STUDIO LEGALE Avv. Fabio Piccioni Patrocinante in Cassazione Corso specialistico per la Polizia Locale 50129 FIRENZE ● C. LANDINO n. 7/A 52025 MONTEVARCHI (AR) ● VIA SCRIVIA n. 6 TEL. & FAX 055.48.96.96 email: [email protected] pec: [email protected] www.avvocatieavvocati.it VIA Torino - Varese - Pordenone - Reggio Emilia - Ferrara - Modena - Ascoli Piceno - Chieti - L’aquila - Pescara - Roma - Campobasso - Napoli - Bari Assicurazione della responsabilità civile: polizza n. 252173655 Assicurazioni Generali S.p.A. Avv. Fabio Piccioni Patrocinante in Cassazione Patenti: novità introdotte Nozione di patente di guida La patente di guida, sotto il profilo sostanziale, è un provvedimento personale di abilitazione non modale - autorizzazione tecnico-amministrativa a carattere ampliativo della sfera soggettiva di azione - rilasciato a seguito di un controllo teorico-pratico mirante a verificare l’esistenza dei requisiti psico-fisici (art. 119 C.d.S. e artt. 319-329 Reg. C.d.S.), di età (art. 115 C.d.S.) e di abilità (art. 121 C.d.S.), mediante il quale la P.A. rimuove il limite legale posto all’esercizio di quell’attività inerente al diritto (soggettivo “pubblico”) di circolazione, attestando in capo al titolare l’idoneità alla guida. dei veicoli indicati nella specifica categoria di riferimento. Tale abilitazione è subordinata ad una precisa estensione temporale, variabile in relazione alla categoria e all’età del titolare - individuata dalla durata indicata sul documento (art. 126) - oltre la quale diviene inefficace; conseguentemente, è necessario procedere alla conferma della validità, consistente nella verifica della permanenza dei requisiti. Non si possono guidare veicoli ciclomotori, motocicli, tricicli, quadricicli e autoveicoli senza aver conseguito la patente di guida (art. 116 c. 1). La nuova patente UE Il D.Lgs. 59/2011, recante Attuazione delle direttive 2006/126/CE e 2009/113/CE concernenti la patente di guida, e il D.Lgs. 2/2013, recante Modifiche ed integrazioni ai decreti legislativi 18 aprile 2011, n. 59 e 21 novembre 2005, n. 286, nonché attuazione della direttiva 2011/94/UE recante modifiche della direttiva 2006/126/CE, concernente la patente di guida, previa sostituzione integrale dell’art. 116, hanno introdotto la nuova patente di guida conforme al modello UE, che si distingue in 15 diverse categorie di abilitazioni alla guida, con validità in tutti i Paesi dell’Unione. La completa riscrittura del primo comma dell’art. 115 disciplina anche nuovi e diversi requisiti di età minima per il conseguimento delle singole patenti e per la guida dei corrispondenti veicoli. La nuova disciplina, che è entrata in vigore a tappe, in parte dal 19 gennaio 2013 e integralmente dal 2 febbraio 2013, ha recato una serie di modifiche al codice della strada nel tentativo di perseguire i seguenti obiettivi: - ridurre le possibilità di frode, per contrastare la falsificazione; - garantire la libera circolazione dei conducenti all’interno dell’Unione Europea; - distinguere la circolazione con patenti rilasciate da Stati appartenenti all’Unione Europea da quella con patenti rilasciate da Stati extra U.E.; - contribuire ad aumentare il livello di sicurezza nella circolazione. Sulla nuova patente è stata eliminata l’indicazione della residenza del titolare, che figura ormai solo nell’archivio A.N.A.G. di cui all’art. 226; la patente, tuttavia, continua a mantenere la natura di documento di identità personale. L’art. 22 D.Lgs. 59/2011, stabilisce che il nuovo modello di patente UE si presenta nel formato card ed è dotato dei più idonei strumenti antifalsificazione. Infatti, lo Stato italiano adotta tutte le disposizioni utili per evitare rischi di falsificazione delle patenti di guida. Il materiale usato per le patenti di guida deve essere protetto contro le falsificazioni… Lo Stato italiano può introdurre elementi di sicurezza aggiuntivi. Tuttavia, il comma 8 del nuovo art. 126 - conformemente a quanto già previsto dal previgente comma 5, come modificato dalla L. 120/2010 - stabilisce che, ai fini 2 Avv. Fabio Piccioni Patrocinante in Cassazione della conferma della validità della patente, il D.T.T. non trasmetterà più il relativo tagliando di convalida da apporre sul documento, bensì un “duplicato della patente”, con l’indicazione del nuovo termine di validità; conseguentemente, il titolare, ricevuto il duplicato, “deve provvedere alla distruzione della