Prefazione Impegnarsi in un genere come la biografia per raccontare la vita di un sacerdote da additare ad esemplare di santità, potrebbe essere considerato, per certi aspetti, un atto di coraggio e un rischio; specie se la penna non è quella di un biografo di professione o di uno studioso attento ma distaccato, sebbene quella di un intimo congiunto che, proprio quella vita vide tragicamente e prematuramente spegnersi, raccogliendola tra le sue giovani braccia, come Giovanni sotto la Croce, quando tutto fu compiuto. Se è vero, infatti, che presentare i tratti di una figura “straordinaria” ed “eroica” può trovare le sue motivazioni non solo in un tributo di devoto affetto familiare ma anche in base ad esigenze che sembrano appartenere alla struttura profonda dell’uomo, a fondamentali bisogni di tipo biologico, psicologico e sociale, tradotti nei meccanismi di identificazione in un “modello”, di comunicazione attraverso simboli umani “viventi”, di sublimazione della paura della morte (1); d'altra parte, è pur vero che la rappresentazione di figure “straordinarie”, “eroiche” e dotate di un particolare carisma di santità, viene soggetta al rischio di suscitare indifferenza o diffidenza, in una società caratterizzata da una vasta e profonda secolarizzazione. Con il venir meno, infatti, della capacità tradizionale, da parte della religione, di ispirare in modo profondo le coscienze ed i comportamenti, nell'attuale società, che, per riempire i “vuoti” di senso sempre più vasti, si affida ai mezzi di comunicazione di massa per la produzione di “miti” ed “eroi”, da imporre a tutti, in un'avida consumazione - effimeri “miti” ed “eroi” dell'effimero - la santità, guardata con impietoso occhio demitizzante ed indifferente, viene ad essere, tutt'al più, identificata con una realtà “stravagante”, al limite della patologia. Nel credente, a sua volta, potrebbe manifestarsi una sorta di diffidenza, un blocco “psicologico”, qualora si dipingesse la santità come eroismo titanico e perfezione insuperabile e quelle figure diventassero “collezionisti” di virtù al di sopra e al di là di ogni benché minima possibilità di errore, in una idealizzazione agiografica mitica ed irrealistica. L'Autore di quest'opera ha affrontato questi rischi, superandoli, a nostro avviso, con un atto di coraggio che non può non suscitare ammirazione anche alla coscienza di lettori dichiaratamente “laici”, trovando la sua interiore giustificazione non solo nel desiderio fraterno di una appassionata e toccante rievocazione di una figura che tanto gli ha lasciato in eredità spirituale, ma anche in un'autentica testimonianza di fede, personale ed ecclesiale, nello spirito del suo profondo senso religioso della vita. Ciò che l'Autore ha cercato e tracciato di quella figura è stata l'autenticità attuata nella radicale coerenza di un'esistenza che, rendendosi disponibile a Dio, si è posta a totale servizio dell'uomo. Emerge da queste pagine, con netta evidenza, un'immagine di santità intesa come apertura ed attenzione ai segni dei tempi, ai bisogni dell'uomo nella situazione storica in cui è implicato, così che, se essa affonda le sue radici in Dio, è per portare frutti di salvezza nel mondo, conforme a quanto si legge nella “Lumen Gentium”: «dalla santità è promosso, anche nella società terrena, un tenore di vita più umano» (LG 40). Una santità come risposta ad una chiamata per vocazione da Dio, accolta come dono per mezzo della Grazia e promossa come un cammino di progressivo e totale abbandono alla volontà di Dio, rivestendosi degli stessi sentimenti di Cristo (cf. Phil. 2,5). Proprio per questo, il martirio di don Gerlando appare come il coronamento della sua santità cristiana, di cui ha percorso la via “regale” della carità, come la concretizzazione più tangibile della carità di Cristo nel mondo, come l'attuazione piena del processo secondo il quale “il discepolo diventa una realtà sola con il Maestro” (LG 42). Così, “se è vero che da sempre il martirio è stato compreso nel suo riferimento diretto alla fede, anche se tutto ciò continua a rimanere vero, si può aggiungere che la nostra epoca, e lo dimostrano i fatti, comincia ad offrirci nuovi modelli di martirio nei quali l'evidenza del segno dell'amore sembra primeggiare occupando un posto di tutto rilievo. Ciò significa che martire è anche colui che, sulla base di una profonda convinzione di fede, si compromette in concreti gesti d'amore e di solidarietà con la causa dell'uomo, non rifiutandosi di fare dono della sua vita per