Oggetto: il punto sulla attuazione gender Cari amici, come sapete , Il governo Letta, in seguito alla determinazione dell'allora Ministro Fornero relativa alle Linee Guida per ha deciso di stanziare ben 10 MILIONI di EURO per la formazione scolastica contro la cosiddetta "discriminazione di genere". Chi si occuperà di gestire questi soldi pubblici e a chi è affidata la formazione? A 29 associazioni Lgbt (scelte dal Governo Monti nel 2013): Comitato provinciale Arcigay “Chimera Arcobaleno” Arezzo, Ireos Centro Servizi Autogestito Comunità Queer, Arcigay, Comitato Provinciale Arcigay “Ottavio Mai” Torino, A.Ge.Do, Parks – Liberi e Uguali, Equality Italia, Ala Milano Onlus, Arci Gay Lesbica Omphalos, Polis Aperta, Dì Gay Project, Circolo Culturale Omosessuale Mario Mieli, Gay Center, Gay Help Line, Famiglie Arcobaleno, Arcilesbica Associazione Nazionale, Rete Genitori Rainbow, Shake Lagbte, Circolo Culturale Maurice, Associazione Icaro Onlus, Circolo Pinkus, Cgil Nuovi Diritti, Mit Movimento Identità Transessuale, Associazione Radicale Certi Diritti, Avvocatura per i Diritti Lgbt Rete Lenford, Gay.net, I Ken, Consultorio Transgenere, Libellula, Gay Lib. Contenuto della formazione? Dal ministero sono arrivati i "libretti ministeriali per elementari medie e superiori". Qui il link per il download: • Elementari: http://www.marcogabrielli.it/wp-content/uploads/2014/02/2014-02-06-UNAR-Elementari.pdf • Medie: http://www.marcogabrielli.it/wp-content/uploads/2014/02/2014-02-06-UNAR-Medie.pdf Da notare chi propone lo scritto: è “Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali” (UNAR), del “Dipartimento per le Pari Opportunità” che fa capo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Si presentano come testo base per un corso contro il bullismo e le discriminazioni destinato agli insegnanti dei ragazzi che frequentano la scuola elementare e media. Leggendoli potrete capire di come si tratta di propaganda gender. A dar retta a questi opuscoli, l’identità sessuale sarebbe formata da quattro componenti. La prima componente è l’identità biologica che si riferisce al sesso. La seconda è l’identità di genere che dipende dalla percezione che si ha di sé. E «non sempre l’identità di genere e quella biologica coincidono». Infatti «a volte – si legge – il disagio rispetto al proprio sesso biologico è così forte che la persona è disposta a sottoporsi a cure ormonali e operazioni chirurgiche». La terza componente è poi il ruolo di genere, imposto dalla società, per colpa del quale, ad esempio, una donna «deve imparare a cucinare» o «deve volere un marito e dei figli». Infine c’è l’orientamento sessuale, quello da cui dipende l’attrazione verso altre persone. Le quali ovviamente possono essere indifferentemente di un altro sesso o dello stesso. L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha dato le seguenti linee guida per le fasce di età: • 0-4 anni (in cui già il bimbo va introdotto alla “gioia” della masturbazione precoce), • 4-6 (in cui approfondisce la conoscenza dei genitali e viene informato sulle diverse concezioni di famiglia), • 6-9 (in cui è informato dei propri “diritti sessuali”) Se il ddl Scalfarotto sull’omofobia verrà approvato anche al Senato non si potrà più dire che un bambino ha bisogno di una mamme e un papà. Infatti, come si legge dai libretti succitati chi lo afferma è CONSIDERATO un OMOFOBO. Si parla di omofobi religiosi e di genitori omofobi che pensano che l’omosessualità sia diversa dall’eterosessulità. QUESTO DDL PUNISCE CON IL CARCERE PROPRIO GLI OMOFOBI E NON PROTEGGE LE SCUOLE ! Per questo invitiamo tutti ad alzare la testa e a non rimanere nel buio. Non è più tempo per i tiepidi. STRATEGIA NAZIONALE per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere (2013 -2015) 1 4 ISTRUZIONE E IDEOLOGIA PRIMO PIANO Il caso Un’interpellanza al presidente del Consiglio Letta, firmata da sei senatori del Ncd, chiede di sospendere la distribuzione del materiale didattico, che contiene «inaccettabili critiche al ruolo educativo della famiglia e della morale cristiana» Giovedì 13 Febbraio 2014 Piemonte. I vescovi: «Genitori e docenti alleati per l’educazione» L’arcivescovo Nosiglia Torino. Puntare sui giovani perché sono «le persone più preziose che dobbiamo tutelare e servire rendendoli protagonisti». Ancora una volta i vescovi di Piemonte e Valle d’Aosta ribadiscono la centralità dell’aspetto educativo verso i giovani. L’occasione è una lettera aperta inviata ai responsabili istituzionali, ai dirigenti, ai docenti e al personale che lavorano e operano nella scuola. Ma anche ai genitori e agli stessi alunni. La nota diffusa ieri contiene l’invito a partecipare il prossimo 10 maggio a Roma, in piazza San Pietro all’incontro di