patente scaduta”. Non essendo, tuttavia, prevista alcuna sanzione per il caso di mancata distruzione del documento (norma minus quam perfecta), la disposizione, a parte la maggiorazione della spesa pubblica, sembra costituire un vero e proprio regalo ai falsari: questi, infatti, non saranno più costretti a creare un intero documento apocrifo nella sua essenza; basterà, infatti, falsificare la patente, pur genuina, nel suo contenuto. Ai sensi del nuovo comma 5 dell’art. 116, la patente conseguita mediante prova sostenuta su veicolo con cambio automatico consente di condurre solo tale tipo di veicolo; tuttavia, l’eventuale violazione non risulta in alcun modo sanzionata. Guida senza patente Chi si pone alla guida di un veicolo senza aver superato l’esame di abilitazione, elude un sistema di regole procedimentali tese a selezionare i partecipanti all’attività di circolazione veicolare, al fine di contenere i rischi in questa insiti (pericolo presunto e astratto) per i beni primari della vita e dell’integrità fisica dei consociati. - La contravvenzione del 1992 La prima versione dell’art. 116 c. 13 recava un reato contravvenzionale punito con l'arresto da 3 a 12 mesi e con l'ammenda da lire 500.000 a lire 2 milioni. - L’amministrativizzazione dell’illecito del 1999 Il D.Lgs. 507/99 ha proceduto a depenalizzare il reato di guida senza patente, cui venne conferito il presidio sanzionatorio del pagamento di una somma da 4 a 16 milioni di lire. - La riconversione sanzionatoria del 2007 Il nostalgico D.L. 117/07, convertito con modifiche nella L. 160/07, preso atto dei numerosi problemi recati dalla malcelata “truffa delle etichette”, ha portato alla “ripenalizzazione” della violazione di cui all’art. 116 c. 13. Mediante un’operazione di ortopedia giuridica che, nel lasciare pressoché inalterato l’arsenale sanzionatorio del quantum monetario, si è limitata a sostituire la qualificazione punitiva della “sanzione amministrativa” con quella dell’“ammenda”, la guida senza patente è tornata ad integrare un reato contravvenzionale, presidiato dalla pena pecuniaria “da 2.257 a 9.032 euro”. Ne deriva che, essendo stabilita la sola pena dell’ammenda, al contravventore era consentito estinguere il reato mediante ricorso all’oblazione ai sensi dell’art. 162 cod. pen., previo pagamento di una somma corrispondente alla terza parte del massimo edittale (€ 3.010). Nel caso di “reiterazione” era previsto “altresì” l’arresto “fino a 1 anno”. - La ripenalizzazione del 2010 Il legislatore, tuttavia, si era dimenticato che nel codice della strada esisteva anche un’altra fattispecie complementare a quella in esame, che continuava a sanzionare in via amministrativa. Conseguentemente, la modifica apportata al comma 6 dell’art. 136 dalla L. 120/2010 dispone - a distanza di 3 anni - il necessario adeguamento in materia di conversioni di patenti di guida rilasciati da Stati esteri, che ha consentito la ripenalizzazione, tacita, anche della violazione in esame. 3 Avv. Fabio Piccioni Patrocinante in Cassazione - La nuova ripenalizzazione del 2013 La completa riscrittura dell’art. 116 ha comportato il trasferimento della fattispecie sanzionatoria dal comma 13 al comma 15. Se, da un lato, il fatto continua a integrare un reato contravvenzionale, punito con l’identica pena dell’ammenda da 2.257 a 9.032 euro e, quindi, ancora oblabile ai sensi dell’art. 162 cod. pen., dall’altro, cambia la formulazione della norma. Il nuovo comma 15, infatti, punisce chiunque conduce veicoli senza aver conseguito la corrispondente patente. L’introduzione dell’aggettivo “corrispondente” comporta il divieto della guida di un veicolo con patente di categoria diversa da quella richiesta. Ne deriva che integra il reato la guida di un veicolo diverso da quello che abilita a condurre la patente posseduta. Tuttavia, ai sensi del nuovo comma 15-bis dell’art. 116 (introdotto dal D.Lgs. 2/2013), nei casi in cui il titolare di patente A1, guidi veicoli per i quali è richiesta la patente A2; il titolare di patente A1 o A2, guidi veicoli per i quali è richiesta la patente A; il titolare di patente B1, C1 o D1, guidi veicoli per i quali è richiesta, rispettivamente, la patente B, C o D, risulta integrato soltanto un illecito amministrativo per il quale è prevista la sanzione di 1.000 euro. Nel caso di recidiva - dopo 6 anni correttamente qualificata - specifica infrabiennale, è prevista “altresì” la pena dell’arresto “fino a 1 anno”. 