DGR_02 Prefazione - Don Gerlando Re

Prefazione
Impegnarsi in un genere come la biografia per raccontare la vita di un sacerdote
da additare ad esemplare di santità, potrebbe essere considerato, per certi aspetti, un
atto di coraggio e un rischio; specie se la penna non è quella di un biografo di
professione o di uno studioso attento ma distaccato, sebbene quella di un intimo
congiunto che, proprio quella vita vide tragicamente e prematuramente spegnersi, raccogliendola tra le sue giovani braccia, come Giovanni sotto la Croce, quando tutto fu
compiuto.
Se è vero, infatti, che presentare i tratti di una figura “straordinaria” ed “eroica”
può trovare le sue motivazioni non solo in un tributo di devoto affetto familiare ma
anche in base ad esigenze che sembrano appartenere alla struttura profonda dell’uomo, a
fondamentali bisogni di tipo biologico, psicologico e sociale, tradotti nei meccanismi di
identificazione in un “modello”, di comunicazione attraverso simboli umani “viventi”, di
sublimazione della paura della morte (1); d'altra parte, è pur vero che la
rappresentazione di figure “straordinarie”, “eroiche” e dotate di un particolare carisma di
santità, viene soggetta al rischio di suscitare indifferenza o diffidenza, in una società
caratterizzata da una vasta e profonda secolarizzazione. Con il venir meno, infatti, della
capacità tradizionale, da parte della religione, di ispirare in modo profondo le coscienze
ed i comportamenti, nell'attuale società, che, per riempire i “vuoti” di senso sempre più
vasti, si affida ai mezzi di comunicazione di massa per la produzione di “miti” ed “eroi”,
da imporre a tutti, in un'avida consumazione - effimeri “miti” ed “eroi” dell'effimero - la
santità, guardata con impietoso occhio demitizzante ed indifferente, viene ad essere, tutt'al
più, identificata con una realtà “stravagante”, al limite della patologia. Nel credente, a
sua volta, potrebbe manifestarsi una sorta di diffidenza, un blocco “psicologico”,
qualora si dipingesse la santità come eroismo titanico e perfezione insuperabile e quelle
figure diventassero “collezionisti” di virtù al di sopra e al di là di ogni benché minima
possibilità di errore, in una idealizzazione agiografica mitica ed irrealistica.
L'Autore di quest'opera ha affrontato questi rischi, superandoli, a nostro avviso,
con un atto di coraggio che non può non suscitare ammirazione anche alla coscienza di
lettori dichiaratamente “laici”, trovando la sua interiore giustificazione non solo nel
desiderio fraterno di una appassionata e toccante rievocazione di una figura che tanto
gli ha lasciato in eredità spirituale, ma anche in un'autentica testimonianza di fede,
personale ed ecclesiale, nello spirito del suo profondo senso religioso della vita. Ciò
che l'Autore ha cercato e tracciato di quella figura è stata l'autenticità attuata nella
radicale coerenza di un'esistenza che, rendendosi disponibile a Dio, si è posta a totale
servizio dell'uomo. Emerge da queste pagine, con netta evidenza, un'immagine di
santità intesa come apertura ed attenzione ai segni dei tempi, ai bisogni dell'uomo
nella situazione storica in cui è implicato, così che, se essa affonda le sue radici in
Dio, è per portare frutti di salvezza nel mondo, conforme a quanto si legge nella
“Lumen Gentium”: «dalla santità è promosso, anche nella società terrena, un tenore di
vita più umano» (LG 40). Una santità come risposta ad una chiamata per vocazione da
Dio, accolta come dono per mezzo della Grazia e promossa come un cammino di
progressivo e totale abbandono alla volontà di Dio, rivestendosi degli stessi sentimenti
di Cristo (cf. Phil. 2,5).
Proprio per questo, il martirio di don Gerlando appare come il coronamento della
sua santità cristiana, di cui ha percorso la via “regale” della carità, come la concretizzazione
più tangibile della carità di Cristo nel mondo, come l'attuazione piena del processo
secondo il quale “il discepolo diventa una realtà sola con il Maestro” (LG 42).
Così, “se è vero che da sempre il martirio è stato compreso nel suo riferimento
diretto alla fede, anche se tutto ciò continua a rimanere vero, si può aggiungere che la
nostra epoca, e lo dimostrano i fatti, comincia ad offrirci nuovi modelli di martirio nei
quali l'evidenza del segno dell'amore sembra primeggiare occupando un posto di tutto
rilievo. Ciò significa che martire è anche colui che, sulla base di una profonda convinzione
di fede, si compromette in concreti gesti d'amore e di solidarietà con la causa dell'uomo,
non rifiutandosi di fare dono della sua vita per testimoniare contro ogni abuso dell'uomo
sull'uomo, per salvaguardare la dignità di ogni esistenza umana” (2).
