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M. GRILLANDI • La casa di Faenza.
Torino, Ed. dell' Albero 1965.
Legato al senso della storia, quella delle idee e dei fatti, nella cuí concatenazione si configura giorno per giorno il divenire delle generazioni è questo romanzo
— La casa di Faenza. Torino, Ed. dell'Albero, 1965 — di Massimo Grillandi, uno
scrittore, giovane ancora, già impegnato per più titoli e su più fronti della cultura
letteraria degli anni nostri.
Ciò che caratterizza l'attività di Griìlandi, poeta narratore e saggista, è, appunto,
l'attenta presa di coscienza di un clima storico-letterario, la cui prospettiva si
dilata quanto più lo scrittore, procedendovi per intuizioni rapide e meditate nello
stesso tempo, saggia certe resistenze morali nel cui ambito gli avvenimenti, gli
uomini anche, che degli avvenimenti sono i protagonisti, incalzati dalle idee e
dalle ideologie anche, assumono una loro certa e per ciò stesso concreta dimensione, Cì accorgemmo di questi esiti connessi al lavoro di Grillandi or sono due
anni, quando leggemmo e recensimmo con affettuosa obiett i vità un suo libro di
saggi su poeti contemporanei, lo confermiamo oggi in presenza di questo romanzo
strutturato secondo un largo impianto narrativo e secondo una concezione tutta
moderna della materia pur senza cadere, o scadere, in uno sperimentalismo
provvisorio, fine a sé stesso, un romanzo sincero, dunque, nella problematica
che coraggiosamente propone e, conseguentemente, sviluppa secondo presupposti
dalla base solida. Un libro, anche, che per un verso si lega ad una tradizione
narrativa inaugurata negli anni intorno al secondo Ottocento e le cui propaggini
si sono allungate con calda vitalità fino agli anni nostri quasi — far nomi sarebbe
far cosa ovvia — e per un altro verso, infine, non si esclude da alcune strutture
narrative proprie delle esperienze letterarie nel cui dominio rientra il romanzo
contemporaneo. Un punto d'incontro, si potrebbe dire, di tecniche e di poetiche,
una fusione di esperienze intelligente, consapevolmente interessata alle sorti del
romanzo oggi, in un clima di discussioni a volta fattive, a volta vacue e, in fondo
fuorvianti se non sostenute da prove, come questa, che convalidino le teorizzazioni.
Si può definire, tout court, il libro di Grillandi l'incalzante e nello stesso tempo
coerente itinerarium di un adolescente attraverso certi aspetti del tempo suo —
l'azione è posta negli anni intorno alla fine del secolo scorso, quando i nomi di
Mazzini e Pio IX, Vittorio Emanuele e Cavour, attualizzati da una serrata battaglia
delle idee il cui scopo ultimo era l'assestamento del paese scaturito dal Risorgimento, tornavano con sapore ormai mitico — maturati alla luce di avvenimenti
che avevano, direttamente o sul filo della memoria vigile, coinvolto totalmente
più generazioni.
Donde il gusto della politica — l'azione si svolge in una Romagna generosa e
spregiudicata, dal cuore aperto e dalla parola pesante, dove la politica è l'insostituibile condimento di ogni fatto, pubblico e privato — quella dalla quale doveva
scaturire l'Italia nuova e di sempre, l'Italia del parlamentarismo a volte efficace
per il vaglio delle opinioni, a volte accademico e bizantineggiante.