4 Avv. Fabio Piccioni Patrocinante in Cassazione Notificazioni delle sanzioni al codice della strada La conversione del c.d. “decreto del fare” ha avuto la pretesa (tra le altre) di intervenire, transitoriamente, su alcuni aspetti del codice della strada. Infatti, la L. 9 agosto 2013 n. 98, di conversione con modifiche del D.L. 21 giugno 2013, n. 69, recante Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia, al Titolo I (Misure per la crescita economica), sub Capo III (Misure per il rilancio delle infrastrutture), introduce all’art. 20 una Riprogrammazione degli interventi del Piano nazionale della sicurezza stradale. Per quanto qui rileva, il comma 5-bis dell’articolo citato, al fine di “garantire l’efficacia del sistema sanzionatorio” apporta numerose modifiche e integrazioni all’art. 202 C.d.S. Il pagamento in misura ridotta scontato del 30% Alla fine del comma 1 è inserito un particolare meccanismo mediante il quale al trasgressore è data facoltà di effettuare la conciliazione mediante il P.M.R. con riduzione del 30% del minimo edittale entro 5 giorni dalla contestazione, immediata o differita, della violazione. Il computo del nuovo termine di 5 giorni, segue le regole ordinarie per l’adempimento delle obbligazioni: non si calcola il dies a quo, mentre si calcola il dies ad quem; cosicché inizia a decorrere dal giorno successivo a quello della contestazione e, se scade in giorno festivo, è prorogato al primo giorno feriale successivo. La proposta mira, quindi, a evitare sistematiche e dilatorie opposizioni, cosicché viene alzato l’incentivo affinché il trasgressore non scelga tali alternative: pagamento di una sanzione light, scontata del 30% rispetto al minimo - quale “via di fuga” particolarmente appetibile (rectius tollerabile), come premio all’acquiescente. Il “versamento spontaneo” della somma prevista estingue l’obbligazione. Si tratta di un diritto soggettivo perfetto, di natura pubblicistica, non sottoposto ad alcun limite diverso da quello della tempestività del suo esercizio: entro il termine di decadenza di 5 giorni dalla contestazione. Decorso infruttuosamente tale termine, dal 6° al 60° giorno, al trasgressore resta, comunque, la possibilità di avvalersi del classico pagamento in misura minima. Lo sconto, tuttavia, per espressa previsione di legge, risulta escluso per le violazioni più gravi, alle quali conseguano le sanzioni accessorie della confisca del veicolo e della sospensione della patente. A parte l’errata formulazione lessico-grammaticale della norma, laddove si pretende di collegare il singolare al plurale (“non si applica alle violazioni … per cui”), la circostanza che la previsione richieda specificamente quale clausola di riserva “la sanzione … della confisca del veicolo e la sanzione … della sospensione della patente”, richiede un’analisi approfondita sull’(in)esistenza di tale condizione ostativa. L’utilizzo della congiunzione copulativo-coordinativa “e”, invece di quella disgiuntiva “o”, sembra richiedere che, ai fini dell’esclusione del beneficio, la violazione debba essere qualificata dalla contemporanea sussistenza (cumulativa, e non meramente alternativa) di entrambe le sanzioni accessorie (circostanza che si verifica solo nelle ipotesi di cui agli artt. 86 c. 2, 193 c. 4-bis). Infine, stante il silenzio della legge, per le violazioni più gravi che prevedono la sanzione accessoria della revoca della patente - invero esigue - risulta, invece, consentita la riduzione del 30%. 5 Avv. Fabio Piccioni Patrocinante in Cassazione La possibilità di avvalersi di strumenti di pagamento elettronico Grazie alle modifiche recate al comma 2, al trasgressore è consentito provvedere al pagamento anche mediante strumenti di pagamento elettronico; all'uopo, nel verbale devono essere indicate tutte le modalità e possibilità di pagamento. Il nuovo comma 2.1 introduce, altresì, la possibilità per il conducente di effettuare, in deroga, il P.M.R. immediatamente, sempre mediante strumenti di pagamento elettronico (carta di credito e bancomat), nelle mani dell’agente accertatore che sia munito di idonea apparecchiatura (terminale P.O.S., Point of Sale), il quale ne rilascia ricevuta. Allo stesso modo, anche nelle ipotesi di cui al comma 2-bis. Non si può fare a meno di osservare, ancora una volta, l’approssimata quanto infelice formulazione normativa utilizzata nella redazione del testo. Peraltro, a