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Edizioni Simone - Vol. 1 Diritto del lavoro
Capitolo 15
Il sistema degli ammortizzatori sociali
Sommario
1. La riforma degli ammortizzatori sociali. - Sezione Prima: Gli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto. - 2. Le
integrazioni salariali. - 3. I contratti di solidarietà difensivi. - 4. I fondi di solidarietà settoriali. - Sezione Seconda: Gli
ammortizzatori sociali in caso di perdita dell’occupazione. - 5. La mobilità extra-aziendale. - 6. L’assicurazione sociale per
l’impiego (ASPI). - Sezione Terza: Altri trattamenti a sostegno del reddito. - 7. Il regime degli ammortizzatori sociali «in
deroga». - 8. Le misure straordinarie a sostegno del reddito. - 9. L’assegno in caso di lavori socialmente utili. - Sezione
Quarta: La decadenza dai trattamenti a sostegno del reddito. - 10. La perdita dello stato di disoccupazione. - 11. La decadenza
dai trattamenti a sostegno del reddito in costanza di rapporto di lavoro. - 12. La decadenza dai trattamenti a sostegno del
reddito connessi allo stato di disoccupazione.
1.La riforma degli ammortizzatori sociali
Il sistema degli ammortizzatori sociali è costituito dall’insieme degli strumenti predisposti dallo Stato al fine di fornire una tutela del reddito ai lavoratori che si trovano a dover
affrontare, nel corso della loro vita lavorativa, periodi più o meno lunghi senza lavoro per
riduzione o cessazione dell’attività lavorativa.
Il legislatore interviene mediante misure di natura economica che integrano il reddito di
lavoro, che si è ridotto a causa della sospensione dell’attività, o che sostengono il lavoratore improvvisamente privato della retribuzione a causa della cessazione del rapporto.
Gli ammortizzatori sociali rappresentano, pertanto, misure cd. passive, che si aggiungono alle misure finalizzate alla rioccupazione e alla riqualificazione del lavoratore (cd. politica attiva del lavoro).
Il sistema degli ammortizzatori sociali, di cui a lungo è stata avvertita l’esigenza di rinnovamento, è stato sottoposto ad un significativo ed epocale riordino con la cd. riforma
Fornero (L. 92/2012), nell’obiettivo di garantire un ampliamento della tutela economica
e di rafforzare i legami tra strumenti di sostegno del reddito e politiche di attivazione, riqualificazione e ricollocazione dei lavoratori.
La riforma, da un lato, ha previsto un nuovo strumento di assicurazione dal rischio di disoccupazione, l’assicurazione sociale per l’impiego, cd. ASPI, entrato in vigore il 1°-1-2013,
dall’altro, ha operato una revisione dei tradizionali strumenti a sostegno del reddito.
Pertanto, l’attuale assetto degli ammortizzatori sociali può essere così configurato:
—strumenti che intervengono in costanza di rapporto, quando cioè il rapporto di lavoro
è soltanto sospeso, e non cessato, determinando una riduzione della retribuzione, di diversa entità. Si collocano in tal ambito soprattutto le integrazioni salariali ed i fondi di
solidarietà settoriali;
—strumenti che intervengono in caso di disoccupazione involontaria, quando cioè il
rapporto di lavoro è definitivamente cessato, determinando la perdita della retribuzione.
Si collocano in tal ambito soprattutto le indennità dell’ASPI e l’indennità di mobilità
(L. 223/1991).
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A tali strumenti vanno aggiunti, poi, i sussidi straordinari che sono stati introdotti nel
tempo, e perpetuati, al fine di fornire una tutela economica a tutte quelle categorie che non
beneficiavano degli ordinari ammortizzatori sociali.
Prospettive di riforma del Jobs Act
Dopo l’epocale intervento attuato con la legge Fornero (L. 92/2012), il disegno di legge delega
contenuto nel Jobs Act prevede una nuova riforma degli ammortizzatori sociali ovvero degli strumenti a sostegno del reddito, operanti nei casi di riduzione o perdita dell’occupazione.
L’obiettivo dichiarato è quello di «assicurare, in caso di disoccupazione involontaria, tutele uniformi
e legate alla storia contributiva dei lavoratori» e di porre, come presupposto di ogni tipo di intervento,
il coinvolgimento attivo del soggetto interessato.
Nell’ambito degli strumenti di tutela in costanza di rapporto di lavoro, in base ai criteri direttivi
contenuti nel disegno di legge delega, si interviene sul funzionamento delle integrazioni salariali,
prevedendo, oltre alla semplificazione delle procedure di concessione, una serie di importanti modifiche, tra cui: l’impossibilità di autorizzare le integrazioni salariali in caso di cessazione dell’attività
aziendale; il ricorso alla cassa integrazione solo a seguito di esaurimento delle possibilità contrattuali di riduzione dell’orario di lavoro; la revisione dei limiti di durata che saranno rapportati alla condizione specifica contributiva dei singoli lavoratori. Anche il finanziamento delle integrazioni salariali da
parte delle imprese utilizzatrici sarà soggetto a revisione, con la possibilità di rimodulazione degli
oneri contributivi ordinari tra i settori in funzione dell’utilizzo effettivo.
Nell’ambito degli strumenti di tutela in caso di perdita dell’occupazione, in base ai criteri direttivi
contenuti nel disegno di legge delega, la normativa delegata interverrà sul sistema di sostegno del
reddito, attualmente basato sull’assicurazione sociale per l’impiego (ASPI). Confermando tale
assetto, verrà effettuata l’omogeneizzazione dei trattamenti ordinari e dei trattamenti brevi (cd. miniASPI), rapportando la durata dei trattamenti alla contribuzione maturata dal lavoratore e prevedendo
l’elevazione della durata massima in presenza di carriere contributive più rilevanti. Alla scadenza del
periodo di fruizione dell’ASPI, il lavoratore, se in situazione economica di bisogno, potrà usufruire di
un ulteriore trattamento a sostegno del reddito, con obbligo di partecipazione alle iniziative di attivazione per la ricerca di un nuovo impiego proposte dai servizi competenti. Per quanto concerne la
platea dei soggetti beneficiari, si prevede l’universalizzazione del campo di applicazione dell’ASPI,
che sarà esteso, salvo determinate eccezioni, anche ai lavoratori a progetto e ai soggetti occupati in
rapporti di collaborazione coordinata e continuativa (che oggi, usufruiscono, a determinate condizioni, di un’indennità speciale).
Sezione Prima
Gli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto
2.Le integrazioni salariali
A) La finalità dell’istituto delle integrazioni salariali
Il principio della continuità del salario trova la sua ratio nella esigenza di tutelare la posizione contrattuale del prestatore di lavoro di fronte alle situazioni variabili dell’impresa, svincolando per quanto possibile il diritto alla retribuzione dalle vicende del rapporto di lavoro.
Il principio della garanzia della retribuzione ha trovato la sua massima espressione normativa
nel sistema degli interventi ordinari e straordinari di integrazione salariale nei settori
dell’industria e dell’agricoltura, successivamente estesi anche all’edilizia e ad altri settori.
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Durante l’intervento ordinario e quello straordinario permane il rapporto di lavoro tra prestatore e datore, ma vengono sospese, totalmente o parzialmente, le obbligazioni principali
connesse al rapporto medesimo, cioè la prestazione di lavoro e la retribuzione.
Cessata la causa che ha legittimato la sospensione, il rapporto riprenderà regolarmente.
In entrambi i casi di integrazione salariale, pertanto, vi deve essere la prospettiva della cessazione dell’evento
sospensivo e quindi della ripresa produttiva. Nell’intervento straordinario, però, tale prospettiva è più incerta
tant’è che vi è uno stretto legame tra tale tipo di intervento e l’istituto dei licenziamenti collettivi.
Differenze
L’istituto delle integrazioni salariali costituisce una disciplina di diritto speciale rispetto alle regole
applicabili in base alle disposizioni del codice civile in materia di obbligazioni e contratti (ROCCELLA).
Va tenuto presente, infatti, che in caso di impossibilità sopravvenuta della prestazione non imputabile al lavoratore né al datore di lavoro (ad es. per un qualsiasi oggettivo e transitorio impedimento
all’attività produttiva, come la mancanza di energia elettrica), quest’ultimo sarebbe legittimato a non
cooperare al ricevimento della prestazione, senza che si verifichi una mora del creditore (art. 1206
c.c.), e sarebbe altresì liberato dall’obbligo della retribuzione (art. 1256 c.c.).
