Capire la Fisica Livello intermedio Copyright (c) 2013 Andrea de Capoa Andrea de Capoa 1 dicembre 2014 Parte I Introduzione alla fisica 2 Gli scalari 1.1 Scheda 1 Prefisso tera giga mega kilo etto deca deci centi milli micro nano pico Cos’è uno scalare Chiamiamo uno scalare una quantità del tipo L = 10 metri. Questa scrittura significa che una qualche grandezza fisica, che chiamo L, vale 10 metri. Essa è costituita da una parte numerica 10 seguita dalla sua unità di misura metri. Ogni volta che rappresentiamo una grandezza fisica scalare, la dobbiamo scrivere sempre con accanto la sua unità di misura. E’ sempre possibile esprimere la stessa grandezza fisica con una differente unità di misura purché la nuova unità di misura rappresenti una grandezza fisica omogenea con quella precedente. Nell’esempio seguente tutte le grandezze indicate sono tra loro omogenee e rappresentano lo stesso identico scalare. 7 km = 7000 m = 700000 cm ma anche Valore 1012 109 106 103 102 101 10−1 10−2 10−3 10−6 10−9 10−12 mille miliardi un miliardo un milione mille cento dieci un decimo un centesimo un millesimo un milionesimo un miliardesimo un millesimo di miliardesimo Tabella 1.1: Alcuni multipli e sottomultipli per le unità di misura 7 km = 4375 M igliaterrestri = 7, 4041 · 10−16 anniluce Ovviamente in tutti questi esempi la parte numerica cambia; visto che lo scalare è sempre lo stesso, ovviamente cambia anche l’unità di misura. 1.2 Simbolo T G M k h da d c m µ n p 1.3 Conversioni di unità di misura Immaginiamo di convertire in metri la quantità ∆S = 10 km oppure in ore la quantità ∆t = 90 min. Il procedimento da seguire prevede i seguenti passaggi, rappresentati poi di seguito: Prefissi per le unità di misura Visto che lo stesso scalare lo posso scrivere in molti modi diversi, quale è meglio utilizzare? di sicuro è meglio utilizzare il più comodo, per esempio quello con la parte numerica più facile da maneggiare nelle operazioni. Nessuno rappresenterebbe la propria altezza in kilometri o la distanza tra Sole e Terra in millimetri, perchè quello scalare avrebbe la parte numerica troppo piccola o troppo grande per essere utilizzata con facilità. Per questo motivo sono stati introdotti opportuni prefissi (multipli e sottomultipli) posizionati davanti all’unità di misura con lo scopo di poter scrivere gli scalari in una forma adatta agli utilizzi che se ne intendiamo fare. L’elenco dei più comuni prefissi è riportato in tabella 1.1. Se voglio dire 1000 metri dirò 1 kilometro e cioè 1000 m = 1 km 1. Riscrivere la parte numerica lasciandola immutata. 2. Al posto delle unità di misura che compaiono riscrivere il loro equivalente nella nuova unità di misura: al posto di km scrivo 1000 metri (infatti in un kilometro ci sono 1000 metri) 12 Km = 12 · 1000 m = 12000 m e al posto di min scrivo 3 h 60 (infatti per scrivere l’equivalente di un minuto 4 Scheda1. Gli scalari • Prendete in considerazione un qualunque oggetto ed indovinate quali siano le sue dimensioni (altezza, larghezza, profondità). Successivamente, usando un righello, misurate le reali dimensioni di quell’oggetto e confrontate i risultati ottenuti con quelli da voi ipotizzati. Annotate con cura la vostra ipotesi e il risultato della misura, e provate a dare un giudizio delle vostre capacità. Per ogni misura, é assolutamente molto importante che voi prima annotiate su carta la vostra ipotesi e solo successivamente la verifichiate con lo strumento di misura. Figura 1.1: www.youtube.com/watch?v=Ctirc_0CGeo devo prendere un’ora e dividerla per 60) 90 min = 90 · h = 1.5 h 60 3. Eseguire le operazioni del caso sui numeri rimasti Nel caso che la conversione sia più complessa il procedimento in realtà non cambia. Osserviamo nel dettaglio quanto segue: la parte numerica viene copiata uguale, la linea di frazione viene copiata uguale, al posto di km scrivo 1000 m che rappresenta la quantità equivalente espressa un metri, al posto di h (ore) scrivo la quantità equivalente in secondi e cioè 3600 s. 130 1000 m m Km = 130 = 36.11 h 3600 s s Analogamente avremo: 130 1.4 Kg Kg 1000 g g = 130 = 130 = 0, 13 3 3 m m·m·m 100 cm · 100 cm · 100 cm cm Capire gli scalari Un modo per prendere confidenza con questi argomenti è quello di collegarli con il mondo che ci circonda; provate a fare quanto indicato qui di seguito • Prendete in considerazione un qualunque oggetto ed indovinate quale sia la sua massa. Successivamente, usando una bilancia, misurate la sua reale massa e confrontate i risultati ottenuti con quelli da voi ipotizzati. Annotate con cura la vostra ipotesi e il risultato della misura, e provate a dare un giudizio delle vostre capacità. Per ogni misura, é assolutamente molto importante che voi prima annotiate su carta la vostra ipotesi e solo successivamente la verifichiate con lo strumento di misura. • Cercate i valori dei record mondiali di salto in alto e salto in lungo. Per il primo fate un piccolo segno sul muro all’altezza corrispondente, mentre per gli altri due segnate a terra due punti alla distanza corrispondente. Vi renderete subito conto di quanto sia difficile battere tali record! • Misurate la lunghezza media dei vostri passi. • Provate a chiudere gli occhi per un periodo di un minuto. Riapriteli e controllate quanto tempo è effettivamente passato. Il Sistema internazionale di misura utilizzate per la misura del tempo e per la definizione della sua unità di misura: il secondo. Tutte le grandezze fisiche si dividono in grandezze fondamentali e derivate. Le grandezze fondamentali sono poche, e sono elencate in tabella 2.1; tutte le altre sono una combinazione di quelle fondamentali, come per esempio una velocità che, essendo espressa in metri diviso secondi m s sono una combinazione delle grandezze fondamentali metri e secondi Grandezza fisica unità di misura simbolo Intensità di corrente elettrica Intensità luminosa Lunghezza Massa Quantità di sostanza Temperatura termodinamica Intervallo di tempo ampere candela metro chilogrammo mole kelvin secondo A cd m kg mol K s Scheda 2 Il secondo è definito come la durata di 9192631770 periodi della radiazione corrispondente alla transizione tra due livelli iperfini, da (F=4, MF=0) a (F=3, MF=0), dello stato fondamentale dell’atomo di cesio-133. 2.2 Lunghezza Una lunghezza è la distanza tra due punti dello spazio. Il concetto di lunghezza è necessario per poter definire le dimensioni di un oggetto, la sua posizione rispetto ad un punto o rispetto ad altri oggetti. Esso è anche il punto di partenza per poter definire superfici e volumi. L’unità di misura di una lunghezza è il metro che è definito nel seguente modo: Tabella 2.1: Il Sistema Internazionale di Misura Un metro è definito come la distanza percorsa dalla luce nel vuoto in un 1 intervallo di tempo pari a 299792458 di secondo. 2.1 Intervallo di tempo: la durata Questa definizione viene dal fatto di voler definire una lunghezza a partire dal valore della velocità della luce. La velocità della luce è infatti c = 299792458 m s ed ha la particolare caratteristica di avere sempre lo stesso valore in ogni istante e per qualunque osservatore. Avendo prima definito in modo indipendente cosa sia un secondo, ecco che è adesso possibile definire il metro. Tutti noi abbiamo un’idea intuitiva di cosa sia un intervallo tempo e sappiamo che lo misuriamo con un cronometro; non banale è però dare una definizione precisa di cosa sia un intervallo di tempo lungo ∆t = 1 secondo dove il secondo è l’unità di misura del tempo nel Sistema Internazionale. Misurare un intervallo di tempo consiste nello scegliere un fenomeno periodico (che si ripete uguale dopo un certo intervallo di tempo) e contare quante volte tale fenomeno periodico si ripete nell’intervallo di tempo che si vuole misurare. 2.3 Massa La massa è la quantità di materia di cui è fatto un corpo e per misurarla usiamo una bilancia. L’unità di misura della massa è il kilogrammo. Gli orologi migliori a nostra disposizione sono gli orologi atomici. In un orologio atomico al cesio, un cristallo di quarzo viene fatto oscillare in accordo con la radiazione elettromagnetca (anch’essa un fenomeno periodico) emessa dagli atomi di cesio in particolarissime condizioni. Tale emissione è un fenomeno dalle proprietà molto stabili e precise, riprese dall’oscillazione del cristallo di quarzo e poi Il kilogrammo è la massa di un particolare cilindro di altezza e diametro pari a 0, 039 m di una lega di platino-iridio. 5 6 Scheda2. Il Sistema internazionale di misura Tale cilindro è depositato presso l’Ufficio internazionale dei pesi e delle misure a Sèvres, in Francia. L’errore più comune che si fa quando si comincia a studiare fisica è quello di confondere la massa di un oggetto con il suo peso. Massa e peso sono due concetti completamente differenti; senza anticipare la definizione di peso, è comunque sufficiente pensare che se prendo una persona di massa m = 80 kg, la quantità di materia di cui è fatto sarà sempre la stessa sia che si trovi sulla Terra, sia che si trovi sulla Luna, sia che si trovi a bordo della Stazione Spaziale Internazionale; al contrario il suo peso è maggiore sulla Terra rispetto che sulla Luna, mentre è nullo sulla Stazione Spaziale. Se siamo immersi nell’acqua pesiamo di meno... ma di certo la quantità di materia di cui siamo fatti è sempre la stessa. 2.4 La Temperatura Tutti sappiamo che un oggetto può essere più o meno caldo. Il concetto di temperatura è infatti comunemente conosciuto essendo parte della nostra esperienza quotidiana. Dire che un oggetto è caldo oppure è freddo si riferisce soltanto alla nostra sensazione nel caso in cui tocchiamo l’oggetto, e non si riferisce ad una misura esatta della sua temperatura che si esegue con uno strumento chiamato termometro. Come per tutte le grandezze fisiche avremo che esistono differenti unità di misura della temperatura, di cui le principali sono i gradi Celsius, i gradi Fahrenheit, e i gradi Kelvin. 2.4.1 Le differenti scale di temperatura La scala Celsius è stata inventata ponendo la temperatura del ghiaccio fondente pari a Tf us−H2 O = 0◦ C e la temperatura dell’acqua che bolle in condizioni standard pari a Teboll−H2 O = 100◦ C . Analogamente la scala Fahrenheit è stata inventata ponendo la temperatura del ghiaccio fondente pari a Tf us−H2 O = 32◦ F e la temperatura dell’acqua in ebollizione in condizioni standard pari a Teboll−H2 O = 212◦ F . La più importante scala di temperature, quella da utilizzare in fisica, è però quella dei gradi Kelvin. Essa è identica alla scala Celsius a meno del valore dello zero. La temperatura del ghiaccio fondente è pari a Tf usione−ghiaccio = 273, 15K . In questa scala, non esistono temperature negative. 2.5 L’angolo L=r α = 1 rad r Figura 2.1: α = 1radiante è l’angolo per cui la lunghezza dell’arco è uguale al raggio. Un libro di matematica definisce il radiante come l’angolo il cui arco sotteso in una circonferenza misura quanto il raggio della circonferenza. α= l r Tutti noi siamo abituati ad unsare i gradi sesagesimali per misurare un angolo, per cui dividiamo l’angolo giro in 360 gradi, ogni grado in 60 primi ed ogni primo in 60 secondi. Sebbene questo possa avere un certo vantaggio nella vita quotidiana, risulta invece complicato nello studio scientifico che preferisce invece un’unità di misura che permetta di utilizzare il sistema decimale. L’unità di misura del radiante è di fatto un numero puro, visto che è definito come il rapporto tra due lunghezze. Considerando adesso che la circonferenza ha lunghezza C = 2πr, risulta evidente che l’angolo giro misura α = 360◦ = 2π . Grandezze fisiche derivate Scheda 3 Alcune grandezze fisiche vengono nominate spesso quando si studia fisica; qui di seguito alcune di esse. 3.3 Densità La densità di un oggetto è il rapporto tra massa e volume di quell’oggetto. 3.1 ρ= Superficie Questa grandezza fisica non dipende da quanto lìoggetto sia grande, ma soltanto dal materiale di cui è fatto. La densità indica infatti quanto la materia dell’oggetto è compatta dentro di esso. Tanto più i singoli atomi hanno massa e tanto più sono vicini tra loro, tanto più quel materiale è denso. Se pensate ad una qualunque figura geometrica, la sua superficie è quella parte di piano delimitata dal bordo di tale figura geometrica. Se pensate ad un solido, la sua superficie è quella parte dello spazio che fa da separazione tra l’oggetto ed il mondo circostante. La superficie è un ente geometrico la cui estensione si misura in m2 . 3.2 m V Volume Il volume di un oggetto è lo spazio che occupa il materiale di cui è fatto. Un volume si misura in m3 . Una unità di misura alternativa per il volume è il litro, dove 1 litro = 1 dm3 Figura 3.2: www.youtube.com/watch?v=ifIDPfAZaBc Figura 3.1: www.youtube.com/watch?v=CwW05sUMJcA 7 Il metodo scientifico 4.1 Scheda 4 vato. Durante tutto quel tempo nessuno era stato in grado di dimostrare che la teoria fosse sbagliata, e poteva essere considerata temporaneamente giusta, ma non può mai essere dimostrata giusta perchè le osservazioni di domani possono svelare che quello che credevamo giusto era in realtà sbagliato. Per cui non abbiamo mai la certezza di essere nel giusto, possiamo essere sicuri solo di esserci sbagliati. ” Le parole di Feynmann Il video qui proposto è in lingua inglese, sottotitolato in italiano. A lato ho trascritto i sottotitoli 4.2 Il metodo scientifico Adesso vorrei sintetizzare queste semplici parole nei concetti chiave che uno studente dovrebbe comprendere, scheatizzati in fig.4.2. Seguite le frecce dello schema per comprendere il significato dei singoli passaggi. La scoperta di una legge fisica avviene in tre passaggi: 1. inventiamo una legge, Figura 4.1: www.youtube.com/watch?v=jMiQUStPvNA 2. eseguiamo un esperimento, “Ora vediamo come si fa a scoprire una nuova legge. In generale, il procedimento per scoprire una nuova legge è questo: per prima cosa tiriamo ad indovinare... non ridere, è proprio così che facciamo; poi calcoliamo le conseguenze della nostra intuizione per vedere quali circostanze si verificherebbero se la legge che abbiamo immaginato fosse giusta; infine confrontiamo i risultati dei nostri calcoli con la natura, con gli esperimenti, con l’esperienza, con i dati dell’osservazione, per vedere se funziona. Se non è in accordo con gli esperimenti... è sbagliata. In questa piccola affermazione c’è la chiave della scienza. Non importa quanto bella sia la tua intuizione, non importa quanto intelligente sia la persona che l’ha formulata, o quale sia il suo nome: se non è in accordo con gli esperimenti... è sbagliata, è tutto qui. Ora, immaginate di aver avuto una buona intuizione e di aver calcolato che tutte le conseguenze della vostra premessa sono in accordo con gli esperimenti, la teoria è giusta? No, semplicemente non si è potuto dimostrare che sia sbagliata, perchè in futuro, un numero maggiore di esperimenti potrebbe scoprire qualche discrepanza e la teoria si rivelerebbe sbagliata. E’ per questo che le leggi di Newton per il moto dei pianeti sono rimaste valide per così tanto tempo: ha ipotizzato la legge della gravitazione e con questa ha calcolato i moti dei pianeti e li ha confrontati con gli esperimenti, e ci sono volute diverse centinaia di anni prima che un minuscolo errore nel moto di mercurio fosse osser- 3. utilizziamo la legge per provare a predire come avverà un certo fenomeno fisico, e confrontiamo la nostra previsione con i risultati degli esperimenti. Se le nostre previsioni sono in contrasto con gli esperimenti, allora la legge è sbagliata; in caso contrario non possiamo però dire che la legge sia giusta perché potrebbero in futuro esserci nuovi esperimenti che dicono che la legge è sbagliata. 8 9 Scheda4. Il metodo scientifico Inventiamo una legge Facciamo un esperimento La legge Forse la legge è giusta Si è in accordo con l’esperimento No La legge è sbagliata ? Figura 4.2: Uno schema del metodo scientifico. Come potete vedere non esiste la possibilità di affermaere che una certa legge è giusta; inoltre è sempre necessaria una verifica sperimentale di qualunque legge. I vettori 5.1 Scheda 5 5.2.1 Cos’è un vettore Somma di vettori La somma di due vettori è un’operazione che prende due vettori e da come risultato un terzo vettore ~c = ~a + ~b I vettori sono degli oggetti matematici necessari per descrivere alcune grandezze fisiche per le quali non è sufficiente uno scalare. Un vettore è rappresentato graficamente con una freccia. Il punto dal quale facciamo partire la freccia lo chiamiamo punto di applicazione del vettore. Le caratteristiche che definiscono un vettore sono tre: che si ottiene con il metodo del parallelogrammo o con il metodo punta-coda Ecco uno schema per eseguire la regola del parallelogramma: 1. modulo: il valore della grandezza fisica e rappresentato dalla lunghezza della freccia Metto la penna sulla punta del primo vettore e traccio una retta parallela al secondo vettore. ~a 2. direzione: la retta sulla quale si trova la freccia ~b 3. verso: indicato dalla punta della freccia; per ogni direzione sono possibili solo due versi Metto la penna sulla punta del secondo vettore e traccio una retta parallela al primo vettore. ~ per esempio, non è suffiPer descrivere la grandezza fisica spostamento ∆S, ciente dire di quanti metri mi sposto, ma devo anche indicare lungo quale linea mi sposto e, fissata la linea, in quale dei due versi. Solo con queste tre informazioni posso descrivere completamente uno spostamento. Verso ~b Le due rette si intersecano in un punto. Il vettore somma è il vettore che parte dal punto di applicazione ed arriva nel punto di intersezione delle due rette. ~c ~a ~b Direzione Punto di applicazione Il modulo del vettore somma non dipende solo dai moduli dei due vettori di partenza, ma dipende anche dall’angolo che c’è tra i due vettori. Se non conosciamo l’angolo non possiamo fare alcun tipo di affermazione. E’ facile calcolare quanto valga il modulo del vettore somma in tre casi particolari: Modulo 5.2 ~a • se i due vettori sono paralleli e nello stesso verso: il modulo del vettore somma sarà la somma dei moduli dei vettori di partenza c = a + b Operazioni con i vettori • se i due vettori sono paralleli ma con versi opposti: il modulo del vettore somma sarà la differenza dei moduli dei vettori di partenza c = a − b Definito cosa sia un vettore ed a che cosa serva, vediamo adesso quali operazioni possiamo fare con essi. 10 11 Scheda5. I vettori • se i due vettori sono a 90◦ : il modulo del vettore somma lo trovo applicando il teorema di pitagora ad uno dei due triangoli che si formano dalla regola √ del parallelogrammo c = a2 + b2 5.2.2 Prodotto di uno scalare per un vettore Il prodotto di uno scalare per un vettore è un’operazione che prende uno scalare k ed un vettore ~a e da come risultato un vettore w ~ = k~a che ha stessa direzione di ~a, verso concorde o discorde a seconda che k sia positivo o negativo e modulo pari al modulo di ~a moltiplicato per il valore di k in valore assoluto. Il prodotto di uno scalare per un vettore si esegue graficamente disegnando un nuovo vettore che rispetto al primo ha la stessa direzione, lo stesso verso se lo scalare è positivo e verso opposto se lo scalare è negativo, modulo differente pari al valore dello scalare per il modulo del primo vettore. Per cui dato un vettore ~a, il vettore 2~a avrà lo stesso verso e la stessa direzione ma sarà lungo il doppio; il vettore −2~a avrà la stessa direzione, verso opposto e lunghezza doppia. 2~a ~a −2~a 12 Scheda5. I vettori 5.2.3 Scomposizione di un vettore Dato un vettore ~c e due direzioni r ed s, la scomposizione di un vettore sungo le due direzioni date consiste nel trovare i due vettori ~a sopra r e ~b sopra s tali che ~c = ~a + ~b Dato un vettore e due assi che passino dal suo punto di applicazione, è sempre possibile ricavare su quegli assi i due vettori, chiamati componenti del vettore, che sommati insieme danno il vettore in questione. 1. Dato un vettore e due direzioni... ~c 4. Metto adesso la penna sulla punta del vettore ~c e traccio una retta parallela al secondo asse. Essa incontra il secondo asse in un punto. ~c ~a 2. Metto la penna sulla punta del vettore ~c e traccio una retta parallela al primo asse. Essa incontra il secondo asse in un punto. ~c 5. Sono ora in grado di disegnare la seconda componente ~b: dal punto di applicazione del vettore fino al punto trovato. ~c ~a 3. Sono ora in grado di disegnare la prima componente ~a: dal punto di applicazione del vettore fino al punto trovato. ~c ~a ~b 13 Scheda5. I vettori 5.2.4 Prodotto scalare di due vettori 5.2.5 Prodotto vettoriale di due vettori Il prodotto vettoriale è un’operazione che prende due vettori e come risultato da un vettore ~c = ~a ∧ ~b Il prodotto scalare è un’operazione che prende due vettori ~a e ~b, e da come risultato da uno scalare C = ~a × ~b dato dal prodotto del modulo del primo vettore per il modulo del secondo vettore per il coseno dell’angolo compreso tra i due vettori. le cui caratteristiche saranno: • Direzione perpendicolare ai due vettori dati; • Modulo pari al prodotto dei moduli dei due vettori per il seno dell’angolo compreso: | ~c |=| ~a | · | ~b | · sin α • Verso indicato dalla regola della mano destra: posizionate a 90◦ pollice, indice e medio della mano destra; orientate il pollice nel verso del primo vettore, l’indice nel verso del secondo vettore, il medio indicherà il verso del terzo vettore. Il valore di questo scalare si calcola moltiplicando i moduli dei due vettori ed il coseno dell’angolo compreso tra essi. Se l’angolo tra i due vettori è minore di 90◦ il prodotto scalare è positivo; se l’angolo tra i due vettori è maggiore di 90◦ il prodotto scalare è negativo; se i due vettori sono perpendicolari il prodotto scalare vale zero. C = ~a × ~b C =| ~a | · | ~b | · cos γ ~b γ ~a 14 Scheda5. I vettori ~c ~b γ ~a Figura 5.1: Prodotto vettoriale di due vettori: dato un vettore ~a ed un vettore ~b ottengo ~c = ~a ∧ ~b. Il vettore ~c è perpendicolare sia al vettore ~a, sia al vettore ~b. Parte II Cinematica 15 Sistemi di riferimento Scheda 6 Un sistema di riferimento serve per poter indicare quale sia la posizione di un oggetto e descriverne il movimento. 6.1 6.2 Muoversi significa cambiare posizione; se per indicare una posizione serve un sistema di riferimento, allora questo è necessario anche per descrivere il movimento di un oggetto. La scelta del sistema di riferimento può influire moltissimo sulla descrizione del movimento. Punto di riferimento e assi cartesiani Se provate ad indicare la posizione di un qualunque oggetto intorno a voi vedrete che per poter dire dove sta siete sempre costretti a fare riferimento ad un qualche altro oggetto. Ciò rispetto al quale vi riferite si chiama punto di riferimento. Provate adesso ad indicare dove si trova un certo punto rispetto a quello di riferimento. Noterete che direte frasi come per esempio: si trova tre metri in avanti e due a destra. Per poter descrivere la posizione di un secondo punto rispetto al primo, avete bisogno di alcune direzionei (avandi-indietro, destra-sinistra, alto-basso) sulle quali indicare delle distanze. Queste direzioni si chiamano assi cartesiani. In figura 6.1 vengono mostrati dei punti in un sistema di assi cartesiani. Attenzione: il sistema di riferimento non serve per far esistere i punti, ma solo per poter dire dove sono. L’esempio del treno Se mi trovo su di un treno che viaggia, io vedo i miei bagagli fermi di fronte a me; gli stessi bagagli, visti da una persona fuori dal treno, si stanno muovendo insieme al treno. Quei bagagli sono fermi o si muovono? Dire che i bagagli sono fermi, e dire che si muovono, sono due frasi entrambe vere in due sistemi di riferimento differenti. Nel sistema di riferimento della persona sul treno i bagagli sono fermi; contemporaneamente nel sistema di riferimento della persona fuori dal treno i bagagli si muovono. L’esempio del tavolo Se non siete ancora convinti provate a guardare il tavolo davanti a voi: è fermo? Sono sicuro che avete detto di si. Siete sicuri? Sono sicuro che avete detto di si. Pensate adesso che il tavolo, insieme a tutti gli oggetti sul pianeta, sta girando intorno al Sole! Quindi il tavolo si muove? Si. Nel sistema di riferimento della Terra il tavolo è fermo; contemporaneamente nel sistema di riferimento del Sole, quel tavolo si muove. 0.5 z Sistemi di riferimento e movimento 0 L’esempio della stazione Pensate a quando siete in stazione, su di un treno in attesa della partenza. Il treno e fermo e la stazione è ferma. Di solito il vostro cervello vi fa ragionare mettendovi nel sistema di riferimento del treno. Nel momento della partenza, per pochissimi istanti, avete la certezza di vedere la stazione muoversi. La cosa dura poco, fino a quando il vostro cervello non vi riporta nel sistema di riferimento della stazione, nel quale la stazione è ferma ed il treno si sta muovendo (dalla parte opposta di dove prima si muoveva la stazione). Dire che la stazione è ferma, e dire che si muove, sono due frasi entrambe vere in due sistemi di riferimento differenti. −0.5 −1 1 −0.5 0 x 0 0.5 1 −1 y Figura 6.1: Punti in tre dimensioni. Gli assi cartesiani ci permettono di indicare, tramite delle coordinate, la posizione di ogni singolo punto. 16 17 Scheda6. Sistemi di riferimento Attenzione a non cadere nell’errore di dire che in realtà è la stazione che è ferma. . . non è vero! In realtà la stazione è contemporaneamente ferma nel sistema di riferimento del pianeta Terra, e in movimento nel sistema di riferimento del treno. 6.3 Videolezioni Vi invito, per meglio comprendere il concetto di sistema di riferimento, a vedere i seguenti due video: • www.youtube.com/watch?v=7QbYE3o5qPE • www.youtube.com/watch?v=SkuO27BeuOA Grandezze cinematiche Scheda 7 Per descrivere il movimento di un oggetto utilizziamo alcune grandezze fisiche che nelle prossime sezioni andiamo a spiegare. 7.3 Velocità La velocità di un oggetto è definita come il rapporto tra lo spostamento effettuato da un oggetto e l’intervallo di tempo impiegato ad effettuare quello spostamento. ~ ~ = ∆S V ∆t La velocità di un oggetto è una grandezza vettoriale; non basta dire quanto forte stai andando, ma devi anche dire su quale direzione ti muovi e in quale verso. 7.3.1 Figura 7.1: www.youtube.com/watch?v=pZ-jen14BI4 7.1 Velocità media e istantanea La definizione di velocità data in precedenza deve però essere approfondita. Così come è stata scritta si basa su di un intervallo di tempo di lunghezza non specificata. Se tale intervallo di tempo ha una lunghezza determinata, allora la definizione è quella della velocità media nell’intervallo di tempo in questione. Se immaginiamo di rendere quell’intervallo di tempo sempre più piccolo, tanto piccolo da non essere nemmeno percepito, tento piccolo da poterlo definire un istante, allora parleremo di velocità istantanea, e cioè di velocità in un certo istante. Posizione e Spostamento Muoversi vuol dire cambiare posizione. Cosa sia la posizione di un oggetto lo abbiamo visto quando abbiamo parlato di sistemi di riferimento... uno spostamento è definito come una variazione di posizione, cioè la differenza tra la posizione finale dell’oggetto e la posizione iniziale dell’oggetto. 7.4 ~ =S ~f − S ~i ∆S Accelerazione L’accelerazione è definita come una variazione di velocità nel tempo. Lo spostamento è una grandezza vettoriale e la sua unità di misura è il metro ~a = 7.2 ~ ∆V ∆t Anche l’accelerazione è una grandezza vettoriale con modulo, direzione e verso. La sua unità di misura è sm2 . Ogni volta che un’accelerazione agisce su di un oggetto ne consegue che cambia nel tempo la velocità di quell’oggetto. Attenzione anche alle parole: chiamiamo accelerazione una variazione del vettore velocità, non un aumento del suo modulo. Se cambia anche una sola delle caratteristiche del vettore velocità (modulo, direzione o verso) allora c’è stata un’accelerazione. Intervallo di tempo La descrizione di un qualunque movimento inizia in un certo istante e finisce in un istante successivo. Il tutto dura un certo intervallo di tempo, misurato in secondi e calcolabile come: ∆t = tf − ti 18 Moto rettilineo uniforme e uniformemente accelerato 8.1 Moto rettilineo uniforme ∆S = Il moto rettilineo uniforme è un moto con il vettore velocità costante Scheda 8 1 · a · ∆t2 + Vi · ∆t 2 ~ = costante V ∆V = a · ∆t Questo vuol dire che modulo, direzione e verso della velocità sono costanti e quindi non cambiano mai. Un oggetto che si muova di moto rettilineo uniforme avrà sempre lo stesso valore della velocità; si muoverà su di una linea retta perché è costante la direzione; non tornerà mai indietro perché è costante il verso. Per calcolarci quanto spazio percorre possiamo utilizzare la formula: In queste due equazioni voglio sottolineare il significato di Vi : essa è la velocità iniziale dell’oggetto. Visto che ∆t è un intervallo di tempo, ovviamente ha un inizio ed una fine, quindi Vi è la velocità che ha l’oggetto nell’istante in cui inizia l’intervallo di tempo preso in considerazione. 8.2.1 ∆S = V · ∆t La caduta dei gravi Ogni oggetto sul pianeta subisce l’accelerazione di gravità che ha sempre lo stesso valore, è sempre verticale e sempre verso il basso. Il vettore accelerazione di gravità è quindi un vettore costante. Un oggetto che cade, in assenza di attrito con l’aria, subisce quindi un’accelerazione costante e si muove quindi di moto uniformemente accelerato. Se guardate ora le equazioni del movimento noterete che non contengono il valore della massa dell’oggetto che si muove... questo significa che il valore della massa non influisce sul movimento dell’oggetto. Osservate questo video girato dagli astronauti dell’apollo sulla Luna. Figura 8.1: www.youtube.com/watch?v=LMMTZTwZPKY 8.2 Moto uniformemente accelerato Il moto uniformemente accelerato è il moto con accelerazione costante ~a = costante Questo vuol dire che modulo, direzione e verso dell’accelerazione sono costanti e quindi non cambiano mai. Essendoci un’accelerazione, allora la velocità dell’oggetto che si muove cambia in continuazione. Le equazioni del moto sono: Figura 8.2: www.youtube.com/watch?v=m7lm7u-JomY 19 20 8.3 Scheda8. Moto rettilineo uniforme e uniformemente accelerato Moto parabolico Il moto parabolico è una combinazione del moto rettilineo uniforme e del moto uniformemente accelerato su due assi perpendicolari tra loro. Immaginate di camminare a velocità costante e contemporaneamente lanciare un oggetto verticalmente in aria: tale oggetto, mentre si muove come voi in orizzontale di moto rettilineo uniforme, contemporaneamente si muove di moto uniformemente accelerato in verticale. Le equazioni saranno quindi: ∆Sy = 1 ay · ∆t2 + Viy · ∆t 2 ∆Vy = ay · ∆t ∆Sx = Vx · ∆t In queste equazioni, l’indice y indica il movimento dell’oggetto sull’asse verticale e l’indice x indica il movimento sull’asse orizzontale. Qui troverete una visualizzazione di un proiettile che, ovviamente, si muove di moto parabolico Figura 8.3: www.youtube.com/watch?v=xfLZ2Y0FM-k Moti periodici e orologi 9.1 Scheda 9 Moto periodico e misura del tempo Un movimento si definisce periodico quando si ripete uguale dopo un certo periodo di tempo. Un oggetto che si muove di moto circolare uniforme percorre sempre la stessa traiettoria circolare ritrovandosi dopo un intervallo di tempo fisso, nello stesso punto, con la stessa velocità e con la stessa accelerazione. Lo stesso accade per esempio con l’oscillazione di un pendolo. la misura di un intervallo di tempo consiste nel contare quante volte un certo moto periodico si ripete in quell’intervallo di tempo. 9.2 Unità di misura del tempo Per sottolineare il concetto precedente consideriamo cosa siano il giorno, l’anno, le lune: il giorno è la durata del moto periodico della Terra intorno al suo asse; l’anno è la durata del moto periodico della Terra intorno al Sole; le lune (pensate agli indiani americani nei film western) sono la durata del moto periodico della Luna intorno alla Terra. 9.3 Orologi Gli orologi (o più esattamante cronometri) sono strumenti che contano quante volte un certo moto periodico si ripete: gli orologi a pendolo utilizzano il moto periodico del pendolo, gli orologi da polso a molla utilizzano il moto periodico delle oscillazioni di quella molla, gli orologi elettrici utilizzano le oscillazioni (quindi un moto periodico) indotte dal passaggio della corrente elettrica in un cristallo di quarzo. 21 Moto circolare uniforme 10.1 Scheda 10 possiamo scrivere che il tempo impiegato a fare un giro, detto periodo, vale Definizione T = Un oggetto si muove di moto circolare uniforme quando: 2πr V L’inverso del periodo è detta frequenza: • il modulo della velocità è costante • il modulo dell’accelerazione è costante ν= • il vettore velocità è perpendicolare al vettore accelerazione 1 T La frequenza è il numero di cicli del moto periodico fatti dall’oggetto ogni secondo. ~ V 10.2 La velocità angolare Per indicare nel modo migliore quanto velocemente gira un oggetto devo fare riferimento alla velocità angolare. Se immaginate una ruota ruotare intorno al suo asse, punti sulla ruota a distanze differenti dal centro si muovono con velocità differenti; tanto più sono distante dal centro di rorazione, tanto più devo muovermi veloce se voglio percorrere un giro nello stesso tempo di un punto posto vicino all’asse di rotazione. Tutti i punti della ruota, cioè, hanno la stessa velocità angolare; e per averla devono viaggiare a velocità differenti. La velocità angolare ω è definita come una variazione di angolo δα nel tempo ~a Figura 10.1: Schema di un moto circolare uniforme. Ne consegue che un oggetto che si muove di moto rettilineo uniforme segue una traiettoria circolare con raggio r e accelerazione: ω= ∆α ∆t L’angolo percorso in un giro è appunto un angolo giro di 360◦ che misurato in radianti vale 2π Se consideriamo un intervallo di tempo pari ad un periodo, e teniamo conto della definizione di frequenza avremo che V2 a= r Sappiamo che in un qualunque movimento il vettore velocità è sempre perpendicolare alla traiettoria. In questo caso l’accelerazione è sempre perpendicolare alla velocità e quindi è sempre rivolta verso il centro della traiettoria circolare. L’accelerazione è quindi detta centripeta. Una volta compiuto un giro intero della circonferenza, il movimento si ripete uguale ed è quindi un moto periodico. il tempo per fare un giro intero della circonferenza è detto periodo. Essendo il modulo della velocità un valore costante, ω= 2π = 2πν T Come la velocità lineare, anche la velocità angolare è un vettore. La direzione del vettore velocità angolare è l’asse di rotazione, mentre il verso indica se la rotazione avviene in senso orario o antiorario. 22 Parte III Dinamica 23 La distribuzione di massa Scheda 11 Ogni oggetto è fatto di materia. Due elementi molto importanti per avere informazioni su come la massa dell’oggetto è disposta sono il baricentro ed il momento di inerzia metri 9 kg 10 8 6 kg 6 11.1 Il baricentro di un corpo 4 2 Di un corpo o di un sistema di corpi è utile definire un punto detto baricentro. Tale punto ha proprietà particolari ed è quindi qui utile darne una definizione. Il baricentro di un sistema di corpi è un punto geometrico che definisce quale sia il centro del sistema tenendo conto della distribuzione delle masse. Li doce c’è più massa si avvicina la posizione del baricentro. Per poterne calcolare la posizione è necessario prendere in considerazione un’opportuno sistema di riferimento. In tale sistema la posizione del baricentro sarà la media, pesata sui valori delle masse, delle posizioni delle masse stesse. Per cui Xb = Yb = −10 −8 −6 −4 −2 Yb = 4 6 8 10 metri −2 −4 −6 7 kg −8 −10 m1 x1 + m2 x2 + m3 x3 + ... + mn xn m1 + m2 + m3 + ... + mn Figura 11.1: Nella figura sono rappresentate tre masse posizionate rispettivamente in posizione (10;10), (10;7), (4;-7) misurate in metri e aventi rispettivamente massa di 9 kg, 6 kg e 7 kg. In rosso è rappresentata la posizione del baricentro del sistema. In nero è indicato il centro geometrico del sistema. m1 y1 + m2 y2 + m3 y3 + ... + mn yn m1 + m2 + m3 + ... + mn Nella figura 11.1 il baricentro è stato calcolato nel seguente modo: Xb = 2 tale punto; ripetiamo l’operazione per un secondo punto; il baricentro si trova sull’intersezione delle due rette trovate. 