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ADOZIONE - ADOTTABILITÀ (DICHIARAZIONE DI) .
CASS. CIV., SEZ. I, 10/09/2014, N. 19006.
Nel procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità la partecipazione del
minore, necessaria fin dalla fase iniziale del giudizio, richiede la nomina di un curatore
speciale soltanto qualora non sia stato nominato un tutore, o questi non esista ancora al
momento dell'apertura del procedimento, ovvero nel caso in cui sussista un conflitto
d'interessi, anche solo potenziale, tra il minore ed il suo rappresentante legale. Tale conflitto
è ravvisabile "in re ipsa" nel rapporto con i genitori, portatori di un interesse personale ad
un esito della lite diverso da quello vantaggioso per il minore, mentre nel caso in cui a
quest'ultimo sia stato nominato un tutore, il conflitto dev'essere specificamente dedotto e
provato in relazione a circostanze concrete, in mancanza delle quali il tutore non solo è
contraddittore necessario, ma ha una legittimazione autonoma e non condizionata, che può
liberamente esercitare in relazione alla valutazione degli interessi del minore.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella
Dott. GIANCOLA Maria C.
Dott. CAMPANILE Pietro
Dott. BISOGNI Giacinto
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria
ha pronunciato la seguente:
- Presidente - Consigliere - rel. Consigliere - Consigliere - Consigliere sentenza
sul ricorso proposto da:
M.F. elettivamente domiciliata in Roma, presso la cancelleria della Suprema Corte di
cassazione, rappresentata e difesa dall'avv. Prinzi Nunziatina Rita, giusta procura speciale in
calce al ricorso;
- ricorrente contro
T.F. - Curatrice speciale della minore M.E. S. elettivamente domiciliata in Roma, presso la
cancelleria della Suprema Corte di cassazione; rappresentata e difesa dall'avv. Guerci
Luciana, giusta procura speciale a margine del controricorso.
- controricorrente -
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e contro
CONSORZIO SOCIO ASSISTENZIALE CUNEESE;
PROCURATORE GENERALE PRESOS LA CORTE DI APPELLO DI TORINO;
avverso la sentenza della Corte di appello di Torino, n. 37/2013, depositata in data 26
febbraio 2013;
sentita la relazione svolta all'udienza pubblica del 6 febbraio 2014 del consigliere dott.
Pietro Campanile;
sentito per la ricorrente l'avv. Dosi, munito di delega;
sentito per la controricorrente l'avv. Marucci, munito di delega;
Udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del sostituto dott.ssa Francesca
Ceroni, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso p.q.r..
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1 - Con sentenza in data 16 maggio 2012 il Tribunale per i Minorenni di Torino dichiarava
lo stato di adottabilità della minore M.E.S., nata in data 12 ottobre 2006.
1.1 - Avverso tale decisione proponeva appello la madre, M. F., deducendone la nullità per
difetto di valida rappresentanza della minore, affidata al curatore speciale in luogo di un
difensore nominato dal tutore, ed eccependo, nel merito, l'insussistenza dei presupposti per
la dichiarazione dello stato di adottabilità, in relazione sia alla propria capacità di svolgere il
ruolo materno, sia ai buoni rapporti della minore con l'affidataria.
1.2 - La corte di appello di Torino, sezione per i minorenni, con la sentenza indicata in
epigrafe ha confermato la decisione di primo grado, ponendo in evidenza, in primo luogo, la
carenza di legittimazione della M. a far valere il difetto di rappresentanza della minore, per
altro ritenuto insussistente, essendo stata la nomina della curatrice speciale giustificata dal
conflitto di interessi in capo al tutore della minore stessa, in quanto dedito all'assistenza
anche della madre.
1.3 - Quanto al merito, si è osservato che l'insussistenza di capacità genitoriale in capo alla
M. era stata correttamente desunta non solo dalla dedizione all'alcool, ma, soprattutto, dalle
sue condizioni patologiche di natura psichica, gravi e complesse, prevalenti sulle buoni
intenzioni della madre stessa, sorrette da un sincero affetto materno. Si è posto in evidenza,
in particolare, come fosse risultato che le manifestazioni del disturbo bipolare della M.,
unica genitrice ad avere riconosciuto la minore, influissero negativamente sullo stato di
salute e sul benessere psicofisico della bambina, tanto da far temere, con il protrarsi della
frequentazione - associando la piccola E.S. l'immagine della madre a una vera e propria
sofferenza, - la produzione di gravi ed irreversibili danni.
Per altro il legame forte creatosi con l'affidataria, con la quale la bambina non poteva
rimanere, trattandosi di suora laica, andava considerato nell'ambito dell'inserimento della
stessa in una famiglia adottiva, cui pure la minore aveva urgente necessità di entrare a far
parte.
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1.4 - Per la cassazione di tale decisione la M. propone ricorso, affidato a tre motivi, cui
resiste con controricorso la curatrice speciale della minore.
MOTIVI DELLA DECISIONE
2 - Con il primo motivo, denunciando violazione dei principi del contraddittorio e del
giusto processo, nonchè della L. n. 184 del 1983, art. 8, comma 4, artt. 75 e 78 c.p.c. e artt.