L'adolescente protagonista del libro, durante una vacanza a Faenza in casa
di una nobile quanto lontana zia dalla quale il nonno ed il padre sperano ottenere,
a soluzione di una intricata vicenda di interessi familiari, una cospicua eredità,
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attraverso i racconti della zia stessa, incrollabile feudataria rimasta nubile per
sfortunato amore nei riguardi di un cugino insensibile, del nonno, fervente mazziniano e del padre, socialista convinto delle prospettive che il marxismo avrebbe
aperto, in progresso di tempo, ai paese, ha agio di delineare il panorama storicomorale, la temperie spirituale di un'epoca che egli avrebbe vissuto nelle conseguenze necessarie negli anni della maturità. Un panorama, se vogliamo, complesso,
pieno di linfe, di umori, -li sollecitazioni che agendo in maniera pluridirezionale
chiariscono a loro volta, una temperie storica che noi oggi viviamo nella sua
più lata essenza.
La memoria — una struttura narrativa variamente impiegata oggi e che dà
luo g o ad eventi letterari ricchi di conseguenze — giuoca, così, in questo libro un
fondamentale ruolo di scavo in una regione sentimentale vergine e per ciò disponibile ad un assorbimento preciso, una memoria, pertanto, non letteraria, condizionata
cioè da una volontà tecnicistica che, come ci è capitato di osservare altrove, fa
scadere, e senza rimedio, la qualità di un libro, ma una memoria limpida, umorosa,
che ricrea e ripropone gli avvenimenti in funzione di una atmosfera moderna e
restituisce gli uomini del passato alle idee che da quegli uomini hanno preso le
mosse e si proiettano nel futuro aderendo intimamente a tutto il corso della storia.
L'alone fabuloso entro cui s'inquadrano le lotte fra clericali, mazziniani e socialisti in una Romagna colma di fermenti storico-politici assume, pertanto, l'aspetto
di una geografia della storia dove i contorni, nettamente fissati, consentono di
approfondire un tempo proprio dei personaggi che agiscono nel libro, il tempo
storico-narrativo dilatantesi dal particolare all'universale.
Alla luce di tali presupposti s'illumina anche la vicenda privata dell'adolescente
il quale, maturando una propria sensibilità, che diventerà coscienza di una propria
funzione sociale, s'accorge, agevolato opportunamente, di una maturazione fisica,
fisiologica, sentimentale, che finirà con il consegnarlo uomo, completo e complesso,
quando sarà il tempo, agli eventi che gli toccherà vivere.
Grillandi, che mostra così di conoscere il segreto d'interessare il lettore, ha
ricreato, mediante figure sagacemente delineate ed un dialogo fitto, rapido che
più efficace non poteva essere, un clima di mito nel quale i fatti storici, a livello
nazionale o provinciale, che di tale clima formano la struttura anziché perdere
dì evidenza si esaltano per denunciare le peculiarità, le più riposte, psicologiche
di tutti i personaggi del libro. E il caso della figura della zia, che campeggia in
Lutto il libro con la sua passione segreta ed infelicemente approdata, del nonno
fedele ad un mito storico intramontabile, del padre, ragionatore calmo, dell'adolescente, infine, che guarda con occhio solo apparentemente distratto ad un
caratteristico ribollire di passioni pubbliche e private.
Accostare questo libro ad altri della cosidetta narrativa saggistica può essere
utile nel senso della qualificazione, rispetto allo sviluppo delle tecniche del romanzo
dei nostri anni, di una materia forse poco disponibile ad essere trattata nella direzione che il Grillandi le ha impresso: romanzo d'idee più che di fatti — romanzo
di fatti solo apparentemente è il romanzo storico che i fatti riconduce alle idee
che li hanno generati, nel caso di scrittori di robusta preparazione — questo, ma
perché lo scrittore ha voluto nel tronco di un clima storico nettamente determinato innestare la storia di una educazione sentimentale, quella dell'adolescente
e protagonista del libro, connessa saldamente a quel clima storico, una educazione
i cui risultati oggi ancora sussistono, fervidi, nei personaggi della nostra storia.
L'implicanza forse meno evidente ma che rappresenta la peculiarità più apprezzabile del libro, la peculiarità che ce lo ha fatto leggere con interesse e profitto.