Papa Francesco con il mondo della scuola. Un’occasione per «richiamare a tutto il Paese l’importanza che la scuola riveste per il suo presente e il suo futuro», spiegano i vescovi pie- montesi. Come quello di «promuovere in tutte le componenti della scuola e della società, la speranza che operando uniti e con spirito di collaborazione è possibile favorire il rinnovamento di questa istituzione». Un bene primario su cui scommettere con impegno. Sottolineano che la dedizione di tanti cristiani sacerdoti, suore e laici, uomini e donne di buona volontà nella scuola in Italia, sia statale che paritaria, «è lì a dimostrare quanto ci stia a cuore l’educazione delle nuove generazioni». Le diverse riforme che hanno toccato il mondo dell’istruzione in questi anni hanno reso la «scuola più efficiente e ne hanno garantito l’autorevolezza culturale ed educativa», anche con l’impegno di tanti dirigenti e do- PAOLO FERRARIO © RIPRODUZIONE RISERVATA CAGLIARI MILANO Progetto sui “5 generi sessuali” la forte protesta delle famiglie B loccare la distribuzione nelle scuole degli opuscoli dell’Unar sull’omofobia che, come spiegato su Avvenire di martedì, oltre a rappresentare l’ennesimo tentativo di introdurre in classe l’ideologia del gender ispirata dalle lobby gay e Lgbt (Lesbiche, gay, bisessuali e transgender), contengono inaccettabili giudizi sulla religione cattolica. La richiesta al Governo, arriva da sei senatori del Nuovo Centrodestra (Carlo Giovanardi, Maurizio Sacconi, Roberto Formigoni, Luigi Compagna, Federica Chiavaroli e Laura Bianconi), che hanno presentato un’interpellanza al presidente del Consiglio, Enrico Letta. Nell’interpellanza, i sei senatori chiedono di conoscere i motivi per cui l’Unar (l’Ufficio nazionale antidiscriminazione razziale), organismo del Dipartimento Pari opportunità, ha scelto, quale consulente per la redazione del materiale da diffondere nelle scuole (elementari, medie e superiori) proprio l’Istituto Beck, «la cui scuola di pensiero è clamorosamente di parte». Per trovare conferma di questo giudizio è sufficiente visitare per pochi minuti il sito internet dell’istituto. Alla sezione “Centro studi sull’omosessualità”, oltre a leggere che «i rapporti omosessuali sono naturali», si trova la seguente affermazione: «Un pregiudizio diffuso nei paesi di natura fortemente religiosa è che il sesso vada fatto solo per avere bambini. Di conseguenza tutte le altre forme di sesso, non finalizzate alla procreazione, sono da ritenersi sbagliate». Con premesse di questo tipo, è chiaro dove vogliano andare a parare gli estensori del materiale didattico, di cui adesso i senatori del Ncd chiedono sia bloccata la diffusione. «Tali giudizi, o meglio pregiudizi – si legge ancora nell’interpellanza – sono stati inseriti nei tre opuscoli con l’ennesima, inaccettabile critica al ruolo educativo della famiglia e della morale cristiana, confondendo la lotta all’omofobia con inaccettabili ed offensivi apprezzamenti negativi sul ruolo di istituti fondamentali nella storia e nella cultura del nostro Paese». La manovra di accerchiamento dell’Unar nei confronti delle scuole, di cui questo degli opuscoli è soltanto la più recente manifestazione, è cominciata circa un anno fa, con la diffusione della “Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità dei genere”. Preparata con la consulenza di ben 29 associazioni di omosessuali e senza nem- centi. Rimane determinante, per la Cep, guidata dall’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia, la scelta di mettere al centro di ogni rinnovamento la «crescita armonica» di ciascun alunno. Che è poi per i vescovi «la ragione stessa dell’esistenza della scuola, la responsabile partecipazione delle famiglie» e tutto il coinvolgimento della comunità. Certi delle «sapienti indicazioni» che fornirà papa Francesco per «raggiungere questi obiettivi», invitano famiglie, scuole, comunità religiose e civile a «favorire la partecipazione a questo evento storico per il nostro Paese». Chiara Genisio CAGLIARI. È polemica a Cagliari e sul web per la decisione della Commissione pari opportunità del comune, presieduta da Elisabetta Dettori, di destinare 10mila euro di fondi residui del 2013 a un progetto didattico che prevede corsi di educazione alle differenze di genere, di orientamento sessuale e rispetto delle minoranze nelle scuole elementari di Pirri e Mulinu Becciu. Il segretario provinciale e vicesegretario regionale della Destra, Daniele Caruso, insorge, riferendo dell’allarme lanciato di alcuni genitori sul progetto di educazione a «fantomatici cinque generi sessuali»: «Lo contrasteremo in qualsiasi modo. Inculcare l’esistenza di “generi sessuali” che tali non sono è per noi una forma di violenza psicologica che