320, 343 e 357 c.c., la ricorrente sostiene che nel giudizio la minore avrebbe dovuto essere
rappresentata dal tutore provvisorio e non già dal curatore speciale, non essendo la presenza
di quest'ultimo giustificata, in assenza di un concreto conflitto di interessi con il tutore.
2.1 - La censura è infondata.
Questa Corte ha affermato che nel procedimento per la dichiarazione dello stato di
adottabilità la partecipazione del minore, necessaria fin dalla fase iniziale del giudizio,
richiede la nomina di un curatore speciale soltanto qualora non sia stato nominato un
tutore, o questi non esista ancora al momento dell'apertura del procedimento, ovvero nel
caso in cui sussista un conflitto d'interessi, anche solo potenziale, tra il minore ed il suo
rappresentante legale. Tale conflitto è ravvisabile "in re ipsa" nel rapporto con i genitori,
portatori di un interesse personale ad un esito della lite diverso da quello vantaggioso per il
minore, mentre nel caso in cui a quest'ultimo sia stato nominato un tutore, il conflitto
dev'essere specificamente dedotto e provato in relazione a circostanze concrete, in
mancanza delle quali il tutore non solo è contraddittore necessario, ma ha una
legittimazione autonoma e non condizionata, che può liberamente esercitare in relazione alla
valutazione degli interessi del minore (Cass., 19 maggio 2010, n. 12290).
La corte territoriale, fornendo al riguardo adeguata motivazione, ha posto in evidenza il
conflitto di interessi sussistente in concreto, posto che il tutore, Consorzio Socio
Assistenziale del Cuneese, si era trovato ad assistere contemporaneamente la madre e la
minore, versando, pertanto, in una posizione che non gli consentiva di rappresentare, con
valutazioni pienamente autonome, M.E. S..
3 - Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 12 della
Convenzione di New York, della Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996
sull'esercizio dei diritti dei minori, dell'art. 315 bis c.c. e degli artt. 3, 21 e 111 Cost. per non
essere mai stata disposta ed effettuata l'audizione della minore, senza alcuna motivazione al
riguardo.
3.1 - Il motivo è infondato. Con riferimento al procedimento per la dichiarazione dello stato
di adottabilità, la L. 4 maggio 1983, n. 184, art. 15, comma 2, nel testo novellato dalla L. 28
marzo 2001, n. 149, pone l'obbligo di audizione del minore che abbia compiuto i 12 anni
esclusivamente nel giudizio di primo grado, mentre il giudice di appello è tenuto soltanto,
per il disposto dell'art. 17, comma 1, a sentire le parti ed il P.M., nonchè ad effettuare "ogni
altro opportuno accertamento" (Cass., 14 giugno 2010 n. 14216).
Questa Corte ha altresì precisato, quanto alle conseguenze dell'omessa audizione del
minore, la cui obbligatorietà è normalmente riferita al giudizio di primo grado, che la nullità
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della sentenza per la violazione dell'obbligo di audizione può essere fatta valere nei limiti e
secondo le regole fissate dall'art. 161 c.p.c., e, dunque, è deducibile con l'appello (Cass., 8
marzo 2013, n. 5847; Cass. 27 gennaio 2012, n. 1251).
Dalla decisione impugnata non emerge che la mancata audizione della minore nel giudizio
di primo grado, per altro nata nell'ottobre del 2006, sia stata in qualche modo censurata, nè
la ricorrente ha dedotto, riportandone il tenore, nel rispetto del principio di autosufficienza
del ricorso, di aver avanzato uno specifico motivo di appello al riguardo. Nè può ritenersi
che l'obbligo di ascolto, già previsto dalla legge speciale sopra richiamata, fosse divenuto
cogente per la corte territoriale a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 315-bis c.c., che, pur
introducendo un importante principio di carattere generale, nulla ha innovato rispetto alla
richiamata L. n. 184 del 1983.
4 - Del pari infondato, e per certi versi inammissibile (laddove attinge questioni di merito
insindacabili in questa sede) è il terzo motivo, con il quale, denunciandosi violazione della L.
n. 184 del 1983, art. 1 si pone in evidenza il forte legame affettivo fra la ricorrente e la figlia.