ENZO PANAREO
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D. PASTORELLI - Il cerchio intatto. Rebellato Editore, Firenze Padova 1965.
Di Dante Pastorelli — che conoscemmo or sono quattro anni ad un Congresso
di Studi leopardiani a Recanati — ci piacquero negli anni scorsi alcune poesie che
andavamo leggendo qua e là su qualificate riviste letterarie, poesie che rivelavano
nel giovane autore una sagace presa di coscienza dei problemi che formano la struttura, di venuta così complessa, del nostro vivere quotidiano ed una facoltà tutta
personale di tradurre tale presa di coscienza in fatto di poesia.
Pugliese, di Manduria, che ha studiato e vive a Firenze dove insegna, Pastorelli ha
assimilato della cultura fiorentina, ermetica e postermetica, certa consapevolezza, sicura, di poesia pura, di poesia cioè che non trascende l'ambito letterario, poetico, per
diventare immediata e irresolvibile trascrizione di circostanze quotidiane e provvisorie, ma resta poesia pur nell'espressione, sincera e totale, di tali circostanze.
Prova ne è questa « plaquette » — Il cerchio intatto edita all'insegna dei
Quaderni del Proconsolo, la quale raccoglie diciotto poesie tra edite e inedite: non
più che un saggio, certo, indicativo però di una vena espressiva accertabile nella
sua autenticità.
Il cerchio che torna intatto dopo... un lieve stacco che rannoda il nuovo al passato soffrire..., quel ritmo esistenziale nello sviluppo del quale la vicenda della vita si sdipana con le sue poche gioie e i suoi molti dolori, quella ferrea continuità
di fatti in che la vita si compendia è all'origine dell'ispirazione del Pastorelli il
quale in quella continuità appunto, vivificata dalla coscienza dei fatti stessi, si riconosce e definisce, limitato, determinato, ma disponibile anche, come uomo, alla
realizzazione di quella continuità: ...non ti attendere l orizzonti, di me, senza confini, / ché a me radice.è quella dell'ulivo: / è forte il tronco, ma ha fonde rughe
attorno: / una l'ha incisa il sole ed una il vento: / questa è dell'uomo: questa è a
piombo e duole...
E', questo che il Pastorelli esprime nelle sue poesie, uno dei momenti più sinceri del suo essere uomo, il momento in cui si riconosce inerme e indifeso e si offre così come s'è scoperto, con una poesia che diventa dimensione dell'uomo, una
dimensione rigorosa nell'ambito della quale si delinea nettamente il potere evocativo, che il Pastorelli impiega intelligentemente, di alcune situazioni psicologiche tipiche del tempo presente.
C'è in tutto l'esercizio poetico del Pastorelli una sensibilità accorta, serena,
affatto esaltata, che s'affida, per mantenersi al limite del puramente umano, a
poche vere certezze, quelle di ogni giorno: la famiglia, gli amici, esili episodi che
si rinovano di giorno in giorno: la famiglia, gli amici, esili episodi che si rinnovano di giorno in giorno, le cose di ogni giorno, quelle che non mentiscono e che,
invece, danno completo il senso dello scorrere della vita. Una poesia discorsiva
anche, colloquiale, fatta di domande e risposte, di esclamazioni, di discorsi diretti,
attenta a cogliere quel fondo di umanità che ognuno può, ad un determinato momento, rivelare quando è sollecitato da sentimenti bene indirizzati: ...e tu / cara
che taci accanto a me, s'io taccio, / le parole che abbiamo detto ieri / (il solco
che han tagliato non importa) / ripetiamole adesso: andran confuse l con la nebbia alle antenne ed a quei treni, / e con suono d'altra voce a noi verranno. Son le
parole, dunque, non importa la loro sorte o la loro destinazione, a far da legame
tra gli uomini, a denunziare i sentimenti, a rivelare gli affetti, le parole che il
Pastorelli impiega con efficace consapevolezza della loro semanticità in un contesto
poetico — si noti certo preciso aggettivare in alcune di queste poesie. — cordiale,
umano, quotidiano: Lavorare per vivere sereni, / senza strafare: con decoro. Poi, /
passare. Ma senza urli e tragedie: come / la magra erba d'inverno che affonda /
con un'ala d'ombra..., il ritmo del vivere di tutti, quel ritmo che, malgrado tutto,
consente, di credere, di sperare anzi che... La vita è amore.
