of Uncertainty, Tauris Editore, Londra, p. 120
30
R. Butsch, Five Decades and Three Hundred Sitcoms about Class and Gender, EdgertonRose Editore, Londra, 2005, p. 111.
29
~ 45 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
leggerezza però, rende complesso individuare le peculiarità di questo
genere, necessarie a spiegare le evoluzioni nella storia della TV
americana che lo ha creato e le difficoltà di programmazione,
adattamento e ricezione in Italia e negli altri Paesi.
Le sitcom dipendono dalla familiarità, dall’identificazione e dalle
credenze popolari ed, in quanto tali, finiscono per diventare un vero
teatro familiare, dove proprio le famiglie prendono parte sia sulla scena
sia come pubblico. Nell’albero genealogico della sitcom troviamo il
teatro, il cinema comico e la radio31 ed infatti, approda in TV in quanto
approssimazione del teatro. La dimensione teatrale è quasi ovvia se
consideriamo quattro fattori: prima di tutto la struttura in tre atti, in
secondo luogo la rappresentazione della commedia attraverso dialoghi,
personaggi e situazioni, poi l’ambientazione in interni ed infine la
presenza del pubblico in scena, o meglio delle sue risate, reali o alterate.
Analizziamo ora i fattori più significativi: innanzitutto è bene affrontare
la questione del rapporto tra pubblico e sitcom che, in questo senso,
potremmo considerare fondamentale, a prescindere dalla presenza di
quest’ultimo in scena. Il pubblico della sitcom è un pubblico
addomesticato, che viene educato a ridere al momento giusto attraverso
le così dette laugh track, o risate in scatola come le definisce Barra nel
suo saggio, risate spesso registrate laddove il pubblico non sia presente o
addolcite se considerate non abbastanza fragorose. A tal proposito sono
interessanti le definizioni fornite dal giornalista B. Placido32, fermo
oppositore di questa pratica. Riferendosi alle risate preconfezionate,
Placido le paragona allo sciacquone dei palinsesti, aggiungendo: “ciò
31
Sam and Harry fu la prima sitcom radiofonica della storia, trasmessa nel 1926 dalla radio
WGN di Chicago.
32
Giornalista e critico letterario italiano. Sin dai primi numeri, collaborò con il quotidiano La
Repubblica in cui ha curato per anni la rubrica di critica televisiva A parer mio.
~ 46 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
che più mi dispiace in certe trasmissioni televisive è lo sciacquone.
Termine probabilmente grossolano, me ne rendo ben conto [...] Ma come
definire altrimenti quello scroscio di risate falso, artificiale, registrato
che interrompe certe commediole televisive a puntate (sit-comedies,
all' americana) […] Raimondo Vianello e Sandra Mondaini sanno farci
ridere o sorridere quando vogliono. Ma pare che non basti. Di tanto in
tanto, qualcuno tira rumorosamente lo sciacquone, in quella loro casa
che ci si immagina tanto più silenziosa, e viene giù uno scroscio di
risate: prefabbricate.” 33, oppure, “risate meccaniche, registrate su nastro,
e messe lì per dire: quanto ci divertiamo. Vi state divertendo anche voi a
casa? È un vezzo, un vizio preso di peso dalla situation comedy
americana e applicato meccanicamente da noi un po’ dappertutto”.34 Le
ragioni per cui si ricorre a questo espediente sono diverse, prima di tutto
uno dei loro scopi è quello di trasmettere questo senso di comunità allo
spettatore, quasi per non farlo sentire solo tra le mura domestiche, il
secondo scopo, quello più tecnico e decisamente meno affascinante,
riguarda la necessità di nascondere gli stacchi di montaggio (sonori e
visivi).
Tornando ai 3 fattori che imparentano la sitcom col teatro, è bene
analizzare la questione dei tre atti. Proprio come una rappresentazione
teatrale, la situation comedy presenta una struttura narrativa divisa in tre
parti: un equilibrio iniziale e la rottura di questo equilibrio nel prologo, i
conseguenti squilibri nella sezione centrale, la risoluzione ed il
ristabilirsi degli equilibri iniziali nella conclusione. In questo senso si
denota la tipica struttura circolare per cui alla fine di ogni episodio tutto
torna alle origini: ogni elemento, ogni personaggio torna nella propria
33
34
B. Placido, Le Risate Artificiali come lo Sciacquone, in La Repubblica, 19 gennaio 1991.
B. Placido, Ma quelle risate son proprio necessarie?, in La Repubblica, 8 gennaio 1992.
~ 47 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
scatolina assieme ai suoi aspetti fondamentali; tutto torna nella sua
posizione originaria. È proprio per questo aspetto che per molto tempo la
sitcom è stata categorizzata come sottogenere della serie non
considerando il fatto che questo genere, quello della sitcom, ha ben poco
a che vedere, da un punto di vista storico ma anche di produzione, con il
mondo delle serie TV. Si tratta di un genere a sé stante, un genere
televisivo totalmente indipendente.
III.2 La sitcom americana: dagli anni cinquanta agli anni duemila
Molti studiosi e critici televisivi hanno dedicato attenzione al
genere americano per eccellenza, elaborandone classificazioni ed
evoluzioni. Una delle più quotate, e sicuramente più dettagliate, è quella
sviluppata dallo scrittore spagnolo Natxo López nel suo Manual de
guionista de commedias televisivas (2008) 35. López suddivide la sitcom
in sette sottogeneri:
Commedia Familiare: Genitori in blue jeans (Growing
Pains, ABC 1985-1992), Sposati… con figli (Married with
children,
FOX
1987-1997).
Il
tratto
distinitvo
è
rappresentato dal fatto che tutti gli avvenimenti si
sviluppano all’interno di un ambiente prettamente familiare.
Commedia Corale: Friends (NBC 1994-2004), The big
bang theory (CBS 2007-in corso), How I met your mother
35
G. Padilla-Castillo, P. Requeijo-Rey, La sitcom o comedia de situación: origenes, evolución
y nuevas prácticas, Fonseca, Journal of Communication 2172-9077 Num. 1, Madrid, 2010.
~ 48 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
(CBS 2005-in corso). In questo tipo di sitcom non esiste un
protagonista unico a cui ruoti attorno tutta la storia, nella
commedia corale tutti hanno un ruolo centrale. Potremmo
considerare protagonista l’intero gruppo.
Commedia con Vehiculo Estrella, ovvero sitcom il cui
protagonista è un personaggio già celebre al pubblico, è il
caso di The Bill Cosby Show (NBC 1969-1971), The Dick
Van Dyke Show (CBS 1961-1966) o del The Doris Day
Show (CBS 1968-1973). La scelta di ingaggiare un
personaggio già molto celebre e fargli girare attorno l’intera
commedia è legata alla garanzia di una certa fetta di
pubblico, già affezionato al personaggio ancor prima che
alla sitcom.
Commedia etnica: Willy, il principe di Bel-Air (The fresh
prince of Bel-Air, NBC 1990-1996), Otto sotto un tetto
(Family Matters, ABC/CBS 1989-1997). Si tratta di
commedie dedicate ed indirizzate ad un pubblico specifico,
in questo caso a quello afroamericano.
Commedia sociale: si tratta di sitcom in cui l’elemento
umoristico viene utilizzato per affrontare questioni di natura
politica o sociale, è il caso della serie M*A*S*H (CBS
1972-1983), nata negli anni settanta come protesta alla
guerra del Vietnam.
Commedia generazionale: Bayside School (Saved by the
bell, NBC 1989-1993). Si tratta di sitcom indirizzate ad un
pubblico molto giovane.
~ 49 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
Commedia Fantastica: Vita da strega (Bewitched, ABC
1964-1972), Strega per amore (I dream of Jeannie, NBC
1965-1970), Super Vicki (Small Wonder, 20 Century Fox
Television 1985-1989). Il tratto distintivo di queste sitcom è
il fatto che degli avvenimenti del tutto fantastici come la
presenza di streghe, robot ed incantesimi si mescolino ad
elementi umoristici e quotidiani.
Dopo aver classificato e suddiviso il genere della commedia di
situazione, è ora di elaborarne una breve ma dettagliata evoluzione che
vada di pari passo con la storia e la stessa evoluzione della società
contemporanea americana e delle sue prospettive socioculturali dagli
anni cinquanta agli anni duemila.
Il 1951 è l’anno della svolta per questo genere televisivo: I love
Lucy viene trasmessa per la prima volta dal canale
americano CBS. Si tratta della prima vera sitcom
della storia e narra le vicende di una coppia mista:
Lucy, una donna americana, e Ricky, un cubano
trapiantato a New York. In tutta la commedia si
evidenziano le differenze culturali che dividono i due
coniugi. I love Lucy riscosse grande successo in America come in tanti
altri Paesi europei dove venne esportata, e proprio questo suo successo
inaspettato influì enormemente su tutti i prodotti successivi, delinando i
tratti distintivi di quello che poi si sarebbe trasformato in un genere
televisivo a sé stante. Gli anni cinquanta sono gli anni della commedia
familiare in cui vengono sottolineati i valori della famiglia tradizionale
~ 50 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
americana. Al centro delle vicende c’erano sempre famiglie borghesi e
felici in cui il marito lavorava e la moglie badava alla casa e ai figli.
Negli anni sessanta si sviluppano trame per tutti i gusti, sono gli
anni delle commedie fantastiche como Vita da strega (Bewitched) o delle
commedie incentrate su personaggi già molto famosi come The Dick van
Dyke Show.
Negli anni settanta, in linea con lo spirito sessantottino, si fa avanti
una corrente decisamente “progressista”. Difatti si cominciano a trattare
tematiche piuttosto innovative legate, ovviamente, al sociale. Si
comincia a parlare di donne sole, senza figli e felici. Si mettono da
parte i valori e i “sani principi” della famiglia tradizionale americana,
ponendo invece l’attenzione sulle relazioni personali sviluppate al di
fuori dell’ambito familiare.
Gli anni ottanta sono gli anni della crisi dovuta a costi di
produzione eccessivamente alti rispetto alla domanda del pubblico
americano che, in questo perido, inizia ad interessarsi ad altri prodotti
televisivi. Nel 1984 approda sugli schermi The Bill Cosby Show
risollevenado le sorti di questo genere.
Gli anni novanta rappresentano gli anni d’oro per la sitcom
americana. Il grande successo di questi anni è dovuto alla grande varietà
di argomenti che vengono affrontati, ce n’è davvero per tutti i gusti. Si
inzia finalmente a parlare di omosessualità, di famiglie allargate e
atipiche. Sono gli anni di Friends, di Will&Grace, di The Nanny.
~ 51 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
Gli anni duemila delineano da una parte, una sorta di rivoluzione
nelle pratiche di realizzazione con l’utilizzo di camere manuali e di
un’illuminazione più naturale, dall’altro continuano a conservarsi quelle
peculiarità che hanno caratterizzato il genere come le risate registrate, la
presenza del pubblico in sala e la durata degli episodi di circa 30 minuti.
Negli anni duemila la commedia di situazione viene valorizzata a
tal punto che prodotti come The big bang theory o How I met your
mother si guadagnano addirittura premi e riconoscimeni televisivi molto
importanti. Chissà che la crisi economica e cinematografica, non abbia
influito positivamente sul destino di questo genere molto spesso
sottovalutato, emblema di quella leggerezza, genuinità e autenticità
(anche televisiva) di cui in questo momento storico, sentiamo forse la
mancanza.
~ 52 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
III.3 La coscienza di massa attraverso un genere
“No
other
European
television,
notwithstanding
the
preoccupations and the mandates of politicians and intellectuals, has
been as American as Italian television. American not so much in relation
to the news, always prisoners of the national political games, but
American in regard to TV fiction and entertainment, particularly after the
coming of commercial television in the early 1980s.”36
Il forte impatto e la forte influenza degli Stati Uniti nel panorama
televisivo italiano è giustificato da questioni di genere. In effetti la
televisione italiana, più di ogni altra televisione europea, è quella più
americanizzata. In un contesto del genere è interessante prendere in
analisi, non tanto il gran numero di prodotti americani importati sui
nostri palinsesti, quanto i processi di addomesticamento che questi hanno
dovuto subire per sembrare “più italiani”. Analizziamo quindi la storia e
l’evoluzione dell’intrattenimento a stelle e strisce sui palinsesti italiani.
Se consideriamo la sitcom uno strumento industriale, questa deve
necessariamente riflettere e riguardare un certo tipo di pubblico per
trasformarlo da consumatore ideale a spettatore fedele. Lo scopo è quello
di riuscire a radunare più individui possibili, ad un orario preciso, e far sì
che questi ridano insieme. Non a caso, per rendere questo legame sitcomspettatore ancora più saldo, la realtà del prodotto tende ad andare di pari
passo con la realtà dello spettatore; la contemporaneità è infatti una
caratteristica fondamentale di questo genere. Contemporaneità significa
riferirsi ad un tempo ed a uno spazio ben preciso ed è qui che sradicare la
36
C. F. Ferrari, Since When is Fran Drescher Jewish?, Texas University Press, Texas, 2010, p.
12.
~ 53 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
sitcom dal suo contesto di origine diventa complicato. Più saldo sarà
questo legame spazio-tempo, maggiori saranno le difficoltà di
esportazione e ridimensionamento del prodotto. In questo senso
l’aggettivo americana anteposto al sostantivo sitcom diventa essenziale e
pregnante. “Se ridere di se stessi è un tratto distintivo americano ne
consegue allora che la commedia TV, per essere compresa appieno,
merita di essere studiata nel contesto delle tradizioni sociali, religiose e
letterarie americane.” 37 La sitcom è un genere decisamente, fortemente e
indissolubilmente americano ed ogni sua caratteristica o sfumatura grida
questa sua appartenenza. Ed è proprio questo legame indissolubile con
una comunità nazionale specifica a pesare tantissimo sul genere e su
un’eventuale esportazione. La motivazione principale di questa difficoltà
di sradicamento è l’essenza di questo genere: l’umorismo; di cui la
sitcom vive e si nutre. Le battute, i giochi di parole, la quotidianità dei
personaggi svelano e spiegano la coscienza di massa di una nazione, gli
aspetti o gli eventi per cui quella nazione ride.
“Le sitcom americane sono estremamente esportabili nel mondo,
dato che usano una formula tanto trasparente da poter occupare il posto
della programmazione indigena per l’audience locale.” 38
È difficile condividere questo punto di vista dato che, nella storia
dell’esportazione di questo genere, il successo di numerose sitcom in
Italia, è sempre stato imprevedibile e caratterizzato da alti e bassi legati
perlopiù alla forte connotazione a “stelle e strisce” del prodotto. Ragion
per cui non possiamo parlare di trasparenza nel momento in cui un
prodotto
approda
in
un
altro
Paese
37
per
venire
manipolato,
M.V. Tueth, Laughter in the Living Room. Television Comedy and the American Home
Audience, Peter Lang Editore, New York, 2005, p. 1.
38
J Hartley, Situation Comedy: Part 1, Creeber Editore, 2001, p. 65.
~ 54 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
ridimensionato, stravolto e adeguato a quella coscienza di massa
indigena. D’altro canto però, è innegabile il tentativo degli Stati Uniti di
rendere i loro prodotti sempre più cosmopoliti, moderni e quindi
appetibili agli occhi di un’Europa invaghita e affascinata da questo
impero mediale irresistibile. I prodotti americani approdano in altri Paesi
e diffondono un’immagine dell’America costruita per far sì che questa
risulti più accettabile agli occhi delle altre culture, un’immagine però
distorta, forzata e soprattutto americanocentrica del mondo senza che I
Paesi “periferici” se ne rendano conto. Il prezzo da pagare per prodotti
moderni, semplici, efficaci e cosmopoliti è proprio una sorta di
svuotamento e appiattimento delle culture nazionali a favore di un
universalizzazione dei media che diventano, in questo modo, americani.
Da sempre, gli Stati Uniti rappresentano il baluardo della modernità,
un’ iper-realtà, un’utopia raggiunta se vogliamo, e si fanno garanti di un
sentire che diventa prima occidentale e poi mondiale; a tal proposito non
si può non citare la provocazione avanzata da Baudrillard,
tanto
azzardata quanto indovinata, secondo cui “l’America è la versione
originale della modernità. Noi ne siamo la versione doppiata o
sottotitolata.”
39
In questo senso, potremmo guardare agli Stati Uniti
come coloro alla guida della produzione mediale mondiale mentre alle
resistenze degli altri Paesi come delle mere imitazioni dell‟originale.
39
J. Baudrillard, Amérique, Grasset Editore, Parigi, 1986, p. 76.
~ 55 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
III.4 False partenze ed eterni ritorni
Per analizzare l’evoluzione e l’approdo della sitcom americana in
Italia è fondamentale considerare e distinguere tre periodi cruciali nella
storia della televisione italiana rispetto al genere della commedia di
situazione: gli anni ottanta, ovvero gli anni delle sbornie e delle
abbuffate commerciali, gli anni novanta caratterizzati invece dagli
stravolgimenti e dagli adattamenti forzati ed infine il duemila, in cui si
verifica un vero e proprio ritorno alle origini. E partiamo proprio dalle
origini: il 6 febbraio 1960 approda in Italia la prima sitcom Made in
USA: Lucy ed Io (alle origini,
I Love Lucy). Nonostante l’enorme
successo in America, e non solo, purtroppo in Italia questo primo
esperimento si rivelò un insuccesso per due ragioni ben precise: prima
di tutto a causa della mancanza di chiavi di lettura adeguate sia nel
pubblico che negli addetti ai lavori, ed in secondo luogo a causa di una
percezione della comicità totalmente diversa, forse più debole rispetto a
quella nazionale. Questa seconda ragione è ovviamente legata a delle
difficoltà di traduzione e di adattamento non indifferenti. In seguito al
fallimentare esperimento di Lucy ed Io, la presenza dell’America sugli
schermi italiani verrà caratterizzata da un silenzio durato più di venti
anni. In effetti i palinsesti
italiani sembrano dimenticare le
programmazioni Made in Usa, ad eccezione della Famiglia Addams,
andata in onda sulla RAI sin dal 1966. Questo silenzio durerà sino al
1977 quando approderà sugli schermi italiani una serie che ha
affascinato un’intera generazione: Happy Days. Questo prodotto diventa
un fenomeno di costume, fornendo un modello tradizionale e
rassicurante. A confermarne il successo non ci sono solo i dati di ascolto,
ma anche e soprattutto l’ingresso nella vita quotidiana di una
~ 56 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
generazione che adotta gesti e movenze del protagonista di Happy Days,
il teppista buono, Fonzie: “Il Grande Fonzie, scivolando sulle onde del
Primo, entra nelle case di almeno quindici
milioni di ragazzi italiani. Ci arriva con i
suoi blue jeans sfilacciati, con il giubbotto
di pelle nera […]. Centinaia di migliaia di
ragazzini
italiani
hanno
imparato
a
camminare come lui, dondolandosi sulle
anche. A fare i suoi gesti, ad appoggiarsi come lui alla moto, a dire
“Uauu” agitando il pollice […]. I nostri ragazzini vorrebbero
assomigliare al Grande Fonzie, le ragazzine ne sono innamorate”.40
Mentre gli americani raccontano, attraverso Happy Days, una certa
nostalgia per gli anni cinquanta facendo trasparire anche una volontà di
ritorno alle origini e a quel prototipo di famiglia americana andato in
pezzi dopo le turbolenze dei primi anni settanta, in Italia questa sitcom
permette agli italiani di proiettarsi in quell’immaginario di anni
cinquanta forse mai vissuto realmente, cercando così, e con non poca
fatica, di comprendere e rispecchiarsi in quella realtà così americana. Da
un punto di vista strettamente televisivo, possiamo considerare Happy
Days come il prodotto apripista, a cui seguirà una fitta importazione di
prodotti di stampo americano dando così inizio a quel periodo che
potremo definire come quello delle abbuffate commerciali: gli anni
ottanta.
40
L. Vergani, È morto Goldrake ma il nuovo idolo è il teppista buono, in Corriere della Sera,
13 gennaio 1979.
~ 57 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
III.5 L’abbuffata commerciale degli anni ottanta
Con la nascita delle TV private, gli anni ottanta della televisione
italiana sono caratterizzati da un uso e abuso di prodotti ready made
41
provenienti dall’America. In questo periodo la televisione italiana
diverrà la più grande importatrice di telefilm
statunitensi. La ragione principale di questo “abuso”
va ritrovata, ovviamente, nel vantaggio economico.
Le situation comedy americane erano di gran lunga
più economiche rispetto ai film. Il termine abbuffata
commerciale, o sbornia, si riferisce alla tendenza
tipica di questi anni per cui si comincia a riciclare, recuperare, riproporre
numerosi titoli del passato, a distanza di dieci o addirittura venti anni
dalla prima messa in onda. È in questi anni che verrà ripescato lo
sfortunato Lucy ed io insieme ad Happy Days, ad esempio. Per questa
ragione si comincia a parlare delle sitcom americane come di tappabuchi
necessari ai palinsesti italiani grazie alla loro ripetibilità e modularità.
Gli anni ottanta sono anche gli anni dei nuovi arrivi, in questo periodo
approdano sitcom del calibro dei Jefferson, spin-off
di Arcibaldo (All in the Family), e dei Robinson,
destinate a continue repliche fino al duemila. Sono
gli anni di Genitori in Blue Jeans (Growing Pains),
de La Famiglia Brady (The Brady Bunch), Super
Vicky (Small Wonder). La natura di queste ultime
sitcom, basate sulle vicende di famiglie americane
borghesi, porterà all’esclusione di tutti gli altri filoni che non avranno
41
L. Barra, Op. cit. , p. 112.
~ 58 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
mai spazio nei palinsesti italiani degli anni ottanta. Oltre che tradurre e
adattare questi prodotti, in questo periodo si tenta anche di tradurre la
formula americana italianizzandola. Ispirandosi al termine sitcom
nascono prodotti homemade come Zanzibar, Casa Vianello o Vicini di
Casa.
III.6 Gli adattamenti forzati degli anni novanta
Gli anni novanta non sono certo caratterizzati dalla ricchezza
dell’offerta
tipica
del
decennio
precedente,
bensì
da
un
ridimensionamento di questo genere nei palinsesti italiani. Le
conseguenze di questo approccio saranno fondamentali per delineare la
storia italiana della sitcom americana. In questi anni si delinea un
atteggiamento televisivo per cui i palinsesti si liberano del fardello
americano, abbandonando quell’identità moderna, attuale e innovativa
tipica degli anni ottanta. Diventano sempre meno cosmopoliti e sempre
più nazional-popolari. In questi anni si cerca
di dare un nuovo slancio alla sitcom,
conferendole un retrogusto più italiano, in
tal senso Barra parla di una sitcom ridotta e
italianizzata
42
.
E
così
si
interviene
pesantemente sugli adattamenti, si cambiano
interi dialoghi, si stravolgono le personalità e i tratti distintivi dei
personaggi originali Made in Usa dando vita, spesso, a vere e proprie
riscritture nell’edizione italiana. I casi più eclatanti sono tre: Pappa e
42
Cfr Ibidem, p. 117.
~ 59 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
Ciccia (Roseanne), La Tata (The Nanny) e I Soprano (The Sopranos).
Nel primo caso la sitcom americana è incentrata sulle vicende di una
coppia di origini ebraiche della working class arrabbiata, Roseanne e
Dan Conner. La serie tocca tematiche abbastanza importanti come la
povertà, l’obesità, l’omosessualità e il femminismo. Nella versione
italianizzata, Roseanne diventa Anna Rosa e della donna emergono, più
che le origini ebraiche, quelle napoletane; infatti nel doppiaggio Anna
Rosa parla con uno spiccato accento partenopeo. La serie verrà trasmessa
dal 1992 al 1997. Nel caso de I Soprano invece si adottano entrambe le
strategie di addomesticamento
ed estraniamento. La serie originale
trattava argomenti tanto scomodi quanto
familiari alla TV italiana, quali la mafia e
lo
stereotipo
dell’italo-americano
mafioso. Per questa ragione la serie, che
ha riscosso un enorme successo negli Stati
Uniti, in Italia è stata ostacolata da orari di
messa in onda alquanto discutibili. Se da un lato lo spettatore veniva
proiettato negli Stati Uniti attraverso l’omissione di elementi troppo
familiari e quindi, offensivi, dall’altro si optava per la sostituzione ed il
ri-adattamento di elementi legati alla mafia con elementi legati allo
stereotipo del Sud Italia. Un altro caso di ristrutturazione e forte
italianizzazione è poi quello de La Tata. In questo caso la colorita
ragazza del Queens, tipica JAP (Jewish American Princess), si trasforma
nell’italo-americana Francesca Cacace. Oltre a perdersi ogni traccia di
ebraismo, la storia personale della protagonista viene del tutto stravolta.