9 kg · 10 m − 6 kg · 10 m + 7 kg · 4 m = 2, 64 m 9 kg + 6 kg + 7 kg 11.2 9 kg · 10 m + 6 kg · 7 m − 7 kg · 7 m = 3.77 m 9 kg + 6 kg + 7 kg Il momento di inerzia di un corpo Il momento di inerzia di un oggetto è una grandezza scalare definita rispetto ad un particolare asse di rotazione. Preso un oggetto puntiforme di massa m ad una distanza r dall’asse di rotazione, il momento di inerzia è definito dalla quantitá Se abbiamo invece un corpo rigido, il discorso si dovrebbe ripetere per ognuna delle molecole che costituiscono il corpo. La posizione del baricentro dipenderà quindi dalla geometria del corpo stesso e non è detto che il baricentro sia un punto che si trova all’interno dell’oggetto. Ovviamente, però, non è possibile procedere in questo modo per trovare la posizione del baricentro. Sperimentalmente si può agire nel seguente modo: prendiamo il corpo rigido e appendiamolo per un suo qualunque punto, e tracciamo sul corpo una retta verticale che passa per I = m · r2 Qualora l’oggetto non sia puntiforme, ogni molecola che lo compone si troverà ad una distanza differente dall’asse di rotazione, per cui il momento di inerzia 24 25 Scheda11. La distribuzione di massa dell’oggetto sarà la somma dei momenti di inerzia delle singole molecole dell’oggetto. Se l’oggetto ha una forma geometrica regolare, e viene calcolato rispetto ad un suo asse di simmetria, allora questo conto è semplice e può essere eseguito analiticamente1 . In caso contrario per il calcolo del momento di inerzia ci si può servire di due teoremi: il teorema degli assi paralleli ed il teorema degli assi perpendicolari. ri mi Figura 11.2: Nella figura sono rappresentate due piccole porzioni di un oggetto che sta ruotando intorno ad un suo asse, indicando con ri le loro distanze dall’asse e con mi le loro masse. Il momento di inerzia di tutto l’oggetto sarà la somma dei momenti di inerzia di tutte le piccole porzioni del oggetto. 1 All’indirizzo web http://en.wikipedia.org/wiki/List_of_moments_of_inertia trovate i valori dei momenti di inerzia di alcune figure solide I tre principi della dinamica Scheda 12 Introduciamo adesso per la prima volta il concetto di forza, quello che fino ad ora avevate in modo intuitivo quando parlavate di spinte. 12.1.1 Equilibrio traslazionale Il primo principio della dinamica permette di enunciare il concetto di equilibrio traslazionale. Un oggetto è in equilibrio traslazionale se la somma di tutte le forze che agiscono su di esso è nulla F~tot = 0 12.2 Che le accelerazioni siano la conseguenza di una forza ce lo dice il primo principio; stabilito questo, chiediamoci: “se spingo un corpo, quanto varrà l’accelerazione che ne consegue?” Il fattore di proporzionalità tra la forza totale e l’accelerazione subiti da un corpo è la massa di quel corpo. Figura 12.1: www.youtube.com/watch?v=hevrh7nQMoE 12.1 Secondo principio Primo principio F~ = m~a Un corpo rimane nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme se e solo se la somma di tutte le forze che agiscono su di esso è nulla. Il valore dell’accelerazione dipende dalla massa del corpo. A parità di forza subita, oggetti con piccola massa subiranno una grande accelerazione, e oggetti con grande massa subiranno una piccola accelerazione. ~ = cost ⇔ F~tot = 0 V Se vedo un oggetto che si muove con velocità costante, allora posso affermare che la forza complessiva su di esso è nulla; allo stesso modo se la forza complessiva è nulla allora posso affermare che l’oggetto non sta cambiando la sua velocità. Le forze non sono ciò che fa muovere gli oggetti... le forze sono ciò che fa cambiare la velocità degli oggetti. É sbagliato affermare che un oggetto si sta muovendo perché qualcuno lo spinge; anche se nessuno spinge l’oggetto, esso può sempre muoversi di moto rettilineo uniforme con velocità costante! Se invece vedo che l’oggetto cambia la sua velocità, cioè sta subendo un’accelerazione, allora posso affermare che qualcuno l’ha spinto! Nel rileggere il primo principio notate inoltre che esso parla di velocità costante; il caso di un oggetto che rimane fermo rientra in questa definizione, in quanto un oggetto che rimane fermo ha una velocità che non cambia e vale sempre V = 0 m s . 12.3 Terzo principio Se su di un corpo A agisce una forza dovuta alla presenza di un corpo B, sul corpo B agirà una forza uguale ed opposta dovuta alla presenza del corpo A. F~ab = −F~ba Per vederlo con un semplice esperimento Prendete un chiodo di ferro ed una calamita: tutti sappiamo che se teniamo la calamita in mano essa attira il chiodo, ma è sicuramente altrettanto vero che, se teniamo il chiodo fermo in mano, esso attira la calamita. Nell’esperienza quotidiana questo avviene molto spesso: quando nuotiamo spingiamo indietro con le braccia per poter andare avanti; quanto 26 27 Scheda12. I tre principi della dinamica saltiamo spingiamo in basso con le gambe per poter andare in alto; quando camminiamo spingiamo indietro con le gambe per andare avanti; se diamo una spinta a qualcuno noi subiamo come diretta conseguenza una spinta indietro. Se lascio cadere una penna, essa cade perchè subisce la forza di gravità (verso il basso) generata dal pianeta; il terzo principio ci insegna che anche la penna sta facendo una forza sul pianeta, e che tale forza è uguale (ha lo stesso valore) e opposta (diretta verso l’alto). Figura 12.2: www.youtube.com/watch?v=ox4q3XD91eo Pressione 13.1 Scheda 13 Definizione Immaginiamo di premere contro della neve fresca, sempre con la stessa forza, ma in tre modi differenti: la prima volta con il palmo della mano aperto, la seconda con il pugno chiuso e la terza volta con la mano piatta ma immersa nella neve di punta. L’esperienza vi dirà che, nonostante la forza fatta sia sempre la stessa, la capacità di penetrare nella neve non è la stessa. Ciò che cambia è che la forza che fate viene distribuita su superfici differenti. La pressione è una grandezza scalare definita come il rapporto tra la forza perpendicolare fatta su di una superficie ed il valore della superficie stessa. P = F⊥ S Quando facciamo una forza su di un oggetto che preveda di doverlo toccare, tale forza si distribuisce su tutta la superficie di contatto; se tale superficie è grande, ogni centimetro quadrato della superficie subisce una piccola forza e quindi la pressione sull’oggetto è piccola. 13.2 Figura 13.1: www.youtube.com/watch?v=JoDvQdChocA Video di esempio É possibile dormire su di un letto di chiodi? I chiodi hanno una punta, chiamata in modo tale in quanto la sua superficie è molto piccola. Se il chiodo viene premuto su di un oggetto, od in modo equivalente un oggetto viene premuto contro un chiodo, la pressione che consegue sarà necessariamente grande. Ma se un oggetto lo premiamo non su uno, ma su moltissimi chiodi, la superficie di contatto sarà grande e la pressione di conseguenza piccola. la risposta alla domanda iniziale è si: è possibile dormire su di un letto di chiodi se i chiodi sono tantissimi. Guardate i seguenti video, ma attenzione: non ci provate perchè se sbagliate a calcolare il numero minimo di chiodi necessari potreste farvi molto male! Figura 13.2: www.youtube.com/watch?v=JoDvQdChocA 28 Forza di gravità e forza di Archimede 14.1 che per i gas. Ognuno di noi è immerso nell’aria, perciò riceve una spinta verso l’alto pari al peso dell’aria spostata. Forza di gravità La forza di gravità è quella che ci attrae verso il basso o, più precisamente, verso il centro della Terra. Ogni volta che un oggetto si trova sulla superficie di un pianeta subiamo una forza verso il basso descritta dalla formula 14.2.1 dove Fg è la forza di gravità, m la massa dell’oggetto e g l’accelerzione di gravità. Per il pianeta Terra il valore dell’accelerazione di gravità è g = 9, 8 sm2 . Se voi avete una massa di 60 kg allora in questo momento venite attratti verso il basso da una forza Fg = mg = ρogg Vogg g kg m m = 58, 8 2 = 58, 8 N ewton 2 s s dove con ρogg intendo indicare la densità media dell’oggetto, otteniamo Il valore dell’accelerazione di gravità è una costante per il pianeta Terra; se andiamo su di un altro pianeta esso cambia, perché dipende dalla massa del pianeta e dalle sue dimensioni. 14.2 Il problema del galleggiamento Se studiamo lo schema di forze che agisce su di un oggetto immerso in un fluido possiamo chiederci in quali casi l’oggetto galleggi. Le forze alle quali è sottoposto sono la forza di gravità verso il basso e la forza di Archimede verso l’alto; a seconda di quale sia la forza maggiore avremo che l’oggetto andrà a fondo o salirà in superficie per poi galleggiare. Se confrontiamo le formule delle due forze vediamo che, scrivendo la forza di gravità come Fg = mg Fg = mg = 60 kg · 9, 8 Scheda 14 ρogg Vogg = ρf luido Vf luidospostato Se si prende in considerazione un oggetto completamente immerso in un liquido, per cui Vogg = Vf luidospostato , allora il confronto tra le due forze si riduce a confrontare le densità dell’oggetto e del fluido. Gli oggetti la cui densità media sia superiore a quella dell’acqua andranno a fondo, gli altri saliranno in superficie. Se le due densità sono uguali allora l’oggetto rimarrà fermo nel punto in cui è stato messo. Forza di Archimede Un oggetto immerso in un fluido subisce una spinta verso l’alto pari al peso del fluido spostato. Questo é l’enunciato della legge di Archimede che spiega come mai alcuni oggetti, se immersi in un fluido, galleggiano. La formula per la forza di Archimede é: Consideriamo tre palline di circa egual volume, una da ping-pong di massa m = 3g, una di legno di massa m = 26g, e una da golf di massa m = 46g, immerse nell’acqua. Come si può vedere nella figura 14.1 sia la pallina da ping-pong che quella di legno galleggiano, ma visto che quella di legno ha più massa ed è più pesante, deve subire una spinta di Archimede maggiore e quindi deve spostare più acqua immergendosi di più rispetto a quanto non si immerga la pallina da pingpong. La pallina da golf invece, pur immergendosi completamente, son subisce una spinta di archimede sufficiente per poter galleggiare. Ci aspettiamo inoltre che la pallina da ping-pong sposti in volume Vf luidospostato = 3 cm3 e che quella FArchimede = ρf luido Vf luidospostato g dove F è la forza di Archimede1 , ρ indica la densitá del fluido, V il volume di fluido spostato (tanto più immergo l’oggetto tanto più fluido sposto) e g è l’accelerazione di gravità. Questo principio vale sia per tutti i fluidi, cioè sia per i liquidi 1 La formula indicata vale nel caso in cui possiamo confondere il concetto di peso con il concetto di forza di gravità sulla superficie di un pianeta. Questa formula deriva da questa assunzione, ma in realtà il principio parla di “peso” 29 30 di legno sposti in volume Vf luidospostato = 26 cm3 . Tenendo conto delle incertezze sperimentali, le immagini in figura 14.1 confermano tale previsione. Scheda14. Forza di gravità e forza di Archimede 31 Scheda14. Forza di gravità e forza di Archimede (a) Livello iniziale dell’acqua (b) La pallina da ping-pong galleggia (c) La pallina di legno galleggia (d) La pallina da golf non galleggia Figura 14.1: Oggetti diversi galleggiano in modo differente o non galleggiano affatto. Il liquido nel quale le palline sono immerse è acqua con l’aggiunta di un colorante rosso. Forza elastica Scheda 15 Il meno sta ad indicare che il vettore Forza esercitata dalla molla è sempre opposto al vettore allungamento. La molla spinge dalla parte opposta di dove viene allungata! Consiglio anche la visione del video 15.3 Campo di elasticità Ogni materiale elastico, se troppo deformato, perde le sue proprietà elastiche e non ritorna più della sua forma originaria. Chiamo Campo di elasticità quell’insieme di deformazioni che non modificano le proprietà elastiche dell’oggetto. Figura 15.1: www.youtube.com/watch?v=02nommN6u6c 15.1 L’aggettivo elastico Un oggetto viene detto elastico quando, se deformato, tende a tornare della sua forma iniziale. Se prendiamo una molla e la tiriamo con la mano, ovviamente la deformiamo; la molla cercherà di riprendere la sua forma iniziale e per fare questo eserciterà sulla mano una forza. Quella forza viene detta forza elastica. 15.2 Le molle e la legge di Hooke Consideriamo una molla ed immaginiamo di allungarla. La forza che la molla farà dipenderà dal tipo di molla e dall’allungamento della stessa Fel = K · ∆l dove K è la costante elatica della molla e dipende soltanto dal tipo di molla e dalle sue caratteristiche quali per esempio la sua lunghezza, lo spessore, il materiale, la temperatura, ecc.; ∆l è invece l’allungamento della molla. Se scriviamo la stessa formula in forma vettoriale avremo ~ F~el = −K · ∆l 32 Forza d’attrito Scheda 16 spostamento dell’oggetto, ed è causato dallo strisciare di due superfici una contro l’altra. Il valore di tale forza dipende da come sono fatte le due superfici, ma anche dalla forza con cui le due superfici sono schiacciate una contro l’altra. Le forze di attrito sono forze che si oppongono sempre al movimento di un oggetto, sia che l’oggetto sia fermo, e quindi lo mantengono fermo, sia che l’oggetto si muova, e quindi lo rallentano. Una forza di attrito quando un oggetto si muove in un fluido la chiamiamo attrito viscoso); una forza di attrito quando due superfici strisciano una contro l’altra la chiamiamo attrito radente; una forza di attrito quando un oggetto rotola su di una superficie la chiamiamo attrito volvente. 16.1 Fad = µd Fschiaccia dove Fad è la forza d’attrito radente dinamico, µd il coefficiente d’attrito dinamico e Fschiaccia la forza che preme le due superfici a contatto una contro l’altra. Forza d’attrito radente statico ~v (velocità) Parliamo di forza di attrito radente statico solo per oggetti fermi. Consideriamo un oggetto fermo su di un tavolo e proviamo a spostarlo facendolo strisciare sul tavolo: sicuramente devo applicare all’oggetto una certa forza; ma se la forza che applico è troppo piccola l’oggetto sta fermo. Quando la forza che applico supera una certa soglia, allora l’oggetto comincia a muoversi. La forza di attrito radente statica è la forza che si oppone alla spinta subita dall’oggetto; ha un valore massimo oltre il quale l’oggetto sicuramente si muove. Questo valore massimo dipende dal tipo di superfici che strisciano una contro l’altra e da quanto è grande la forza che schiaccia queste superfici una contro l’altra. F~a (attrito) F~g (schiaccia) Figura 16.1: Un oggetto su di un piano si sta muovendo verso destra. Necessariamente si genera una forza di attrito opposta alla direzione del moto, causata dallo strisciare dell’oggetto sul piano, proporzionale alla forza che schiaccia l’oggetto contro il piano (in questo esempio la forza di gravità) e dal tipo di superfici che strisciano. Fas = µs Fschiaccia Il coefficiente di attrito dinamico è sempre minore del coefficiente di attrito statico Il coefficiente µs è chiamato coefficiente di attrito statico ed è un numero senza untà di misura, che dipende unicamente dai materiali di cui sono fatte le due superfici che strisciano. La forza che schiaccia Fschiaccia è quella forza che preme le due superfici una contro l’altra. la grandezza delle superfici che strisciano tra loro non è rilevante. 16.2 µd < µs 16.3 Forza d’attrito radente dinamico Forza d’attrito volvente Parliamo di forza di attrito olvente ogni volta che un oggetto rotola su di un altro. Anche questa volta, come per l’attrito radente dinamico, l’attrito dipende dal tipo di superfici e dalla forza che le schiaccia una contro l’altra. Il coefficiente di attrito dipende però anche dal raggio della ruota che sta rotolando. Parliamo di forza di attrito radente dinamico per oggetti in movimento. La forza di attrito radente dinamico si ha sempre quando due superfici stanno strisciando una contro l’altra; tale forza fa rallentare il movimento e quindi è sempre opposta al vettore velocità. L’attrito radente è quindi una forza che si oppone sempre allo Fav = µv Fschiaccia 33 34 Scheda16. Forza d’attrito dove Fav è la forza d’attrito volvente, µv il coefficiente d’attrito volvente e la Fschiaccia è la forza che preme le due superfici a contatto una contro l’altra. Il coefficiente di attrito volvente è sempre minore del coefficiente di attrito dinamico µv < µd < µs 16.4 Forza d’attrito viscoso Un oggetto che si muove immerso in un fluido subisce una forza d’attrito. Tale forza dipende dalla velocità V dell’oggetto, e da due coefficienti che dipendono sia dal tipo di fluido che dalla forma e dal materiale dell’oggetto, che dal modo con cui il fluido scorre intorno all’oggetto, secondo la seguente formula F = α1 V + α2 V 2 Una più dettagliata trattazione dell’attrito viscoso esula per il momento dagli scopi di queste dispense. Facciamo solo alcune importanti considerazioni: 1. Sicuramente l’attrito aumenta all’aumentare della velocità dell’oggetto, per cui i valori di α1 e α2 sono entrambi positivi. 2. L’attrito aumenta all’aumentare della densità del fluido (per questo motivo muoversi nell’acqua è sicuramente più faticoso che muoversi nell’aria) 3. L’attrito aumenta all’aumentare delle dimensioni dell’oggetto (questo è il motivo per cui le auto sportive le fanno basse ed i paracadute li fanno grandi) 4. L’attrito aumenta se la forma dell’oggetto è tale da generare vortici dietro di esso al suo passaggio (per questo motivo è molto importante la forma degli oggetti) Forza peso 17.1 Scheda 17 m kg m − 1000 3 · 0, 000127 m3 · 9, 8 2 = 8, 5554 N s2 m s Come vedete, lo stesso blocco di ferro che prima sul tavolo pesava 9, 8 N , adesso pesa di meno. Definizione P = mg − ρf Vf s g = 1 kg · 9, 8 Il peso di un oggetto è pari alla forza che devo fare per sorreggerlo. Questa è una definizione molto semplice... vediamo di capirla illustrando nelle sezioni seguenti una serie di esempi specifici. Ovviamente il peso di un oggetto si misura in Newton. 17.2 Un oggetto su di un tavolo 17.4 Un oggetto in un sistema accelerato 17.4.1 Un oggetto che ruota Immaginate di far ruotare un oggetto di ferro di massa m = 1 kg appeso ad una catena. La frequenza con cui ruota vale ν = 2 Hz ed il raggio del cerchio che percorre vale r = 1 m. Esso subisce la forza di gravità verso il basso e la forza centrifuga verso l’esterno del percorso circolare. le due forze sono quindi perpendicolari tra loro. La catena che sorregge l’oggetto, esprime una forza, corrispondente al peso dell’oggetto, pari alla somma delle due forze precedenti q q 2 2 P = Fg2 + Fc2 = (mg) + (2mπν) Immaginate di avere un oggetto di ferro di massa m = 1 kg appoggiato su di un tavolo. Se trascuriamo l’effetto dell’aria, a parte quella fatta dal tavolo, l’unica forza che agisce sull’oggetto è la forza di gravità. Per sorreggere l’oggetto il tavolo deve fare una forza pari alla forza di gravità P = Fg m = 9, 8 N s2 In questo caso il peso dell’oggetto vale 9, 8 N . P = mg = 1 kg · 9, 8 17.3 r m 2 2 + (2 · 1 kg · 3, 14 · 2 Hz) = 15, 931 N s2 In questo caso l’oggetto ha un peso maggiore che nei due casi precedenti. P = 1 kg · 9, 8 Un oggetto immerso nell’acqua 17.4.2 Immaginate di avere un oggetto di ferro di massa m = 1 kg appoggiato sul fondo di una piscina piena d’acqua. In questo caso il fondo della piscina fa una forza che sorregge l’oggetto. Le altre forze che agiscono sono la forza di gravità e la forza di Archimede, che agiscono in direzioni opposte. Il volume dell’oggetto di ferro vale V = La caduta libera Immaginiamo un oggetto in un ascensore che si sta muovendo con accelerazione ~a verso l’alto. Una persona all’interno subisce la sola forza di gravità, mente il pavimento dell’ascensore sorregge la persona ed esprime quindi una forza pari al peso della persona. Per il secondo principio della dinamica avremo che 1 kg m = = 0, 000127m3 = 127 cm3 kg ρf 7874 m 3 P − Fg = ma P = Fg + ma = mg + ma = m (g + a) La forza per sorreggere l’oggetto vale Se a = 0 ad indicare che l’ascensore si muove con velocità costante, allora la persona ha un peso coincidente con la forza di gravità. Se a > 0 ad indicare che P = Fg − FArc 35 36 l’ascensore accelera verso l’alto, allora la pesona ha un peso superiore alla forza di gravità che subisce. Se a < 0 ad indicare che l’ascensore accelera verso il basso, allora la pesona ha un peso inferiore alla forza di gravità che subisce. Nel caso che l’acensore sia in caduta libera, allora a = −g per cui risulta che il peso della persona sia rigorosamente nullo. Scheda17. Forza peso Legge di gravitazione universale 18.1 18.1.1 La forza di gravità L’accelerazione di gravità di un pianeta La forza di gravità che un oggetto di massa m subisce sulla superficie di un pianeta (ad esempio la Terra) è data dalla formula Tra due oggetti di massa M1 ed M2 posti ad una distanza r si genera una forza di gravità attrattiva data dalla formula F = mg M1 · M2 F =G r2 dove g è l’accelerazione di gravità di quel pianeta. Per un oggetto sulla superficie del pianeta Terra, la legge di gravitazione universale ci dice: F =G Due oggetti, solo per il fatto che hanno massa, si attraggono a causa della forza di gravità. tale forza ha un raggio di azione infinito, il che significa che non importa quanto i due oggetti siano distanti, essi si attrarranno per la forza di gravità! G è detta costante di gravitazione universale ed è una delle costanti fondamentali del nostro universo. Essa vale G = (6, 67684 ± 0, 00080) · 10−11 Scheda 18 MT · m RT2 dove MT è la massa della Terra, ed RT è il raggio della Terra. confrontando le due equazione otteniamo MT g=G 2 RT Se eseguite i conti otterrete il valore dell’accelerazione di gravità sulla Terra. N m2 kg 2 18.2 La misura della costante di gravitazione universale è stata fatta utilizzando la bilancia di Cavendish Energia potenziale gravitazionale Visto che la forza di gravità è conservativa, esiste una energia potenziale gravitazionale la cui formula è M ·m U = −G r Figura 18.1: www.youtube.com/watch?v=uUGpF3h3RaM 37 Momento di una forza 19.1 Scheda 19 Definizione 19.2 Il primo principio della dinamica, applicato in una situazione nella quale, invece di parlare di traslazione parliamo di rotazione, permette di enunciare il concetto di equilibrio rorazionale. Immaginiamo di applicare una forza su di un oggetto che sia tenuto fermo in un punto e libero di ruotare intorno a quel punto. La forza che applichiamo tenderà a far ruotare l’oggetto. La capacità di farlo ruotare dipenderà non solo da quanto la forza è intensa, ma anche dalla distanza tra il punto di rotazione e la linea della forza. La grandezza fisica che descrive questo è il momento di una forza. Un oggetto è in equilibrio rotazionale se la somma di tutti i momenti che agiscono su di esso è nulla ~ tot = 0 M ~ = ~r ∧ F~ M Il momento di una forza è quindi un vettore perpendicolare a ~r e a F~ ; può avere verso orario o antiorario; il suo modulo vale M =F ·b dove b è chiamato braccio ed è la distanza del punto di rotazione dalla direzione della forza. ~r b Equilibrio rotazionale F~ Figura 19.1: Momento di una forza. 38 Reazioni vincolari 20.1 Scheda 20 Definizione Una reazione vincolare è una forza che adatta il suo valore allo scopo di mantenere un oggetto in equilibrio traslazionale Immaginiamo di avere un bicchiere vuoto appoggiato su di un tavolo: la forza di gravità lo tira verso il basso ma il bicchiere rimane fermo. La forza totale che agisce sull’oggetto è nulla visto che l’oggetto rimane fermo, quindi il tavolo sta facendo una forza verso l’alto pari alla forza di gravità subita dal bicchiere. Se adesso riempiamo il bicchiere con dell’acqua, la forza di gravità che agisce su di esso aumenta, in quanto è aumentata la massa del bicchiere. Il bicchiere rimane fermo, quindi la forza totale sul bicchiere è ancora nulla. Questo si spiega ammettendo che la forza fatta dal tavolo è aumentata in modo tale da far si che la forza totale rimanesse zero. Detto in modo poco scientifico, i vincoli sono cose che tengono fermi gli oggetti... quindi sono ciò che rende pari a zero la forza totale su tali oggetti. Come in tutte le situazioni reali esistono dei limiti; in particolare con i vincoli esiste un limite massimo alla forza fatta dal vincolo, oltre il quale tale vincolo si rompe. 39 Parte IV Leggi di conservazione 40 Quantità di moto 21.1 Scheda 21 La quantità di moto 21.2 Una grandezza fisica particolarmente importante per descrivere una grande quantità di fenomeni è la quantità di moto ~q. Essa è una grandezza vettoriale legata alla massa ed alla velocità di un oggetto. Conservazione della quantità di moto Immaginiamo di studiare un sistema isolato nel quale ci siano molti oggetti tra i quali agiscono delle forze. Tali forze sono tutte interne al sistema, per cui se un oggetto esercita una forza su di un secondo oggetto, per il terzo principio della dinamica, all’interno del mio sitema vedrà anche la forza uguale e contraria che il secondo oggetto esercita sul primo. In formule scriverò La quantità di moto di un oggetto è definita come il prodotto della massa dell’oggetto per la sua velocità F~1 = −F~2 ~ ~q = mV Riscrivedo ora queste forze come variazioni di quantità di moto nel tempo otterremo La quantità di moto di un oggetto è quindi una grandezza vettoriale che ha stessa direzione e verso della velocità dell’oggetto. L’unità di misura della quantità di moto è quindi kg·m s 21.1.1 ∆~q1 ∆~q2 =− ∆t ∆t ∆~q1 ∆~q2 + =0 ∆t ∆t Forza e quantità di moto Partendo dal secondo principio della dinamica possiamo scrivere: da cui ~) ∆V ∆(mV ∆~q F~ = m~a = m = = ∆t ∆t ∆t Una forza corrisponde quindi ad una variazione di quantità di moto nel tempo. Analogalmente possiamo affermare che ∆~q1 + ∆~q2 =0 ∆t ∆~qtot =0 ∆t ∆~qtot = 0 F~ · ∆t = ∆~q Questo significa che l’effetto di una forza applicata per un certo intervallo di tempo causa una variazione di quantità di moto nel tempo. La grandezza In un sistema isolato la quantità di moto totale si conserva. I~ = F~ · ∆t viene chiamata Impulso. Chiamo forza impulsiva una forza, generalmente molto intensa, che agisce per un brevissimo arco di tempo. Un esempio di forza impulsiva lo possiamo vedere negli sport che si praticano con una palla: ogni volta che colpiamo tale palla applichiamo una forza molto intensa per il brevissimo intervallo di tempo pari alla durata del colpo. 41 Energia e Lavoro 22.1 Scheda 22 Definendo I come il momento d’inerzia dell’oggetto esteso, calcolabile in linea di principio come la somma dei momenti di inerzia di ogni singola particella dell’oggetto, otteniamo l’energia cinetica rotazionale dell’oggetto Energia cinetica Un oggetto che si muove ha energia cinetica solo per il fatto che si sta muovendo. ~ vale L’energia cinetica Ec di un oggetto di massa m che si muove con velocità V Ecr = 1 Ec = m V 2 2 Come si vede dalla formula l’energia cinetica dipende dalla massa dell’oggetto e dal quadrato della sua velocità. L’unità di misura di una qualunque energia è il Joule kg · m2 Joule = s2 22.2 Anche in questo caso il valore di I dipende non solo dalla forma e dalla massa dell’oggetto, ma anche dal suo asse di rotazione. 22.3 Prendiamo in considerazione una particella di massa mi che si muove di moto circolare uniforme con velocità Vi , raggio ri e velocità angolare ω. Ovviamente la sua energia cinetica potrà essere scritta, tenendo in considerazione le equazioni del moto circolare uniforme, come 22.4 1 1 mi Vi2 = m ri2 ω 2 2 2 1 Ii ω 2 2 Nel caso della rotazione di un oggetto esteso, l’energia cinetica rotazionale dell’oggetto sarà la somma dell’energia cinetica rotazionale di ognuna delle sue molecole; visto però che tutte le molecole dell’oggetto hanno la stessa velocità angolare potremo scrivere Ecr−i = X1 2 Ii ω 2 = Il Lavoro di una forza Immaginiamo di avere un oggetto che si sposta da un punto A ad un punto B sotto l’azione di una forza. Il lavoro fatto da una forza su di un oggetto che si sposta da un punto A ad un punto B è definito come il prodotto scalare della forza per lo spostamento dell’oggetto. Se applico una forza costante F~ su di un oggetto e questo si sposta ~ allora il lavoro effettuato sarà: effettuando uno spostamento ∆S La quantità Ii = mi ri2 è definita momento d’inerzia della particella rispetto all’asse di rotazione. In questo modo possiamo scrivere l’energia cinetica della particella dovuta alla rotazione della stessa come Ecr = Energia interna Se osserviamo un oggetto fermo, non è difficile affermare che la sua energia cinetica è zero. Questo perchè il baricentro dell’oggetto ha velocità Vb = 0 e rispetto al baricentro la velocità di rotazione vale ω = 0. Le singole molecole di cui è fatto l’oggetto però non sono ferme, ma si buovono con una velocità che dipende dalla temperatura dell’oggetto. La somma di tutte le energie cinetiche delle molecole, nel sistema di riferimento dell’oggetto fermo, è detta Energia Interna dell’oggetto. Energia cinetica rotazionale Ecr−i = 1 2 Iω 2 ~ = F · ∆S · cos(α) L = F~ × ∆S É importante notare che quando l’angolo tra i due vettori è di 90◦ (cioè i due vettori sono perpendicolari) allora il coseno dell’angolo vale zero ed il lavoro fatto dalla forza è nullo. Una forza perpendicolare allo spostamento non fa lavoro. Se 1 X ( Ii )ω 2 2 42 43 Scheda22. Energia e Lavoro In altre parole il lavoro fatto dalla forza ha incrementato l’energia cinetica dell’oggetto. Se la forza fosse stata opposta allo spostamento, il lavoro sarebbe stato negativo e di conseguenza lo sarebbe stata la variazione di energia cinetica dell’oggetto. F~ α ~ ∆S Figura 22.1: In figura è schematicamente rappresentato un oggetto sottoposto ad una forza F~ , e che compie ~ La forza forma un angolo α con lo spostamento, ed il lavoro compiuto dalla forza è indicato uno spostamento ∆S. nella formula rappresentata. invece la forza avesse verso opposto allo spostamento (cioè l’angolo tra i due vettori fosse di 180◦ ) allora il coseno dell’angolo varrebbe −1 ed il lavoro della forza sarebbe negativo. Il lavoro di una forza opposta allo spostamento è negativo. In altre parole, soltanto la componente della forza che sia parallela allo spostamento può compiere un lavoro. 22.5 La Potenza Precedentemente abbiamo parlato del lavoro fatto da una forza. Se applico una forza ad un oggetto mentre si sposta, allora compio su quell’oggetto un lavoro e quindi gli fornisco (o tolgo) energia. Il concetto di potenza è legato alla rapidità con la quale fornisco del lavoro ad un oggetto. La potenza è infatti definita come il rapporto tra il lavoro fatto su di un oggetto e l’intervallo di tempo nel quale questa energia è stata data. P = 22.4.1 Il teorema dell’energia cinetica Immaginiamo di applicare una forza costante F~ ad un oggetto di massa m, e sup~ nella stessa direzione e nello stesso poniamo che esso si sposti di una quantità ∆S verso della forza. Il Lavoro fatto dalla forza può essere calcolato come L = F · ∆S = ma∆S = m ∆V ∆S = m(Vf − Vi )Vmedia ∆t Visto che stiamo considerando una forza costante, possiamo affermare che il moto dell’oggetto è uniformemente accelerato; per questo motivo possiamo scrivere L = m(Vf − Vi )Vmedia = m(Vf − Vi ) = (Vf + Vi ) = 2 1 1 mVf2 − mVi2 = Ecf − Eci 2 2 L = ∆Ec ∆E ∆t Forze conservative ed Energia Potenziale 23.1 23.1.1 Forze conservative + L00B→A L’Energia potenziale gravitazionale Quanto detto in questo paragrafo vale nel caso di oggetti che si trovino vicino alla superficie del pianeta. Consideriamo un oggetto qualunque: esso ha una energia potenziale gravitazionale dovuta alla sua posizione. L’energia potenziale gravitazionale U per un oggetto di massa m ad una altezza h dalla superficie della Terra vale Una forza è definita conservativa quando il lavoro che compie lungo un percorso chiuso è pari a zero. Tipici esempi di forze conservative sono la forza di gravità e la forza elastica; un tipico esempio di forza non conservativa è la forza d’attrito. Immaginiamo un oggetto che si muova sotto l’azione di una forza conservativa lungo un percorso chiuso che lo porti da un punto A ad un punto B e successivamnte lo porti indietro dal punto B al punto A seguendo una strada differente. Visto che il lavoro lungo il percorso chiuso deve valere zero, avremo L0A→B Scheda 23 U = mgh Come si vede dalla formula il valore dell’energia potenziale dipende dalla massa dell’oggetto, dalla sua altezza dal suolo e dal valore dell’accelerazione di gravità che per il pianeta Terra vale g = 9, 81 sm2 . Se un oggetto ha una massa di 5 Kg e si trova ad una altezza di 10 metri dal suolo allora la sua energia potenziale gravitazionale varrà 490 Joule (fate i conti e verificate la loro esattezza). Su di un diverso pianeta cambia il valore di g. =0 da cui L0A→B = −L00B→A L0A→B = L00A→B Immaginiamo di portare un oggetto da un’alterzza hA ad un’alterrza hB differente e calcoliamo il lavoro della forza di gravità; questo conto ci permetterà di capire come mai l’energia potenziale gravitazionale ha quella formula. Questa equazione dice che qualunque percorso si scelga il lavoro della forza conservativa per andare da A a B deve essere sempre uguale, indipendentemente dal percorso scelto. LA→B = −mg∆h = mghA − mghB = −(UB − UA ) = −∆U L’indipendenza dal percorso ci permette di definire una grandezza U detta energia potenziale che dipende solo dalla posizione dell’oggetto. in questo modo per le forze conservative varrà 23.1.2 L’energia potenziale elastica Una molla a riposo, che non venga ne compressa ne estesa, ha energia potenziale elastica nulla. Se la stessa molla la si comprime o la si estende, essa acquista energia potenziale elastica proporzionale all’estensione o alla compressione rispetto alla lunghezza a riposo della molla. L’energia potenziale elastica Uel immagazzinata da una molla con costante elastica k e compressa (o estesa) di una lunghezza ∆l rispetto alla posizione a riposo varrà LA→B = UA − UB = −∆U Tenendo anche presente il teorema dell’energia cinetica, possiamo quindi interpretare questo risultato dicendo che il lavoro di una forza conservativa trasforma energia potenziale gravitazionale in energia cinetica. L’Energia potenziale è l’energia che un oggetto ha in potenza e che potrebbe essere trasformata in energia cinetica da una forza che fa lavoro. Esistono moltissimi tipi differenti di energia potenziale, una per ogni tipo di forza conservativa. Vel = 44 1 k(∆l)2 2 45 Scheda23. Forze conservative ed Energia Potenziale N viene compressa di ∆l = 0, 2 metri, Se una molla con costante elastica k = 30 m l’energia potenziale elastica immagazzinata dalla molla vale Vel = 0, 6 Joule (fate i conti e verificate la loro esattezza). 