In caso, poi, di eventi ricollegabili a scelte dell’imprenditore (ad es. ristrutturazioni o riconversioni
aziendali), questi avrebbe sì l’obbligo di corrispondere la normale retribuzione (in base alla L. 1825/1924
sull’impiego privato che imputa al datore di lavoro tale onere in caso di «sospensioni dal lavoro per
fatto dipendente dal principale»), ma potrebbe attuare una riduzione di personale proprio per non
accollarsi tali costi (ROCCELLA).
La disciplina delle integrazioni salariali deroga a tali regole ordinarie, prevedendo, nei casi indicati,
la sospensione del rapporto di lavoro e l’intervento dell’integrazione salariale, rappresentando così,
in definitiva, una modalità sia di sostegno per l’impresa, permettendo sospensioni e riduzioni temporanee dell’attività produttiva, sia di tutela dei lavoratori, ai quali è garantita la continuità del salario
e la stabilità dell’impiego.
Entrambi gli interventi, ordinario e straordinario, sono gestiti dall’INPS tramite l’apposita
«Gestione prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti», in cui confluiscono le tre Casse (agricoltura, industria e edilizia), autonome tra loro, preposte alla gestione dei trattamenti integrativi nei diversi settori.
Alla Cassa sono versati contributi da parte dei datori di lavoro e, per l’intervento straordinario, anche dei lavoratori.
Evoluzione e criticità dell’istituto
La cassa integrazione (CIG) ha origini che risalgono all’immediato dopoguerra (D.Lgs.Lgt. 9-11-1945,
n. 788) quando fu introdotto, limitatamente agli operai dell’industria, un intervento di integrazione
salariale da parte dell’ente previdenziale nei casi di riduzione dell’orario di lavoro dovuta a contrazione dell’attività produttiva. L’istituto è stato nel tempo oggetto di svariati interventi legislativi, fra cui la
L. 164/1975 e la L. 223/1991.
Nel descrivere l’evoluzione dell’istituto delle integrazioni salariali la dottrina (CARINCI, DE LUCA
TAMAJO, TOSI, TREU) ha distinto quattro fasi:
— una prima fase, coincidente alla cd. legislazione garantista-promozionale, in cui si verifica un’estensione della cassa integrazione ordinaria anche ad altri settori e l’introduzione della cassa integrazione straordinaria (CIGS) per i casi di contrazione dell’attività produttiva che non siano di breve
durata o dovuti a fattori ordinari;
— una seconda fase, coincidente con la cd. legislazione dell’emergenza, in cui si verifica un fortissimo ampliamento dell’istituto che acquisisce così «un carattere largamente assistenziale»;
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— una terza fase in cui si cerca di razionalizzare la funzione delle integrazioni salariali, cercando di
ridimensionare l’intervento straordinario anche mediante l’introduzione dell’istituto della mobilità
(L. 223/1991), da applicare ai casi di contrazione dell’attività derivanti da fattori strutturali e non
reversibili;
— una quarta fase, che si pone oggettivamente in controtendenza rispetto alle finalità di ridimensionamento e razionalizzazione perseguite precedentemente.
In sostanza, attraverso diverse fasi, la funzione della Cassa integrazione guadagni (straordinaria, in
particolare) si è in gran parte modificata rispetto all’impostazione originaria: non più soltanto la funzione di assicurare la continuità del salario, ma anche e soprattutto quella di salvaguardare i livelli
occupazionali e di «consentire alle imprese di affrontare una situazione di difficoltà a costi contenuti»,
evitando anche l’impatto sociale di misure più drastiche (ROCCELLA).
Nel tempo, tuttavia, i presupposti d’intervento della Cassa integrazione, costituiti dalla temporaneità
della riduzione dell’attività e dalla prospettiva di ripresa produttiva, sono stati ampiamente disattesi.
Sicché le integrazioni salariali (e in particolare la CIGS) sono state spesso utilizzate come «strumento di dilazione di licenziamenti ormai inevitabili» (GALANTINO) e come passaggio obbligato prima
della mobilità. Ciò ha determinato la formazione di contingenti cronici di «disoccupazione assistita»,
senza che fossero attuati interventi per la riqualificazione e la ricollocazione dei lavoratori in esubero.
Tale situazione ha ben presto indotto a ritenere necessaria una riforma dell’intero sistema degli ammortizzatori sociali, realizzato poi con la legge Fornero (L. 92/2012). Un ulteriore intervento complessivo avverrà per effetto della delega contenuta nel Jobs Act, in cui particolare rilievo assume il coinvolgimento attivo del lavoratore beneficiario dell’intervento a sostegno del reddito.
B) L’intervento ordinario di integrazione salariale (CIG)
La cassa integrazione ordinaria (CIG) è prevista in caso di contrazione o sospensione
dell’attività produttiva dipendente da (art. 1, L. 164/1975):
—situazioni aziendali dovute ad eventi transitori e non imputabili all’imprenditore o ai
dipendenti;
—situazioni temporanee di mercato, che non pongano in dubbio la ripresa della normale attività produttiva.
Il requisito della certezza circa la ripresa dell’attività produttiva è stato in parte ridimensionato, anche in
considerazione della grave crisi economica in atto. Pertanto tale requisito si riferisce soltanto ad «una previsione ex ante del datore di lavoro, formulata al momento di presentazione della domanda» (msg. INPS
27-3-2009, n. 6990). La situazione dell’azienda può anche successivamente aggravarsi in modo da rendere
necessaria la richiesta dell’intervento straordinario di integrazione salariale immediatamente dopo un periodo di integrazione ordinaria (msg. INPS 25623/2010).
In tale eventualità l’INPS assicura ai dipendenti di imprese industriali, con qualifica di
operaio, impiegato e quadro intermedio, una indennità (l’integrazione salariale) nella
misura dell’80% della retribuzione globale di fatto che ad essi sarebbe spettata per le ore di
lavoro non prestate, tra le zero ore e il limite dell’orario contrattuale ma comunque non
oltre le 40 ore settimanali (artt. 1 e 2, L. 164/1975) (1). L’indennità è corrisposta entro determinati massimali, aggiornati annualmente.
(1) La erogazione delle integrazioni salariali viene, di regola, effettuata dai datori di lavoro per conto dell’INPS, i quali poi ottengono il rimborso delle somme anticipate ai lavoratori mediante conguaglio con l’importo dei contributi dovuti all’Istituto
medesimo. L’INPS, mediante le sue strutture competenti, provvede, a richiesta, al pagamento diretto delle integrazioni ai lavoratori aventi diritto, qualora ricorrano situazioni di insolvenza, giuridicamente rilevanti, o di comprovate difficoltà di ordine finanziario (art. 2, co. 6, L. 223/1991, art. 7ter, co. 1-3, D.L. 5/2009, conv. in L. 9-4-2009, n. 33 e msg. INPS 15-12-2009, n. 29223).
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L’intervento ordinario è stato esteso anche al settore edile e dell’agricoltura.
Sono esclusi dal trattamento di integrazione salariale i dirigenti, i lavoratori a domicilio e gli apprendisti (per
quest’ultimi, v. amplius succ. § 8).
La durata della CIG è di 3 mesi continuativi, eccezionalmente prorogabili trimestralmente
fino a un massimo complessivo di un anno ovvero, per periodi non continuativi, fino ad un
massimo di 12 mesi in un biennio (2). Per poter beneficiare del trattamento, l’impresa deve
attuare una specifica procedura (artt. 5 e 7, L. 164/1975) che prevede:
—una fase di consultazione sindacale, in cui il datore di lavoro deve comunicare preventivamente alle rappresentanze sindacali, o, in mancanza, alle organizzazioni sindacali di
categoria più rappresentative a livello provinciale, la durata prevedibile della contrazione o sospensione e il numero dei lavoratori interessati. In caso di sospensione o riduzione dell’orario superiore a 16 ore settimanali, su richiesta delle rappresentanze sindacali,
deve essere svolto un esame congiunto in ordine alla ripresa della normale attività produttiva, da esaurirsi entro i 25 giorni successivi alla richiesta (10 se trattasi di imprese
con meno di 50 dipendenti).
Nei casi di eventi che rendano non differibile la contrazione o la sospensione dell’attività produttiva, la
comunicazione alle rappresentanze sindacali aziendali può avvenire successivamente alla messa in cassa
integrazione dei lavoratori;
—una fase amministrativa, in cui deve essere effettuata dal datore di lavoro, entro 25
giorni dalla fine del periodo di paga in cui è iniziata la sospensione o la riduzione dell’orario di lavoro, la presentazione della domanda all’INPS di ammissione al trattamento (3);
devono essere indicati la causa della sospensione o riduzione dell’orario di lavoro e la
presumibile durata, il numero dei lavoratori interessati e le ore di effettivo lavoro.