Questa Corte ha più volte ribadito, anche di recente, che nel giudizio inerente alla verifica
circa la sussistenza o meno dello stato di abbandono assume carattere assolutamente
prioritario l'interesse del minore, in relazione alla esigenza di assicurargli quel minimo di
cure materiali, calore affettivo, aiuto psicologico indispensabile per lo sviluppo e la
formazione della sua personalità. La L. n. 184 del 1983, all'art. 1, afferma, infatti, il diritto
del minore a vivere e crescere nella propria famiglia, ma solo fino a quando ciò non
comporti un'incidenza grave ed irreversibile sul suo sviluppo psicofisico, e l'art. 8 della
stessa legge definisce la situazione di abbandono come mancanza di assistenza materiale e
morale. In altri termini, il diritto a vivere nella propria famiglia di origine incontra un limite,
nello stesso interesse del minore, se si accerta la ricorrenza di una situazione di abbandono
che legittimi la dichiarazione di adottabilità qualora, a prescindere dagli intendimenti dei
genitori, la vita da loro offerta al figlio sia inadeguata al suo normale sviluppo psico - fisico,
cosicchè la rescissione del legame familiare è l'unico strumento che possa evitargli un più
grave pregiudizio ed assicurargli assistenza e stabilità affettiva. Deve quindi ribadirsi il
principio secondo cui il minore ha diritto di rimanere nella propria famiglia di origine, con
conseguente ricorso allo stato di adottabilità come soluzione estrema, quando ogni altro
rimedio appare ormai inadeguato. In tale quadro, e la questione costituisce uno degli aspetti
fondanti del ricorso in esame, deve ribadirsi l'irrilevanza delle mere espressioni di volontà da
parte dei genitori, o degli altri stretti congiunti, ove prive di qualsiasi concreta prospettiva e
quindi non idonee al superamento dello stato di abbandono (Cass. 17 luglio 2008 n. 16795).
L'apprezzamento, poi, della sussistenza in concreto della situazione sopra descritta si
sostanzia in una valutazione rimessa al giudice del merito, mentre la prospettazione di un
riesame del materiale probatorio acquisito nel processo, secondo giurisprudenza
ampiamente consolidata (v., per tutte, Cass., sent. n. 18288 del 2011, n. 17915 del 2010, n.
18288 del 2011), è esclusa in sede di legittimità, qualora la motivazione non presenti vizi di
carattere logico e giuridico.
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4.1 - La Corte di appello di Torino non si è sottratta al delicato compito di valutare,
nell'ottica dell'interesse della minore E. S., le risultanze processuali già acquisite nel corso del
giudizio di primo grado e quelle dedotte in sede di gravame, con motivazione esente da
censure sotto il profilo logico-giuridico.
Nella sentenza impugnata, invero, si da atto del grave quadro clinico che riguarda la
ricorrente, come accertato tramite consulenza tecnica d'ufficio (disturbo borderline di
personalità, disturbo depressivo, abuso di alcool pregresso, bulimia), dal quale deriva non
solo una sostanziale incapacità di raggiungere un livello di accudimento quanto meno
sufficiente, ma - come riferito dalla psicologa che ha seguito la minore - da trasmettere, al di
là della dimensione affettiva, ansie ed angoscia alla bambina, di tal che gli incontri si sono
rivelati "penosissimi" e devastanti, tali da arrecare "danni gravi ed irreversibili alla equilibrata
crescita della minore". La valutazione della permanenza e dell'attualità, al momento della
decisione, dello stato di abbandono, è implicita nel giudizio negativo formulato, anche in
prospettiva, sulla capacità genitoriale della predetta.
Richiamate le superiori considerazioni circa l'irrilevanza delle manifestazioni di volontà da
parte dei genitori che non trovino riscontro, nell'ottica del primario interesse del minore,
nella realtà effettiva e in un giudizio probabilistico formulato dal giudice del merito, deve
altresì rilevarsi che questa Corte ha più volte affermato che l'acquisto o il recupero della
capacità genitoriale debbono in prospettiva inquadrarsi in una prognosi che preveda tempi
compatibili con l'esigenza del minore di uno stabile contesto familiare (Cass., 14 giugno
2012, n. 9769; Cass. 26 gennaio 2011, n. 1839). Sotto questo profilo deve constatarsi che la
corte territoriale, fondando il proprio giudizio anche sulle risultanze peritali, ha posto in
evidenza l'impraticabilità di qualsiasi soluzione alternativa al progetto adottivo, precisando
che la stessa affidataria, suora laica, aveva da tempo segnalato il bisogno della minore di
entrare a far parte di una famiglia, dopo il fallimento dei prolungati tentativi per
"supportare" la madre, naufragati per le oggettive ed insormontabili difficoltà sopra
evidenziate.
4.2 - Nel quadro delineato in maniera così incisiva dalla corte territoriale non possono,
dunque, trovare spazio nè l'invocata prosecuzione dell'affidamento etero - familiare (cfr.
Cass., 4 maggio 2010, n. 10706), nè le istanze affettive, con particolare riferimento al
legame, fra la minore e la madre. Sulla prospettazione della ricorrente circa la superabilità di
tale relazione, deve invero far premio la primazia dell'interesse della minore ad ottenere,
nell'ambiente più idoneo, un sano sviluppo sul piano psico - fisico, interesse che trascende e
nei casi estremi comporta la recisione dei legami biologici, nonchè il superamento delle
relazioni affettive che non siano compatibili con un armonioso sviluppo psico-fisico del
minore stesso (Cass., 8 maggio 2013, n. 10721; Cass., 26 gennaio 2011, n. 1837).
5 - La natura della vicenda e la particolare delicatezza del procedimento di sussunzione della
fattispecie concreta consigliano l'integrale compensazione della spese processuali.
P.Q.M.
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La Corte rigetta il ricorso e compensa fra le parti le spese processuali relative al presente
giudizio di legittimità.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere generalità ed atti identificativi, a
norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione civile, il 6 febbraio 2014.
Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2014
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