23.1.3 Altre forme di energia potenziale A seconda dei vari casi che di volta in volta si analizzano, ogni oggetto può immagazzinare energia in molte forme; un oggetto ha energia in base alla temperatura a cui si trova, in base ai legami chimici tra le varie molecole o atomi, in base ai legami tra i costituenti degli atomi, ecc. Sarà compito di chi analizza un certo sistema capire quali tipi di energia devono essere considerati per una corretta descrizione del fenomeno. Legge di conservazione dell’energia totale 24.1 nuove ed opportune forme di energia. Nel caso di uno spostamento in presenza di attrito, parte dell’energia cinetica dell’oggetto in moto viene convertita in calore e quindi dovrà aggiungere nel bilancio energetico anche questa forma di energia. Le parole di Feynmann C’è un fatto, o se volete una legge, che governa i fenomeni naturali sinora noti. Non ci sono eccezioni a questa legge: per quanto ne sappiamo è esatta. La legge si chiama conservazione dell’energia, ed è veramente una idea molto astratta, perché è un principio matematico: dice che c’è una grandezza numerica, che non cambia qualsiasi cosa accada. Non descrive un meccanismo, o qualcosa di concreto: è solo un fatto un po’ strano: possiamo calcolare un certo numero, e quando finiamo di osservare la natura che esegue i suoi giochi, e ricalcoliamo il numero, troviamo che non è cambiato... [Richard Feynmann, Le Lezioni di Feynmann, VolI] 24.2 Scheda 24 ∆Etot = ∆U + ∆Ec + ∆Q = 0 24.3 Trasformazione dell’energia Ogni volta che su di un oggetto agisce una forza e quell’oggetto si muove allora quella forza ha compiuto un lavoro sull’oggetto. Se quel lavoro è positivo allora vuol dire che quella forza ha dato energia cinetica all’oggetto trasformando una qualche energia potenziale; al contrario se il lavoro è negativo vuol dire che quella forza ha sottratto energia cinetica all’oggetto convertendola in una qualche energia potenziale. Per capire bene in che modo l’energia si trasforma da una sua forma all’altra analizziamo adesso una particolare situazione nella quale noi solleviamo un peso fino alla cima di un piano inclinato e lasciamo poi che il peso scenda lungo il piano inclinato per poi arrivare contro una molla posta al fondo del piano. Legge di conservazione dell’energia totale La legge di conservazione dell’energia è uno dei concetti più importanti nell’analisi di un fenomeno fisico. In un sistema isolato (che quindi non ha alcuno scambio con l’esterno) la quantità totale di energia è costante. Questo significa che non importa quali o quante trasformazioni subisca l’energia presente nel sistema, la sua quantità complessiva è sempre costante. Se ci limitiamo a considerare l’energia meccanica (per cui ci limitiamo alle forze conservative ed assumiamo che non ci siano forze non conservative) la dimostrazione di questo principio è semplice, infatti per un qualunque oggetto, nello spostarsi da un punto A ad un punto B avremo sempre che 1. Il peso si trova fermo a livello del suolo. Essendo fermo la sua energia cinetica è zero. Trovandosi ad una altezza zero dal suolo, anche la sua energia potenziale gravitazionale vale zero. 2. Una forza esterna (per esempio quella esercitata dal nostro braccio) compie un lavoro sul peso e lo solleva. Questa forza ha dato dell’energia all’oggetto, il quale l’ha immagazzinata sotto forma di energia potenziale gravitazionale. L’oggetto si trova ora ad un’altezza h da terra; è per questo che ha immagazzinato energia potenziale. L’oggetto si trova fermo e quindi non ha energia cinetica (figura 24.1). LA→B = −∆U = ∆Ec da cui ricaviamo ∆U + ∆Ec = 0 ∆Etot = 0 3. Ora l’oggetto comincia a rotolare senza attrito lungo il pendio. A causa della componente dell’accelerazione di gravità parallela al pendio, l’oggetto si muove di moto uniformemente accelerato e quindi la sua velocità tende ad In un caso più generale, nel quale siano presenti ogni tipo di forza, il principio di conservazione dell’energia continua a essere valido, semplicemente introducendo 46 47 Scheda24. Legge di conservazione dell’energia totale Figura 24.1: L’oggeto si trova sulla cima di una discesa al cui fondo si trova una molla. aumentare man mano che la sua altezza da terra tende a diminuire. Da un punto di vista energetico possiamo affermare che man mano che l’oggetto si avvicina al suolo (e quindi diminuisce la sua altezza da terra) perde energia potenziale gravitazionale; questa energia si trasforma in energia cinetica (che dipende dalla velocità) , ed è per questo che la velocità dell’oggetto aumenta. Quando tutta l’energia potenziale dell’oggetto si sarà consumata (e quindi avrà raggiunto la posizione più in basso) esso avrà raggiunto la massima energia cinetica e quindi la sua massima velocità (figura 24.2). 4. Adesso l’oggetto si muove in orizzontale e quindi, non variando la sua altezza dal suolo non varia la sua energia potenziale gravitazionale. L’oggetto ha comunque energia cinetica visto che viaggia ad una certa velocità. 5. Quando l’oggetto finisce contro la molla, comincia a comprimerla. La velocità dell’oggetto diminuisce gradualmente, il che significa che l’oggetto perde energia cinetica. Questa energia che l’oggetto perde viene immagazzinata dalla molla per il fatto che essa viene compressa. La molla acquisisce quindi l’energia cinetica dell’oggetto e la immagazzina sotto forma di energia potenziale elastica. Quando l’oggetto avrà esaurito tutta l’energia cinetica (e si sarà Figura 24.2: L’oggeto è arrivato alla fine della discesa. quindi fermato) allora la molla avrà raggiunto la sua massima compressione (figura 24.3). 6. La molla, raggiunta la sua massima compressione, comincerà adesso a restituite all’oggetto l’energia presa. L’oggetto quindi acquisterà nuovamente energia cinetica a spese dell’energia potenziale elastica della molla che nel frattempo tornerà ad assumere la sua lunghezza a riposo. L’oggetto tornerà quindi verso il piano inclinato ripetendo al contrario quanto spiegato in precedenza (figura 24.4). 48 Scheda24. Legge di conservazione dell’energia totale Figura 24.3: La molla ha rallentato l’oggetto fino a fermarlo. Figura 24.4: La molla ha spinto l’oggetto di nuovo verso la salita. Macchine semplici Scheda 25 Una macchina semplice è uno strumento che permette di fare del lavoro esercitando una piccola forza. 25.2 Una leva è un’asta con un perno fisso intorno al quale l’asta ruota. Il perno non è nel centro dell’asta; per questo motivo, in una condizione di equilibrio, la forza fatta ad un estremo dell’asta non è uguale alla forza fatta sull’altro estremo dell’asta. F b1 = Fg b2 Le macchine semplici che tratteremo sono: il piano inclinato, la leva, la carrucola e il torchio idraulico. 25.1 La leva Il piano inclinato F = Immaginate di dover spingere un oggetto lungo un piano inclinato per sollevarlo di una certa altezza. Ammettendo che sul piano inclinato l’attrito sia nullo, il lavoro necessario dipende soltanto dalla massa dell’oggetto e dal dislivello da coprire. Infatti L + mghi = mghf Fg b2 b1 Qualunque lavoro venga fatto su di un oggetto posizionato sul lato corto della sbarra, sarà uguale al lavoro fatto dalla forza posizionata sul lato lungo. La forza fatta sul lato lungo è però sempre più piccola dell’altra, e di qui il concetto di macchina semplice. L = mg(hf − hi ) = mg∆h Il lavoro che facciamo dipende però dalla lunghezza del piano inclinato, infatti F · ∆S = mg∆h b2 mg∆h ∆S Per chi, tanto più lungo è il piano inclinato, tanto minore è la forza da impiegare al fine di fare una certa quantità di lavoro. b1 F~ F~g F = Figura 25.2: La leva 25.3 ∆S La carrucola Una carrucola è un oggetto costituito da una ruota con una scanalatura sui bordi per permettere il passaggio di una corda. La ruota è libera di ruotare intorno al suo perno centrale. Il punto chiave per comprenderne il funzionamento sta nel notare che la forza esercitata dal filo è sempre doppia in quanto il filo è avvolto intorno alla ruota. A bilanciare tale forza è la reazione del perno che, di conseguenza, sarà doppia rispetto alla tensione del filo. Montando una carrucola o più carrucole avremo che la forza necessaria a tenere in equilibrio un peso è minore della forza ∆h F~ Figura 25.1: Il piano inclinato 49 50 Scheda25. Macchine semplici esercitata dal peso stesso. In figura 25.3, facendo una forza T~ sulla corda, tale forza si propaga su tutta la corda. Sulla carrucola mobile, la corda esercita due forze verso l’alto, bilanciate dalla forza F~ verso il basso. La forza T~ risulta quindi la metà della forza F~ . T~ T~ T~ F~ Figura 25.3: Un sistema a carrucola mobile. 25.4 Il torchio idraulico Per questo paragrafo vedi 27.1.1. Figura 25.4: www.youtube.com/watch?v=zM5riV9kQJ0 Gli urti Scheda 26 Calcolando poi l’energia cinetica del sistema prima e dopo l’urto porriamo avere una stima del calore liberato durante l’urto Tutti sappiamo che se due oggetti si dirigono uno contro l’altro, si urtano e poi proseguono il loro moto con direzioni e velocità differenti. Avendo a disposizione sia il concetto di quantità di moto che il concetto di energia, possiamo adesso prevedere, conoscendo le condizioni iniziali, quali siano le velocità e le direzioni finali degli oggetti dopo l’urto. In un processo di urto sicuramente vale la legge di conservazione della quantità di moto; parte dell’energia cinetica dei due oggetti viene invece convertita in calore e quindi dissipata. Noi studieremo due situazioni estreme: la prima riguarda gli urti completamente anelastici nei quali si ha la massima dispersione di energia sotto forma di calore; la seconda riguarda gli urti completamente elastici nei quali non c’è dispersione di energia e quindi potremo anche applicare la legge di conservazione dell’energia. In entrambi i casi ci limitiamo a trattare problemi monodimensionali, nei quali supponiamo che gli oggetti si muovano unicamente su di una linea1 . 26.1 Q = Ecf − Eci = 26.2 1 1 1 m1 m2 (m1 + m2 )Vf2 − m1 V12 − m2 V22 = ... = V1 V2 2 2 2 m1 + m2 Gli urti elastici In un urto elastico l’energia cinetica del sistema si conserva I due oggetti dopo l’urto non rimarranno attaccati. Per descrivere questo tipo di urti dovremo impostare un sistema di due equazioni, la prima riguardante la conservazione della quantità di moto e la seconda riguardante la conservazione dell’energia. Il modo più comodo di risolvere il problema rimane però quello di mettersi nel sistema di riferimento nel quale uno dei due oggetti (per esempio quello con indice 2) sia fermo. Avremo quindi: Gli urti anelastici ( In un urto anelastico si ha dispersione di energia sotto forma di calore dove m indica la massa degli oggetti, V indica la velocità degli oggetti; con gli indici i intendo i valori delle grandezze prima dell’urto e con gli indici f i valori delle grandezze dopo l’urto. Risolvendo questo sistema per trovare i valori di V1f e V2f otteniamo I due oggetti che urtano tra loro dopo l’urto rimarranno attaccati e si muoveranno quindi con la stessa velocità. La legge di conservazione della quantità di moto, applicata a questo caso, ci permette di scrivere m1 V1 + m2 V2 = (m1 + m2 )Vf ( dove m è la massa degli oggetti, V è la loro velocità prima dell’urto e Vf la velocità dei due oggetti dopo che si sono attaccati. In questo modo sono in grado di calcolare la velocità finale del blocco Vf = m1 V1i = m1 V1f + m2 V2f 2 2 m1 V1i2 = m1 V1f + m2 V2f 26.2.1 m1 V1 + m2 V2 m1 + m2 V1f = V2f = Casi particolari di urti elastici I due oggetti hanno la stessa massa otteniamo 1 Un urto su di un piano viene trattato esattamente in modo analogo, semplicemente imponendo la legge di conservazione della quantità di moto separatamente per entrambi gli assi cartesiani del sistema di riferimento sul piano. ( 51 m1 −m2 m1 +m2 V1i 2 m1 m1 +m2 V1i Nel caso di due oggetti con la stessa massa, V1f = 0 V2f = V1i 52 Scheda26. Gli urti Questo significa che l’oggetto colpito parte con la stessa velocità che aveva l’altro, il quale, dopo l’urto, si ferma. Figura 26.1: Un urto elastico tra due sfere di cui una inizialmente ferma. L’oggetto fermo ha una massa molto maggiore di quello in moto Se l’oggetto colpito, inizialmente fermo, ha una massa enormemente maggiore di quello che lo colpisce, per cui possiamo del tutto trascurare la massa dell’altro oggetto, otteniamo ( V1f = −V1i V2f = 0 Questo significa che l’oggetto colpito non si sposta, mentre l’altro torna indietro con la stessa velocità che aveva inizialmente. L’oggetto fermo ha una massa molto minore di quello in moto Se l’oggetto colpito ha una massa molto minore, e quindi trascurabile, rispetto a quello che lo colpisce, otteniamo ( V1f = V1i V2f = 2 V1i Questo significa che l’oggetto colpito parte con una velocità doppia rispetto a quella che aveva inizialmente l’altro oggetto. L’altro oggetto invece procede nel suo moto senza cambiare la sua velocità. Parte V Fluidodinamica 53 Il principio di Pascal 27.1 Scheda 27 Il principio di Pascal Prendiamo un fluido in una situazione di quiete. Il principio di Pascal afferma che: La pressione esercitata su di una parte della superficie di un fluido si trasmette invariata su ogni porzione della superficie del fluido stesso. Questo significa che se in un punto del fluido esercitiamo una pressione, questa pressione si trasmetterà attraverso il fluido su tutte le pareti che lo contengono. Ogni superficie del fluido, quindi, eserciterà su tali pareti una forza ad essa perpendicolare causata dalla pressione che inizialmente abbiamo esercitato. Possiamo vedere questo se immaginiamo di mettere un palloncino all’interno di un contenitore pieno di un liquido. Se aumentiamo la pressione del liquido premendo sulla sua superficie, vedremo il palloncino rimpicciolirsi a causa dell’aumento di pressione. 27.1.1 F~grande F~piccola Il torchio idraulico Abbiamo detto che se in un punto di un fluido applico una pressione, essa si trasmette invariata in ogni punto del fluido. Se applico quindi una piccola forza su di una piccola superficie del fluido, la pressione che si trasmette permetterà di avere una grande forza su di una grande sezione della superficie del fluido. Questo permette di costruire dispositivi in grado di esercitare grandi forze in certi punti del fluido come conseguenza dell’applicazione di piccole forze in altri punti del fluido. Questo principio viene illustrato in figura 27.1. Figura 27.1: La forza esercitata sul lato stretto dell’apparato genera una pressione che corrisponde ad una grande forza sul lato largo dell’apparato. Questo poiché la pressione esercitata dall’esterno si trasmette identica in tutti i punti del fluido. 54 La conservazione della portata 28.1 Scheda 28 Portata di un tubo La portata di un tubo è la quantità di fluido (intesa come volume di fluido) che 3 attraversa quel tubo nell’unità di tempo. Essa si misura, a seconda dei casi, in ms . 28.2 Portata per fluidi incomprimibili Per fluidi incomprimibili intendiamo fluidi la cui densità non cambia. Una certa quantità di fluido, con un determinato volume, avrà sempre lo stesso volume. Se in un certo intervallo di tempo entra in un tubo una certa quantità di fluido, allora in un diverso punto del tubo la stessa quantità di fluido deve uscire. Questo concetto è rappresentato in figura 28.1. Il volume della parte di liquido nella parte stretta del tubo è quindi uguale al volume del liquido nella parte larga del tubo. l2 = v2 · ∆t l1 = v1 · ∆t V1 = V2 da cui S2 S1 S1 · l1 = S2 · l2 dove S è la sezione del tubo e l il percorso fatto dal liquido in un tempo ∆t viaggiando alla velocità v. Avremo quindi Figura 28.1: Il liquido che scorre nella parte stretta del tubo passa poi nella parte più larga cambiando velocità. I due volumi di liquido devono essere uguali a causa dell’incomprimibilità del liquido. S1 · v1 · ∆t = S2 · v2 · ∆t S1 v1 = S2 v2 Questa indicata è la legge di conservazione della portata Q = S · v valida per tutti i fluidi incomprimibili che scorrono in un tubo. Questa legge può essere commentata dicendo che, essendo il liquido incompressibile, in un tubo il liquido scorre tanto più velocemente quanto più piccola è la sezione del tubo. 55 Il principio di Bernoulli 29.1 Scheda 29 unità di volume. Se controlliamo le unità di misura di ognuno di questi tre termini possiamo constatare che si tratta di un’energia per unità di volume, cioè Joule m3 . Allora l’equazione di Bernoulli può essere letta come la legge di conservazione dell’energia per unità di volume, cioè afferma che un particolare volume di fluido mantiene costante la sua energia, supponendo tale volume costante. L’equazione di Bernoulli Immaginiamo adesso di seguire il movimento di un certo volume di fluido incomprimibile. Durante il suo movimento vale di sicuro la legge di conservaziuone dell’energia. Applicando tale legge, trascurando ogni effetto dovuto alle forze di attrito, otteniamo l’equazione seguente: v~2 1 mv 2 + mgh + Uint = cost 2 dove v è la velocità del fluido, g l’accelerazione di gravità e h l’altezza a cui si trova il fluido. In quest’equazione il primo termine rappresenta l’energia cinetica del fluido, intesa come l’energia legata al movimento del baricentro. Questo termine considera il fluido come se tutta la sua massa fosse concentrata nel baricentro, e non tiene conto dell’energia cinetica legata al movimento delle singole molecole intorno al baricentro. Il secondo termine rappresenta l’energia potenziale gravitazionale del fluido. Il terzo rappresenta invece l’energia interna del fluido, cioè l’energia cinetica legata al movimento delle singole molecole intorno al baricentro del fluido. Dividere l’energia cinetica del fluido nella somma dell’energia cinetica del baricentro più l’energia interna è necessario in quanto misurare la prima non è complicato, mentre per misurare la seconda dovrei conoscere con precisione massa e velocità di tutte le molecole del fluido. Dal momento che trattiamo fluidi incomprimibili, allora la massa di fluido considerata ha anche un volume costante; posso quindi dividere l’equazione per il volume del fluido ottenendo: 1 2 2 mv S2 v~1 S1 h1 h2 Figura 29.1: Il liquido che scorre nella parte stretta del tubo passa poi nella parte più larga cambiando velocità. I due volumi di liquido devono essere uguali a causa dell’incomprimibilità del liquido. 29.1.1 La legge di Stevin Se applichiamo l’equazione di Bernoulli in un caso in cui il fluido sia fermo, cosa otteniamo? Immaginiamo di trovarci immersi in un fluido fermo e spostarci da un punto A ad un punto B a differente profondità. L’equazione di bernoulli diventa: mgh Uint + = cost V V V ottenendo l’equazione di Bernoulli + 1 2 ρV + ρgh + P = cost 2 Dove P è la pressione del fluido, ρ la sua densità. La pressione in un certo volume di fluido può infatti essere vista come la quantità di energia interna per PB + ρghB = PA + ρghA nella quale sono stati annullati i termini legati alla velocità del fluido. Con semplici passaggi si ottiene 56 57 Scheda29. Il principio di Bernoulli PB − PA = ρghA − ρghB PB − PA = −(ρghB − ρghA ) ∆PA→B = −ρg∆hA→B che è appunto la legge di Stevin. Essa afferma che tanto più vado in profondità in un fluido, tanto maggiore sarà la pressione che sento, in base anche alla densità del fluido. 29.1.2 Il tubo di Venturi Come varia la pressione in un condotto orizzontale di sezione variabile? Se applichiamo l’equazione di Bernoulli ad un condotto orizzontale ed otilizziamo poi la legge della portata otteniamo quanto segue, dove indichiamo con S1 e S2 i valori delle sezioni del condotto in due suoi punti distinti. 1 1 P1 + ρv12 = P2 + ρv22 2 2 In questa equazione i termini con l’altezza sono stati semplificati in quanto le due altezze sono uguali essendo il tubo orizzontale.. 1 S2 1 P1 + ρv12 = P2 + ρv12 12 2 2 S2 1 S2 1 P1 − P2 = − ρv12 + ρv12 12 2 2 S2 1 S2 ∆P = − ρv12 1 − 12 2 S2 Da questa equazione si vede chiaramente che all’aumentare della velocità del fluido si crea una differenza di pressione tra due punti del tubo con sezioni differenti. Figura 29.2: un tubo di Venturi nel quale sta scorrendo dell’acqua. E’ possibile notare come l’altezza delle due colonnine d’acqua sia differente, a dimostrare che la pressione nei due punti del condotto Ú differente. Parte VI Calorimetria 58 59 Scheda29. Il principio di Bernoulli Calore ∆Q =0 ∆T Trasporto di calore S ∆Q = ρ· · ∆T∗ ∆t l ∆T Teq 6= 0 Equilibrio termico cs1 m1 T1i + cs2 m2 T2i = cs1 m1 + cs2 m2 Transizione di fase ∆Q = Qlat · m Riscaldamento ∆Q = cs · m · ∆T Dilatazione termica ∆l = λ · li · ∆T ∆S = 2λ · Si · ∆T ∆V = 3λ · Vi · ∆T Stati della materia 30.1 Scheda 30 Stati della materia 30.2 Cambiamenti di stato Ogni materiale, a temperature ben precise, può passare da uno stato ad un altro. Il cambiamento di stato avviene perchè i legami tra le molecole si spezzano o si formano. Per esempio alla temperatura T = 0◦ C il ghiazzio fonde. Nella fusione, dando calore i legami tra le molecole del solido si spezzano e il materiale diventa liquido; al contrario quando abbiamo acqua liquida alla temperatura T = 0◦ C, togliendo calore i legami tra le molecole si formano ed il liquido diventa solido. Durante la transizione di fase il calore è utilizzato per spezzare i legami tra le molecole; la temperatura del materiale rimane costante. La materia si trova in tre stati: Solido, Liquido, Gassoso. La differenza sta nel come le molecole o gli atomi della sostanza in questione sono legati tra loro. Figura 30.1: www.youtube.com/watch?v=I9jqUUbeuog 30.1.1 Solidi I solidi hanno forma e volume propri; le molecole sono molto legate tra loro e non sono libere di muoversi attraverso il materiale 30.1.2 Figura 30.2: www.youtube.com/watch?v=rC3CloIZHtA Liquidi I liquidi hanno volume propro ma assumono la forma del contenitore; le molecole sono legate tra loro, ma con legami sufficientemente deboli da permettere alle molecole di muoversi attraverso il materiale. 30.1.3 gas I gas assumono sia il volume che la forma del contenitore che li contiene; le molecole non sono legate tra loro (a meno di debolissimi legami che in genere possono essere trascurati) e sono libere di muoversi attraverso il materiale 60 Temperatura Scheda 31 dell’acqua, ne consegue che l’ampiezza di un grado Kelvin sia uguale all’ampiezza di un grado centigrado. La temperatura di un oggetto indica l’energia cinetica media delle molecole di cui è fatto quell’oggetto. Ogni oggetto è infatti fatto di molecole, le quali si muovono all’interno dell’oggetto, fossanche per vibrare intorno ad punto di equilibrio. Visto che per l’energia cinetica di una particella esiste un limite inferiore pari a zero, allora esiste un limite inferione anche per la temperatura. 31.1 31.1.3 Per come sono state determinate le due scale di temperatura bisogna stare attenti quando si eseguono le conversioni di unità di misura. Se devo convertire due intervalli di temperatura, la conversione è ∆T = 1 K = 1 ◦ C Le scale di temperatura Se devo invece convertire il valore di una temperatura allora Le due principali scale di temperatura che studiamo sono la scala dei gradi centigradi1 e la scala dei gradi Kelvin. Per creare una scala di temperature è necessario determinare due punti fissi sulla scala. 31.1.1 t = 300 K = 26, 85 ◦ C I gradi centigradi Per determinare la scala dei gradi centigradi si è presa prima la temperatura di fusione del ghiaccio è si è stabilito in modo arbitrario che tale valore corrispondeva a Tf us = 0◦ C; successivamente si è presa la temperatura di ebollizione dell’acqua è si è stabilito in modo arbitrario che tale valore corrispondeva a Teb = 100◦ C. Con queste due affermazioni è di fatto stata inventata questa scala di temperatura. 31.1.2 I gradi Kelvin Stabilito che il concetto stesso di temperatura prevede l’esistenza di un limite inferiore al suo valore, allora risulta sicuramente più efficace l’utilizzo della scala di temperatura dei gradi Kelvin. Essa infatti stabilisce che il valore minimo di temperatura sia Tmin = 0 K corrispondente al valore Tmin = −273, 15 ◦ C. inoltre stabilisce che il valore della temperatura di fuzione del ghiaccio sia Tf us = 273, 15 K e che il valore della temperatura di ebollizione dell’acqua sia Teb = 373, 15 K. essendoci anche qui 100 gradi di differenza tra le due temperature di transizione 1 La conversioni di temperature scala dei gradi centigradi è altrimenti chiamata scala Celsius dal nome del fisico che la creò. 61 Riscaldamento Scheda 32 Riscaldare un oggetto significa aumentarne la temperatura; raffreddare un oggetto significa diminuirne la temperatura. Per ottenere questo dobbiamo dare o togliere del calore all’oggetto. Se diamo del calore all’oggetto, questo calore aumenta l’energia interna dell’oggetto e quindi ne aumenta la temperatura. Consiglio di guardare il seguente video 32.2 Scambi di calore ed equilibrio termico Cosa succede se metto a contatto due oggetti con temperatura differente? Ciò che succede è che del calore passa dall’oggetto più caldo (che quindi si raffredda) all’oggetto più freddo (che quindi si riscalda); questo avviene fino a quando i due oggetti raggiungono la stessa temperatura e sono quindi in equilibrio termico. Per calcolare quale sia la temperatura di equilibrio che verrà raggiunta dai due corpi possiamo utilizzare la seguente formula: Tf = cs1 Ti1 + cs2 Ti2 cs1 + cs2 Qualora vengano messi a contatto molti oggetti con temperature differenti, allora la formula sopra scritta diventa Tf = Figura 32.1: www.youtube.com/watch?v=sjsoUnjBeEM 32.1 cs1 Ti1 + cs2 Ti2 + ... + csn Tin cs1 + cs2 + ... + csn dove n è un generico indice che indica il numero di oggetto messi a contatto. Calore e temperatura Di quanto la temperatura aumenti quando forniamo del calore dipende dal tipo di materiale e dalla sua massa secondo la seguente formula: ∆Q = cs m∆T dove ∆Q indicha il calore fornito al corpo, ∆T la sua variazione di temperatura, m la sua massa e cs il suo calore specifico. Il calore specifico è un parametro che dipende solo dal tipo di materiale di cui è fatto l’oggetto. La grandezza C = cs m è detta capacità termica di quel particolare corpo. Nel caso in cui stiamo dando calore la grandezza ∆Q sarà positiva; viceversa sarà negativa. L’unità di misura del calore è il Joule o la caloria = 4,186 Joule. 62 Dilatazione termica Scheda 33 Quando scaldiamo un oggetto solido o liquido, esso aumenta il suo volume. Le molecole dell’oggetto, agitandosi, occupano infatti più spazio. Questo è un fenomeno molto piccolo, e quindi difficilmente visibile ad occhio nudo. 33.1 Dilatazione lineare L’aumento del volume dell’oggetto è dovuto all’aumento di ognuna delle tre dimensioni dell’oggetto. Prendiamo per esempio una sbarra di lunghezza l; di quanto aumenterà la lunghezza della sbarra quando viene scaldata? La formula che descrive questo fenomeno è Figura 33.2: www.youtube.com/watch?v=pfdy2R3Ixu4 33.2 ∆l = λl0 ∆T Dilatazione superficiale e volumetrica dove ∆l è l’allungamento della sbarra, l0 la lunghezza iniziale della sbarra, ∆t la variazione di temperatura e λ il coefficiente di dilatazione termica lineare tipico del materiale dell’oggetto. Il valore di tale coefficiente è dell’ordine di grandezza 1 di 10−6 K , cioè le dimensioni dell’oggetto scaldato aumentano di un milionesimo per ogni grado di variazione di temperatura. A seconda della forma dell’oggetto può essere necessario parlare di dilatazione termica superficiale o volumetrica. Può essere cioè necessario chiedersi di quanto aumenta la superficie di un oggetto od il voume di un oggetto. Le formule per calcolare questo sono ∆S = 2λS0 ∆T Nel seguente video viene mostrato come misurare il coefficiente di dilatazione lineare dei metalli e ∆V = 3λV0 ∆T Per meglio comprendere il fenomeno guardate l’immagine in figura 33.3 Figura 33.1: www.youtube.com/watch?v=9l41WAjrAa4 63 64 Scheda33. Dilatazione termica (a) La sfera, fredda, è sufficientemente piccola da passare nel foro (b) La sfera, calda, è troppo grande per poter passare nel foro Figura 33.3: Una sfera di metallo, riscaldata, si dilata. Transizioni di fase Scheda 34 della sostanza. In un solido i legami sono molto forti, tali da vincolare le molecole in una ben precisa posizione le une rispetto alle altre; in un liquido i legami sono meno forti, e le molecole sono libere di muoversi all’interno del liquido; in un gas i legami sono stati spezzati e le molecole sono libere di allontanarsi indefinitamente le une dalle altre. Se diamo o togliamo calore ad un corpo quando ci troviamo ad alcune precise temperature tipiche di ogni materiale, succede che quel corpo subisce una transizione di fase e cambi quindi stato. I tre stati in cui si può trovare la materia sono lo stato solido, liquido e gassoso. Un qualunque passaggio tra uno stato e l’altro si dice transizione di fase. Nella tabella 34.1 sono indicate le transizioni di fase esistenti. Stato iniziale → Stato finale Solido → Liquido Solido → Gassoso Liquido → Gassoso Gassoso → Liquido Gassoso → Solido Liquido → Solido Transizone di fase Fusione Sublimazione Evaporazione Condensazione Brinamento Solidificazione Tabella 34.1: Tabella delle transizioni di fase esistenti Figura 34.1: www.youtube.com/watch?v=aH4vm84KJFk Ma quanta energia mi serve per far compiere una transizione di fase ad un certo quantitativo di materia? Per ogni transizione di fase esiste un parametro J tipico di ogni materiale detto calore latente. La sua unità di misura è Kg . Questa grandezza mi dice quanta energia devo fornire ad ogni kilogrammo di materiale per fare avvenire una certa transizione di fase. Per cui, per ogni materiale, avremo un calore latente di fusione ed un calore latente di ebollizione. Il calore necessario alla transizione di fase sarà quindi: ∆Qf usione = Qlatente−f usione · m ∆Qeboll. = Qlatente−eboll. · m Mentre forniamo calore ad un materiale e questo sta subendo una transizione di fase, la temperatura del materiale rimane sempre costante durante tutta la transizione. Questo avviene perchè il calore fornito viene utilizzato per rompere (o formare) i legami tra le molecole e quindi non può essere impiegato per variare la temperatura del materiale. Da un punto di vista microscopico, infatti, le differenze tra i tre stati dipendono dall’intensità dei legami molecolari tra le varie molecole 65 Conduzione termica 35.1 Scheda 35 La teoria Il calore si muove all’interno dei materiali. La velocità con la quale si muove dipende da fattori quali il materiale, la forma e la temperatura. Immaginiamo di avere una sbarra di lunghezza l e sezione S e che tra i due estremi della sbarra ci sia una differenza di temperatura ∆T . Il calore si muove dal lato più caldo verso il lato più freddo della sbarra; la quantità di calore che nell’unità di tempo passa da una parte all’altra della sbarra la calcoliamo ∆Q l = ρ ∆T ∆t S dove ρ è la conducibilità termica tipica del materiale di cui è fatta la sbarra, e ∆Q ∆t è la potenza trasmessa attraverso la sbarra. Figura 35.2: www.youtube.com/watch?v=Jfqp6rZLc4Y temperatura! del resto è ovvio che abbiano la stessa temperatura in quanto sono in equilibrio termico con l’aria che li circonda e con gli oggetti con cui sono a contatto, e noi sappiamo che gli oggetti a contatto raggiungono la stessa temperatura. Ma allora perchè abbiamo la percezione di due temperature differenti? Il fatto è che il nostro corpo non è un termometro e non misura la temperatura degli oggetti; il nostro corpo misura la velocità con cui il calore esce da esso. Se tocchiamo un oggetto freddo, la sensazione che stiamo provando significa: il calore esce velocemente dal nostro corpo. Se tocchiamo un oggetto caldo la sensazione che stiamo provando significa: il calore esce lentamente dal nostro corpo o addirittura vi entra. La velocità con cui il calore entra o esce dal nostro corpo dipende certo dalla temperatura dell’oggetto toccato, da dipende anche dal materiale di cui è fatto. I metalli sono ottimi conduttori di calore, mentre il legno è un ottimo isolante termico... ecco perchè i due oggetti che avete prima toccato vi sembra che abbiano la stessa temperatura. A riguardo potete guardare il seguente video. Figura 35.1: www.youtube.com/watch?v=SGaXGaU5qN8 35.2 Un semplice esperimento 35.3 La sensazione di caldo e freddo Guardatevi intorno e trovate un oggetto di metallo ed uno di legno. Toccateli. Troverete che l’oggetto di metallo è freddo e quello di legno è più caldo. Se ora provate a misurare la loro temperatura troverete che i due oggetti hanno la stessa 66 67 Scheda35. Conduzione termica Figura 35.3: www.youtube.com/watch?v=vqDbMEdLiCs Parte VII Termodinamica 68 Primo principio della termodinamica 36.1 L’energia interna di un gas 36.4 n X 1 i=1 2 Il primo principio Un gas può essere quindi pensato come un contenitore di energia interna. Un gas può però anche cedere o ricevere energia, sia sotto forma di lavoro che sotto forma di calore. Se il gas riceve energia, la sua energia interna aumenterà, mentre se il gas cede energia la sua energia interna diminuirà. Un gas è fatto di molecole che si muovono, e le molecole hanno massa. Questo vuol dire che le molecole di ogni gas hanno energia cinetica. La somma delle energie cinetiche di tutte le molecole del gas la chiamiamo energia interna del gas e la indichiamo con la lettera U U= Scheda 36 Definiamo la grandezza δQ come il calore che entra nel gas. Se il calore uscisse dal gas δQ avrebbe un valore negativo. mi Vi2 Visto che la temperatura è un indice dell’energia cinetica media delle molecole, L’energia interna del gas è di conseguenza direttamente legata alla temperatura del gas. per cui se cambia l’energia interna del gas, di conseguenza cambia la temperatura del gas Definiamo la grandezza δL come il lavoro che esce dal gas. Se il lavoro entrasse nel gas δL avrebbe un valore negativo. Detto questo possiamo affermare il primo principio della termodinamica ∆U ←→ ∆T ∆U = δQ − δL 36.2 che possiamo leggere come: La variazione dell’energia interna di un gas è ugale a tutto il calore che entra meno tutto il lavoro che esce1 . Questa formula comunque altro non è se non la legge di conservazione dell’energia applicata ad una trasformazione termodinamica di un gas. Principio zero Un principio fondamentale della termodinamica è che il calore si muove sempre dagli oggetti più caldi verso gli oggetti più freddi. Per questo motivo, se un gas è più caldo del suo contenitore, gli cederà calore; se è più freddo riceverà calore da esso. 36.3 Il lavoro fatto da un gas Ogni gas preme sulle pareti del contenitore che lo contiene, cioè esercita su di esse una forza. Se le pareti si spostano, allora tale gas di conseguenza fa un lavoro. Se il gas aumenta il suo volume, ne consegue che il gas cede del lavoro al mondo esterno; se il gas diminuisce il suo volume, il gas riceve del lavoro dall’esterno. 1 δQ δL ←→ ∆V e δL sono stati scritti con la delta minuscola per un motivo preciso che per il momento è fuori dagli scopi di questa scheda 69 Legge dei gas e trasformazioni termodinamiche 37.1 Scheda 37 piano di Clapeyron. Esso altro non è se non un diagramma cartesiano con i valori di pressione e volume sui due assi. Un punto all’interno del grafico definisce in modo univoco un valore di pressione e di volume, e quindi, per il nostro gas, anche di temperatura. In figura 37.1 è rappresentato il piano di Clapeyron; le linee puntinate all’interno del piano rappresentano stati nei quali il gas ha sempre la stessa temperatura. Tanto più la linea in questione è lontana dall’origine degli assi, tanto maggiore è la temperatura a cui corrisponde. La legge dei gas perfetti Consideriamo un gas, per esempio l’aria contenuta in una stanza chiusa. Quali grandezze fisiche dovrò utilizzare per definire lo stato fisico in cui si trova quel gas? Di tutte quelle che possiamo inventare concentriamoci su quattro in particolare: • il volume V 2 • la pressione P P • la temperatura T 1.5 • il numero di molecole N L’insieme dei valori di queste quatto grandezze definisce lo stato fisico in cui si trova quel gas. L’esperienza quotidiana ci dice che se facciamo variare una di queste grandezze, automaticamente una o più di una delle altre cambia di conseguenza. La legge fisica che lega insieme le quattro variabili dei gas sopra citate è la legge dei gas perfetti 1 0.5 P ·V =N ·K ·T V 0.5 dove K è la costante di Boltzmann. Questa si chiama legge dei gas perfetti in quanto vale per quei gas fatti di particelle puntiformi che non hanno alcuna interazione tra di loro. I gas reali non sono certo così fatti, ma nella maggior parte dei casi ci si avvicinano tanto da poter essere considerati perfetti. 37.2 1 1.5 2 Figura 37.1: il piano di Clapeyron 37.3 Lo stato di un gas Trasformazioni termodinamiche Si dice trasformazione termodinamica un qualunque cambiamento dei valori delle variabili del gas. Tale cambiamento corrisponde nel piano di Clapeyron in uno spostamento del punto che rappresenta lo stato del gas. Ogni trasformazione termodinamica è sempre causata da uno scambio di energia tra il gas ed il mondo Una volta fissato il numero di molecole di cui è composto il gas che stiamo studiando, il suo stato è identificato dalle restanti tre: volume, pressione e temperatura. Definiti pressione e volume si può dedurre il valore della temperatura. Un ottimo modo per rappresentare lo stato in cui si trova un il gas è quello di utilizzare il 70 71 Scheda37. Legge dei gas e trasformazioni termodinamiche 2 esterno. Noi studieremo quattro tipi di trasformazioni: isocore, isobare, isoterme ed adiabatiche. P 1.5 37.3.1 Isocore Una trasformazione isocora è una trasformazione a volume costante. Nel piano di Clapeyron è rappresentata da una linea verticale. All’aumentare della pressione aumenterà la temperatura in modo direttamente proporzionale. 2 1 0.5 P V 1.5 0.5 1 1.5 2 Figura 37.3: trasformazione isobara 1 37.3.3 0.5 V 0.5 1 1.5 2 Isoterme Una trasformazione isoterma è una trasformazione a temperatura costante. Nel piano di Clapeyron è rappresentata da un ramo di iperbole equilatera riferita agli asintoti. All’aumentare della pressione diminuirà il volume in modo inversamente proporzionale. Figura 37.2: trasformazione isocora 37.3.4 37.3.2 Isobare Una trasformazione isobara è una trasformazione a pressione costante. Nel piano di Clapeyron è rappresentata da una linea orizzontale. All’aumentare del volume aumenterà la temperatura in modo direttamente proporzionale. Adiabatiche Una trasformazione adiabatica è una trasformazione in cui non avvengono scambi di calore. Nel piano di Clapeyron è rappresentata da una curva un po’ più ripida dell’isoterma. All’aumentare della pressione diminuirà il volume. Nella realtà una trasformazione adiabatica può essere realizzata facendo trasformare il gas tanto velocemente da non dargli il tempo di scambiare calore con il mondo esterno. 