C) L’intervento straordinario di integrazione salariale (CIGS)
La cassa integrazione guadagni straordinaria (CIGS) è finalizzata a fronteggiare gravi
situazioni di eccedenza occupazionale ed opera in caso di sospensione o riduzione di attività motivate da:
—ristrutturazione (mutamento di tecnologie), riorganizzazione (mutamento dell’organizzazione aziendale) o riconversione aziendale (mutamento dell’attività stessa);
—crisi aziendale;
—procedure concorsuali, quali fallimento, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione straordinaria etc. (4). Va evidenziato, tuttavia, che è stata stabilita la soppressione dal
(2) Per consentire un utilizzo flessibile degli strumenti di sostegno al reddito, permettendo alle imprese una modulazione
della forza lavoro impiegata — finalità particolarmente rilevante nell’attuale fase di crisi economica —, è stato introdotto un
nuovo criterio di computo dei limiti temporali di concessione della CIG: tali limiti non sono calcolati tenendo in conto l’intera settimana, bensì solo le singole giornate effettive di sospensione del lavoro (la settimana si considera raggiunta soltanto
se la sospensione dal lavoro abbia interessato 6 giorni o 5 in caso di settimana corta) (circ. Min. Lav. 20-4-2009, n. 58).
(3) In base all’art. 7, co. 3, L. 164/1975, se l’omessa o tardiva presentazione della domanda comporta la perdita totale o
parziale del diritto all’integrazione salariale a danno dei lavoratori, questi hanno diritto a vedersi corrispondere dall’imprenditore una somma d’importo equivalente all’integrazione non percepita.
(4) Giustifica il ricorso alla CIGS anche il concordato preventivo e l’istituto dell’accordo per la ristrutturazione dei debiti
(art. 182bis, R.D. 16-3-1942, n. 267, cd. legge fallimentare, introdotto dall’art. 2, D.L. 35/2005, conv. in L. 80/2005, e sostituito ex D.Lgs. 169/2007) (Min. Lav. nota 17-3-2009).
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1°-1-2016 della CIGS in caso di procedure concorsuali (art. 3 L. 223/1991, abrogato ex
art. 2, co. 70, L. 92/2012). Durante la fase transitoria, cioè fino al 2016, in caso di procedure concorsuali, l’intervento di CIGS potrà ancora però essere concesso purché sussistano
prospettive di continuazione o di ripresa dell’attività e di salvaguardia, anche parziale, dei
livelli occupazionali (art. 46bis D.L. 83/2012, cd. decreto crescita, conv. in L. 134/2012).
La previsione di una fase transitoria è finalizzata a permettere il superamento delle attuali difficoltà occupazionali, mediante la conservazione della professionalità acquisita dai lavoratori e la loro riqualificazione. Durante il periodo transitorio, la concessione della CIGS è però subordinata alla sussistenza di prospettive di
continuazione o di ripresa dell’attività. In particolare, il D.M. 4-12-2012 ha precisato che devono essere previste: azioni per la continuazione dell’attività da parte del responsabile della procedura concorsuale o in sede
di concertazione sociale a livello governativo o regionale; manifestazioni d’interesse da parte di terzi rispetto
ad eventuali trasferimenti d’azienda (cessioni, affitto etc.); piani volti al distacco di lavoratori o contratti a
termine presso imprese terze; programmi di ricollocazione, formazione o riqualificazione dei lavoratori.
Cessata la fase transitoria, dal 2016, i lavoratori delle aziende interessate da procedure concorsuali non
potranno più beneficiare della CIGS ed accederanno direttamente all’apposita indennità della nuova assicurazione sociale per l’impiego (ASPI).
La CIGS trova applicazione nelle imprese industriali che abbiano occupato più di 15 dipendenti nel semestre precedente la presentazione della richiesta di cassa integrazione e
nelle aziende del commercio con più di 50 lavoratori (art. 12 L. 223/1991).
Al fine di tamponare situazioni di crisi settoriale, con provvedimenti adottati di volta in volta, la CIGS è stata
estesa anche a settori e categorie originariamente non previsti, tra cui: i soci di cooperative di produzione e lavoro; i dipendenti di imprese appaltatrici di servizi di mensa o ristorazione, che effettuano prestazioni di lavoro ad orario ridotto in conseguenza di situazioni di crisi e di difficoltà (art. 23 L. 155/1981); i dipendenti di
imprese artigiane le quali procedono alla sospensione dei lavoratori in conseguenza di sospensioni o contrazioni dell’attività dell’impresa che esercita l’influsso gestionale prevalente (art. 12, co. 1, L. 223/1991); i dipendenti d’imprese appaltatrici dei servizi di pulizia (art. 1, co. 7, D.L. 451/1994 conv. in L. 451/1994).
Da ultimo, il campo di applicazione della CIGS è stato sottoposto ad un riodino complessivo, con definitiva
estensione del trattamento. Ne hanno diritto, tra l’altro, oltre alle categorie di cui sopra, anche le agenzie di
viaggio e turismo con più di 50 dipendenti, le imprese di vigilanza con più di 15 dipendenti, le imprese del
trasporto aereo e del sistema aeroportuale a prescindere dal numero di dipendenti (art. 3, co. 1, L. 92/2012).
La stessa riforma ha abbassato a 50 il limite di occupati per le imprese commerciali (5).
Analogamente a quanto previsto per la CIG, anche nel caso della CIGS hanno diritto all’integrazione salariale i lavoratori con qualifica di operaio, impiegato e quadro. In più, rispetto alla CIG, è richiesta una determinata anzianità aziendale: i lavoratori devono aver maturato un’anzianità lavorativa presso l’impresa di almeno 90 giorni (artt. 8, co. 3, D.L. 86/1988,
conv. in L. 160/1988, e 16, co. 1, L. 223/1991).
Sono esclusi dal trattamento di CIGS i dirigenti, gli apprendisti, i lavoratori a domicilio.
L’individuazione dei lavoratori da porre in cassa integrazione deve essere effettuata con
criteri di correttezza oggettiva (DEL PUNTA), quali buona fede, correttezza e non discriminazione; inoltre deve essere prevista la rotazione nella sospensione, cioè alternando tra
loro i lavoratori sospesi o ad orario ridotto (6).
(5) Prima della L. 92/2012, rientravano nel campo di applicazione della CIGS solo le imprese commerciali con più di 200
dipendenti; l’applicazione della CIGS alle imprese del commercio con organico inferiore, fino a 50, era disposta con provvedimenti adottati di anno in anno.
(6) Si tratta comunque di criteri differenti rispetto a quelli che la legge impone in caso di licenziamento collettivo (v. Cap. 14).
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I criteri di scelta dei lavoratori devono essere comunicati alle rappresentanze sindacali aziendali e formare
oggetto di un esame congiunto (anche se non è formalmente imposto l’obbligo di un accordo sugli stessi). La
mancata comunicazione dei criteri di scelta è considerata dalla giurisprudenza prevalente causa di illegittimità della procedura. La rotazione dei lavoratori è vista come soluzione preferenziale dalla L. 223/1991; nel caso
non sia adottata, devono esserne indicate le ragioni nell’esame congiunto (ad es. esigenze di ordine tecnicoorganizzativo per mantenere i normali livelli produttivi); se tali ragioni non sono ritenute valide, è il Ministero del Lavoro a stabilire con decreto l’adozione di meccanismi di rotazione, sulla base delle specifiche proposte formulate dalle parti (art. 1, co. 8, L. 223/1991). In caso di accordo sui criteri di rotazione possono essere
anche previste clausole di rientro dei lavoratori coinvolti al termine del periodo di integrazione salariale
(ROCCELLA).
L’indennità è pari all’80% della retribuzione globale che sarebbe spettata per le ore di lavoro non prestate fra le zero ore e il limite dell’orario contrattuale, ma comunque non oltre
le 40 ore settimanali. L’indennità è corrisposta entro determinati massimali, aggiornati annualmente.
Per quanto concerne la durata della CIGS, essa è di:
— 24 mesi consecutivi per ristrutturazione, riorganizzazione o riconversione aziendale,
prorogabile per due volte, ciascuna per un massimo di 12 mesi;
— 12 mesi per crisi aziendale, prorogabile per altri 12 mesi.
La CIGS, per crisi aziendale, può essere prorogata, sulla base di specifici accordi in sede governativa, per
un periodo fino a 12 mesi nel caso di cessazione dell’attività dell’intera azienda (o di un settore di attività,
di uno o più stabilimenti o parte di essi) e purché siano stati presentati piani che prevedono interventi, compresa la formazione, se necessaria, finalizzati alla ricollocazione dei lavoratori (D.L. 249/2004 conv. in L.
