CAP. 16 – LA FAMIGLIA NEL TEMPO DELLA MALATTIA Schema 1Il ruolo della famiglia e la sua importanza per il malato 2.La risposta della comunità cristiana 3.La risposta della comunità civile 4.Alcuni casi particolari 4.1.La malattia oncologica 4.2.La fragilità mentale 4.3.La fragilità conseguente a malattie cronico-degenerative 4.4.Anziani 4.5.Diversamente abili 4.6.Extra-comunitario Le famiglie devono spesso gestire malattie critiche e complesse. L’allungarsi dell'età media della popolazione, l’aumento di persone con patologie cronico-degenerative e tumorali, le migliori possibilità di intervento terapeutico e di cura in situazioni critiche, che permettono la sopravvivenza, a volte pagando il prezzo di condizioni limite e di equilibri molto precari, coinvolgono sempre di più la famiglia nella drammatica realtà della sofferenza. 1.Il ruolo della famiglia e la sua importanza per il malato La famiglia dovrebbe essere il luogo privilegiato delle relazioni e dell’ accoglienza reciproca dove sperimentare l'eguale pregio di ciascuno, pur nel rispetto di diversità, anche significative, di carattere, di personalità e di salute. Dovrebbe essere lo spazio di congiunzione delle generazioni per l'apprendimento, la conservazione e la trasmissione dei valori fondanti ed irrinunciabili. Dovrebbe essere il seme della socialità, e contrassegnare la comunità civile con gli atteggiamenti buoni che vive. Mi sono avvalso più volte del “dovrebbe essere”, perché la situazione attuale è differente, essendo carenti nell'attuale contesto societario e culturale i concetti di comunità e di appartenenza. Inoltre, la famiglia attraversa nella nostra società una crisi senza precedenti con separazioni, divorzi, convivenze… che complicano ulteriormente il problema e manifesta una fragilità strutturale che la rende spesso incapace di reagire alle tante difficoltà della vita. La realtà della malattia può costituire per la famiglia un carico troppo pesante, se non viene sostenuta e tutelata come “il primo e più naturale luogo di cura” perché quando un componente si ammala, il nucleo famigliare è sconvolto e profondamente coinvolto nella situazione del congiunto. La famiglia, da sempre, ha rivestito un ruolo centrale nella cura; la presenza, il sostegno, l’affetto del nucleo parentale costituiscono per il sofferente un fattore essenziale. 227 I famigliari, dunque, sono elementi terapeutici importanti, ma anch’essi devono compiere un cammino di accettazione e di maturazione che richiede tempo, impegno e supporto esterno. Ma, nonostante che la famiglia rivesta un ruolo fondamentale, a volte c’è la tendenza, primariamente da parte delle istituzioni socio-sanitarie a trascurarla, a lasciarla in disparte, a ritenerla una presenza ingombrante e fastidiosa dimenticandosi che il malato, come persona, è inserito in un contesto di relazioni personali. Il nucleo famigliare isolato non può affrontare e risolvere i problemi generati da una malattia complessa di un suo membro; rischia di soccombere nonostante gli atti di eroismo individuale. A questo negativo panorama dobbiamo sommare un dato ulteriore: la società contemporanea allontana il dolore e la morte dalla quotidianità. Si comporta nei confronti della sofferenza, in particolare di quella psichiatrica e della disabilità, con le stesse modalità adottate ai tempi di san Francesco d' Assisi nell’evitare i lebbrosi. 2.La risposta della comunità cristiana Gesù nel suo ministero ha avuto particolare attenzione anche per i familiari. La rileviamo nei tre miracoli di risurrezione (cfr.: Figlia di Giairo Mt. 5,33-43; Figlio della vedova di Nain Lc.7,11-16; Lazzaro Gv. 11,1-45) dove, evidentemente, trattandosi di defunti, la richiesta non poteva che partire dai famigliari. La ritroviamo nei miracoli di guarigione nei riguardi dei genitori: la madre della ragazza posseduta da uno spirito impuro (cfr.: Mt. 15,21-28), il padre del bambino epilettico indemoniato (cfr.: Mt. 17,14-21), ma anche dei parenti, che rivestono il ruolo di “intermediari”: la guarigione della suocera di Pietro (cfr.: Mt. 8,14-15), del Figlio/Servo del centurione romano (cfr.: Gv. 4,46-53), del paralitico calato dal tetto (cfr.: Mt. 9,1-8). Questi insegnamenti di Gesù e vari Documenti del Magistero invitano la Comunità cristiana ad estendere la sua attenzione alle famiglie dei malati instaurando rapporti umani ed affettivi, sostenendola moralmente perché sappia superare il giustificato sconforto, riservandogli adeguati spazi e tempi. A volte, il sofferente o il morente sono già riconciliati con il loro destino, mentre la famiglia fatica a darsi pace e ad accettare l’ineluttabile. Suggerisce la Nota “La pastorale della salute nella Chiesa italiana”: “A loro volta i famigliari hanno bisogno di sostegno per vivere, senza smarrirsi, il peso imposto dalla malattia di un loro congiunto. Un accompagnamento premuroso, che trova uno dei luoghi più propizi nella visita a domicilio o all’ospedale; questa può aiutarli a scoprire nella dolorosa stagione della sofferenza, preziosi valori umani e spirituali” (n. 37). Alcuni suggerimenti pratici per la comunità cristiana affinchè la famiglia del malato diventi un luogo di produzione di senso e di costruzione di speranza. -Programmare catechesi sull’accompagnamento delle famiglie con situazioni gravi di malattia. Questa diventa uno strumento pastorale importante per sensibilizzare la comunità cristiana a compiere gesti di carità. Infatti la comunità non è chiamata unicamente ad essere attenta alla sofferenza ma anche ad entrare in relazione con il malato e con i famigliari. 