Copertina - Manageritalia

Copertina
MANAGER
DA ESPOR
Come è accolto un
manager italiano
all’estero? Cosa pensano
del nostro paese al di là
dei confini? Quanto è utile
un’esperienza
internazionale?
I risultati di un’indagine
esclusiva
Eliana Sambrotta
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GENNAIO/FEBBRAIO 2014
C
ONTENTI DEL LAVORO, della vita
personale, delle relazioni… insomma, oltreconfine
è un bel vivere! Al di là del luogo comune che dipinge le città estere vivibili e green, tecnologiche e
ricche di offerte di lavoro, flessibilità, opportunità e
meritocrazia, i manager italiani che si trovano in altri paesi effettivamente confermano che lavorare all’estero offre molti di questi vantaggi. È chiaro il quadro che emerge da una recente indagine di Manageritalia e Kilpatrick a cura di AstraRicerche, che si è
posta come obiettivo quello di indagare la situazione dei manager italiani all’estero.
Quali manager? Parliamo soprattutto di chi occupa posizioni di general
management (40%), marketing, vendite e commerciale (17%), amministrazione, finanza e controllo (12%) e personale (11%); in multinazionali
estere (53%), italiane (42%) o in aziende locali del paese che li ospita (5%).
Poco più della metà di loro è all’estero da massimo cinque anni (il
28% da meno di tre), mentre il 19% si è trasferito da oltre dieci anni.
RTAZIONE
Dove per l’esattezza? Principalmente in Europa (55%), a seguire Asia (26%) e America (18%).
Perché partire?
Nella quasi totalità dei casi, i
manager sono volutamente
andati a lavorare all’estero, spesso cercando loro
stessi un’azienda che offrisse
quell’opportunità o concordandolo con l’azienda nella quale già
erano in Italia. Solo una pallida
minoranza (4%) ha subito questa
decisione o magari è stata obbligata dall’azienda.
I motivi che li hanno spinti all’este-
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ro sono legati al lavoro: possibilità
professionali più stimolanti di
quelle presenti in Italia (51%), voglia di un’esperienza internazionale (38%), passaggio obbligato per
fare carriera in azienda (24%). C’è
anche chi è stato “costretto” dal fatto di non aver trovato opportunità
interessanti in Italia (27%) o da motivi personali/familiari (9%). A dispetto di quel che si possa pensare
delle cosiddette fughe di cervelli in
età universitaria, solo il 5% si trova
in un paese straniero perché vi è rimasto dopo essersi trasferito per
motivi di studio.
L’INDAGINE
Effettuata da AstraRicerche per Manageritalia e Kilpatrick, “La fuga dei talenti: i manager italiani espatriati” si è basata su interviste via web a oltre 1.500 manager italiani che attualmente vivono e lavorano all’estero. Nei
15 giorni nei quali è rimasta attiva l’indagine, hanno risposto in 447, un
campione rappresentativo per caratteristiche anagrafico-professionali degli
oltre 10mila dirigenti italiani attualmente espatriati. I 447 sono, infatti, nel
90% dei casi maschi e nel 10% femmine, il 38% ha fino a 40 anni, il 49%
tra 41 e 50 e il 13% oltre 50 anni. Sono, nel 74% dei casi, coniugati o conviventi e di questi il 56% ha la famiglia al seguito.
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Su cosa puntare?
Se il manager italiano oltreconfine
è soddisfatto, soprattutto dal punto di vista professionale, cosa pensano di lui gli stranieri con cui si deve confrontare? Pare che di noi vengano apprezzati in particolare passione e impegno nel lavoro, capacità relazionali e creatività. Seguono
resistenza e capacità di affrontare
situazioni difficili, esperienza e capacità in settori specifici, spirito imprenditoriale e visione strategica.
Invece risultiamo penalizzati per
quanto riguarda la multiculturalità, decretata piuttosto scarsa, l’incapacità di staccarsi dai modelli
aziendali/manageriali italiani e
l’eccessivo richiamo delle radici.