causa della frettolosa stesura della riforma, si è persa l'occasione di aggiornare utilmente l’elenco dei casi per i quali non è ammesso il P.M.M. (e, a maggior ragione, il P.M.R.), contenuti nel comma 3-bis dell’art. 202: - il comma 13 dell’art. 116 (come sostituito dall'art. 3 c. 1 D.Lgs. 59/2011, modificato dall’ art. 2 c. 1 lett. a), b), c) e d), D.Lgs. 2/2013) non reca alcuna violazione; - il comma 6 dell’art. 136 (come sostituito dall'art. 16 c. 1 D.Lgs. 59/2011) non esiste più. La notifica dei verbali via P.E.C Infine, ai sensi del comma 5-quater dell’art. 20 L. 98/2013, con decreto interministeriale (interno, giustizia, trasporti, economia e pubblica amministrazione), da adottarsi nel termine di 4 mesi, saranno disciplinate le procedure per la notifica dei verbali di accertamento delle violazioni al C.d.S. tramite posta elettronica certificata (P.E.C.) nei confronti dei trasgressori abilitati, con conseguente esclusione dell’addebito delle spese di notifica. 6 Avv. Fabio Piccioni Patrocinante in Cassazione Gestione del contenzioso e sanzioni amministrative Nella prima udienza, «il giudice interroga liberamente le parti presenti, tenta la conciliazione della lite e formula alle parti una proposta transattiva», recita il comma 1 dell’art. 420 c.p.c. L’art. 77 c. 1 lett. b) D.L. 69/2013, convertito con modifiche nella L. 98/2013 ha previsto che la proposta del giudice possa avere oltre che natura “transattiva” anche finalità «conciliativa». Il nuovo testo del comma 1 dell’art. 420 c.p.c., qualifica la proposta di risoluzione come «transattiva o conciliativa»; con questa dicotomia si vuole, probabilmente, ricomprendere ogni possibile soluzione pacificatoria. Il giudice potrà orientare, come ritiene più opportuno, la sua idea compositiva, sia in una prospettiva più strettamente giuridica, sia più propriamente conciliativa e, quindi, legata agli interessi eventualmente emersi, anche in una gradazione diacronica e orientata a una soluzione. Si deve, allora, verificare la compatibilità del complesso sistema con il rito stradale. Mentre il libero interrogatorio delle parti, seppur di difficile verificazione, risulta ipoteticamente realizzabile, è escluso che possa procedersi alla transigibilità delle somme derivanti da sanzioni amministrative, in quanto integranti un credito pubblico di natura sanzionatoria, ontologicamente sottratto alla disponibilità delle parti, giusto il disposto dell’art. 1966 c.c. Resta da chiedersi fino a che punto potrà spingersi la creatività del giudice di pace nel procedere, prima, a esperire il tentativo di conciliazione e, poi, a formulare la proposta di conciliativa. Il nuovo potere, che potrebbe rivelarsi uno straordinario strumento di vantaggio per entrambe le parti (oltre che di deflazione del contenzioso), va gestito non tanto in un’ottica di preconcetto antagonismo giudiziario, quanto di reciproca e rispettosa considerazione e valutazione, caso per caso, delle reali posizioni di ciascuno. In merito, si osserva che risulterà meno arduo pervenire ad un accordo conciliativo se il quadro normativo all’interno del quale si muovono le richieste, le pretese e le articolazioni argomentative delle parti si riveli (sufficientemente) chiaro e stabile fin dall’inizio. Benché la legge non preveda che la proposta debba essere motivata - la motivazione risulta funzionale all’impugnazione del provvedimento - nulla vieta che il Giudice possa, utilmente, indicare le direttrici (evidenziando alle parti i punti di debolezza dei rispettivi apparati difensivi: fatti incontestati, prove documentali, lacune probatorie, onus probandi, ecc.) che potrebbero orientare e responsabilizzare le parti nella riflessione sul contenuto e nella opportunità e convenienza di fare propria (ovvero sviluppare ulteriormente) la proposta. Laddove l’ipotesi risultasse ammissibili, dirompente diverrebbe la novità. Infatti, l’ingiustificato rifiuto della proposta giudiziale costituirebbe «comportamento valutabile dal giudice ai fini del giudizio»; di talché le parti sono onerate - non sarebbe sufficiente la mera dichiarazione di non aderire alla proposta della allegazione di un “giustificato motivo” di rifiuto, che potrà essere oggetto di sindacato (anche sanzionatorio) in sede decisoria. 