72 Scheda37. Legge dei gas e trasformazioni termodinamiche 2 2 P 1.5 1.5 1 1 0.5 0.5 P V 0.5 1 1.5 V 2 Figura 37.4: trasformazione isoterma 37.3.5 Come ragionare con i gas perfetti Per affrontare un qualunque problema sulle trasformazioni termodinamiche è possibile utilizzare la mappa concettuale in figura 37.6. Gli elementi che servono per eseguire i ragionamenti sono pochi: 1. la legge dei gas perfetti 2. il primo principio della termodinamica 3. il concetto per cui la temperatura di un gas è direttamente legata all’energia interna del gas 4. il concetto per cui il gas cede lavoro all’esterno se si espande e lo riceve dall’esterno se si comprime Tutto ruota intorna a due gruppi di tre variabili: 1. pressione, volume e temperatura 0.5 1 1.5 2 Figura 37.5: trasformazione adiabatica 2. energia interna, lavoro scambiato e calore scambiato In base alle informazioni che avete i ragionamenti da fare di volta in volta sono pochi e semplici: 1. se avete informazioni sulla temperatura del gas automaticamente ricavate informazioni sulla sua energia interna e viceversa 2. se avete informazioni sul volume del gas automaticamente ricavate informazioni sullo scambio di lavoro, e viceversa 3. se conoscete le variazioni di due variabili tra pressione, volume e temperatura, allora avrete informazioni sulla terza variabile utilizzando la legge dei gas perfetti 4. se conoscete i movimenti di energia legati a due delle tre variabili energetiche (energia interna, lavoro scambiato, calore scambiato), allora avrete informazioni sulla terza variabile utilizzando il primo principio della termodinamica 73 Scheda37. Legge dei gas e trasformazioni termodinamiche Figura 37.6: Una mappa concettuale per affrontare ogni problema sulle principali trasformazioni dei gas perfetti. Distribuzione Maxwell Boltzmann 38.1 Scheda 38 Il concetto Abbiamo visto che la temperatura di un gas è legata all’energia cinetica media delle molecole del gas e quindi alla loro velocità quadratica media. Se affermiamo che un certo gas ha una certa temperatura, di fatto stiamo definendo un valore per l’energia cinetica media delle molecole. Conoscere il valore medio dell’energia cinetica delle molecole, non significa però conoscere il valore dell’energia cinetica di ogni singola molecola. Se la media dell’energia cinetica ha un certo valore, l’energia cinetica di ogni singola molecola può essere molto differente. Per cui, qualunque sia il valore dell’energia cinetica media delle molecole, ci saranno comunque molecole con poca energia e molecole con molta energia. 1 0.8 38.2 La distribuzione delle velocità 1 dn N dv Tbassa 0.6 Se prendiamo un gas, ogni molecola ha una certa energia cinetica e quindi una certa velocità. Alcune molecole, viaggeranno piano, altre molto veloci. Conoscere la distribuzione delle velocità, significa conoscere, per ogni valore di velocità, quante molecole viaggiano a quella velocità. la distribuzione in questione si chiama distribuzione di Maxwell-Boltzmann la cui equazione è Tmedia 0.4 Talta 0.2 m 32 −mv 2 1 dn = 4π v 2 e 2kT N dv 2πkT In figura 38.1 è rappresentata tale distribuzione per tre diversi valori di temperatura. Come si può vedere, per ogni valore di temperatura le molecole del gas possono avere molti differenti valori di velocità e quindi di energia cinetica. Per ogni valore di temperatura del gas, l’unico valore sicuro è quello dell’energia cinetica media delle molecole. v 2 4 6 8 Figura 38.1: Distribuzione maxwellinana delle velocità. 74 Il ciclo di Carnot 39.1 Scheda 39 2 Trasformazioni cicliche 1.8 Una trasformazione è detta ciclica se, partendo da un ben definito stato di pressione, volume e temperatura, arrivo dopo un certo tempo nello stesso stato di pressione, volume e temperatura. Non importa quale sia il percorso seguito, ma conta solo che il punto di partenza e quello di arrivo coincidano. In figura 39.1 vediamo un esempio di un ciclo termodinamico. 2 P 1.6 a 1.4 1.2 1 P d 0.8 1.5 b 0.6 0.4 c 1 0.2 V 0.2 0.5 0.4 0.6 0.8 1 1.2 1.4 1.6 1.8 2 Figura 39.2: Il ciclo di Carnot: il gas subisce una espansione isoterma (a) ad alta temperatura Talta ; successivamente una espansione adiabatica (b) che lo porta alla temperatura inferiore Tbassa , poi una compressione isoterma (c) alla temperatura Tbassa , ed infine una compressione adiabatica (d) che lo riporta alla temperatura Talta . V 0.5 1 1.5 2 Figura 39.1: Un esempio di un ciclo termodinamico Per studiare tale ciclo è necessario analizzare i flussi di energia tra il gas e l’esterno; prendiamo come punto di partenza per l’analisi lo stato che ha maggiore pressione, minore volume e maggiore temperatura. Adesso, per capire l’utilità e le caratteristiche dei cicli termodinamici, cominciamo con l’analizzare un ben preciso ciclo termodinamico: il ciclo di Carnot. 39.2 1. Durante la prima trasformazione, l’espansione isoterma (a), il gas ha energia interna costante (∆Ua = 0). Ne consegue che il lavoro fatto dal gas è uguale al calore assorbito δLa = δQass ad alta temperatura. Il ciclo di Carnot Il ciclo di Carnot è una particolare trasformazione ciclica composta da due trasformazioni isoterme e due trasformazioni adiabatiche come mostrato in figura 39.2. 2. Durante la seconda trasformazione, l’espansione adiabatica (b), il gas non scambia calore con l’esterno (δQb = 0). Ne consegue che il lavoro fatto verso l’esterno fa diminuire l’energia interna del gas, raffreddandolo ∆Ub = −δLb . 75 76 Scheda39. Il ciclo di Carnot 3. Durante la terza trasformazione, la compressione isoterma (c), il gas non cambia la sua energia interna (∆Uc = 0). Ne consegue che il lavoro ricevuto durante la compressione è uguale al calore ceduto a bassa temperatura δLc = δQced . Sorgente ad alta temperatura δQa 4. Durante la quarta trasformazione, la compressione adiabatica (d), il gas non scambia calore con l’esterno (δQd = 0). Ne consegue che il lavoro ricevuto durante la compressione farà aumentare l’energia interna e la temperatura: ∆Ud = −δLd . δL δQc Pozzo a bassa temperatura 39.3 Il rendimento di un ciclo Figura 39.3: In un ciclo di Carnot viene prelevato dall’esterno del calore ad una alta temperatura, trasformato Durante tutto il ciclo del calore e del lavoro vengono scambiati con il mondo esterno, alla fine del ciclo l’energia interna del gas non è però cambiata, perchè lo stato finale del gas è uguale a quello iniziale. In particolare del calore è stato assorbito ad alta temperatura; una parte di quel calore è stata poi ceduta al mondo esterno a bassa temperatura. Se andiamo poi a considerare tutto il lavoro fatto e ricevuto nelle quattro trasformazioni, troveremo che la parte di calore assorbito che non è stata poi ceduta a bassa temperatura, è stata in realtà trasformata in lavoro fatto verso il mondo esterno. L’immagine 39.3 mostra quale sia stato il flusso di energia durante un intero ciclo di Carnot. Questo è un concetto generale valido per ogni ciclo termodinamico che venga percorso in senso orario: sempre verrà assorbito del calore ad alta temperatura, sempre una parte di quel calore viente trasformato in lavoro e sempre la parte rimanente viene ceduta a bassa temperatura. Un ciclo termodinamico serve infatti a trasformare del calore in lavoro. Un ciclo termodinamico è tanto migliore quanto maggiore è la percentuale di calore assorbito che viene trasformata in lavoro. Tale percentuale viene chiamata rendimento ed è definita come: η= δLf atto δQassorbito una parte di esso in lavoro disperdendo come conseguenza del calore ad una temperatura più bassa. La formula precedente è la definizione generale di rendimento, la quale, applicata ad ogni specifico ciclo, assume poi forme diverse. In particolare per il ciclo di Carnot, il calcolo del rendimento fornisce la seguente formula: η =1− 39.4 Tbassa Talta Secondo principio della termodinamica Il secondo principio della termodinamica è stato enunciato con due formulazioni differenti che si è dimostrato in seguito essere del tutto equivalenti. Esse vanno sotto il nome di principio di Kelvin e principio di Clausius. Il principio di Kelvin afferma che è impossibile realizzare una trasformazione ciclica che trasformi integralmente una certa quantità di calore in lavoro. Questo implica quindi che il rendimento di un ciclo sia sempre minore di 1. Non importa quanto calore assorbi, non riuscirai mai a trasformarlo tutto in lavoro. 77 Scheda39. Il ciclo di Carnot Il principio di Clausius afferma che è impossibile che una macchina, agendo separatamente dall’ambiente esterno, trasferisca del calore da un corpo che si trova a temperatura minore ad uno che si trova a temperatura maggiore. Questo significa che è impossibile che una certa macchina sposti del calore da un luogo freddo in uno caldo senza utilizzare del lavoro per poterlo fare. il calore si sposta naturalmente da luoghi caldi verso luogi freddi; per spostarlo nel verso contrario è necessario che la macchina termica in questione utilizzi del lavoro dall’esterno. 39.4.1 La qualità dell’energia Se analizziamo in dettaglio gli scambi di energia in un ciclo termodinamico, succede sempre che del calore viene assorbito ad alta temperatura, ed una parte di esso viene ceduto a bassa temperatura. La differenza è stata trasformata in lavoro. La nostra capacità di estrarre del lavoro dal calore assorbito, cioè il rendimento del ciclo, è tanto più alta quanto più alta è la temperatura a cui assorbo il calore e quanto più bassa è la temperatura a cui lo cedo. Il calore assorbito ad alta temperatura possiamo definirlo molto pregiato; estraendo da esso l’energia in assoluto più pregiata che esiste, il lavoro, ciò che rimane e che scartiamo è calore ceduto a bassa temperatura che possiamo definire poco pregiato. 39.5 Cicli frigoriferi I cicli termodinamica di cui abbiamo parlato sono tutti percorsi in senso orario. Se li eseguiamo in senso antiorario avremo che tutti i passaggi di energia avverranno anche loro al contrario. Il gas riceverà quindi una piccola quantità di lavoro e lo utilizzerà per spostare del calore da un luogo freddo verso un luogo caldo. In natura questo non avviemne mai spontaneamente, ecco perchè c’è bisogno di un certo quantitativo di lavoro per riuscire a farlo. Luogo ad alta temperatura δQc δL δQa Luogo a bassa temperatura Figura 39.4: In un ciclo frigorifero un po’ di lavoro viene utilizzato per poter spostare del calore da un luogo a temperatura bassa in un luogo a temperatura alta. Il ciclo Otto 40.1 Scheda 40 1. Durante la prima trasformazione, la compressione adiabatica (a), il gas riceve lavoro dall’esterno aumentando la sua energia interna (∆Ua > 0; δLa < 0 ). Ne consegue che il volume del gas diminuisce e la temperaura aumenta. Questa è la fase in cui il pistone comprime la miscela di aria e benzina e la prepara per la combustione. Le trasformazioni del ciclo Il ciclo Otto è una particolare trasformazione ciclica composta da due trasformazioni adiabatiche e due trasformazioni isocore come mostrato in figura 40.1. Questo ciclo è quello utilizzato per far funzionare i motori a quattro tempi delle automobili. 2 2. Durante la seconda trasformazione, il riscaldamento isocoro (b), il gas riceve calore (δQb > 0) e ne consegue un aumento di energia interna e quindi di temperatura. Questa è la fase in cui la candela infiamma la benzina. La combustione produce il calore che scalda il gas tanto velocemente che il pistone non ha avuto il tempo di spostarsi, mantenendo quindi il volume del gas costante. P 1.8 1.6 1.4 3. Durante la terza trasformazione, l’espansione adiabatica (c), il gas diminuisce la sua energia interna (∆Uc < 0) con la conseguente produzione di lavoro δLc > 0. Questa è la fase in cui il gas espandendosi spinge il pistone e fa muovere l’automobile. 1.2 1 0.8 b 4. Durante la quarta trasformazione, il raffreddamento isocoro (d), il gas cede calore all’esterno (δQd < 0) diminuendo la sua energia interna e la sua temperatura ∆Ud < 0. In questa fase si aprono le valvole e si eguaglia la pressione della miscela combusta alla pressione atmosferica. Il gas verrà espulso dal cilindro attraverso i tubi di scarico e poi una nuova miscela di aria e benzina verrà introdotta nel cilindro. c 0.6 0.4 0.2 a d V 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2 1.4 1.6 1.8 2 Figura 40.1: Il ciclo Otto: il gas subisce una compressione adiabatica (a), successivamente un riscaldamento isocoro (b), poi una espansione adiabatica (c), infine un raffreddamento isocoro (d). Per studiare tale ciclo è necessario analizzare i flussi di energia tra il gas e l’esterno; prendiamo come punto di partenza per l’analisi lo stato che ha maggiore volume e minore pressione (il vertice n basso a destra). Questo è il momento nel quale nel motore, all’interno del cilindro e a contatto con il pistone, si trova una miscela di aria e benzina. 78 Il ciclo diesel 41.1 Scheda 41 ). Ne consegue che il volume del gas diminuisce e la temperaura aumenta. Le trasformazioni del ciclo 2. Durante la seconda trasformazione, l’espansione isobara (b), il gas riceve calore (δQb > 0) e ne consegue sia un aumento di energia interna sia una produzione di lavoro (∆Ub > 0; δLb > 0 ). Il ciclo diesel è una particolare trasformazione ciclica composta da due trasformazioni adiabatiche, una trasformazione isocora ed una isobara come mostrato in figura 41.1. Questo ciclo è quello utilizzato per far funzionare i motori diesel delle automobili. 2 3. Durante la terza trasformazione, l’espansione adiabatica (c), il gas diminuisce la sua energia interna (∆Uc < 0) con la conseguente produzione di lavoro δLc > 0. P 1.8 4. Durante la quarta trasformazione, il raffreddamento isocoro (d), il gas cede calore all’esterno (δQd < 0) diminuendo la sua energia interna e la sua temperatura ∆Ud < 0. 1.6 b 1.4 1.2 1 0.8 c 0.6 a 0.4 0.2 d V 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2 1.4 1.6 1.8 2 Figura 41.1: Il ciclo diesel: il gas subisce una compressione adiabatica (a), successivamente una espansione isobara (b), poi una espansione adiabatica (c), infine un raffreddamento isocoro (d). Per studiare tale ciclo è necessario analizzare i flussi di energia tra il gas e l’esterno; prendiamo come punto di partenza per l’analisi lo stato che ha maggiore volume e minore pressione (il vertice n basso a destra). 1. Durante la prima trasformazione, la compressione adiabatica (a), il gas riceve lavoro dall’esterno aumentando la sua energia interna (∆Ua > 0; δLa < 0 79 Entropia Scheda 42 • Immaginate due stanze di casa vostra separate da una porta, ed immaginate che in una stanza ci sia aria e nell’altra il vuoto. Se aprirete la porta il gas si muoverà da una stanza all’altra riempiendo entrambe le stanze; di sicuro non vedrete mai accadere che adesso il gas di una stanza ritorni sopntaneamente tutto nell’altra. Il fenomeno è quindi irreversibile. L’entropia è una variabile di stato di un gas, la cui comprensione non è banale ma è fondamentale per capire l’evoluzione di un sistema fisico complesso. 42.1 Definizione di entropia Prendiamo il secondo esempio e vediamo cosa succede all’entropia del sistema . L’oggetto caldo cede una certa quantità di calore all’oggetto freddo; quindi L’Entropia di un gas, che indichiamo con la lettera S è definita dall’equazione 1 ∆S = δQ T δQf = −δQc la quale afferma che la variazione di entropia in un gas è data dal rapporto tra il calore scambiato dal gas e la temperatura a cui viene scambiato. 42.2 dove δQc è il calore ceduto dall’oggetto caldo ed ha valore negativo, e δQf è il calore assorbito dall’oggetto freddo ed ha valore positivo. Sappiamo inoltre che la temperatura dell’oggetto caldo è maggiore di quella dell’oggetto freddo Irreversibilità di una trasformazione Tc > Tf Ne consegue che Alcuni fenomeni fisici accadono sponteneamente in natura, altri devono essere indotti tramite un lavoro fatto dall’uomo. δQf δQc >− Tf Tc Vediamo tre semplici esempi: e quindi δQf δQc + >0 Tf Tc • Pensiamo ad un pendolo, in una condizione ideale in assenza di attrito: tutti quanti ci aspettiamo che se il pendoolo scende e poi risale, compiendo mezza oscillazione, di sicuro poi effettuerà il percorso esattamente opposto per ritornare esattamente al punto di partenza. Il fenomeno è sicuramente reversibile, in quanto può accadere spontaneamente in entrambe le direzioni. utilizzando adesso la definizione di entropia ∆Sf + ∆Sc > 0 ∆Stot > 0 • Immaginiamo adesso un oggetto caldo messo a contatto con un oggetto freddo; quello caldo cede calore a quello freddo fino a quando non raggiungono la stessa temperatura. Questo fenomeno è irreversibile; noi non vedremo mai accadere spontaneamente il contrario. Se vogliamo che di due oggetti a contatto con la stessa temperatura uno scaldi l’altro, dobbiamo assere noi che, con del lavoro, facciamo accadere questo fenomeno. Il fenomeno è quindi irreversibile. L’entropia totale di un sistema fisico in cui avvengono trasformazioni irreversibili aumenta sempre 1 Anche se nell’esempio non parlo di gas, l’entropia è comunque un concetto che può essere applicato. Visti gli scopi di questa scheda, concedetemi in questo caso di non essete troppo rigoroso ed approfondito nella spiegazione per preservare quella semplicità di ragionamento di cui ho bisogno per farvi comprendere un principio generale piuttosto complesso. 80 Parte VIII Onde 81 Onde Scheda 43 Le onde sono delle perturbazioni che si propagano nello spazio. Luce e suono ne sono due esempi. 43.1 le oscillano può essere parallela o perpendicolare alla direzione di propagazione dell’onda. In un’onda trasversale l’oscillazione è perpendicolare alla direzione di propagazione dell’onda; in un’onda longitudinale l’oscillazione è parallela alla direzione di propagazione dell’onda. Definizione Immaginiamo di lanciare un sasso in uno stagno: vedremo delle onde di forma circolare, che, propagandosi, diventano sempre più grandi. Osservando il fenomeno, notiamo inoltre che, al passaggio dell’onda, le molecole dell’acqua non si muovono in avanti, ma soltanto in basso e in alto. Le molecole dell’acqua compiono cioè un’oscillazione in torno ad un punto di equilibrio fisso. In un’onda le uniche cose che si propagano in avanti sono l’energia e la quantità di moto. 43.1.1 Onde meccaniche ed elettromagnetiche Un’onda in uno stagno è un’onda meccanica, in quanto l’onda è un’oscillazione delle molecole dell’acqua sulla quale l’onda stessa si propaga. Allo stesso modo il suono è un’onda meccanica, in quanto ad oscillare sono le molecole dell’aria. Per questo motivo, senza il materiale nel quale l’onda si propaga, l’onda stessa non esiste. Figura 43.1: www.youtube.com/watch?v=Rbuhdo0AZDU Un’onda è detta meccanica, quando è data dall’oscillazione delle molecole del materiale nel quale si propaga. Un diverso tipo di onde sono le onde elettromagnetiche, come per esempio la luce. Ad oscillare è un campo elettromagnetico e non il materiale entro cui si propaga l’onda, per cui le onde elettromagnetiche possono propagarsi nel vuoto. In un’onda elettromagnetica ad oscillare è un campo elettromagnetico. 43.1.2 Onde trasversali e longitudinali Figura 43.2: www.youtube.com/watch?v=CswoSQC_NX0 Prendiamo ad esempio un’onda meccanica; le molecole del materiale, all’arrivo dell’onda, oscillano intorno ad un punto di equilibrio. La linea sulla qua82 83 Scheda43. Onde 43.1.3 Variabili dell’onda Le variabili con cui descrivo le onde sono: la lunghezza d’onda, la frequenza, l’ampiezza, il periodo, la velocità, l’intensità. • λ: la lunghezza d’onda è la distanza tra un picco ed il picco successivo. • ν: la frequenza è il numero di oscillazioni al secondo. L’unità di misura è l’Hertz: Hz = 1s • A: per un’onda meccanica l’ampiezza è la massima distanza delle molecole dal punto di equilibrio della loro oscillazione. In un’onda elettromagnetica è il massimo valore del campo elettrico o magnetico. • T : il periodo è la durata di una oscillazione completa. • V : la velocità dell’onda è il numero di metri percorsi ogni secondo. • I: l’intensità dell’onda è la quantità di energia che ogni secondo incide su un ∆E metro quadrato di superficie I = S·∆t λ A ~ V Figura 43.3: Variabili di un’onda. Riflessione e Rifrazione Scheda 44 Ogni volta che un’onda passa da un materiale ad un’altro accadono due fenomeni distinti: l’onda si divide in due onde, la prima ritorna indietro, mentre la seconda prosegue nel nuovo materiale. L’onda che ritorna indietro è l’onda riflessa e parliamo del fenomeno della riflessione; l’onda che prosegue nel nuovo materiale è detta onda rifratta e parliamo del fenomeno della rifrazione. I fenomeni di riflessione e rifrazione avvengono nel momento in cui l’onda incide sulla superficie di separazione tra i due materiali. L’angolo con cui l’onda incide su tale superficie è detto angolo di incidenza ed è l’angolo compreso tra il raggio dell’onda e la perpendicolare alla superficie di separazione. Molto importante: 44.1 Riflessione Facciamo riferimento alla figura 44.1: il raggio riflesso forma con la perpendicolare alla superficie di separazione, un angolo i0 uguale all’angolo di incidenza i i0 = i 44.2 Il raggio dell’onda, il raggio riflesso, il raggio rifratto e l’asse perpendicolare alla superficie di separazione sono tutte rette sullo stesso piano Rifrazione Quando un’onda passa da un mezzo nel quale viaggia alla velocità Vi in un mezzo nel quale la velocità è Vr avremo che conseguentemente cambia la lunghezza d’onda rimanendo invariata la frequenza. Una diretta conseguenza è che, incidendo sulla superficie di separazione tra due materiali, cambia la direzione di propagazione dell’onda; con riferimento alla figura 44.1 avremo che sin(i) Vi = sin(r) Vr i (44.1) i0 44.2.1 Vi aria Riflessione totale Prendiamo un’onda che si propaga da un materiale in cui viaggia lenta in un materiale in cui viaggia più veloce; in questo caso, dall’equazione 44.1 avremo che l’angolo di rifrazione sarà maggiore dell’angolo di incidenza. Vr acqua Chiamiamo angolo limite l’angolo di incidenza corrispondente ad un angolo di rifrazione pari a 90◦ . r Se un’onda incide con un angolo maggiore dell’angolo limite, il raggio rifratto non può esistere e di conseguenza esiste solo il raggio riflesso; questa situazione viene definita riflessione totale, in quanto tutta l’energia dell’onda viene riflessa. Figura 44.1: Riflessione e rigrazione di un’onda nel momento di incidenza sulla superficie di separazione tra due materiali che a titolo di esempio abbiamo indicato come aria e acqua nei quali l’onda viaggia con velocità Vi e Vr . 44.3 84 Videolezione 85 Scheda44. Riflessione e Rifrazione Figura 44.2: www.youtube.com/watch?v=ccmbt-if9kY Figura 44.3: www.youtube.com/watch?v=k7ohfaMmTKg Figura 44.4: www.youtube.com/watch?v=nqCQBA2r4DQ Interferenza 45.1 Scheda 45 Il fenomeno dell’interferenza 45.2 Onde stazionarie Un’onda stazionaria è data dall’interferenza di due onde identiche che viaggiano in direzione opposta. Su una corda si vede bene che le onde stazionarie hanno alcuni punti, detti nodi, che rimangono fermi e non oscillano, ed altri, detti ventri, la cui oscillazione è massima. Quando in uno stesso punto ci sono contemporaneamente due o più onde differenti, l’onda complessiva presente in quel punto indurrà oscillazioni pari alla somma algebrica delle oscillazioni indotte dalle singole onde. Questo significa, come mostrato in figura 45.1 che se le onde inducono oscillazioni nello stesso verso, l’oscillazione risultante sarà molto ampia e parleremo di interferenza costruttiva; nel caso contrario, oscillazioni opposte tendono a cancellarsi e parleremo di interferenza distruttiva. Interferenza 2 Ampiezza (m) Figura 45.2: www.youtube.com/watch?v=ic73oZoqr70 0 −2 −10 −5 0 metri 5 10 Figura 45.1: Due onde presenti nello stesso luogo; l’onda complessiva che effettivamente vediamo, disegnata in nero, rappresenta la somma algebrica delle due onde. Figura 45.3: www.youtube.com/watch?v=3BN5-JSsu_4 86 87 45.2.1 Scheda45. Interferenza Onde stazionarie su corde bloccate agli estremi Se una corda bloccata agli estremi sta vibrando, la vibrazione sarà un’onda stazionaria con due nodi coincidenti con gli estremi della corda. Questo vuol dire che la lunghezza della corda deve necessariamente essere un multiplo intero della semilunghezza d’onda. λ l=n 2 45.3 Il fenomeno dei battimenti Il fenomeno dei battimenti è dato dall’interferenza di onde con stessa ampiezza ma frequenza leggermente differente. Il risultato è un’onda di frequenza pari alla media delle frequenze delle due onde iniziali, e di ampiezza di valore che oscilla nel tempo. L’oscillazione del valore dell’ampiezza è legata alla differenza tra le frequenze delle due onde iniziali. Il fenomeno dei battimenti, per un’onda sonora, si manifesta con un suono di volume che varia nel tempo, come mostrato nel video 45.6. λ = 2l λ=l λ= 2l 3 λ= l 2 λ= 2l 5 Figura 45.4: Onde stazionarie su di una corda fissata ai due estremi. 88 Scheda45. Interferenza Interferenza Ampiezza (m) 2 0 −2 −40 −20 0 metri 20 40 Figura 45.5: Rappresentazione grafica del fenomeno dei battimenti. Figura 45.6: www.youtube.com/watch?v=i7gcaDXdr94 Diffrazione 46.1 Scheda 46 Il fenomeno Quando un’onda attraversa una fenditura di dimensioni paragonabili alla sua lunghezza d’onda, il fronte d’onda diventa circolare. Immaginate un’onda con il fronte d’onda lineare, per esempio le onde del mare; immaginate adesso che tali onde passino attraverso lo spazio tra due file di scogli; dopo tale passaggio vedrete che il fronte d’onda dell’onda assumerà forma circolare. 46.2 Alcuni video Figura 46.1: www.youtube.com/watch?v=BH0NfVUTWG4 89 Risonanza 47.1 Scheda 47 Il fenomeno Quando un’onda incide contro un oggetto, tale oggetto comincia ad oscillare. L’oscillazione avrà la stessa frequenza dell’onda incidente, ma ampiezza molto maggiore. Il fenomeno avviene solo se la frequenza dell’onda incidente è uguale ad una delle frequenze di risonanza dell’oggetto. Figura 47.1: http://www.youtube.com/watch?v=fuLpeRPCTfc 90 Diffusione 48.1 Scheda 48 Il fenomeno Quando un’onda interagisce con un oggetto, se l’oggetto non è riflettente o trasparente, allora tale onda viene assorbita e riemessa in tutte le direzioni. Se immaginiamo per esempio un raggio di luce laser che incide su di un muro, sappiamo tutti che chiunque nella stanza è in grado di vedere il puntino luminoso del laser sul muro. Questo vuol dire che la luce laser che incide contro il muro, viene riemessa dal muso in tutte le direzioni, diventando quindi visibile a chiunque nella stanza. 91 Dospersione 49.1 Scheda 49 Il fenomeno Noi sappiamo che un raggio luminoso, quando cambia materiale nel quale si propaga, automaticamente cambia velocità e quindi devia dalla sua traiettoria; se la velocità del raggio luminoso dipendesse soltanto dal materiale, ogni colore devierebbe nello stesso modo; in realtà l’indice di rifrazione di un materiale ha una leggera dipendenza dalla frequenza della luce che lo attraversa; per questo motivo il fenomeno della rifrazione avviene in modo differente a seconda del colore della luce. Un fascio di luce bianca, formato cioè dalla combinazione di tutti i colori, nel passaggio da un materiale all’altro verrà separato in tutte le sue componenti di colore, in quanto ogni colore devierà dalla sua traiettoria in modo differente. questa dipendenza del fenomeno della rifrazione dalla frequenza della luce incidente è detto dispersione. Figura 49.1: Gif animata che spiega la dispersione della luce 92 Effetto Doppler 50.1 Scheda 50 Il fenomeno 50.2 Onde d’urto La velocità della sorgente, nell’emissione dell’onda, provoca un fenomeno particolare quando la sorgente si muove a velocità maggiori o uguali alla velocità dell’onda emessa. I video qui di seguito mostrano molto bene come si forma un’onda d’urto, data dalla somma di tutte le onde emesse dalla sorgente in momenti differenti. l’effetto Doppler è un fenomeno per il quale un osservatore percepisce una variazione della frequenza di un’onda dovuta alla velocità relativa tra la sorgente e l’osservatore. La velocità relativa tra osservatore e sorgente influisce infatti sul numero di fronti d’onda che in ogni secondo l’osservatore incontra nel suo movimento. Il fenomeno è comunque facilmente comprensibile osservando i seguenti video. Figura 50.3: www.youtube.com/watch?v=35goU1SlAXE Figura 50.1: www.youtube.com/watch?v=Gz8JxhosvW8 Figura 50.4: www.youtube.com/watch?v=uHJ4_dW3890 Figura 50.2: www.youtube.com/watch?v=4mUjM1qMaa8 93 Le lenti Scheda 51 Analizzeremo in questa scheda come una lente sferica si comporta con i raggi luminosi che l’attraversano e quindi come crea le conseguenti immagini. Una lente è un oggetto di vetro che, avendo un indice di rifrazione maggiore di quello dell’aria, devia i raggi luminosi. In questa scheda ci limitiamo per semplicità a trattare delle lenti sferiche, cioè di lenti formate da due superfici sferiche simmetriche rispetto ad un asse centrale detto asse ottico della lente. Tratteremo inoltre solo lenti sottili, cioè lenti il cui spessore è tanto piccolo da poter essere considerato trascurabile. Distinguiamo tra due tipi di lenti: le lenti convergenti e le lenti divergenti rappresentate nelle figure 51.1 e 51.2. Una lente si dice convergente quando devia il percorso di un raggio luminoso parallelo all’asse ottico della lente indirizzandolo verso un punto detto fuoco della lente Figura 51.2: Lenti divergenti. Una lente si dice divergente quando devia il percorso di un raggio luminoso parallelo all’asse ottico della lente indirizzandolo come se provenisse da un punto detto fuoco della lente 51.1 Immagine generata da una lente convergente Mettendo un oggetto davanti ad una lente, i raggi luminosi che partono da esso, attraversano la lente e generano un’immagine dell’oggetto. Chiamiamo p la distanza dell’oggetto dalla lente, q la distanza dell’immagine dalla lente ed f la distanza focale della lente. Per costruire l’immagine di un oggetto generata da una lente dobbiamo seguire il percorso di due raggi luminosi che partono dall’oggetto. Il primo è il raggio parallelo all’asse ottico, il quale passerà per il fuoco; il secondo è il raggio che passa per il centro della retta e prosegue non deviato. Nel punto in cui i due raggi si incontrano, li si forma l’immagine. Qualora i raggi luminosi non si incontrassero, allora si incontrano i prolungamenti dei raggi luminosi; li dove si incontrano si forma l’immagine. La distanza del fuoco della lente dal centro della lente è detta distanza focale. 51.2 Figura 51.1: Lenti convergenti. Immagine generata da una lente divergente Mettendo un oggetto davanti ad una lente, i raggi luminosi che partono da esso, attraversano la lente e generano un’immagine dell’oggetto. Chiamiamo p la 94 95 Scheda51. Le lenti F F f Figura 51.3: www.youtube.com/watch?v=7BQnCyutdWs p distanza dell’oggetto dalla lente, q la distanza dell’immagine dalla lente ed f la distanza focale della lente. Per costruire l’immagine di un oggetto generata da una lente dobbiamo seguire il percorso di due raggi luminosi che partono dall’oggetto. Il primo è il raggio parallelo all’asse ottico, il quale attraverserà la lente e verrà deviato come se provenisse dal fuoco; il secondo è il raggio che passa per il centro della retta e prosegue non deviato. Nel punto in cui il raggio che passa per il centro ed il prolungamento dell’altro raggio si incontrano, li si forma l’immagine. 51.2.1 La legge dei punti coniugati q Figura 51.4: Costruzione dell’immagine di una lente convergente. Con F sono indicati i fuochi della lente, con f la distanza focale, con p la distanza dell’oggetto dalla lente, con q la distanza dell’immagine dalla lente. In questo caso l’immagine risulta invertita e reale. Se adesso osservate l’immagine 51.7 vedrete che i segmenti lungghi h e h0 sono due cateti di due triangoli rettangoli simili, per cui posso scrivere G=− h0 q =− h p La posizione dell’oggetto, del fuoco e dell’immagine sono legate tra loro dalla legge dei punti coniugati 1 1 1 = + f p q Utilizzando poi la legge dei punti couniugati avremo dove f è la distanza focale, p è la distanza dell’oggetto dal centro della lente, e q è la distanza dell’immagine dal centro della lente. Il fattore di ingrandimento dipende quindi dalla distanza focale della lente e dalla distanza dell’oggetto dalla lente. SE il fattore di ingrandimento viene negativo, significa che l’immagine viene capovolta. 51.2.2 Il fattore di ingrandimento Abbiamo visto che l’immagine generata da una lente può essere sia più grande che più piccola. Se indichiamo con h la dimensione dell’oggetto e con h0 la dimensione dell’immagine, il fattore di ingrandimento è definito come G=− h0 h G=− q f h0 =− = h p f −p 96 Scheda51. Le lenti q F F f h p F Figura 51.5: Costruzione dell’immagine di una lente convergente. Con F sono indicati i fuochi della lente, F h’ con f la distanza focale, con p la distanza dell’oggetto dalla lente, con q la distanza dell’immagine dalla lente. L’immagine risulta dritta e virtuale. f p q Figura 51.7: Calcolo dell’ingrandimento ottenuto con l’utilizzo di una lente. I due triangoli evidenziati in rosso sono triangoli simili, in quanto hanno l’angolo al vertice uguale e sono entrambi rettangoli. F F q p f Figura 51.6: Costruzione dell’immagine di una lente divergente. Con F sono indicati i fuochi della lente, con f la distanza focale, con p la distanza dell’oggetto dalla lente, con q la distanza dell’immagine dalla lente. L’immagine risulta dritta e virtuale. L’arcobaleno 52.1 Scheda 52 Osservare un arcobaleno 52.2 Tutti voi avete sicuramente visto un arcobaleno, ma probabilmente pochi di voi lo hanno guardato. Provate per esempio a leggere le seguenti domande riguardanti gliarcobaleni, e dite a quante di queste sapete rispondere. Il principio di base L’arcobaleno si forma quando la luce del sole attraversa una goccia d’acqua. Come mostrato in fig.52.1, ogni singolo raggio luminoso entra nella goccia d’acqua in accordo con le regole della riflessione e rifrazione della luce; esso si propaga all’interno della stessa, per poi uscirne con un angolo differente rispetto alla direzione di provenienza. 1. Il rosso si trova all’interno o all’esterno? 2. Quanto vale il suo raggio (espresso in gradi)? i 3. Quanto vale la sua lunghezza? φ r 4. Quanto vale la sua ampiezza (espressa in gradi)? r r δ 5. E’ più luminosa la parte interna o esterza dell’arco? 6. In quali momenti della giornata lo possiamo osservare? r 7. In quale direzione lo possiamo osservare (Nord - Sud - Ovest - Est)? 8. Quanti archi ci sono? i (a) Dove si trova il secondo? (b) Il rosso del secondo arco si trova all’interno o all’esterno? (c) Quanto vale il raggio del secondo arco? Figura 52.1: Percorso di un raggio luminoso attraverso una goccia d’acqua. (d) Quanto vale l’ampiezza del secondo arco? Indicati con i l’ingolo di incidenza della luce sulla superficie della goccia d’acqua, con r il relativo angolo di rifrazione, e con δ l’ampiezza della deviazione del raggio luminoso rispetto alla sua direzione di provenienza, tale angolo può essere facilmente calcolato e si ottiene 9. La luce dell’arcobaleno è polarizzata? 10. Qual è la direzione della polarizzazione? 