Francesca è italiana, ed è giunta nella Grande Mela direttamente da
Frosinone. Ed è proprio all’analisi dell’adattamento italiano di questa
sitcom che verrà dedicato il capitolo successivo.
~ 60 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
Questi cambiamenti azzardati e così drastici sono stati oggetto di
critica ma, allo stesso tempo,
hanno anche contribuito al grande
successo di questi prodotti in Italia. La Tata, ad esempio, ha affascinato e
divertito il pubblico italiano per anni proprio grazie a quegli elementi
aggiunti in fase di adattamento, per una ragione puramente culturale: chi
avrebbe mai colto l’umorismo di battute con chiari riferimenti alla
cultura o alla lingua parlata dalla comunità ebraica newyorkese? Al di
là degli escamotage italianizzanti, gli anni novanta sono anche gli anni
della sitcom dal sapore “nazional-popolare”, e quindi adatta a tutta la
famiglia, come Otto sotto un tetto (Family Matters) o Willy il principe di
Bel Air (The Fresh prince of bel Air), anche se il vero mainstream di
quegli anni sono quelle sitcom in cui vengono rappresentate sia le
famiglie disfunzionali o alternative ma
anche
i
gruppi
di
amici,
magari
coinquilini, e l’ambientazione è quasi
sempre metropolitana. Non a caso, una
delle sitcom che ha riscontrato più
successo alla fine degli anni novanta è
proprio Friends, in onda sugli schermi italiani dal 1997 al 2005. La
formula vincente di questa sitcom ha decisamente influenzato tutti quei
prodotti successivi, basti pensare ai grandi successi contemporanei come
The Big Bang Theory o How I met your mother.
Il primo decennio del duemila è stato caratterizzato da una sorta di
ritorno alle origini. I palinsesti italiani si chiudono e la sitcom comincia
a venire marginalizzata destando l’interesse di nicchia, è infatti
l’evoluzione di canali come Mtv, che comincia a trasmettere e
~ 61 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
valorizzare
il
genere.
Dopo
la
sbornia
degli
anni
ottanta,
l’italianizzazione dei novanta e il ritorno alle origini degli anni duemila,
siamo giunti all’epoca più contemporanea in cui i mezzi di
comunicazione sono cambiati e in cui, a “dettare legge”, non sono più le
sole TV private o satellitari bensì il web. La sitcom trova nuova vita
grazie a forme di TV convergenti, che rinunciano all’idea di italianizzare
l’America. Oggi l’idea di adattamento forzato in stile anni novanta
sarebbe impensabile e inaccettabile, e , nel momento in cui si presentano
anche solo accenni ad un ipotesi di forzatura, le critiche non si
risparmiamo. Queste rifiuto è legato, ovviamente, ad una diversa
percezione dell’America e ad una più ampia comprensione della lingua
inglese, rispetto ai decenni scorsi. Alla luce di questa lunga storia ed
evoluzione della sitcom americana e della sua storia in Italia possiamo
concludere considerando quanto questo genere, semplice, immediato e
genuino, proprio come pane e marmellata, sia un genere, sì in continua
evoluzione, ma che in fin dei conti, decenni dopo decenni, rimane
sempre uguale a se stesso, e proprio questa sua caratteristica gli permette
di adattarsi e contestualizzarsi all’epoca e alle generazioni che ne
fruiscono.
~ 62 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
III.7 Che cosa significa tradurre una risata?
“Leggere l’ironia è in qualche modo come tradurre, come
decodificare, come decifrare, è come scrutare da dietro una maschera.” 43
Nella prima parte del capitolo è stata definito un genere, quello
della sitcom, e ne è stata delineata la sua evoluzione in Italia,
dall’esordio fino all’età contemporanea. Questa seconda parte del
capitolo è invece dedicata ad una questione cruciale parlando di sitcom:
la traduzione dell’ironia. Abbiamo affrontato il discorso dello
scollamento, del distacco dal prodotto originale; questi profondi
cambiamenti influenzano enormemente il prodotto finale ma soprattutto
l’idea italiana di tale prodotto. La maggior parte degli studi e le ricerche
sulla traduzione dell’umorismo nell’audiovisivo, focalizzano l’attenzione
su due fattori: l’estrema difficoltà nel traslare certe battute, certi giochi di
parole da un contesto ad un altro in maniera credibile, e l’eventuale
impossibilità dell’operazione, la così detta intraducibilità. Un vecchio
aforisma dice che tutte le persone ridono nella stessa lingua; certamente
la modalità è sempre la stessa, ma ciò che cambia è la ragione per cui si
ride e questo non fa che confermare lo stretto legame tra l’umorismo ed
il contesto culturale in cui esso si sviluppa. Flavia Cavaliere parla di
racist humour
44
, dato questo suo strettissimo legame con il contesto
culturale e sociale a cui appartiene e l’impossibilità di adattarsi altrove.
Spesso la negoziazione linguistica e la condivisione di concetti a livello
globale permettono allo spettatore di afferrarne l’ironia, ma cosa succede
43
H. Bergson, Saggio sul Significato del Comico, Laterza Editore, Roma-Bari 1993, p. 33.
Cfr F. Cavaliere, Can Culture-specific Humour Really Cross the Border?, articolo
accademico in Textus XXI (2008), p. 67.
44
~ 63 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
quando questa è radicata così a fondo in quel contesto da non poter
essere condivisa dallo stesso schema cognitivo e socioculturale?
“Traducendo non si mettono in gioco soltanto due lingue ma
anche due culture”.45 Detto ciò, è cruciale considerare ancor prima di
iniziare a tradurre, il ruolo della cultura in quel determinato testo.
Tradurre l’umorismo, significa conoscere a pieno tanto il contesto di
partenza quanto quello di arrivo, ma soprattutto implica il saper
scambiare sistemi di riferimento per afferrare quell’ambiguità così
caratteristica dell’umorismo nell’ audiovisivo. La dimensione del
Verbally Expressed Humor (VEH) ha introdotto un livello di complessità
che limita l’accesso alla risata a coloro che hanno una buona (se non
ottima) padronanza della lingua e della cultura di partenza. Spesso la
riproduzione dell’umorismo in un’altra lingua può essere legata a diversi
fattori, come ad esempio il senso dell’umorismo del traduttore stesso e
l’umore di questo durante l’operazione; non è poi da sottovalutare la
possibilità che il traduttore possa cogliere sì la dimensione del VEH, ma
trovarla sgradevole: “If the creation of VEH is a talent or a special skill
and the translator is not a particularly funny person, isn’t it asking a
great deal of them to suddenly become a wit in another language?”
46
Quel che è certo è che il comico, ricopre una funzione sociale molto
importante proprio perché svela le rigidità dei meccanismi della vita
quotidiana, è proprio per questo motivo che “per comprendere il riso
bisogna riportarlo nel suo ambiente naturale, che è la società, bisogna
soprattutto determinarne la funzione utile, che è funzione sociale”,47
45
U. Eco, Experiences in Translation, University of Toronto Press, Toronto, 2001, p. 62,
[Trad. Michela Lauritano].
46
D. Chiaro, Verbally expressed Humor and Translation: An overview of a neglected field,
articolo accademico in Humor 18-2 (2005), p.135.
47
H. Bergson, Ivi, p. 7.
~ 64 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
quindi la trasposizione dell’umorismo da un contesto ad un altro può
essere molto rischiosa se non si conoscono a fondo entrambi i contesti.
H. Bergson48 riconosce due tipi di comicità, quella di situazione e quella
di parola49. La prima ha una soglia di traducibilità decisamente più alta
seppure
con
un’eventuale
impoverimento
o
approssimazione
dell’originale, la seconda invece è legata alla distrazione momentanea
del linguaggio50, caratterizzata da giochi di parole difficilmente
traducibili da un contesto linguistico e socio-culturale ad un altro. In
questo modo, la comicità di parola può viaggiare da un Paese all’altro
solo attraverso tradimenti, negoziazioni, strategie applicate dal
traduttore, in questo senso un vero e proprio acrobata delle parole.
Questo difficile passaggio del comico e dell’ironia da una realtà ad
un’altra, implica lo scontro tra un doppio principio: da un parte quello
culturale, dall’altra quello creativo. Se il primo tenta di ancorare il testo
di origine al suo contesto di origine mantenendone la specificità, il
secondo, pur di avvicinare quel prodotto al pubblico di destinazione ne
contempla la destrutturazione, lo smantellamento concedendo quindi
forzature, fraintendimenti, sovrascritture ed eliminazioni. In fondo si
tratta della dialettica dello straniamento e della domesticazione di cui
abbiamo parlato nel primo capitolo in riferimento ai vincoli tecnici e
culturali della traduzione audiovisiva.
La questione della traduzione dell‟umorismo è legata quasi ed
esclusivamente a problemi interculturali più che intralinguistici. Basti
pensare alla pièce teatrale inglese The Play What I Wrote, di Sean Foley
48
Filosofo francese del novecento (Parigi 1856-Parigi 1941). Il suo pensiero influenzò diversi
ambiti come la psicologia, la biologia, la letteratura e la teologia. Nel 1927 ricevette il
Premio Nobel per la Letteratura.
49
Cfr H. Bergson, op. cit.
50
Cfr Ivi.
~ 65 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
e Hamish McColl. Lo sceneggiato narra la storia di due giganti della
commedia inglese, Morecambe e Wire e delle loro disavventure nel
rimettere in piedi il loro spettacolo. The Play What I Wrote trabocca di
continui riferimenti a battute, giochi di parole e atteggiamenti tipici dei
due comici, che hanno fatto la storia della commedia inglese. Nel
momento in cui lo spettacolo è approdato nei teatri d’oltreoceano, è stato
necessario adattarlo ad un audience americana sostituendone battute e
giochi di parole troppo specificatamente british, e non in linea con la
comicità a stelle e strisce; e la cosa buffa è che stiamo parlando
addirittura della stessa lingua! Il risultato non è stato tanto soddisfacente
quanto in Inghilterra ed in effetti questo inaspettato insuccesso è
necessariamente
ed
esclusivamente
legato
alla
confusione
al
disorientamento del pubblico americano. Ciò a conferma del fatto che il
successo e la riuscita dell’umorismo sono tali solo entro i confini del
paese di origine, soprattutto nel momento in cui questo non possa
sopravvivere se privato della sua linfa. A tal proposito potremmo
ipotizzare l’impossibilità dell’umorismo di oltrepassare le frontiere e
questo non è un limite da attribuire alla competenza del traduttore, bensì
all’intrinseca intraducibilità di troppe implicazioni socioculturali rispetto
ai vincoli dei media. Non possiamo quindi che condividere il pensiero di
R.C. Solomon quando afferma “The background and presuppositions of
humor go deeper and are more complex than virtually anything else in a
culture […] Humor is the last frontier to be crossed, in the complete
understanding of a culture”.51
51
R.C. Solomon, Racist Humor : Notes toward a Cross Cultural Understanding, 1997, p. 20.
~ 66 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
Capitolo Quarto: Fran Fine&Francesca Cacace
IV.1 Il caso: La Tata
Quest’ultimo capitolo è dedicato all’analisi dell’adattamento
italiano di The Nanny, la celebre sitcom americana esportata in tutto il
mondo. Lo scopo è quello di considerare gli aspetti linguistici e culturali
e fornire una spiegazione delle ragioni
per cui si è optato per un cambiamento
così drastico in seguito al quale Fran
Fine si è trasformata
in Francesca
Cacace. Ciò che rende interessante
quest’analisi è il fatto che il caso italiano
di questo adattamento televisivo non è altro che un esempio lampante di
manipolazione testuale, a metà strada tra la traduzione più tradizionale e
la completa ristrutturazione. Questo prodotto è stato esportato in molti
Paesi lontani dagli stereotipi nordamericani, come l’Argentina, il
Messico o il Chile ma si è sempre trattato di versioni locali in cui a
recitare non c’era il divo di Hollywood ma l’attore locale e in cui l’unica
cosa a rimanere inalterata era proprio la trama e le peculiarità dei
personaggi. In Italia, invece, gli addetti ai lavori si sono trovati di fronte
a degli ostacoli culturali apparentemente insormontabili ed il risultato
finale, La Tata, rappresenta proprio il tentativo di questi di accogliere la
globalizzazione senza però disinteressare il pubblico italiano, perché in
fin dei conti ricordiamoci che lo scopo ultimo per cui un prodotto
mediale venga smantellato, riscritto e adattato alla cultura del paese di
~ 67 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
arrivo, non è certo legato alla salvaguardia di una specificità culturale e
nazionale bensì al profitto che se ne trarrà: più regionale e italianizzato
sarà, più risulterà comprensibile al pubblico a casa e più alti saranno gli
ascolti. L’adattamento di questa sitcom ha fatto storia da un punto di
vista traduttivo proprio per i suoi stravolgimenti, per cui interi dialoghi e
scene sono state totalmente riscritte, senza però precludere il successo
del prodotto in Italia. Siamo negli anni novanta, l’era in cui prodotti
profondamente americani, come The Nanny, diventano italiani sfidando
l’idea di una televisione importata che fosse globale, standardizzata e,
perché no, americanizzata. “Guardare la televisione americanizzata in
Italia fece accrescere in me una sorta di orgoglio nazionale, perché
sinceramente (e forse anche ingenuamente) credevo davvero che gli
autori americani avessero deciso di scrivere degli italiani. […]
Consideravo un privilegio (ed ovviamente una curiosa coincidenza) che
fra tutte le etnie e le nazionalità negli Stati Uniti d’America, gli autori
americani avessero scelto di raccontare e rappresentare proprio le storie
degli italiani. […] Mi ci volle del tempo e qualche ora di aereo per capire
(durante una lezione e non guardando la TV) che la mia tata preferita, la
Tata Francesca, non aveva niente a che fare con l’Italia. Discutendo della
rappresentazione delle etnie nella TV americana con i miei compagni e
professori universitari (americani), qualcuno menzionò e criticò il ritratto
esageratamente stereotipato della JAP, The Jewish American Princess,
proposto da Fran Drescher in The Nanny. Tutto d’un tratto non mi
raccapezzai più: Since When Fran Drescher is Jewish? chiesi.”52 Già, da
quando Francesca Cacace è ebrea? In questo senso si può percepire
quanto complicato e necessario sia stato tradurre ed adattare nomi, etnie,
52
C. Ferrari, Since When is Fran Drescher Jewish?, Texas University Press, Texas, 2010, p. 2
[Trad. Michela Lauritano]
~ 68 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
culture e storie completamente diverse da quelle a cui siamo abituati. Il
processo che ha visto trasformare l’intera storia e origine della nostra
protagonista potrebbe essere definito come un processo di relocalization53, o re-localizzazione, per cui un ritratto stereotipato di un
gruppo etnico deve necessariamente venire modificato per rendere il
tutto comprensibile ad un nuovo pubblico: chi avrebbe mai riso alle
battute di una tata ebrea basate su continui riferimenti e giochi di parole
tra l’inglese e lo Yiddish54. Ovviamente questo processo va
contestualizzato. A tal proposito Corizza, il direttore del doppiaggio de
La Tata, afferma in un’intervista rilasciata alla scrittrice C. F. Ferrari,
che 15 anni fa in Italia non c’era la stessa percezione dello stile di vita
americano che abbiamo oggi, spiega che proprio questa ragione ha
portato ad addomesticare alcuni elementi che altrimenti sarebbero
risultati incomprensibili al pubblico italiano. Il cibo, ad esempio, insieme
agli elementi legati al gruppo etnico di cui Fran Fine fa parte, diventano
un difficile ostacolo da superare; non a caso Corizza racconta di essere
stato obbligato a tradurre pancakes con frittelle per dare un’idea più
chiara di cosa stessero mangiando i protagonisti. Oggi traduttori e
adattatori non devono più ingegnarsi per trovare il giusto corrispondente
o l’alternativa più adeguata nella traduzione dell’audiovisivo, proprio
perché tutti sappiamo cosa sono i pancakes e la percezione dell’America
e del suo stile di vita è decisamente cambiata.
Negli Stati Uniti The Nanny va in onda dal 1993 al 1999 sul canale
CBS e racconta la storia di Fran Fine, una giovane e pittoresca ebrea
53
54
Ivi, p. 3.
Lingua germanica parlata dalle comunità ebraiche in tutto il mondo.
~ 69 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
newyorkese dal quartiere di Flushing, nel Queens. Dopo essere stata
licenziata dal fidanzato, gestore di un negozio di abiti da sposa, Fran
bussa alla porta di casa Sheffield nelle vesti di una rappresentante di
cosmetici. In seguito ad una serie di divertenti fraintendimenti il signor
Sheffield, un vedovo inglese che produce musical a Broadway, la
assume come nuova tata dei suoi tre figli: Maggie, Brighton e Gracie. La
famiglia di Fran è composta invece dalla madre Sylvia e la nonna Yetta,
che incarnano in pieno lo stereotipo delle donne ebree americane del
Flushing. L’elemento comico della sitcom gira proprio attorno a questa
contrapposizione: la personalità eccentrica ed invasiva di Fran e dei suoi
parenti da una parte e l’indole fredda, distaccata, dannatamente british,
di Maxwell e dei suoi conoscenti. In Italia, invece, La Tata va in onda
dal 1995 al 1998 prima su Canale 5 e poi su Italia 1 e racconta la storia
di Francesca Cacace, una stravagante ragazza italo-americana di origini
ciociare. Tutta la sua famiglia è di Frosinone ed è di religione cattolica.
La donna vive in casa con la zia Assunta (in America è Sylvia, la madre)
lo zio Antonio (in America è Morty, il padre) e la zia polacca Yetta (in
America è la nonna, ed ovviamente non ha origini polacche) moglie del
fratello di zia Assunta.
Della famiglia Cacace si conoscono alcuni
parenti di origine romana, napoletana, sicula e sarda. La breve
descrizione del personaggio di Fran Fine potrebbe sembrare lontana anni
luce da quella di Francesca Cacace ma prestando attenzione ci si rende
conto di quanto questi due stereotipi così lontani siano in realtà più vicini
di quanto possiamo pensare.
~ 70 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
IV.2 Stereotipi a confronto
“La Tata è globale, se adattata. In fin dei conti, la mamma ebrea
non è poi così diversa dalla mamma italiana: quella che si preoccupa se
non mangi abbastanza, quella che coccola i figli, quella che non si fa mai
gli affari suoi. Lo stereotipo è molto simile, ma deve essere adattato”.55
Per stereotipo si intende un’ opinione precostituita su persone o
gruppi, che prescinde dalla valutazione del singolo caso ed è frutto di un
antecedente processo d’ipergeneralizzazione e ipersemplificazione,
ovvero risultato di una falsa operazione deduttiva. Quando si parla di
stereotipi in genere si fa riferimento agli stereotipi sociali, ossia a
credenze condivise da più persone56. La rappresentazione dello
stereotipo è l’elemento chiave di entrambe le versioni, sia quella
originale che quella italiana. Rappresentare la diversità con lo stereotipo
è tipico della televisione americana ma non è detto che la specificità non
possa essere adattata altrove. L’adattamento de La Tata dimostra che a
volte,
lo stereotipo deve necessariamente essere tradotto con lo
stereotipo ed è per questo che i personaggi vengono ridisegnati
culturalmente e linguisticamente facendo riferimento a miti e cliché tutti
italiani. Non a caso, gli stereotipi presi in considerazione nelle versioni
italiane di sitcom americane come La Tata, I Soprano, I Simpson
mettono in luce l’eterno confronto tra nord e sud.
55
Intervista a Massimo Corizza, direttore del doppiaggio e dialoghista per la versione
italiana di The Nanny in C. Ferrari, Ibidem, p. 53, [Trad. Michela Lauritano].
56
Enciclopedia italiana Treccani online.
~ 71 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
Come è già stato anticipato nel paragrafo precedente lo stereotipo
rappresentato dagli autori americani e quello invece scelto dai dialoghisti
italiani si assomigliano enormemente. Fran Fine incarna perfettamente il
modello della JAP (Jewish American Princess). Secondo questo
stereotipo la donna ebrea americana viene disegnata come una donna
viziata, maliziosa, eccentrica, materialista, snob e ossessionata dal cibo,
da vestiti appariscenti e dagli uomini. Sebbene Woody Allen abbia
contribuito a costruire un immaginario degli ebrei di New York, l’idea
italiana di questo stereotipo si limita all’aggettivo taccagno, per questo
motivo è stato necessario ridisegnarne i lineamenti. Se da un lato lo
stereotipo della principessa esigente, non combaci con l’immaginario
italiano, alcuni elementi come l’ostentata
sensualità, la ricerca dell’uomo per metter
su famiglia e l’ossessione per il cibo di
Fran hanno aiutato a rendere credibile
questa ricostruzione, in quanto si tratta di
caratteristiche facilmente associabili alle
donne italiane. Ed è così che Fran può facilmente diventare Francesca e
l’invasiva Jewish Mother corrispondere quasi perfettamente allo
stereotipo italiano della Mamma-del-sud. L’adattamento italiano si
concentra proprio sui personaggi femminili per italianizzare la maggior
parte degli stereotipi e gli elementi a cui si appiglia sono appunto la
sensualità e la ghiottoneria di Francesca e delle sue zie. A tal proposito
Massimo Corizza nell’intervista rilasciata a Chiara Ferrari afferma:
~ 72 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
“Sylvia è ossessionata dal cibo e questo fa sì che lo stereotipo
italiano risulti credibile, infatti tutte le
battute con riferimenti al cibo restano
intatte. Ciò che ho dovuto eliminare per
rendere il dialogo più accettabile, sono
state le battute a sfondo sessuale, spesso
troppo volgari nella versione originale. Riferimenti sessuali così espliciti
sono difficili da adattare alla televisione italiana.”57
Altri elementi invece, hanno richiesto un vero e proprio
stravolgimento al fine di diventare comici e destare l’interesse del
pubblico italiano, primo fra tutti l’appartenenza etnica della protagonista
e della sua famiglia, il suo Yiddishism. Francesca, come Sylvia e Yetta,
infatti perdono questa loro “ebraicità” esibita e quasi esasperata nella
versione originale diventando cattoliche, in linea con la religione
dominante in Italia. Proprio questa trasformazione genererà non pochi
contrasti tra il codice verbale e quello visivo considerando che
“l’ebraicità” di Fran Fine e della sua famiglia è cruciale: molti sono gli
episodi che girano proprio attorno ad elementi chiave nella cultura
ebraica o a giochi di parole in Yiddish:
“L’ebraicità è un atteggiamento, un’espressione, un modo di
vestire appariscente, pacchiano ed elaborato. È una macchietta, una
cornice narrativa che distingue l’eroina da tutti gli altri personaggi. Ma
si tratta pur sempre di un’ebraicità artificiale, esasperata, frutto di
immagini anomale e stereotipi negativi… l’ebraicità di Fran Fine risiede
nella sua intonazione, nelle sue lamentele, nello Yiddish, nella sua
ossessione per gli uomini e per lo shopping, nella sua famiglia ebrea. La
57
C. Ferrari, Ibidem, p.59, [Trad. Michela Lauritano].
~ 73 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
madre che gioca a canasta e la nonna fumatrice accanita sono autentiche,
quanto e come Fran.”58
Considerando invece i riferimenti espliciti alla sessualità nella
versione italiana vengono addirittura cambiate le relazioni di parentela
tra i personaggi. Sylvia e Yetta diventano zie per giustificare le continue
allusioni al sesso e all’infedeltà, atipiche ed inappropriate per una
mamma e una nonna del sud Italia:
Sylvia: Darling it‟s time for the mother-daughter prenuptial toast.