291/2004);
—12 mesi per procedure concorsuali, prorogabile per altri 6 mesi.
Comunque, in ogni quinquennio, per ciascuna unità produttiva, la durata del trattamento non può eccedere
complessivamente i tre anni, indipendentemente dalle cause per le quali è stato concesso (art. 1, co. 9, L.
223/1991) (7).
Presupposto necessario per l’erogazione del trattamento è la presentazione di un programma mirato al rilancio dell’attività ed alla salvaguardia dei livelli occupazionali.
Per potere accedere al trattamento di CIGS è necessario che venga attivata una specifica
procedura che si articola nei seguenti passaggi essenziali:
—svolgimento di una fase di consultazione sindacale. L’impresa che intende richiedere
l’intervento di CIGS deve darne tempestiva comunicazione alle rappresentanze sindacali aziendali (RSA/RSU) o, in mancanza di queste, alle organizzazioni sindacali di categoria dei lavoratori comparativamente più rappresentative operanti nella Provincia;
—entro 3 giorni dalla comunicazione, l’impresa o i rappresentanti dei lavoratori devono fare domanda di esame congiunto della situazione aziendale all’ufficio competente (regionale o presso il Ministero del Lavoro, a seconda se le unità produttive
interessate dalla CIGS si trovino, rispettivamente, in una sola Regione o in più Re(7) Sono previste, tuttavia, diverse deroghe a tale durata massima: nel caso di ristrutturazione, riconversione e riorganizzazione di particolare complessità (la durata massima, comprensiva di eventuali proroghe, è di 4 anni); nel caso di procedure concorsuali a condizione che l’attività produttiva sia iniziata almeno 24 mesi prima dell’avvio degli interventi di
integrazione salariale (D.M. 20-8-2002); qualora si faccia ricorso al contratto di solidarietà con la finalità di strumento
alternativo alla procedura per la dichiarazione di mobilità (art. 7, D.M. 10-7-2009).
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gioni). L’oggetto dell’esame congiunto è il programma che l’impresa intende attuare
(8) (9).
La fase di consultazione sindacale deve concludersi entro 25 giorni (o 10 giorni in caso
di aziende con non più di 50 dipendenti occupati) dalla ricezione della richiesta di esame
congiunto da parte dell’ufficio competente;
—svolgimento di una fase amministrativa che inizia con la presentazione della domanda di ammissione al trattamento al Ministero del Lavoro; qualora si tratti di ristrutturazione, riconversione e riorganizzazione aziendale, la domanda deve essere presentata
anche ai servizi ispettivi della DTL. La domanda di ammissione deve contenere anche
il programma che l’impresa intende attuare.
La domanda di concessione del trattamento integrativo deve essere presentata entro 25 giorni dalla fine del
periodo di paga in corso al termine della settimana in cui ha avuto inizio la sospensione (o la riduzione
dell’orario di lavoro) (10) (11);
—emanazione del decreto di concessione da parte del Ministero del Lavoro.
L’ufficio competente, ricevuta la richiesta corredata dalla documentazione necessaria, valuta da un punto di
vista tecnico la sussistenza dei requisiti per la concessione del trattamento, il programma per il rilancio e il
risanamento dell’attività aziendale, nonché il piano di riassorbimento dei lavoratori cassintegrati terminato
il periodo di sospensione. La procedura deve concludersi, mediante il decreto di autorizzazione alla CIGS,
di regola entro 30 giorni dal ricevimento della domanda. Il decreto di autorizzazione viene poi pubblicato
sulla Gazzetta Ufficiale;
—pagamento del trattamento a seguito della pubblicazione del decreto ministeriale di
concessione e dell’autorizzazione dell’INPS (12) (13) (14).
La domanda di autorizzazione all’INPS al pagamento della CIGS deve essere presentata entro 25 giorni
dalla fine del periodo di paga in corso al termine della settimana in cui è stato pubblicato il decreto ministeriale di concessione.
(8) I criteri per l’approvazione dei programmi sono stati definiti con D.M. 20-8-2002 e 18-12-2002.
(9) I contratti e gli accordi collettivi di gestione delle crisi aziendali che prevedono il ricorso agli ammortizzatori sociali devono essere depositati presso il Ministero del Lavoro (art. 2, co. 70 bis, L. 92/2012, introdotto dall’art. 46bis D.L. 83/2012
conv. in L. 134/2012).
(10) Qualora dalla omessa o tardiva presentazione della domanda di ammissione derivi, a danno dei lavoratori, la perdita
totale o parziale del diritto al trattamento di integrazione salariale, l’imprenditore è tenuto a corrispondere ai lavoratori stessi
una somma d’importo equivalente all’integrazione salariale non percepita (artt. 7, co. 3, L. 164/1975 e 3, co. 6, D.P.R. 218/2000).
(11) Nel caso di procedure concorsuali, svolto l’esame congiunto con i sindacati, successivamente è lo stesso commissario,
il curatore ovvero il liquidatore (a seconda della procedura concorsuale in atto) a dover presentare al Ministero del Lavoro
la domanda per la CIGS (artt. 2 e 3, L. 223/1991 e 6, D.P.R. 218/2000).
(12) Come per la CIG, il trattamento è pagato anticipatamente dal datore di lavoro per conto dell’INPS che provvede al
rimborso attraverso il meccanismo del conguaglio con la contribuzione; il Ministro del Lavoro può disporre che l’Istituto
provveda al pagamento diretto se l’impresa si trova in comprovate difficoltà finanziarie (artt. 2, co. 6, L. 223/1991 e 7ter, co.
1-3, D.L. 5/2009 conv. in L. 33/2009).
(13) Nei casi di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale, il servizio ispezione delle DTL interessate, decorso almeno un trimestre dall’inizio del trattamento straordinario di integrazione salariale, può effettuare accertamenti sullo
svolgimento del programma di risanamento, trasmettendone gli esiti al competente ufficio del Ministero. Successivamente,
decorsi i primi 12 mesi dall’inizio del trattamento straordinario di integrazione salariale, in caso di eventuali domande di
proroga, lo stesso servizio ispettivo deve svolgere una verifica per accertare la regolare attuazione del programma da parte
dell’impresa (art. 4, D.P.R. 218/2000).
(14) In caso di revoca del provvedimento di concessione della CIGS per motivi non derivanti da comportamenti illegittimi
dei lavoratori, questi non sono tenuti a restituire l’indennità. Il recupero dei crediti delle relative prestazioni, infatti, è effettuato dall’INPS direttamente nei confronti delle imprese (art. 1bis, D.L. 108/2002 conv. in L. 172/2002).
Il sistema degli ammortizzatori sociali
421
3.I contratti di solidarietà difensivi
I contratti di solidarietà, disciplinati dalla L. 19-12-1984, n. 863, sono accordi stipulati tra
imprese e rappresentanze sindacali (15), nei quali viene stabilita una generalizzata diminuzione dell’orario di lavoro dei lavoratori occupati nell’impresa e possono essere di due tipi:
1) di carattere difensivo (o congiunturali o interni): con essi la diminuzione dell’orario di
lavoro, a fronte della diminuzione delle esigenze produttive, consente di evitare licenziamenti per eccedenza di personale;
2) di carattere espansivo (o strutturali o esterni): con essi la diminuzione dell’orario di lavoro consente l’assunzione di nuovo personale per incrementare l’occupazione aziendale.
Mentre questi ultimi rispondono ad un principio di solidarietà tra lavoratori disoccupati e
occupati, i contratti di solidarietà difensivi sono uno strumento attraverso cui fronteggiare situazioni di eccedenza di personale ed evitare licenziamenti collettivi (16). Per favorire
la stipulazione dei contratti solidarietà è prevista un’incentivazione in favore dei datori di
lavoro, costituita da una riduzione contributiva. Da ultimo, con il Jobs Act (D.L. 34/2014,
conv. in L. 16-5-2014, n. 78), è stato disposto l’aumento della misura dello sgravio contributivo, demandandosi ad un apposito decreto interministeriale la definizione dei criteri per
la concessione dell’agevolazione.
I contratti di solidarietà difensivi devono essere autorizzati dal Ministero del Lavoro e
possono essere conclusi nelle imprese rientranti nel campo di applicazione della CIGS,
purché abbiano occupato mediamente più di 15 lavoratori nel semestre precedente la data
di presentazione dell’istanza del trattamento (D.M. 10-7-2009).