viola l’innocenza dei nostri figli per piegarla a ripugnanti interessi ideologici e propagandistici con “progetti sperimentali” sui nostri figli». Chiede l’intervento del ministro dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza, il consigliere comunale di Fi Edoardo Tocco. «Viste le numerose proteste e la preoccupazione suscitata nei genitori», spiega Tocco, «che sarebbe stato opportuno coinvolgere, così come si fa per l’insegnamento della religione nelle scuole, chiedo che sia necessario e urgente un parere del ministro». «Teoria del gender via da scuola quegli opuscoli sono a senso unico» meno interpellare realtà associative molto più numerose e rappresentative della società italiana, come per esempio il Forum delle associazioni familiari, la Strategia in questione, dichiarando l’intenzione di contrastare il «bullismo omofobico e transfobico» nelle scuole, in realtà è preoccupata del fatto che «le tematiche Lgbt trovano spazi marginali nelle aule scolastiche o sono relegate a momenti extra curricolari». Come se fosse una colpa di insegnanti, studenti e famiglie, non considerare prioritarie le «tematiche Lgbt». Rivelatrice della strumentalità di queste posizioni, è anche una recente dichiarazio- I libri sono stati realizzati dall’Unar e dall’Istituto Beck. L’accusa: «scuola di pensiero clamorosamente di parte» ne del presidente di Arcigay Milano, Marco Mori, che in un’intervista si lamentava delle «pochissime richieste» arrivate dalle scuole, nonostante l’associazione omosessuale si fosse dichiarata pronta a distribuire a scolari e studenti i kit didattici gratuiti del progetto europeo Raimbow. Proposta che in molte scuole ha, anzi, suscitato l’indignazione di genitori e insegnanti. Questi interventi, sempre stando alla Strategia targata Unar – che, è utile ricordare, secondo il Dpcm 11 dicembre 2011 «deve operare in piena autonomia di giudizio ed in condizione di imparzialità» – dovreb- bero «cominciare dagli asili nido e dalle scuole dell’infanzia». È a partire da qui che si dovrebbe «costruire un modello educativo» in grado di «garantire un ambiente scolastico sicuro e friendly» per i giovani Lgbt. Obiettivo da raggiungere attraverso la formazione di «docenti, dirigenti e alunni» sulle «tematiche Lgbt e sui temi del bullismo omofobico e transfobico», da affidare, naturalmente, alle stesse associazioni Lgbt di cui deve essere «valorizzato l’expertise». Tra le “materie” di questi corsi di aggiornamento – obbligatori per gli insegnanti e per i quali la legge “L’istruzione riparte” ha messo a disposizione 10 mi- lioni di euro – ci sono le «nuove realtà familiari, costituite anche da genitori omosessuali» e «laboratori di lettura» per arricchire il «glossario Lgbt che consenta un uso più appropriato del linguaggio». E tutto questo mentre in Parlamento si sta discutendo una proposta di legge sul contrasto all’omofobia, che prevede pene severe per coloro che, in futuro, oseranno ancora sostenere, come per altro dice la stessa Costituzione italiana, che famiglia è soltanto quella società naturale fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna. E non altro. © RIPRODUZIONE RISERVATA «Crescita dei ragazzi a rischio» «Resti fuori dalle aule» FRANCESCO DAL MAS VENEZIA G iù le mani, soprattutto a scuola, dall’identità di genere, per annacquarla o, peggio, per cancellarla. È la forte raccomandazione che l’assessore all’Istruzione della Regione, Elena Donazzan, rivolge ai dirigenti scolastici del Veneto a seguito del dibattito sulla sostituzione dei termini "padre" e "madre" nei certificati per la scuola del Comune di Venezia e delle analoghe iniziative che stanno per essere intraprese altrove, compresa l’adozione di testi che superino la differenziazione tra i sessi. «Vi chiedo di riflettere sui metodi educativi che non interferiscano con la scoperta dell’identità dei ragazzi che è il frutto esclusivo del sereno processo di crescita». Una sollecitazione, quella di Donazzan, puntualmente condivisa dal presidente della Regione Luca Zaia, e dalla maggioranza di Centrodestra che lo sorregge. Ricordando che di recente, l’Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali che opera nel Dipartimento delle Pari opportunità) ha promosso una campagna sulla cosiddetta "identità di genere" e sulla "parità di tutti gli orientamenti sessuali", l’esponente della Regione Veneta contesta questa im- ASSESSORE Elena Donazzan L’assessore all’Istruzione del Veneto scrive ai dirigenti scolastici: c’è chi vuole minare la famiglia postazione e invita le scuole a non farla propria. «Se fosse sulla "identità di genere", ovvero femminile e maschile, in un momento in cui la crisi di identità è così forte, la riterrei una cosa giusta. Dall’iniziativa