Zia Assunta: É ora del discorsetto prematrimoniale di una zia a una nipote.
(The Wedding Part II - Questo Matrimonio s’ha da fare- 5x23)
Data l’importanza della famiglia nell’ideale italiano, sarebbe stato
incomprensibile e poco credibile che una madre e una nonna
discorressero con la figlia/nipote della loro vita sessuale senza alcun tipo
di inibizione. Ciò dimostra quanto l’adattamento possa manipolare e
smantellare un testo sia sotto un punto di vista linguistico ma anche
culturale. Tutti i cambiamenti che vengono apportati alla versione
italiana prendono in considerazione
valori e ideali presumibilmente
condivisi dagli spettatori italiani.
58
J. Antler, Epilogue: Jewish Women on Television, University Press of New England
Hanover, 1997, p. 246 [Trad. Michela Lauritano]
~ 74 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
La prima affermazione di Corizza con cui ho aperto il paragrafo,
dimostra quanto sia complessa la concezione di una cultura
omogeneizzata e globale. L’adattamento italiano de La Tata ci riporta un
esempio lampante di glocalizzazione59
secondo cui il globale viene
adeguato al locale attraverso negoziazioni. L’adattamento, in questo
senso, indigenizza lo stereotipo adeguandolo ironicamente
ad un
contesto culturale specifico, che può essere quello degli italiani del sud
sostituito a quello della comunità ebraica americana.
59
Termine introdotto dal sociologo Zygmunt Bauman per adeguare il panorama della
globalizzazione alle realtà locali, così da studiarne meglio le loro relazioni con gli ambienti
internazionali.
~ 75 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
IV.3 Dallo Yiddish al Ciociaro
L’elemento comico in The Nanny gira attorno a riferimenti
linguistici e culturali legati alla religione della protagonista e della sua
famiglia, come ad esempio l’uso dello Yiddish. È proprio il maggiore
elemento comico dell’intera sitcom, a rappresentare un ostacolo non
indifferente per i traduttori, obbligati a renderlo nel modo più efficace
possibile, e parlare di efficacia in questo ambito, significa parlare di
comprensibilità.
Tutto in Fran Fine e nella sua famiglia grida
un’appartenenza etnica, dal tono della voce al modo di vestire. Più
precisamente sono tre i tratti peculiari che fanno capire immediatamente
allo spettatore americano che Fran Fine è ebrea: la voce nasale, il forte
accento del Queens e l’uso dello Yiddish.
La protagonista americana parla con un pesante accento
newyorkese, tipico del Queens “impreziosito” dall’uso di parole in
Yiddish totalmente incomprensibili agli altri personaggi, che, invece, si
esprimono con un raffinato accento british che definisce la loro identità
sofisticata ed altolocata nonché la classe sociale a cui appartengono.
Questa profonda differenza linguistica, ovviamente,va tradotta con
un’altrettanta profonda differenza sociale e culturale:
Maxwell: Oh Fran, my darling… how can I make you understand how much I
adore you?
Fran: Well, a few examples would be good.
Maxwell: Let‟s start with your sense of humor, I love your vivacity, your
gaylessness, your irreverence.
Fran: Could you use words I understand?
~ 76 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
Maxwell: Ora dimmi tu tesoro, come faccio a farti entrare in testa fino a che
punto io ti adoro?
Francesca: Forse se riesci a spiegarmelo, io mica sono cretina.
Maxwell: D‟accordo. Prendi il tuo senso dell‟umorismo, sai mi piace la tua
grande vivacità, il tuo autentico candore, la tua irriverenza…
Francesca: Potresti dirlo con parole più chiare?
(The WeddingPart II - Questo matrimonio s’ha da fare 5x23)
In questo senso, gli autori intendono sottolineare, da un lato,
l’ignoranza e la genuinità di una ragazza ebrea del Queens e dall’altro la
cultura, la raffinatezza e
l’eleganza borghese del produttore di
Broadway. Se per Maxwell, però, le peculiarità linguistiche stanno a
definirne lo status sociale ed il background culturale, per Fran
ne
definiscono l’ appartenenza etnica. Ciò vuol dire che lo spettatore
americano, ascoltandola esprimersi e scrutandone gli atteggiamenti,
potrà identificarla da un punto di vista etnico più che da un punto di vista
sociale e culturale. In linea con la strategia dell’addomesticamento, nella
versione italiana questo gap socioculturale viene reso attraverso l’uso di
un italiano piuttosto rustico e pittoresco per lei, e da un italiano molto
forbito per lui, considerando che rifarsi ad un italiano dall’accento
british, in stile Stanlio&Olio, sarebbe risultato un po’ antiquato. Ad ogni
modo, l’effetto finale è lo stesso della versione originale; ovvero, il gap
standard english-yiddish è il medesimo dell’italiano standard-dialetto
regionale. A tal proposito Massimo Corizza afferma: “Funziona non solo
perché Francesca parla un italiano decisamente meno raffinato, ma anche
~ 77 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
e sopratutto perché usa il dialetto, un aspetto che la distingue
particolarmente dalla famiglia di Maxwell, stesso effetto dello yiddish
nella versione originale”.60
Un altro tratto distintivo e stereotipato è la voce nasale e stridente,
di Fran nella versione originale. Negli Stati Uniti, infatti, la voce nasale
viene associata alle persone ebree, soprattutto alle donne. Nella versione
italiana invece questo tratto viene smorzato a vantaggio di un tono di
voce piuttosto neutrale. Di tutti i tratti che stereotipano il personaggio di
Fran Fine il più interessante è indubbiamente quello legato allo Yiddish.
Nella versione originale, sin dalla prima puntata, di Fran spicca proprio
quest’uso di una lingua sovversiva, parlata proprio nelle comunità
ebraiche
e
caratterizzata
da
parole
ed
espressioni
totalmente
incomprensibili ad un anglofono. Considerando la sovversione di alcuni
dialetti in Italia, spesso ugualmente incomprensibili,
la soluzione
applicata dai traduttori, ovvero quella di sostituire le parole in yiddish
con termini dialettali, dal mio punto di vista è sicuramente la più
azzeccata. Proprio in merito a questo aspetto è
interessante prendere in analisi la versione
originale e quella adattata di un dialogo tratto
dal primo episodio della terza stagione
intitolato The Pen Pal (Il Misterioso Lenny,
3x1) in cui yiddish e dialetto regionale vengono messi a confronto.
Nell’episodio Fran è particolarmente agitata per l’incontro con il suo
amico di penna, Lenny, ed il motivo dell’agitazione è, ovviamente,
legato alla sua indecisione su cosa indossare. Mentre Fran è al piano di
sopra a prepararsi, Maxwell e Niles, il maggiordomo inglese, parlano
60
C. F. Ferrari, Op. cit. , p. 64 [Trad. Michela Lauritano].
~ 78 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
della stravagante tata tentando di utilizzare e confondendo dei termini
yiddish, in italiano quelle espressioni vengono tradotte utilizzando il
dialetto napoletano e questo è il risultato:
Maxwell: Where is Miss Fine anyways?
Niles: She‟s upstairs getting all fapitzed.
Maxwell: What does that mean?
Niles: You know, dressed.
Maxwell: I thought that was flubunged.
Niles: No, sir, that means confused.
Maxwell: No, man, that‟s fechachda.
Niles: Well, then, what‟s flishimeld?
Maxwell: I think that‟s her uncle.
Maxwell: la signorina Francesca è scesa?
Niles: Come dicono in Ciociaria, è su che si pitta.
Maxwell: Che cosa fa?
Niles: Si trucca, si pitta.
Maxwell: Non dicono si dipinge?
Niles: No signore, quello è Raffaello.
Maxwell: No, Raffaello non si pittava.
Niles: Neanche andando dal Papa?
Maxwell: No, era Giulio II…61
61
Ibdem, p. 66.
~ 79 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
Dalla versione originale percepiamo quanto Maxwell e Niles
abbiano assimilato il bizzarro modo di esprimersi di Fran e di
conseguenza la sua ebraicità. Nonostante nella versione italiana
l’elemento comico lasci un po’ a desiderare rispetto alla versione
originale, bisogna comunque ammettere che il testo viene sottoposto ad
una trasformazione linguistica simile ed adeguata attraverso l’uso del
dialetto napoletano; i due scherzano infatti sul doppio senso legato al
verbo dipingere ed al suo corrispettivo dialettale pittare, menzionando
anche il pittore Raffaello ed il Papa Giulio II. Questo piccolo dialogo
dimostra quanto l’adattamento possa manipolare e smantellare un testo a
tal punto da creare qualcosa di completamente nuovo e diverso. La
domanda a questo punto sorge spontanea: “La nuova versione va quindi
considerata un prodotto nuovo oltre che un nuovo testo?” 62. Rispondere
a questa domanda può solo confermare il fatto che l’adattamento non si
occupa solamente di modificare un prodotto bensì anche di cambiarne la
percezione e l’interpretazione.
62
Ibidem, p. 67 [Trad. Michela Lauritano].
~ 80 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
IV.4 Il Cantore e il Matrimonio: una questione di incongruenze
Più lo stravolgimento di un prodotto è drastico più sarà difficile
mantenerlo con lo sviluppo della serie e degli episodi. È proprio questo il
caso de La Tata: alcuni episodi della versione originale sono incentrati
solo ed esclusivamente su elementi culturali e religiosi, e sono proprio
quegli episodi che hanno richiesto al traduttore italiano una certa
creatività non potendosi più giocare la carta “dell’ebraicità” della
protagonista. Molto spesso però la creatività non è bastata a causa di una
incolmabile incongruenza tra il codice visivo ed il codice verbale. In
alcuni episodi della versione italiana la confusione la fa da padrona
proprio perché i due codici sopra menzionati non combaciano affatto, ed
è proprio questo uno dei limiti fondamentali nella traduzione
audiovisiva, che vede il traduttore, costretto ormai a seguire la strada
dell’addomesticamento, fare triplici salti mortali tra un dialogo e l’altro.
È lo scotto da pagare, un’intraducibilità a priori che porterà solo ed
esclusivamente ad una traduzione deludente e poco credibile agli occhi
dello spettatore che sarà costretto a chiedersi il motivo per cui una tata
dichiarata cattolica per ben sei stagioni finisca con lo sposarsi di fronte
ad un rabbino con tatto di Kippah. Di seguito verranno analizzate le
maggiori incongruenze di due episodi significativi da questo punto di
vista, che hanno rappresentato per il traduttore una vera sfida con lo
scopo di cattolicizzare il più possibile alcuni elementi.
~ 81 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
IV.4.1 The Cantor Show - L’unto del Signore… si può smacchiare
(3x24)
Nella versione originale di questo episodio Fran inizia a
frequentare il cantore officiante della sinagoga di famiglia. Dopo averlo
presentato a Maxwell, il ragazzo verrà scritturato per un musical di
Broadway. Ovviamente, al giovane verrà suggerito di abbandonare la
sinagoga per intraprendere la carriera artistica, così Fran teme una
punizione divina. Sebbene l’adattamento italiano non abbia stravolto la
trama, in questo episodio ci sono molti elementi legati all’ebraismo di
Fran e della sua famiglia che hanno creato non pochi problemi ai
traduttori e adattatori. Alcuni vengono risolti mantenendo l’identità
cattolica della protagonista, altri invece rimangono irrisolti vista
l’insormontabile incongruenza tra il codice visivo ed il codice verbale.
Tali incongruenze renderanno diverse scene poco credibili, come ad
esempio l’ingiustificata presenza di due donne ufficialmente cattoliche in
una sinagoga.
The Nanny:
Maggie: Fran, I‟m starving. Hadn‟t you said there was a Jewish tradition to
have Chinese food at Temple?
Fran: After Temple, honey, after Temple.
Sylvia: Here‟s a ham sandwich. Don‟t eat it till you get to the park car.
~ 82 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
La Tata:
Maggie: A me è venuta un po‟ di fame. Sapete se c‟è un bar come a teatro?
Mi prenderei volentieri un panino.
Francesca: è una chiesa Maggie e fra poco usciremo, cara.
Assunta: Tieni, è un panino col prosciutto. Va fuori, gli ebrei non lo
mangiano il maiale.
Già a colpo d’occhio lo spettatore “ignorante” della reale identità
di Fran Fine rimane perplesso di fronte all’ambientazione. La scena si
apre infatti in una sinagoga gremita di
fedeli che indossano la Kippah, e bandiera
israeliana sullo sfondo. In questa prima
scena della versione adattata Francesca, la
zia Assunta, Maggie, e la piccola Grace si
trovano proprio in una Sinagoga per celebrare il nuovo cantore
officiante. Nella versione originale l’elemento comico di questa scena
gira attorno al fatto che un’ebrea mangi del prosciutto, nonostante in
quel frangente lo offra a Maggie. Infatti alla fine dell’episodio Sylvia
mangerà un panino al prosciutto proprio all’interno della sinagoga. Nella
versione italiana il dialogo viene stravolto ed ovviamente l’elemento
comico scompare. Lo scopo dell’adattatore è stato quello di preservare la
cristianità delle protagoniste, palesata sin dalla prima puntata della prima
stagione, e per far ciò è stato necessario emarginarle dall’ambiente che
le circondava, Sylvia infatti prende le distanze e ricorda a Maggie che le
persone ebree non mangiano maiale.
~ 83 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
The Nanny:
Sylvia: Gary! Gorgeous! Sylvia.
Gary: Sylvia, it‟s always a joy to sing the wonders of God‟s universe.
La Tata:
Assunta: Gary! Bravo! Ha una voce magnifica.
Gary: Le tue lodi cristiane salgano al signore. È sua la mia voce.
Anche qui, l’adattatore utilizza lo stratagemma del termine
cristiane per ricordare allo spettatore la religione del personaggio.
The Nanny:
Fran: Oh, I‟m sorry! Everybody I want you to meet Gary Isaacs: this is the
New cantor at my Temple.
La Tata:
Francesca: Oh, scusatemi! Gary Isaacs, una voce stupenda che canta nella
Moschea, cioè, no, la Chiesa ebraica!
In questa scena la strategia applicata dagli adattatori è stata quella
di mostrare l’ignoranza di Francesca in materia religiosa, confonde
infatti la sinagoga con la moschea.
~ 84 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
The Nanny:
Gary: My friends, I truly believe that being a cantor was the most rewarding
thing in my life. And then I met Fran.
Sylvia: Ahi.
Gary: Fran, I want to tell you something and I hope you can accept…
Sylvia: Ahi.
Gary: My deepest thanks for making my dreams come true.
Sylvia and Fran: And…?
Gary: And I want you to be the first to know that I‟m leaving the Temple to
pursue a carrier on Broadway.
La Tata
Gary: Amici miei, ero certo che cantare per il Signore nel suo tempio era la
Gioia più grande della mia vita, ma poi ho incontrato lei.
Assunta: Cristiana.
Gary: E anche se sono di religione diversa, ciò che ho nel cuore lo puoi
accettare.
Assunta: Cioè?
Gary: Ti sono davvero grato di aver realizzato i miei sogni.
Assunta e Francesca: E…?
Gary: E grazie a Francesca e con l‟aiuto del Signore, lascio il suo Tempio e
inizio la mia carriera a Broadway.
In questa scena nella versione italiana le origini di Francesca e
della sua famiglia vengono nuovamente sottolineate insieme allo
stereotipo della donna del sud impaziente all’idea di sposarsi,
ovviamente questo stereotipo combacia con quello originale della donna
ebrea, ossessionata dal matrimonio.
~ 85 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
The Nanny
Fran: Ok, My, you can take off the sunglasses.
Sylvia: I need somebody to recognize from their Temple so they can give me
the evil eye?
Fran: My, you can‟t wear the skies, you‟re not like me. You have a very
distinctive voice!
La Tata
Francesca: Adesso, zia, te li toglierai quegli occhiali da sole?
Assunta: Ho paura! Se mi vede un ebreo che sa che ho portato via Gary dal
loro Tempio mi strangola!
Francesca: Ma cara, non l‟hai portato via tu Gary. E non serve che ti travesti,
non la potrai mai travestire quella voce!
Nella versione originale si parla di Evil Eye, un concetto molto
sentito nella cultura ebraica („ayin ha‟ ra), riconducibile al malocchio.
Nella versione italiana viene sostituito dal verbo strangolare. Anche in
questa scena si fa riferimento allo stereotipo della voce nasale attribuita
alle donne ebree. Fran, nel dialogo originale, ricorda infatti alla zia che a
causa di quel segno distintivo non le sarà facile nascondersi dagli altri
fedeli. In italiano il dialogo viene tradotto letteralmente ma la battuta
legata allo stereotipo, svanisce.
The Nanny:
Sylvia: Listen you two! I want my Cantor back. My friends disown me, my life
is over. I want to die! … This is almond extract?
~ 86 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
Maxwell: I‟m sorry, Sylvia. But he is my star and I want him in my show. I
have a contract.
Fran: Ma, you‟re just gonna have to accept this like a grown-up. My side, it‟s
two against one.
Sylvia: It‟s not two against one. I have a higher power on my side. You‟ll see,
ours in not a merciful God!
La Tata
Assunta: State a sentire voi due, mettermi contro Susan mi spaventa, ma
mettervi proprio contro il Dio degli Ebrei mi dà proprio il terrore. Il Faraone
ci ha provato! … Mmm, ma qui cosa c‟è? La crema di mandorle?
Maxwell: Mi dispiace, signora, ma lui è il protagonista. E il nostro musical
deve andare in scena. Abbiamo dei contratti.
Francesca: Avanti! Non puoi avere di queste paure, sei un‟adulta. Guarda:
noi non ne abbiamo!
Assunta: Perché siete incoscienti e superficiali. Il Dio degli Ebrei non
scherza! Ha fatto secco Hitler. Io, se fossi in voi, avrei paura! Quello mica
scherza! Vi manda le sette piaghe d‟Egitto!
Con il Dio degli Ebrei, gli adattatori hanno provato nuovamente
che le due donne non hanno nulla a che vedere con l’ebraismo. Viene
quindi sottolineata ulteriormente l’ignoranza di Assunta riguardo le
questioni religiose quando afferma che le piaghe d’Egitto furono sette
quando in realtà furono dieci, la questione delle piaghe viene esplicitata
solo nella versione italiana mentre in quella originale risulta implicita
nella frase finale di Sylvia: Ours is not a merciful God!
~ 87 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
IV.4.2 The Wedding part II- Questo matrimonio s’ha da fare parte
seconda (5x23)
In quest’ultimo episodio della quinta stagione Fran finalmente
riesce a portare all’altare il suo Sheffield, se nella versione originale si
tratterà di un matrimonio metà ebraico e metà cristiano celebrato da un
rabbino e da un pastore anglicano, in quella italiana questa doppia
presenza verrà giustificata da una cerimonia civile in cui, oltre
all’officiante, è presente
sacerdote.
Peccato
anche un
soltanto
che
l’officiante indossi la Kippah, il tipico
copricapo
indossato
dagli
ebrei
osservanti uomini. La seconda parte di
questo episodio ha messo a dura prova la
creatività dei traduttori e degli adattatori visti i continui riferimenti
religiosi non solo verbali ma anche e soprattutto visivi. Come
nell’episodio precedente anche qui alcune scelte non risolvono a pieno le
incongruenze tra la versione originale e lo smantellamento della versione
italiana. Vediamo ora le soluzioni adottate nella versione italiana in
alcuni dialoghi particolarmente interessanti.
The Nanny
Maxwell: So you are so excited you have packed for the honeymoon
already…
Fran: Oh Sweetie… I‟m a Jewish woman going on a two months cruise, do
you really thing this is all the cloths I‟m going to lead?
~ 88 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
La Tata
Maxwell: Sei così eccitata che hai già fatto le valigie per la luna di miele?
Francesca: Che sciocchezza… con un marito miliardario e con due mesi di
crociera… che pensi che mi occorra solo una valigia di vestiti?
Qui il riferimento all’etnia della protagonista e allo stereotipo
della donna ebrea ossessionata dai vestiti viene direttamente omesso.
The Nanny
Val: Oh, Fran, it‟s never gonna be like this again. Just the two of us lying
here together.
La Tata
Lalla: E ora ti sposerai persino civilmente, davanti a un prete e un assessore,
Come hai voluto tu.
In questa scena il traduttore ha sfruttato l’irrilevanza della battuta
nella versione originale per giustificare la presenza del rabbino al
matrimonio, specificando quindi che si tratterà di un matrimonio civile
con la presenza del sacerdote per volere di Francesca.
~ 89 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
The Nanny
Maxwell: Oh Niles, I just hope I can live up to Fran‟s expectations. You
know, I‟ve never been with a woman in quite some time.
Niles: Well, double quite some time, add two and welcome to my world.
La Tata
Maxwell: Sarà una cerimonia civile e anche religiosa, davanti a un prete e
un assessore. Francesca ha voluto un matrimonio che non si possa sciogliere
mai.
Niles: Il brandy funziona meglio doppio. Quindi ne aggiunga altri due e
benvenuto nel mio mondo.
In questo dialogo della versione italiana c’è un chiaro esempio di
manipolazione, infatti nella versione originale l’elemento comico gira
attorno al fatto che entrambi hanno trascorso molto tempo senza accanto
una donna. In quella italiana tutto ciò viene omesso probabilmente per
ribadire, nuovamente, allo spettatore la questione del matrimonio civile e
religioso. Effettivamente la risposta di Niles non sembra coerente con
quanto Maxwell dice.
The Nanny
Reverend: We would like to began the service with a traditional Jewish
prayer.
La Tata
Reverendo: C‟è qui al mio fianco l‟assessore Rosenthal in rappresentanza
del sindaco.
~ 90 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
A sposare Fran e Maxwell ci sono due persone, il reverendo ed il
rabbino. Nella versione italiana però il rabbino si trasforma
nell’officiante. Sin dall’entrata in chiesa di Fran e Maxwell, si percepisce
che non si tratta affatto di un matrimonio
cattolico:
tutti gli uomini invitati al
matrimonio indossano la Kippah, come
d'altronde lo stesso rabbino che difatti,
dopo
essere
stato
introdotto
dal
reverendo, canta una preghiera in lingua
ebraica. L’abbigliamento dell’officiante, decisamente sospetto agli occhi
dello spettatore italiano, verrà poi spiegato e giustificato in seguito,
durante il ricevimento nuziale, più precisamente nel seguente dialogo:
The Nanny
Reverend: He‟s a God!
Rosenthal: He‟s a man!
Reverend: He‟s a God!
Rosenthal: He‟s a man!
Brighton: Guys, this is hardly the place for religious debate.
Reverend: We‟re talking about an actor!
La Tata
Reverend: No, mi creda signor Rosenthal, è un Dio!
Rosenthal: No, è un uomo!
Reverend: No, è un Dio!
Rosenthal: È solo un uomo!
Brighton: Padre, l‟assessore è ebreo. Per lui è un uomo.
Reverend: Ma noi parliamo di Di Caprio!
~ 91 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
Questo episodio risulta particolarmente interessante visti i chiari
riferimenti a certi aspetti e usanze della religione ebraica proprio durante
i matrimoni, come ad esempio la rottura del bicchiere dopo le promesse
o la Hava Nagila, la danza tradizionale in cui gli invitati ballano in
cerchio attorno agli sposi seduti su delle sedie. Inoltre la stanza in cui si
tiene il ricevimento è adornata con i tipici
candelabri con sette braccia. Questi
dettagli hanno creato non pochi problemi
nel
processo
di
adattamento
vista
l’impossibilità di tradurre e adattare il
codice visivo. Ad ogni modo, il risultato
finale in questo particolare episodio
risulta decisamente poco credibile. Sebbene si siano cercate delle
soluzioni o giustificazioni a certi elementi sospetti, non è stato possibile
far combaciare il codice visivo, decisamente pregnante, con quello
verbale e lo spettatore italiano ne rimane quindi confuso, alienato e
disorientato: “Questo particolare episodio sostiene quella concezione per
cui i traduttori sono autori, e quegli elementi linguistici e culturali
modificati producono un nuovo testo. Il desiderio dei traduttori di vestire
i panni degli autori sembra essere, in questo senso, legittimo in quanto è
proprio il loro lavoro a permettere un’efficace comprensione di un testo
in un contesto completamente diverso.” 63
63
Ibidem, pag.69-70. [Trad. Michela Lauritano].