Sono escluse le imprese che abbiano presentato istanza per essere ammesse ad una procedura concorsuale ovvero vi siano state ammesse senza previsione di continuazione dell’attività. È esclusa l’applicazione anche nei
casi di fine lavoro e fine fase lavorativa nei cantieri edili, e i rapporti a tempo determinato instaurati al fine di
soddisfare esigenze produttive stagionali.
Può beneficiare del contratto di solidarietà tutto il personale dipendente ad esclusione dei
dirigenti, degli apprendisti e dei lavoratori a domicilio.
Nel contratto di solidarietà deve essere quantificato e motivato l’esubero di personale e la
riduzione dell’orario di lavoro (stabilita con riferimento all’orario giornaliero, settimanale
o mensile) che, su base settimanale, non può superare il 60% dell’orario di lavoro contrattuale dei lavoratori coinvolti (17).
I lavoratori posti in regime di solidarietà non possono effettuare prestazioni oltre l’orario ridotto, a meno che
l’impresa non dia prova di sopravvenute e straordinarie esigenze collegate all’attività produttiva.
(15) I contratti e gli accordi collettivi di gestione delle crisi aziendali che prevedono il ricorso agli ammortizzatori sociali
devono essere depositati presso il Ministero del Lavoro (art. 2, co. 70 bis, L. 92/2012); il Jobs Act (D.L. 34/2014, conv. in L.
78/2014) ha previsto poi che i contratti di solidarietà siano depositati presso l’Archivio nazionale dei contratti e degli accordi di lavoro, istituito presso il CNEL, per favorire la diffusione delle buone pratiche e il monitoraggio delle risorse impiegate.
(16) I contratti di solidarietà difensivi possono essere stipulati non solo per evitare licenziamenti collettivi, ma anche per
evitare licenziamenti plurimi individuali per giustificato motivo oggettivo (art. 7ter, co. 9, lett. d), D.L. 5/2009, conv. in L.
33/2009, che modifica l’art. 5, co. 5, D.L. 184/1993 conv. in L. 236/1993).
(17) Il limite di riduzione dell’orario di lavoro (massimo 60%) può essere riferito alla media di riduzione dell’orario di lavoro contrattuale della platea di lavoratori coinvolti nel contratto di solidarietà (di conseguenza, per alcuni lavoratori la riduzione su base settimanale può essere superiore al limite del 60%, per altri invece inferiore, in modo che risulti comunque rispettato il limite come media) (art. 4, co. 3, D.M. 10-7-2009 e Min. Lav. nota 8-2-2010).
422
Capitolo 15
Ai lavoratori interessati dal contratto di solidarietà difensivo spetta un trattamento d’integrazione salariale, pari di regola al 60% della retribuzione persa dal lavoratore a seguito
della riduzione dell’orario di lavoro (art. 6, co. 3, L. 608/1996). Fino al 31-12-2013, la
misura di tale trattamento è stata elevata all’80% della retribuzione (art. 1, co. 6, D.L. 78/2009
conv. in L. 102/2009 e, per l’ultima proroga, L. 228/2012). Per il 2014, invece, l’elevazione
è stata ridotta al 70% della retribuzione persa dal lavoratore (L. 147/2013, cd. legge di
stabilità 2014).
La durata del contratto di solidarietà non può essere superiore a 24 mesi, prorogabile di
ulteriori 24 mesi o, per gli operai e per gli impiegati occupati nel Mezzogiorno, di 36 mesi
(art. 1, co. 9, L. 223/1991) (18).
4.I fondi di solidarietà settoriali
La previsione dei cd. fondi di soli­darietà settoriali risale a metà degli anni Novan­ta, come
misura sperimentale finalizzata a fornire un sostegno del reddito e a favorire politiche attive dell’impiego nell’ambito di processi di ri­strutturazione aziendale (art. 2, co. 28, L.
662/1996). La costituzione dei fondi in questione veniva promossa, in partico­lare, per fronteggiare le situazioni di crisi di enti ed aziende pubblici e privati di pubblica utilità, nonché
per sostenere quelle categorie e quei settori d’impresa sprovvisti di un sistema pubblico
di am­mortizzatori sociali.
È escluso dalle prestazioni a sostegno del reddito erogate dai fondi il personale dirigente, se non espressamente previsto.
La legge Fornero ha ribadito la funzione dei fondi di solidarietà, preveden­do l’adeguamento dei fondi già istituiti (art. 3, co. 4, L. 92/2012). In tal modo si intende, quindi, integrare
in chiave universalistica il sistema di tutela del reddito in costanza di rapporto di lavoro.
I fondi di solidarietà sono basati su un meccanismo di autofinanziamento mediante contribuzione da parte delle
imprese appartenenti ai settori rientranti nella specifica sfera di operatività del fondo, nonché da parte degli
stessi lavoratori (art. 3, co. 22, L. 92/2012).
In particolare, i fondi di solidarietà hanno lo scopo di assicurare una tutela economica in
costanza di rapporto di lavoro nei casi di riduzione o sospensione dell’attività lavorativa per le stesse cause previste dalla normativa in materia di integrazione salariale ordinaria o straordinaria.
La prestazione economica corrisponde ad un assegno ordinario di importo pari all’integrazione salariale. La durata massima della prestazione non deve essere inferiore a 1/8
delle ore complessivamente lavorabili in un biennio mobile, né superiore a 3 mesi continuativi (prorogabili trimestralmente fino a 12 mesi) (art. 1, co. 251, L. 228/2012).
Oltre a tale funzione principale, i fondi possono avere anche fina­lità ulteriori, quali (art. 3, co. 32, L. 92/2012):
— assicurare ai lavoratori una tutela integrativa rispetto alle prestazioni pubbliche erogate in caso di cessazione del rapporto di lavoro;
(18) Se il ricorso ad un nuovo contratto di solidarietà ha la finalità di strumento alternativo alla procedura di mobilità, il limite di 36
mesi può essere superato (art. 7, D.M. 10-7-2009).
Il sistema degli ammortizzatori sociali
423
— prevedere assegni straordinari per il sostegno al reddito, ricono­sciuti nel quadro dei processi di agevolazione all’esodo, a lavo­ratori che raggiungano i requisiti previsti per il pensionamento di vecchiaia o anticipato nei successivi 5 anni;
— contribuire al finanziamento di programmi formativi di riconver­sione o riqualificazione professionale.
L’istituzione dei fondi è obbligatoria per i settori non coperti dal sistema delle integrazioni salariali (ordinaria e straordinaria), limitatamente alle impre­se che occupino mediamente più di 15 dipendenti (art. 3, co. 10, L. 92/2012). In tal caso i fondi sono preordinati alla
concessione di prestazioni economi­che analoghe alle integrazioni salariali.
L’istituzione dei fondi è facoltativa, invece, per le aziende appartenenti a settori già coperti dalle integrazioni
salariali; in tal caso i fondi sono mirati essenzialmente al perseguimento delle ulterio­ri finalità di cui si è detto.
Sezione Seconda
Gli ammortizzatori sociali
in caso di perdita dell’occupazione
5.La mobilità extra-aziendale
Oltre agli strumenti a tutela del reddito esaminati in precedenza, attuabili in costanza di
rapporto — che in tal caso non è interrotto, ma soltanto ridotto o sospeso a causa della riduzione dell’attività produttiva — il nostro ordinamento prevede appositi istituti che intervengono nel caso in cui il rapporto di lavoro è definitivamente cessato. Essi hanno a fondamento l’impegno dello Stato a fornire ai lavoratori mezzi adeguati alle loro esigenze di
vita in caso di disoccupazione involontaria (art. 38, co. 2, Cost.).
Il primo di questi istituti è, per per le sue peculiarità, quello della mobilità, disciplinata dalla
L. 223/1991, che costituisce un meccanismo attraverso il quale si promuove la ricollocazione
dei lavoratori licenziati per eccedenza di personale. Tali lavoratori sono iscritti in una speciale lista di collocamento (cd. lista di mobilità) che conferisce determinate agevolazioni, ai
datori di lavoro, in caso di assunzione dalla lista; inoltre il lavoratore, per la durata dell’iscrizione nella lista, beneficia di un trattamento a sostegno del reddito (cd. indennità di mobilità).
La legge Fornero, nell’ambito della revisione degli ammortizzatori sociali, è intervenuta
significativamente anche sull’istituto della mobilità, prevedendone la soppressione dal 2017
e riconducendo la tutela dei lavoratori nell’ambito dell’assicurazione sociale per l’impiego
(ASPI).
Oltre all’indennità di mobilità, dal 1°-1-2017, saranno soppresse anche le liste di mobilità e le misure concernenti il collocamento degli iscritti nelle liste, compresi i relativi incentivi all’assunzione (artt. 6-9 L. 223/1991).