dell’Unar, invece, riscontro il tentativo di annacquare i concetti sia d’identità che di genere con la proposizione di un modello che rischia di minare le basi della nostra società e del suo nucleo principale: la famiglia». È infatti, «fortemente inopportuno», prosegue Donazzan, entrare nella sfera educativa dei più giovani, o addirittura bambini, dicendo che non esiste il loro genere, quello che imparano a scoprire da sé. I ragazzi e tanto più i bambini vanno invece accompagnati, nel complesso momento della scoperta di sé, con punti di riferimento certi, sereni, stabili. «Questo dovrebbe essere il compito di famiglia, scuola e politica». «Da finanziaria ed economica», la crisi è oggi «morale e di identità», insiste Donazzan. Che precisa: «Nessuno nega la omosessualità, né il rispetto per la condizione personale, ma non credo che possiamo ascrivere questa condizione a modello di riferimento sociale». Crediamo che si possa davvero parlare di "stereotipi", conclude l’assessore ponendo un interrogativo inevitabile, come se la natura dell’uomo e la sopravvivenza della specie in natura fossero convinzioni dettate dall’ignoranza e dalla mancanza di cultura? «Legittimando ragionamenti azzardati, col generico pretesto delle "pari opportunità" o della "non discriminazione", si rischia di liquidare improvvidamente i sacrosanti principi del diritto naturale su cui si è sempre fondata la nostra civiltà». © RIPRODUZIONE RISERVATA FIRENZE I Nota dei vescovi toscani che rivendicano, anche tra i banchi, «la dignità culturale di una visione antropologica fondata sulla differenza e complementarietà tra i sessi» vescovi toscani sono «preoccupati» per i «tentativi di introdurre il tema della valorizzazione delle differenze di genere nei percorsi formativi dei docenti e degli studenti, secondo modalità ispirate alla cosiddetta teoria del gender». È quanto si legge in una nota della Conferenza episcopale toscana (Cet), riunita nel giorni scorsi all’eremo di Lecceto, a Firenze. I vescovi rivendicano piuttosto, anche nella scuola, «la dignità culturale di una visione antropologica fondata sulla differenza e complementarietà tra i sessi». Per la Cet, infatti, c’è il rischio «che, per motivi ideologici, venga propagata nelle scuole una concezione lontana da quella della famiglia naturale – continua la nota –, subordinando la stessa identità sessuale biologica a quella culturale, per di più soggettivamente determinata». Infine, sempre a proposito della scuola, quella statale e quella paritaria «non devono essere messe in contrapposizione e sono ambedue da sostenere per una crescita educativa delle nuove generazioni secondo principi di libertà», concludono i vescovi. Nell’imminenza della Giornata na- zionale per la Vita, anche i vescovi del Triveneto avevano promosso una simile riflessione nella Nota pastorale Il compito educativo è una missione chiave!, con la quale i pastori affrontano «alcune urgenti questioni di carattere antropologico e educativo». Proprio all’inizio, il documento, dopo aver evidenziato i molteplici aspetti legati alla difesa e alla promozione della vita nell’attuale contesto, fa riferimento a questioni emergenti dalla recente attualità (l’ideologia del gender e la traduzione legislativa della lotta all’omofobia, taluni orientamenti sull’educazione sessuale ai bambini nelle scuole, l’uso dei termini "padre" e "madre" in ambito pubblico, il significato e il valore del concetto di "famiglia" con i rischi di stravolgimento a cui è oggi soggetto), per spiegare come i vescovi avvertano «la responsabilità e il dovere di richiamare tutti all’importanza di una corretta formazione delle nuove generazioni – a partire da una visione dell’uomo integrale e solidale – affinché possano orientarsi nella vita, discernere il bene dal male, acquisire criteri di giudizio e obiettivi forti attorno ai quali giocare al meglio la propria esistenza». «T anti mi chiedono come faccio a essere così tranquillo. Credetemi che i momenti di sconforto ci sono, ma ho capito che di fronte alla chiamata del Signore non ci si può ribellare e questo mi rende sereno». A parlare con una lettera alla moglie e agli amici è Dario Alvisi di Faenza, 40 anni, colpito l’anno scorso da Sla e ormai dipendente in tutto dalla moglie Debora, perché la malattia l’ha talmente debilitato che riesce a comunicare solo col battito degli occhi o col computer. Dario, che fino a un anno fa faceva il cuoco in una mensa di Faenza, ora trascorre la vita a letto, circondato dall’amore delle tre figlie: la piccola Camilla e le quasi adolescenti Caterina e Carolina. Aiutato dai volontari della Cosmoelph, Dario è circondato anche da una famiglia più ampia, la parrocchia di Basiago, dove abita alle porte di Faenza, unita a quella di