Quindi per fare carriera in terra
straniera gli intervistati suggeriscono apertura al cambiamento
(72%), spirito di adattamento
(71%) e voglia di mettersi in gioco
(51%). Poi anche intraprendenza,
umiltà e visione.
In effetti queste risposte rispecchiano un punto successivo dello studio che denota come la capacità della classe manageriale
italiana (chi oggi vive e lavora in
patria) di muoversi in ambito internazionale è scarsa. Gli intervistati all’estero criticano nei loro
colleghi rimasti qui la poca esperienza e frequentazione dell’estero (lo pensa l’85%), li ritengono
impreparati ad affrontare le sfide
che arrivano dall’estero (51%) e
senza lo standing internazionale
necessario per muoversi in un
mondo globale (55%). La nota
positiva è che la maggioranza degli intervistati crede che comunque nei loro colleghi ci sia la voglia di confrontarsi con l’estero.
Italian appeal
L’attrattività dell’Italia per i manager stranieri è discreta: quasi la metà dei manager italiani intervistati che lavorano all’estero afferma di
conoscere manager stranieri disposti a trasferirsi in Italia. E questo
avviene più per chi oggi è in America (58%), rispetto a chi è in Europa (47%) o Asia (40%). I motivi restano però ancorati alle caratteristiche del Bel Paese: lo farebbero infatti principalmente perché
l’Italia rimane sempre uno dei più bei paesi del mondo (secondo il
90%). Mentre ben pochi si sposterebbero perché da noi ci sono realtà aziendali interessanti (24%) o perché avrebbero buone opportunità professionali (12%).
Più meritocrazia
e meno discriminazioni
Nello specifico cosa rende altri
paesi luoghi migliori e così soddisfacenti per lavorare? L’ampia
maggioranza è molto o abbastanza d’accordo nel riscontrare più
meritocrazia generalmente in tutti gli ambiti (86%), nell’ammettere
che è più facile fare carriera per
merito e senza avere particolari
conoscenze (79%) e che le cono-
All’estero è un altro
mondo anche per quanto
riguarda le donne,
che hanno più possibilità
di fare carriera perché
vige il merito, non sono
discriminate e sono aiutate
da più servizi per la famiglia
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scenze valgono e si usano in relazione al merito e all’esperienza
delle persone (79%).
Un altro mondo anche per quanto
riguarda le donne, che hanno più
possibilità di fare carriera perché
vige il merito (lo dice il 68%), non
sono discriminate (64%) e sono
aiutate da più servizi per la famiglia e/o condivisione dei carichi
familiari (61%).
Casa è sempre casa, ma…
L’84% dei manager italiani al-
Kilpatrick – International executive search è un importante player per la ricerca di executive, manager e specialisti. Offre servizi unici con accesso a più
di 40 paesi e 130 uffici grazie a 10 sedi proprie e al network internazionale
Iesf (International executive search federation): recruitment a livello internazionale; conoscenza solida del mercato e comprensione delle problematiche
di business.
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l’estero conferma che l’Italia resta
il più “Bel Paese” in cui vivere e
otto su dieci vorrebbero che il
paese dove vivono oggi la prendesse ad esempio per molti aspetti della vita sociale. Ma, ci sono
sempre dei ma…
Una netta maggioranza afferma
che qui oggi non ci sono prospettive a livello economico e sociale
per pensare di tornare (83%),
l’Italia dovrebbe prendere il paese dove abita oggi come esempio
per molti aspetti della vita professionale (77%), l’Italia è un paese corrotto (66%) e ha una pessima immagine all’estero (61%). In
questo il giudizio più severo pro-
viene da chi vive in Europa, rispetto a chi sta in America. Eppure casa è sempre casa perciò solo
l’8% degli intervistati non tornerebbe in Italia durante la sua vita
lavorativa. C’è chi lo farebbe nel
breve periodo (il 26% tra uno o
due anni), nel medio (33% fra tre
e cinque anni), nel lungo (34% tra
sei e dieci anni) o nel lunghissimo periodo (6% oltre dieci anni).