Attualmente e fino al 31-12-2016 si può ricorrere all’istituto della mobilità in due circostanze:
1) in caso di licenziamenti collettivi per riduzione o trasformazione Mobilità
di attività o lavoro o per cessazione dell’attività (art. 24 L. extra-aziendale
223/1991) (v. amplius Cap. 14);
2) nel caso di imprese ammesse al trattamento straordinario di integrazione salariale
(CIGS) che, durante o al termine del programma di risanamento, ritengono di non esse-
424
Capitolo 15
re in grado di reimpiegare i lavoratori sospesi o di attuare misure alternative al licenziamento (art. 4 L. 223/1991).
Al verificarsi di queste condizioni, l’impresa interessata avvia la procedura di mobilità che
è analoga a quella da attivare per ottenere la concessione della CIGS.
È infatti previsto che:
—l’impresa preventivamente comunichi alle rappresentanze sindacali aziendali (RSA) e
alle rispettive associazioni di categoria di voler procedere alla messa in mobilità;
—si svolga, a richiesta delle RSA, un esame congiunto per valutare la situazione e tentare strade alternative alla messa in mobilità;
—in caso negativo, l’impresa può collocare in mobilità i lavoratori eccedenti, comunicando a ciascuno di essi, per iscritto, il recesso dal rapporto di lavoro.
L’impresa, nella scelta dei lavoratori da collocare in mobilità, deve attenersi a ben precisi
criteri: essi possono essere fissati con l’accordo sindacale oppure, in mancanza, tenendo
conto dei criteri legali, quali i carichi di famiglia, l’anzianità e le esigenze tecnico-produttive ed organizzative (art. 5 L. 223/1991) (19).
A conclusione della procedura di mobilità, l’impresa deve comunicare alla DTL l’elenco dei
lavoratori eccedenti che sono stati licenziati, i quali possono chiedere di essere inseriti nella lista di mobilità.
L’iscrizione nelle liste di mobilità dà diritto ad uno specifico trattamento economico, l’indennità di mobilità. Per avervi diritto, il lavoratore deve essere però in possesso dei seguenti requisiti:
— anzianità aziendale complessiva di almeno 12 mesi;
—almeno 6 mesi di lavoro svolto.
In mancanza dei suddetti requisiti non si ha diritto all’indennità. In ogni caso, permane l’interesse del lavoratore all’iscrizione nelle liste di mobilità poiché essa ne favorisce il reimpiego. Sono infatti previsti incentivi ed
agevolazioni in favore dei datori di lavoro che assumono lavoratori iscritti nelle liste di mobilità (20).
L’importo dell’indennità di mobilità è stabilito in misura percentuale al trattamento straordinario di integrazione salariale e decresce in base al tempo di fruizione.
L’indennità di mobilità spetta nella misura del 100% del trattamento di CIGS per i primi 12 mesi e dell’80% dal
13° mese in poi (art. 7, co. 1, L. 223/91). L’indennità è erogata entro determinati massimali, rivalutati annualmente.
La durata del trattamento varia in relazione all’età del lavoratore al momento del licenziamento, all’anno in cui è collocato in mobilità e alla Regione in cui si trova l’azienda (art. 2,
co. 46, L. 92/2012 e D.L. 83/2012 conv. in L. 134/2012).
In particolare, nel periodo transitorio, dal 1°-1-2013 e fino al 31-12-2016, per la generalità dei lavoratori, la
durata dell’indennità di mobilità è di:
— 12 mesi, dal 2013 al 2016, per i lavoratori con età inferiore a 40 anni;
(19) Gli accordi collettivi di gestione delle crisi aziendali che prevedono il ricorso ad ammortizzatori sociali devono essere
depositati presso il Ministero del Lavoro (art. 46bis D.L. 83/2012 conv. in L. 134/2012).
(20) Per agevolarne il reimpiego, la possibilità di iscrizione nelle liste di mobilità era stata estesa anche ai lavoratori licenziati per giustificato motivo oggettivo connesso a riduzione, trasformazione o cessazione di attività o di lavoro. Tale misura è
stata prorogata di anno in anno fino al 31-12-2012, termine finale dell’ultima proroga (art. 33, co. 23, L. 183/2011).
425
Il sistema degli ammortizzatori sociali
— 24 mesi nel 2013 e nel 2014, 18 mesi nel 2015 e 12 mesi nel 2016, per i lavoratori che hanno compiuto 40
anni di età;
— 36 mesi nel 2013 e nel 2014, 24 mesi nel 2015 e 18 mesi nel 2016, per i lavoratori che hanno compiuto 50
anni di età.
Per i lavoratori del Mezzogiorno, la durata dell’indennità di mobilità è di:
— 24 mesi nel 2013 e nel 2014, 12 mesi nel 2015 e nel 2016, se di età inferiore a 40 anni;
— 36 mesi nel 2013 e nel 2014, 24 mesi nel 2015 e 18 mesi nel 2016, se hanno compiuto 40 anni di età;
— 48 mesi nel 2013 e nel 2014, 36 mesi nel 2015 e 24 mesi nel 2016, se hanno compiuto 50 anni di età.
DURATA DELL’INDENNITÀ DI MOBILITÀ
NEL PERIODO TRANSITORIO 2013-2016
Generalità
dei lavoratori
Lavoratori con meno
di 40 anni
Lavoratori che hanno
compiuto 40 anni
Lavoratori che hanno
compiuto 50 anni
Lavoratori del
Mezzogiorno
Lavoratori con meno
di 40 anni
Lavoratori che hanno
compiuto 40 anni
Lavoratori che hanno
compiuto 50 anni
collocati in
mobilità nel
2013
collocati in
mobilità nel
2014*
collocati in
mobilità nel
2015
collocati in
mobilità nel
2016
24 mesi
24 mesi
18 mesi
12 mesi
36 mesi
36 mesi
24 mesi
18 mesi
24 mesi
24 mesi
12 mesi
12 mesi
36 mesi
36 mesi
24 mesi
18 mesi
48 mesi
48 mesi
36 mesi
24 mesi
12 mesi
12 mesi
12 mesi
12 mesi
* La tempistica per l’anno 2014 è stata equiparata a quella dell’anno 2013 dal D.L. 83/2012 conv. in L. 134/2012.
6.L’assicurazione sociale per l’impiego (ASPI)
L’istituto preposto al sostegno del reddito in caso di disoccupazione involontaria è rappresentato dall’assicurazione sociale per l’impiego (ASPI), introdotta dalla legge Fornero
(art. 2 L. 92/2012) (21).
L’ASPI fa capo all’INPS nell’ambito della Gestione prestazioni temporanee.
Per un periodo transitorio, fino al 2016, l’ASPI si affianca all’indennità di mobilità, intervenendo la prima in caso di licenziamento individuale, la seconda in caso di licenziamento collettivo.
A decorrere dal 2017, l’istituto della mobilità sarà definitivamente soppresso e la tutela economica dei lavoratori che hanno perso il posto di lavoro, sia in caso di licenziamento individuale,
sia in caso di licenziamento collettivo, sarà ricondotta nell’ambito dell’ASPI (22).
(21) L’ASPI ha sostituito, a decorrere dal 2013, gran parte delle prestazioni erogate dall’assicurazione generale obbligatoria
contro la disoccupazione, istituita presso l’INPS agli inizi del secolo scorso (R.D.L. 19-10-1919, n. 2214).
(22) Le indennità di disoccupazione per gli operai agricoli non sono state assorbite dall’ASPI e, quindi, restano in vigore.
Restano in vigore transitoriamente, fino al 31-12-2016, anche i trattamenti speciali di disoccupazione per i lavoratori dell’edilizia (art. 2, co. 71, L. 92/2012).
426
Capitolo 15
La disoccupazione «involontaria» e gli altri presupposti dell’ASPI
La disoccupazione che dà diritto alla tutela previdenziale non è la mancanza di lavoro in genere,
bensì «quella che deriva dall’estinzione di un rapporto di lavoro» (PERSIANI).
Così come previsto per la precedente assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione, anche per
l’ASPI, beneficiano delle indennità a sostegno del reddito solo i disoccupati veri e propri, cioè coloro che hanno perso un precedente posto di lavoro. Anche se, rispetto al passato, è stata ampliata
la platea dei soggetti tutelati, le indennità di disoccupazione erogate dall’ASPI si configurano pur
sempre come un trattamento assicurativo, cui si ha diritto sulla base di determinati requisiti di assicurazione e di contribuzione. Esse non costituiscono dunque uno strumento universale a sostegno del
reddito in favore di coloro che sono alla ricerca di un primo impiego (inoccupati).