Fognano, la parrocchia di origine. Ai tanti amici di queste due comunità si sono unite anche le parrocchie di Pieve Corleto e Reda, i cui giovani (una cinquantina) in preparazione alla Giornata del malato hanno portato in scena nel Teatro Masini di Faenza lo spettacolo «Ogni cosa è un colore» che racconta, con altri nomi, la storia di Dario. Lo spettacolo è diventato anche un video, occasione di una festa per ritrovarsi la domenica successiva al Pala Ferruzzi di Formellino con Dario, la sua famiglia e diverse centinaia di amici e famiglie delle parrocchie coinvolte. Nella lettera alla moglie, Dario ringrazia Debora «per quanto sta facendo, perché sta sacrificando la sua vita per la mia tenendomi vivo. Per me questo è un esempio di amore vero». E ai tanti amici e famiglie: «Voi siete la mia vera medicina, i miei angeli custodi». Mi rivolgo in modo particolare alle persone ammalate e a tutti coloro che prestano loro assistenza e cura. La Chiesa riconosce in voi, cari ammalati, una speciale presenza di Cristo sofferente. E’ così: accanto, anzi, dentro la nostra sofferenza c’è quella di Gesù, che ne porta insieme a noi il peso e ne rivela il senso. Quando il Figlio di Dio è salito sulla croce ha distrutto la solitudine della sofferenza e ne ha illuminato l’oscurità. Papa Francesco, Messaggio per la Giornata mondiale del malato, 11 febbraio 2014 © RIPRODUZIONE RISERVATA in agenda di Quinto Cappelli la storia Dario, la Sla e il sostegno della famiglia Con i ragazzi va in scena la vita vera L’Accademia per la vita parla di anziani disabili E ra 11 febbraio 1994 quando Giovanni Paolo II istituiva con il motu proprio «Vitae Mysterium» la Pontificia Accademia per la vita. I venti anni della fondazione saranno celebrati nell’Assemblea generale che si terrà dal 19 al 22 febbraio all’Istituto Agostinianum di Roma sul tema «Invecchiamento e disabilità». Spiega il presidente dell’Accademia, monsignor Ignacio Carrasco de Paula: «Queste disabilità possono imporre delle modifiche alla vita di ciascuno e limitare l’autonomia della persona, aumentando i problemi quotidiani per l’individuo e la famiglia ma anche per la società. La Chiesa è chiamata a una nuova riflessione su questo scenario per dare un sostegno sempre più qualificato e adeguato». Nelle tre sessioni si parlerà fra l’altro della dimensione antropologica e dei principi etici da adottare da parte degli enti e degli operatori sanitari, dei bisogni spirituali del disabile e dell’attenzione particolare che la Chiesa rivolge agli anziani malati e disabili. Concluderà i lavori monsignor Zygmunt Zimowski, presidente del Pontificio Consiglio per gli operatori sanitari. Giovedì, 13 febbraio 2014 «Pillola del giorno dopo, la scienza non nega l’aborto» legge 194 il caso in corso l’esame da parte della Commissione Affari sociali della Camera della Relazione del Ministero della Salute sull’attuazione della legge 194, consegnata al Parlamento nei mesi scorsi. Alla discussione – che tra l’altro sta mettendo in dubbio obiezione di coscienza e obbligo di ricovero per l’uso della Ru486 – ha offerto ieri il suo contributo il Movimento per la vita inviando ai componenti della Commissione un’altra relazione, quella sui risultati 2012 dei 350 Centri di aiuto alla vita, insieme a una lettera del presidente Carlo Casini. «Da sempre – spiega Mpv – noi chiediamo che nella raccolta dei dati non ci si limiti al tragico conteggio dei morti (il numero degli aborti), ma si indichi anche il numero dei vivi (cioè degli aborti evitati per effetto dell’intervento consultoriale e del volontariato al servizio della maternità e della vita). Gli articoli 1 e 2 così come interpretati dalla Corte Costituzionale (sentenza 35/97) devono essere attuati anche con riguardo alla prevenzione postconcezionale dell’aborto». Secondo il Movimento per la vita «urge predisporre un apposito questionario per i consultori familiari, in modo da conoscere quante interruzioni di gravidanza sono state evitate». «Sono note – aggiunge Mpv – le altre nostre riserve e critiche in merito alla valutazione della obiezione di coscienza e alla affermazione che la legge 194 avrebbe fatto diminuire il numero degli aborti. Se diminuzione vi è stata, essa è stata determinata da ben diverse cause (aborto chimico precocissimo non controllabile e diffuso, diminuzione delle donne in età feconda, azione educativa e assistenziale delle associazioni per la vita)», ma ora è il momento «di un dialogo con tutti indicando come terreno comune l’azione per prevenire l’aborto». Questo è un argomento portato a sostegno dai medici secondo i quali non è vero che la pillola ha un effetto abortivo. La realtà è un’altra. La pillola ha effetti abortivi in molti casi, ma non è infallibile. Secondo