Il motivo principale per tornare è
quasi unicamente affettivo, quindi
per riavvicinarsi alla famiglia (principale o altri parenti cari se la famiglia vive già all’estero) o per la qualità della vita. Poco più di un terzo
(37%) sono quelli che tornerebbero
per opportunità professionali.
I pochissimi che non tornerebbero
neanche per sogno lo motivano con
il fatto che il paese è in declino e non
credono potrà riprendersi (lo pensa
il 67% di loro), con la mancanza di
valide opportunità professionali
(58%) e di meritocrazia (42%). Meno della metà sostiene che non tornerebbe perché ormai ha costruito
la sua vita dove vive ora.
Il ruolo del manager all’estero
Indipendentemente dal paese o
continente di appartenenza degli
intervistati, la figura del manager
è ritenuta una componente importante della classe dirigente (96%),
una delle professioni più ambite
dai giovani (76%) e ha ruolo e voce in capitolo nel definire le scelte
economiche del paese (65%). Oltre
il 70% afferma che nel proprio
Esperienze internazionali
Il ritorno in patria dei manager
che hanno lavorato all’estero
potrebbe dare grossi vantaggi
all’Italia: due terzi degli
intervistati ritiene che
porterebbe nel mondo del
lavoro e nell’economia
gli aspetti positivi appresi
all’estero, guiderebbe aziende
in modo vincente sui mercati
esteri e allineerebbe il mondo
del lavoro a quello dei paesi
più avanzati.
paese la distinzione tra top manager della finanza e la generalità dei
manager è netta e che questi ultimi raramente hanno una pessima
reputazione nell’immaginario comune. Uno scenario ben diverso
da quello di casa nostra, dove la
parola manager ha ancora confini
molto confusi, e spesso negativi!
Guardando quel che hanno lasciato alle spalle e confrontandolo con
il paese dove vivono ora, è chiaro
come l’Italia non sia la patria dei
manager perché ha una scarsa presenza manageriale nel privato (lo
dice l’87%), ha manager pubblici
inferiori a quelli dei principali paesi (85%), dà poco spazio ai manager nel privato per la predominanza di imprese familiari (63%). Ma
questo non incide sulle capacità visto che solo uno su tre pensa che i
manager italiani siano meno bravi
di quelli dei paesi più avanzati. Ⅵ
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LA VOCE
DI CHI
È PARTITO
PETER DURANTE
vice president human resources and organization North
America di Prysmian Group,
classe 1973, all’estero da due
anni.
Si è trasferito perché ha cercato un’opportunità all’estero o perché la sua azienda lo ha trasferito? Domanda e offerta si sono incontrati. Avevo voglia di
un’esperienza all’estero e Prysmian aveva probabilmente bisogno di qualcuno con le mie caratteristiche
in Nord America. Ho sempre viaggiato tanto all’estero per lavoro e per varie multinazionali, ma vivere
tutti continuativamente una cultura diversa dalla
mia mi mancava. Ora posso dire che sono due modi
molto differenti di vivere l’estero. E l’espatrio lo trovo più gratificante.
Come viene visto il manager italiano dagli stranieri? In modo eccellente. E a ragione. All’estero gli
italiani non hanno una gran fama, soprattutto per la
politica e il sistema paese pessimo che la politica ha
costruito. Esportiamo sempre l’idea che da noi non
funzioni nulla. E spesso è vero. Per contro cibo, design e moda restano le nostre eccellenze. E la managerialità sta diventando un prodotto export, forse
perché la nostra italianità, un misto di grande adat-
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tabilità culturale, unita all’abitudine di convivere e
districarsi con la difficoltà del sistema Italia in cui siamo cresciuti, fa di noi persone creative e resistenti,
spesso in grado di fare la differenza.
Cosa le piace di questo paese a livello professionale che in Italia manca? La certezza di essere in un sistema che funziona. Spesso mi sembra una pausa
dalle difficoltà. Anche qui non tutto funziona, ma le
volte in cui ho il dubbio che l’idea su cui sto lavorando possa incontrare ostacoli dettati da burocrazia,
“cattivo” sindacato, centri occulti di potere, incompetenza… sono molto molto minori. E questo aiuta
tutti a dare di più, a pensare in modo più creativo, a
pensare a come aggiungere valore, crescere, e non a
come superare gli ostacoli che ci saranno. È il sistema in sé quindi che libera creatività e fiducia.
