CORRIERE-terremese

Del 11 Novembre 2014
Estratto da pag. 6
Emilia, tra i rimborsi c’è il sexy shop
Dodici indagati in corsa alle Regionali Chiusa l’inchiesta che riguarda 41 consiglieri su 50. Sotto esame spese
per 2 milioni
DAL NOSTRO INVIATO BOLOGNA Una domanda squarcia il dibattito istituzionale: biancheria intima o
qualcosa di più spinto? Tra i tanti luoghi, molti dei quali discutibili, frequentati in questi anni dalla politica
nostrana, il sexy shop è una rarità.
Ci ha pensato l’Emilia-Romagna, da sempre all’avanguardia, a colmare la lacuna. Comunque finisca la
maxinchiesta della Procura bolognese sulle spese «allegre» della Regione, di cui ieri sono stati notificati gli
atti di fine indagine (41 consiglieri indagati su un totale di 50: una maggioranza bulgara), la copertina è già
stata assegnata al famigerato scontrino da 80 euro per un sex toy scoperto dalla Finanza in quell’oceano di
documenti che vanno dal giugno 2010 al dicembre 2011. Gira anche un nome, lanciato dall’Ansa. Quello di
un’esponente del Pd, Rita Moriconi, 40 anni, reggiana, socialista eletta in quota dem. Lei, interpellata, ha
negato tutto con sonora risata poi tramutata in irritazione: «Mai entrata in un sexy shop, la ritengo una spesa
assurda e surreale: ho letto l’avviso di fine indagine e quella spesa non c’è...». Imbarazzante la cosa. Pure
Gabriella Meo, consigliere dei Verdi, prima ancora di arrabbiarsi con i magistrati per averle contestato «pure i
fiori che ho mandato per la morte di Giorgio Celli», ha tenuto a sgombrare il campo: «Non sono io quella del
sex toy…».
In attesa di risolvere l’arcano, l’indagine della Procura ci regala un altro spot sull’uso più o meno disinvolto di
soldi pubblici da parte di alcuni amministratori. Anticipata nei mesi scorsi da indiscrezioni sui 9 capigruppo
(pure loro indagati), l’inchiesta sbatte sotto i riflettori tutti i partiti, nessuno escluso. Con l’aggravante che in
Emilia-Romagna — dopo le dimissioni in luglio del governatore Vasco Errani, condannato in appello per falso
ideologico nella vicenda legata a un finanziamento alla coop del fratello — le elezioni sono alle porte (23
novembre) e le accuse mosse dagli inquirenti sono ciò di cui meno si sentiva il bisogno in una terra dove, per
stessa ammissione dei candidati, la campagna elettorale si trascina nell’indifferenza. E certo non aiuterà il fatto
di sapere che dei 41 consiglieri sotto inchiesta, 12 si sono ricandidati per il 23 novembre (c’è anche un’altra
indagata, ma è un’impiegata).
Le cifre contestate dalla magistratura superano di poco i 2 milioni di euro. Primeggiano i democratici con 940
mila euro e 18 indagati, segue l’Idv con 423 mila e 2 indagati, poi il Pdl con 205 mila euro e 11 indagati, la
Lega con 135 mila euro e 3 indagati, il M5S con 98 mila euro e 2 indagati (Favia e Defranceschi, entrambi
espulsi per motivi d’altro genere), Sel con 77 mila euro e 2 indagati e l’ Udc con 31 mila euro e un indagato).
Quanto mai vario l’arcobaleno delle motivazioni alla base delle spese. Ci sono scontrini inspiegabili come
quelli contestati a Casadei del Pd (meno di un euro) per l’uso di gabinetti pubblici. Poi falsi convegni.
Interviste a tv locali a pagamento. Rimborsi chilometrici. Pranzi e pernottamenti.
All’Idv vengono addebitate spese per il trasporto in auto, a loro insaputa, di Marco Travaglio e del sindaco
Luigi de Magistris. All’Udc iniziative di beneficenza messe a rimborso. I capigruppo si dicono sereni: «Tutto
secondo le leggi». La Lega attacca: «Giustizia ad orologeria». La Procura: «Rispettati i tempi dell’inchiesta».
Francesco Alberti