alcuni studi, nelle donne che assumono il levonorgestrel, l’ovulazione avverrebbe comunque in percentuali elevate, oltre l’80% dei casi. Chi sostiene che la pillola non impedisce la gravidanza ritiene che non via sia riduzione del tasso di gravidanza, ma questa dimostrazione epidemiologica non è per nulla convincente. È molto difficile stimare quanti ovuli siano stati fecondati, quanti abbiano avuto possibilità di impianto e quanti no. I dati che dimostrano il possibile effetto sull’annidamen- punti fermi E’ «S Mario Eandi, farmacologo dell’Università di Torino, contesta dati alla mano la decisione dell’Aifa di autorizzare il nuovo foglietto illustrativo del farmaco liberato così dall’ingombrante definizione di «abortivo»: «Una scelta più che dubbia, che non cambia la realtà» di Giacomo Samek Lodovici «Contino anche i bimbi salvati» i vuole diffondere la pillola facendola diventare con la bacchetta magica un semplice contraccettivo. Ma dal punto di vista scientifico, oltre che logico, qualcosa non torna». Il cambiamento "sulla carta", nel bugiardino del Levonorgestrel, la "pillola del giorno dopo", non è piaciuto a Mario Eandi, farmacologo dell’Università di Torino. Nei giorni scorsi l’Aifa – l’Agenzia italiana del farmaco, competente per ogni autorizzazione farmaceutica – ha ratificato quanto deciso in sede europea, derubricando la pillola dai medicinali potenzialmente abortivi e togliendo dal bugiardino la frase «Potrebbe impedire l’impianto dell’ovulo fecondato». Una decisione che secondo Eandi «non rispetta il principio di indipendenza di giudizio e di prudenza, a cui un organo regolatorio se fosse super partes dovrebbe attenersi». Sono 350mila le confezioni di Norlevo – il farmaco della pillola – vendute ogni anno in Italia dall’azienda Hra, che commercializza dal 2012 anche EllaOne, la pillola dei cinque giorni dopo, anch’essa registrata come contraccettivo (quest’ultima si ferma a 12mila). Professore, come agisce il principio attivo della pillola del giorno dopo? Dipende da quando il levonorgestrel, somministrato ad alte dosi entro tre giorni dal rapporto non protetto, interviene sul ciclo ovulatorio. Se il picco ormonale che determina l’ovulazione non c’è ancora stato, lo blocca o lo ritarda, impedendo la possibilità che l’ovulo venga fecondato. In questo caso, la pillola ha risultati simili a quelli di un contraccettivo orale a base di progesterone. E se l’ovulazione c’è già stata? Qui partono i problemi. Ci sono medici secondo i quali non succede un bel nulla e altri, come il sottoscritto, che sostengono invece che la pillola possa avere effetti abortivi. E non è modificando la scheda tecnica di un farmaco che per magia si cambiano i suoi effetti sull’organismo. Quali sono i possibili effetti abortivi? L’ovulo, se liberato e fecondato, rischia di non annidarsi. In questo caso si provoca un aborto. Ci sono varie ipotesi per spiegare perché l’ovulo può non annidarsi: ad esempio il fatto che le tube ovariche, che devono trasportarlo, dopo l’assunzione della pillola possono rallentare il viaggio verso l’utero, impedendo all’ovulo fecondato di arrivare a destinazione. Ecco perché è stato registrato un aumento di rischio di gravidanze extrauterine nelle donne che avevano preso la pillola del giorno dopo: proprio perché l’ovulo non ha potuto raggiungere l’utero e si è annidato nelle tube, con effetti che possono essere pericolosi per la donna. Inoltre la pillola modifica il pH dell’endometrio e della cavità uterina, altro elemento che rende più difficile l’annidamento. Ma ci sono donne che restano lo stesso incinte: su di loro l’effetto abortivo di cui parla non funziona? to ci sono, anche se qualcuno vuole far finta di niente. Perché è stato rivisto il bugiardino del farmaco? Sono le aziende farmaceutiche a chiedere queste modifiche. E le ricerche, in questo campo, sono finanziate quasi esclusivamente dalle aziende, il cui interesse ovviamente è ampliare il mercato. L’effetto di abbassare la guardia sulla sicurezza, i nodi etici e l’obiezione di coscienza rende indubbiamente vantaggioso che la pillola sia classificata come semplice contraccettivo. Ma molti ginecologi sanno che il levonorgestrel ha effetti potenzialmente tossici per i picchi ormonali che causa, e ritengono discutibile che sia usata, soprattutto dalle adolescenti, come mezzo "ordinario" di contraccezione. C’è già chi sostiene che non trattandosi di un farmaco abortivo vadano rivisti i presupposti della "clausola di coscienza". È una posizione che la dice lunga sulle vere motivazioni che hanno spinto a cambiare il bugiardino. In ogni caso, non mi ritengo affatto obbligato a fornire un prodotto di quel tipo alle pazienti. Emiliano Basso © RIPRODUZIONE RISERVATA Affrontare la prova