7 Avv. Fabio Piccioni Patrocinante in Cassazione E’ pur vero che la proposta formulata in sede di prima udienza potrebbe apparire eccessivamente creativa e scoraggiarne la (formulazione o la) adesione, ma il destino della nuova previsione resta nelle mani del giudice e dell’uso che intenderà farne, nella consapevolezza che la “minaccia” di una proposta conciliativa potrebbe divenire, indirettamente, un utile strumento per sollecitare un uso più responsabile della giustizia. Nella scelta delle parti è destinata ad assumere peso specifico l’autorevolezza e capacità del “proponente” e il percorso che lo avrà condotto a indicare un’ipotesi solutiva. Tutto ciò impone al giudice - che dovrà sviluppare una particolare sensibilità tesa a orientare la possibile soluzione negoziale, sinora obliterata dalla necessaria ricerca del dictum - da un lato, e alle parti e ai loro rappresentanti - che dovranno rivedere radicalmente le strategie difensive sin dall’avvio del processo - dall’altro, una vera e propria rivoluzione culturale. Resta, quindi, solo da verificare la giurisprudenza che si formerà in merito alla varietà di proposte e al loro diverso orientamento. 8 Avv. Fabio Piccioni Patrocinante in Cassazione Riscossione coattiva delle sanzioni post Equitalia Per analizzare lo stato dell’arte della materia, si deve procedere alla ricognizione preliminare del convulso quadro normativo di riferimento. Nel 1988 il sistema della riscossione mediante ruolo, previsto dal d.p.r. 602/1973 con riferimento alle imposte dirette, è stato esteso anche a quelle indirette (d.p.r. 43/1988, art. 67 e 68). L’inaspettata rivoluzione copernicana recata dalla riforma dell’estate 2011, ha introdotto una variante che, escludendo Equitalia da ogni possibilità di affidamento nella riscossione delle entrate comunali, reca, da un lato, l’impossibilità di agire in via esecutiva tramite ruolo e, dall’altro, la contestuale necessità di riesumare la vecchia procedura per ingiunzione fiscale, di cui al secolare R.D. 639/1910. In sintesi, lo scenario normativo. Dapprima, la L. 12/7/2011 n. 106, Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 70/2011, concernente Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia, ha previsto che Art. 7 Semplificazione fiscale 2. … sono introdotte le seguenti disposizioni: gg-ter) a decorrere dal 1 gennaio 2012, in deroga alle vigenti disposizioni, la società Equitalia Spa, nonché le società per azioni dalla stessa partecipate ai sensi dell’art. 3, comma 7, D.L. 203/2005, convertito, con modificazioni, dalla L. 248/2005, cessano di effettuare le attività di accertamento, liquidazione e riscossione, spontanea e coattiva, delle entrate, tributarie o patrimoniali, dei comuni e delle società da essi partecipate Successivamente, la L. 22/12/2011 n. 214, Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 201/2011, recante disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici, ha rinviato il tutto Art. 10 Regime premiale per favorire la trasparenza 13-octies. All’ art. 7, comma 2, lettera gg-ter), del D.L. 70/2011, convertito, con modificazioni, dalla L. 106/2011, le parole: «a decorrere dal 1° gennaio 2012» sono sostituite dalle seguenti: «a decorrere dal 31 dicembre 2012». Ancora, con un intervento dell’ultima ora, la L. 7/12/2012, n. 213, di conversione con modifiche del D.L. 174/2012, recante Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012, ha stabilito che Art. 9 Disposizioni in materia di verifica degli equilibri di bilancio degli enti locali, di modifiche della disciplina IPT, di IMU, di riscossione delle entrate, di cinque per mille 4. In attesa del riordino della disciplina delle attività di gestione e riscossione delle entrate degli enti territoriali e per favorirne la realizzazione, i termini di cui all'articolo 7, comma 2, lettera gg-ter), del D.L. 70/2011, convertito, con modificazioni, dalla L. 106/2011, …sono stabiliti al 30 giugno 2013. Tuttavia, con un ulteriore intervento in extremis, la L. 6/6/2013 n. 64, di conversione con modifiche del D.L. 35/2013, recante Disposizioni urgenti per il 9 Avv. Fabio Piccioni Patrocinante in Cassazione pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali, ha disposto che Art. 10 Modifiche al decreto-legge 6 luglio 2012 n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, e disposizioni in materia di versamento di tributi locali 2-ter. I comuni possono continuare ad avvalersi per la riscossione dei tributi dei soggetti di cui all'articolo 7, comma 2, lettera gg-ter), del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, anche oltre la