Inoltre, le indennità dell’ASPI spettano in caso di disoccupazione involontaria: quindi in tutti i casi di
licenziamento individuale, compresi i casi di licenziamento disciplinare per colpa del lavoratore o di
licenziamento in tronco per giusta causa, e dal 2017, anche in caso di licenziamento collettivo.
L’ASPI interviene anche in presenza di circostanze che, pur diverse dalla perdita involontaria del
posto di lavoro, sono comunque ritenute meritevoli di tutela. In particolare, così come per la precedente assicurazione contro la disoccupazione, le indennità spettano anche nei casi di dimissioni del
lavoratore, quando esse siano presentate nel periodo tutelato di maternità (da 300 giorni prima della
data presunta del parto e fino al compimento del primo anno di vita del figlio), nonché quando le dimissioni siano sorrette da una giusta causa. Possono essere considerate tali le dimissioni determinate da: mancato pagamento della retribuzione, mobbing e molestie sessuali nel luogo di lavoro,
modificazioni peggiorative delle mansioni lavorative, variazioni delle condizioni di lavoro a seguito di
cessione a terzi dell’azienda, trasferimento immotivato, comportamento ingiurioso posto in essere dal
superiore gerarchico nei confronti del dipendente (Corte Cost. sent. 17-6-2002, n. 269 e circ. INPS
142/2012 e 163/2003).
Inoltre, l’ASPI spetta anche in caso di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro ove abbia avuto
esito positivo la procedura di conciliazione presso la DTL effettuata a seguito di comunicazione di licenziamento per giustificato motivo oggettivo (circ. INPS 142/2012).
Restano, invece, escluse dalla tutela economica dell’ASPI le dimissioni spontanee del lavoratore e le
altre ipotesi di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, nonché le ipotesi di cessazione del
rapporto di lavoro per morte del lavoratore (circ. INPS 44/2013 e 142/2012).
L’applicazione dell’ASPI è prevista per la generalità dei settori produttivi e comprende
tutti i lavoratori subordinati, sia con contratto a tempo indeterminato che a termine, inclusi gli apprendisti e i soci lavoratori di cooperativa che abbiano stabilito con la stessa un
rapporto di lavoro in forma subordinata (art. 2, co. 2, L. 92/2012).
Sono invece esclusi dall’ASPI i dipendenti pubblici assunti a tempo indeterminato.
Per avere diritto al trattamento a sostegno del reddito erogato dall’ASPI, i lavoratori devono aver maturato i seguenti requisiti (art. 2, co. 4, L. 92/2012):
—almeno due anni di assicurazione;
—almeno un anno di contribuzione nel biennio precedente l’inizio del periodo di disoccupazione.
L’ASPI eroga un’apposita indennità mensile, il cui importo è pari al 75% della retribuzione persa a seguito della cessazione del rapporto di lavoro, più una somma aggiuntiva in caso
di retribuzioni superiori ad un certo importo. Inoltre, l’importo dell’indennità si riduce in
base al tempo di fruizione dello stesso.
Il sistema degli ammortizzatori sociali
427
In caso di retribuzioni superiori a € 1.192,98 al mese (parametro valido per l’anno 2014), l’indennità è pari al
75% di tale importo, più una somma pari al 25% del differenziale tra la retribuzione mensile e il predetto importo, entro i limiti di un determinato massimale.
L’importo dell’indennità si riduce del 15%, dopo i primi 6 mesi di fruizione, e di un ulteriore 15% dopo il dodicesimo mese di fruizione. Pertanto dopo 12 mesi la decurtazione complessiva dell’indennità, se ancora dovuta, è del 30%.
Per quanto concerne la durata dell’indennità erogata dall’ASPI, essa è in funzione dell’età
del lavoratore e, fino all’entrata a regime del trattamento, prevista nel 2016, anche in base
all’anno in cui viene a cessare il rapporto di lavoro (v. tabella).
É previsto anche un trattamento di durata ridotta, cd. mini-ASPI, che viene corrisposto nel
caso in cui non siano maturati i requisiti necessari per fruire del trattamento ordinario (art.
2, co. 20, L. 92/2012).
Il contributo di licenziamento
Con la legge Fornero è stato introdotto uno specifico onere a carico del datore di lavoro nei casi di
licenziamento. Si tratta di un contributo una tantum destinato al finanziamento dell’ASPI, che si
aggiunge alla normale contribuzione periodica.
Il contributo una tantum deve essere versato in tutti i casi di cessazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, dalla quale derivi il diritto all’ASPI (art. 1, co. 250, L. 228/2012), indipendentemente dal fatto che il lavoratore, rispetto al quale è cessato il rapporto di lavoro, abbia o meno i requisiti
contributivi e assicurativi per l’effettiva fruizione dell’indennità ASPI. In pratica «i datori di lavoro sono
tenuti all’assolvimento della contribuzione in tutti i casi in cui la cessazione del rapporto generi in capo
al lavoratore il teorico diritto alla nuova indennità, a prescindere dall’effettiva percezione della stessa»
(circ. INPS 44/2013).
L’importo del contributo è pari al 41% del massimale mensile ASPI per ogni 12 mesi di anzianità di
servizio del dipendente negli ultimi 3 anni (art. 2, co. 31, L. 92/2012 sostituito dall’art. 1, co. 250, L.
228/2012). Pertanto, il contributo in questione è pari a:
— 41% del massimale mensile ASPI in caso di anzianità aziendale di un anno;
— 82% del massimale mensile ASPI in caso di anzianità aziendale di 2 anni;
— 123% del massimale mensile ASPI in caso di anzianità aziendale di 3 o più anni. Questo è il contributo massimo da pagare.
Esemplificando, si considerino due lavoratori a tempo indeterminato licenziati nel corso del 2014 per
motivi disciplinari. Il primo lavoratore alla data del licenziamento ha un’anzianità aziendale di un solo
anno, mentre il secondo ha un’anzianità aziendale pari a 12 anni. Assumendo il massimale mensile
ASPI per il 2014 pari a € 1.165,58 (circ. INPS 12/2014), il contributo dovuto dal datore di lavoro
all’atto del licenziamento corrisponde per il primo lavoratore a € 477,88 (41% di € 1.165,58) e per il
secondo a € 1.433,66 (123% di € 1.165,58), per una somma complessiva a carico del datore di lavoro di € 1.911,54.
Fino al 2016, nei casi di mobilità collettiva, il contributo di licenziamento in questione non deve essere versato, in quanto in tale ipotesi il datore di lavoro è tenuto a versare il cd. contributo di accesso
alla mobilità. Dal 2017, cessato l’istituto della mobilità, nei casi di licenziamento collettivo in cui la
dichiarazione di eccedenza del personale non abbia formato oggetto di accordo sindacale, si paga
un contributo maggiorato (l’importo del contributo, pari al 41% del massimale mensile di ASPI per
ogni 12 mesi di anzianità aziendale negli ultimi 3 anni, deve essere moltiplicato per 3).
428
Capitolo 15
DURATA DELL’INDENNITÀ
EROGATA DALL’ASPI
Fase transitoria
Lavoratori con meno di 50
anni di età
Lavoratori di età pari o
superiore a 50 anni
Lavoratori di età pari o
superiore a 55 anni
2013
2014
2015
8 mesi
8 mesi
10 mesi
12 mesi
12 mesi
14 mesi
16 mesi
12 mesi
Trattamento
a regime
2016
12 mesi
18 mesi
Sezione Terza
Altri trattamenti a sostegno del reddito
7.Il regime degli ammortizzatori sociali «in deroga»
A fronte delle crisi produttive e delle problematiche occupazionali che si sono manifestate
nel nostro Paese a partire dal 2008, il legislatore ha esteso le tradizionali forme di sostegno
del reddito anche a quei casi in cui i lavoratori sospesi dal lavoro o licenziati ne fossero
privi in quanto non appartenenti ai settori cui è riservata l’applicazione dell’assicurazione
contro la disoccupazione, della CIG e della mobilità.
L’intervento non si è realizzato in modo organico ma mediante l’adozione di disposizioni
legislative in deroga alla normativa generale e ordinaria (la L. 223/1991), che, benché di
carattere eccezionale e transitorio, sono state poi prorogate di anno in anno.
In tale ottica è stata prevista la concessione, anche senza soluzione di continuità, dei trattamenti di integrazione salariale (CIG e CIGS), di mobilità e di disoccupazione in
deroga alla normativa vigente e la possibilità di proroga da parte del Ministero del Lavoro dei trattamenti in deroga già precedentemente concessi (23).