ENZO PANAREO
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R. VIUGHT Spagna pagana. Ed. Mondadori, 1966.
Avvenga al livello del reportage giornalistico o del saggio politico, dell'opera dí
narrativa o del canto civile, il discorso intorno alla Spagna è sempre attuale, un
discorso amaramente sollecitante che finisce con il coinvolgere le strutture stesse — non sembri esagerata l'affermazione — della civiltà contemporanea, di un
certo aspetto della civiltà contemporanea perché di questo aspetto la Spagna, con
le innumerevoli contradizioni che ne caratterizzano la vita, è lo specchio chiaramente leggibile quando chi vuol guardarvi, ad ogni livello come abbiamo detto, si
accinga obiettivamente interessato alla vita che vi si svolge. Un discorso, dunque,
quello intorno alla Spagna, necessario, che è sempre opportuno tener desto, arricchire, con contributi — e negli ultimi tempi, ad opera di periodici attivi ed informati, tali contributi sono stati veramente notevoli (cfr., per esempio, Il contemporaneo, n. 38-39 luglio-agosto 1961) e per la ricchezza dell'informazione e per le interpretazioni, sempre pertinenti, offerte e per la combattività dimostrata -- continui. Discorrere, infatti, intorno alla Spagna, alla sua condizione di stato-chiesa,
alla falange, all'apparato poliziesco che vi si è instaurato dopo la guerra civile e l'ascesa al potere del dittatore di marca fascista, alle misere condizioni di vita, significa questo appunto, darsi da fare perchè le democrazie, le vere democrazie, intervengano, nella misura loro consentita da tutta una serie cli implicanze di natura politica e culturale, affinchè la Spagna non sia, non si senta, un corpo estraneo
nell'ambito della civiltà occidentale, quella civiltà che assunta la democrazia a forma di vita, tollera, per disinteresse o per fattori contingenti, un dispotismo ferocemente inintelligente quel'è quello che vige in Spagna. Una tolleranza, in ogni caso
e considerate certe intolleranze verso altri sistemi politici coltivate più per calcolo politico o per interesse economico che per vera convinzione ideologica, colpevole, della quale certa società spagnola, silenziosamente in attesa, potrebbe ad
un certo momento, ad una possibile svolta della storia, chiedere conto.
Un contributo interessante al discorso, avviato fin dalla fine della guerra civile
intorno alla Spagna ci viene offerto, è la cosa è tanto più notevole, in una collana economica, di vasta incidenza dunque, quella de I record di Mondadori con un
libro — Spagna pagana. Ed. Mondadori, 1966 — già tradotto in Italia nel 1962,
dell'autore di Ragazzo negro, oltre che di altre interssanti opere di narrativa e di
saggistica, Richard Wright.
Lo scrittore negro, consideratane certa emotività scaturente dalla condizione,
meglio condizionamento, razziale, si trovava, quando andò in Spagna, rispetto ad
altri reporter, nelle migliori condizioni spirituali per penetrare in una realtà che
di condizionamenti è tutta intessuta ed il suo reportage, vasto ed interessante i
settori più disparati della vita spagnola, risulta, oltre che agevole lettura, dei
più aderenti ad una situazione storico-politico-sociale quale s'è venuta delineando
dalla fine della guerra civile, oltre venti anni fa, ad oggi.