E cosa le manca invece dell’Italia? Gli affetti, il
cibo, la storia, la cultura, il colore, l’estetica, la diversità di luoghi e persone, il poter passeggiare in
un centro storico. Faccio sempre più fatica a capire
come sia possibile che su questi pilastri non siamo
in grado di costruire il futuro per le prossime generazioni. Abbiamo tutto.
Pensa di tornare prima o poi? Certo che sì. L’Italia
è la nazione più bella del mondo. E da fuori si impara
ad apprezzarla semmai di più. Certo mi spaventa un
po’ rientrare perché questa pausa di normalità ti vizia.
E avendo bimbi piccoli la grande fiducia e il grande investimento sulle future generazioni che si respira in
Usa, in Italia non c’è. Per contro la cultura, la storia, a
tratti la fatica, che il nostro paese ci insegna sono un bagaglio personale e professionale unico. L’italianità si
costruisce in Italia, e semmai dopo si esporta.
CESARE SAVINI
general manager ITT Motion
technology in Repubblica Ceca, classe 1973, all’estero da
12 anni (8 in Cina e da 4 in
Repubblica Ceca).
Si è trasferito perché ha cercato un’opportunità all’estero o perché la sua azienda lo ha trasferito? In realtà è semplicemente capitato. Dopo i miei primi due
anni intensi di “gavetta” in Pirelli, dove ero entrato
come giovane ingegnere di produzione, mi è stata offerta l’opportunità di un’esperienza in Cina per una
green field operation nel settore dei cavi speciali per i
trasformatori di potenza. Il progetto era molto ambizioso e io non ho esitato ad accettare la sfida. Dopo
otto anni sono stato contattato per un’altra opportunità in Europa, quindi con la possibilità di avvicinarmi all’Italia. Nuovo progetto, nuovo settore, azienda
di primo livello e con una prospettiva di crescita sfidante e quindi interessante. Pertanto ho accettato di
“rientrare” in Europa.
Come viene visto il manager italiano dagli stranieri? Dipende: abbiamo esportato esempi, sia nel bene che nel male.
Cosa le piace di questo paese a livello professionale che in Italia manca? Se pur in maniera diversa,
Cina e Repubblica Ceca rimangono due paesi ideali dove fare impresa. Volendo semplificare, in entrambi i paesi è presente a vari livelli e con sfumature diverse, dalle istituzioni al cosiddetto tessuto
sociale, un sentimento diffuso e virtuoso per il quale viene privilegiato il Lavoro piuttosto che il Posto
di lavoro, come spesso accade in Italia in maniera
acritica e miope.
E cosa le manca invece dell’Italia? L’Italia è senza dubbio un grande paese, con tante eccellenze in
diversi settori, ma anche con tanti difetti. Mi mancano dagli aspetti più materiali, come la varietà del cibo, la tranquilla ma per certi versi straordinaria normalità della vita del mio paese, i miei vecchi, la mia
famiglia, i profumi e i colori della mia campagna, le
attività del centro delle cittadine piemontesi al mattino, i bar; a quelli più spirituali legati alla sacra romana Chiesa cattolica e apostolica. Per contro non mi
mancano affatto il nostro continuo piangerci addosso, la dietrologia e gli interessi di parte, il nostro povero senso dello Stato, le furberie e il vivacchiare, lo
scarso impegno, la poca onestà intellettuale, le clientele, il parlar male dell’Italia (non c’è nessun altro popolo al mondo che dileggia, schernisce, spesso insulta l’Italia quanto gli italiani), lo scarso rispetto per il
lavoro, la retorica vuota.
Pensa di tornare prima o poi? Non ho mai cercato
attivamente di rientrare, ma l’Italia è e resta il mio paese, sono orgoglioso di essere italiano e se si presentasse l’opportunità sarei più che contento di farlo.
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