scadenza del 30 giugno e non oltre il 31 dicembre 2013. Infine, la L. 9/8/2013 n. 98, di conversione con modifiche del D.L. 69/2013, c.d. “del fare”, recante Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia, ha previsto che Art. 53 Disposizioni per la gestione delle entrate tributarie o patrimoniali, dei comuni e delle società da essi partecipate 1. Il comma 2-ter dell'articolo 10 del decreto-legge 8 aprile 2013,n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n. 64, è sostituito dal seguente: «2-ter. Al fine di favorire il compiuto, ordinato ed efficace riordino della disciplina delle attività di gestione e riscossione delle entrate dei Comuni, anche mediante istituzione di un Consorzio, che si avvale delle società del Gruppo Equitalia per le attività di supporto all'esercizio delle funzioni relative alla riscossione, i termini di cui all'articolo 7, comma 2, lettera gg-ter), del decretolegge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106 … sono stabiliti inderogabilmente al 31 dicembre 2013.». Come facilmente vaticinato, l’utilizzo degli avverbi “non oltre” e “inderogabilmente” risultava poco credibile. Infatti, la L. 27/12/2013 n. 147, recante Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014) ha stabilito un’ulteriore proroga: Art. 1. 610. Al comma 2-ter dell'articolo 10 del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n. 64, le parole: «31 dicembre 2013» sono sostituite dalle seguenti: «31 dicembre 2014». L’articolo unico della legge di stabilità 2014, ha anche elargito una sorta di minicondono, previsto dai commi da 618 a 623. 618. Relativamente ai carichi inclusi in ruoli emessi da uffici statali, agenzie fiscali, regioni, province e comuni, affidati in riscossione fino al 31 ottobre 2013, i debitori possono estinguere il debito con il pagamento: a) di una somma pari all'intero importo originariamente iscritto a ruolo, ovvero a quello residuo, con esclusione degli interessi per ritardata iscrizione a ruolo previsti dall'articolo 20 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni, nonché degli interessi di mora previsti dall'articolo 30 del medesimo decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, e successive modificazioni; b) delle somme dovute a titolo di remunerazione prevista dall'articolo 17 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112, e successive modificazioni. 10 Avv. Fabio Piccioni Patrocinante in Cassazione 619. Restano comunque dovute per intero le somme da riscuotere per effetto di sentenze di condanna della Corte dei conti. 620. Entro il 28 febbraio 2014, i debitori che intendono aderire alla definizione prevista dal comma 618 versano, in un'unica soluzione, le somme dovute ai sensi dello stesso comma. 621. A seguito del pagamento di cui al comma 620, l'agente della riscossione è automaticamente discaricato dell'importo residuo. Al fine di consentire agli enti creditori di eliminare dalle proprie scritture patrimoniali i crediti corrispondenti alle quote discaricate, lo stesso agente della riscossione trasmette, anche in via telematica, a ciascun ente interessato, entro il 30 giugno 2014, l'elenco dei debitori che hanno effettuato il versamento nel termine previsto e dei codici tributo per i quali è intervenuto il pagamento. 622. Entro il 30 giugno 2014, gli agenti della riscossione informano, mediante posta ordinaria, i debitori, che hanno effettuato il versamento nel termine previsto, dell'avvenuta estinzione del debito. 623. Per consentire il versamento delle somme dovute entro il 28 febbraio 2014 e la registrazione delle operazioni relative, la riscossione dei carichi di cui al comma 618 resta sospesa fino al 15 marzo 2014. Per il corrispondente periodo sono sospesi i termini di prescrizione. Salvo eventuali ulteriori pronosticabili proroghe dell’ultima ora - stante l’ormai acquisita derogabilità dell’inderogabile - dall’1/1/2015, con la fine del regime transitorio, prenderà l’avvio il nuovo sistema operativo per l’accertamento e la riscossione delle entrate dei comuni. Restano, tuttavia, invariate tutte le perplessità derivanti dalla riforma, che si auspica possano essere medio tempore oggetto di attenta e meditata valutazione. 