~ 92 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
Conclusione
L’esperimento di Ulrichs citato nel primo capitolo ci insegna che
tutte le variazioni, gli sradicamenti, gli smantellamenti presenti in un
testo in seguito ad una traduzione, per quanto irreversibili possano
essere, diventano comunque parte integrante di quello stesso testo. Lo
completano, lo ridisegnano per occhi diversi. E non è forse questo lo
scopo ultimo di questa disciplina chiamata traduzione?
L’adattamento italiano di The Nanny è l’esempio lampante di
manipolazione testuale e culturale. Una manipolazione inevitabile che ha
trasformato La Tata in un prodotto profondamente americano ed italiano
allo stesso tempo. Analizzare l’adattamento “sovversivo” de La Tata
significa analizzare due culture in un determinato periodo storico, i loro
stereotipi, la loro ironia. Per noi addetti ai lavori, affascinati da questo
mondo in cui, spesso, il confine tra i verbi tradire e tradurre sembra così
labile, talmente labile da illuderci che forse, in fondo, quell’enorme
differenza che li separa si esaurisce in quella vocale e in quella
consonante di troppo, l’analisi di questo adattamento non può che offrire
continui spunti di riflessione ma, ovviamente, come afferma Corizza, va
guardato anche e soprattutto come una “sfida ed una reazione a quella
costante globalizzazione mediatica, sebbene alla base di tutto ci sia la
speranza di trarne più profitto possibile”
64
. Ed infatti un’altra ragione
per cui la serie è stata stravolta in maniera così drastica è legata a
questioni di natura puramente commerciale, in altre parole la rete italiana
non avrebbe mai acquistato il prodotto dall’America se non fosse stato
possibile apportarvi delle modifiche. La storia della tata ebrea non
64
C. Ferrari, op.cit. , p. 71. [Trad. Michela Lauritano].
~ 93 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
avrebbe avuto alcun senso nell’ Italia degli anni novanta, non avrebbe
divertito, non avrebbe incuriosito. Inoltre
il lavoro di adattatori e
traduttori ci ha permesso di esplorare e rinforzare stereotipi ed elementi
nazionali, identificandoci nella stravagante tata Francesca. Al giorno
d’oggi questo genere di stravolgimenti sarebbe impensabile, e non poche
sono le critiche che vengono mosse contro l’adattamento di fronte anche
a dei minimi allontanamenti dal testo di partenza, ma, per La Tata,
questo discorso non avrebbe luogo. Per queste ragioni sono sempre più
convinta che la versione italiana di The Nanny, con tutti i suoi errori, con
tutti quei dialoghi spesso poco credibili, debba comunque essere
considerata un cimelio dell’adattamento e della traduzione audiovisiva
italiana. Ha fatto storia, e per questo merita attenzione, merita curiosità
da parte di noi addetti ai lavori o aspiranti tali. Il successo di questa
sitcom è direttamente proporzionale al suo stravolgimento, e le ragioni
vanno prima di tutto contestualizzate: La Tata ha divertito una
generazione per cui il termine tecnologico veniva associato al walkman o
al videoregistratore, una generazione che al pancake preferiva ancora la
frittella e al muffin il panettone, ragion per cui la scelta del traduttore di
prendere per mano il suo spettatore, e un’ intera generazione, per
tutelarne le radici culturali ed evitargli i così detti culture shocks, è
assolutamente legittima. Discutibile ma legittima. Dal mio punto di vista
questo processo di italianizzazione, questo lavorio troppo spesso dato per
scontato che va ad eliminare, tradurre, stravolgere un testo di partenza
per far sì che venga inteso a pieno da un pubblico completamente
diverso, è cruciale; o meglio lo è stato in un’epoca in cui le versioni
originali venivano del tutto ignorate, in un’epoca in cui sarebbe stato
impensabile importare un prodotto come La Tata senza stravolgerlo,
senza trasformarlo. La domanda banale ma spontanea che sorge al
~ 94 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
termine di questo percorso è la seguente: negli anni novanta, e ripeto
negli anni novanta, saremmo stati pronti a ridere di una tata americana
di origini ebraiche? Saremmo stati in grado di coglierne gli stereotipi e le
battute? E la risposta forse altrettanto banale ma spontanea è:
probabilmente no. Se The Nanny, negli anni novanta, fosse stata
trasmessa così com’era, senza particolari stravolgimenti, sarebbe durata
ben poco nel piccolo schermo italiano, ancora troppo provinciale e
bigotto. Contrariamente, se l’adattamento de La Tata venisse proposto
oggi al telespettatore moderno, lo farebbe rabbrividire nel vero senso
della parola. Ci indigneremmo tutti, oggi, di fronte a stravolgimenti di
questo calibro. Nonostante le incongruenze, le forzature e le soluzioni
talvolta decisamente azzardate, l’adattamento italiano de La Tata, nel
bene e nel male, rappresenta un’epoca ben precisa, rispecchiando, non
solo una generazione e suoi stereotipi, ma anche e sopratutto il modus
operandi della traduzione audiovisiva degli anni novanta.
~ 95 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
ENGLISH SECTION
~ 96 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
Introduction
“To comprehend humour it is necessary to bring it back to its
original environment which is the society. Then it is necessary to
pinpoint its social function. Considering that humour is a phenomenon
entirely and universally related to human, its changes depends on all that
changes that occurs in that specific cultural context. Humour always
depends on the specific context where it develops.”65
Transporting humour and irony from one cultural context to
another represents one of the biggest challenge to a translator since the
specific context, sometimes, counts more than the text to translate.
That’s the reason why screen adaptation may imply a sort of national reappropriation through which the “cut-to-fit” media product gets closer to
the propensities of the new audience. Considering that, can culturespecific humour really cross the border through negotiations and
translating strategies? Can we consider the translation of humour as an
everlasting, irreparable, indispensable “treason”? Is absorbing deeply a
specific culture the only way to get it properly? The aim of my work is
trying to find aswers to all these questions that have arisen while reading
and studying the subject before starting writing about it. I will do it
examining and illustrating the main topics of audiovisual translation as
well as the difficulties related to the complexities of humour and the
65
N.d.T. trad. Michela Lauritano. H. Bergson, Saggio sul significato del comico, Laterza
Editore, Roma, 1993, p.52. “Per comprendere il riso bisogna riportarlo nel suo ambiente
naturale che è la società, bisogna soprattutto determinare la funzione utile, che è funzione
sociale. Se la risata è un fenomeno esclusivamente umano, e anche universalmente umano,
al tempo stesso, la sua esperienza varia con il variare delle culture. Il comico dipende
sempre dallo specifico ambiente all’interno del quale si mostra.”
~ 97 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
radical adapting process that allowed the American situation comedy to
be exported to many different social and cultural contexts in the nineties:
while the first two chapters are mostly dedicated to the theoeretical
constructs of both the audiovisual translation and the translation of
verbally expressed humour with all their complexities, the third chapter,
in my opinion, represents the core of my entire dissertation, it represents
the reason why I chose to go into the topics of this inspiring discipline
called audiovisual translation. If the first two chapters give a theoretical
explanation, the third one focused on practical examples from one of the
best American sitcom that Italy has had on its screens: The Nanny,
whose Italian adaptation went down in history for such radical changes. I
have decided to focus on such a sitcom firstly because its domesticated
approach has characterized a specific period of the Italian dubbed
television, secondly the analysis of The Nanny, or La Tata, allows me to
scrutinize two worlds and, most of all, two stereotypes just apparently far
apart. In the last part of my dissertation I also studied the sitcom as the
ideal genre, pinpointing its role, peculiarities and evolution since the
first episode of the first sitcom was broadcasted in 1950.
Ultimately, throgh this analysis I want to highlight from both a
theoretical and a practical point of view, all the complexities connected
with the adaptation of a foreign media product whose themes are deeply
rooted to the specific environment where it was born, taking into account
the main topics of audiovisual translation and the evolution of a specific
Tv genre that has made the history of an exported American television.
~ 98 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
Chapter One: Topics in Audiovisual Translation
I.1 Same story, different versions
According to the principle of reversibility, retranslating a text into
different languages entails creating a perfect copy of the source text.
With regards to this, between 1968 and 1974 the German professor
Timm Ulrichs put into practice an interesting experiment to prove it.
Taking into account a simple word from a simple dictionary he started
off a polyglot cycle, translating that word into many languages: firstly
into English, than into French, than into Spanish and so on. The source
version was translated into 24 different languages, that simple text was
studied and decomposed by so many translators in order to adapt it to
different alphabets, cultures and contexts. At the end of this cycle the last
version in Hindi was translated back into the source language: German.
The result was meaningful: the differences between the source language
and the target languages were abyssal. The last version translated back
into German was completely different from the original one, it was just
the result of countless interpretations and mutations. This experiment
shows how many linguists and cultures waste a translator must face and
how all that irreversible changes become integral part of that text.
Considering the translation process as automatic and mechanic would be
extremely reductive since, paraphrasing what the Italian writer Umberto
~ 99 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
Eco said in his book Saying Almost The Same Thing, “it sometimes
involves to turn a direct speech into indirect”.66
“One cannot not to communicate”. This is one of the five axioms about
communication developed by the AustrianAmerican philosopher and communication
theorist Paul Watzlawick67. Through this
axiom he wanted to prove that every sort of
action is a form of communication, even if we
try not to communicate through certain
behaviors we are just portraying something without realizing it.
Considering this axiom we could think about translation as an
unavoidable and continuous communication process in which linguistic
and cultural barriers always interfere. Giving that, translation could be
adapt to every human activity since every kind of communication or
transposition from a language into another could be just considered as a
form of translation. Analyzing the essay Risate in Scatola written by the
Italian professor Luca Barra, I found a very interesting definition of
translation. According to him translating means historicize
68
, in other
words every interpretation must be contextualized to the historical and
cultural context of the target language, this process involves some
negotiations and compromises that, sometimes, may lead the translator to
reconsider and broaden the idea of fidelity.
66
N.d.T. trad. Michela Lauritano. U. Eco, Dire quasi la stessa cosa, Bompiani Editore, 2003,
Milano, p.20. “La traduzione è un discorso indiretto mascherato da discorso diretto.”
67
P. Watzlawick was an influent Austrian-American therapist and psychologist. He gave a
large contribution to the communication field developing the Communication Theory and
opening the door to the philosophical branch of the Radical Constructivism.
68
L. Barra, Risate in Scatola, Vita e Pensiero Editore, Milano, 2010, p. 47.
~ 100 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
I.2 Jakobsòn and the Translation process as a concept
“No one can understand the word "cheese" unless he has a
nonlinguistic acquaintance with cheese.” 69
The Russian linguist R. Jakobsòn starts his essay On Linguistic Aspects
of Translation quoting the British philosopher Bertrand Russell. This
essay published in 1959 is fundamental about intersemiotic translation.
Jakobsòn introduced the idea of intersemiotic translation focusing on it
as a concept more than just an activity or a discipline. The quotation
mentioned above highlights their different
opinions about it: According to Russell no one
could understand words or concepts from a
different culture. Jakobsòn disagreed with this
idea and criticized it, according to him even if
the idea of cheese does not exist in one culture is
still possible to understand that word by connecting it to the idea of
curdle milk. The Russian linguist reached the conclusion that the
meaning of the word is totally related to a semiotic matter more than a
linguistic matter. Broadly speaking, Jakobsòn showed us how translation
is fundamental in order to connect two different cultures since if there
was not translation it would not be possible to know the otherness, words
and concepts far apart from our own culture.
69
R. Jakobsón, Saggi di linguistica generale, Feltrinelli Editore, 2008, p. 56.
~ 101 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
In his essay Jakobsòn proposed three different ways to understand a
verbal sign:
The Interlinguistic Translation that is to say the out-andout translation. It occurs when a text is translated from a
language into another.
The Intralinguistic Translation also known as Rewarding
which is an interpretation of verbal signs by means of other
signs of the same language.
The Intersemiotic Translation is an interpretation of
verbal signs by means of signs of non-verbal sign system.
An example of intersemiotic translation occurs when a book
is turned into a movie. This kind of translation is considered
as the most innovative concept of his analysis, in fact
nowadays we are used to this kind of interpretation through
language transfers of audiovisual products.
~ 102 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
I.3 Fields and limits of audiovisual translation
Film and TV translation, audiovisual language transfer,
transadaptation and screen translation. These are some of the
definitions forged by the experts in the field when talking about this kind
of translation. Broadly speaking, the audiovisual translation (or AVT)
works for the multimedia field through different channels such as
television, cinema, the internet and advertising. Translating audiovisual
products means comparing and following the visual code, the verbal
code and the auditory code. When we talk about audiovisual translation
we also talk about a total translation, and the word total explains its
codes and limits which are definitely different from the traditional
translation. The three codes I have mentioned before, limit relentlessly
the final result of the work just because, sometimes, it is just complicated
make all the codes compatible with each other. If translations belongs to
the target culture70, every translated text can take on a life of its own
completely distant from the culture where it was originally thought and
produced. Every text has the chance to “mould” itself according to the
target social and cultural context. For this reason it would be interesting
considering the translation of a media product as a sort of rewriting, all
things considered the work of translators and dubbing dialogists can turn
the foreign product into something completely different, sometimes even
better than the original, and when it occurs, then the connections with the
target context increase. The audiovisual translation surely represents a
70
N.d.T. trad. Michela Lauritano. I. Ranzato, La traduzione audiovisiva-Analisi degli elementi
culturospecifici, Bulzoni Editore, Roma, 2010, pag. 13. “Le traduzioni sono fatti della cultura
di arrivo.”
~ 103 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
real challenge to the translator who has to consider a broader idea of
fidelity which goes beyond the linguistic issues, enclosing the
equivalence of characters, plots, and diametrically opposite social and
cultural contexts. Thus I have talked about audiovisual translation as a
sort of rewriting; because, if necessary, the translator must opt for a
severe substitution in order to make the text more plausible to the new
audience.
The language transfer is a means which makes a movie or a TV
product more comprehensible to a target audience which is not familiar
with the source language and culture. The audiovisual translation
includes many language transfers and the professor Frederic Chaume71
has developed a classification. According to the professor, the AVT
covers different language transfers, among which:
Dubbing, which is a post-production process used in
filmmaking and video production through which the voice
of the actor shown on the screen is replaced with the voice
of a dubbing actor speaking another language. This kind of
translation requires a perfect lip synchronization.
Interlinguistic subtitling that is to say the subtitling across
languages. The subtitle is integrated on the film in order to
make it comprehensible to foreign spectators. Subtitles are
limited in space so the translation of the dialogue needs to
71
Frederic Chaume is a Professor of Audiovisual Translation at the Universitat Jaume I
(Castelló, Spain), where he teaches audiovisual translation theory, dubbing and subtitling,
and Honorary Professor at Imperial College, London (UK). He has published several research
articles on dubbing and audiovisual translation. For the past 20 years he has also been
working as a professional translator for different TV channels, dubbing and subtitling
companies, and film distributors and producers.
~ 104 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
be cut down to fit in, it also has to be timed perfectly to
match the beginning and the end of the line.
Intralinguistic subtitling, also called captioning or
subtitling within the same language for the deaf or hard of
hearing.
Voice over, or half dubbing. According to this transfer the
dubbed version and the original version are overlapped
without any lip sync.
Surtitles, or supertitles, which are used in opera during a
stage show. They are projected just above the stage or
displayed on a screen.
Audiodescription which is a sort of voice over which
describes to the spectator what is happening on the screen.
What really differentiates a media product from a written text to
translate is the fact that, sometimes, the verbal message, images and
sound follow diametrically opposite paths. That is to say, the verbal
message follows the path dictated by dubbing or subtitling while images
and sound are still deeply rooted to their source culture, claiming their
belonging to it. That is what the experts call cultural and technical limits
of audiovisual translation that, sometimes, may jeopardize the reliability
of the translated product. As for the technical limits, one of the most
interesting regards the connection between the visual and the verbal
codes: Everything that appears on the screen cannot be erased or
modified through the translation of dialogues, that’s the reason why
sometimes even the main dialogues need to be changed radically in order
to lend credibility to that scene. No matter how flawless and brilliant the
~ 105 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
strategies are, because images, contexts, landscapes and signs will keep
on crying out their belonging reminding the spectator that what he is
watching has nothing to do with his own culture and country. For
instance, Francesca Cacace, the Italian counterpart of the JAP Fran Fine
in The Nanny, has claimed for six seasons her Christian and southern
Italian roots although eventually at her wedding there is a Rabbi with
even his unmistakable Kippah. There is no translation strategy to move
around this barrier. Therefore, to what extent do translations belong to
the target culture? To what extent can a foreign audiovisual product
assimilate a different culture?
As for the cultural limits, translating a media product means
adapting something that was thought for a specified social and cultural
context to a new background, this transition entails the unavoidable
rooting out. In this sense the experts talk about cultural limits that tie the
translator to bond two different cultures, two different societies, two
different worlds. Although every kind of translation has to face this
limits, the audiovisual one has to deal with considerable issues since it
speaks to an extremely wide audience. According to the Italian writer
Umberto Eco when translators face this limits they have to wonder:
“Does a translation have to guide the reader to comprehend the source
linguistic and cultural universe or does it have to convert the original text
in order to make it acceptable to the new reader?”
72
When a cultural
limits prevents the translator from finding a good solution he can follow
two different paths that have been introduced by the American
translation theorist L. Venuti. The first one is called foreignization: when
72
N.d.T. trad. Michela Lauritano. U. Eco, Dire quasi la stessa cosa, Bompiani Editore, Milano,
2003, p. 171. “Una traduzione deve condurre il lettore a comprendere l’universo linguistico
e culturale del testo di origine, o deve trasformare il testo originale per renderlo accettabile
al lettore della lingua e della cultura di destinazione?”
~ 106 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
the translator opts for this approach then the spectator, or the reader, will
have to upgrade himself to the culture of the source audience getting in
contact with social cultural and media references of that country.
According to this strategy the translator leaves the audience alone,
allowing it to accept that different world or not. The second path the
translator can choose to follow is called domestication, unlike the
previous one, here the social and cultural identity are nullified by the
translator, in fact he chooses to domesticate that text adapting it to the
target culture in order to make it more plausible abroad. In this case the
translator joins hands with the spectator both guiding him and easing the
decoding process. This strategy makes familiar something that is
everything but familiar, according to Venuti this strategy is a sort of
“imperialistic action through which a foreign text is forced into new
cultural and social values”.73
Although both the foreignization and the domestication are two
fundamental strategies to the translator; the ideal way would be finding
the perfect balance between the source text and the target text taking into
account the two contexts, the two cultures and the way the target
audience will accept it considering its media habits.
Overall, one of the biggest limitations of the audiovisual
translation is just this unfillable gap between these two antipodes called
foreignization and domestication, that’s the reason why in this field,
sometimes, the idea of the translator’s invisibility cannot be considered.
It is important to redefine the idea of fidelity as a negotiation between
73
N.d.T. trad. Michela Lauritano. L. Venuti, L’invisibilità del traduttore, Armando Editore,
Roma, 1995, p. 20. “*…+ Un atto imperialistico che riduce il testo straniero ai valori culturali
di quello di arrivo.”
~ 107 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
adequate choices and less adequate but still acceptable choices that
won’t jeopardize the comprehension and the message of the text.
Besides, on the one hand the audiovisual translation is extremely
binding on the other could be extremely tractable compared to other kind
of translations, for instance processes like globalization have made many
social and cultural references universal and understandable world-wide.
~ 108 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
Chapter Two: Can culture-specific humor really “cross the
border”?
II.1 Culture-specific elements in translation
I have previously examined the idea of cultural limits in screen
translation; analyzing this kind of limits means also analyzing the
culture-specific elements that bring them about. Those culture-specific
items do not limit the text linguistically but rather culturally. The most
common strategies adopted by screen translators to “fill the gap” are
Foreignization and Domestication, which I have already mentioned
above. Irene Ranzato74 has developed an interesting analysis which
pinpoints culture-specific and cultural elements, the culture specific
elements are those that belong to the source culture while the cultural
elements are those that even though belong to a third culture, have
already crossed the border and are globally known and assimilated.
Nowadays facing a cultural element in translation is way common than
in the past just because phenomena such as globalization have made
many traits of a specific culture universally sharable among all the
others, that’s when we talk about the transculturality of this elements as a
parameter that may influence the translation. In a manner, the
transculturality is just the way different cultures are interconnected to
each other. Therefore the Scandinavian professor J. Pedersen pinpoints
74
Professor of Translation at the Sapienza University in Rome. She has published many
research and essays about both the audiovisual and the intersemiotic translation. She has
been working for many dubbing distribution and production companies.
~ 109 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
the transcultural, the monocultural and the microcultural elements.75 As
for the monocultural elements Pedersen refers to those typical elements
of a specific culture that are completely unknown to the other, the
microcultural elements may be considered as a subgroup of the
monocultural ones, or rather those elements that are so much typical to
be comprehensible just to a small group even within the same society. In
Italy, especially in the 90’s, screen translators were generally used to
limiting the cultural-specific elements because they were, and maybe
still are, considered a real obstacle that may jeopardize the
comprehension to the Italian audience. The reaction of the spectator
when running into some kind of culture-specific elements is a real
culture-shock, or even a culture bump.76
Many experts in translation studies have developed different
classifications of culture specific references, one of the most quoted is
that one conceived by Peter Newmark which involves many different
lexical fields such as ecology, social culture, traditions and activities. A
more detailed version has been developed by Jorge Diaz Cintas and
Aline Remael in Audiovisual translation: Subtitiling. It grounds on
geographical references (references to physical geography, endemic
animal and plant species), ethnographic references (references to the
everyday life, work, art and culture references, country origin, base
measuring unit) and sociopolitical references (references to local
75
L. Pedersen, How is Culture Rendered in Subtitles?, EU-High-Level scientific conference
series MuTra 2005, Challenges of Multidimensional Translation: Conference Proceedings.
76
According to C. Archer, a culture bump occurs when an individual from one culture finds
himself or herself in a different, strange, uncomfortable situation when interacting with
people of a different culture. C. Archer, university of Huston Press, p. 170.
~ 110 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
administrative bodies, role of social organization, sociocultural lifeitems and roles that regards the military).
II.2 How to translate a culture-specific element
When translating a pun, a joke or simply a culture-specific
element that may involve the untranslatability of the line or dialogue, the
translator can rely upon some strategies that may restore that same
credibility to the target version. I have previously talked about the
Foreignization and Domestication approaches developed by L. Venuti,
now I will reference below a more detailed classification of strategies
carried out by Ranzato, each strategy is proven taking as an example the
Italian translation of jokes and puns from different American movies and
sitcoms.
The Calque: according to this strategy, the word or the
sentence from the source text is left unchanged, letting the
reader or the spectator absorb it.
Will: Your are not going to come over, you want me to,
uh… talk you through it?
Grace: It‟s tempting, but I think I‟ll watch ER here.
~ 111 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
Italian version
Will: se non ti va di venire da me, ti va di fralo… per
telefono?
Grace: Umm, stimolante, ma preferisco guardarmi ER.
(Will&Grace, 1x01)
Here the screen translators chose to keep the reference to the
American television series ER because it is something understandable
everywhere since that series has been successfully imported in Italy as
well.
The Literal Translation: the word is translated literally
because there is no reference to the target culture.
Will: You know what? I think it‟s time for $25,000 Pyramid.
Italian version
Will: Sentite, perché non giochiamo tutti al gioco della
Piramide?
(Will&Grace 1x01)
Here, the reference to the American quiz show doesn’t make sense
in Italian, so he, or her, chose to translate it literally into Gioco della
Piramide (The Pyramid game).