11. La luce è molto o poco polarizzata? δ = 180 + 2i − 4r 97 98 Scheda52. L’arcobaleno Tenendo conto che l’indice di rifrazione dell’acqua è circa n = 1, 336, se andiamo a calcolare il valore dell’angolo δ in funzione dell’angolo di incidenza i della luce, scopriamo che l’angolo δ ha un valore minimo di circa δmin ∼ 138◦ , e di conseguenza l’angolo φ ha un valore massimo di circa φmax ∼ 42◦ . Teniamo anche in considerazione che il problema che stiamo analizzando ha simmetria cilindrica; esso è infatti identico per qualunque rotazione attorno all’asse, parallelo alla direzione della luce incidente, e che passa attraverso il centro della goccia d’acqua. Angolo di incidenza i Angolo di rifrazione r Deviazione del raggio δ 0◦ 10◦ 20◦ 30◦ 40◦ 50◦ 60◦ 70◦ 80◦ 90◦ 0◦ 7, 5◦ 14, 8◦ 22, 0◦ 28, 7◦ 35, 0◦ 40, 4◦ 44, 7◦ 47, 4◦ 48, 4◦ 180, 0◦ 170, 0◦ 160, 8◦ 152, 0◦ 145, 2◦ 140, 0◦ 138, 4◦ 141, 2◦ 150, 4◦ 166, 4◦ Figura 52.2: La luce che attraversa una goccia d’acqua ritorna indietro all’interno di un cono la cui ampiezza cambia a seconda del valore dell’indice di rifrazione dell’acqua differente per ogni colore. Tabella 52.1: Andamento del valore dell’angolo di deviazione della luce, in funzione dell’angolo di incidenza, quando un raggio luminoso attraversa una goccia d’acqua. E’ stato assunto n = 1, 336 quale indice di rifrazione dell’acqua. φmax è differente per i due colori ed il cono della luce di ritorno ha un’ampiezza differente. In particolare avremo che Se immaginiamo adesso un fascio di luce che investe tutta la goccia d’acqua, avremo tanti raggi luminosi paralleli che incidono sulla goccia d’acqua con tutti gli angoli di incidenza possibili. Ne segue che la luce che esce dalla goccia d’acqua dopo una riflessione all’interno della stessa, esce tornando indietro verso la fonte di luce, formando un cono dell’ampiezza di circa 42◦ rispetto all’asse della luce incidente. Andiamo adesso a considerare il fatto che l’indice di rifrazione dell’acqua è differente a seconda che si tratti di luce rossa o luce blu. Di conseguenza il valore nrosso = 1, 331 → φmax ∼ 42, 4◦ nblu = 1, 343 → φmax ∼ 40, 7◦ All’interno del cono della luce blu ci saranno quindi tutti i colori e di conseguenza vedremo luce bianca; al contrario all’esterno del cono di luce rossa non ci sarà luce. Intuite facilmente che l’arcobaleno lo si vede nella zona compresa tra i due coni. Bisogna comunque sotolineare che, se andiamo a calcolare l’intensità luminosa della luce di ogni singolo colre, troviamo che la maggiore intensità lu- 99 Scheda52. L’arcobaleno minosa si trova proprio sul bordo di tale cono. E’ questo il motivo per cui i colori ci appaiono così nettamente separati. Figura 52.4: Un osservatore, se ha alle spalle il sole all’orizzonte, e di fronte a se un temporale, vede un arcobaleno. In particolare se guarda ad angoli grandi non vede la luce proveniente dalle goccioline d’acqua, se guarda ad angoli piccoli vede luce bianca, se guarda ad angoli intorno ai 42◦ vele i colori dell’arcobaleno. Figura 52.3: Il cono di luce emesso da una singola giccia d’acqua, se proiettato su di uno schermo, darebbe un’immagine di questo tipo. Immaginiamo ora (vedi fig.52.4) che il sole si trovi alle nostre spalle esattamente al livello dell’orizzonte, e che di fronte a noi ci sia un temporale, o più in generale una zona d’aria con miliardi di goccioline d’acqua in sospensione. I raggi luminosi, incontrando le goccioline d’acqua formerebbero i coni di luce precedentemente descritti nella nostra direzione. Se osserviamo in una direzione a più di 42◦ rispetto all’asse dei raggi luminosi non arriva luce colorata ai nostri occhi. Se osserviamo in una direzione a meno di 42◦ rispetto all’asse dei raggi luminosi arriva ai nostri occhi luce bianca. Per direzioni intorno ai 42◦ osserviamo luce colorata. Immaginiamo adesso che il sole si sollevi sull’orizzonte; la nostra ombra ci fornisce la misura dell’inclinazione dei raggi luminosi. L’asse che passa dai nostri occhi ed arriva alla punta della nostra ombra rappresenta proprio l’asse centrale dell’arcobaleno. I 42◦ di ampiezza dell’arcobaleno di devono sempre calcolare rispetto a questo asse. Ne segue di conseguenza che quando il sole sorge, dalla parte opposta l’arcobaleno scende. Una volta che il sole supera l’inclinazione di 42◦ allora l’arcobaleno necessariamente scompare. L’esatto opposto capita quindi al tramonto: mentre il sole scende verso l’orizzonte, l’acobaleno sorge dalla parte opposta. 52.3 L’arco secondario Se osservate bene l’arcobaleno, vedrete anche un secondo arco, più grande del primo, anche se di intensità inferiore. Per spiegare l’esistenza di questo secondo arco è sufficiente considerare non il raggio luminoso che all’interno della goccia d’acqua subisce una riflessione, ma quello che ne subisce due. Ricalcolando quindi gli angoli φmax per il colore rosso e per il colore blu, avremo che nrosso = 1, 331 → φmax ∼ 50, 4◦ nblu = 1, 343 → φmax ∼ 53, 5◦ 100 Scheda52. L’arcobaleno Visto che la riflessione avviene ad un angolo che differisce di soli 3◦ dall’angolo di Brewster, la luce riflessa deve necessariamente essere fortemente polarizzata, e quindi lo sarà la luce dell’arcobaleno che noi vediamo. Per essere più precisi la luce dell’arcobaleno è polarizzata al 90% circa. Questo significa che se olete vedere un arcobaleno non dovete indossare occhiali da sole polarizzati! 52.5 La risposta alle domande Siamo adesso in grado di rispondere alle prime otto domande presentate all’inizio del capitolo. Figura 52.5: Rispetto alla figura 52.4 adesso il sole si è sollevato sull’orizzonte. I raggi luminosi arrivano inclinati, e l’asse che passa dai nostri occhi fino alla punta della nostra ombra è proprio l’asse centrale dell’arcobaleno. Notate che adesso è il rosso a generare un cono di luce più stretto e quindi i colori dell’arcobaleno risultano essere in sequenza invertita rispetto a quella dell’arco primario. 52.4 Polarizzazione dell’arcobaleno La luce bianca che entra nella gocciolina d’acqua subisce una riflessione all’interno di essa. Di tutta la luce che esce dalla gocciolina, quella che va poi a formare l’arcobaleno è quella che esce con un angolo φmax che abbiamo visto essere (vedi tab.52.1) di circa 40◦ . L’angolo di Brewster per un raggio luminoso che passa dall’acqua all’aria si calcola nel seguente modo: tan(θbr ) = 1 naria = nacqua 1, 33 θbr = 37◦ 1. Il rosso si trova all’interno o all’esterno? Visto che per osservare la luce rossa devo sollevare lo squardo di un angolo maggiore rispetto a quello che devo fare per la luce blu... il rosso si trova all’esterno. 2. Quanto vale il suo raggio (espresso in gradi)? Il suo raggio nella parte centrale è di circa 41◦ 3. Quanto vale la sua lunghezza? La sua lunghezza dipende dalla porzione di arco che si trova sopra il livello del terreno. Esso è massimo all’inizio del sorgere del sole ed alla fine del suo tramonto. 4. Quanto vale la sua ampiezza (espressa in gradi)? L’ampiezza dipende dalla differenza degli angoli che formano il rosso ed il blu: circa 1, 7◦ . Bisogna però precisare che il sole non è una sorgente luminosa puntiforme. IL fatto che il sole abbia una dimensione nel cielo di circa 0, 5◦ fa si che l’arcobaleno risulti un po’ più ampio esattamente di una quantità pari alla dimensione angolare del sole nel cielo. 5. E’ più luminosa la parte interna o esterza dell’arco? La luce rifratta dalle goccioline d’acqua è tutta contenuta all’interno del cono delimitato dall’arcobaleno... quindi la parte interna di esso è molto più luminosa. 6. In quali momenti della giornata lo possiamo osservare? L’arcobaleno può essere osservato solo se il sole si trova a meno di 42◦ sopra l’orizzonte... quindi alla mattina ed alla sera. 101 Scheda52. L’arcobaleno 7. In quale direzione lo possiamo osservare (Nord - Sud - Ovest - Est)? L’arcobaleno può essere osservato solo se si guarda in direzione opposta a quella del sole... verso est la sera e verso ovest la mattina 8. Quanti archi ci sono? Ci sono due archi: il primario ed il secondario. (a) Dove si trova il secondo? Il secondo si trova all’esterno del primo. (b) Il rosso del secondo arco si trova all’interno o all’esterno? I colori dell’arco secondario sono invertiti rispetto a quelli dell’arco primario. (c) Quanto vale il raggio del secondo arco? Il raggio medio dell’arco secondario è circa 52◦ (d) Quanto vale l’ampiezza del secondo arco? L’ampiezza dell’arco secondario è di circa 3◦ a cui bisogna però aggiungere circa 0, 5◦ a causa delle dimensioni non puntiformi del sole. 9. La luce dell’arcobaleno è polarizzata? Si, la luce dell’arcobaleno è polarizzata. 10. Qual è la direzione della polarizzazione? La luce dell’arcobaleno è polarizzata su di un piano tangente all’arcobaleno stesso. 11. La luce è molto o poco polarizzata? La luce dell’arcobaleno è fortemente polarizzata. 52.6 Altri arcobaleni 52.6.1 Rifrazione in cristalli di ghiaccio Il fenomeno dell’arcobaleno è anche osservabile a causa della rifrazione della luce nei piccoli cristalli di ghiaccio presenti nell’alta atmosfera. Visto l’indice di rifrazione del ghiaccio, l’ampiezza di tale arcobaleno è di circa 22◦ . A differenza di quello generato dalle goccioline d’acqua, per vedere questo arcobaleno bisogna guardare nella direzione della fonte luminosa. Non si vede facilmente perchè guardando nella direzione del sole l’intensità luminosa è tale da bruciarci la retina e renderci ciechi. Una soluzione può essere quella di guardare nella direzione della luna, la cui luminosità non è altrettanto rischiosa per la salute dei nostri occhi. 52.6.2 Diffrazione su gocce d’acqua A volte capita di osservare un arcobaleno quando siamo su di un aereoplano e guardiamo l’ombra dell’aereoplano. Questo fenomeno è dovuto a goccioline d’acqua estremamente fini ed al fenomeno della diffrazione della luce. In questo caso il fenomeno non è legato alla legge di Snell come nel caso comunemente conosciuto. La spiegazione di questo fenomeno è però decisamente troppo complessa per gli scopi di questo libro. Il raggio di tale arcobaleno dipende dalla dimensione delle goccioline d’acqua; esso è tanto maggiore quanto più piccole sono tali goccioline. Parte IX Elettromagnetismo 102 Forza di Coulomb 53.1 Scheda 53 La carica elettrica Una delle caratteristiche fondamentali della materia è la carica elettrica. Essa può essere positiva o negativa, ma soprattutto vale la legge di conservazione della carica elettrica. Q+ In un sistema isolato la carica elettrica complessiva è costante Q− L’unità di misura della carica elettrica è il Coulomb. 53.2 La forza di Coulomb Figura 53.1: Campo elettrico di una singola carica positiva (a sinistra) o negativa (a destra). Tra due cariche elettriche Q1 e Q2 , poste ad una certa distanza r, si genera una forza, attrattiva tra cariche di segno opposto e repulsiva tra cariche di segno uguale. Tale forza è detta anche Forza di Coulomb. F =K la costante K = 9 · 109 53.3 N m2 C2 53.4 Q1 · Q2 r2 Linee di campo Le linee di campo, utili per raffigurare un campo, sono linee sempre tangenti al vettore campo. è detta costante di Coulomb. Il campo elettrico Come tutte le interazioni a distanza, anche la forza di Coulomb avviene tramite l’emissione di un campo. ~ in ogni punto dello Una carica elettrica Q emette un campo elettrico E spazio. Figura 53.2: Linee di campo per due cariche uguali e di stesso segno e per due cariche opposte e di stesso ~ = K Q ~ur E r2 dove r è la distanza del punto in questione dalla carica. Il campo elettrico è una grandezza vettoriale, il cui verso è sempre dalla parte opposta della carica per cariche positive, e dalla stessa parte rispetto alle cariche negative. Vale il principio di sovrapposizione, per cui se ci sono più cariche, il campo elettrico in un punto è la somma vettoriale dei campi elettrici delle singole cariche. segno. 53.4.1 Linee di campo di un dipolo elettrico Un dipolo elettrico è un sistema costituito da due cariche elettriche di segno opposto poste ad una certa distanza. Nel seguente video sono mostrate le linee di campo 103 104 Scheda53. Forza di Coulomb di un dipolo elettrico Figura 53.3: www.youtube.com/watch?v=bG9XSY8i_q8 F~ ~ E q− 53.5 La forza Elettrostatica La forza di Coulomb si genera tra due cariche elettrice; la formula, così com’è scritta, non spiega però il reale meccanismo con il quale tale forza si genera. Abbiamo detto che ogni carica elettrica emette un campo elettrico; la forza nasce dall’interazione delle cariche elettriche con il campo elettrico generato da altre cariche. Per ~ ed una carica q, la forza che la carica q subisce vale: cui, dato un campo elettrico E ~ F~ = q · E La forza non nasce dall’interazione diretta tra le due cariche, ma tra l’inderazione diretta tra una carica ed il campo generato da quell’altra. ~ E q+ F~ Figura 53.4: Forza subita da una carica elettrica a causa del campo elettrico in cui è immersa. Campo e forza magnetica 54.1 Scheda 54 Il campo magnetico Una carica che si muove emette un campo magnetico in ogni punto dello spazio intorno alla carica. ~ ~ = µ0 q V ∧ ~ur B 4π r2 ~ dove B è il campo magnetico che la particella di carica q che viaggia alla ~ crea nel punto indicato dal versore ~ur ed alla distanza r dalla carica. velocità V Figura 54.2: www.youtube.com/watch?v=IW9HUXIjbyE 54.2 Campi magnetici e correnti elettriche sere in ogni punto perpendicolare al filo, e le linee di campo saranno sempre dei cerchi concentrici con il filo. Una corrente elettrica è un movimento di cariche elettriche. Ogni volta che attacchiamo una batteria ad un filo generiamo una corrente elettrica e quindi un campo magnetico. Nei video 54.1 e 54.2 si vede bene come un filo percorso da corrente generi un campo magnetico in quanto fa muovere l’ago di una bussola. 54.4 La forza magnetica ~ dentro un campo magnetico B ~ subisce Una carica Q che si muove con velocità V una forza ~ ∧B ~ F~ = QV Dalla formula risulta evidente che la forza magnetica è sempre perpendicolare alla velocità della carica, e di conseguenza è sempre una forza di tipo centripeto e non fa mai lavoro. Figura 54.1: www.youtube.com/watch?v=T2k3OMTYHBc 54.4.1 54.3 Campo magnetico di un filo percorso da corrente Moto in un campo magnetico uniforme Come si muove una carica elettrica che entra in un campo magnetico uniforme? Visto che la forza magnetica è sempre perpendicolare alla velocità della particella, allora il movimento deve essere un moto circolare uniforme Un filo percorso da corrente contiene ovviamente delle cariche elettriche che si muovono, e quindi emette un campo magnetico. Tale campo magnetico deve es105 106 Scheda54. Campo e forza magnetica 2 z 1 0 1 −1 0 x 1 −1 y Figura 54.3: Linee di campo magnetico di un filo. A seconda che la corrente elettrica scorra nel filo verso l’alto od il basso, le linee di campo saranno orientate in senso orario o antiorario. 54.5 Calamite 54.5.1 Calamite naturali Figura 54.4: www.youtube.com/watch?v=7YHwMWcxeX8 - Nel video si vede bene come avvicinando una calamita ad un flusso di elettroni in movimento, essi subiscono una forza. 0 Una calamita naturale è un oggetto che genera naturalmente un campo magnetico. Un campo magnetico è generato dal movimento di una carica; in un magnete le cariche che si muovono sono gli elettroni che girano intorno agli atomi. Ogni elettrone, girando intorno al suo atomo, genera un piccolo campo magnetco. In un oggetto ci sono miliardi di atomi; se gli elettroni girano tutti orientati nello stesso modo, allora i campi magnetici che generano tendono a sommarsi tra loro, generando un forte campo magnetico, quello che la calamita mostra. Se gli elettroni ruotano in modo disordinato, allora il campo magnetico complessivo sarà molto piccolo o nullo, e non avremo nessuna calamita. 54.5.2 Calamite artificiali Per creare una calamita partendo da un comune pezzo di ferro è necessario orientare il movimento degli elettroni all’interno dell’oggetto in modo che tutti i piccoli campi magnetici che essi producono si sommino tra loro. L’unico modo è quello di immergere l’oggetto in un campo magnetico esterno; ogni singolo elettrone, muovendosi, subisce quindi una forza magnetica. tale forza fa ruotare i singoli elettroni in modo che si orientino tutti nello stesso modo, ottenendo così una calamita. Anche togliendo il campo magnetico esterno, l’orientamento degli elettroni rimane e l’oggetto mantiene le sue proprietà magnetiche. 107 Scheda54. Campo e forza magnetica ~ V F~m Figura 54.5: Moto di una carica elettrica a causa del campo magnetico in cui è immersa. L’atomo Scheda 55 Tutta la materia che ci cinrconda è formata da 118 tipi diversi di atomi. Per molto tempo si è pensato che questi fossero gli elementi fondamentali costituenti la materia... adesso sappiamo che hanno invece una struttura interna. In questa scheda analizziamo nel dettagli tale struttura. 55.1.2 Forze tra le particelle Tra le particelle che costituiscono l’atomo agiscono tutte le quattro forze fondamentali presenti in natura: Forza elettromagnetica 55.1 I costituenti dell’atomo Tra le particelle con carica elettrica agisce la forza elettromagnetica: cariche di segno uguale si respingono e cariche di segno opposto si attraggono. Il raggio di azione di tale forza è infinito. L’intensità di tale forza dipende dal valore delle cariche elettriche e dal quadrato della loro distanza Oltre a leggere quanto scritto, guarda anche questo video: F =K Q1 · Q2 r2 dove K è la costante di Boltzmann, Q1 e Q2 le cariche delle due particelle, r è la distanza tra le due particelle. Forza forte La forza forte agisce tra protoni e neutroni (ma anche tra protoni e protoni, e tra neutroni e neutroni) ed è sempre attrattiva. É estremamente più intensa della forza elettromagnetica, ed ha un raggio di azione estremamente limitato. Figura 55.1: www.youtube.com/watch?v=ICYhoVfB29c 55.1.1 Particelle Forza debole Ogni atomo è costituito da tre tipi di particelle: protoni, neutroni ed elettroni. I protoni hanno carica elettrica positiva Qp = +1, 6 ± 10−19 C e massa Mp = 1, 673 ± 10−27 kg, i neutroni hanno carica elettrica nulla e massa Mp = 1, 675 ± 10−27 kg, infine gli elettroni hanno carica elettrica negativa Qe = −1, 6 ± 10−19 C e massa Me = 9, 1 ± 10−31 kg. Più che imparare a memoria questi numeri è utile rendersi conto di quanto segue. Tale forza agisce su protoni e neutroni nel nucleo causando la radioattività di alcuni elementi. Forza gravitazionale La forza di gravità agisce tra due masse, e quindi anche tra le particelle dell’atomo. Le masse delle particelle sono però talmente piccole che tale forza è del tutto trascurabile; tenerne conto per comprendere le caratteristiche di un atomo sarebbe un errore. La carica dell’elettrone è uguale alla carica del protone ma di segno opposto. La massa del protone è simile alla massa del neutrone ed è 1836 volte maggiore della massa dell’elettrone. 108 109 55.1.3 Scheda55. L’atomo Un principio fondamentale Ogni particella del nostro universo ha una doppia natura onda-corpuscolo. Viene chiamato dualismo onda-corpuscolo è ci dice che, nel nostro caso gli elettroni, hanno sia il comportamento tipico di una particella, sia il comportamento tipico di un’onda. Vuol dire che tutti i fenomeni fisici che riguardano le particelle (come per esempio gli urti) e tutti quelli che riguardano le onde (come per esempio l’interferenza) riguardano tutte le particelle dell’atomo. Questo avrà una conseguenza diretta sulla struttura elettronica degli atomi. 55.2 Struttura dell’atomo Oltre a leggere quanto scritto, guarda anche questo video: Figura 55.2: www.youtube.com/watch?v=r3SocKj-SXg 55.2.1 Il nucleo Protoni e neutroni sono raggruppati insieme a formare il nucleo dell’atomo. La sua dimensione è dell’ordine di grandezza di 10−14 metri e contiene quasi tutta la massa dell’atomo. I protoni si respingono tra loro, ma la forza forte, molto più intensa, agendo tra tutte le particelle del nucleo, le tiene insieme. La forza forte, avendo un raggio di azione ristretto, non riesce però a tenere insieme le particelle del nucleo se ci sono troppi protoni a respingersi (la forza di repulsione tra essi, sebbene più debole, agisce tra tutti i protoni del nucleo). I neutroni hanno in questo caso un ruolo importante; pur non avendo niente a che fare con la forza elettromagnetica, tenendo distanziati i protoni indeboliscono la forza di repulsione tra essi. 55.2.2 Struttura elettronica Le leggi della fisica che descrivono il movimento degli elettroni intorno al nucleo sono di gran lunga troppo complicate per essere descritte in questa scheda; ci limiteremo a coglerne solo gli aspetti essenziali. Gli elettroni ruotano intorno al nucleo. Tanto più sono distanti dal nucleo tanto più la loro energia è grande. Assumiamo che la loro traiettoria sia circolare; visto che l’elettrone ha un comportamento ondulatorio, tale onda deve richiudersi perfettamente su se stessa, quindi la circonferenza dell’orbita deve essere un multiplo intero della lunghezza d’onda. Questo significa che solo le orbite della giusta lunghezza sono ammissibili. Di qui il concetto di livello energetico, per cui tutti gli elettroni sono disposti su ben precisi livelli energetici. Nel passare da un livello all’altro ogni elettrone cede o riceve energia. Ogni livello energetico possiede un ben determinato numero di orbitali (ce ne sono di quattro tipi: s, p, d, f) ed ogni orbitale può contenere al massimo due elettroni. 55.3 la tavola periodica degli elementi La tavola periodica raggruppa gli elementi chimici a seconda delle loro proprietà chimiche. Tali proprietà sono però conseguenza della struttura elettronica dell’atomo, quindi la tavola periodica di fatto riflette quanto scritto nel paragrafo 55.2.2. In particolare, le proprietà chimiche dipendono da quanti elettroni ci sono sull’ultimo livello energetico (quello più esterno), quindi la tavola periodica di fatto mostra la configurazione degli elettroni nell’ultima orbita. Nel dettaglio: • Ogni riga rappresenta elementi i cui elettroni estermi occupano un diverso livello energetico; idrogeno ed elio hanno gli elettroni esterni sul primo li- 110 Scheda55. L’atomo vello energetico, il carbonio ha il primo livello completo e gli altri elettroni riempiono il secondo, l’oro ha gli elettroni esterni nel sesto livello avendo già completamente riempito i primi cinque livelli energetici. • Tutti gli elementi chimici nella stessa colonna hanno nell’ultimo livello lo stesso numero di elettroni e quindi comportamenti chimici simili • L’ordine di riempimento degli orbitali è sempre lo stesso: prima l’s, poi l’f quando c’è, poi il d quando c’è, poi il p. Oltre a leggere quanto scritto, guarda anche questo video: Figura 55.5: www.youtube.com/watch?v=x15bIfYlhys 55.4 Figura 55.3: www.youtube.com/watch?v=x15bIfYlhys Figura 55.4: www.youtube.com/watch?v=SmOmR4ZAT0s L’esperimento di Rutherford La scoperta dell’esistenza di un nucleo all’interno dell’atomo che contiene quasi tutta la massa dell’atomo stesso ed ha un diametro diecimila volte minore di quello dell’atomo, è stata ottenuta con l’esperimento di Rutherford. Ruterford mandò delle particelle α contro una sottile lamina d’oro. Tali particelle , formate da due protoni e due neutroni, hanno un diametro diecimila volte più piccolo di quello di un atomo ed una massa pari a quella dell’atomo di elio. Cosa ci si aspettava di vedere? Credendo che l’atomo fosse una sfera tutta piena di materia, la sua densità risultava molto bassa; visto che le particelle alpha sono molto piccole e molto dense lo avrebbero attraversato in linea retta senza essere deviate (un po’ come sparare un proiettile di fucile contro un cuscino di piume). Quello che però accadde è che alcune particelle venivano deviate, addirirrura alcune tornavano indietro. Ovviamente credere che colpi di fucile sparati contro un cuscino possano tornare indietro non è verosimile. L’unica spiegazione possibile è che la massa dell’atomo non sia uniformemente distribuita al suo interno, ma concentrata in un nucleo molto piccolo al suo interno. Guardate i seguenti video per approfondire l’argomento. 111 Scheda55. L’atomo Figura 55.6: www.youtube.com/watch?v=5pZj0u_XMbc Figura 55.7: www.youtube.com/watch?v=s4rTK3MkmE8 Figura 55.8: www.youtube.com/watch?v=jaqujJOFsRA Elettrizzazione Scheda 56 mente carico attrarrà sempre il lato più vicino dell’oggetto inizialmente neutro, e respingerà sempre, ma più debolmente, l’altro lato. Guardate questo video per approfondire l’argomento. Elettrizzare un oggetto significa fare in modo che la sua carica elettrica complessiva non sia nulla. Gli oggetti in natura sono neutri, in quanto fatti di atomi che contengono elettroni e protoni in numero uguale. Se però diamo o togliamo ad un oggetto degli elettroni, esso non sarà più neutro ma avrà carica elettrica. Esistono tre modi per farlo: per strofinio, per contatto e per induzione. 56.1 Elettrizzazione per strofinio Prendiamo due oggetti isolanti neutri e strofiniamoli tra loro. L’energia dovuta allo strofinio permette ad alcuni elettroni di saltare da un oggetto all’altro. Dopo questo passaggio, uno degli oggetti avrà carica positiva in quanto ha perso elettroni; l’altro oggetto avrà carica negativa in quanto ha ricevuto elettroni. La carica elettrica nei due oggetti sarà uguale in valore, ma di segno opposto. 56.2 Figura 56.1: www.youtube.com/watch?v=nFtV2tyxsx0 Elettrizzazione per contatto 56.3.1 Prendiamo due oggetti di materiale conduttore, uno carico ed uno neutro. Quando i due oggetti sono messi a contatto gli elettroni liberi dentro di essi sono liberi di spostarsi da un oggetto all’altro. Se l’oggetto inizialmente carico era negativo, allora gli elettroni in eccesso si muovono verso l’oggetto neutro, rendendolo anch’esso carico negativamente. Se l’oggetto inizialmente carico era positivo, allora gli elettroni liberi nell’oggetto neutro, si muoveranno verso l’oggetto positivo rendendolo un po’ meno positivo, e rendendo l’oggetto neutro anch’esso positivo. Dopo l’elettrizzazione i due oggetti avranno la carica elettrica dello stesso segno. 56.3 Deviazione di un getto d’acqua Se avviciniamo una bacchetta elettricamente carica (ad esempio carica positivamente) ad un getto l’acqua vedremo che il getto viene deviato dal suo percorso. L’acqua è una molecola polare; il getto d’acqua, nel campo elettrico della bacchetta, si elettrizza per induzione. Le molecole d’acqua ruotano in modo da avvicinare alla bacchetta il lato carico di segno opposto; come conseguenza si genera una forza attrattiva che devia il getto d’acqua in quanto la parte della molecola vicina alla bacchetta viene attratta con maggiore intensità di quanto quella lontana dalla bacchetta venga respinta. Elettrizzazione per induzione Quando avvicino un oggetto carico ad un oggetto neutro, induco nell’oggetto neutro uno spostamento degli elettroni. Gli elettroni, spostandosi nel materiale, generano in esso una distribuzione di carica non omogenea. l’oggetto, seppur complessivamente neutro, avrà un lato positivo ed un lato negativo. L’oggetto inizial112 113 Scheda56. Elettrizzazione Figura 56.2: www.youtube.com/watch?v=g9GU3XpiepM Parte X Elettrotecnica 114 Leggi di Ohm 57.1 Scheda 57 R1 Prima legge di Ohm a Prendiamo una qualunque resistenza di valore R che colleghi tra loro due punti a e b; la differenza di potenziale ∆Vba = Vb − Va tra quei due punti equivale al prodotto della resistenza per l’intensità di corrente che la attraversa a 57.2 + ∆V R2 b Figura 57.2: Le resistenze R1 ed R2 sono in serie. La corrente che passa da R1 passa poi tutta anche da R2 . La resistenza complessiva risulta essere R12 = R1 + R2 ∆V = R · i R i La resistenza complessiva si ottiene sommando le resistenze tra loro i − Rtot = R1 + R2 b 57.2.2 Resistenze in parallelo Due resistenze si dicono in parallelo quando ai loro estremi c’è la stessa differenza di potenziale. Resistenze in serie e in parallelo R1 a i1 i b R2 i2 Figura 57.3: Le resistenze R1 ed R2 sono in parallelo. Le resistenze R1 ed R2 hanno ai loro estremi la stessa differenza di potenziale ∆V . La resistenza complessiva risulta essere calcolabile con la formula La corrente i che entra nel circuito si divide nelle due correnti i1 e i2 1 R12 = 1 R1 + R1 . 2 La resistenza complessiva si ottiene con la seguente formula Figura 57.1: www.youtube.com/watch?v=6D7Uduf_Vv4 1 1 1 = + Rtot R1 R2 57.2.1 Resistenze in serie 57.2.3 Due resistenze si dicono in serie quando sono attraversate dalla stessa intensità di corrente; tutta la corrente che attraversa la prima resistenza attraversa poi la seconda resistenza Resistenze ne in serie ne in parallelo Attenzione a non credere che se due resistenze non sono in serie allora sono in parallelo o viceversa... non è vero. Nel circuito in figura 57.4 le resistenze R1 ed 115 116 Scheda57. Leggi di Ohm R2 non sono ne in serie ne in parallelo. R2 R1 R3 a b Figura 57.4: Nel circuito in figura le resistenze R1 ed R2 non sono ne in serie ne in parallelo. La resistenza R2 è infatti in parallelo con l’insieme delle resistenze R1 ed R3 che tra loro sono in serie e che chiameremo R13 = R1 + R3 57.3 Seconda legge di Ohm Un filo di materiale conduttore ha una sua resistenza. Essa dipende dal materiale, dalla sezione del filo e dalla sua lunghezza R=ρ l S dove ρ è la conducibilità elettrica del materiale, l la lunghezza del filo ed S la sua sezione. Circuiti elettrici Ohmici Scheda 58 La stessa cosa la possiamo fare nell’altro ramo del circuito Un circuito elettrico ohmico è formato da uno o più generatori, ognuno dei quali introduce tra due punti del circuito una differenza di potenziale ed una serie di resistenze, tutti collegati tra loro da dei conduttori. La corrente elettrica si muoverà all’interno di tutto il circuito nel verso che porta dai valori di potenziale più alti verso i valori di potenziale più bassi. La legge di Ohm parla però solo di differenze di potenziale tra due punti. Per poter conoscere i valori dei potenziali in ogni singolo punto del circuito è necessario fissare un sistema di riferimento, un punto a potenziale VT = 0 V olt che chiameremo terra. 58.1 i2 = Conoscendo adesso la corrente i2 possiamo calcolarci la differenza di potenziale ∆V2 agli estremi della resistenza R2 ∆V2 = R2 · i2 Analogalmente possiamo calcolarci la differenza di potenziale ∆V3 agli estremi della resistenza R3 . Noterete che ∆V = ∆V2 + ∆V3 Per conoscere il valore del potenziale nei punti a, b e T , procediamo come segue. Il potenziale nel punto di terra vale zero per definizione VT = 0 V olt. Seguendo il ramo del generatore, vediamo che la batteria aumenta il potenziale in modo da farci scrivere Va = VT + ∆V Circuiti con un generatore Vediamo adesso come analizzare un circuito elettrico che contenga soltanto un generatore ed una serie di resistenze. Prendiamo ad esempio il circuiro in figura 58.1 e chiediamoci quanto valgono le correnti i, i1 e i2 . Per prima cosa ci calcoliamo la resistenza totale del circuito. La resistenza R1 è in parallelo con l’insieme delle resistenze R2 ed R3 che tra loro sono in serie e che chiameremo Seguendo adesso il secondo ramo possiamo scrivere R23 = R2 + R3 Vb = Va + ∆V2 In questo modo abiamo calcolato tutte le variabili del circuito. Ovviamente questo è solo un esempio... provate a ripetere gli stessi procedimenti su circuiti analoghi La resistenza totale Rtot la troveremo quindi con la formula 1 1 1 = + Rtot R1 R23 Con la resistenza totale trovo la corrente in uscita dalla batteria i= ∆V R23 ∆V Rtot La corrente i si divide in i1 ed i2 e potremo quindi scrivere che 58.2 Circuiti con molti generatori e leggi di Kirchoff 58.2.1 Struttura del circuito Se nello stesso circuito ci sono due o più generatori, per analizzarlo abbiamo bisogno dei due principi di Kirchoff. Prendiamo per esempio il circuito in figura 58.2 ed osserviamone la struttura. Esso è composto da tre rami tra di loro uniti in due nodi denominati a e b. In ogni ramo è segnato il verso della corrente che vi circola. Questa struttura mi permette di suddividere il circuito in elementi chiamati nodi e maglie. I nodi sono i punti a e b, cioè i punti in cui tre o più rami si uniscono. i = i1 + i2 La differenza di potenziale agli estremi della resistenza R1 è la stessa della batteria, quindi possiamo scrivere ∆V i1 = R1 117 118 Scheda58. Circuiti elettrici Ohmici Va b + i ∆V2 R2 R1 R3 − i2 R1 ∆V ∆V3 i1 R2 Vb + i1 R3 i3 ∆V1 i2 ∆V3 − VT Figura 58.1: La resistenza R1 è in parallelo con l’insieme delle resistenze R2 ed R3 che tra loro sono in a Figura 58.2: Per analizzare questo circuito sono necessari i principi di Kirchoff. serie. Le maglie sono percorsi chiusi all’interno del circuito che coinvolgono due o più rami; nel circuito in figura 58.2 possiamo individuare tre maglie: quella fatta dai rami 1 e 2, quella fatta dai rami 2 e 3, quella fatta dai rami 1 e 3. 58.2.2 Equazioni di maglie e nodi Per ogni nodo e per ogni maglia è possibile scrivere la corrispondente equazione. L’equazione dei nodi si ricava affermando che la somma delle correnti in ingresso è uguale alla somma delle correnti in uscita. Consideriamo il circuito di esempio in figura 58.2 Per il nodo a avremo i2 = i1 + i3 e per il nodo b avremo i1 + i3 = i2 Noterete che in questo caso le due equazioni coincidono. L’equazione delle maglie si ricava affermando che la differenza di potenziale tra un punto e lo stesso punto raggiunto dopo aver percorso una maglia, deve essere zero. Per la maglia formata dai rami 1 e 2 possiamo scrivere ∆V1 − R1 i1 − R2 i2 = 0 Per la maglia formata dai rami 2 e 3 possiamo scrivere ∆R2 i2 − R3 i3 − ∆V3 = 0 Per la maglia formata dai rami 1 e 3 possiamo scrivere ∆V1 − R1 i1 − R3 i3 − ∆V3 = 0 Per ottenere queste equazioni si parte da un punto a caso della maglia (per esempio il punto a) e si percorre la maglia scrivendo tutte le variazioni di potenziale incontrate fino a ritornatre nel punto di partenza. Nuovamente non tutte queste equazioni sono tra di loro indipendenti, in quanto la terza si ottiene dalla somma delle prime due. Ad ogni modo l’analisi comple- 119 Scheda58. Circuiti elettrici Ohmici ta del circuito si otterrà considerando tutte le equazioni tra di loro indipendenti, che in questo caso saranno tre: ( 58.3 i2 = i1 + i3 ∆V1 − R1 i1 − R2 i2 = 0 ∆R2 i2 − R3 i3 − ∆V3 = 0 Videolezioni Consiglio anche la visione di questi video Figura 58.3: www.youtube.com/watch?v=g73iv9oA5i0 Figura 58.4: www.youtube.com/watch?v=oixDUHYWmpA Parte XI Laboratorio 120 Errori di misura Scheda 59 La grandezza 23, 5 mm è il valore della misura; la grandezza 0, 5 mm è detta errore assoluto sulla misura. Entrambe hanno la loro unità di misura. Se adesso ripetiamo la stessa misura utilizzando uno strumendo migliore, come per esempio un calibro ventesimale, il valore della misura del diametro della stessa moneta risulta essere Vedi anche il video: 23, 2 mm < d < 23, 3 mm d = 23, 25 mm ± 0, 05 mm Cos’è cambiato? Utilizzando uno strumento molto migliore, è stato possibile eseguire la misura con un livello di incertezza assoluta molto minore. Se con il righello potevo solo guardare i millimetri e non potevo dire nulla al di sotto del millimetro, con il calibro posso fare affermazioni anche al livello del ventesimo di millimetro. La misura precedente non è sbagliata, semplicemente è più incerta: le due misure, infatti, sebbene diano valori differenti, sono in realtà in perfetto accordo. Figura 59.1: www.youtube.com/watch?v=x15bIfYlhys 59.1 Il valore della misura e l’errore assoluto Prendiamo un righello e misuriamo il diametro di una moneta da 1 euro. Come potete vedere in figura 59.2, possiamo solo affermare che il diametro d vale un numero compreso tra 23 mm e 24 mm, visto che il bordo della moneta è posto tra le due stanghette corrispondenti a tali misure. 