11 Avv. Fabio Piccioni Patrocinante in Cassazione Anticorruzione Come tristemente noto, nella classifica delle nazioni percepite più corrotte nel mondo stilata da Transparency International per il 2011, l’Italia ha assunto il non commendevole posto di 69° su 182 paesi presi in esame mentre, nell’Unione europea, si è posizionata avanti a Grecia, Romania e Bulgaria. Secondo il rapporto dell’Economic Index Forum per il 2011, la corruzione, unitamente alla criminalità organizzata, costituisce il maggior freno agli investimenti esteri nel Paese. Conseguentemente, la legge 6 novembre 2012 n. 190, recante Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione, persegue - dopo un lungo e tormentoso percorso parlamentare conclusosi con scelte di compromesso - l’altisonante obiettivo di contrastare (o quantomeno arginare) quell’antico malcostume pervasivo, sistemico e in continua crescita, che costituisce una minaccia emergente per la stabilità e la sicurezza della società, in grado di minarne la convivenza civile. L’impianto normativo della c.d. legge anticorruzione è caratterizzato da un unico articolo che, nei suoi 86 commi, reca, da un lato, una serie di misure che investono il funzionamento della P.A. e, dall’altro, ridisegna buona parte dei delitti recati dal titolo II del libro II del codice penale, anche mediante l’introduzione di nuove figure di reato. Il primo gruppo di disposizioni, è dedicato a potenziare la prevenzione mediante strumenti di deterrenza amministrativa, tesi a trasformare la pubblica amministrazione in una “casa di vetro” in cui sono favorite la trasparenza, l’integrità e la legalità nell’esercizio delle funzioni e delle attività, mentre il secondo punta, quale risorsa di ultima istanza, sulla repressione penale delle condotte infedeli. La “nuova” corruzione impropria La L. 190/2012 interviene sostituendo all’art. 318 il reato di «corruzione per un atto d’ufficio», c.d. corruzione “impropria”, con quello di «corruzione per l’esercizio della funzione» - al quale viene anche elevata la pena della reclusione, che raddoppia (passando da 6 mesi) a 1 anno nel minimo, e aumenta (da 3) a 5 anni nel massimo. La riformulazione concerne, quindi, il riferimento all’esercizio della “funzione” invece che al compimento di uno specifico e individuato “atto d’ufficio”. Si tratta di una fattispecie incentrata sull’indebita ricezione o accettazione della promessa di denaro o altra utilità, da parte del pubblico ufficiale, «per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri». In tal modo, si determina anche la fusione delle precedenti ipotesi di corruzione impropria “antecedente” e “susseguente”; infatti, l’esercizio della funzione o del potere può prospettarsi sia come scopo dell’antecedente pagamento o promessa, sia come presupposto susseguente di essi, per essere la funzione già stata esercitata. La messa “a libro paga” del pubblico ufficiale, in cambio della sua disponibilità all’asservimento della funzione, integra pienamente il nuovo art. 318, che nel prendere le distanze dalla nozione di «atto», consente di abbandonare la relativa polemica circa l’estensione del proprio significato. Si osservi, infine, che il richiamo all’esercizio delle funzioni o dei poteri pubblici, quale oggetto della compravendita, non sembra necessariamente presupporre l’esercizio legittimo degli stessi. La nozione utilizzata, infatti, risulta talmente generica da poter includere nel proprio ambito, sia l’attività conforme ai doveri d’ufficio e alle attività istituzionali, sia quella, illegittima, che si svolga in loro violazione o frustrando 12 Avv. Fabio Piccioni Patrocinante in Cassazione lo scopo per cui sono attribuiti. A conferma di tale estensione, si rileva che, per designare il pagamento, la legge non fa più riferimento al lemma «retribuzione», in cui il disvalore si riferisce all’offesa non tanto della legalità dell’azione amministrativa, quanto della sua gratuità, tanto che in merito alla stessa si poneva la questione di “proporzionalità” tra la prestazione del privato e il valore dell’atto dovuto. Se così è, si può arrivare a concludere che la nuova fattispecie recata dall’art. 318 integra l’ipotesi generale, la grundnorm, di qualsiasi corruzione; di talché la corruzione “propria”, di cui all’art. 319, arriva ad assumere sul piano strutturale il carattere di norma speciale, sia in relazione alla concretizzazione e identificazione dell’atto compravenduto, sia in relazione alla qualificazione necessariamente antidoverosa della condotta dell’agente pubblico. La concussione mediante “costrizione” Il vecchio codice Zanardelli teneva ben distinta la fattispecie di concussione “costrittiva” da quella “fraudolenta” (o per induzione); la prima, costituiva, infatti, un’ipotesi speciale di estorsione, mentre, la seconda, di truffa. L’intervenuta unificazione da parte dell’art. 317 del codice Rocco, prese le mosse dal rilievo del Guardasigilli secondo il quale «l’indurre ha una gravità non minore del costringere», in quanto esso «deve per necessità consistere nel trarre in inganno circa l’obbligo … di dare o promettere». La concussione per induzione ha, quindi, subito una tale deriva ermeneutica, da essere trasformata in una sorta di istigazione maggiorata dall’abuso della qualità o dei poteri. La sua tipicità rarefatta ha finito, da un lato, per determinare una convivenza fortemente asimmetrica con la forma “per costrizione” e, dall’altro, per rendere assai precario, se non del tutto incerto, il proprio confine applicativo rispetto alla corruzione. Sulla base di questo contesto, la L. 190/2012 ha inteso separare le due figure. Il delitto di concussione, disciplinato dal riformato art. 317, punisce, con la pena pari (aumentata della metà, da 4) a 6 anni di reclusione nel minimo edittale, soltanto il pubblico ufficiale che «costringe … a dare o promettere indebitamente … denaro o altra utilità». Incomprensibile, quanto censurabile, sembra la scelta limitativa dell’individuazione del soggetto attivo nel solo pubblico ufficiale, con espunzione dell’incaricato di pubblico servizio. La nuova figura concussiva si sostanzia nella coazione psicologica assoluta del privato che, a cagione dell’impari rapporto col pubblico ufficiale e del suo comportamento qualificato dall’abuso delle qualità e dei poteri (metus publicae potestatis), è “costretto”, senza alternativa, a cedere all’indebita pretesa. Si tratta di condotte, non tipizzate, consistenti in violenze, minacce, coercizioni o prevaricazioni, mediante le quali si prospetta in modo univoco, anche se non necessariamente esplicito, al soggetto passivo, che ne resta vittima, di determinare un male ingiusto, che resta evitabile solo previa dazione o promessa della stessa. La nuova induzione indebita La vecchia ipotesi di concussione per “induzione”, viene, invece, stralciata dall’art. 317, per essere trasferita nel nuovo art. 319-quater, recante «induzione indebita a dare o promettere utilità», che punisce il pubblico ufficiale o (questa volta anche) l’incaricato di pubblico servizio che, abusando (ancora) della sua qualità o dei suoi poteri, «induce» a dare o promettere. 13 Avv. Fabio Piccioni Patrocinante in Cassazione Il novum della previsione è contenuto nel comma 2 che, previa riqualificazione del privato “indotto” da vittima a reo, introduce la sua punibilità, a titolo autonomo, con la reclusione fino a 3 anni. La nuova fattispecie, quindi, caratterizzata dall’assenza di condotta costrittiva, non rientra più nell’orbita della concussione (nomen juris nemmeno richiamato nella rubrica). Il nucleo di riferimento sembra diventare, allora, la corruzione, come si evince anche dall’avvenuta collocazione sistematica della disposizione in una norma supplementare all’art. 319 - invece che all’art. 317. La norma si apre con la clausola di riserva relativa «salvo che il fatto costituisca più grave reato»; conseguentemente, poiché la pena ivi prevista è quella della reclusione da 3 a 8 anni, il reato più grave - oltre alla concussione (per costrizione) - risulta la corruzione “propria”, che prevede la reclusione da 4 a 8 anni. Il reato, a “forma libera”, si sostanzia in una serie di condotte (anche qui non tipizzabili) abusive, esplicitamente o implicitamente persuasive, ancorché fraudolente con inganni, suggestioni, allusioni, silenzi e ostruzionismi - dell’agente pubblico, tese a esercitare una pressione psichica causalmente orientata (e idonea) a suscitare nel privato la determinazione alla dazione o alla promessa “non dovuta”. Il destinatario, non coartato dalla prospettazione o minaccia di un male ingiusto, non è da qualificarsi persona offesa, in quanto (ancorché in condizione non paritaria) resta (relativamente) libero (perché non costretto) nella propria determinazione finale di scegliere di rifiutare la sollecitazione illecita; mentre acconsente all’atto dispositivo per perseguire un proprio indebito (ancorché non necessariamente illecito) vantaggio - cosa che lo rende punibile. Avv. Fabio Piccioni del Foro di Firenze 14
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