~ 112 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
The Explication: the translator makes the line more
accessible specifying or generalizing something that
otherwise would not be understood immediately.
Chandler: Hey, you guys in the living room all know what
you want to do. You know, you have goals. You have
dreams. I don‟t have a dream.
Ross: Ah, the lesser-known “I don’t have a dream” speech.
Italian version:
Chandler: Dunque, voi che siete sul divano sapete cosa
volete. Avete tutti delle mete, avete dei sogni. Io non ce l‟ho
un sogno.
Ross: Ehi, sembra quasi il discorso di Martin Luther King.
(Friends, 1x15)
To the American collective imagination the sentence “I have a
dream” immediately brings back to Martin Luther King speech. The
target audience, in this particular case the Italian audience, would have
not understood the reference to that single sentence so the translator
explicated what “I don’t have a dream” speech was about.
~ 113 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
The Substitution: The translator applies this specific
strategy because of a technical limit. The reference is
changed completely.
Jack: (when Grace comes in) Oh, look, it‟s Sporty Spice.
Italian version
Jack: E che ha, il morbo di Parkinson?
(Will&Grace, 1x15)
In the original version the reference to one of the Spice Girls is
justified by Grace’s cloths and her speedy way to walk in. in the Italian
version Jack refers to the Parkinson’s disease. When adapting, respecting
the lip sync is fundamental and sometimes, it represents a real technical
limit to the translation because it may force adaptors to change the
reference finding something plausible to what is shown on screen.
The Transposition: according to this strategy a source
cultural reference is translated into a target cultural
reference.
Maxwell: Where is Miss Fine Anyways?
Niles: She‟s upstairs getting all fapitzed.
~ 114 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
Italian version
Maxwell: La signorina Francesca è scesa?
Niles: Come dicono in Ciociaria, è su che si pitta.
(The Nanny, 3x1)
It may be considered a sort of substitution although the cultural reference
is translated into its equivalent in the target culture. The translator chose
to exchange the Yiddish term Fapitzed, completely unknown to the
Italian audience, with the regional term Pittarsi, the southern Italian and
less refined version of the Italian verb Truccarsi (to make up).
The creation of neologisms to explain a verb, a word or a
concept that has not a real translation in the target language.
Halloran: […] She called it “shining” and for a long time I
thought it was just the two of us that had “the shine” to us.
Italian version
Halloran:
[…]
Diceva
che
era
lo
“shining”,
la
“luccicanza”. E per molto tempo io credevo che eravamo
solo noi due ad averla, la luccicanza.
(The Shining, Stanley Kubrick, 1980)
~ 115 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
The noun “shining” has not a real equivalent in Italian, we can just
translate the English verb “to shine”. So the translator invented a
neologism, a new word that may express the idea of what the original
author meant: the word “luccicanza” from the verb “luccicare” (to
shine).
The Compensation: the translator try to compensate a loss
adding something else in the same line.
Nate: (doing the HAL voice. From 2001 A Space Odyssey)
We are looking quite spiffy in that suit, Dave.
Dave: That‟s so clever. You’re talking like the computer in
the movie. Wow you‟re funny.
Italian Version
Nate: (Parla con voce normale) Con quel completino sei un
vero schianto, Dave.
Dave: Grazie mille Mr. 2001 Odissea nello Strazio. Non sei
divertente.
(Six Feet Under, 1x02)
During the dubbing process the actor does not imitate the computer
voice, besides in the following line Dave makes a reference to the movie
~ 116 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
2001 A Space Odyssey (2001 Odissea nello Spazio), playing on the two
Italian words Spazio (Space) and Strazio (Torment).
The Omission: the translator chooses to get rid of
something redundant or unnecessary in behalf of something
similar and more comprehensible to the audience.
Will: Did you get that black flowy thing?
Grace: No, you were right. It‟s too “Stevie Nicks: the
Heavy years”.
Italian version
Will: Hai preso quella guêpière nera?
Grace: No, avevi ragione. Era troppo stile vedova allegra.
(Will&Grace 1x01)
In this case, the Italian translator omitted the reference to the American
singer Stevie Nicks, taking La Vedova Allegra (The Marry Widow) as an
example to express the style of that black flowy thing.
The Addition: this strategy allows the translators and the
adaptors to add some extra lines in the dubbed dialogue,
sometimes this strategy is used to make the scene funnier.
~ 117 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
Alvy: […] There‟s this big, tall, blond, crew-cutted guy
looking at me in a funny way and smiling and he‟s saying:
“We have a sale this week on Wagner”. Wagner, Max.
Wagner. I knew what he was really trying to tell me, very
significantly. Wagner.
Italian version
Alvy: […] Il commesso era un tipo alto, biondo, con la
sfumatura alta. Mi guarda in un modo strano e con un
sorriso maligno e dice: “Le interessa? C‟è una vendita
speciale di Wagner. Wagner, signore. Wagner” , tutto
Gerusalemme lemme lemme. A parte l’antisemitismo
implicito in Wagner, aggiunge “Ne resterà inebreato”.
(Annie Hall, Woody Allen, 1977)
In the Italian version Alvy not only says that the salesman was
looking at him but that he also had a gloating smile in order to make the
scene more comic. While, at the end of the scene, he specifies that the
salesman was making a fool of him and his Jewishness suggesting a
Wagner CD to him, in the original version is implicit.
~ 118 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
II.3 Translating the Verbally Expressed Humor: An intercultural
issue
“To understand laughter, we must put it back into its natural
environment, which is society, and above all, mast we determine the
utility of its function, which is a social one. Such, let us say at once, will
be the leading idea of all our investigations. Laughter must answer to
certain requirements of life in common. It must have
a social
signification. ” 77
The translation of humor is one of the most interesting , intriguing and
complex challenge to a translator because it means putting into play two
different cultures and ways of having fun, that is the reason why having
knowledge of both the source and the target worlds is crucial. It involves
exchanging the reference systems in order to grasp the ambiguity of the
text. According to many studies, the translation of the VEH is
characterized by two leading factors: the difficulty to plausibly translate
certain jokes or puns and the potential (un)translatability. According to
an old-time aphorism all people smile in the same language, of course it
refers to the way people do it, what is really different is the reason why
they do it, this confirms the strong bond between humor and the cultural
context where it grows, Flavia Cavaliere78 talks about a Racist Humor79
to highlights how much, sometimes, it is not possible to adapt it abroad.
Techniques such as negotiations, domestication and foreignization can
77
H. Bergson, Laughter: An Essay on the meaning of Comic, p. 12.
Professor of Translation at the Federico II University of Naples. She wrote many essays
and book about the translation of humor and the way it “crosses the borders”.
79
F. Cavaliere, Can culture-specific humor really cross the border?, textus, 2008, p. 72.
78
~ 119 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
help the audience to enjoy the jokes without changing and deserting the
original message, nonetheless sometimes irony appears so much deeply
rooted to that world that the cognitive and socio-cultural schemes cannot
be shared abroad. Bergson80 recognizes two different comic elements:
the comic element in situations and the comic element in words, the first
one involves a wider translatability span although sometimes depletions
are unavoidable, while the second one is the most risky because it
involves jokes and puns which cannot be translated from a socio-cultural
context into without paying an high price for an equivalence. Therefore
the comic element in words or situations becomes available to other
country just through depletions, loss and negotiations, this transition
arouses a clash between the cultural and the creative values. While the
first one claims the specificity of the source text, the second one calls for
a
complete
dismantlements,
stretch
interpretations,
losses
and
misunderstandings just to get it closer to the target culture.
Paraphrasing what Delia Chiaro81 wrote in her essay Verbally
Expressed Humor: An overview of a neglected field, the translation of
humor is not all about interlingual problems, it really is about intercultural problems. And the transition of the English comedy play The
Play that I wrote written by Hamish McColl and Sean Foley proves it.
The plot is about the misfortunes of two English comedians, Morecambe
80
H. Bergson was one of the most major French philosopher. He was influential in the first
half of the 20th century. In 1927 he won the Nobel Prize in Literature and in 1930 he was
awarded with the Grand-Croix de la Legion d'honneur, one of the most important French
Prizes.
81
She is a Professor of English Language and Translation and Director of the Master's
Program in Screen Translation at the University of Bologna's Advanced School in Modern
Languages for Interpreters and Translators. Since publishing The Language of Jokes:
analysing verbal play in 1992 (London, Routledge) she has combined her interest in verbally
expressed humour with her passion for cinema and TV by examining what occurs when
verbal humour in English is dubbed and subtitled. She is currently writing The Language of
Jokes in the Digital Age due for publication by Routledge in 2014. She has been invited to
lecture across Europe, in Asia and New Zealand.
~ 120 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
and Wise, trying to set on foot their show. It can be consider a classic of
the English comedy, in fact the whole play is brimming with that kind of
groaning puns and slapsticks that made the duo so famous in Britain
such as “I am France and parts of me are revolting” or exchanges such as
“I’ve had two Oscars and a Tony” and “ Your private life is your own
business”82. As the show was performed in London’s West End the gags
were so explicit and evocative of the seventies’ duo Eric and Ernie that
it was a real success. Nonetheless, the show was so culture specific that
when it made landfall in the USA it was a real flop. The whole play and
its hilarious gags and puns were substituted with more US culture
specific ones, unfortunately the American version
bemused the audience rather than amused it. It
gives evidence of how much the translation of
humor is an inter-cultural problem rather than a
interlingual problems: even when the language is
the same (more or less) the cultural barriers
prevent humor from really crossing the borders, in
this sense it is interesting what R. C. Solomon
states about humor and its “racist” disposition : “The background and
presuppositions of humor go deeper and are more complex than virtually
anything else in a culture […] Humor is the last frontier to be crossed, in
the complete understanding of a culture.” 83
The comic reveals the rigidity of everyday life inner workings and
depicts each nation’s linguistic and cultural idiosyncrasies which
sometimes are hard to translate into another reference schemes, although
82
D. Chiaro, Verbally Expressed Humor: An overview of a neglected field, Textus 2005, p.
137
83
R.C. Solomon, Racist Humor: Notes towards a Cross Cultural Understanding, 1997.
~ 121 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
there is an example of successful translation of culture-specific humor
which became a great success abroad: I am talking about Filumena
Marturano, the Neapolitan comedy play written in 1946 by Eduardo De
Filippo. At first, when it was performed in London’s West End it was a
real flop, as The Play what I wrote. Then Lawrence Olivier and Joan
Plowright opted for a different approach: Neapolitanizing the play rather
than localizing it. So, they decided to spent some time in Naples to
properly interiorise the story and the characters, re-translate the whole
play and then turn that magnificent comedy into a great success even in
the UK: “Since translations are facts of target cultures, in the translation
process emphasis must be placed on transmitting the essence of the
represented worlds, rather than simply providing a denotative
translation.”84
84
F. Cavaliere, Can Culture-Specific Humor Really “Cross the Border”?, Textus 2008, p. 68.
~ 122 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
Chapter Three: How The Nanny became La Tata
III.1 Defining a genre: The Situation Comedy
Finding an adequate definition of this particular television genre is
not that easy, considering all the TV programmes that could be included
in this category. Of course, it is an industrial product whose strong points
are: Simplicity, comedy and humor. J. Ellis describes it as the ideal TV
genre85, while R. Butsch as the keystone of the prime time
86
. Its
“lightness” has always arisen the interest of the audience world-wide,
although due to its illusory simplicity it is hard to pinpoint the necessary
peculiarities to explain both the evolution of American television and
the complexities concerning the adaptation and the reception of the
foreign audience.
The theater, the radio and the comic cinema make part of the
situation comedy “family tree”, in fact this genre originally reached
television as a sort of theatrical representation where the audience
actively took part. The theatrical dimension is proven by four factors: the
three-act-structure, the representation of comedy through dialogues,
characters and situations, interior settings and then the actual presence of
the spectators and their real or altered laughs. One of the most interesting
factors is the three-act-structure that put the situation comedy in contact
with the theater. Every episode is divided into three different parts: The
opening balance and the break of it in the prologue, the resolution and
85
86
Cfr J. Ellis, Seeing Things: Television in the Age of Uncertainty, Tauris Editore, Londra,
2005
Cfr R. Butsch, Five Decades and Three Hundred Sitcoms About Class and Gender,
Edgerton-Rose Editore, 2005
~ 123 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
then the restoring of the opening balance in the conclusion.
In
accordance with this typical circular structure at the end of the episode,
everything goes back to what it was and every character seems to go
back to his own “little box” bringing all its main peculiarities and
behaviors with him.
Another important factor is the relation between sitcom and its
audience. First of all we are talking about a domesticated audience, in
fact the home spectators are well educated to laugh at the right moment
through some recorded laughs which are employed when the audience is
not on-stage or when it is not laughing vociferously. The “prepackaged
laughs” are called laugh track. B. Placido gives a very interesting and
appropriate definition of laugh track, he talks about “mechanic and
recorded laughs employed to say: Look how much we are having fun.
Are you at home having fun as well? It is an affectation, the American
situation comedy vice that the European televisions have adopted and
then applied mechanically everywhere”. 87 The use of laugh track is due
to different reasons, first of all to involve the spectators and then to hide
the editing cuts.
87
N.d.T. trad. Michela Lauritano. B. Placido, Ma quelle risate son proprio necessarie?, in
Repubblica, 8 gennaio 1992. “*…+Risate meccaniche, registrate su nastro, e messe lì per dire:
quanto ci divertiamo. Vi state divertendo anche voi a casa? È un vezzo, un vizio preso di
peso dalla situation comedy americana e applicato meccanicamente da noi un po’
dappertutto.”
~ 124 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
III.2 Classification and Evolution of the situation comedy
The situation comedy has been analyzed and studied by many
experts who developed different classifications about it. One of the most
interesting and full-scale taxonomy of this genre has been carried out by
the Spanish writer N. Lopez and cited by Padilla y Roqueijo in their
essay about sitcoms 88. Lopez divided sitcoms into:
Family Comedy such as Growing Pains and Married with
children. In this sitcoms the daily events take place in the
family environment.
Choral Comedy such as Friends, The Big Bang Theory or
How I Met Your Mother, where there isn’t a
main
character. Every character is meaningful and they are all on
the same level.
Big named Comedy such as The Bill Cosby Show, The Dick
Van Dyke Show, Seinfield, Roseanne, I Love Lucy where the
main character is already famous. The sitcom develops
around him or her.
Social Comedy the famous American television series
M*A*S*H represents this kind of comedy. The show
criticized the Vietnam War taking advantage of humor. The
social comedy is a sitcom where social and political matters
are faced using comic elements.
Racial Comedy such as The Fresh Prince of Bel-Air or
Family Matters. This kind of sitcom is addressed to a
88
G. Padilla-Castillo, P. Requeijo-Rey, La sitcom o comedia de situación: origenes, evolución
y nuevas prácticas, Fonseca Journal of Communication 2172-9077 Num. 1, Madrid, 2010.
~ 125 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
specific audience, in these particular cases to the AfroAmerican spectators.
Generation Comedy such as Skins or Saved by the Bell
which are specifically addressed to a very young audience.
Fantasy Comedy such as Bewitched or I dream of Jeannie.
The distinguishing feature of this group is the fact that
fantasy events are mixed with both daily and comic
elements.
Although each country and each media system has its own
classification and evolution of this particular genre, in 1981 the
American writer A. Houghs carried out a more general taxonomy of the
situation comedy classifying it according to specific periods of time. In
his essay he wrote that we could categorize sitcoms from 1950 to 1978
considering two groups 89:
Family sitcoms that are divided into traditional family
(1949-1955), nuclear family (1955-1956), eccentric family
(1965-1975) and then social family (1970-1978).
No domestic sitcoms divided into first comedies (19481955), military comedies (1955-1970), business comedies
(1960-1965), fantasy comedies (1965-1970), country
comedies (1960-1970), adventure comedies (1965-1970)
and then professional groups comedies (1970-1978).
89
A. Hough, Trials and Tribulations: Thirty years of sitcoms, in Understanding television:
Essays on television as a social and cultural force, Richard Adler Editore, New York, 1981,
p.201-223.
~ 126 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
After having studied the classification carried out by the experts, I
am now going to outline briefly the evolution of the situation comedy in
US from the fifties up to this time.
In 1951 the first sitcom broadcasted on the American screens was
I Love Lucy. The plot was about the daily life of an American interracial
couple, Lucy and Ricky. She was American while he was Cuban, many
episodes where focused on the differences between the two cultures. I
Love Lucy was a real success even abroad and it outlined the
distinguishing features of what later would have become a specific
genre: The American Sitcom. Generally during the fifties the stories
were always about middle class and traditional happy family in which
the father went to work while the mother embodied the perfect
housewife.
In the sixties there were different themes, this is the period of
sitcoms like M*A*S*H, Bewitched, The Dick Van Dyke Show and The
Doris Day Show. During these years the authors also started writing
about sitcoms whose main character had to be very famous in order to
increase both the fidelity of the spectators and the TV rating.
The seventies, in accordance with the spirit of 1968, were
characterized by an innovative trend. During these years sitcoms faced
many social matters that had been ignored until then. They started
talking about single and happy women whose families were composed
by friends and colleagues.
During the eighties the production costs were higher compared to
what people called for, in fact the spectators started being interested in
~ 127 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
many other TV programmes and this sector suffered a great crisis. Just in
1984, thanks to The Bill Cosby Show, the sitcom TV rating raised again.
In the nineties the American sitcoms started talking about
something new such as homosexuality and atypical families. That’s the
reason why, in these years, the situation comedy literally won the day
with Friends, Seinfiled and Will&Grace.
At the present time on the one hand the situation comedy shows a
real technical evolution through manual cameras and a more natural
lighting, more over the actors start addressing to people at home while
they are playing; but on the other it still maintains certain distinguishing
features that we could find in the first sitcoms, such as the laugh track,
the presence of some spectators on stage and the short lasting of the
episodes. Currently the situation comedy has been highly reconsidered
since products such as The Big Bang Theory or How I met your Mother
have won important TV awards.
At the end of this short analysis I wonder if the economic and also
cinematographic and TV crisis has positively affected the success of this
underrated genre, symbol of that “lightness” , simplicity and genuineness
that in this historical period we are definitely missing.
~ 128 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
III.3 Translating sitcoms: The Nanny abroad
“Watching American television in Italy created in me a feeling of
national pride, because I genuinely (or perhaps naïvely) believed that
American authors were indeed writing about Italians. […] Somehow, I
thought it was a privilege (and certainly a curious coincidence) that
among all ethnicities and nationalities in the United States, American
writers opt to represent and recount stories of Italians. […] It would take
me a few years and a few thousand miles to realize (in a classroom, not
on TV) that the origins of my favorite nanny had nothing to do with
Italy. While discussing ethnic representation on American television
with my American classmates and professor in graduate school, someone
mentioned and criticized Fran Drescher’s overly stereotypical portrayal
of the Jewish American Princess in The Nanny. All of a sudden I was
lost: Since when is Fran Drescher Jewish? I asked”.90
The last part of this chapter is entirely dedicated to the Italian
adaptation of the famous American sitcom The Nanny. The aim is to
consider the linguistic and cultural aspects giving an explication about
the reasons why that product has been drastically modified insomuch as
Fran Fine was converted into Francesca Cacace. What makes this
analysis extremely inspiring is the fact that the Italian adaptation of this
American sitcom is just the blatant example of textual manipulation,
halfway between traditional translation and drastic “restoration”.
90
C. Ferrari, Since When Is Fran Drescher Jewish?, Texas University Press, Texas, 2010, p.2.
~ 129 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
The Nanny has been exported to many countries such as
Argentina, Chile and Mexico. Although their culture and humor is way
different from the North American one, they chose to create local
versions with local actors and settings, the only thing they maintained
was the plot and the features of the main characters. Instead in Italy the
experts faced many cultural barriers and the final result, La Tata, may
represent their attempt to accept globalization without keeping out the
interest of the Italian audience, and it is of a paramount importance to
stress the word interest because the main goal of audiovisual translation
and adaptation was, and still is, distributing that product to make profit
rather than safeguarding a cultural and national specificity: The more it
was regional and Italianized, that is to say more comprehensible to
Italians, the more the rating would have been high.
The Nanny reached the Italian television during the nineties, and
this is not a simple detail. During that years in Italy many American
sitcoms (The Sopranos, The Simpsons,
Friends) were subjected to
drastic modifications defying also the idea of an imported television that
had to be global, standardized and americanized. The Italian adaptation
of this sitcom went down in history because of its twisting that led
translators and dialogist to rewrite whole scenes and dialogues without
hampering the success of it in Italy.
The main barrier to Italian spectators was the ethnic group Fran
Fine, the main character, belonged to. She was Jewish and the comic
element of the sitcom pivoted on her Jewishness, with references, jokes
and wordplays linked to that world and language, the Yiddish. The
American perception of American Jewish people is completely unknown
to the Italian audience so that no one, in Italy, would have had fun
~ 130 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
watching The Nanny as it was. The process they applied is called relocalization
ethnic
91
group
and it occurs when a stereotypical portrayal of a specific
must
be
necessarily
changed
into
something
understandable to the target audience. Of course this process needed to
be contextualized, in fact Massimo Corizza, the director of dubbing and
translator for the Italian version of The Nanny, states that 15 years ago in
Italy there wasn’t the perception of the American world and lifestyle we
have today so it was necessary to domesticate certain elements unknown
to Italians
92
. For instance, at that time the word pancakes had to be
“Italianized” in order to let the audience understand what the characters
were eating. Today, everyone in Italy knows what pancakes are and
there is no longer need to convert them into frittelle.
The Nanny was broadcasted by the CBS from 1993 to 1999. The
story was about Fran Fine, a young and quirky Jewish Queens girl (or
simply a JAP, Jewish American Princess) who works as a Nanny for Mr.
Sheffield, the British elegant and sophisticated Broadway producer, who
is also a widow. Fran’s family is made up of her mother Sylvia and her
grandmother Yetta who perfectly embody the stereotype of the Jewish
American women from Flushing. The comic element of the sitcom
pivots on the contrast between Fran and her family’s eccentric and
invasive Jewish personality, and Sheffield and his entourage’s cold,
reserved, so typically British, disposition. In Italy La Tata was
broadcasted by the Italian private televisions Canale Cinque and Italia
Uno from 1995 to 1998. Fran Fine became Francesca Cacace, an Italian
American girl who comes from Ciociaria, an Italian region situated in
91
Ibidem, p.3
From an interview granted to C. Ferrari. Cfr C. Ferrari, Since when Fran Dresher is Jewish?,
Texas University Press, Texas, 2010.
92
~ 131 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
the southern area of Lazio. Her whole catholic family is from Frosinone
and she lives with her aunt Assunta (originally Sylvia), her uncle
Antonio (Morty, in the US version) and her other aunt Yetta, Assunta’s
sister in law. This short description of The Cacaces may appear light
years away the description of The Fines, although analyzing deeply this
two different stereotypes we realize how much close and similar they
actually are. The next paragraph is dedicated to this inspiring and
extremely interesting comparison.
III.4 Comparing stereotypes
“The Nanny is global if it’s adapted. In the end, the Jewish mother
is like the Italian mother, worried if you don’t eat enough, caring for her
children, and never minding her own business. The stereotype is very
similar, but you have to adapt it.”93
Translating otherness through stereotype is so typical of the
American television and, sometimes, the only way to export that
specificity is just translating it with another stereotype that would work
in another socio-cultural context. All the original characters have been
culturally and linguistically re-created making reference to Italian cliches
in order to keep the representation of the stereotype the keystone element
in both versions.
As for the stereotype chosen by the American authors for The
Nanny, Fran Fine embodies perfectly the prototype of the JAP, Jewish
93
From an interview of M. Corizza to C. Ferrari, published in Since when is Fran Drescher
Jewish?, Texas University press, Texas, 2010, p. 52.
~ 132 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
American Princess: boor, eccentric, materialistic, impish, quite snobby
and obsessed by food, flashy clothes and men. Of course her jewishness
is the cornerstone of the whole sitcom, at this point the question arises
spontaneously: “What does the term Jewishness really mean and imply?