della sofferenza alla scuola di Giovanni Paolo II I trent’anni della Lettera apostolica Salvifici doloris (11 febbraio 1984) di Giovanni Paolo II sono un’occasione per incoraggiare alla lettura di questo testo che tematizza il senso cristiano della sofferenza, ma offre anche alcuni spunti bioetici preziosi. La sofferenza umana va distinta dal mero dolore fisico: infatti a volte proviamo dolore, ma siamo nondimeno interiormente sereni, dunque la sofferenza umana riguarda l’anima e non direttamente il corpo. D’altra parte, posta la strettissima compenetrazione di anima e corpo, il dolore corporeo provoca spesso la sofferenza dell’anima; e il patimento dell’anima, qui iniziato, può comportare una somatizzazione. La sofferenza è specificamente umana: «Solo l’uomo, soffrendo, sa di soffrire e se ne chiede il perché; e soffre in modo umanamente ancor più profondo, se non trova soddisfacente risposta». Ora la sofferenza non toglie dignità all’uomo, bensì gliela esalta: il modo in cui l’uomo la sa affrontare è «espressione della sua spirituale grandezza». E, nella sofferenza, prima del senso cristiano e soprannaturale, c’è almeno questo senso umano: quello di «una particolare chiamata alla virtù». In particolare, l’uomo sofferente può essere per gli altri un esempio stupendo di fortezza e di coraggio, due virtù imprescindibili, perché una società che non sa soffrire è fragilissima. Il culmine di questo contributo al bene comune e di questo senso umano della sofferenza si ha quando un «corpo è profondamente malato, totalmente inabile» e tuttavia l’uomo affronta questa condizione in un modo che ne mette in evidenza «l’interiore maturità e grandezza spirituale, costituendo una commovente lezione per gli uomini sani». Poi, sul piano cristiano, la sofferenza umana contribuisce alla redenzione che Cristo ha operato, in favore di ogni singolo uomo, proprio sperimentando liberamente il massimo (per varie ragioni) patimento. E, vissuta con amore, può contribuire al bene di coloro che amiamo profondamente e dell’umanità in genere. © RIPRODUZIONE RISERVATA Aborti tardivi una tragedia tenuta nascosta I l deputato spagnolo Angel Pintado, del Partito popolare europeo, ha presentato il 31 gennaio un’interrogazione al Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa dal titolo «Il dramma degli aborti tardivi». Pintado spiega che «nei diversi Paesi europei dove è permesso l’aborto tardivo capita che i feti nascano vivi, vale a dire che sopravvivono all’aborto». Tenuto conto di questo, l’interrogazione «chiede misure specifiche e necessarie a garantire ai feti sopravvissuti all’aborto che non vengano loro private cure mediche di cui hanno diritto (in qualità di persone, dato che sono vivi al momento della nascita) ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo». Secondo una documentazione raccolta dallo stesso europarlamentare, in Svezia si ha notizia di un bambino nato vivo e che è morto dopo 90 minuti di agonia perché nessuno ha prestato a lui soccorso. Nel Regno Unito in un solo anno si contano 66 casi di questo tipo. Pintado fa riferimento al Rapporto confidenziale sulla salute materna e infantile, commissionato dal governo di Sua Maestà. Il rapporto informa che metà di questi bambini è riuscita a sopravvivere per mezz’ora e uno fino a dieci ore senza intervento alcuno dei medici. L’aborto era stato voluto perché il feto alcune volte presentava malformazioni gravi ma in altre occasioni solo lievi difetti, casi in cui a norma di legge non si poteva praticare l’aborto. Sul tema si era già espresso il Royal College of Obstetricians and Gynaecologists il quale consigliava per gli aborti tardivi oltre la 22esima settimana di fermare il cuore del neonato con una iniezione letale. In senso contrario si muove invece l’Associazione britannica di Medicina perinatale la quale ha espresso la convinzione che servano nuove linee guida per tutelare la vita di questi piccoli pazienti. I risultati presentati hanno fatto chiedere a molti di abbassare la soglia temporale oltre alla quale non è più legittimo abortire, ora fissata alla 24° settimana. contromano L Per le giovanissime pasticche senza regole di Emanuela Vinai La liberalizzazione del farmaco del giorno dopo e l’aumento del consumo di «contraccettivi d’emergenza» ha per protagoniste le ragazze. Con effetti inquietanti D i sicuro chi non ha perso tempo sono stati i Radicali. Alla notizia della revisione da parte dell’Aifa del foglietto informativo della pillola del giorno dopo, che ne derubrica l’effetto a mero "contraccettivo", si sono affrettati a chiedere l’abolizione «dell’obbligo della ricetta medica per questo tipo di farmaco». Così da rimuovere anche l’ultima possibile garanzia di attenzione per le donne e per