A tale riguardo, in riferimento alla problematica teologica relativa a questa
dimensione della santità, sarebbe stato opportuno, da parte dell'Autore, supportare le pur
puntuali argomentazioni addotte, rivolgendo l’attenzione anche a quanto è venuto
maturando nella riflessione post - conciliare, che ha rivisitato e riletto il concetto di
martirio alla luce della definizione contenuta nella “Lumen gentium” (3).
Di questa biografia ci piace segnalare ancora, senza avere la pretesa di
considerarlo esaustivo, l'apprezzabile sforzo di ricostruzione del quadro storico -
politico - sociale ed ecclesiale, all'interno del quale si spese quella nobile vita. Rivive così,
anche attraverso una dimensione memoriale molto gradevole e partecipata, la vita della
comunità di Cianciana, con i suoi costumi, le tradizioni, la laboriosità, le passioni civili, il
suo spirito religioso, fervidamente alimentato dalla presenza di don Gerlando.
“Maledetta la terra che ha bisogno di eroi” è stato scritto. Benedetta la terra di
Cianciana, vorremmo sostenere, dopo la lettura di queste pagine; terra che ha
alimentato dei suoi migliori nutrimenti una santa famiglia e che ha ricevuto da Dio il
dono di un santo sacerdote.
Infine, e non mi pare merito da poco, quest'opera, proprio per la tensione
religiosa di cui è permeata, si offre come occasione di riflessione, più in generale sul
senso della vita e, più in particolare, della vita in un orizzonte di fede cristiana. Così, di
fronte ad una testimonianza di fede e di carità condotta fino alla morte, tragica e
prematura, riparlano al cuore altre meditazioni su un'altra vita, su un'altra morte:
“Umanamente parlando Egli aveva ancora la vita dinanzi a Sé. Cosa avrebbe ancora
fatto, insegnato, operato, quanto aiuto avrebbe ancora dato Gesù, quale pienezza di vita
divina avrebbe ancora potuto germogliare e fiorire da Lui, se Egli avesse percorso
tutto il cammino della vita di un uomo? Ma ora tutto è distrutto. E questa appunto è la
«pazzia della Croce»”(4).
Così come, a fronte della domanda estrema “Perché questa morte?” che
costituisce il cuore intimo della biografia, lo spirito richiama a sé la risposta estrema:
“Se uno domanda: Che vi è dunque di certo? Di così certo da potervi consacrare la vita
e la morte? Di così certo da potergli affidare tutto? – la risposta dice: l'amore di
Cristo… La vita c'insegna che questa realtà suprema non sono uomini, fossero anche i
migliori e i più cari; neppure scienza o filosofia o arte, o che altro mai forza umana sia
in grado di produrre… Certo è unicamente l'amore di Cristo… saldo sta solo ciò che
si è rivelato sulla Croce: l'intenzione che vi regna, la forza che riempie quel cuore.
È proprio vero ciò che sovente si annuncia in maniera così inadeguata: il cuore di Gesù
Cristo è principio e fine di tutto” (5).
Se la lettura di quest'opera, al di là di tutti gli altri nobili intenti che potrà
raggiungere, dovesse suscitare nel lettore anche solo queste riflessioni, sarebbe la
prova più autentica della presenza ancora viva dello spirito di don Gerlando,
comunicata, nella scrittura, dal fraterno atto di amore dell'Autore.
prof. Manlio Schiavo
_______________
(1)
Per la problematica relativa a questi processi, cfr., in generale, V. TURNER, Simboli e
momenti della comunità, Marcelliana, Brescia, 1975; S. FREUD, L'uomo Mosé e la religione
monoteistica, Boringhieri, Torino, 1979; E. CANETTI, Massa e potere, Adelphi, Milano,1981; M.
WEBER, Economia e società, Ed. Comunità, Milano, 1981, voi. II, parte II, cap. V; K. LORENZ, Natura
e destino, Mondadori, Milano, 1985.
(2)
Cfr., U. SARTORIO, II segno del martirio oggi, "Credere oggi" 5/1988, n. 47, pgg. 92-93.
(3)
Per la problematica relativa, cfr. in generale: K. RAHNER, Sulla teologia della morte. Con
una digressione sul martirio, Brescia, 1965; AA.VV., Martiri, ieri
e
oggi,
"Servitium",
15,
1981,
n.16/17; "Concilium",
3,
1983; R. FISICHELLA, II martirio come testimonianza:
contributi per una riflessione sulla definizione di martire, in AA.VV., Portare Cristo all'uomo, II,
Roma, 1985. Per l'aspetto giuridico, E. PIACENTINI, II martirio nelle cause dei santi, Roma, 1979;
B.GHERARDINI, II martirio nella moderna prospettiva teologica, "Divinitas" 1,1982.
(4)
(5)
Cfr., R. GUARDINI, La via crucis, Lice, Padova, 1965, pg. 42.
Cfr., R. GUARDINI, II Signore, V.E.P., Milano, 1977, pg. 495.