I found an inspiring definition given by the American writer J. Antler
talking about Fran Fine and the idea of Jewish women on American
television: “Jewishness is, then, an attitude, a phrase, even a set of cloths,
glitzy, gaudy and ornate. It is a shtick, a framing device that sets the
heroine apart from the others in the cast. But it is an artificial,
exaggerated Jewishness, drawn from anomalous imagies and negative
stereotypes. For the most part, the nanny’s jewishness lies in her
inflection, her whine, her Yiddishisms, her mania for shopping and for
men, and her Jewish family. […] Like Fran, they are authentic, whether
gaudily overdressed, canasta playing mother or her chain-smoking
Grandma Yetta.”94 In Italy it wouldn’t have been possible to make it
understandable or even funny since the Italian collective imagination of
Jewish people is restricted to the only adjective “stingy”. On the one
hand the portrayal of the JAP do not fit with the Italian perception of
Jewish people,
on the other some elements such as her extreme
sensuality, her strong desire to start a family and her obsession with food
helped the Italian translators to make it plausible in Italy since they also
reflect the stereotype of the southern Italian woman. The result was that
Fran Fine could easily become Francesca Cacace as much as her over
invasive Jewish mother that perfectly corresponded to the stereotype of
the southern Italian mother.
94
J. Antler, Epilogue: Jewish Women on Television, University Press of New England,
Hanover, 1997, p. 202.
~ 133 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
The Italian adaptation focused its attention on the female
characters, especially Fran and her quaint female family members. With
regards to it, M. Corizza stated in his interview to C. Ferrari: “Sylvia is
obsessed with food, therefore the Italian stereotype works well, and all
the jokes about food remain intact. I had to cut jokes about sex, however,
in order to make the dialogue more acceptable; sometimes the original
version becomes too vulgar, and too explicit sexual references are hard
to transfer on Italian television.”95 As the translator said, some elements
needed to be changed radically in order to become funny or socially
accettable. One of those is the kinship: In the Italian version Sylvia and
Yetta become her aunts to justify their sexual allusions that would be
inappropriate for a southern Italian mother and grandmother.
Considering the importance of family in the Italian collective
imagination it would have been everything but plausible that a mother
and a grandmother converse with their daughter/granddaughter about
their sex life and betrayals without any kind of inhibition.
The Italian version of The Nanny demonstrates how much the
adaptation process can culturally and linguistically manipulate and
modify a text. All the changes improved to the Italian version took into
consideration values and models that were presumably shared by the
spectators. The quotation that has opened the paragraph highlights the
idea of a global and homogenized culture where, the adaptation,
especially in this case, opt for glocalizing
96
the stereotype
of the
American Jewish community in order to make it real for another culture
specific context.
95
Ibidem, p. 59.
The term glocalization is the combination of the words globalization and localization, it
means adapting what is global to the local through negotiations.
96
~ 134 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
III.5 From Yiddish into Italian dialects
“One of the main characteristics attributed to Jews is a unique
relationship to language. To the non-Jew, European Jews seem to
possess a “hidden” language, Yiddish, that others cannot understand and
that may be used in subversive ways” 97
Another fundamental
and problematic aspect concerning The
Nanny and La Tata is the fact that Fran sometimes speaks in Yiddish,
the language spoken by the Jewish communities. The ethnic group the
main character belongs to is meaningful and, sometimes, overstated. The
American spectator immediately understands that Fran is a Jew thanks
to three elements: her nasal voice, the thick Queens accent and the use of
Yiddish. In fact both Fran and her aunts speaks among themselves using
this exclusive linguistic code. The use of Yiddish also highlights the
socio-cultural difference between the characters: Maxwell has a very
elegant turn of phrase, he sometimes uses French words that Fran does
not understand and of course his british accent is synonymous of a
sophisticated education:
Maxwell: Oh Fran, my darling… how can I make you understand how much I
adore you?
Fran: Well, a few examples would be good.
Maxwell: Let‟s start with your sense of humor, I love your vivacity, your
gaylessness, your irreverence.
Fran: Could you use words I understand?
97
(The Wedding Part II, 5x23)
B. Willinsky, Who talks like that? Foregrounding Stereotypes on The Nanny, in Mediated
Women: Representation in Popular Culture, Cresskill, N.J. Hampton Press, 1996, p.306.
~ 135 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
Instead Fran has a very strong New York accent characterized by
the use of words in Yiddish that are incomprehensible to all the other
characters. In this way the American authors wanted to stress on the one
hand her naivety, her genuineness as well as her illiteracy, on the other
Maxwell’s education and social status. Since the first episode this
subversive language stood out and the best way to express it in La Tata
was taking advantage of the subversion of some Italian regional dialects.
In this way the words in Yiddish were substituted with words in the
dialect of southern Lazio. Let’s see an interesting example of what I have
just said: In the episode, The Pen Pal (3x1), Fran is about to date a new
man and while she is upstairs getting ready, Maxwell and Niles are
talking about her trying to use some Yiddish words.
Maxwell: Where is Miss Fine anyways?
Niles: She‟s upstairs getting all fapitzed.
Maxwell: What does that mean?
Niles: You know, dressed.
Maxwell: I thought that was flubunged.
Niles: No, sir, that means confused.
Maxwell: No, man, that‟s fechachda.
Niles: Well, then, what‟s flishimeld?
Maxwell: I think that‟s her uncle.
~ 136 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
Italian Version:
Maxwell: la signorina Francesca è scesa?
Niles: Come dicono in Ciociaria, è su che si pitta.
Maxwell: Che cosa fa?
Niles: Si trucca, si pitta.
Maxwell: Non dicono si dipinge?
Niles: No signore, quello è Raffaello.
Maxwell: No, Raffaello non si pittava.
Niles: Neanche andando dal Papa?
Maxwell: No, era Giulio II…
(The Pen Pal, 3x1)
In this short dialogue the choice of the translators is clear, not only
they substitute the Yiddish words fapitzed, flubunged, fechachda and
flishimeld with the southern Italian verb pittarsi (to make up) but they
also changed the meaning of some sentences in order to make it all
logical.
Following the domestication strategy the translators chose to fill
the socio-cultural gap between Fran and Maxwell adopting a very rustic
Italian for her and a polished Italian for him. In this way the gap between
standard english/Yiddish and standard Italian/regional dialect is exactly
the same. Another interesting aspect is Fran’s nasal voice. In the United
States
speaking nasally is a distinguishing feature of the Jewish
American women; in the Italian version it has been chosen to eradicate
this aspect dubbing the actress with a more neutral voice.
~ 137 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
III.6 The Wedding and The Cantor Show: A matter of incongruities
The more you overturn a media product the more it will be harder
to maintain its credibility as the sitcom goes on. That is the case of La
Tata, in fact at some point of the series, especially in the last seasons, it
was extremely difficult to adapt certain elements without leaving the
Italian spectator confused and disaffected to the sitcom. I am talking
about those episodes that are totally focused on Jewish cultural and
religious elements. Although the main strategy was to turn some
behaviors into catholic, others were left unresolved because of an
unfillable incongruity between the verbal and the visual code. This
incongruity, which is one of the biggest
limits of audiovisual translation, led the
Italian spectator (who still ignored she was
Jewish) to wonder why a six seasoned selfconfessed catholic nanny, at some point
decided to get marry in front of a Rabbi or
to go to a church which was actually a
Synagogue since on the background there were the flag of Israeli and a
Menorah 98. There was no solution to overtake this huge barrier therefore
the original meaning of some dialogues needed to be completely
changed. For instance in the episode The Cantor Show (3x24), Fran and
Sylvia went to their synagogue to celebrate their new cantor. In the
Italian version they detached themselves from the Jews punctually
clarifying their Christianity or making mistakes to show their ignorance
about Jewish culture:
98
The typical seven-lamp Hebrew lampstand.
~ 138 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
The Nanny:
Fran: Oh, I‟m sorry! Everybody I want you to meet Gary Isaacs: this is the
New cantor at my Temple.
La Tata:
Francesca: Oh, scusatemi! Gary Isaacs, una voce stupenda che canta nella
Moschea, cioè, no, la Chiesa ebraica!
When Francesca introduces the new Cantor she shows confusion
regarding what a Synagogue really is, at first she calls it Mosque. The
translators adopted this approach in order to make the audience
understand that she had nothing to do with that world and that she was in
that Synagogue almost by accident.
~ 139 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
The last episode of the fifth season, The Wedding part II, is
another one full of incongruities between the two codes mentioned
above. The main problems concerned the inability to hide the specificity
of the traditional Jewish wedding . Although they tried to justify certain
“dodgy elements” , there were some details such as the breaking of the
glass or the Hava Nagila99 during the
reception, that made impossible to the
translators to find an adequate solution
insomuch as the result is definitely unlikely.
These two episodes I quickly analyzed
demonstrate
that,
usually,
the
untranslatability in audiovisual translation
occurs when there is no strategy good enough to make the verbal code
correspond with the visual code, this incoherence leaves the audience
confused and disoriented:
The Nanny
Val: Oh, Fran, it‟s never gonna be like this again. Just the two of us lying
here together.
La Tata
Lalla: E ora ti sposerai persino civilmente, davanti a un prete e un assessore,
Come hai voluto tu.
99
The staple song performed at Jewish weddings while they are doing the Hora dance on
the chair.
~ 140 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
In the Italian version Val’s line has been totally changed. Lalla
actually reminds Fran of her civil wedding in front of a priest and an
assessor. Taking advantage of the “uselessness” of the original line they
tried to justify the presence of the Rabbi at the wedding. Here is an
example of a drastic modification.
These two episodes also confirms that translators are authors,
converting that new linguistic and cultural elements they redesigned,
into a new story. According to a famous commonplace every translator is
like a caged writer, in my opinion in the adaptation of La Tata the best
and the worst of this amazing job legitimately came out in terms of
rewriting, stressing all the pros and cons of a domesticated translation.
As a “little” spectator I really enjoyed watching La Tata, I laughed a lot
and just when I realized it had nothing to do with Italy I started thinking
a great deal about it. Firstly we have to contextualize this product in
order to understand its twisting: At that time and in that place (Italy), it
wouldn’t have been plausible to leave the original product as it was
taking into account that the aim of audiovisual adaptations was to vouch
for an effective comprehension of a text in a completely different sociocultural context.
~ 141 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
Conclusion
The experiment carried out by Ulrichs and cited in the first chapter
shows us that all the variations we find in a translated text, although are
irreversible, still make part of the text itself. Such a modification makes
the new text complete, reshaping it for new eyes. This is none other than
the reason why “someone” invented that fascinating discipline called
Translation.
The Italian adaptation of The Nanny is the specific example of
textual and cultural manipulation. We are talking about an unavoidable
manipulation that managed to make a deeply American sitcom “more
Italian”. The analysis of the “subversive” adaptation of
The Nanny
offers so many causes for reflections to both professional and aspiring
translators because it involves comparing two cultures, two stereotypes
and two humours, and the more you analyzed them the more you
understand how much close they are. Many experts consider the Italian
adaptation of sitcoms such as The Nanny or Roseanne (Pappa e Cicca in
Italy) a sort of reaction against a globalised television, although what
really led translators to change them radically was a less “romantic”
need: Italian television would have never bought a product like The
Nanny if the American authors had not authorized some variations. The
Jewish American nanny would not have made any sense in Italy at that
time, it would not have been funny, it would not have intrigued the
audience. The intense activity of Italian translators let us explore and
laugh about our own stereotypes identifying ourselves with that bizarre
Italian American nanny. Nowadays such a radical change would not be
accepted easily because cinema and television “have updated” our
~ 142 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
perception of the American lifestyle, opinions, habits and traditions and,
luckily, at this present time a Jewish American nanny would not shocked
us anymore.
At the end of this path which taught me a lot about this amazing
discipline, I have made a couple of considerations: Regardless of all the
misinterpretations and all that unlikely dialogues of the last seasons, I
think that the Italian adaptation of this sitcom must represent a source of
curiosity and reflections to the experts in this field. In my opinion the
success of La Tata is directly proportional to its twisting, and the reasons
need to be contextualized, La Tata has been entertaining an whole
generation who still ignored the meaning of the words muffin and
pancake, therefore the choice to join hands with the spectator may be
considered licit and arguable at the same time. From my point of view
the Italianizing process employed in order to meet the target and its
necessity, its history, its way to laugh while watching television, was
crucial at that time when the original versions of certain sitcoms, would
have turn them out to be even more alien. At this point the question
arises spontaneously: In the nineties would we have been able to laugh at
a Jewish American nanny? Would we have been able to get all that
funny jokes about Jewish people and language? The answer is as much
banal as the question: probably not. If it had been broadcasted as it was it
wouldn’t have lasted on the narrow-minded Italian television.
Conversely, nowadays the approach when translating sitcoms mostly
follows the strategy of foreignisation, allowing the new audience to meet
and absorb different habits and lifestyles.
Ultimately, this work is the result of a lively interest in that
modified, re-packaged and Italianized products that went along my
~ 143 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
generation. Regardless of all the incongruities and all that risky choices,
La Tata represents a specific period of time and reflects not only a TV
generation but also its own stereotypes and idiosyncrasies as well as the
modus operandi of audiovisual translation during the nineties.
~ 144 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
SECCIÓN ESPAÑOLA
~ 145 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
Introducción
Trasladar el humor y la ironía desde un contexto socio-cultural a
otro representa uno de los retos más arduos para el traductor cosiderando
que el contexto específico, a veces, cuenta más que el texto de salida.
Por eso, la traducción audiovisual puede implicar una re-apropiación
nacional para que el producto final sea a medida de los gustos y de las
exigencias del nuevo público.
Teniendo en cuenta esa re-apropiación nacional, ¿el humor puede
realmente atravesar las fronteras a través de negociaciones y estrategias
de traducción? ¿Podemos considerar su traducción como una traición
eterna, irremediable e indispensable?, ¿el conocimento profundo de la
cultura de salida es la única manera de comprenderlo adecuadamente? El
objetivo de mi trabajo es intentar responder a estas preguntas que
surgieron al leer y estudiar el tema y, al mismo tiempo, examinar el
difícil proceso de traducción y adaptación de un género específico: la
comedia de situación norteamericana. Muy a menudo su exportación
conlleva profundas transformaciones del producto original para que
complazca diferentes deseos, historias y maneras de reír frente a la
televisión. No se trata simplemente de un cambio de idioma sino de una
re-elaboración para enviar el producto a otro lugar. Este proceso da pie a
muchas críticas sobre todo para las nuevas generaciones que favorecen
los productos originales, made in Usa, a los adaptados. Esta predilección
se explica considerando la nueva percepción que tenemos del mundo
americano, de su estilo de vida, de sus ideas, costumbres, tradiciones y
humorismo que siempre han sido contadas por el cine y la televisión y
que, por fas o por nefas, hemos absorbido.
~ 146 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
A través de este trabajo quiero examinar los problemas de la
adaptación de productos mediales en nuevos contextos culturales,
haciendo referencia tanto a la teoría de la traducción audiovisual como a
la historia y a la evolución de un género específico. En el primer capítulo
se discuten las cuestiones más teóricas de la traducción audiovisual, se
examinan los ámbitos y los vínculos y el concepto de traducción
intersemiótica introducido por el lingüista ruso R. Jakobsòn. La segunda
parte se concentra en el estudio de las transferencias lingüísticas, sobre
todo el doblaje, considerado el espejo de las culturas. Se analizará este
proceso aportando un estudio sobre la historia del doblaje en relación a
la historia de la televisión y del cine, en España. El tercer capítulo está
dedicado al género de la comedia de situación y a su adaptación en las
televisiones extranjeras. En este último capítulo quiero subrayar la
particularidad de este género televisivo, a veces infravalorado por su
aparente ligereza y sencillez. La primera parte se concentra en la
definición de la comedia de situación, su clasificación y evolución en la
historia de la televisión al mismo ritmo de la de la sociedad de los años
cincuenta a los años dos mil. La segunda parte se concentra en la
cuestión de la traducción del humor, linfa de este género, las dificultades
y las barreras que el traductor encuentra y que, a veces, es imposible
superar para producir un texto adecuadamente cómico sin modificarlo de
la raíz. Con respecto a estas complicaciones en la última parte se
tomarán como ejemplo algunos productos mediales americanos
comparándolos a sus adaptaciones españolas para recalcar todos los
vínculos culturales explicados en los capítulos anteriores, y las rutas que
el traductor puede seguir para resolverlos.
~ 147 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
Capítulo Primero: Teoría de la Traducción Audiovisual
I.1 Nuevos cuentos de la misma historia
El principio de reversibilidad enseña al traductor que re-traducir
otro texto ya traducido significa crear un clon de la obra original. Entre
1968 y 1974 el profesor alemán Timm Ulrichs puso en práctica un
proyecto artístico para probar este principio. Dicho proyecto consistió en
un ciclo polígloto traduciendo simplemente la explicación de un término
de un diccionario de alemán. El texto de salida fue traducido por 24
diferentes traductores en 24 diferentes idiomas; analizado, reescrito,
impugnado, adaptado a alfabetos, culturas e idiomas diferentes del
original. Al final, el término fue
re-traducido del hindi, su última
versión, al idioma de salida, el alemán.
Aunque el texto llegó a su idioma inicial las
diferencias entre la primera y la
última
versión eran profundas pues el texto final
presentaba un resultado de innumerables
cambios e interpretaciones. El experimento de
Ulrichs,
además de probar las numerosas
variaciones lingüísticas y culturales entre un idoma y otro, demostró
que todas las variaciones irreversibles que se encuentran en un texto
traducido
llegan a ser parte integral del mismo texto. Por eso es
imposible y restrictivo considerar el proceso de traducción como algo
mecánico y automático. Parafraseando lo que escribió Umberto Eco en
su célebre libro Dire quasi la stessa cosa, al traducir se convierte,
~ 148 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
necesariamente, un estilo indirecto en directo100 y eso es lo que hace la
disciplina de traducción extremadamente fascinante y estimulante.
Traducir convirtiendo el estilo indirecto en directo significa también
situar el texto de salida dentro de un contexto social, cultural e histórico
completamente diferente. El experimento de Ulrich nos muestra que
después de tantos procesos de negociación el traductor se siente
comprometido al restructuramiento del texto ampliando el concepto de
fidelidad del traductor.
Considerando un significado más amplio de la idea de Traducir,
podemos hacer referencia a uno de los cinco axiomas del teórico
austríaco Paul Watzlawick: es imposible no comunicarse.
humanos no pueden no comunicarse
101
Los seres
y las barreras lingüísticas y
culturales siempre han representado obstáculos inevitables, pero no
insuperables. En este sentido la idea de traducción se puede ampliar a
todas las actividades humanas en cuanto cada tipo de lenguaje puede ser
traducido, entonces todas las transposiciones de un lenguaje a otro se
consideran formas de traducciones que se convierten y se renuevan
sistemáticamente y, a veces, de manera incosciente.
100
U. Eco, Dire quasi la stessa cosa, Bompiani Editor, Milán, 2003, p. 20.
P. Watzlawick fue uno de los principales autores de la Teoría de la comunicación humana
y fundador de la corriente de pensamiento del constructivismo radical. Watzlawick elaboró
cinco axiomas de la comunicación humana: 1-Es imposible no comunicarse. 2-Toda
comunicación tiene un nivel de contenido y un nivel de relación, de tal manera que el último
clasifica al primero, y es, por tanto, una metacomunicación. 3-La naturaleza de una relación
depende de la gradación que los participantes hagan de las secuencias comunicacionales
entre ellos. 4-La comunicación humana implica dos modalidades: la digital y la analógica. 5Los intercambios comunicacionales pueden ser tanto simétricos como complementarios.
101
~ 149 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
I.2 Jakobsòn y la Traducción como concepto.
"Nadie puede entender la palabra queso, a menos que no tenga un
conocimiento no lingüístico del queso." 102
En su Ensayos de Lingüística General, escrito en 1956, el lingüista ruso
Roman Jakobsòn cita esas palabras de B. Russell cuestionándolas. Antes
de analizar la citación de Russell y la crítica de Jakobsòn es importante
subrayar la importancia de este ensayo, considerado una obra clave sobre
las cuestiones y los problemas de la traducción. El concepto de
Traducción Intersemiótica ha sido introducido por el lungüista ruso que,
examinando una idea más amplia de traducción, empieza a considerar
esta disciplina más como un concepto que una simple actividad.
Uno de los criterios más interesantes utilizado por Jakobsòn para
demostrar su análisis es la reflexión de Bertrand Russell. Según el
filósofo británico, asimilar conceptos y objetos de una cultura
determinada que resultan ajenos a la propia es algo imposible. En
cambio Jakobsòn nos explica que, para comprender palabras o conceptos
que nos resultan ajenos es necesario relacionarlos a otros conceptos
similares a nuestra cultura, por ejemplo, un individuo que pertenece a
una cultura cuyo idioma no tiene la palabra “queso”, para comprender el
significado le bastaría conocer la palabra o el concepto de “cuajada”. En
suma, Jakobsón con este ejemplo nos quiere demostrar que el significado
de una palabra no es otra cosa que su traducción utilizando
otras
palabras, destacando la importancia del proceso de traducción para la
comunicación entre culturas diferentes. Traducir nos permite conocer
102
R. Jakobsón, Saggi di linguistica generale, Laterza Editor, 2002, p. 56.
~ 150 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
objetos y palabras propias de otras culturas que, de lo contrario,
permanecerían ajenos. El lingüista saca una conclusión fundamental: el
significado de las palabras es un hecho más semiótico que lingüístico.
En su ensayo Jakobsòn desarrolla una teoría sobre las maneras de
interpretar un signo verbal. Según él, hay tres formas de traducción para
hacerlo:
La Traducción Interlingüística o traducción propiamente
dicha. Se verifica cuando interpretamos signos verbales
mediante otro idioma.
La
Traducción
Intralingüística
llamada
también
Reformulación. Se verifica cuando los signos verbales se
interpretan mediante otros signos del mismo idioma.
La Traducción Intersemiótica o Transmutación, es el
concepto más innovador de su estudio y se trata de una
interpretación de signos verbales mediante signos no
verbales. Un ejemplo de traducción intersemiótica es la
interferencia lingüística de los productos audiovisuales.
~ 151 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
I.3 La Traducción Audiovisual: ámbitos y vínculos
Traducción multimedia o transadaptation103 son algunas de las
definiciones acuñadas por los expertos para definir más detalladamente
el concepto de traducción audiovisual. En líneas generales, la traducción
audiovisual (TAV) se ocupa de las transferencias lingüísticas y culturales
de productos audiovisuales a través de medios electrónicos como la
televisión, el cine, internet o la publicidad, y no-electrónicos como el
teatro. Lo que caracteriza y diferencia este tipo de traducción de la
tradicional es la estrecha relación entre diferentes canales: el acústico, el
visual y el verbal. Por esa razón cuando hablamos de traducción
audiovisual hablamos también de una traducción total y vinculada
considerando la complejidad para que todos los códigos, o canales,
coincidan. Los tres canales mencionados arriba limitan profundamente el
resultado final porque muy a menudo no resultan compatibles.
“Las traducciones son hechos de la cultura meta”
104
, según esta
afirmación un texto traducido tiene vida propia lejana años luz de la
cultura de salida, la que lo ha producido, y se puede amoldar
perfectamente al contexto socio-cultural que lo recibe. En este sentido es
interesante considerar la traducción audiovisual como una forma de reescritura. En efecto el trabajo de traductores, ajustadores y actores de
doblaje puede convertirse en algo mejor que la obra original, y cuando
ocurre las relaciones con el contexto meta crecen. La traducción
audiovisual representa un real desafío para el traductor que tiene que
103
El Profesor de traducción Gambier acuñó en el año 2000 este término por la primera vez
fundiendo los verbos ingleses to tranlsate, traducir, y to adapt, adaptar.