59.1.1 Cifre significative In tutte le misure precedenti sono state scritte un numero di cifre dopo la virgola in base al valore dell’errore assoluto sulla misura. Se l’errore assoluto riguardava la prima cifra dopo la virgola, allora la misura è stata scritta con una sola cifra dopo la virgola. Se l’errore assoluto riguardasse la terza cifra dopo la virgola, allora la misura deve essere scritta con tre cifre dopo la virgola anche se queste cifre sono degli zeri. Per cui sono corrette le seguenti misure: 23 mm < d < 24 mm Utilizzando un semplice righello noi non possiamo dire nulla di più preciso. Il risultato finale della nostra misura sarà (59.2) L = 8, 34 m ± 0, 02 m L = 8, 345 m ± 0, 002 m Figura 59.2: Misura del diametro di una moneta utilizzando un righello. d = 23, 5 mm ± 0, 5 mm L = 8, 3450 m ± 0, 0002 m In questo modo soltanto l’ultima cifra dopo la virgola è incerta, mentre tutte le altre sono esatte. Scrivendo ogni misura in questo modo possiamo introdurre (59.1) 121 122 Scheda59. Errori di misura il concetto di cifre significative. Il numero di cifre significative in una misura è pari al numero di cifre del numero con esclusione degli zeri che si trovano davanti alla prima cifra non nulla. Le seguenti misure hanno rispettivamente tre, quattro e cinque cifre significative. Ovviamente se cambiassimo unità di misura non cambierebbe il numero di cifre significative della misura. M = 8, 34 kg ± 0, 02 Kg Errori sistematici possono essere anche dovuti al metodo di misura utilizzato. Immaginiamo di misurare la profondità di un pozzo misurando in quanto tempo un sasso, lasciato cadere nel pozzo, raggiunge il fondo dello stesso. Per farlo faremo partire il cronometro quando lasciamo cadere il sasso, e fermiamo il cronometro quando sentiamo il rumore del sasso che tocca il fondo. L’intervallo di tempo che intendevamo misurare è quello che impiega il sasso a cadere; quello che effettivamente abbiamo misurato è però un po’ più lungo, in quanto il suono dell’impatto del sasso impiega un certo tempo ad arrivare al nostro orecchio. M = 8, 340 Kg ± 0, 002 Kg M = 0, 083450 Kg ± 0, 000002 Kg 59.1.2 Errori di misura Se prima abbiamo visto che ad ogni misura va associata un’incertezza a seconda di come è fatto lo strumento di misura, introduciamo adesso altri due fattori che influiscono in modo molto significativo sul risultato della misura. Essi sono detti errore statistico ed errore sistematico. Errore sistematico L’errore sistematico è un errore dovuto alla qualità degli stumenti utilizzati o al metodo di misura seguito. Generalmente questo tipo di errore è sempre per eccesso o per difetto. Immaginate di pesarvi su di una bilancia che inizialmente non ha la lancetta che punta bene sullo zero, ma, senza che voi siate saliti, segna un kilogrammo; risulta evidente che chiunque salga su quella bilancia misura la sua massa ottenendo un valore di un kilogrammo più grande del valore corretto. Analogalmente se utilizzate un righello senza preoccuparvi di far coincidere lo zero con l’inizio del segmento da misurare, otterrete nuovamente un valore non corretto. Se misurate un intervallo di tempo con un cronometro che ritarda, otterrete un valore inferiore rispetto al valore corretto. Per loro natura tali errori sono in linea di principio riconoscibili ed è possibile correggerli; in tal caso non creano problemi alla misura. Spesso però non è facile individuare la presenza di un errore sistematico, richiando quindi di non cancellarlo ed ottenere misure non corrette. Errore accidentale In un processo di misura, anche ammettendo di aver corretto tutti gli errori sistematici, esistono tutta una serie di fattori che non sono sotto il nostro diretto controllo. Se immaginiamo di misurare la durata del rosso ad un semaforo con un cronometro, scopriremo che, ripetendo la misura molte volte, non otteniamo sempre lo stesso valore, ma otteniamo invece misure che oscillano tra un minimo ed un massimo che distano tra loro qualche decimo di secondo. Perchè? Scegliendo un cronometro con una sensibilità di un centesimo di secondo, ed ammettendo che il circuito elettronico che regola la temporizzazione del semaforo abbia anch’esso incertezze dell’ordine del centesimo di secondo, la fonte di un tale errore deve essere cercata nel metodo di misura. Quando facciamo partire il cronometro e quando lo fermiamo noi introduciamo un errore dovuto alla prontezza dei nostri riflessi; nell’azionare il cronometro, a volte lo facciamo troppo presto, a volte troppo tardi, quindi ogni volta otteniamo valori differenti, sbagliati per eccesso o per difetto, anche misurando sempre la stessa cosa. Per questo motivo il tipo di errore che facciamo lo chiamiamo errore accidentale. Per sua natura l’errore statistico è meno problematico dell’errore sistematico, sebbene esso non possa essere cancellato o corretto, è però più facilmente riconoscibile e può essere facilmente ridotto, anche se non può mai essere cancellato. 59.1.3 Misure ripetute Stabilito che ripetendo tante volte la stessa misura ci si aspetta di ottenere sempre risultati leggermente differenti, in accordo con quanto indicato dall’errore asso- 123 Scheda59. Errori di misura luto, cosa possiamo affermare riguardo al risultato della misura dopo un certo numero di prove effettuate? Per rispodendere a questa domanda cominciamo col considerare che è ragionevole pensare che gli errori accidentali capitino con eguale probabilità sia per difetto che per eccesso. Ci si aspetta quindi che due o più errori accidentali, sommati tra loro, tenderanno statisticamente a cancellarsi. La questione si risolve quindi affermando che il valore della misura corrisponde al valor medio delle misure effettuate. Per cui, su un numero n di misure xi avremo x1 + x2 + x3 + ... + xn n In questo modo gli errori accidentali tenderanno a cancellarsi tra loro permettendomi di trovare il valore cercato. Dobbiamo adesso stimare quale sia l’errore assoluto da assegnare alla misura così ricavata. Una prima stima la si può ottenere valutando la differenza tra la maggiore e la minore delle misure effettuate per cui la precisione di misure fatte su grandezze fisiche non omogenee. Per esempio se scriviamole seguenti due misure M = 1, 3 Kg ± 0, 1 Kg d = 23, 5 mm ± 0, 5 mm calcolandone gli errori relativi avremo ErM = Xm = Ea = 59.1.4 xmax − xmin 2 Precisione ed errore relativo Definiamo la precisione della misura utilizzando l’errore relativo della misura, definito come il rapporto tra l’errore assoluto ed il valore della misura. Ea M isura che nel caso delle misure 59.1 e 59.2 diventa Er = Er1 = Er2 = 0, 5 mm ' 0, 0213 = 2, 13% 23, 5 mm 0, 05 mm ' 0, 00215 = 0, 215% 23, 25 mm da cui risulta evidente che la seconda misura è molto più precisa. Notate che l’errore relativo non ha una unità di misura, quindi è possibile confrontare Erd = 0, 1 Kg ' 0, 077 = 7, 7% 1, 3 Kg 0, 5 mm ' 0, 0213 = 2, 13% 23, 5 mm da cui si vede facilmente che la misura più precisa è quella del diametro della moneta. Non importa se le due misure siano una di massa e l’altra di lunghezza: i due errori relativi sono omogenei e possono essere confrontati. 59.1.5 Valutazione dell’errore su misure indirette Immaginiamo di avere un oggetto di forma rettangolare e di misurare con un righello la base e l’altezza di quel rettangolo. Immaginiamo che le due misure siano le seguenti: h = 150 cm ± 3 cm; Er = 2% b = 200 cm ± 6 cm; Er = 3% Il semiperimetro del rettangolo si calcola sommando le due misure e sommando gli errori assoluti sulle misure. p = 350 cm ± 9 cm L’errore assoluto sulla somma o sulla differenza di misure è pari alla somma degli errori assoluti sulla misura. Il perimetro del rettangolo si calcola moltiplicando per 2 il valore del semiperimetro 2p = 700 cm ± 18 cm 124 Scheda59. Errori di misura L’errore assoluto sul prodotto di un numero per una misura è pari al prodotto di tale numero per l’errore assoluto sulla misura. L’area del rettangolo si calcola moltiplicando le due misure e sommando gli errori relativi sulle misure. Ovviamente è necessario calcolare prima l’errore relativo e poi quello assoluto. A = 30000 cm2 ± 1500 cm2 ; Er = 5% L’errore relativo sul prodotto o sulla differenza di misure è pari alla somma degli errori relativi sulle misure. Errori di misura e distribuzione Gaussiana Cosa succede se facciamo tante misure ripetute della stessa grandezza fisica? Sicuramente non otterremo mai lo stesso valore; possiamo comunque chiederci se i valori che otteniamo saranno molto vicini al valore corretto della misura, oppure possiamo chiederci quanto sia probabile ottenere un valore distante dal valore corretto pur avendo eseguito bene l’esperimento. Per rispondere a queste domande dobbiamo innanzi tutto mettere su di un grafico i risultati di uno stesso esperimento eseguito un numero molto alto di volte. In questa scheda mostriamo i risultati di un esperimento nel quale abbiamo misurato il valore del periodo di oscillazione di un pendolo un numero molto alto di volte. 60.1 Scheda 60 T 3,0 3,1 3,2 3,3 3,4 3,5 3,6 3,7 3,8 3,9 4,0 4,1 4,2 4,3 4,4 La distribuzione Gaussiana Immaginiamo di eseguire un numero molto alto di volte la misura del tempo di oscillazione di un pendolo. Come sappiamo non otteremo sempre lo stesso valore; nella tabella 60.1 sono riportati i valori ottenuti misurando il periodo di oscillazione dello stesso pendolo per 4213 volte. Come potete osservare la maggior parte delle volte il valore ottenuto si avvicina molto alla media, e solo poche volte si ottengono valori molto diversi dal valore media. Possiamo dire che tanto più un valore è distante dal valore atteso, tanto meno è probabile che tale valore venga ottenuto in una misura. Se mostriamo i dati su di un grafico, dove sulle ascisse mettiamo il valore misurato e sulle ordinate il numero di volte che tale valore è stato ottenuto, vediamo che il disegno che otteniamo ha una forma a campana che ha una funzione matematica ben precisa ed è chiamata gaussiana. La curva gaussiana è definita da due parametri: il valore medio e la varianza. Il valore medio altro non è se non la media di tutti i dati sperimentali ottenuti; la varianza è un parametro legato a quanto la curva si allarga e quindi a quanto i dati risultano lontani dal valore medio. Per la gaussiana di questo esperimento avremo che n◦ 0 0 0 0 0 0 2 18 35 87 144 244 357 468 498 T 4,5 4,6 4,7 4,8 4,9 5,0 5,1 5,2 5,3 5,4 5,5 5,6 5,7 5,8 5,9 n◦ 556 534 420 350 219 151 65 39 8 3 0 0 0 0 0 Tabella 60.1: Dati sperimentali raccolti in classi dell’ampiezza di 0, 1 s. Per ogni valore riportato dal cronometro, nella seconda colonna della tabella viene riportato il numero di volte che tale valore è stato visto comparire sul cronometro. In totale sono state fatte 4213 misure. La media delle misure viene Tmed = 4, 5 s; la varianza delle misure vale σT = 0, 3 s 60.2 Il risultato della misura Chiediamoci: se noi eseguissimo un’altra misura, quale valore ci attendiamo che venga? Sicuramente potrebbe venire un qualunque valore, ma sarà più probabile che venga un valore vicino al valore medio, e sarà meno probabile che venga un valore distante dal valore medio. Tmed = 4, 5 s Data la curva gaussiana che è stata ottenuta a seguito dei dati dell’esperimento, avremo che il valore della misura ed il corrispondente errore assoluto dovranno σT = 0, 3 s 125 126 Scheda60. Errori di misura e distribuzione Gaussiana essere scritti nel seguente modo: T = 4, 5 s ± 0, 3 s che considerando le caratteristiche della curva gaussiana significa: ho il 68, 3% di probabilità che la prossima misura venga compresa tra un minimo di 4, 2 s ed un massimo di 4, 8 s Se non sono soddisfatto della mia affermazione e voglio dire qualcosa di più sicuro anche se meno preciso allora posso raddoppiare l’errore assoluto e dire 600 n 500 T = 4, 5 s ± 0, 6 s che considerando le caratteristiche della curva gaussiana significa: ho il 95, 5% di probabilità che la prossima misura venga compresa tra un minimo di 3, 9 s ed un massimo di 5, 1 s Se non sono soddisfatto della mia affermazione e voglio dire qualcosa di ancora più sicuro anche se molto meno preciso allora posso triplicare l’errore assoluto e dire T = 4, 5 s ± 0, 9 s che considerando le caratteristiche della curva gaussiana significa: ho il 99, 7% di probabilità che la prossima misura venga compresa tra un minimo di 3, 6 s ed un massimo di 5, 4 s Anche in quest’ultimo caso ci sarà comunque la possibilità per quanto piccola, che la prossima misura venga al di fuori dell’intervallo atteso. 400 300 200 100 T 3.5 4 4.5 5 5.5 6 Figura 60.1: Rappresentazione dei dati sperimentali: essi si distribuiscono con la forma di una gaussiana. Esperimenti di calorimetria 61.1 61.1.1 Scheda 61 Misura del coefficiente di dilatazione termica lineare Er−∆l = 1 ◦C = 0, 042 = 4, 2% 24 ◦ C 5 ◦C = 0, 067 = 6, 7% Er−Tf = 75 ◦ C Calcoliamo adesso la variazione di temperatura della sbarra Er−Ti = Apparato sperimentale Per questa misura disponiamo di: • Una sbarra cava di alluminio ∆T = Tf − Ti = 51◦ C • Un bollitore per produrre vapore acqueo Ea−∆T = 1◦ C + 5◦ C = 6◦ C 6◦ C = 0, 118 = 11, 8% 51◦ C Possiamo adesso calcolare il coefficiente di dilatazione lineare • Un termometro Er−∆T = • Un comparatore (precisione 0, 01 mm; portata 10 mm λ= • Un tubo in gomma 1 K I conti relativi alle righe successive della tabella sono del tutto analoghi. Ea−λ = λ · Er−λ = 3, 6 · 10−6 61.1.3 Conclusioni Abbiamo misurato il coefficiente di dilatazione lineare dell’alluminio ottenendo un valore compatibile con quello riportato nelle tabelle ufficiali. Dati sperimentali e loro elaborazione In tabella 61.1 sono mostrati scritti in nero i dati sperimentali presi in laboratorio. Scritti in blu sono i valori delle varie grandezze fisiche calcolati a partire dai dati sperimentali. Consideriamo la prima riga della tabella dei dati. Cominciamo con il calcolare gli errori relativi di tutte le misure. Er−li = ∆l 1 = 26, 3 · 10−6 li ∆T K Er−λ = 0, 2% + 1, 5% + 11, 8% = 13, 5% Con il bollitore produciamo vapore acqueo e, utilizzando il tubo in gomma, lo facciamo passare all’interno della sbarra cava. Il vapore scalderà la sbarra che, come conseguenza, si allungherà. Con il termometro misuriamo prima la temperatura iniziale della sbarra (coincidente con la temperatura dell’ambiente), e successivamente la temperatura dell’acqua calda in uscita dalla sbarra; con il comparatore misuriamo l’allungamento della sbarra. Assumiamo che la temperatura della sbarra riscaldata sia uguale alla temperatura dell’acqua che esce dalla sbarra. 61.1.2 0, 01 mm = 0, 015 = 1, 5% 0, 67 mm 1 mm = 0, 002 = 0, 2% 500 mm 127 128 Scheda61. Esperimenti di calorimetria n◦ 1 li [mm] 500 ± 1 Er−li [mm] 0, 2% Ti [ C] 24 ± 1 ◦ Er−Ti [◦ C] 4, 2% Tf [ C] 75 ± 5 ◦ Er−Tf [◦ C] 6, 7% ∆l [mm] 0, 67 ± 0, 01 Er−δl [mm] 1, 5% ∆T [◦ C] 51 ± 6 Er−δT [◦ C] 11, 8% λ 1 [K ] −6 26, 3 · 10 ± 3, 6 · 10−6 Er−lambda 1 [K ] 13, 5% Tabella 61.1: Dati sperimentali: li è la lunghezza iniziale della sbarra; Ti è la temperatura iniziale della sbarra; Tf è la temperatura finale della sbarra; ∆l è l’allungamento della sbarra. Con questi dati abbiamo calcolato la variazione di temperatura della sbarra ∆T ed il coefficiente di dilatazione lineare λ. Esperimenti di meccanica Scheda 62 62.1 Verifica del secondo principio della dinamica Questo dato andrà confrontato con il valore misurato utilizzando la rotaia senza attrito. 62.1.1 Apparato sperimentale La rotaia misura i due istanti di tempo ta e tb nei quali il carrello attraversa la loro posizione. Per cui, per passare dalla posizione del primo sensore alla posizione del secondo sensore il carrello impiega un periodo di tempo Per questa misura disponiamo di: • Una rotaia senza attrito ∆t = tb − ta • Un carrello che scorra sulla rotaia tirato da un pesino in caduta. Chiameremo M la massa del carrello e m la massa del pesino Possiamo inoltre misurare la velocità del carrello negli istanti nei quali raggiunge la posizione dei sensori l Va = ∆ta • Due sensori a fotocellula ed un multitimer (misuratore di tempi ed intervalli di tempo sulla base dei segnali dei sensori Il pesino, cadendo, tira il carrello. Il carrello con una linguetta di metallo lunga l = 4 cm = 0, 04 m aziona il sensore; il multitimer registra l’istante nel quale il sensore viene azionato e l’intervallo di tempo che impiega la linguetta del carrello ad azionare il sensore. Il carrello ha quindi fatto uno spostamento lungo l nel tempo ∆t misurato dallo strumento. 62.1.2 Vb = l ∆tb Con questi dati siamo in grado di misurare l’accelerazione effettivamente avuta dal carrello ∆V amisurata = ∆t I due valori di accelerazione ottenuti dovranno essere in accordo, altrimenti la legge è falsa. Scopo e svolgimento Lo scopo dell’esperienza è verificare la correttezza del secondo principio della dinamica: Ftot = mtot · a 62.1.3 Dati sperimentali e loro elaborazione In tabella 62.1 sono mostrati scritti in nero i dati sperimentali presi in laboratorio. Scritti in tabella 62.2 sono i valori delle varie grandezze fisiche calcolati a partire dai dati sperimentali. Consideriamo la prima riga della tabella dei dati. La massa totale del sistema vale Per fare questo prima di tutto calcoliamo l’accelerazione che dovrebbe avere il carrello considerando la precedente legge. Dal momento che usiamo una rotaia sulla quale il carrello può viaggiare con un attrito trascurabile, non terremo conto delle forze di attrito. L’unica forza che agisce lungo la linea del moto del carrello è la forza di gravità sul pesino Fg = mg. il sistema in movimento è però costituito dal pesino e dal carrello, entrambi che si muovono con la stessa accelerazione, per cui Fg = (M + m) · a m ·g aattesa = M +m Mtot = M + m = 392 g ± 1 g; Er = 0, 3% Adesso possiamo calcolarci l’accelerazione attesa del sistema aattesa = 129 m m m g = 0, 625 2 ± 0, 002 2 ; Er = 0, 3% M +m s s 130 Scheda62. Esperimenti di meccanica Adesso ci possiamo calcolare l’accelerazione effettivamente misurata dallo strumento. Cominciamo con l’intervallo di tempo impiegato dal carrello per andare da un sensore all’altro ∆t = tb − ta = 0, 606 s ± 0, 002; Er = 0, 3% Le velocità a cui andava il carrello nei punti in cui sono stati posizionati i sensori sono l = 0, 526 s ± 0, 007 s; Er = 1, 3% Va = ∆ta Vb = l = 0, 909 s ± 0, 021 s; Er = 2, 3% ∆tb Quindi la variazione di velocità è stata ∆V = Vb − Va = 0, 383 m m ± 0, 028 ; Er = 7, 2% s s Siamo adesso in grado di calcolare l’accelerazione misurata dallo strumento. amisurata = ∆V ∆t m m ± 0, 048 2 ; Er = 7, 5% 2 s s I conti relativi alle righe successive della tabella sono del tutto analoghi. amisurata = 0, 632 62.1.4 Conclusioni Come si può vedere dalla tabella 62.2 l’accelerazione attesa del sistema è in perfetto accordo con l’accelerazione misurata dallo strumento, quindi non abbiamo elementi per affermare che il secondo principio della dinamica sia falso. 131 Scheda62. Esperimenti di meccanica n◦ m [g] 25 25 1 3 M [g] 367 ± 1 367 ± 1 g [ sm2 ] 9, 807 ± 0, 001 9, 807 ± 0, 001 l [m] 0, 04 0, 04 ta [m] 0, 838 ± 0, 001 0, 847 ± 0, 001 tb [s] 1, 444 ± 0, 001 1, 454 ± 0, 001 ∆ta [s] 0, 076 ± 0, 001 0, 076 ± 0, 001 ∆tb [s] 0, 044 ± 0, 001 0, 044 ± 0, 001 Tabella 62.1: Dati sperimentali: m è la massa del pesino; M è la massa del carrello; g è l’accelerazione di gravità; l è la lunghezza della linguetta di metallo che oscura la fotocellula del sensore;ta e tb sono i due istanti nei quali il carrello passa dai due sensori; ∆ta e ∆tb sono gli intervalli di tempo impiegati dai carrelli per percorrere una distanza l quando arrivano ai due sensori. Dove l’errore non è segnato è perchè il valore ha un’incertezza sperimentale del tutto trascurabile, in quanto misure di grandezze di oggetti creati in laboratori specializzati con strumentazioni di precisione ordini di grandezza superiori alle nostre. n◦ 1 2 m aattesa = m+M g m [ s2 ] 0.625 ± 0.002 0.625 ± 0.002 ∆t [s] 0, 606 ± 0, 002 0, 607 ± 0, 002 Va [m s ] 0, 526 ± 0, 007 0, 526 ± 0, 007 Vb [m s ] 0, 909 ± 0, 021 0, 909 ± 0, 021 ∆V [m s ] 0, 383 ± 0, 028 0, 383 ± 0, 028 amisurata [ sm2 ] 0, 632 ± 0.048 0, 631 ± 0.048 Tabella 62.2: Prima elaborazione: misura dell’accelerazione del sistema delle due masse ottenuta dallo strumento. ∆t è l’intervallo di tempo impiegato dal carrello a spostarsi dal primo sensore al secondo; Va e Vb sono le due velocità del carrello in prossimità dei due sensori; δV è la variazione di velocità avuta dal carrello da un sensore all’altro; a è l’accelerazione del sistema. 132 Scheda62. Esperimenti di meccanica 62.2 Determinazione della legge per calcolare il periodo del pendolo 62.2.1 Scopo il moto del pendolo è un moto periodico. Vogliamo in questa esperienza determinare la legge per calcolare il periodo di un pendolo di lunghezza nota. 62.2.2 Apparato sperimentale Per questa esperienza disponiamo di: 1. un metro per misurare delle lunghezze (portata: 3 metri; sensibilità: 1 mm) Rimangono quindi la lunghezza del pendolo e l’accelerazione di gravità. l’unico modo di costruire una formula in modo tale che le unità di misura siano consistenti è quello di scrivere che il periodo del pendolo è proporzionale alla radice quadrata del rapporto tra la lunghezza del pendolo e l’acc elerazione di gravità. s T =a· l g Non ci rimane adesso che fare un esperimento per misurare il valore di a. Facendo la formula inversa per ricavare a avremo r g a=T · l Basterà eseguire molte misure contemporanee di T e l ed avremo di conseguenza molte misure del valore di a desiderato. Nella tabella 62.3 sono mostrati i dati sperimentali ed una loro prima elaborazione. 2. un cronometro per misurare il periodo del pendolo (sensibilità: 0, 01 s) n◦ 3. del filo per costruire pendoli di differenti lunghezze 4. un pesino da appendere al filo per realizzare un pendolo. 62.2.3 Svolgimento Per prima cosa cerchiamo di determinare quali sono le grandezze fisiche determinanti per calcolare il periodo di un pendolo. In linea di principio potremmo considerare la massa del pesino, la lunghezza del pendolo, l’accelerazione di gravità, l’angolo di partenza. Con due semplici esperimenti possiamo escudere la massa del pesino e l’angolo di partenza. Per escludere l’importanza della massa è infatti sufficiente prendere un determinato pendolo di lunghezza fissa e misurare i periodi di oscillazione di masse differenti attaccate allo stesso filo. Come si può notare il periodo del pendolo non cambia qualunque sia la massa applicata al filo. Allo stesso modo possiamo procedere per escludere l’angolo di partenza, perlomeno per piccoli valori dell’angolo. 1 2 3 4 l [m] 0.897 ± 0.001 1.080 ± 0.001 1.766 ± 0.001 2.190 ± 0.001 T [s] 2, 04 ± 0, 20 2, 00 ± 0, 20 2, 61 ± 0, 20 2, 92 ± 0, 20 g [ sm2 ] 9, 807 ± 0, 001 9, 807 ± 0, 001 9, 807 ± 0, 001 9, 807 ± 0, 001 a=T · pg l 6, 35 6, 03 6, 14 6, 17 Tabella 62.3: Misura del periodo e della lunghezza di un pendolo al fine di determinare la formula per calcolare il periodo del pendolo in funzione della sua lunghezza. Il risultato per il valore di a risulta quindi essere a = 6.17 ± 0.16 Calcoli teorici che esulano dal programma di studio delle scuole superiori, che il valore corretto per piccole oscillazioni di un pendolo è ateorico = 2 π = 6, 28 perfettamente in linea con i risultati del nostro esperimento. Relazione di laboratorio Scheda 63 In questa scheda vi spiego come realizzare una relazione di laboratorio. Qualunque relazione facciate, è opportuno seguire questo schema, che potrete adattare alla specifica esperienza fatta, ma che non potrete stravolgere nelle sue linee essenziali. La relazione è realizzata da una certa sequenza di punti fissi che dovranno essere sviluppati nel giusto ordine. Tali punti sono costituiti dalle sezioni indicate di seguito e spiegate una ad una. 63.1 63.5 I dati sperimentali raccolti dovranno sempre essere elencati all’interno di una tabella. Ogni colonna della tabella deve indicare una grandezza fisica che avete misurato. ogni volta che ripetete una stessa misura dovete indicarlòa in una nuova riga della tabella. 63.6 Scopo dell’esperienza 63.7 La fisica dell’esperienza Materiale utilizzato In questa sezione bisogna elencare la totalità del materiale utilizzato, facendo particolare attenzione ad evidenziare quali strumenti di misura sono stati usati, indicando, per ognuno di esso, portata e sensibilità dello strumento. 63.4 Conclusioni Eseguita l’analisi dei dati sperimentali, siete pronti per indicare le conclusioni, che dovranno ovviamente essere perfettamente attinenti a quanto avete scritto nello scopo dell’esperienza. In questa sezione bisogna enunciare, in modo sintetico, quali concetti teorici verranno utilizzati per lo svolgimento dell’esperienza. Se ci sono dei conti teorici da svolgere, questo è il punto giusto per indicarli. 63.3 Analisi dei adti sperimentali Con i dati sperimentali si fanno dei conti per verificare lo scopo dell’esperienza. I conti vanno chiaramente indicati e, per i conti ripetuti più volte, i risultati vanno indicati in una tabella. Per prima cosa bisogna identificare lo scopo che ci siamo prefissati di raggiungere. Questo è molto importante, in quanto ogni singola azione fatta dovrà essere finalizzata al raggiungimento dello scopo dell’esperienza 63.2 Dati sperimentali Procedimento In questa sezione dovete descrivere con precisione la sequenza delle azioni svolte, permettendo così a chiunque di poterla ripetere. 133 Parte XII Esercizi svolti 134 Esercizi di Base 64.1 Scheda 64 5. [I0006] Tre libri sono posizionati uno sull’altro. I libri hanno rispettivamente massa m1 = 1 hg, m2 = 2 hg, m3 = 3 hg ed hanno tutti lo stesso spessore d = 3 cm. A che altezza si trova il baricentro del sistema? Operazioni con gli scalari 1. [I0001] Esegui le somme indicate qui di seguito, scegliendo a tuo piacimento l’unità di misura del risultato tra le due già presenti. • 4 hm + 300 m =; • 8 dl + 2 cl =; • 3 hm + 5 cm =; • 7 kg + 400 g =; • 3 m + 18 mm =; • 3 kg + 3 hg =; • 9 km2 + 10 hm2 =; • 3 g + 55 mg =; • 9 m2 + 200 cm2 =; • 3 h + 5 min =; • 9 m2 + 5 dm2 =; • 3 min + 2 sec =; 3 3 • 12 Km + 780 hm =; • 3 h + 5 sec =; • 8 m3 + 15 cm3 =; m • 36 km h + 30 s = • 2 m3 + 40 dm3 =; kg g • 25 m 3 + 12 cm3 = • 45 l + 50 dl =; g·cm • 2 kg·m s2 + 5 s2 = • 45 l + 50 cl =; + 5 g·km = • 8 kg·m s h 64.2 Eseguire una misura 1. [I0010] Misurate con un righello lo spessore di una moneta da 1 euro 64.3 Operazioni con i vettori 1. [I0002] Dati due vettori ~a e ~b rispettivamente di moduli a = 12 e b = 16, disegnateli in modo tale che la loro somma sia un vettore ~c il cui modulo valga c = 28. Ripetete l’esercizio in modo tale che c = 4; c = 10; c = 20; c = 24. 2. [I0007] Esegui le operazioni indicate con i vettori ~a e ~b: 2. [I0003] In un bicchiere vengono versati un volume VH2 O = 50 cm3 di acqua kg ed un volume Va = 50 cm3 di alchool. L’acqua ha una densità ρH2 O = 1 dm 3 g e l’achool ha una densitàρa = 0, 8 cm 3 . Quanto volume di liquido si trova nel bicchiere? Quanta massa di liquido si trova nel bicchiere? ~b ~b ~b 3. [I0004] Un oggetto di cui non conosciamo il materiale, occupa un volume V = 8, 75 dm3 ed ha la stessa massa di un blocco di ferro che occupa un volume VF e = 3 dm3 . Calcola la massa e la densità del materiale. La densità kg del ferro è ρF e = 7, 874 dm 3. ~a 4. [I0005] Un cilindro graduato contiene un volume Vi = 250 cm3 di acqua. kg Dopo averci immerso un oggetto di densità ρogg = 8, 92 dm 3 , il cilindro segna 3 un volume Vf = 375 cm . Di che materiale è fatto l’oggetto? Quali sono il volume e la sua massa dell’oggetto? ~c = ~a + ~b ~a ~c = 2~a − ~b ~a ~c = 3~a − 2~b 3. [I0008] Disegna il vettore che annulla i due vettori disegnati qui di seguito 135 136 Scheda64. Esercizi di Base ~b ~b ~b ~a ~a ~a 4. [I0009] Scomponi i seguenti vettori lungo le direzioni indicate 5. [I0011] Disegna il vettore F~3 che annulla la somma dei vettori F~1 e F~2 di valore rispettivamente F1 = 1, 5 kN e F2 = 800 N posti perpendicolari tra loro. Esercizi di Cinematica 65.1 Scheda 65 iii. Un oggetto viene fatto cadere dentro un pozzo partendo da fermo. Se arriva al fondo del pozzo dopo un tempo ∆t = 4 s, quanto è profondo il pozzo? [h = 78, 4 m] Grandezze cinematiche 1. [C0013] Se mi muovo in avanti di ∆S1 = 600 m, e poi a destra di ∆S2 = 800 m, quanti metri ho percorso? Di quanti metri mi sono spostato rispetto al punto di partenza? Disegna i due spostamenti e lo spostamento totale. 65.2 (c) Moto circolare uniforme i. Un oggetto ruota con una frequenza ν = 4 Hz lungo un percorso circolare di raggio r = 2 m. Quale accelerazione centripeta subisce? [ac = 1263, 3 sm2 ] Esercizi banali 1. [C0015ban] Esercizi banali di Cinematica: ii. Un oggetto si muove di moto circolare uniforme con velocità V = 50 m s lungo un percorso circolare di raggio r = 2 m. Con quale velocità angolare ω si sta muovendo? Quanto tempo impiega a fare un giro? [ω = 25 rad s ; ∆t = 0, 25 s] (a) Moto rettilineo uniforme i. Quanto spazio percorre in un tempo ∆t = 70 s un oggetto che si muove con velocità costante V = 80 m s ? [∆S = 5600 m] iii. Un pilota di Formula1 subisce in curva accelerazioni laterali di circa 4g. Se sta facendo curve ad una velocità V = 150 Km h , quanto vale il raggio della curva? [r = 177 m] ii. Quanto spazio percorre in un tempo ∆t = 70 s un oggetto che si muove con velocità costante V = 80 Km h ? [∆S = 1555, 6 m] iii. Quanto tempo impiega un pallone da calcio ad arrivare in porta se calciato ad una velocità V = 25 m s da una distanza ∆S = 30 m? Ipotizziamo che il pallone viaggi sempre alla stessa velocità lungo il suo tragitto. [∆t = 1, 2 s] 65.3 (b) Moto uniformemente accelerato Sistemi di riferimento 1. [C0019] Un ascensore con dentro una persona comincia la sua corsa in salita partendo con accelerazione a = 2 sm2 . Quanto vale l’accelerazione complessiva subita dalla persona? [atot = 11, 8 sm2 ] i. Quanto spazio percorre in un tempo di ∆t = 5 s un oggetto che si muove con un’accelerazione costante a = 2 sm2 e che parte con una velocità iniziale Vi = 5 m s nella stassa direzione e nello stesso verso dell’accelerazione? [∆S = 50 m] 2. [C0020] Se in macchina eseguo una frenata improvvisa con accelerazione a = 6 sm2 , quanto vale e verso dove e diretta l’accelerazione totale che subisco? [at = 11, 5 sm2 ; in diagonale verso il basso.] ii. Un oggetto viene fatto cadere dal tetto di una casa partendo da fermo. Se arriva a terra dopo un tempo ∆t = 3 s, quanto è alta la casa? [h = 44, 1 m] 137 138 65.4 Scheda65. Esercizi di Cinematica Moto rettilineo uniforme 1. [C0001] Un’automobile viaggia alla velocità costante V1 = 120 km h per un tempo ∆t1 = 2 h; successivamente si ferma per un tempo ∆t = 1 h, ed infine riparte viaggiando alla velocità costante V2 = 90 km h per un tempo ∆t2 = 4 h. A quale velocità media ha viaggiato l’automobile? 2. [C0002] Un’automobile viaggia alla velocità costante V1 = 120 km h e deve km superare un camion che viaggia alla velocità costante V2 = 90 h . Sapendo che il camion è lungo l2 = 11 m e che la macchina è lunga l1 = 4 m, quanto tempo dura il sorpasso? 3. [C0005] Un atleta sta correndo una gara sulla distanza L = 10000 m viaggiando a velocità costante V = 5 m s Se ha già corso per un tempo ∆t = 8 min quanto gli manca al traguardo? 4. [C0006] In una partita di calcio un attaccante si dirige verso il portiere avversario; il pallone si trova tra i due giocatori e si muove verso il portiere. L’atm taccante si muove a velocità costante V1 = 6 m s ; il pallone a velocità Vp = 2 s ; m il portiere si muove verso il pallone alla velocità V2 = 5 s . La distanza tra l’attaccante ed il pallone è ∆S1 = 4 m; la distanza tra il pallone ed il portiere è ∆S2 = 8 m. Chi arriva prima a prendere il pallone? 5. [C0007] Una persona percorre un tragitto lungo ∆Sa = 100 m in un tempo ∆ta = 20 s; successivamente si ferma per un intervallo di tempo ∆tb = 10 s e successivamente un tragitto ∆Sc = 50 m in un tempo ∆tc = 25 s. A quale velocità media ha viaggiato nel primo tratto ∆Sa ? A quale velocità media ha viaggiato nel secondo tratto ∆Sc ? A quale velocità media ha viaggiato complessivamente? 6. [C0012] Due automobili stanno percorrendo a velocità costante due strade che si incrociano. La prima automobile dista dall’incrocio ∆S1 = 600 m e sta viaggiando ad una velocità V1 = 30 m s . La seconda automobile dista dall’incrocio ∆S2 = 800 m. A quale velocità deve viaggiare la seconda macchina affinchè si scontri con la prima? 7. [C0018] Un’auto da corsa alla fine di una gara dista dal traguardo ∆S1t = 600 m e viaggia ad una velocità costante V1 = 80 m s ; una seconda auto dista dal traguardo ∆S2t = 500 m e viaggia ad una velocità costante V2 = 50 m s . Chi vince la gara? Dopo quanto tempo la macchina più veloce sorpassa quella più lenta? Quando l’auto che vince taglia il traguardo, a che distanza dal traguardo si trova l’auto che perde? [∆t1 = 7, 5 s;∆t2 = 10 s;Vince la prima auto; ∆tsorp = 3, 33 s; d = 125 m] 65.5 Moto uniformemente accelerato 1. [C0004] Una automobile, partendo da ferma, percorre un tratto di strada ∆S1 muovendosi per un tempo ∆t1 = 10 s con un’accelerazione a = 1, 2 sm2 . Successivamente percorre un tratto di strada ∆S2 con velocità costante per un tempo ∆t2 = 30 s. Quanto è lungo il tratto di strada complessivamente percorso dalla macchina? A quale velocità media ha viaggiato la macchina? 2. [C0009] Un oggetto si trova ad una certa altezza e viene sparato verso l’alto con una velocità iniziale Vi = 4 m s . Sapendo che arriverà a terra dopo un tyempo ∆t = 2 sec, quanto si trovava in alto? 3. [C0011] Un’automobile viaggia alla velocità iniziale Vi = 108 km h e successivamente comincia a frenare, rallentando fino alla velocità Vf = 72 km h . Sapendo che la frenata è durata ∆t = 4 sec, quale accelerazione ha subito l’automobile? In quale verso è tale accelerazione? Quanta strada ha fatto la macchina durante tale frenata? 4. [C0016] Due oggetti vengono lanciati uno verso il basso e l’altro verso l’alto, entrambi con una velocità iniziale Vi = 5 m s . Se entrambi arrivano a terra dopo un tempo ∆t = 4 s, quanto si trovavano in alto? [ha = 98, 4 m; hb = 58, 4 m] 5. [C0017] Un pallone viene lanciato verso l’alto con una velocità iniziale Vi = 10 m s . Dopo quanto tempo non si è spostato? [∆t = 2, 04 s] 139 65.6 Scheda65. Esercizi di Cinematica Moto parabolico 1. [C0003] Un fucile spara orizzontalmente un proiettile con velocità iniziale Vix = 800 m s contro un bersaglio posto alla distanza ∆Sx = 400 m. A quanti centimetri sotto la linea di tiro viene colpito il bersaglio? 2. [C0008] Un fucile spara orizzontalmente un proiettile alla velocità iniziale Vix = 800 m s contro un bersaglio alla distanza ∆Sx = 160 m. Di quanti centimetri sotto la linea di tiro la pallottola colpirà il bersaglio? (Si trascuri l’effetto dell’attrito con l’aria) 3. [C0010] Un tennista durante il servizio colpisce orizzontalmente la pallina all’altezza hi = 2 m imprimendole una velocità iniziale Vix = 50 m s . Sapendo che la rete nel punto più alto è alta hr = 1, 07 m e che tale rete si trova alla distanza ∆Sx = 11, 89 m dalla riga di fondo, calcola a quanti centimetri da terra la pallina passa sopra la rete. 4. [C0014] Un cannone spara orizzontalmente un proiettile da una postazione ~ix = 50 m . Dopo un tempo rialzata, con una velocità iniziale orizzontale V s ∆t = 4 s colpisce il suo bersaglio. Quanto distante si trova il bersaglio in linea orizzontale? Quanto più in basso rispetto all’altezza del cannone? [∆Sx = 200 m; ∆Sy = 78, 4 m] Esercizi di Dinamica 66.1 Scheda 66 iv. Una macchina di massa m = 800 Kg sta facendo una curva di raggio r = 20 m ad una velocità V = 50 m s . Quale forza centrifuga spinge l’auto verso l’esterno della curva? [Fc = 10000 N ] Teoria ed esercizi banali 1. [D0024] Domande di teoria di dinamica (a) Principi della dinamica v. Una moto da corsa di massa m = 100 Kg viaggia alla velocità V = 70 Km h lungo una curva di raggio r = 50 m. Quanto vale la forza centripeta che subisce la moto? [Fc = 756, 17 N ] i. Se vedo un oggetto che si muove sempre con la stessa velocità ~v , quale forza agisce su di lui? ii. Se vedo un oggetto che cambia la sua velocità ~v , quale ne è stata la causa? iii. Se spingo un oggetto con una forza F~ , quale forza subisco? (b) Calcolo di Momenti di una forza i. Una forza F = 500 N viene applicata ad una distanza r = 2 m da un punto fisso e formante un angolo α = 90◦ con la retta che unisce il punto fisso ed il punto di applicazione della forza. Quanto vale il momento di quella forza? [M = 1000 N m] iv. Guardando un oggetto, da cosa capisco se sta subendo una forza oppure no? v. Se su di un oggetto non agisce alcuna forza, posso dire che è sicuramente fermo? vi. Se un oggetto è fermo, posso dire che su di lui agisce una forza totale nulla? ii. Una forza F = 100 N viene applicata ad una distanza r = 3 m da un punto fisso e formante un angolo α = 30◦ con la retta che unisce il punto fisso ed il punto di applicazione della forza. Quanto vale il momento di quella forza? [M = 150 N m] vii. Se su di un oggetto agisce una forza totale nulla, posso dire che è fermo? 2. [D0017ban] Esercizi banali di Dinamica: iii. Una forza F = 50 N viene applicata ad una distanza r = 3 m da un punto fisso e formante un angolo α = 180◦ con la retta che unisce il punto fisso ed il punto di applicazione della forza. Quanto vale il momento di quella forza? [M = 0 N m] (a) Calcolo di forze i. Quanto vale la forza di gravità che agisce su di una macchina di massa m = 800 Kg? [Fg = 7840 N ] iv. Ad un pendolo con asta, senza massa, di lunghezza l = 30 cm è appeso un oggetto di massa m = 10 kg. Il pendolo è inclinato di un angolo α = 45◦ rispetto alla verticale. Quanto vale il momento della forza di gravità che agisce sull’oggetto? [M = 20, 8 N m] ii. Quanto vale la forza di Archimede che agisce su di un oggetto di g 3 densità ρ = 0, 7 cm 3 e di volume V = 5 cm completamente immerso nell’acqua? [FArch = 0, 049 N ] iii. Se una molla esercita una forza F = 100 N e la vedo accorciarsi di ∆l = 2 cm, quanto vale la costante elastica di quella molla? N [k = 50 cm ] v. Immaginate una sbarra orizzontale senza peso con un perno nel suo centro. La sbarra è libera di ruotare intorno al suo centro. Ap140 141 Scheda66. Esercizi di Dinamica plicate sul lato destro della sbarra una forza F1 = 300 N verso il basso ad una distanza b1 = 10 cm dal perno. Applicate ora una seconda forza F2 = 60 N verso il basso sul lato sinistro della sbarra ad una distanza b2 = 30 cm dal perno. Applicate ora una terza forza F3 = 10 N verso il basso sul lato destro della sbarra ad una distanza b3 = 40 cm dal perno. Indica quanto valgono e in quale verso fanno ruotare: il momento della forza F1 , il momento della forza F2 , il momento della forza F3 , il momento totale applicato sulla sbarra. [M1−o = 30 N m; M2−a = 18 N m; M3−o = 4 N m; Mtot−o = 16 N m.] vi. Su di una sbarra verticale, che come punto fisso la sua estremità inferiore, viene applicata orizzontalmente una forza F1 = 10 N verso destra ad un’altezza h1 = 2 m. Una seconda forza orizzontale F2 = 30 N viene applicata verso sinistra ad un’altezza h2 = 70 cm. Quanto vale il momento della prima forza? Quanto vale il momento della seconda forza? Quanto vale il momento totale applicato alla sbarra? [M1−o = 20 N m; M2−a = 21 N m; Mtot−a = 1 N m] 66.2 Baricentro 1. [D0010] Tre cubi omogenei di lato l = 10 cm e di massa m1 = 9 kg, m2 = 5 kg, m3 = 2 kg, sono posti nell’ordine uno sopra all’altro. A quale altezza si trova il baricentro del sistema? 