Il Wright, che sa dove trovare gli indici più attendibili della situazione anzidetta, cerca nelle case, tra la gente minuta, nei discorsi di questa, nelle remore, negli impulsi, dove cautamente controllati dove apertamente incontrollati, negli aspetti della vita quotidiana, nelle strade, nei locali, nelle arene, nelle chiese, negli
uffici, dappertutto insomma, la chiave per interpretare una totale alienazione
della vita contemporanea. Una alienazione tanto più grave, ed inguaribile vorremmo dire, in quanto incoraggiata da un sistema di credenze -- religiose e politiche — che sconfina, nella maggior parte dei casi, nel feticismo. Un feticismo che,
in ogni caso, affonda radici nella esaltazione di un nazionalismo anacronistico, il
quale, con opportuni accorgimenti di carattere demagogico, al livello religioso e
politico, è accuratamente coltivato dalle autorità. Quel feticismo nel quale si configura la contradizione di un paese la cui struttura ampiamente religiosa scade
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in un paganesimo addirittura primordiale. Non generale, comunque. A tutti í livelli
sociali, ma più a quello del proletariato insofferente e della piccola borghesia rassegnata, categorie tra le più colpite da una strut tura economica inviluppata e priva
dì prospettive che non siano di natura paternalistica, si avvertono í segni d'una
lacerazione che finisce col compromettere la stabilità di tutto il tessuto sociale
e morale della Spagna.
Lo scrittore negro, interessato più alle cause che alle conseguenze, analizza,
con significativa perspicuità, uno degli aspetti peculiari del problema spagnolo,
quello del sesso, un aspetto al quale, al di fuori di ogni suggestione freudiana,
l'autore lo dichiara esplicitamente, ma con la sola evidenza degli eventi quotidiani e delle manifestazioni più immediate, si possono ricondurre tutte le caratteristiche del temperamento spagnolo ed i condizionamenti ai quali è assoggettato.
Il sesso come esplosione di istinti repressi per un verso ed incanalati opportunamente per un altro verso, è presente nelle corride, per esempio, fatto rituale in
che la morte, particolarmente intesa, trova la sua più orgogliosa esaltazione,
così come è presente nella religione fideisticamente imposta ed accettata con
credenza a sostegno delle quali un ruolo preminente giuoca l'ignoranza o la
total rinuncia ad una umana e civile consapevolezza. E ancora, la prostituzione,
tollerata come necessità, al fondo dell'analisi, del peccato a mo' di giustificazione
della paternalistica opera di redenzione che lo stato-chiesa si è assunta, a sostegno
anche della concezione di una pretesa missione storica — abbiamo visto come
altre conclamate missioni storiche or sono venti anni circa sono miseramente
franate seminando vittime in tutti i continenti — della Spagna, consacrata in un
catechismo politico redatto a cura delle autorità falan g iste ed i cui postulati lo
scrittore, qua e là, nel corpo del racconto ed a commento della sua analisi
introduce testualmente.
Interessante, come rincalzo del panorama generale ed a migliore convalida di
certo oltranzismo cattolico, il discorso dello scrittore intorno alle larvali minoranze religiose, gli ebrei e i protestanti (di ceppo ebraico, sembra un paradosso,
è lo stesso caudillo!) alla grama esistenza che la costituzione, capziosamente
disponibile, e la prassi quotidiana fanno loro menare. E' propria, sembra voler
dimostrare lo scrittore, del dispotismo confessionale che s'affida alle strutture
dello stato per vivere e sopravvivere, l'intolleranza religiosa e razz i ale portata a
conseguenze pratiche — la difficoltà che incontrano i protestanti, per esempio,
nel contrarre matrimonio oltre che nel professare il loro culto — le quali finiscono
inevitabilmente con l'immeschinire quelle stesse strutture dello stato.
Un libro, pertanto, di proficua lettura che non può non far meditare chi
voglia esattamente rendersi conto delle condizioni di vita nella Spagna degli
anni nostri.
ENZO PANARE
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