104
N.d.T. trad. Michela Lauritano. I. Ranzato, La Traduzione Audiovisiva, analisi degli
elementi culturospecifici, Bulzoni Editor, Roma, 2010, p. 13. “Le traduzioni sono fatti della
cultura di arrivo”
~ 152 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
reexaminar el concepto de fidelidad que no concierne solamente a
cuestiones lingüísticas sino también a las tramas, a las equivalencias de
los personajes y a dos contextos socio-culturales diametralmente
opuestos, y desarrollar una radical operación de sustitución si se da el
caso.
La traducción audiovisual incluye diferentes transferencias
lingüísticas, es decir medios que hacen productos audiovisuales ajenos,
más cercanos a la nueva audiencia. Entre ellos están:
El Doblaje, a través de este proceso se sustituyen los
diálogos en el idioma original con los traducidos en el
idioma meta. Este proceso se desarrolla después de la
producción audiovisual. Este tipo de traducción necesita
que la voz coincida perfectamente con los movimientos de
los labios de los actores originales.
El Subtitulado interlingüístico, es decir, una breve
traducción de los diálogos que se integran en la película
para que sea comprensible. Los subtítulos aparecen en la
pantalla por pocos segundos y coinciden perfectamente con
el comienzo y el final de la frase, luego tienen que ser muy
breves y concentrados para que la audiencia pueda leerlos.
El Subtitulado intralingüístico, es decir los subtítulos
empleados para las personas sordas.
El Voice-over, o sea, la voz grabada en el idioma meta se
sobrepone a la voz original sin sincronizarlas.
Los
Surtitles,
es
decir
los
subtítulos
proyectados
directamente encima del escenario. Se utiliza este tipo de
~ 153 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
producción durante los espectáculos teatrales, sobre todo la
ópera.
La Narración, o sea una voz grabada que describe a la
audiencia lo que pasa en la escena.
Lo que diferencia la traducción de un producto medial de la
traducción de un texto escrito es el hecho de que, muy a menudo, el
mensaje verbal, las imágenes y el sonido siguen rutas diametralmente
opuestas y no coinciden. Es decir, el mensaje verbal sigue la ruta dictada
por el doblaje o por los subtítulos, mientras las imágenes y el sonido
están todavía profundamente enraizadas a la cultura de salida, clamando
sus orígenes. En este sentido los expertos hablan de vínculos culturales y
vínculos técnicos que, a veces, pueden arriesgar la credibilidad del
producto traducido. Por lo que concierne a los vínculos técnicos el
obstáculo más grande es la contradicción entre el canal visual, o sea lo
que aparece en la pantalla, y el canal verbal, es decir lo que la audiencia
oye: todo lo que aparece no se puede erradicar o modificar a través de la
traducción o la adaptación, por eso, muy a menudo, es necesario
impugnar enteros diálogos para hacerlos más plausibles con lo que se
ve. No importa cuanto las estrategias puedan resultar geniales, porque
muy a menudo las imágenes, los contextos, los paisajes, los letreros
siguen trayendo a la memoria del público que lo que miran no tiene nada
que ver con su país y cultura. No existe estrategia para superar estas
barreras, por lo tanto ¿hasta qué punto podemos considerar las
traducciones hechos de la cultura meta? ¿Hasta qué punto un producto
audiovisual puede adaptarse y absorber una cultura diferente?
~ 154 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
Con respecto a los vínculos culturales, traducir un producto
medial significa adaptar algo concebido para un contexto socio-cultural
específico, esta transición conlleva el inevitable desarraigo de la cultura
de salida. Los vínculos culturales son los que “obligan” al traductor a
pegar dos culturas diferentes, dos sociedades diferentes, dos mundos
diferentes. Aunque en todas las formas de traducciones los traductores
tengan que afrontar estos vínculos, en la audiovisual las cuestiones se
multiplican considerando todos sus códigos y su amplia audiencia.
Parafraseando lo que escribió Umberto Eco en su ensayo Dire quasi la
stessa cosa “cuando el traductor enfrenta estas dificultades técnicas y
culturales tiene que preguntarse si guiar al lector para que comprenda, y
luego acepte, el universo social y cultural de origen, o bien transformar
el texto original para que sea más aceptable para la nueva audiencia”.105
U. Eco anticipa las dos rutas que el traductor puede recorrer para
resolver el límite: la Extranjerización y la Domesticación106. Adoptar la
primera actitud significa poner en contacto al espectador, o lector,
extranjero con un nuevo contexto cultural, “obligándolo” a conocerlo y
absorberlo. Según esta estrategia, el traductor deja en paz su audiencia,
dejándola elegir si aceptar o no las diferentes maneras de vivir y pensar.
El objetivo es de preservar lo más posible el sabor de origen, el
extranjerismo de la cultura de salida. Por lo contrario, la Domesticación
desarraiga el texto de su hábitat de origen para adaptarlo al nuevo
contexto. A través de esta estrategia se evitan los conflictos lingüísticos
y culturales convirtiendo el texto en algo que sea plausible, aceptable y
familiar fuera de las barreras de su cultura de origen. Ambas soluciones
105
U. Eco, Dire Quasi La Stessa Cosa, Bompiani Editor, Milán, 2003, p. 171.
El teórico de la Traducción americano Lawrence Venuti introdujo los conceptos de
Domesticación y Extranjerización haciendo referencia a un estudio del profesor Friedrich
Schleiermacher sobre las traducciones target-oriented y source-oriented.
106
~ 155 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
son fundamentales durante el proceso de traducción aunque la actitud
ideal sea mantener la armonía y el equilibrio entre el texto de salida y el
texto meta considerando los dos contextos, las dos culturas y los hábitos
mediales de la nueva audiencia. El enorme gap entre estas dos
estrategias es una de las grandes dificultades de la traducción
audiovisual, por eso en este sector cuando hablamos de fidelidad del
traductor hablamos de negociación entre elecciones validas y elecciones
que son menos válidas pero siempre aceptables porque no pondrán en
peligro la comprensión y el objetivo del texto de origen.
Por un lado la traducción audiovisual es extremadamente
vinculante, pero por el otro, resulta también extremadamente dúctil
comparada con otras formas de traducción, por ejemplo, procesos como
la globalización han universalizado, y también estandardizado,
muchísimos aspectos sociales y culturales que, hoy en día, resultan
familiares en todo el mundo y no hacen falta traducirlos.
~ 156 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
Capítulo Segundo: Las Trasferencias Lingüísticas, espejo de una
cultura
II.1 El doblaje como ventriloquio cultural
“En la vida no hablamos todos de la misma manera, y no lo
hacemos siempre de la misma manera. El adaptador tiene que
preguntarse: ¿Cómo hablaría este personaje en esta situación específica
si hablara mi idioma?”
107
En el capítulo anterior he hablado de las transferencias
lingüísticas, este capítulo está dedicado a una de ellas: el proceso de
doblaje. Considerando que los productos audiovisuales extranjeros, sobre
todo estadounidenses, siempre han tenido muchísimo éxito en Europa y
en América Latina es justo analizar más detalladamente la cuestión de
las adaptaciones y de las prácticas que permiten al divo americano hablar
español, como por arte de magia. El proceso de adaptación precede el del
doblaje y a veces incluye las transformaciones de los diálogos para que
se adapten y sincronicen a la versión original. El doblaje es el último
paso en este largo proceso; entonces se sustituyen las voces de los
actores originales con las de los actores locales que se graban después de
la producción de la película pero antes de su distribución en la salas
cinematográficas del país en cuestión. La del doblaje es una práctica
muy antigua que ahonda sus raíces en el final de los años veinte y el
107
N.d.T. trad. Michela Lauritano. C. Wagstaff, Il Cinema Italiano nel Mercato Internazionale,
Fondazione Agnelli Editor,Turín, 1996, p. 35. “Nella vita non parliamo tutti allo stesso modo,
e non parliamo sempre allo stesso modo. Anche in un film è così. La domanda che
l’adattatore deve porsi è: come parlerebbe quel tale personaggio in quella situazione se
parlasse la mia lingua?”
~ 157 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
principio de los años treinta, un periodo histórico preciso cuyas
idelogías, como el nacionalismo, se servían de esta técnica para controlar
la información y fortalecer la identidad nacional. La evolución del
doblaje ha permitido a muchísimos países, como Italia, Francia, España
y América Latina especializarse en esta actividad y hoy se consideran
como los “estudiosos” y partidarios de este tipo de transferencia
lingüística.
“Con el doblaje se pierde un 40% de la película, pero con los
subtítulos un 60%... el doblaje solo es un mal menor.” (Alfred
Hitchcock)
Son indudables todas las polémicas que se despiertan sobre esta
práctica. Hoy en día los puristas ponen en duda el trabajo de
comunidades de traductores, adaptadores, actores y técnicos a beneficio
de la versión original subtítulada, acusando el doblaje y la adaptación de
desnaturalizar el producto y de comprometer su éxito en el extranjero.
En un mundo americanizado cuyo segundo idioma es el inglés, se
desdeñan con facilidad estas prácticas. En cambio, los partidarios de esta
transferencia lingüística la consideran un
vehículo de cultura, el arte infravalorado
cuya
importancia
tiene
que
estar
subrayada. En efecto, podemos considerar
los procesos de adaptación y de doblaje
como un mal necesario que acaba plasmando nuestra cultura,
interesando las competencias lingüísticas, la manera de hablar y la de
relacionarse con los otros. Antes que nada el proceso de adaptación, que
antecede el del doblaje, además que resolver cuestiones traductivas tiene
que
tomar
en
consideración
diferentes
~ 158 ~
factores
culturales
y
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
comunicativos. Los expertos hablan de factores internos cuando en los
diálogos hay algunas expresividades verbales típicas de una zona
geográfica, y factores externos108 cuando se refieren a la relación entre
los interlocutores y la audiencia, en este sentido entran en juego otros
elementos como la competencia lingüística de los espectadores en
cuestión. Los que trabajan en este proceso, siendo primeros
espectadores, desempeñan un
papel fundamental: el del espectador
modelo que gracias al grande conocimiento de su propia cultura y la del
texto original, lo descompone, lo altera, lo analiza, lo impugna, si se da
el caso, con el mismo criterio aplicado en la versión original para
reconstruirlo después. De esta manera, a través de este proceso, se
superan barreras y diversidades lingüísticas, y sobre todo, culturales.
108
M. Paolinelli, E. Di Fortunato, Tradurre per il Doppiaggio, Hoepli Editor, Milán, 2012,
p.21.
~ 159 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
II.2 Historia del doblaje en España
El nacimiento de la primera forma de doblaje coincide con el del
cine mudo. Desde 1901 en las salas oscuras de Barcelona aparece, en la
esquina de la pantalla, la figura del explicador cuya tarea era la de
explicar al público español, en mayoría analfabeto, lo que pasaba en las
escenas. El explicador improvisaba su explicación porque no podía ni
prepararse ni memorizar la descripción. La figura del explicador
desapareció con la llegada del cine sonoro cuando se empezaron a
realizar
los
verdaderos. A
primeros
doblajes
finales de los años
veinte llegaron también a España las
películas
habladas
pero
resultaban
incomprensibles para un público que,
además, de ser analfabeto no conocía
otro idioma que el suyo, lo cual imposibilitaba entenderlas. Para que el
público fuera al cine se comienzan a realizar los primeros doblajes,
llamados
Doble
Versión:
los
mismos
actores,
franceses
o
estadounidenses, rodaban la misma película en diferentes idiomas, los
precursores de la doble versión fueron el Fox y el Goldwyn Mayer. En
este periodo muchísimos talentos españoles llegaron a Hollywood para
interpretar en español los personajes para la versión doblada. Esas
versiones resultaban falsas porque los actores eran, por la mayoría,
sudamericanos y la mezcla de variaciones lingüísticas para el público
español resultaba ridícula y a veces incomprensible.
La denegación del público español y los precios muy altos
necesarios para rodar las películas muchas veces determinaron el
~ 160 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
nacimiento del doblaje en castellano pero todavía en los estudios
franceses de la Paramount. En este periodo Edwin Hopking ideó la
técnica de sincronización y luego Jakob Kard tuvo la idea de reemplazar
el texto original por textos traducidos en otros idiomas así también los
gasto de las versiones se reducieron.
La primera película interamente doblada en español fue Entre la
Espada y la Pared (1931) aunque la calidad del doblaje y de la
traducción fueran muy escasas. En 1932, en Barcelona, se desarrolló la
industria del doblaje y se estableció el primer estudio, bautizado con el
nombre de T.R.E.C.E.
Un año después se inauguraron en Madrid los famosos estudios
Fono España. Desafortunadamente el doblaje nació bajo de la República
así que, después de la Guerra Civil, la dictadura Franquista se sirvió de
este “arte en la sombra” como instrumento de manipulación ideológica y
control de la información. El 23 de abril de 1941 se promulgó una orden
para prohibir la proyección cinematográfica en otros idiomas que no
fuera el castellano. Además, el proceso de doblaje tenía que realizarse
exclusivamente en territorio nacional por actores españoles. El
Franquismo mermó irremediablemente todos los ámbitos culturales del
país, incluso el doblaje que, bajo de la dictadura, no sólo suprimía las
versiones originales sino las censuraba. Cuando Marlene Dietrich o
Clark Gable tenían diálogos demasiados soeces para el régimen, se
reemplezaba el texto sin sincronizarlo con los labios de los actores y los
resultados eran bastante ridículos y pocos creíbles. Por ejemplo, en la
película dirigida por Lewis Milestone en 1948, Arco de Triunfo, cuando
a Ingrid Bergman le preguntaban si el caballero que la acompañaba era
~ 161 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
su esposo ella negaba claramente con la cabeza mientras en la versión
doblada al español decía que “Si”.
El 1947 es el año del doblaje de Lo que el viento se llevó109, fue
realizado en los estudios del Metro Goldwyn Mayer y todavía está
considerado como uno de los mejores en la historia española. El doblaje
de esta célebre película marcó una línea para los estudios de esta
disciplina.
A partir de 1960 las series de producción estadounidense
alcanzaron Europa, y España también; son los años de Ironside o La
casa de la pradera. Desafortunadamente la televisión española (TVE) no
tenía bastante dinero para doblarlas en territorio nacional entonces los
doblajes se realizaban en estudios sudamericanos. Así que los personajes
no hablaban con el acento castellano sino con el peculiar acento
portorriqueño, rechazado por la mayoría de la audiencia castellana. En
los años setenta, las teleseries americanas inundaron literalmente las
pantallas europeas entonces también España tuvo que adaptarse a las
circunstancias estableciendo otros estudios de doblaje en el país. Los
años ochenta en toda Europa representaron el boom del doblaje y
entonces de las teleseries americanas exportadas al extranjero gracias al
nacimiento de las televisiones privadas y autonómicas, en este periodo
en los estudios de Barcelona se desarrolla el doblaje por ritmo: los
actores sincronizaban el texto siguiendo el ritmo de los labios sin haberlo
memorizado antes. De esa manera se empleaba menos tiempo para
doblar y los costos también bajaban.
109
Gone with the wind, es un clásico de la literatura estadounidense, escrito por Margaret
Mitchell y convertido en otro clásico del cine en 1939 por Victor Fleming.
~ 162 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
En los años noventa se difundieron en las pantallas españolas las
telenovelas sudamericanas mientras la televisión privada empezó a
producir series propias. Eso representó una tragedia para el doblaje en
España, además la situación se agravó porque entre 1988 y 1991 los
precios subieron, así España se convirtió en el segundo país más caro de
Europa por lo que se refería al doblaje. En estos años había una real
guerra de precios porque muchos estudios cerraron, en consecuencia la
calidad de los ajustes, de las traducciones y del doblaje resultaban muy
escasas y el público acabó con conformarse. Los años noventa son años
de luchas para preservar casi un siglo de profesión. Hoy en día la
condición de este arte en España parece más estable debido a las nuevas
infrastructuras tecnológicas y a las nuevas maneras de hacer y ver una
televisión aun más “multicultural”.
~ 163 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
Capítulo Tercero: Analizar y Traducir la comedia de situación
III.1 Definir un género: La comedia de situación
Cuando hablamos de comedias de situación o, más generalmente,
de sitcoms lo primero que subrayamos es el hecho de que son productos
mediales típicamente norteamericanos que, por lo tanto, reflejan
exactamente un mundo, una cultura y un estilo de vida específico.
Prescindiendo de donde nacieron, es muy complicado acertar una
definición correcta y exacta considerando que existen muchísimos
productos televisivos que forman parte de esta categoría. Lo que es
cierto es que la comedia de situación es un producto televisivo y al
mismo tiempo industrial, cuyos puntos fuertes son: sencillez, comedia y
humorismo.
Parafraseando algunas definiciones desarrolladas por los expertos,
se habla del género ideal para todas las televisiones 110 o de un sostén, el
“pan y mantequilla” de todos los palimpsestos del horario central 111.
Prácticamente se trata de un subgénero de la televisión americana cuyos
episodios no duran más de una media hora, se rodan en los interiores,
hacen reír y los chistes más eficaces están subrayados por las risas
enlatadas. La sencillez y el humorismo ligero de este género siempre han
despertado el interés del público aunque esa peculiaridad preñada no
110
Cfr J. Ellis, Seeing Things: Television in the Age of Uncertainty, Tauris Editor, Londres,
2005.
111
Cfr R. Butsch, Five Decades and Three Hundred Sitcoms About Class and Gender,
Edgerton-Rose Editor, Londres, 2005.
~ 164 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
haga justicia a las dificultades de programación, adaptación y recepción
en los otros países.
En el árbol genealógico de la sitcom se encuentran el teatro, el
cine cómico y la radio112. Uno de los distintivos fundamentales para
analizar y describir este género es justo su teatralidad, desde siempre la
sitcom ha sido considerada como una aproximación del teatro por su
estructura.
La dimensión teatral resulta casi obvia si consideramos cuatro
factores fundamentales: su estructura en tres actos, la representación de
la comedia a través de diálogos, personajes y situaciones, la
ambientación en los interiores y luego la presencia del público, mejor
dicho, de sus risas que sean reales o alteradas. Por lo que concierne a su
estructura circular, como si fuera una representación teatral, su narración
está dividida en tres partes: hay un equilibrio inicial que se rompe en el
prólogo, las consecuencias de esa ruptura en la parte central y la
resolución en la parte final cuando todos los equilibrios se restablecen y
cada personaje parece regresar en su caja junto a sus aspectos peculiares.
Al final del episodio todo parece volver a su punto de partida.
Otra característica que acerca las sitcoms a la dimensión teatral es
su relación con la audiencia en casa. Antes que nada el público de la
sitcom es un público que podemos definir domesticado, siendo educado
a reír al momento oportuno a través de las risas “preempaquetadas”
empleadas para simular la presencia del público en la escena o cuando
sus risas no son bastante fragorosas. El origen de este recurso sonoro
remonta a los años cincuenta, los técnicos americanos necesitaban
112
La primera comedia de situación radiofónica fue Sam and Harry, emitida por la radio
WGN de Chicago en 1926.
~ 165 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
introducir estas risas para crear empatía con el público fingiendo su
presencia en sala; tal vez se acentuaban, y todavía se acentúan, con
aplausos y ovaciones. El primer programa televisivo donde se emplearon
las risas enlatadas fue The Hank McCune Show en 1950. La cuestión de
las risas enlatadas causa muchísimas críticas sobre las comedias de
situación y su manera de hacer reír los espectadores en casa. En efecto
muchos de ellos rechazan este recurso considerándolo un mensaje
subliminal, una real manipulación o hasta un insulto a la inteligencia del
público sentado en el sofá. Con tal propósito, B. Placido 113, firme
opositor de este recurso, elaboró unas interesantes definiciones de este
distintivo en su columna, comparando esas risas a la “descarga de agua”
durante estos tipos de programas: Me doy cuenta de que sea un término
grosero, [...] pero no me entero de cómo se pueda definir ese chaparrón
de risas falsas, artificiales, grabadas que interrumpen los episodios de
estas comedias de situación americanas. [...] De vez en cuando hay
alguien que descarga el agua ruidosamente y se viene abajo el chaparrón
de risas: prefabricadas. O también él afirma que se trata de risas
mecánicas, grabadas y utilizadas para decir: ¡Por lo que estamos
pasándolo bien! ¿Estáis pasándolo bien vosotros en casa también?. Se
trata de una costumbre, mejor dicho una mala costumbre, que hemos
adoptado de la televisión americana y aplicado mecanicamente por
doquier.
Estas risas se emplean por diferentes razones, para establecer un
contacto con el espectador transmitiéndole este sentido de comunidad,
113
Periodista, presentador de televisión y crítico de literatura italiano. Trabajó para el
célebre diario italiano de información general La Repubblica, escribiendo su columna de
crítica de televisión titulada A Parer Mio.
~ 166 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
para “guiarlo” y también para cuestiones puramente técnicas, como por
ejemplo camuflar los intervalos de montaje.
III.2 Clasificación y Evolución de la sitcom de los años cincuenta a
los años dos mil.
Hay muchísimos estudios y análisis que clasifican las comedias de
situación americanas, la más general ha sido desarrollada por el escritor
López y citada en el ensayo escrito por Padilla y Roqueijo, en esta
clasificación encontramos también referencias a productos televisivos
propiamente españoles 114:
Comedias Familiares: Los problemas crecen (Growing pains),
Matrimonio con hijos (Married with children). El marco distintivo
es el hecho de que todos los conflictos cotidianos se desarrollan en
el ambiente familiar.
Comedia Coral: Friends, The Big Bang Theory, Aquí No Hay
Quien Viva, 7 Vidas. No hay un protagonista único sino también
diversos, todos en el mismo nivel.
Comedia con un Vehículo Estrella: La Hora de Bill Cosby (The
Cosby Show), The Dick Van Dyke Show, Roseanne, Seinfield, I
Love Lucy, Médico de Familia. El éxito y la fidelidad del
espectador está debida a la presencia de un personaje conocido y
que ya tiene su público. La sitcom está construida a su alrededor.
114
G. Padilla-Castillo, P. Requeijo-Rey, La sitcom o comedia de situación: origenes, evolución
y nuevas prácticas, Fonseca, Journal of Communication 2172-9077 Num. 1, Madrid, 2010.
http://dialnet.unirioja.es/descarga/articulo/3635127.pdf (visitado el 20 de gennaio de 2014)
~ 167 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
Comedia Social: se trata de comedias que se sirven del elemento
humorístico para afrontar cuestiones sociales y políticas, un
ejemplo es la serie americana M*A*S*H
nacida en los años
setenta como protesta a la Guerra de Vietnám.
Comedia Racial: El Príncipe de Bel-Air (The fresh prince of BelAir), Cosas de Casas (Family Matters), o sea dirigidas a un
público específico, como el afroamericano.
Comedia Generacional: Salvados por la Campana (Saved by the
Bell) Skins, Patito Feo. Comedias para un público muy joven.
Comedia Fantástica: Embrujada (Bewitched), Mi Bella Genio (I
Dream of Jeannie) cuyo marco distintivo son acontecimientos
fantásticos que se mezclan con elementos humorísticos y
cotidianos.
Aunque cada país y sistema medial tenga una propia evolución y
clasificación del género de la comedia de situación, en 1981 ha sido
elaborado otra clasificación aún más general que divide las sitcoms en
periodos temporales específicos. Según el autor americano A. Houghs,
podemos clasificar las sitcoms americanas de 1949 a 1978 en dos
grupos115:
Sitcom familiares que se dividen en familia tradicional (19491955), familia nuclear (1955-1956), familia excéntrica (19651975) y familia social (1970-1978).
Sitcoms no domésticas, es decir primeras comedias (1948-1955),
comedias militares (1955-1970), comedias de negocios (19601965), comedias de fantasia (1965-1970), comedias rurales (1960115
A. Hough, Trials and Tributation, thirty years of sitcoms, en Understanding television:
Essays on television as a social and cultural force, Richard Adler Editor, Nueva York, 1981,
p.201-223.
~ 168 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
1970) comedias de aventura (1965-1970) y comedias de grupos
profesionales (1970-1978).
Después del análisis de las clasificaciones elaboradas por expertos
y críticos televisivos, estudiamos ahora una breve evolución de la sitcom
en cuanto género que influenció las perspectivas sociales y culturales a
través de las pantallas televisivas de los años cincuenta a los años dos
mil.