66.3 Forze 1. [D0001] Un blocco di massa m = 20 kg fermo su un piano orizzontale con coefficiente di attrito statico µstatico = 3 viene spinto verso destra. Esso comincia a muoversi sotto l’azione di una forza F con un’accelerazione totale atot = 5 sm2 . Quanto vale il coefficiente di attrito dinamico tra il piano orizzontale e l’oggetto? (a) Calcola la forza di gravità che agisce sull’oggetto. (b) Calcola la forza di attrito statico che agisce sull’oggetto. (c) Quanto vale la forza che fa cominciare a muovere l’oggetto? (d) Quale forza totale subisce l’oggetto mentre si muove? (e) Quanto vale la forza di attrito dinamico sull’oggetto (f) Quanto vale il coefficiente di attrito dinamico tra il piano e l’oggetto? 2. [D0002] Quale percentuale del volume di una statuetta di legno di densità g ρ = 0, 7 cm 3 rimane immersa nell’acqua quando galleggia? 3. [D0006] Una slitta di massa m1 = 0, 12 kg scivola senza attrito su un piano orizzontale tirato da un filo di massa trascurabile a sua volta attaccato ad un peso di massa m2 = 0, 02 kg. Con quale accelerazione si muove il sistema? 4. [D0014] Se un oggetto di volume V = 9 cm3 galleggia sull’acqua immerso per i 23 del suo volume, quanto vale la forza di Archimende che agisce su di lui? 5. [D0019] Quanto vale la forza di gravità che agisce su di un oggetto di ferro di volume V = 5 dm3 ? [Fg = 386, 22 N ] 6. [D0020] Un oggetto di massa m = 100 kg e volume V = 5 dm3 si trova sul kg fondo di una piscina piena di acqua (la densità dell’acqua è ρ = 1 dm 3 ). Quanto vale la densità dell’oggetto? Quanto vale la forza di gravità che agisce sull’oggetto? Quanto vale la forza di archimede che agisce sull’oggetto? Se sollevo l’oggetto con una forza F2 = 2000 N , con quale forza totale l’oggetto si muove? kg [ρogg = 20 dm 3 ; Fg = 980 N ; FArc = 49 N ; Ftot = 1069 N ;] 7. [D0021] Una statua d’oro di massa m = 19, 3 kg e volume V = 1 dm3 viene kg lanciata in mare (la densità dell’acqua marina è ρ = 1, 02 dm 3 . Quanto vale la densità dell’oro? Quanto vale la forza di gravità che agisce sulla statua? Quanto vale la forza di archimede che agisce sulla statua? Quanto vale la 142 Scheda66. Esercizi di Dinamica forza totale che spinge la statua verso il fondo? Se attacco alla statua un pallone di massa mp = 1, 7 kg e volume Vp = 40 dm3 , quanto vale la forza totale che spinge la statua? kg [ρAu = 19, 3 dm 3 ; Fg = 189, 1 N ; FA = 10 N ; P = 179, 1 N ; F = 204, 1 N verso l’alto] 8. [D0022] Un oggetto di massa m = 500 g si muove di moto circolare uniforme di raggio r = 20 cm ad una velocità V = 4 m s attaccato ad una molla di N costante elastica k = 10 cm . Quanto vale la forza centrifuga che tira la molla? Di conseguenza, di quanto si è allungata la molla? [Fc = 40 N ; ∆l = 4 cm] 9. [CD0001] Per un tempo ∆t = 4 s, un oggetto di massa m = 20Kg viene spinto partendo da fermo sotto l’azione di una forza F = 100 N strisciando su di un piano con coefficiente di attrito dinamico µd = 0, 1 . Successivamente la forza F si annulla. (a) Quanto valgono la forza di gravità e la forza di attrito che agiscono sull’oggetto? (b) Quanto valgono la forza totale che spinge l’oggetto e la conseguente accelerazione? (c) Quanto spazio avrà percorso alla fine dell’intervallo di tempo? (d) A quale velocità sta viaggiando alla fine dell’intervallo di tempo? Figura 66.1: Un’auto in curva 11. [CD0003] Un ciclista con la sua bicicletta ha una massa complessiva m = 60 kg e nel rettilineo (nel quale la bicicletta è in posizione verticale) il suo baricento si trova ad un’altezza h = 100 cm da terra. Il ciclista affronta poi ◦ una curva ad una velocità V = 10 m s inclinato di un angolo di α = 30 rispetto alla verticale. Quanto vale il momento della forza di gravità che tende a far cadere la bicicletta? Quanto vale il momento della forza centrifuga che mantiene in equilibrio il ciclista? Quanto vale il raggio della curva che sta facendo? [ Mf g = 294 N m; Mf c = −294 N m; r = 17, 7 m] (e) Con quale accelerazione si muove quando la forza F si annulla, e dopo quanto tempo si ferma? 10. [CD0002] In un giorno di sole, un’automobile sta percorrendo una curva di raggio r = 48 m. Sapendo che il coefficiente di attrito tra la gomma e l’asfalto asciutto vale µ = 0, 6, a quale velocità massima può viaggiare senza uscire di strada? In caso di pioggia, il coefficiente di attrito scende fino al valore µ = 0, 4; a quale velocità deve scendere l’autista per rimanere in strada? Schema in figura 66.1 12. [CD0004] Un ragazzo fa roteare un mazzo di chiavi con una frequenza ν = 4 Hz; il raggio del cerchio percorso dalle chiavi è lungo r = 0, 2 m, a quale velocità angolare ruotano le chiavi? Se le chiavi hanno una massa m = 0, 1 kg, quanto vale la forza che mette in tensione il cordino? [ω = 25, 13 rad s ; F = 12, 6 N ] 143 66.4 Scheda66. Esercizi di Dinamica Equilibrio 1. [D0003] Un oggetto si muove su di un piano orizzontale con velocità costante, sotto l’azione di una forza F = 100 N . Se il coefficiente di attrito tra il piano e l’oggetto vale µd = 1, 5 quanto vale la massa dell’oggetto? 2. [D0004] Un oggetto di ferro di massa m = 2 kg è appeso ad una molla di N e contemporaneamente viene tirato verso il basso costante elastica k = 10 cm da una calamita che esercita una forza magnetica Fm = 50 N . Visto che l’oggetto è fermo, di quanto si è allungata la molla? 3. [D0005] Un oggetto appeso di massa m = 2 kg è appeso ad una molla di N . Di quanto si allunga la molla? costante elastica k = 10 cm 4. [D0007] Una sbarra orizzontale è libera di ruotare intorno ad un perno centrale. Essa è sottoposta all’azione di tre forze: una forza F1 = 30 N verso il basso posta ad una distanza b1 = 30 cm dal perno sul suo lato sinistro, una forza F2 = 10 N verso il basso posta ad una distanza b2 = 30 cm dal perno sul suo lato destro, ed una forza F3 = 40 N verso il basso posta ad una distanza b3 sul suo lato destro. Calcola quanto valgono la distanza b3 e la reazione vincolare Rv del perno affinchè la sbarra possa rimanere ferma. 5. [D0008] Un vaso di massa trascurabile contenente V = 15 dm3 di acqua di N mare è appeso al soffitto con una molla di costante elastica k = 100 m . Di quanto si allunga la molla? 6. [D0009] Due persone stanno sollevando una trave di forma irregolare, di massa m = 50 kg e lunga l = 2 m tenendola per i suoi estremi. Il baricentro della trave si trova a d = 70 cm da uno degli estremi della trave stessa. Quanto valgono le forze fatte dalle due persone? 7. [D0012] Una sbarra di ferro lunga l = 2 m il cui baricentro si trova a d = 50 cm da uno degli estremi, viene appoggiata su due molle poste agli estremi della sbarra, le quali si schiacceranno della stessa quantità ∆l = 6 cm. N Sapendo che la prima molla ha costante elastica k1 = 1000 cm , quanto vale la costante elastica dell’altra molla e quanto vale la massa della sbarra? kg 8. [D0013] Un cubo di ferro di densità ρF e = 7874 m 3 , e di lato l = 20 cm si kg trova sul fondo di una piscina piena di acqua di densità ρH2 O = 1000 m 3. Qual è la minima forza necessaria per sollevarlo dal fondo della piscina? 9. [D0015] Un ciclista di massa m = 60 Kg corre in pianura alla velocità costante V = 35 Km h . Se le forze d’attrito con l’aria hanno un valore Fa = 500 N , quanto vale la forza in avanti che il ciclista fa spingendo sui pedali? Quanto vale l’accelerazione con la quale si muove la bicicletta? 10. [D0016] Una sbarra orizzontale di massa trascurabile è inchiodata nel suo centro. Due forze di intensità F1 = F2 = 20 N vengono applicate alla sbarra verso il basso rispettivamente alla distanza b1 = 20 cm a sinistra e b2 = 30 cm a destra del centro. Dove devo applicare una forza F3 = 2 N veso il basso in modo da ottenere equilibrio rotazionale? Quanto vale e verso dove è diretta la reazione vincolare del chiodo? 11. [D0018] A quale velocità minima deve andare una motocicletta per fare il giro della morte su di una pista circolare di raggio r = 10 m? [V = 9, 9 m s ] 12. [D0023] Una carrucola sta sorreggendo un oggetto di massa m = 6 Kg. L’oggetto è attaccato all’asse centrale della carrucola ed entrambi i capi della corda intorno alla carrucla vengono tirati verso l’alto. Quanto vale la tensione sul filo che tiene la carrucola? [T = 29, 4 N ] N 13. [D0025] Un palloncino è legato con una molla di costante elastica k = 5 cm al fondo di una piscina e quindi tenuto fermo sotto l’acqua. Sapendo che il suo volume è V = 1 dm3 e che la sua massa è m = 400 g, di quanto si allunga la molla? Esercizi sulle leggi di conservazione 67.1 Scheda 67 (b) Quanto valgono l’energia potenziale gravitazionale iniziale e finale del blocco? Energia 1. [L0001] Un oggetto di massa m = 50 Kg viaggia ad una velocità V = 10 m s . Ad un certo punto viene spinto da una forza F = 100 N per una distanza ∆S = 24 m nella stessa direzione e nello stesso verso del movimento. (c) Quanta energia cinetica finale avrebbe il blocco se non ci fosse attrito? (d) Se l’energia cinetica finale del blocco fosse metà di quella iniziale, quanta energia si è persa a causa delle forze d’attrito? (a) Quanta energia cinetica ha l’oggetto all’inizio? (b) Quanto lavoro ha fatto la forza? Quel lavoro è negativo o positivo? (c) Quanta energia cinetica ha l’oggetto dopo l’azione della forza? (d) A quale velocità finale viaggia l’oggetto? 2. [L0002] Se lascio cadere un oggetto inizialmente fermo da un’altezza hi = 8 m, con quale velocità arriverà a terra? 3. [L0003] Se lascio cadere un oggetto di massa m = 1 kg inizialmente fermo da un’altezza hi = 8 m, e arriva a terra con una velocità Vf = 10 m s ; quanta energia si è dissipata sotto forma di calore a causa dell’attrito con l’aria? 7. [L0007] Un proiettile di massa m = 15 g viene sparato da un fucile in diagonale verso l’alto posizionato al livello del suolo. Al momento dello sparo riceve una spinta F = 100 N per un tragitto ∆S = 60 cm pari alla lunghezza della canna del fucile. Quando arriva nel punto di massima altezza ha ancora una velocità Vf = 20 m s . trascuriamo gli effetti dell’attrito con l’aria. 4. [L0004] Un oggetto di massa m = 500 kg si sta muovendo su di un piano orizzontale con velocità iniziale Vi = 10 m s . Gradualmente rallenta a causa delle forze di attrito fino alla velocità Vf = 4 m s . Quanta energia è stata dispersa sotto forma di calore? 5. [L0005] Un oggetto si sta muovendo in salita su di un piano inclinato con attrito, con una velocità iniziale Vi = 10 m s . Gradualmente rallenta fino a fermarsi. Sapendo che l’oggetto si è sollevato, rispetto all’altezza iniziale, fino all’altezza hf = 3 m e che il calore generato dalle forze di attrito è stato Q = 2 J, quanto vale la massa dell’oggetto? (a) Quanto lavoro ha ricevuto il proiettile al momento dello sparo? (b) Trascura la variazione di energia potenziale dovuta al percorso della pallottola all’interno del fucile; quanta energia cinetica ha il proiettile in uscita dalla canna del fucile? (c) Quanta energia cinetica ha il proiettile nel punto di massima altezza? 6. [L0006] Un blocco di pietra di massa m = 40 Kg scivola lungo una discesa partendo con una velocità iniziale Vi = 5 m s . All’inizio si trovava all’altezza hi = 10 m per poi scendere fino all’altezza hf = 2 m. (d) Quanta energia potenziale gravitazionale ha il proiettile nel punto di massima altezza? (e) A quale altezza è arrivato il proiettile? (a) Quanto vale l’energia cinetica iniziale del blocco? 144 145 Scheda67. Esercizi sulle leggi di conservazione 8. [L0008] Un oggetto di massa m = 5 kg ha inizialmente un’energia potenziale gravitazionale Ui = 100 J e sta cadendo con una velocità Vi = 10 m s . Cadendo a terra, cioè fino ad un’altezza hf = 0 m, l’oggetto ha colpito e compresso N una molla, inizialmente a riposo, di costante elastica k = 200 cm . Quando la molla raggiunge la sua massima compressione l’oggetto è nuovamente fermo. 13. [L0013] Un’automobile di massa m = 1000 kg rallenta in uno spazio ∆S = m 50 m dalla velocità Vi = 20 m s fino alla velocità Vf = 10 s . Quanto valgono le energie cinetiche iniziale e finale dell’automobile? Quanto lavoro hanno fatto le forze d’attrito? Quanto valgono le forze d’attrito? 14. [L0014] Esercizi banali: (a) Quanto lavoro viene fatto su di un oggetto che si é spostato di ∆S = 50 m rallentato da una forza d’attrito F = 100 N ? [L = −5000 J] (a) A quale altezza si trova inizialmente l’oggetto? (b) Quanta energia cinetica ha l’oggetto inizialmente? (c) Quanta energia potenziale gravitazionale ha l’oggetto quando arriva a terra? (b) Quanto lavoro compie la forza centripeta che fa muovere un oggetto di moto circolare uniforme? [L = 0 J] (d) Quanta energia potenziale elastica ha la molla inizialmente? (c) Quanto consuma una lampadina di potenza P = 150 W tenuta accesa per un tempo ∆t = 2 h? [∆E = 300 J] (e) Quanta energia cinetica ha l’oggetto alla fine del suo movimento? (f) Quanta energia potenziale elastica ha immagazzinato la molla nel momento di massima compressione? (g) Di quanto si è compressa la molla? 9. [L0009] Un motore di potenza P = 2 kW solleva un oggetto di massa m = 500 kg da un’altezza hi = 2 m fino ad un’altezza hf = 32 m. Quanto tempo ci impiega? 10. [L0010] Un tuffatore salta dalla piattaforma alta hi = 10metri. Con quale velocità l’atleta entra in acqua? [Vf = 14 m s ] 11. [L0011] In quanto tempo un motore di potenza P = 30 W può sollevare un oggetto di massa m = 4 kg di un’altezza ∆h = 5 m? [∆t = 6, 53 s] 12. [L0012] Quale altezza raggiunge un oggetto lanciato da terra verticalmente verso l’alto con una velocità iniziale V0 = 25 m s ? [hf = 31, 9 m] (d) Per quanto tempo deve funzionare un motore di potenza P = 2000 W per poter fornire un’energia ∆E = 500 J? [∆t = 0, 25 s] ? 15. [L0015] Un pallone di massa m = 0, 4 kg si trova ad una altezza hi = 1 m da terra e viene calciato verticalmente verso l’alto alla velocità Vi = 15 m s . (a) Quanta energia cinetica ha il pallone all’inizio? (b) Quanta energia potenziale gravitazionale ha il pallone all’inizio? (c) Qanto vale l’energia totale che ha quel pallone? (d) Quanta energia cinetica ha il pallone nel punto di massima altezza? (e) Quanta energia potenziale gravitazionale ha quel pallone nel punto di massima altezza? (f) A quale altezza arriva il pallone? 146 Scheda67. Esercizi sulle leggi di conservazione (g) Se il pallone avesse avuto una massa doppia a quale altezza sarebbe arrivato? . [Eci = 45 J; Ui = 3, 9 J; Etot = 48, 9 J; Ecf = 0 J; Uf = 48, 9 J; hf = 12, 5 m; Alla stessa altezza.] 16. [L0016] Un proiettile viene sparato in aria con la velocità iniziale Vi = 100 m s . Trascurando l’effetto dell’aria, a quale altezza arriverebbe il proiettile? [hf = 510 m] 17. [L0017] Un pendolo formato da un filo di lunghezza l = 1 m ed una massa legata al fondo, viene inclinato in modo da sollevare la massa di ∆h = −10 cm, e viene tenuto inizialmente fermo. Con quale velocità il pendolo viaggerà quando la massa avrà raggiunto la sua minima altezza [V = 1, 4 m s ]? N 18. [L0018] Di quanto viene compressa una molla di costante elastica k = 100 m se a comprmerla è un oggetto di massa m = 49 Kg lanciato ad una velocità Vi = 10 m s ? [∆l = 7 cm] 19. [L0019] Su di una catapulta a molla viene posizionata una pietra di massa m = 30000 g, comprimendo di ∆l = 50 cm una molla di costante elastica N k = 6000 m . (a) Quanta energia potenziale elastica è immagazzinata nella molla della catapulta? (b) Con quanta energia cinetica la pietra viene lanciata? (c) A quale velocità viaggia la pietra nel momento in cui viene lanciata? . [V = 750 J; Eci = 750 J; Vi = 7, 07 m s .] 20. [L0020] Un oggetto di massa m = 5 kg ha inizialmente un’energia potenziale gravitazionale Ui = 100 J e sta cadendo con una velocità Vi = 10 m s . Cadendo a terra, cioè fino ad un’altezza hf = 0 m, l’oggetto ha colpito e compresso N una molla, inizialmente a riposo, di costante elastica k = 200 cm . Quando la molla raggiunge la sua massima compressione l’oggetto è nuovamente fermo. (a) A quale altezza si trova inizialmente l’oggetto? (b) Quanta energia cinetica ha l’oggetto inizialmente? (c) Quanta energia potenziale gravitazionale ha l’oggetto quando arriva a terra? (d) Quanta energia potenziale elastica ha la molla inizialmente? (e) Quanta energia cinetica ha l’oggetto alla fine del suo movimento? (f) Quanta energia potenziale elastica ha immagazzinato la molla nel momento di massima compressione? (g) Di quanto si è compressa la molla? . [hi = 2, 04 m; Eci = 250 J; Uf = 0 J; Vi = 0 J; Eci = 0 J; Vel−f = 350 J; ∆l = 3, 5 cm.] 21. [L0021] Quanta energia devo dare ad un oggetto di massa m = 2 kg che si muove con velocità Vi = 10 m s per fargli raddoppiare la velocità? 22. [L0022] Un proiettile di massa m = 15 g viene sparato da un fucile in diagonale verso l’alto posizionato al livello del suolo. Al momento dello sparo riceve una spinta F = 100 N per un tragitto ∆S = 60 cm pari alla lunghezza della canna del fucile. Quando arriva nel punto di massima altezza ha ancora una velocità Vf = 20 m s . Quanto lavoro ha ricevuto il proiettile al momento dello sparo? Trascura la variazione di energia potenziale dovuta al percorso della pallottola all’interno del fucile; quanta energia cinetica ha il proiettile in uscita dalla canna del fucile? Quanta energia cinetica ha il proiettile nel punto di massima altezza? Quanta energia potenziale gravitazionale ha il proiettile nel punto di massima altezza, se trascuriamo l’attrito con l’aria? A quale altezza è arrivato il proiettile? [L = 60 J; Eci = 60 J; Ecf = 3 J; Uf = 57 J; hf = 388 m] 147 67.2 Scheda67. Esercizi sulle leggi di conservazione Quantità di moto 1. [P0001] Un oggetto che ha massa m1 = 50 kg viaggia ad una velocità V1 = 11 m s . Ad un certo punto urta contro un oggetto di massa m2 = 100 kg che viaggia nel verso opposto ad una velocità V2 = 1 m s . Nell’urto di due oggetti rimangono attaccati. A quale velocità finale si muove il blocco? 67.3 Complessivi 1. [DL0011] Un pendolo semplice è realizzato con una corda di lunghezza l = 2 m con all’estremità una massa m = 2 kg. Tale pendolo sta oscillando attaccato ad un chiodo all’altezza hc = 3 m. Il massimo valore dell’altezza raggiunta dal pendolo è hi = 1, 4 m. Sapendo che la corda può sopportare al massimo una tensione Tmax = 30 N , il pendolo si romperà? 2. [D0012] Un’auto da corsa di massa m = 500 kg rallenta da una velocità inikm ziale Vi = 252 km h fino ad una velocità finale Vf = 108 h in uno spazio ∆S = 100 m. Quanta energia cinetica ha l’auto prima e dopo la frenata? Quanto lavoro ha fatto la forza d’attrito delle ruote con l’asfalto? Quanto valgono la forza d’attrito e l’accelerazione d’attrito? [Eci = 1225 kJ; Ecf = 225 kJ;; L = −1000 kJ; Fa = 10 N ;; a = 0, 02 sm2 .] 3. [LP0001] Un oggetto di massa m1 = 50 kg viaggia ad una velocità V1 = 11 m s lungo un piano inclinato senza attrito. Inizialmente l’oggetto si trova all’altezza hi = 5 m da terra. Alla fine del piano inclinato si sposta in orizzontale fino a quando urta contro un oggetto di massa m2 = 100 kg inizialmente fermo. Nell’ urto di due oggetti rimangono attaccati. Con quale velocità viaggeranno dopo l’urto? Esercizi di Fluidodinamica 68.1 Scheda 68 400000 P a, mentre nella sezione più stretta vale P2 = 300000 P a. Quanto valgono le due velocità dell’acqua nei due tratti del tubo? Legge di conservazione della portata 1. [F0002] In un tubo di sezione S1 = 10 cm2 scorre dell’acqua con velocità 2 V1 = 3 m s . Questo tubo ha una strozzatura nel centro, di sezione S2 = 4 cm . Quanto vale la portata del tubo? Quanto vale la velocità con cui l’acqua scorre nella strozzatura? 5. Un contenitore cilindrico viene riempito d’acqua fino all’altezza hi = 30 cm dal fondo. All’altezza hf = 5 cm dal fondo viene praticato un piccolo foro, di dimensione trascurabile rispetto alla superficie della base del contenitore. Con quale velocità l’acqua esce dal foro? [Vf = 2, 21 m s ] 2. [F0003] In un certo tratto, il letto di un canale di irrigazione è profondo h1 = 2 m e largo l1 = 10 m, e l’acqua al suo interno scorre con una velocità V1 = 0, 2 m s ; se in un secondo tratto la profondità e la larghezza del canale si dimezzano, a quale velocità scorrerà l’acqua in questo secondo tratto? Quanto vale la portata del canale? 68.2 68.3 Legge di Stevin 1. [F0006] Un tubo a forma di U contiene una certa quantità di acqua ( ρH2 O = kg kg 1000 m 3 ) nella sezione di sinistra e di olio ( ρolio = 800 m3 ) nella sezione di destra. I liquidi in questione sono fermi. Sapendo che la colonna di olio ha un’altezza ∆h = 20 cm, di quanti centimetri la colonnina di olio si trova più in alto della colonnina di acqua? Principio di Beernoulli 1. [F0001] In un tubo orizzontale di sezione S1 = 10 cm2 scorre dell’acqua ad una velocità V1 = 8 m s con una pressione P1 = 150000 P a. Ad un certo punto la sezione del tubo aumenta fino al valore S2 = 16 cm2 . Quanto valgono la velocità e la pressione dell’acqua nella parte larga del tubo? 2. Un subacqueo si trova immerso nelle acque ferme di un lago alla profondità h1 = −20 m rispetto al livello del mare. La pressione atmosferica vale Patm = 100000 P a. A quale pressione si trova? A quale profondità deve arrivare per raddoppiare la pressione a cui si trova? 2. [F0004] Un vaso cilindrico di sezione S1 = 10 cm2 contiene dell’acqua fino ad un certo livello. Nel vaso viene applicato un foro di sezione S2 = 1 mm2 ad un’altezza ∆h = 40 cm inferiore al livello dell’acqua. Con quale velocità V2 esce l’acqua dal foro? 3. In un cilindro verticale versiamo del mercurio, dell’acqua e dell’olio. La colonnina di mercurio è alta LHg = 5 cm; la colonnina di acqua è alta LH2 O = 20 cm e la colonnina di olio è alta Lolio = 15 cm. La pressione atmosferica vale Patm = 100000 P a. Trovate la pressione sul fondo della colonna di liquikg kg do. le densità dei liquidi utilizzati valgono: ρolio = 800 m 3 ; ρH O = 1000 m3 ; 2 kg ρHg = 13579 m 3. 3. [F0005] Un tubo orizzontale di sezione S1 = 10 cm2 è percorso da acqua alla pressione P1 = 150000 P a che si muove alla velocità V1 = 8 m s . All’altra estremità del tubo la pressione vale P2 = 169500 P a. Con quale velocità l’acqua esce dal tubo? Quale sezione ha il tubo in uscita? 4. [F0011] Sapendo che un sottomarino sta subendo una pressione P = 280000 P a, a quale profonditá si trova rispetto alla superficie? [h = −17, 33 m] kg 4. [F0008] Un tubo orizzontale in cui scorre acqua ( ρH2 O = 1000 m 3 ), ha una 2 sezione iniziale S1 = 100 cm . Successivamente il tubo si stringe diventando di sezione S2 = 60 cm2 . La pressione nel tratto iniziale del tubo vale P1 = 148 149 68.4 Scheda68. Esercizi di Fluidodinamica Principio di Pascal 1. [F0007] Le due sezioni di un torchio idraulico valgono rispettivamente S1 = 50 cm2 ed S2 = 5 cm2 . Sapendo che sulla sezione maggiore viene appoggiato un peso di massa m = 50 kg, quale forza devo fare sulla seconda sezione per mantenere l’equilibrio? Esercizi di Calorimetria 69.1 Scheda 69 temperatura di equilibrio raggiungeranno i due oggetti? [Teq = 311, 3 K.] esercizi banali 1. [Q0015] Esercizi banali di: (d) Transizioni di fase i. Quanta energia serve per far fondere una massa m = 20 Kg di ghiaccio alla temperatura di fusione? [∆Q = 6700 kJ] (a) Riscaldamento i. Che massa ha un oggetto di rame se dandogli un calore ∆Q = 1000 J la sua temperatura aumenta di ∆T = 20 K? [m = 131, 6 g] ii. Quanta energia serve per far fondere una massa m = 10 Kg di rame alla temperatura di fusione? [∆Q = 2058 kJ] ii. Quanta energia mi serve per innalzare la temperatura di un oggetto di ferro di ∆T = 50 K sapendo che ha una massa m = 10 Kg e che si trova ad una temperatura Ti = 300 K? [∆Q = 2200 J] iii. Quanta energia serve per far bollire una massa m = 5 Kg di acqua alla temperatura di ebollizione? [∆Q = 11360 kJ] iii. Quanta energia mi serve per innalzare la temperatura di un oggetto di ferro fino alla temperatura Tf = 350 K sapendo che ha una massa m = 10 Kg e che si trova ad una temperatura Ti = 300 K? [∆Q = 2200 J] iv. Quanta energia devo dare ad una massa m = 50 Kg di oro che si trovano alla temperatura T = 3129 K per farle compiere la transizione di fase? [∆Q = 84850 kJ] (b) Capacità termica (e) Dilatazione termica i. Un oggetto di ferro di massa m1 = 2 Kg alla temperatura iniziale T1i = 300 K viene messo a contatto con un oggetto di rame di massa m2 = 3 Kg alla temperatura iniziale T2i = 320 K. Qual’è la capacità termica dei due oggetti? J J ;CCu = 1140 K .] [CF e = 880 K i. Di quanto si allunga una sbarra d’oro della lunghezza iniziale li = 10 cm se aumentiamo la sua temperatura di ∆T = 20 K? [∆l = 2, 8 · 10−5 m] ii. Di quanto si accorcia una sbarra d’oro della lunghezza iniziale li = 10 cm se diminuiamo la sua temperatura di ∆T = 10 K? [∆l = −1, 4 · 10−5 m] (c) Temperatura di equilibrio iii. Di quanto si allunga una sbarra di rame di lunghezza iniziale li = 30 cm se aumentiamo la sua temperatura di ∆T = 30 K? [∆l = 1, 53 · 10−4 m] i. Quale temperatura raggiungono un oggetto di argento di mAg = 0, 1 kg alla temperatura iniziale Ti,Ag = 350 K ed un oggetto d’oro di mAu = 0, 2 kg alla temperatura iniziale Ti,Au = 400 K messi a contatto? [Teq = 376, 2 K] iv. Di quanto devo scaldare una sbarra di rame di lunghezza iniziale li = 20 m per allungarla di ∆l = 1, 7 mm? [∆T = 0, 5 K] ii. Un oggetto di ferro di massa m1 = 2 Kg alla temperatura iniziale T1i = 300 K viene messo a contatto con un oggetto di rame di massa m2 = 3 Kg alla temperatura iniziale T2i = 320 K. Quale v. Di quanto può aumentare la temperatura di una sbarra di ferro di lunghezza iniziale li = 10 m se non voglio che la sua lunghezza 150 151 Scheda69. Esercizi di Calorimetria aumenti di più di 1 millimetro? [∆T = 8, 33 K] (f) Trasmissione del calore i. Una finestra rettangolare di vetro spesso l = 3 mm è larga b = 0, 5 m e alta h = 1, 2 m. Se dentro casa c’è una temperatura Tin = 26◦ C e fuori una temperatura Tout = 12◦ C, quanta energia passa attraverso quella finestra ogni ora? La conducibilità termica del vetro è W . ρ = 1 K·m [∆Q = 30240 kJ] 69.2 Riscaldamento 1. [Q0001] Quanta energia mi serve per innalzare la temperatura di un oggetto di ferro di ∆T = 50 K sapendo che ha una massa m = 10 Kg e che si trova ad una temperatura Ti = 300 K? 2. [Q0002] Quale potenza ha un fornelletto che sta scaldando una massa m = 5 kg di acqua da un tempo ∆t = 60 s facendone aumentare la temperatura di ∆T = 50 K, sapendo che quell’acqua si trovava inizialmente alla temperatura Ti = 20◦ C? 3. [Q0013] Un oggetto di materiale sconosciuto e di massa m1 = 5 Kg alla temperatura iniziale Ti1 = 350 K viene messo a contatto con un oggetto dello stesso materiale e di massa m2 = 30 Kg alla temperatura iniziale Ti2 = 300 K. Quale temperatura di equilibrio raggiungeranno i due oggetti? [Teq = 307, 14 K] 4. [Q0016] Un fornelletto di potenza P = 1000 W sta scaldando una massa m = 5 kg di acqua facendone aumentare la temperatura di ∆T = 45 K. Quanto tempo ci impiega? [∆t = 941, 85 s] 69.3 Transizioni di fase 1. [Q0007] Un blocco di ferro solido di massa m = 50 kg si trova alla temperatura di fusione. Quanto calore devo fornire se voglio fondere una percentuale p = 10% del blocco di ferro? 69.4 Dilatazione termica 1. [Q0004] Due sbarre di eguale lunghezza li = 3 m, una di ferro e l’altra di alluminio, vengono scaldate di ∆T = 50 K. Ammettendo che nessuna delle due raggiunga il punto di fusione, di quanto una risulterà più lunga dell’altra? 2. [Q0008] Di quanto devo scaldare una sbarra di alluminio di lunghezza iniziale lAl−i = 2000 mm ed una sbarra di ferro di lunghezza iniziale lF e−i = 2001 mm affinchè raggiungano la stessa lunghezza? [∆T = 38, 5 K] 69.5 Complessivo 1. [Q0003] Quanta energia mi serve per innalzare la temperatura di una massa m = 10 Kg di acqua dalla temperatura iniziale Ti = 80 ◦ C fino alla temperatura finale Tf = 130 ◦ C? 2. [Q0005] Una sbarra di ferro di massa m = 1, 5kg, lunga li = 3 m alla temperatura Ti = 600 K viene immersa in una vasca riempita con una massa mH2 O = 100 kg d’acqua alla temperatura TH2 O = 300 K. Di quanto si accorcia la sbarra? 3. [Q0006] Ad un oggetto di ferro di massa m = 2kg, alla temperatura iniziale Ti = 600 K vengono forniti ∆Qtot = 2000 kJ di calore. Quanti kilogrammi di ferro riesco a fare fondere? 152 4. [Q0009] Quanta energia mi serve per portare una massa m = 5 Kg di ferro dalla temperatura Ti = 2000 ◦ C alla temperatura Tf = 4000 ◦ C? [∆Q = 35710 kJ] 5. [Q0010] Quanta energia mi serve per portare una massa m = 5 Kg di acqua dalla temperatura Ti = 20 ◦ C alla temperatura Tf = 130 ◦ C? [∆Q = 13662300 J] 6. [Q0011] Quanta energia serve per far allungare di ∆l = 0, 1 mm una sbarra di alluminio di lunghezza li = 200 cm e massa m = 0, 5 Kg? [∆Q = 900 J] 7. [Q0012] In quanto tempo un forno della potenza P = 500 W può far aumentare di ∆T = 20 K la temperatura di una massa m = 20 Kg di acqua? [∆t = 3348, 8 s] 8. [Q0014] Posso scaldare una sbarra di ferro della lunghezza li = 50 cm e che si trova alla temperatura Ti = 350 K per farla allungare fino alla lunghezza lf = 51 cm? 9. [Q0017] Ad una sbarra di ferro di massa m = 50 Kg alla temperatura Ti = 1500 K forniamo ∆Q = 12000 kJ di energia. Quanti kilogrammi di ferro riusciamo a far fondere? [m = 21, 133 kg] 10. [Q0018] Un pezzo di ferro di massa m = 5 kg alla temperatura Ti = 1600 K viene immerso in un volume V = 2 litri di acqua liquida alla temperatura di ebollizione. Quanta massa di acqua diventerà vapore? [m = 1, 19 kg] 11. [Q0019] Una sbarra di ferro di massa m = 15 kg, lunga li = 2 m alla temperatura Ti = 1600 K viene immersa in una vasca riempita con mH2 O = 100 kg d’acqua alla temperatura TH2 O = 300 K. Di quanto si accorcia la sbarra? [∆l = 0, 031 m] Scheda69. Esercizi di Calorimetria Esercizi di Termodinamica 70.1 Scheda 70 (i) In un gas, durante una trasformazione isocora, al diminuire della temperatura: X) il gas fa lavoro; Y) il riceve lavoro; Z) il gas diminuisce la sue energia interna; W) la press. I Gas 1. [T0001] Se un certo quantiativo di gas che si trova alla temperatura T1 = 380 K compie una trasformazione isobara passando da un volume V1 = 10 cm3 ad un volume V2 = 20 cm3 , quale temperatura ha raggiunto? (j) In un gas, durante una trasformazione ciclica: X) il volume aumenta; Y) il volume diminuisce; Z) il volume rimane invariato; W) il volume può aumentare e diminuire per ritornare al valore iniziale. 2. [T0002] (k) Un ciclo di carnot è composto da: X) due isoterme e due isocore; Y) due isocore e due adiabatiche; Z) due isoterme e due adiabatiche; W) quattro isoterme. (a) Da dove prende energia un gas che compie lavoro durante una espansione isobara? X) dal suo interno; Y) dall’esterno; Z) dal lavoro che compie; W) la produce. (l) Una trasformazione ciclica è una trasformazione in cui: X) il gas si muove di moto circolare uniforme; Y) il gas non scambia calore con l’esterno; Z) gli stati iniziale e finale della trasformazione coincidono; W) Gli stati iniziale e finale della trasformazione cambiano ciclicamente. (b) In un gas, durante una trasformazione isocora, al diminuire della temperatura: X) il volume aumenta; Y) il volume diminuisce; Z) il volume rimane invariato; W) il volume puó aumentare quanto diminuire. (m) Il rendimeno di un qualunque ciclo termodinamico è dato dal: X) lavoro fatto fratto calore assorbito; Y) lavoro fatto più calore assorbito; Z) lavoro fatto meno calore assorbito; W) solo lavoro fatto. (c) C’è scambio di calore durante una compressione adiabatica? X) si; Y) no; Z) forse; W) a volte. (d) Il gas cede calore durante una compressione isobara? X) si; Y) no; Z) forse; W) a volte. (n) In un gas, durante una trasformazione isobara, al diminuire della temperatura: X) il volume aumenta; Y) il volume diminuisce; Z) il volume non varia; W) il volume sia aumenta che diminuire. (e) Da dove prende energia un gas che compie lavoro durante una espansione adiabatica? X) dal suo interno; Y) dall’esterno; Z) dal lavoro che compie; W) la produce. 3. [T0003] (a) Il rendimeno di un qualunque ciclo termodinamico è: X) minore o uguale a 1; Y) maggiore o uguale a 1; Z) uguale a 1; W) nessuna delle precedenti. (f) Di un gas, durante una trasformazione adiabatica, cambia: X) solo il volume; Y) solo la temperatura; Z) solo la pressione; W) Sia il volume che temperatura che pressione. (b) La legge dei gas perfetti: X) non contiene il volume del gas; Y) non contiene la temperatura del gas; Z) non contiene l’energia interna del gas; W) non contiene la pressione del gas. (g) In un gas, durante una trasformazione isoterma, al diminuire della pressione: X) il volume aumenta; Y) il volume diminuisce; Z) il volume rimane invariato; W) il volume può aumentare quanto diminuire. (c) Di un gas, durante una trasformazione isocora, non cambia: X) il volume; Y) la temperatura; Z) la pressione; W) l’energia interna. (h) In un gas, durante una trasformazione adiabatica, al diminuire della pressione: X) il volume aumenta; Y) il volume diminuisce; Z) il voume rimane invariato; W) il volume può aumentare quanto diminuire. (d) Di un gas, durante una trasformazione isoterma, non cambia: X) la temperatura; Y) il volume; Z) la pressione; W) l’energia interna. 153 154 Scheda70. Esercizi di Termodinamica (e) Di un gas, durante una trasformazione isobara, non cambia: X) il volume; Y) la temperatura; Z) la pressione; W) l’energia interna. (h) Disegna un ciclo di Carnot, indicandone le trasformazioni e i flussi di energia durante ogni trasformazione. (f) Il rendimeno di un ciclo di Carnot: X) è sempre maggiore di 1; Y) dipende solo dalla temperatura finale del gas; Z) dipende dalle temperature a cui viene scambiato il calore; W) dipende solo dalla temperatura iniziale del gas. (i) C’è scambio di calore durante una espansione isoterma? Quel calore entra nel gas o esce? (g) Il calore scambiato ad alta temperatura, rispetto a quello scambiato a bassa temperatura è: X) più pregiato; Y) meno pregiato; Z) egualmente pregiato; W) dipende dai casi. (h) Per aumentare la tempratura di un gas è sufficiente: X) comprimerlo; Y) farlo espandere; Z) aumentarne la pressione; W) aumentarne l’energia interna. (i) Per aumentare l’energia interna di un gas è sufficiente: X) comprimerlo; Y) fargli compiere una trasformazione isocora; Z) farlo espandere; W) fargli compiere una espansione isobara. (j) Come cambia la temperatura di un gas durante una compressione adiabatica? e durante un’espansione adiabatica? (k) Da dove prende energia un gas che compie lavoro durante una espansione adiabatica? (l) Da dove prende energia un gas che compie lavoro durante una espansione isoterma? (m) In una trasf. isocora: δL =?∆U =? Se il gas cede calore, da dove prende quell’energia? Che conseguenza ha questo sulla temperatura? (n) In una trasf. isoterma: ∆U =?δL =? Da dove viene presa l’energia per compiere lavoro? (j) Un gas compie sicuramente del lavoro se: X) viene compresso; Y) si espande; Z) si scalda; W) nessuna delle precedenti. (o) In una trasf. adiabatica: δQ =?∆U =? Da dove viene presa l’energia per compiere lavoro? (k) C’è scambio di calore durante una compressione isoterma? X) si; Y) no; Z) forse; W) a volte. (p) Cos’è il rendimento di un ciclo? Quanto vale per il ciclo di Carnot? Disegna il diagramma che descrive il flusso di calore da una sorgente ad alta temperatura ad una a bassa temperatura durante un ciclo termodinamico. Modifica quel diagramma per descrivere un ciclo frigorifero. 4. [T0004] (a) Da quale variabile di stato dipende l’energia interna di un gas? (b) In quali modi posso fornire energia ad un gas? (q) Il calore scambiato ad alta temperatura è più o meno pregiato di quello scambiato a bassa temperatura? Perchè? (c) Come varia l’energia interna di un gas durante una trasformazione isoterma? Perchè? (r) Cosa rappresenta la superficie dell’area delimitata da una trasformazione ciclica in un diagramma Pressione-Volume? (d) Durante una espansione il gas compie o riceve lavoro? e durante una compressione? (e) Quanto calore scambia un gas durante una trasformazione adiabatica? (f) Quando un gas fa lavoro verso l’esterno? (g) Quando un gas riceve del lavoro dall’esterno? 