gli obiettori. Eppure quando si parla di pillola del giorno dopo, come il Norlevo, o di quella dei "cinque giorni" come EllaOne, si parla di prodotti la cui diffusione è in aumento. Secondo i dati resi noti lo scorso aprile dalla stessa casa farmaceutica produttrice, la Hra Pharma, nel corso del primo anno sul mercato sono state vendute oltre 11mila confezioni di Ulipristal acetato: nonostante l’obbligo di test di gravidanza, sono sempre circa trenta confezioni al giorno. E il trend, pur sotto le aspettative dei produttori, è comunque in crescita. S econdo i dati contenuti nel «Barometer of women’s access to modern contraceptive choice in 10 Eu countries», indagine realizzata tra luglio 2012 e febbraio 2013 dal network europeo dell’Ippf (International Planned Parenthood Federation), l’Italia è il sesto Paese europeo per consumo di "pillole del giorno dopo", e ben il 55% delle donne che vi ha fatto ricorso ha meno di 20 anni. Dunque un prodotto che sta conoscendo un vero boom, con un aumento del 59% delle vendite dall’immissione in commercio a oggi che si deve soprattutto alle giovanissime, alle quali sembra niente più di un contraccettivo comune. Solo nel 2011 le adolescenti che ne avevano fatto uso erano 180mila. La decisione dell’Aifa assume quindi risvolti che vanno al di là del nuovo foglietto illustrativo. «C’è da chiedersi, prima di tutto, come è possibile che si sia arrivati a questa conclusione, dal momento che il dibattito, le posizioni e la letteratura presentano dati discordanti», si interroga Maria Luisa Di Pietro, associato di medicina legale all’Università Cattolica di Roma. «Quali sono le evidenze scientifiche per affermare con tanta sicurezza che il prodotto è solo contraccettivo, dal momento che ci sono anche studi che dicono l’opposto?». In una situazione in cui non vi è certezza assoluta sull’azione del composto, né univocità di dati scientifici, nel dubbio dovrebbe valere sempre il principio di precauzione. O biezione di coscienza e di scienza vanno di pari passo, soprattutto quando si parla di salute. La casa farmaceutica ha già dovuto rendere nota l’elevata inefficacia del Levonorgestrel nelle donne sopra gli 80 kg di peso. E il commento di Diana Mansour del Newcastle Hospital fa pensare: «Non ci sono ancora abbastanza informazioni per sapere se, tramite la semplice somministrazione di una dose più alta del farmaco, si possa effettivamente risolvere il problema». Non trattandosi di vitamine, aumentare le dosi di un farmaco che agisce su un apparato così delicato non può essere scevro da problematiche. «Le adolescenti, che tendono a farne un uso disinvolto – ma non solo loro – dovrebbero sapere che non si tratta di una pastiglia innocua, ma della somministrazione di ormoni che hanno un impatto sulla loro salute», conferma Di Pietro, che avverte: «Liberalizzare l’accesso significa esporre le giovani donne all’assunzione di dosi sempre più massicce di ormoni dannosi». R esta però un’emergenza prima di tutto culturale. «Alle ragazze che ne fanno uso purtroppo non interessa sapere se l’azione di questa pillola è antiovulatoria o antinidatoria. A loro importa solo evitare la gravidanza», osserva Felice Petraglia, direttore della Clinica Ostetrica e ginecologica dell’Università di Siena, consigliere nazionale di Scienza & Vita: «Non è la revisione dell’Aifa che cambierà le cose. A difettare è la cultura della vita». © RIPRODUZIONE RISERVATA a cronaca ha registrato negli anni casi simili un po’ in tutto il mondo. Nel 2009 la 18enne Sycloria Williams, alla 23esima settimana di gestazione, si è recata in una clinica in Florida per abortire, ma si è verificato un parto anticipato e così il bambino è nato vivo. Non assistito, il piccolo è morto poco dopo ed è stato infilato in un sacchetto per i rifiuti biologici. Uno dei casi più clamorosi è stato poi quello di Kermit Gosnell il quale, nel maggio scorso, è stato ritenuto colpevole per aver eseguito aborti dopo la 24esima settimana, limite massimo per la Pennsylvania. Da noi ricordiamo il caso che ha visto coinvolto l’Ospedale di Rossano Calabro in cui un neonato abortito alla 22esima settimana, ma ancora vivo, fu lasciato su una barella sotto un lenzuolino per un’intera giornata. Viene poi alla memoria la vicenda del piccolo Tommaso, nato nel 2007 presso l’ospedale Careggi di Firenze alla 22esima settimana e poi morto dopo sei giorni: l’aborto era stato voluto perché la diagnosi rivelava una malformazione all’esofago poi risultata inesistente. L’Ospedale San Camillo di Roma rese noto che avrebbe disposto un consenso informato per i genitori al fine di consentire di non rianimare il neonato. Tommaso Scandroglio © RIPRODUZIONE RISERVATA
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