Nei casi di proroga, la misura dei trattamenti è ridotta del 10% alla prima proroga, del 30% alla seconda proroga e del 40% nel caso di proroghe successive (24).
Al fine di garantire criteri omogenei di accesso a tutte le forme di integrazione del reddito, i lavoratori destinatari
della cassa integrazione in deroga e della mobilità in deroga, per poterne usufruire, devono essere in possesso dei
requisiti soggettivi previsti in via ordinaria (art. 7ter, co. 6, D.L. 5/2009, conv. in L. 33/2009 e art. 1, co. 31, L. 220/2010).
I trattamenti in deroga scompariranno per effetto del nuovo sistema degli ammortizzatori
sociali delineato dalla riforma Fornero. A regime, infatti, si dovrebbe pervenire ad un sistema in grado di fornire una tutela più ampia, includendo anche le categorie escluse dal beneficio dei tradizionali ammortizzatori sociali.
(23) I decreti di concessione delle misure in deroga possono modulare e differenziare le misure medesime anche in funzione
della compartecipazione finanziaria a livello regionale o locale (art. 19, co. 8, D.L. 185/2008, conv. in L. 2/2009).
(24) I trattamenti di sostegno del reddito in deroga, nel caso di proroghe successive alla seconda, possono essere erogati esclusivamente nel caso di frequenza di specifici programmi di reimpiego, anche miranti alla riqualificazione professionale, organizzati dalla Regione (art. 19, co. 9, D.L. 185/2008, conv. in L. 2/2009, modif. dall’art. 7ter, co. 5, D.L. 5/2009, conv. in L. 33/2009).
Il sistema degli ammortizzatori sociali
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Nelle more, tuttavia, per tenere conto della ricaduta in termini occupazionali della crisi
economica e della recessione in atto, la possibilità di concessione dei trattamenti in deroga,
nonché di proroga di quelli in atto, è nuovamente prevista dalla riforma, in riferimento al
periodo 2013-2016 (art. 2, co. 64, L. 92/2012).
8.Le misure straordinarie a sostegno del reddito
L’aggravarsi della fase di crisi economica ha indotto il Governo a varare, tra la fine del 2008
e la prima metà del 2009, un pacchetto di importanti misure per contrastarne le pesanti
conseguenze in campo produttivo, sociale e occupazionale. Una parte delle misure in questione è stata finalizzata a garantire un sostegno del reddito in caso di riduzione o perdita
dell’occupazione a categorie di lavoratori in precedenza completamente escluse dai tradizionali ammortizzatori sociali. In particolare è stato previsto un trattamento speciale per gli
apprendisti e per i lavoratori sospesi dal lavoro per crisi aziendale o occupazionale
appartenenti ad imprese non rientranti nel campo di applicazione della CIG (art. 19, co. 1,
lett. a e b, e co. 1bis, D.L. 185/2009 conv. in L. 2/2009).
La riforma Fornero ha disposto la definitiva soppressione dei trattamenti in questione a
partire dal 2013 (art. 2, co. 55, L. 92/2012). Le categorie di lavoratori cui essi erano destinati sono, infatti, stati ricompresi nell’ambito di applicazione dell’ASPI e, in caso di cessazione del rapporto di lavoro, subordinatamente al possesso dei requisiti richiesti, possono
accedere alla relativa indennità.
In particolare, in via sperimentale, dal 2013 al 2015, ai lavoratori sospesi dal lavoro per crisi aziendale o occupazionale, appartenenti ad imprese non rientranti nel campo di applicazione della CIG, spetta l’indennità erogata dall’ASPI per una durata massima di 90 giorni in un biennio (art. 3, co. 17, L. 92/2012 e circ. INP S 36/2013).
La straordinarietà di tale misura è rappresentata dal fatto che l’indennità è erogata normalmente in caso di cessazione del rapporto di lavoro e non, come in questo caso, per la mera sospensione dal lavoro, durante la quale
il lavoratore fruisce, di regola, delle integrazioni salariali.
Lo stesso trattamento spetta, dal 2013, in caso di sospensione per crisi aziendali o occupazionali, agli apprendisti, esclusi dalle integrazioni salariali (circ. INPS 36/2013).
Un ulteriore trattamento speciale a sostegno del reddito è previsto, in caso di fine lavoro, in
favore dei lavoratori a progetto (art. 19, co. 2, D.L. 185/2008 conv. in L. 2/2009, modif.
dall’art. 2, co. 130, L. 191/2009). Il sussidio spetta ai lavoratori a progetto che operano
senza partita IVA, in zone o settori in crisi, e che soddisfino una serie di stringenti condizioni, tra cui: operino in regime di monocommittenza (in riferimento all’ultimo rapporto di
lavoro); risultino senza contratto di lavoro per almeno 2 mesi ininterrotti nell’anno precedente quello in cui si richiede l’indennità.
9.L’assegno in caso di lavori socialmente utili
Il ricorso agli interventi straordinari di integrazione salariale di certo Assegno per i lavoratori
attenua le tensioni sociali conseguenti alle riduzioni di personale, ma, socialmente utili
d’altra parte, contribuisce ad appesantire la spesa pubblica. Si è così
pensato di impiegare i soggetti percettori di indennità varie, connesse allo stato di disoccupazione, in servizi o lavori di pubblica utilità (LSU) presso pubbliche amministrazioni.
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Capitolo 15
Il rapporto giuridico che si instaura tra la P.A. (cd. ente utilizzatore) e i lavoratori utilizzati in attività socialmente utili non è un rapporto di lavoro dallo svolgimento di attività
lavorativa in regime di LSU deriva, infatti, soltanto il diritto ad un assegno mensile annualmente rivalutato (ed erogato dall’INPS).
Giurisprudenza
Per la costante giurisprudenza del Consiglio di Stato, i lavori socialmente utili non costituiscono un
«servizio effettivo» prestato con rapporto d’impiego (sentt. 31-8-2004, n. 5726; 30-6-2004, n. 4941;
9-6-2004, n. 3637; 24-5-2004, n. 3384).
Infatti, essi traggono origine da motivi assistenziali, danno luogo a impegni lavorativi precari, non
comportano la cancellazione dalle liste di collocamento e presentano caratteri peculiari: ad esempio,
il compenso è uguale per tutti ed è versato dallo Stato o dalla Regione, non dal datore di lavoro.
Tali elementi fanno sì che i LSU rientrano nel quadro dei cd. ammortizzatori sociali e sono al di fuori
dell’ambito del rapporto di impiego, pur dovendosi riconoscere alcune garanzie di carattere fondamentale, quale ad esempio l’indennità di maternità (sent. Consiglio di Stato, sez. VI, 25-9-2006, n. 5600).
L’ampio utilizzo di LSU ha determinato negli anni una allarmante situazione sociale rendendo necessaria una riforma della disciplina, operata con D.Lgs. 81/2000, finalizzata al
definitivo superamento della precarietà insita in tale tipologia di lavoro.
Viene così drasticamente ridotto il novero sia delle attività ricomprese nei LSU sia dei potenziali destinatari
delle stesse.
Lo scopo del D.Lgs. 81/2000 e dei successivi interventi legislativi è quello di esaurire
progressivamente il bacino dei lavoratori socialmente utili, espressione di precarietà strutturale e fonte di forti instabilità sociali. Sta di fatto che, però, l’utilizzazione di
LSU è continuata nel tempo (fermo restando il divieto per i Comuni di attivare nuove
convenzioni) e, attualmente, i maggiori sforzi vanno nella direzione di favorire la stabilizzazione di tali lavoratori (da ultimo art. 1, co. 215, L. 27-12-2013, n. 147).
Sezione Quarta
La decadenza dai trattamenti a sostegno del reddito
10. La perdita dello stato di disoccupazione
Presupposto per il diritto al trattamento economico dell’ASPI è lo stato di disoccupazione,
che deve permanere per tutto il periodo di fruizione dello stesso.
L’accertamento dello stato di disoccupazione è di competenza dei servizi pubblici per l’impiego, nel rispetto di criteri uniformi a livello nazionale (art. 4 D.Lgs. 181/2000, modif.
dalla L. 92/2012, e art. 7 D.L. 76/2013 conv. in L. 99/2013).
L’accertamento dello stato di disoccupazione è effettuato dai servizi per l’impiego secondo le Linee guida approvate con atto delle Regioni e Province autonome del 22-11-2012, garantendosi in tal modo l’attuazione
uniforme sul territorio nazionale dei criteri di legge.
I servizi per l’impiego certificano la sussistenza dello stato di disoccupazione. In particolare, l’interessato, per comprovare il proprio stato di disoccupazione, deve rilasciare ai