5. [T0005] Un gas compie un ciclo termodinamico formato da due isobare e due isocore. Il ciclo comincia con un’espansione isobara che parte dallo stato A(3 m3 ; 8 atm); successivamente abbiamo un raffreddamento isocoro; la compressione isobara inizia invece dallo stato A(5 m3 ; 3 atm); infine un riscaldamento isocoro. Quanto lavoro ha fatto il ciclo? 155 Scheda70. Esercizi di Termodinamica 6. [T0006] Un ciclo termodinamico assorbe calore δQass ad alta temperatura, cede calore δQced a bassa temperatura, e cede lavoro δL. Il tutto è fatto con un certo rendimento η. Esegui i seguenti esercizi: (a) Sapendo che δQass = 5000 J e che δQced = 3500 J, quanto valgono δL ed η? (b) Sapendo che δQass = 5000 J e che η = 0, 2, quanto valgono δL e δQced ? (c) Sapendo che δQass = 5000 J e che δL = 2000 J, quanto valgono δQced ed η? (d) Sapendo che δL = 4000 J e che δQced = 6000 J, quanto valgono δQass ed η? (e) Sapendo che δL = 5000 J e che η = 0, 3, quanto valgono δQass e δQced ? (f) Sapendo che δQced = 7000 J e che η = 0, 2, quanto valgono δQass e δL? 7. [T0007] Durante una trasformazione isocora, un gas alla pressione iniziale Pi = 25000 P a passa da una temperatura Ti = 380 K ad una temperatura Tf = 450 K ; quale pressione Pf ha raggiunto? [Pf = 29605 P a] 8. [T0008] Durante una trasformazione isoterma, un gas alla pressione iniziale Pi = 25000 P a passa da un volume Vi = 10 cm3 ad un volume Vf = 20 cm3 ; quale pressione Pf ha raggiunto? [Pf = 12500 P a] 9. [T0009ban] Esercizi banali: (a) Quanto lavoro fa un gas a pressione P = 5000 P a in una espansione isobara passando da un volume Vi = 50 m3 ad un volume Vf = 66 m3 ? [L = 80 kJ] (b) Una macchina termica funziona seguendo un ciclo di Carnot tra una temperatura T1 = 500◦ K ed una inferiore T2 = 300◦ K. Quanto vale il rendimento della macchina? [η = 20%] (c) Un gas, espandendosi, produce un lavoro δL = 500 J assorbendo contemporaneamenre una quantitá di calore δQ = 300 J. Di quanto é variata la sua energia interna? [∆U = −200 J] 10. [T0010] Un ciclo di Carnot assorbe δQass = 1000 J alla temperatura T1 = 1000 K e cede calore alla temperatura T2 = 400 K. Quanto lavoro viene prodotto? [δL = 600 J] 11. [T0009] Un gas subisce una trasformazione termodinamica. Le variabili coinvolte in tale trasformazione sono sei: la variazione di pressione, la variazione di volume, la variazione di temperatura, la variazione di energia interna, il lavoro scambiato, il calore scambiato. Sapendo se sono positive, negative o nulle due di queste, trova se sono positive, negative o nulle tutte le altre. le varie coppie di informazioni da cui devi partire sono elencate qui sotto. (a) Riscaldamento isobaro (b) Espansione isobara (c) Espansione isoterma (d) Riscaldamento isocoro (e) Riscaldamento adiabatico (f) Espansione adiabatica 12. [FT0001] Un subacqueo con capacità polmonare Vi = 5 dm3 sta per andare a hf = −30 m di profondità sul livello del mare. Quanti litri d’aria si troverà nei polmoni a quella profondità? Esercizi sui fenomeni ondulatori 71.1 Riflessione e rifrazione 71.4 2. [O0002] Costruisci l’immagine di un oggetto generata da una lente sferica convergente, sia nel caso che l’oggetto si trovi tra la lente ed il fuoco, sia nel caso che si trovi oltre il fuoco. Interferenza e risonanza 3. [O0008] Un oggetto è posto ad una distanza da una lente sferica convergente tale per cui l’immagine generata risulta di dimensioni doppie rispetto all’oggetto. Sapendo che la distanza focale della lente vale f = 30 cm, a quale distanza dalla lente si trova l’oggetto? 1. [O0005] Quanto vale la terza frequenza di risonanza su di una corda, fissata ai due estremi, lunga l = 6 m, sulla quale le onde viaggiano alla velocità V = 50 m s ? 71.3 Ottica geometrica 1. [O0001] Calcola l’angolo limite per riflessione totale per un raggio luminoso che passa dall’acqua all’aria. Gli indici di rifrazione di acqua e aria sono rispettivamente nH2 O = 1.33 e naria ∼ 1 1. [O0003] L’eco di un forte urlo viene percepito dalla persona che ha urlato dopo un intervallo di tempo ∆t = 0, 2 s. Sapendo che il suono in aria viaggia alla velocità Vs = 344 m s , quanto si trova distante la parete sulla quale il suono si è riflesso? 71.2 Scheda 71 4. [O0009] Un oggetto è posto di fronte ad una lente convergente ad una distanza p = 20 cm. La distanza focale della lente è f = 15 cm. A quale distanza dalla lente si forma l’immagine? Quanto vale il fattore di ingrandimento? Propagazione 1. [O0004] Un suono emesso da un altoparlante viene percepito da una persona ad una distanza r1 = 20 m con un’intensità I1 = 120 mJ2 s . con quale intensità verrà invece percepito da una persona alla distanza r2 = 30 m? 2. [O0006] Un suono emesso da un altoparlante viene percepito da Andrea ad una distanza rA = 20 m con un’intensità IA = 120 mJ2 s . Marco si trova alla distanza d = 5 m da Andrea, sulla line tra Andrea e l’altoparlante. Con quale intensità il suono verrà percepito da Marco? 3. [O0007] Un suono emesso da un altoparlante viene percepito da Andrea ad una distanza rA = 20 m con un’intensità IA = 120 mJ2 s . Dietro ad Andrea il suono prosegue ed incontra un muro alla distanza d = 40 m dalla sorgente, riflettendosi su di esso e raggiungendo nuovamente Andrea. Con quale intensità Andrea sente il suono riflesso? 156 Esercizi di Elettromagnetismo 72.1 Scheda 72 q+ Elettromagnetismo 1. [E0001] Due sfere con carica elettrica C = 10 µC sono poste alla distanza d = 30 cm. Calcolare la forza con la quale le sfere si respingono quando sono in quiete e quando si muovono parallelamente con velocità costante V = 90000 km s . q+ 2. [E0003] Due protoni si trovano alla distanza d = 2 · 10−9 m; tra loro si trova un elettrone posto alla distanza r1 = 8 · 10−10 m. Quanto vale la forza complessiva che agisce sull’elettrone? q− q+ q+ Figura 72.1: Figura esercizio E0008 3. [E0005] Quattro cariche elettriche si trovano ai vertici di un quadrato di lato l = 2 m. tre di queste valgono Q+ = +8 µC ed una Q− = −8 µC. Quanto vale il campo elettrico nel centro del quadrato? Quanto vale la forza che agirebbe su di una carica q = 2 µC posta nel centro del quadrato? 8. [CE0002] Quanto vale il raggio della traiettoria circolare di un elettrone che entra perpendicolarmente in un campo magnetico B = 10−6 T alla velocità V = 90000ms? ~ uniforme verso destra 4. [E0007] Disegna sul tuo foglio un campo elettrico E ~ verticale entrante nel foglio. Disegna adesso ed uno magnetico uniforme B un elettrone che si muove parallelo al vostro foglio e verso l’alto. A quale velocità deve andare affichè si muova con velocità costante? 9. [DE0010] Due cariche elettriche uguali, con eguale carica elettrica e massa, di carica Q = 4µC si trovano alla disanza d = 2 m. Quale massa devono avere affinchè l’attrazione gravitazionale tra loro equilibri la repulsione 2 2 elettrostatica? [K = 9 · 109 NCm2 ; G = 6, 67 · 10−11 Nkgm2 ] 5. [E0008] Quattro cariche elettriche identiche (vedi figura 72.1), tutte positive del valure q = 4 µC si muovono sul tuo foglio, come mostrato in figura, lungo un percorso circolare di raggio r = 10 cm e con velocità V = 10 m s . Quanto vale e dove è diretto il campo magnetico che generano nel centro della spira? Quanto vale la forza magnetica che subisce una carica negativa che entra perpendicolarmente al tuo foglio? Q Q Figura 72.2: Figura esercizio DE0010 6. [E0009] Due cariche elettriche Q1 = 4µC e Q2 = −4µC si trovano su di una linea orizzontale alla disanza d = 2 m. Sulla stessa linea, ad altri due metri dalla carica negativa, una carica di prova q3 = −2µC. Quanto vale il campo elettrico totale sulla carica q3 ? Quanto vale la forza che subisce la carica q3 . 72.2 Elettrotecnica 1. [E0002] Un circuito elettrico è formato da due resistenze R2 = 6 Ω ed R3 = 12 Ω in parallelo, messe in serie con altre due resistenze R1 = 6 Ω ed R4 = 2 Ω. il circuito è alimentato da un generatore ∆V = 24 V olt. Calcola le differenze di potenziale agli estremi di ogni resistenza e la corrente elettrica che le attraversa 7. [CE0002] Quanto vale il raggio della traiettoria circolare di un elettrone che entra perpendicolarmente in un campo magnetico B = 10−6 T alla velocità V = 90000ms? 157 158 Scheda72. Esercizi di Elettromagnetismo 2. [E0004] Un circuito elettrico è formato da tre resistenze R1 = 6 Ω, R2 = 8 Ω, R3 = 4 Ω ed alimentato da un generatore ∆V = 24 V olt. Calcola la corrente elettrica che attraversa ogni resistenza ed i potenziali nei punti A, B e T VA + i ∆V2 R2 t0 ∆V R1 + VB + t1 i ∆V3 i1 t2 VA − i2 R3 R0 ∆V2 i0 R2 − i2 − R1 ∆V VT i1 ∆V3 Figura 72.3: esercizio E0004 3. [E0006] Dato il circuito elettrico in figura, determinarne il funzionamento per ogni configurazione degli interruttori. Le resistenze hanno valore R0 = 36 Ω, R1 = 12 Ω, R2 = 6 Ω, R3 = 18 Ω; ∆V = 240 V . [A seconda di come sono messi gli interruttori dovere calcolare le correnti elettriche in tutti i rami, ed i valori del potenziale nei punti A e B.] 4. [E0010] L’impianto elettrico di un certo appartamento è alimentato da una tensione ∆V = 220 V . Per rispettare il contratto di fornitura, un limitatore di corrente stacca l’alimentazione quando nel circuito entra una corrente superiore ad Imax = 15 A. Se in questo momento nella casa sono accesi una lavatrice di potenza Plav = 1, 5 kW , due stufe elettriche di potenza Ps = 700 W ed un televisore di potenza Pt = 200 W , quante lampadine da Pl = 30 W att possono rimanere accese contemporaneamente? VB + − VT Figura 72.4: Esercizio: E0006 R3 Parte XIII Matematica 159 Matematica per la fisica 73.1 Scheda 73 Moltiplicando per la stessa quantità sia a destra che a sinistra di un’equazione, l’equazione rimane vera. Introduzione La matematica è la lingua con la quale si parla di fisica, ed è quindi molto importante. In questa scheda mi limito ad approfondire solo alcuni semplici aspetti utili per affrontare lo studio della fisica di base, senza pretendere di essere rigorosissimi nelle affermazioni.. 73.2 73.3 Esempi di formule inverse Secondo principio della dinamica F =m·a Equazioni di primo grado Voglio trovare m, quindi divido per a Ogni formula di fisica è di fatto un’equazione. Nella maggior parte dei casi saranno equazioni di primo grado, che si risolvono semplicementre trovando quella che spesso chiamiamo formula inversa. Per trovare la formula inversa di una data formula bisogna isolare la variabile che si vuole trovare e per farlo soltanto due tipi di azioni possono essere svolte: sottrarre o sommare, oppure moltiplicare o dividere. Consiglio di capire e provare a ripetere gli esempi riportati nella sezione 73.3 73.2.1 F m·a = a a F =m a Oppure, se voglio trovare a divido per m m·a F = m m Sottrarre o sommare F =a m Se a=b Legge di conservazione dell’energia allora anche 1 1 mVi2 + mghi = mVf2 + mghf 2 2 a+c=b+c Sommando la stessa quantità sia a destra che a sinistra di un’equazione, l’equazione rimane vera. 73.2.2 Voglio trovare hi , per cui prima sottraggo da ambo i membri 1 1 1 1 mVi2 + mghi − mVi2 = mVf2 + mghf − mVi2 2 2 2 2 Moltiplicare o dividere mghi = Se a=b 1 1 mVf2 + mghf − mVi2 2 2 ed ora divido ambo i membri allora anche mghi = mg a·c=b·c 160 1 2 2 mVf + mghf − 12 mVi2 mg 161 Scheda73. Matematica per la fisica e semplificamdo ottengo hi = 1 2 2 Vf + ghf − 21 Vi2 g Se invece voglio trovare Vi allora 1 1 mVi2 + mghi −mghi = mVf2 + mghf −mghi 2 2 1 1 mVi2 = mVf2 + mghf − mghi 2 2 e successivamente divido ambo i membri 1 2 2 mVi 1 2m Vi2 = = Funzioni trigonometriche 73.5 La circonferenza trigonometrica Le funzioni trigonometriche sono definite a partire dalla circonferenza trigonometrica. La circonferenza trigonometrica ha raggio r = 1. Su di essa indichiamo dei raggi-vettore definiti dall’angolo che formano con la verticale. Il raggio-vettore verticale verso l’alto rappresenta un angolo di zero gradi. Gli angoli si contano crescenti in senso orario1 . Come vedete in figura, la lunghezza dei segmanti colorati indica il valore di seno, coseno, tangente e cotangente dell’angolo α: sen(α), cos(α), tg(α), ctg(α). Conseguenza della definizione è che + mghf − mghi −1 < sen(α) < 1 1 2m 1 2 2 mVf s Vi = 1 2 2 mVf 73.4 −1 < cos(α) < 1 + mghf − mghi 1 2m 1 2 2 mVf sen2 (α) + cos2 (α) = 1 La tangente dell’angolo è definita come + mghf − mghi tg(α) = 1 2m sen(α) cos(α) La cotangente dell’angolo è definita come Legge di conservazione della portata ctg(α) = Si Vi = Sf Vf cos(α) sen(α) Per trovare Vi divido ambo i membri Si Vi Sf Vf = Si Si Vi = Sf Vf Si 1 La circonferenza così definita viene utilizzata in topografia... leggermente diversa, ma senza cambiarne il significato, quella usata negli altri campi scientifici. 162 Scheda73. Matematica per la fisica tg(α) ctg(α) sin(α) cos(α) α Figura 73.1: la circonferenza trigonometrica con indicate le funzioni trigonometriche. 163 Scheda73. Matematica per la fisica Indice I 1 2 2 II Gli scalari 3 6 1.1 Cos’è uno scalare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 1.2 Prefissi per le unità di misura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 1.3 Conversioni di unità di misura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 Sistemi di riferimento 6.1 Punto di riferimento e assi cartesiani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.2 Sistemi di riferimento e movimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.3 Videolezioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16 16 16 17 1.4 Capire gli scalari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 7 Grandezze cinematiche 7.1 Posizione e Spostamento . . . . . 7.2 Intervallo di tempo . . . . . . . . 7.3 Velocità . . . . . . . . . . . . . . . 7.3.1 Velocità media e istantanea 7.4 Accelerazione . . . . . . . . . . . Introduzione alla fisica Il Sistema internazionale di misura 5 2.1 Intervallo di tempo: la durata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 2.2 Lunghezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 2.3 Massa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 2.4 La Temperatura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6 2.4.1 2.5 3 4 5 Le differenti scale di temperatura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6 L’angolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6 Grandezze fisiche derivate 7 3.1 Superficie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 3.2 Volume . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 3.3 Densità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 Il metodo scientifico 8 4.1 Le parole di Feynmann . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8 4.2 Il metodo scientifico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8 I vettori 10 5.1 Cos’è un vettore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10 5.2 Operazioni con i vettori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10 5.2.1 Somma di vettori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10 5.2.2 Prodotto di uno scalare per un vettore . . . . . . . . . . . . . . . . 11 5.2.3 Scomposizione di un vettore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12 5.2.4 Prodotto scalare di due vettori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 5.2.5 Prodotto vettoriale di due vettori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 Cinematica 15 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18 18 18 18 18 18 Moto rettilineo uniforme e uniformemente accelerato 8.1 Moto rettilineo uniforme . . . . . . . . . . . . . . 8.2 Moto uniformemente accelerato . . . . . . . . . . 8.2.1 La caduta dei gravi . . . . . . . . . . . . . 8.3 Moto parabolico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 19 19 19 20 Moti periodici e orologi 9.1 Moto periodico e misura del tempo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9.2 Unità di misura del tempo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9.3 Orologi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21 21 21 21 10 Moto circolare uniforme 10.1 Definizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.2 La velocità angolare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22 22 22 8 9 III . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Dinamica 11 La distribuzione di massa 11.1 Il baricentro di un corpo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11.2 Il momento di inerzia di un corpo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23 24 24 24 164 12 I tre principi della dinamica 12.1 Primo principio . . . . . . . . 12.1.1 Equilibrio traslazionale 12.2 Secondo principio . . . . . . . 12.3 Terzo principio . . . . . . . . . Scheda73. Matematica per la fisica 18.2 Energia potenziale gravitazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26 26 26 26 26 13 Pressione 13.1 Definizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13.2 Video di esempio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28 28 28 20 Reazioni vincolari 14 Forza di gravità e forza di Archimede 14.1 Forza di gravità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14.2 Forza di Archimede . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14.2.1 Il problema del galleggiamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29 29 29 29 IV 15 Forza elastica 15.1 L’aggettivo elastico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15.2 Le molle e la legge di Hooke . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15.3 Campo di elasticità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32 32 32 32 16 Forza d’attrito 16.1 Forza d’attrito radente statico . 16.2 Forza d’attrito radente dinamico 16.3 Forza d’attrito volvente . . . . . 16.4 Forza d’attrito viscoso . . . . . . . . . . 33 33 33 33 34 . . . . . . 35 35 35 35 35 35 35 18 Legge di gravitazione universale 18.1 La forza di gravità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18.1.1 L’accelerazione di gravità di un pianeta . . . . . . . . . . . . . . . . 37 37 37 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 Forza peso 17.1 Definizione . . . . . . . . . . . . . . 17.2 Un oggetto su di un tavolo . . . . . 17.3 Un oggetto immerso nell’acqua . . 17.4 Un oggetto in un sistema accelerato 17.4.1 Un oggetto che ruota . . . . 17.4.2 La caduta libera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 Momento di una forza 37 38 19.1 Definizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38 19.2 Equilibrio rotazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38 20.1 Definizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Leggi di conservazione 21 Quantità di moto 39 39 40 41 21.1 La quantità di moto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41 21.1.1 Forza e quantità di moto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41 21.2 Conservazione della quantità di moto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41 22 Energia e Lavoro 22.1 Energia cinetica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42 42 22.2 Energia cinetica rotazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42 22.3 Energia interna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42 22.4 Il Lavoro di una forza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42 22.4.1 Il teorema dell’energia cinetica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43 22.5 La Potenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43 23 Forze conservative ed Energia Potenziale 23.1 Forze conservative . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44 44 23.1.1 L’Energia potenziale gravitazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44 23.1.2 L’energia potenziale elastica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44 23.1.3 Altre forme di energia potenziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45 24 Legge di conservazione dell’energia totale 46 24.1 Le parole di Feynmann . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46 24.2 Legge di conservazione dell’energia totale . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46 24.3 Trasformazione dell’energia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46 165 Scheda73. Matematica per la fisica 25 Macchine semplici 49 25.1 Il piano inclinato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49 25.2 La leva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49 25.3 La carrucola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49 25.4 Il torchio idraulico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50 26 Gli urti 51 26.1 Gli urti anelastici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51 26.2 Gli urti elastici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51 26.2.1 Casi particolari di urti elastici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51 V Fluidodinamica 27 Il principio di Pascal 53 . . . . 61 61 61 61 61 32 Riscaldamento 32.1 Calore e temperatura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32.2 Scambi di calore ed equilibrio termico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62 62 62 33 Dilatazione termica 33.1 Dilatazione lineare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33.2 Dilatazione superficiale e volumetrica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63 63 63 34 Transizioni di fase 65 35 Conduzione termica 35.1 La teoria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35.2 Un semplice esperimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35.3 La sensazione di caldo e freddo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66 66 66 66 54 27.1.1 Il torchio idraulico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54 55 28.1 Portata di un tubo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55 28.2 Portata per fluidi incomprimibili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55 VII 56 36 Primo principio della termodinamica 36.1 L’energia interna di un gas . . . . 36.2 Principio zero . . . . . . . . . . . 36.3 Il lavoro fatto da un gas . . . . . . 36.4 Il primo principio . . . . . . . . . 29 Il principio di Bernoulli 29.1 L’equazione di Bernoulli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56 29.1.1 La legge di Stevin . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56 29.1.2 Il tubo di Venturi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57 VI Calorimetria 30 Stati della materia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54 27.1 Il principio di Pascal . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28 La conservazione della portata 31 Temperatura 31.1 Le scale di temperatura . . . . . . 31.1.1 I gradi centigradi . . . . . 31.1.2 I gradi Kelvin . . . . . . . 31.1.3 conversioni di temperature 58 60 30.1 Stati della materia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60 30.1.1 Solidi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60 30.1.2 Liquidi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60 30.1.3 gas . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60 30.2 Cambiamenti di stato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60 Termodinamica 68 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69 69 69 69 69 37 Legge dei gas e trasformazioni termodinamiche 37.1 La legge dei gas perfetti . . . . . . . . . . . . 37.2 Lo stato di un gas . . . . . . . . . . . . . . . 37.3 Trasformazioni termodinamiche . . . . . . . 37.3.1 Isocore . . . . . . . . . . . . . . . . . 37.3.2 Isobare . . . . . . . . . . . . . . . . . 37.3.3 Isoterme . . . . . . . . . . . . . . . . 37.3.4 Adiabatiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70 70 70 70 71 71 71 71 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 166 Scheda73. Matematica per la fisica 37.3.5 Come ragionare con i gas perfetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72 38 Distribuzione Maxwell Boltzmann 38.1 Il concetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38.2 La distribuzione delle velocità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 74 74 74 39 Il ciclo di Carnot 39.1 Trasformazioni cicliche . . . . . . . . . 39.2 Il ciclo di Carnot . . . . . . . . . . . . . 39.3 Il rendimento di un ciclo . . . . . . . . 39.4 Secondo principio della termodinamica 39.4.1 La qualità dell’energia . . . . . 39.5 Cicli frigoriferi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75 75 75 76 76 77 77 40 Il ciclo Otto 40.1 Le trasformazioni del ciclo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 78 78 41 Il ciclo diesel 41.1 Le trasformazioni del ciclo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79 79 42 Entropia 42.1 Definizione di entropia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42.2 Irreversibilità di una trasformazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80 80 80 VIII . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Onde 81 43 Onde 43.1 Definizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43.1.1 Onde meccaniche ed elettromagnetiche 43.1.2 Onde trasversali e longitudinali . . . . 43.1.3 Variabili dell’onda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82 82 82 82 83 44 Riflessione e Rifrazione 44.1 Riflessione . . . . . . . . 44.2 Rifrazione . . . . . . . . . 44.2.1 Riflessione totale . 44.3 Videolezione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84 84 84 84 84 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45 Interferenza 45.1 Il fenomeno dell’interferenza . . . . . . . . . . . . . . . 45.2 Onde stazionarie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45.2.1 Onde stazionarie su corde bloccate agli estremi 45.3 Il fenomeno dei battimenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 86 86 86 87 87 46 Diffrazione 46.1 Il fenomeno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46.2 Alcuni video . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89 89 89 47 Risonanza 47.1 Il fenomeno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90 90 48 Diffusione 48.1 Il fenomeno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91 91 49 Dospersione 49.1 Il fenomeno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92 92 50 Effetto Doppler 50.1 Il fenomeno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50.2 Onde d’urto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93 93 93 51 Le lenti 51.1 Immagine generata da una lente convergente 51.2 Immagine generata da una lente divergente . 51.2.1 La legge dei punti coniugati . . . . . . 51.2.2 Il fattore di ingrandimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 94 94 94 95 95 52 L’arcobaleno 52.1 Osservare un arcobaleno . . . . . . . . 52.2 Il principio di base . . . . . . . . . . . . 52.3 L’arco secondario . . . . . . . . . . . . 52.4 Polarizzazione dell’arcobaleno . . . . . 52.5 La risposta alle domande . . . . . . . . 52.6 Altri arcobaleni . . . . . . . . . . . . . . 52.6.1 Rifrazione in cristalli di ghiaccio 52.6.2 Diffrazione su gocce d’acqua . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97 97 97 99 100 100 101 101 101 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 167 IX Scheda73. Matematica per la fisica Elettromagnetismo 53 Forza di Coulomb 102 103 X Elettrotecnica 114 57 Leggi di Ohm 115 53.1 La carica elettrica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103 57.1 Prima legge di Ohm . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53.2 La forza di Coulomb . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103 57.2 Resistenze in serie e in parallelo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 115 53.3 Il campo elettrico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103 57.2.1 Resistenze in serie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 115 53.4 Linee di campo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103 57.2.2 Resistenze in parallelo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 115 53.4.1 Linee di campo di un dipolo elettrico . . . . . . . . . . . . . . . . . 103 57.2.3 Resistenze ne in serie ne in parallelo . . . . . . . . . . . . . . . . . 115 53.5 La forza Elettrostatica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 104 54 Campo e forza magnetica 105 57.3 Seconda legge di Ohm . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58 Circuiti elettrici Ohmici 115 116 117 105 58.1 Circuiti con un generatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54.2 Campi magnetici e correnti elettriche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105 58.2 Circuiti con molti generatori e leggi di Kirchoff . . . . . . . . . . . . . . . 117 54.3 Campo magnetico di un filo percorso da corrente . . . . . . . . . . . . . . 105 58.2.1 Struttura del circuito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 117 54.4 La forza magnetica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105 58.2.2 Equazioni di maglie e nodi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 118 54.4.1 Moto in un campo magnetico uniforme . . . . . . . . . . . . . . . . 105 58.3 Videolezioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 119 54.5 Calamite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 106 54.5.1 Calamite naturali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 106 54.5.2 Calamite artificiali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 106 54.1 Il campo magnetico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55 L’atomo 108 55.1 I costituenti dell’atomo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 108 55.1.1 Particelle . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 108 55.1.2 Forze tra le particelle . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 108 55.1.3 Un principio fondamentale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 109 55.2 Struttura dell’atomo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 109 55.2.1 Il nucleo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 109 XI Laboratorio 59 Errori di misura 59.1 Il valore della misura e l’errore assoluto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 117 120 121 121 59.1.1 Cifre significative . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 121 59.1.2 Errori di misura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 122 59.1.3 Misure ripetute . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 122 59.1.4 Precisione ed errore relativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 123 59.1.5 Valutazione dell’errore su misure indirette . . . . . . . . . . . . . . 123 55.2.2 Struttura elettronica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 109 55.3 la tavola periodica degli elementi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 109 60.1 La distribuzione Gaussiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 125 55.4 L’esperimento di Rutherford . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 110 60.2 Il risultato della misura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 125 56 Elettrizzazione 112 60 Errori di misura e distribuzione Gaussiana 61 Esperimenti di calorimetria 125 127 56.1 Elettrizzazione per strofinio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 112 61.1 Misura del coefficiente di dilatazione termica lineare . . . . . . . . . . . . 127 56.2 Elettrizzazione per contatto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 112 61.1.1 Apparato sperimentale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 127 56.3 Elettrizzazione per induzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 112 61.1.2 Dati sperimentali e loro elaborazione . . . . . . . . . . . . . . . . . 127 56.3.1 Deviazione di un getto d’acqua . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 112 61.1.3 Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 127 168 Scheda73. Matematica per la fisica 62 Esperimenti di meccanica 129 66 Esercizi di Dinamica 140 62.1 Verifica del secondo principio della dinamica . . . . . . . . . . . . . . . . 129 66.1 Teoria ed esercizi banali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 140 62.1.1 Apparato sperimentale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 129 66.2 Baricentro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 141 62.1.2 Scopo e svolgimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 129 66.3 Forze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 141 62.1.3 Dati sperimentali e loro elaborazione . . . . . . . . . . . . . . . . . 129 66.4 Equilibrio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 142 62.1.4 Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 130 62.2 Determinazione della legge per calcolare il periodo del pendolo . . . . . . 132 62.2.1 Scopo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 132 62.2.2 Apparato sperimentale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 132 62.2.3 Svolgimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 132 63 Relazione di laboratorio 133 63.1 Scopo dell’esperienza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133 63.2 La fisica dell’esperienza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133 63.3 Materiale utilizzato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133 63.4 Procedimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133 67 Esercizi sulle leggi di conservazione 67.1 Energia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 144 144 67.2 Quantità di moto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 147 67.3 Complessivi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 147 68 Esercizi di Fluidodinamica 148 68.1 Legge di conservazione della portata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 148 68.2 Principio di Beernoulli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 148 68.3 Legge di Stevin . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 148 68.4 Principio di Pascal . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 149 63.5 Dati sperimentali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133 63.6 Analisi dei adti sperimentali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133 69.1 esercizi banali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 150 63.7 Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133 69.2 Riscaldamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 151 69.3 Transizioni di fase . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 151 XII Esercizi svolti 64 Esercizi di Base 134 135 64.1 Operazioni con gli scalari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 135 64.2 Eseguire una misura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 135 64.3 Operazioni con i vettori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 135 65 Esercizi di Cinematica 137 69 Esercizi di Calorimetria 150 69.4 Dilatazione termica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 151 69.5 Complessivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 151 70 Esercizi di Termodinamica 70.1 I Gas . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71 Esercizi sui fenomeni ondulatori 153 153 156 71.1 Riflessione e rifrazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 156 71.2 Interferenza e risonanza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 156 71.3 Propagazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 156 71.4 Ottica geometrica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 156 65.1 Grandezze cinematiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 137 65.2 Esercizi banali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 137 65.3 Sistemi di riferimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 137 65.4 Moto rettilineo uniforme . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 138 65.5 Moto uniformemente accelerato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 138 72.1 Elettromagnetismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 157 65.6 Moto parabolico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139 72.2 Elettrotecnica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 157 72 Esercizi di Elettromagnetismo 157 169 XIII Scheda73. Matematica per la fisica Matematica 73 Matematica per la fisica 159 160 73.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 160 73.2 Equazioni di primo grado . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 160 73.2.1 Sottrarre o sommare . . . 73.2.2 Moltiplicare o dividere . 73.3 Esempi di formule inverse . . . 73.4 Funzioni trigonometriche . . . . 73.5 La circonferenza trigonometrica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 160 160 160 161 161
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