En 1951 se emitió la primera sitcom estadounidense, I Love Lucy
(Yo Quiero a Lucy, en España). El argumento es la vida cotidiana y
matrimonial de una pareja mista, Lucy, una mujer estadounidense, y
Ricky, un hombre cubano. En los episodios se subrayan las diferencias
entre las dos culturas. I Love Lucy tuvo un gran éxito tanto en América
como en otros países europeos y su éxito inesperado influyó en todos los
productos siguientes, marcando los signos distintivos de lo que se
convirtió en un género específico. Los años cincuenta son los de la
comedias de familias donde se subrayan los valores familiares
tradicionales. Las protagonistas eran siempre familias burguesas y felices
donde el marido trabajaba y la mujer se ocupaba de los hijos y del hogar.
En los años sesenta se desarrollaron tramas argumentales más
diversas, eran los años de comedias bélicas como M*A*S*H o de las de
fantasía como Embrujada. Siempre en este periodo se empezaron a rodar
sitcoms cuyos protagonistas eran personajes conocidos para
que el
índice de audiencia aumentara.
En los años setenta, en línea con el espíritu del 68, había una
corriente innovadora y se enfrentaron cuestiones sociales que se habían
ignorado. Las comedias empezaron a hablar de mujeres solteras
~ 169 ~
y
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
felices, se olvidaron los valores de la familia tradicional, poniendo la
atención en las relaciones personales.
En los años ochenta ocurrió una crisis en este ámbito debida a los
costes de realización que resultaban demasiado altos con respecto a la
demanda de la audiencia que empezó a interesarse a otros productos
televisivos. En 1984 La Hora de Bill Cosby alcanzó las pantallas
americanas levantando la suerte de este género.
En los años noventa se enfrentaron nuevos argumentos, y el éxito
de este género en este periodo está debido justo a sus variados
argumentos. Habían tramas para todos los gustos, se empezó a hablar de
homosexualidad y de familias atípicas. En este periodo se destacaron
Friends, Seinfield y One foot in the Grave.
Los años dos mil determinan por un lado una revolución en las
prácticas de realización de sitcom, en efecto se empiezan a utilizar
cámaras manuales y una iluminación más natural mientras los actores se
vuelven hacía el público; por otro lado se conservan las características
típicas de este género que podíamos encontrar también en las primeras
sitcoms, como por ejemplo las risas enlatadas, la presencia del público o
la duración de media hora, más o menos. En los años dos mil la comedia
de situación está revalorizada y productos como The Big Bang Theory o
How I Met Your Mother han vencido premios de televisión muy
importantes. Quizás que la crisis económica y la de ideas
cinematográficas no hayan influido positivamente en el éxito de este
género, a veces infravalorado pero que siempre ha sido el emblema de
aquella ligereza, naturalidad y autenticidad (también televisiva) que en
este momento histórico nos falta.
~ 170 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
III.3 Entender y traducir el humor
En la primera parte del capítulo hemos definido el género de la
comedia de situación nortemaericana, su estructura y distintivos, su
origen y su evolución. Ahora hablamos de algo crucial para que las
comedias tengan éxito dondequiera: El humor y su traducción. Definir y
estudiar el humor no es tarea fácil, en general podemos hablar de todo lo
que pertenece a la comunicación humana cuando produzca risas o
sonrisas en los destinatarios. Por lo que concierne a la interrelación entre
humor y traducción audiovisual, como sostiene Zabalbeascoa, “es
posible estudiar el humor como un aspecto de la traducción o la
traducción como un aspecto del humor, y lo mismo podríamos decir de
estos dos con respecto a la comunicación audiovisual hasta agotar todas
las combinaciones posibles.”116
La mayoría de los estudios sobre la traducción del humor en los
textos audiovisuales se reconcentran en dos factores que la diferencian
de las traducciones tradicionales: la dificultad al trasladar ciertos chistes,
juegos de palabras y elementos culturales característicos, y luego una
posible intraducibilidad. Lo que hace la traducción del humor muy
compleja es el hecho de que el humor aparece en textos cuyos objetos
son distintos y la tarea del traductor será la de individuar el elemento
humorístico y luego detectar la función y el tipo de prioridad en el texto
específico. A continuación expongo una clasificación elaborada por
116
P. Zabalbeascoa Terran, La Traducción del Humor en Textos Audiovisuales, art.
Acádemico para Universitat Pompeu Fabra (Barcelona), p. 251.
~ 171 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
Zabalbeascoa para individuar las prioridades del humor en los textos
audiovisuales117:
Prioridad Alta: Hablamos de prioridad alta en las comedias
de situación donde el elemento humorístico representa “la
linfa” de todos los episodios cuyo objeto es lo de conseguir
un buen nivel de audiencia.
Prioridad Media: En las ficciones de aventuras o románticas
(Pulp Fiction, Pretty Woman, Cabaret, Cantando bajo la
lluvia) donde el elemento cómico representa un ingrediente
importante, pero no fundamental como en las comedias de
situación.
Prioridad Baja: Cuando el elemento humorístico tiene una
prioridad baja no significa que no tenga importancia sino
que se convierte en una prioridad local, por ejemplo en las
tragedias de Shakespeare habían muchísimos juegos de
palabras o referencias irónicas.
Prioridad Negativa: Cuando no hay alguna necesidad de
inserir elementos que sean cómicos. Por ejemplos en las
películas de terror.
Un antiguo aforisma nos dice que todas las personas se ríen en el
mismo idioma. No hay duda de que la manera es siempre la misma, pero
lo que es diferente es el porqué ellos se ríen y eso confirma el hecho de
que el humor y el contexto cultural donde se desarrolla están
extremadamente liados entre ellos. Por eso F. Cavaliere habla de racist
117
P. Zabalbeascoa Terran, Ibidem, p.256.
~ 172 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
humor 118 (humor racista) en el sentido de que su estrecha conexión con
el contexto cultural y social, muy a menudo, le impide superar las
barreras. A veces la ironía se puede compartir gracias a conceptos
conocidos mundialmente, pero ¿qué ocurre cuando está tan enraizada en
su contexto que resulta imposible compartirla con otros esquemas
socioculturales y cognitivos?
“Para comprender el humor hay que restituirlo a su ambiente
natural, o sea la sociedad. Sobre todo hay que determinar su función
util, es decir función social.”119
Tener que ver con dos idiomas
diferentes significa tener que ver también con dos culturas, antes que
empezar a traducir el humor es fundamental ahondar ambos roles de la
cultura original y de la terminal en los dos contextos. A propósito de
función y papel del humor dentro de una sociedad, siempre se ha
utilizado el humor con diferentes fines como el propagandístico,
didáctico, el crítico y el retórico. El fin autocrítico es lo que resulta más
enraizado en su contexto y difícilmente podrá convertirse en otras
sociedades conservando el elemento de autocrítica de algunos aspectos
de una sociedad específica.
Prescindiendo del papel y de la función del elemento humorístico
en la sociedad, que se conservan también en las versiones traducidas,
otra cuestión fundamental es la tipología de humor con la que un
traductor se enfrenta. En general el humor se reconoce gracias a juegos
de palabras, de conceptos o de situaciones, más detalladamente, en sus
118
Cfr F. Cavaliere, Can Culture Specific Humor Really Cross the Border?, art. Acádemico en
Textus XXI, 2008.
119
N.d.T. trad. Michela Lauritano. H. Bergson, Saggio sul significato del comico, Laterza
Editor, Roma-Bari, 1993, p.7. “*…+Per comprendere il riso bisogna riportarlo nel suo
ambiente naturale , che è la società, bisogna soprattutto determinarne la funzione utile, che
è funzione sociale.”
~ 173 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
estudios H. Bergson reconoció diversos modelos de comicidad, entre
ellos hay:
Comicidad de costumbres
Comicidad de carácter
Comicidad de repetición
Comicidad de situación
Comicidad verbal
La comicidad de carácter, de costumbre y de situación están
caracterizadas por un umbral de traducción más alto con respecto a la
comicidad verbal y de repetición cuyos juegos de lenguas no permiten
exportarlas sin emplear negociaciones, traiciones y estrategias. En este
sentido, el cambio de la ironía de una realidad a otra conlleva un
confronto entre dos principios: lo cultural y lo creativo. Si el primero
ancla el texto original a su contexto conservando su especificidad, el
segundo lo impugna para que sea más cercano a la cultura terminal a
través de eliminaciones y forzamientos.
Traducir el humor implica problemas que son más interculturales
que simplemente intralingüísticos, a confirmación de eso podemos tomar
como ejemplo la adaptación de la pieza de teatro inglés The Play That I
Wrote escrita
por Sean Foley y Hamish McColl en 2001120. Es la
historia de dos importantes y famosos cómicos ingleses, Morecambe y
Wise, que deciden hacer resurgir su espectáculo teatral. The Play That I
wrote rebosaba de referencias a chistes, juegos de palabras y costumbres
120
Cfr D. Chiaro, Verbally expressed Humor and Translation: An overview of a neglected
field, art. Acádemico en Humor 18-2 (2005), p. 136.
~ 174 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
que hizo famosa la pareja y por eso en Inglaterra tuvo muchísimo éxito.
Cuando decidieron exportarlo a Estados Unidos, en 2003, hubo que
ajustarlo para que los americanos pudieran reír tanto como los ingleses.
Aunque estemos hablando, más o menos, del mismo idioma, decidieron
sustituir todos los chistes y los juegos de palabras demasiado british para
que el producto final se acercara a los gustos y al sentido del humor
estadounidense.
No
obstante
los
cambios,
los
espectadores
estadounidenses parecieron desorientados y confusos y la pieza no fue
un gran éxito.
El chasco de la pieza teatral inglesa en los teatros de Broadway
nos confirma el hecho de que el humorismo difícilmente puede cruzar la
frontera de su país de origen, sobre todo cuando está privado de su
“linfa”. Esta intraducibilidad no tiene nada que ver con las competencias
del traductor sino con las muchísimas implicaciones socioculturales. En
este sentido podemos concordar con R. C. Solomon cuando dijo que “el
contexto y las presuposiciones del humor representan lo más profundo y
complejo de una cultura. [...] La comprensión del humor es la última
barrera que necesitamos sobrepasar para que se pueda comprender
completamente una cultura extranjera.”121
121
N.d.T. trad. Michela Lauritano. R.C. Salomon, Racist Humor: Notes toward a cross cultural
understanding, 1997, p.20. “The background and the presuppositions of humor go deeper
and are more complex than virtually anything else in a culture.*…+ Humor is the last frontier
to be crossed, in the complete understanding of a culture”
~ 175 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
III.4 Traducir los chistes en textos audiovisuales
En la adaptación de las comedias de situación, la traducción de
bromas y chistes siempre presenta muchas complicaciones, siendo el
humor el espejo de una cultura y de una sociedad y siendo su traducción
literal casi siempre incomprensible para otras. P. Zabalbeascoa ha
desarrollado una interesante clasificación de los chistes más típicos que
un traductor puede encontrar y la manera en que estos se prestan a la
traducción122:
El chiste Internacional: es decir un chiste independiente, cuyos
elementos cómicos no tienen ningún vínculo o familiaridad con el
contexto de origen. Es el más fácil de traducir, siempre y cuando
el chiste resulte binacional, o sea común a ambas culturas.
El chiste cultural-institucional: o sea un chiste que hace referencia
a instituciones o elementos culturales o nacionales que, por la
mayoría de las veces, resultan incomprensibles y desconocidos a
otras sociedades. Si estamos hablando de algo globalmente
conocido de la cultura de salida, no hay que cambiarlo o adaptarlo
para otras, en caso contrario tendrá que ser modificado con algo
más familiar a los destinatarios de la traducción. Una estrategia
común es sustituir
los nombres de marcas comerciales o de
personas famosas con algo más conocido en la cultura meta. He
aquí un ejemplo en la traducción de un diálogo de la sitcom
americana Will&Grace (1x1):
122
Cfr P. Zabalbeascoa Terran, La Traducción del Humor en Textos Audiovisuales, art.
Acádemico para Universitat Pompeu Fabra (Barcelona), 2005.
~ 176 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
Will: You are not going to come over, you want me to, uh… talk
you through it?
Grace: It‟s tempting, but I think I‟ll watch ER here.
Versión Española
Will: Bueno, si no vas a venir, ¿quieres que te lo cuente?
Grace: Tentador, pero veré Sensación Triunfo aquí.
El chiste Nacional: es decir elementos humorísticos que se basan
en estereotipos, géneros cómicos como la sátira política o la
parodia literaria, Zabalbeascoa describe todos estos tipos de
chistes como un conjunto del sentido del humor nacional. Un
ejemplo para explicar más detalladamente este chiste es el de la
sitcom británica Fawlty Towers donde el español Manuel (de
Barcelona) está dibujado como un chico muy bufo y, a veces,
ridículo. Cuando España adquirió el producto decidió cambiar su
nacionalidad de española a mexicana para no ridiculizar la imagen
de los compatriotas de Barcelona en las pantallas nacionales.
El chiste Lingüístico-Formal: es decir juegos lingüísticos basados
en fenómenos lingüísticos como la rima, la polisemia o las
referencias metalingüísticas. El objeto de estos chistes en las
versiones originales es el de subrayar algunos virtuosismos o
equívocos lingüísticos y por esta razón son muy difíciles de
traducir. Por ejemplo en la película inglesa Cuatro Bodas y un
~ 177 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
Funeral el cura confunde unas palabras y el impacto en las dos
versiones resulta totalmente diferente:
Priest: […]Jesus Christ our Lord, who lives and reigns with
you and the Holy Goat...
Versión española
Cura:[...] Nuestro Señor Jesuscristo que vive y reina contigo y
el Espíritu Sano...
En la versión original él confunde la palabra God (Dios) con la palabra
Goat (cabra), mientras en la española simplemente se equivoca y el
Espíritu Santo se convierte en Espíritu Sano.
El Chiste No Verbal: es decir el chiste típico del cine mudo cuyos
elementos humorísticos se reflejan en las imágenes y en el sonoro.
El chiste Paralingüístico: o sea la combinación de palabras y
gestos visuales como por ejemplo el uso de la mímica o la
combinación de palabras y caídas o apariciones improvisas.
~ 178 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
El chiste Complejo: ocurre cuando todos los chistes mencionados
antes se combinan y se mezclan entre ellos en un único texto
audiovisual, en otras palabras el chiste complejo es uno de los
retos más grandes para cualquier traductor.
Entre las clásicas estrategias que un traductor puede emplear para
resolver los chistes u otras problemáticas de traducción
123
hay dos que
más pueden comprometer el éxito o el fracaso de un producto
audiovisual al extranjero. Se trata de las estrategias de domesticación y
extranjerización. Si la primera convierte el texto original en algo más
cercano a la cultura receptora para que se eviten choques culturales, o
culture bumps124, la segunda es el exacto contrario: el texto se adapta sin
privarlo de su especificidad. De esta manera el traductor permite al
destinatario conocer otra cultura diferente da la propia. Dos ejemplos en
el sector audiovisual español que pueden explicar de manera mejor lo
que significa domesticar y extranjerizar, son las adaptaciones del
personaje de la televisión inglesa Ali G y la de la sitcom americana La
Niñera (The Nanny).
En el primer caso se decidió naturalizar completamente el
producto, demasiado específico para un público español. El personaje de
Ali G, en la película Ali G Indahouse (2002), fue inventado e
interpretado en 1998 por el cómico inglés Sasha Baron Cohen y
representa una parodia del estereotipo del hombre blanco inglés de la
clase trabajadora media del oeste de Londres, que intenta imitar a los
123
El préstamo lingüístico, la explicitación, el calco, la sustitución, la transposición, la
modulación, la compensación y la traducción literal.
124
Cfr C. Archer, Culture Bump and Beyond, University of Huston, p. 170.
~ 179 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
rappers negros estadounidenses. Todo lo que dice y hace Ali G es
politícamente incorrecto y a través de su conducta grosera y mal
educada, tal vez exagerada, se describen los estereotipos de la sociedad
juvenil inglesa, sobre todo la de los suburbios londinenses. Esta película
rebosaba de elementos culturales específicos entonces se optó por su
domesticación a la cultura receptora. En la adaptación española, Ali G
pasó a ser español: se convierte en Ali José y el barrio de Londres donde
él vive, Staines, se modificó en Lugo, una de las provincias de Galicia.
Para arrancar las risas al nuevo público en el proceso de adaptación se
cambiaron todas las referencias a la música rap americana porque, según
los ajustadores, los españoles no tenían un gran conocimiento sobre este
argumento. Se introducieron también muchas referencias a actores y
personajes del mundo del espectáculo español, y para naturalizar las
costumbres se decidieron cambiar también los alimentos, así que la
cream cake se convirtió en bocata de panceta. Otro problema que
requirió un gran esfuerzo por parte de los traductores en la adaptación
domesticada de Ali G fue el uso de un argot londinense típico de los
jóvenes que se mezclaba con elementos agramaticales (muy a menudo en
la versión original él dice I love me Lucy, confundiendo el pronombre
personal objeto me con el adjetivo posesivo my), del Black English y del
Inglés jamaicano. En la versión española se optó por un lenguaje más
plagado que el original, caracterizado por coloquialismos y frases hechas
típicas del argot juvenil español. En línea con el humor español se
utilizaron muchas comparaciones (“estoy más parado de un avión de
mármol” o también “os temo más que a un nublado” 125). La adaptación
125
C. Botella Tejera, La naturalización del humor en la traducción audiovisual: traducción o
adaptación? El caso de los doblajes de Gomaespuma: Ali G Indahouse, Universidad de
Alicante, revista electrónica de estudios filológicos, número XII, diciembre 2006.
~ 180 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
de Ali G dio pie a muchas criticas y se planteó la idea de que se había
ridiculizado la versión original modificando todo lo que la definía.
De lo contrario, un ejemplo de extranjerización fue la adaptación
de la comedia de situación americana The Nanny. La versión original
hablaba de una niñera judía neoyorquina que empieza a trabajar en la
casa de un refinado inglés, el Señor Sheffield. La personalidad
excéntrica e invasora de Fran y su familia, que representan los
estereotipos de los judíos neoyorquinos, se contrapone a la elegancia y a
la discreción del hombre inglés. Diversamente de otros países europeos,
como Italia que adoptó un acercamiento totalmente domesticante, en los
países latinoamericanos se optó por una estrategia extranjerizante. Hay
diferentes versiones de La Niñera en el mundo hispánico, las que
tuvieron mucho éxito fueron dos: la simplemente doblada y la argentina,
relocalizada en Buenos Aires. Mientras en la primera simplemente se
dobló la versión norteamericana, en Argentina se decidió de
representarla otra vez totalmente, ambientando la comedia en Buenos
Aires y empleando actores argentinos. Obviamente, en la versión
argentina se modificaron todos los nombres y las orígenes de los
personajes, así que Fran Fine se convirtió en Flor Finkel, judía de Lanús,
y Maxwell en Juan Manuel Iraola, empresario viudo y acomodado de
Buenos Aires. No obstante los cambios en la versión local, en ambas
adaptaciones se conservaron todos los elementos culturales específicos
de la versión original, sobre todo el hecho de que la niñera era judía y a
veces, hablaba en Yidis, el idioma hablado por las comunidades judías
(lo que requirió un gran esfuerzo para los traductores italianos, por
ejemplo). En el diálogo siguiente de la versión doblada, los dos hombres,
Maxwell y su mayordomo Niles, están esperando a la niñera, Fran, e
~ 181 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
intentan hablar utilizando palabras en yidis, equivocándose. Si en el
episodio italiano este diálogo ha sido completamente modificado, en la
versión latinoamericana se queda casi íntegro, solo se modifican las
palabras en yidis con otras palabras igualmente incomprensibles:
Maxwell: ¿Dónde está la señorita Fine?
Maxwell: Where is Miss Fine?
Niles:
Oh, está arriba eligiendo su
fapitzer.
Niles: She’s
fapitzed
Maxwell: ¿Y eso qué es?
Maxwell: What does that mean?
Niles:
Niles: you know, dressed.
No sabe, atuendo...
Maxwell: I
flubunged...
Maxwell: Creo que es farluz...
Niles:
upstairs
thought
getting
that
all
was
No señor, ese es confundido.
Niles: No, sir, that means confused.
Maxwell ¿No es estar cuchet?
Niles
Maxwell: No, man, that’s fechachda.
¿Entonces qué es Formechel?
Maxwell
Creo que es su tío.
Niles: Well, then, what’s fishimeld?
Maxwell: I think that’s her uncle.
(La Niñera, 3x1- Amigo por correspondencia/ The Nanny, 3x1- The Pen Pal)
~ 182 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
Conclusiones
El experimento de Ulrichs citado en el primer capítulo nos enseña
que todas las variaciones, las impugnaciones y las desarraigaciones que
se encuentran en un texto traducido siempre se convierten en una parte
integrante del mismo texto. Lo completan, lo rediseñan para ojos
diferentes. Y esta es la mismísima razón para que ha sido inventada una
disciplina llamada Traducción.
Algunas
adaptaciones
de
productos
mediales
americanos
representan un claro ejemplo de manipulación textual y cultural. Se trata
al mismo tiempo de una manipulación inevitable, de un mal necesario,
que puede transformar algo profundamente americano en algo
profundamente italiano, español o francés. No cabe duda de que las
adaptaciones “subversivas” del humor dan pie a críticas, ventajas e
inconvenientes, pero también no cabe duda de que, analizarlos, desde un
punto de vista traductológico, resulta más interesante considerando que
significa analizar dos culturas, diferentes estereotipos y dos maneras de
reír y entender la palabra humorismo. Para los expertos analizar la
cuestión de la adaptación del humor en los productos audiovisuales
como las comedias de situación, puede ofrecer motivos de reflexión.
Traducir algo tan simple y espontáneo como el humor no es tarea fácil,
sobre todo cuando su prioridad es muy alta, detrás de lo que nos hace reír
frente a la televisión se esconden nuestras idiosincrasias, nuestros
hábitos, sobre todo los que nos dan vergüenza. Detrás del humor se
esconden hechos de cultura “íntimos” y traducirlos, muy a menudo,
significa privarlos de su inspiración, significa traducir dos culturas,
comparándolas. En este sentido estoy de acuerdo con F. Cavaliere
~ 183 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
cuando define el humor “racista”, porque no se abre a otros contextos y
difícilmente se puede trasladar sin cambios radicales. Para cogerlo y
entenderlo “mondo y lirondo” es necesario un profundo conocimiento de
la cultura de salida, un conocimiento total que va más allá de la
cognición lingüística.
Para concluir el análisis podemos delinear las ventajas y las
desventajas de la naturalización y extranjerización de los productos
audiovisuales. En el caso de Ali G los traductores decidieron guiar los
espectadores españoles, desarraigando el producto medial de su contexto
original. En cambio, en el caso de la versión española de La Niñera,
optaron por mantener las peculiaridades de la protagonista, acercando al
mismo tiempo el público a nuevos estereotipos. Por lo que concierne a la
versión argentina podemos hablar de extranjerización parcial, puesto que
todo ha sido re-localizado en Buenos Aires. Si por un lado a través de la
naturalización, o domesticación, el traductor da la mano al espectador
facilitando su comprensión, por otro el mismo espectador podría percibir
que lo que está mirando no tiene nada que ver con su mundo,
preeligiendo, de esta manera, la versión original. Domesticar a veces
puede representar un real desafío por el traductor o también una reacción
a la constante globalización medial, de todas formas por la mayoría de
los casos se opta por esta estrategia por razones puramente comerciales.
Lo que me indujo a ahondar el sector de la traducción audiovisual,
especialmente por lo que se refiere a las comedias de situación, ha sido
el fuerte interés y curiosidad tanto para el producto final, “reempaquetado”, como para este género televisivo con el que crecí,
sencillo a los ojos de los espectadores pero tan complicado y estimulante
si analizado con los ojos del traductor.
~ 184 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
~ 185 ~
Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
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Nuovi racconti di una stessa storia: Tradurre la sitcom negli anni novanta
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