testimoniare contro ogni abuso dell'uomo sull'uomo, per salvaguardare la dignità di ogni esistenza umana” (2). A tale riguardo, in riferimento alla problematica teologica relativa a questa dimensione della santità, sarebbe stato opportuno, da parte dell'Autore, supportare le pur puntuali argomentazioni addotte, rivolgendo l’attenzione anche a quanto è venuto maturando nella riflessione post - conciliare, che ha rivisitato e riletto il concetto di martirio alla luce della definizione contenuta nella “Lumen gentium” (3). Di questa biografia ci piace segnalare ancora, senza avere la pretesa di considerarlo esaustivo, l'apprezzabile sforzo di ricostruzione del quadro storico - politico - sociale ed ecclesiale, all'interno del quale si spese quella nobile vita. Rivive così, anche attraverso una dimensione memoriale molto gradevole e partecipata, la vita della comunità di Cianciana, con i suoi costumi, le tradizioni, la laboriosità, le passioni civili, il suo spirito religioso, fervidamente alimentato dalla presenza di don Gerlando. “Maledetta la terra che ha bisogno di eroi” è stato scritto. Benedetta la terra di Cianciana, vorremmo sostenere, dopo la lettura di queste pagine; terra che ha alimentato dei suoi migliori nutrimenti una santa famiglia e che ha ricevuto da Dio il dono di un santo sacerdote. Infine, e non mi pare merito da poco, quest'opera, proprio per la tensione religiosa di cui è permeata, si offre come occasione di riflessione, più in generale sul senso della vita e, più in particolare, della vita in un orizzonte di fede cristiana. Così, di fronte ad una testimonianza di fede e di carità condotta fino alla morte, tragica e prematura, riparlano al cuore altre meditazioni su un'altra vita, su un'altra morte: “Umanamente parlando Egli aveva ancora la vita dinanzi a Sé. Cosa avrebbe ancora fatto, insegnato, operato, quanto aiuto avrebbe ancora dato Gesù, quale pienezza di vita divina avrebbe ancora potuto germogliare e fiorire da Lui, se Egli avesse percorso tutto il cammino della vita di un uomo? Ma ora tutto è distrutto. E questa appunto è la «pazzia della Croce»”(4). Così come, a fronte della domanda estrema “Perché questa morte?” che costituisce il cuore intimo della biografia, lo spirito richiama a sé la risposta estrema: “Se uno domanda: Che vi è dunque di certo? Di così certo da potervi consacrare la vita e la morte? Di così certo da potergli affidare tutto? – la risposta dice: l'amore di Cristo… La vita c'insegna che questa realtà suprema non sono uomini, fossero anche i migliori e i più cari; neppure scienza o filosofia o arte, o che altro mai forza umana sia in grado di produrre… Certo è unicamente l'amore di Cristo… saldo sta solo ciò che si è rivelato sulla Croce: l'intenzione che vi regna, la forza che riempie quel cuore. È proprio vero ciò che sovente si annuncia in maniera così inadeguata: il cuore di Gesù Cristo è principio e fine di tutto” (5). Se la lettura di quest'opera, al di là di tutti gli altri nobili intenti che potrà raggiungere, dovesse suscitare nel lettore anche solo queste riflessioni, sarebbe la prova più autentica della presenza ancora viva dello spirito di don Gerlando, comunicata, nella scrittura, dal fraterno atto di amore dell'Autore. prof. Manlio Schiavo _______________ (1) Per la problematica relativa a questi processi, cfr., in generale, V. TURNER, Simboli e momenti della comunità, Marcelliana, Brescia, 1975; S. FREUD, L'uomo Mosé e la religione monoteistica, Boringhieri, Torino, 1979; E. CANETTI, Massa e potere, Adelphi, Milano,1981; M. WEBER, Economia e società, Ed. Comunità, Milano, 1981, voi. II, parte II, cap. V; K. LORENZ, Natura e destino, Mondadori, Milano, 1985. (2) Cfr., U. SARTORIO, II segno del martirio oggi, "Credere oggi" 5/1988, n. 47, pgg. 92-93. (3) Per la problematica relativa, cfr. in generale: K. RAHNER, Sulla teologia della morte. Con una digressione sul martirio, Brescia, 1965; AA.VV., Martiri, ieri e oggi, "Servitium", 15, 1981, n.16/17; "Concilium", 3, 1983; R. FISICHELLA, II martirio come testimonianza: contributi per una riflessione sulla definizione di martire, in AA.VV., Portare Cristo all'uomo, II, Roma, 1985. Per l'aspetto giuridico, E. PIACENTINI, II martirio nelle cause dei santi, Roma, 1979; B.GHERARDINI, II martirio nella moderna prospettiva teologica, "Divinitas" 1,1982. (4) (5) Cfr., R. GUARDINI, La via crucis, Lice, Padova, 1965, pg. 42. Cfr., R. GUARDINI, II Signore, V.E.P., Milano, 1977, pg. 495.
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