criminalita - Osservatorio per la legalità e la sicurezza

CRIMINALITA’ INCHIESTE TARANTO
6 giugno
CALANO LE RAPINE E AUMENTANO GLI ARRESTI
Più arresti in flagranza di reato, soprattutto per i furti e meno rapine grazie ad un capillare servizio
di controllo del territorio. È tempo di bilanci per i Carabinieri in occasione del tradizionale
anniversario di fondazione della benemerita. il comandante provinciale, colonnello Daniele
Mirimarico, si è soffermato sui risultati conseguiti in provincia di Taranto nel periodo a cavallo tra
il 2012 e questi primi mesi del 2013. «Dall’analisi dei dati dell’attività operativa -si legge in una
nota del comando provinciale -, emerge un andamento nel complesso stazionario della criminalità,
con un incremento di ben il 9% dei delitti scoperti dall’Arma in provincia. Prendendo poi come
riferimento il periodo gennaio-maggio 2012, in comparazione con lo stesso periodo del 2013, si
registra un’invariata attività di contrasto (1.074 reati scoperti nel 2012 e 1.069 nel 2013). In
particolare, l’attività di repressione dei reati contro il patrimonio si è rivelata efficace in tema di
furti (più 4% scoperti nell’anno 2012 rispetto all’anno 2011, a fronte di un più 25% scoperti nel
periodo gennaio-maggio 2013 rispetto ad analogo periodo 2012). Il confronto nel biennio 20112012, in cui il comando provinciale si è attestato su una media annuale di ben 700 arresti - prosegue
la nota -, evidenzia un aumento di quelli su ordinanza dell’auto - rità giudiziaria dell’83,3%, che
sottolinea la qualità delle investigazioni condotte. Prendendo poi in esame i periodi gennaio-maggio
2012 e gennaio-maggio 2013, emerge un incremento degli arresti in flagranza pari al più 4,6%,
mentre le denunce a piede libero si attestano su valori pressoché invariati, di circa 3.000 annue. Le
misure di prevenzione personale, in particolare le proposte per le sorveglianze speciali di pubblica
sicurezza fanno registrare un sensibile incremento (+54%) raffrontando il 2012 con il 2011, ed un
ulteriore aumento (+3%) nei primi 5 mesi del 2013 rispetto al 2012». «Si registra inoltre un
significativo incremento nel numero delle ore dedicate alla prevenzione (da 157.591 a 163.057), per
un totale di 19.037 servizi espletati a contatto diretto con le comunità, soprattutto da parte delle 29
Stazioni della provincia. Un capillare controllo del territorio che ha fatto diminuire del 19% le
rapine dal 2011 al 2012 e di un ulteriore calo del 14%.
21 giugno
LA SAGA DEL CLAN MODEO
Modeo significa evocare la mafia a Taranto. La malavita che fu, e che insanguinò le nostre «ridenti
contrade», a cavallo degli Anni Ottanta-Novanta. Claudio Modeo, il «boss» 49enne morto d’infarto
l’altra sera nel carcere di Secondigliano, dove scontava la condanna all’ergastolo, era l’ultimo
rampollo dell’omonima famiglia criminale. Il processone Ellesponto, il primo vero processo alla
criminalità tarantina, ha ricostruito la saga dei fratelli Riccardo, Gianfranco e Claudio Modeo, i tre
«astri nascenti», la scalata ai santuari della droga, il racket delle estorsioni, gli omicidi a catena
soprattutto all’interno di formazioni prima alleate e poi nemiche dell’organizzazione madre.
Ammazzamenti a grappoli concentrati nel periodo compreso fra la primavera dell’89 - una
primavera a suo modo rivoluzionaria segnata dalla morte di Vito Masi, vecchio malavitoso di
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"panza" ucciso su mandato di Riccardo e Gianfranco Modeo - e la fine del ’91. L’inchiesta ha
svelato la storia di una malavita diversa, non solo temporalmente, da quella banditaglia che un
secolo prima, proprio negli anni Novanta, fu protagonista, nella chiesa laicizzata di San Giovanni di
Dio, di un analogo processone intitolato «La causa della mala vita». Lì c’erano furti e sopraffazioni
di cortissimo cabotaggio, al massimo duelli a singolar tenzone e intrecci di prostitute. Ma non
v’erano morti ammazzati e affari di droga. La leggenda ruota attorno ad Antonio Modeo,
soprannominato «il messicano» per i suoi tratti somatici che gli valsero una comparsata in un
western all’italiana. Figlio di Cosima Ceci ma non di Giulio Modeo, dal quale comunque prese il
cognome, il boss militante di Lotta continua aveva il controllo del Mercato Ortofrutticolo ed agiva
per conto della Nuova Camorra Pugliese insieme ad Aldo Vuto. Quando Tonino Modeo faceva il
contrabbandiere di sigarette e praticava le prime estorsioni, i suoi fratelli erano poco più che
cuccioli, pur se mostravano una gran voglia di crescere e in fretta. Lo misero in chiaro verso la metà
degli anni Ottanta, quando il «messicano» s’era già fatta, dal suo punto di vista, una buona fama
consolidando affari «puliti» con la grande industria siderurgica (tra i pochi a fiutare e sfruttare le
«delizie» dell’indotto) e contestualmente buttandosi nei traffici di stupefacenti con agganci in
Calabria e nella Campania ancora influenzata dalla Nco cutoliana, senza per questo rinunciare al
controllo del racket delle estorsioni. Fu qui che i Modeo si spaccarono definitivamente.
Approfittando anche dei movimentati impegni giudiziari di Tonino, ormai relegato nel suo «feudo»
di Statte in una villa-bunker protetta da un alto muro abusivo che occludeva la Salita Montello o, a
seconda dei periodi, latitante e a volte grottesco manager di idee socio-politiche di vago stampo
radicale, gli altri fratelli di strinsero attorno a mamma Ceci. Così il «messicano» sparì pur negli
affetti dell’originario stato di famiglia guadagnando alla sua causa i vari Salvatore De Vitis, Cataldo
Ricciardi, Gregorio Cicala e altri delusi del comportamento dei fratelli, che intanto si erano immersi
nelle estorsioni, nei traffici di droga e nel gioco d’a z z ard o. La frattura definitiva arrivò il 27
giugno 1989 quando la Cassazione confermò la condanna per Riccardo e Gianfranco a 22 anni di
reclusione. Era la sentenza per l’efferato delitto di Matteo Marotta del luglio ’85. Antonio Modeo
credeva di poter ereditare tutta l’organizzazione e diventare padrone assoluto della città. Ma doveva
fare i conti con una forza d’urto in continua ascesa. La guerra tra clan provocò oltre cento morti
ammazzati in tre anni. Claudio Modeo (anche lui chiamato in causa dai pentiti Marino Pulito,
Salvatore Annacondia, Vincenzo Catapano e Francesco Di Bari) era stato condannato all’ergastolo
per associazione mafiosa, associazione finalizzata al traffico di droga, per il tentato omicidio di
Santa Gravina e per l’omicidio di Cosimo Lippo, risalente al 24 novembre 1989. La vittima si
affacciò sull’uscio di casa e fu colpita dalle pistolettate esplose da due killer travestiti da carabinieri.
Un «commando» armato organizzò l’agguato a Lippo, reo di aver guidato la motocicletta con a
bordo Gregorio Cicala nell’attentato a Giovanni Orlando. Un affronto per il prestigio dei Modeo.
Uno sgarro da far pagare con la morte.