228 -Far crescere nei giovani la “solidarietà generazionale”. L’esempio ce lo offre la Madonna; la sua visita alla cugina Elisabetta che avanzata in età necessitava di assistenza (cfr.: Lc. 1,39-45) evidenzia nei legami familiari questa solidarietà fra le generazioni. -Integrare la pastorale della salute con le altre pastorali e i gruppi presenti in parrocchia; esempio con la Caritas, i ministri straordinari dell’eucarestia, le varie associazioni cattoliche di volontariato, la cappellania ospedaliera dove è presente un ospedale. Per operare questa integrazione pastorale serve superare le dicotomie, le chiusure, i particolarismi, imparando a valorizzare le risorse, nella logica della condivisione e della collaborazione. Solo così, nessuna famiglia rimarrà sola. -Puntare sulla cultura dell’umanizzazione della sofferenza. Scriveva papa Benedetto XVI, nella enciclica Spe Salvi: “La misura dell’umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e col sofferente. Questo vale per il singolo come per la società. Una società che non riesce ad accettare i sofferenti e non è capace di contribuire mediante la com-passione a far sì che la sofferenza venga condivisa e portata anche interiormente è una società crudele e disumana” (n. 38). Ciò significa che avere a cuore la famiglia in queste circostanze è un passo decisivo per costruire una cultura della com-passione e prevenire la deriva crudele e disumana nei confronti della vita, per certi versi già in atto nella nostra società. -Accompagnamento spirituale. Ecco l’importanza di predisporre delle celebrazioni rivolte anche ai famigliari dei malati, come pure della relazione pastorale d’aiuto come strumento per accompagnare i malati, ma anche le famiglie. 3.La risposta della comunità civile Famiglia e comunità civile dovrebbero essere profondamente comunicanti; l'una necessita dell'altra, ma se svuotiamo i concetti di comunità e di appartenenza, accennati in precedenza, anche la famiglia s'inaridisce e si impoverisce mentre in sostegno delle famiglie dei malati è richiesto anche l’apporto della società civile mediante il potenziamento delle risorse umane, professionali, tecnologiche ed economiche. Positivo è il percorso indicato a livello europeo e recepito, in parte, dalle politiche sociali e della salute dello Stato e dalle Regionali nella costruzione di un contesto sociale di "welfare community", nel quale, in piena integrazione tra pubblico e privato sociale, vi sia valorizzazione e integrazione delle risorse al servizio dei bisogni di salute, con particolare tutela delle condizioni di maggior fragilità, nell'ottica della protezione sociale delle situazioni a rischio. Unicamente in una logica di intervento congiunto e sinergico è possibile aiutare malati e famiglie a vivere e attraversare la malattia e la morte. Non possiamo però dimenticare, che nonostante l’aumento della cultura del “welfare community” e la presenza di normative a favore delle famiglie dei sofferenti, queste, per essere attuate, spesso necessitano il supporto e la pressione di una società civile sensibile, preparata e determinata. Infatti la famiglia, frequentemente, oltre le problematiche poste dal parente malato, deve affrontare un travagliato percorso per ottenere dalle Istituzioni l’indispensabile per un’efficace cura e una dignitosa qualità di vita. File interminabili per accedere alle informazioni, per acquisire ausili o presidi medici, per compilare richieste di invalidità o di accompagnamento, ed incomprensibili lungaggini burocratiche per l’adempimento delle pratiche amministrative. La costosa e dannosa 229 “burocrazia”, in continuo aumento, è il muro contro il quale si scontrano i parenti dei malati perché si è scordato che la finalità primaria delle Istituzioni pubbliche e private è il benessere del cittadino e, di conseguenza, il rispetto dei suoi diritti fondamentali anche tramite il superamento di certe rigidità spesso disumane. Occorre un profondo impegno delle Istituzioni, affinché gli enti erogatori dei servizi al sofferente forniscano prestazioni efficienti e celeri, dato che la gravità della malattia, spesso, non concede tempo. 4.Alcuni casi particolari Focalizziamo l’attenzione su alcune situazioni paradigmatiche, dalle quali emergono il forte legame tra la famiglia e la malattia. 4.1.LA MALATTIA ONCOLOGICA La diagnosi di cancro rappresenta un evento drammatico non solo per l’ammalato, ma anche per la sua famiglia, che spesso attraversa psicologicamente le stesse fasi vissute dall’infermo, identificate dalla psichiatra svizzera E. Kubler Ross nella negazione, nella disperazione, nella collera, nella rielaborazione e nell’ accettazione1. La difficoltà nella comunicazione con il malato è uno degli aspetti che più negativamente incide sul nucleo familiare, in particolare la “comunicazione della verità”. ( es. problema della verità). Spesso, ancora oggi, la realtà diagnostica è vergognosamente occultata da medici e da famigliari. Nascondere la verità, significa derubare il malato di una componente essenziale della sua dignità di persona! Ammonisce J. F. Malherbe: “Dire la verità all’interessato è una regola morale che dovrebbe reggere tutti i rapporti umani. La verità non è sempre comoda, ma, se non la si dice occorre tacerla con tutti. Dirla a tutti, tranne che all’interessato, è il peggio che si possa fare”2. L’ammalato oncologico, come tutti i pazienti, ha diritto ad essere informato sulle sue condizioni e, quindi, a conoscere la verità che va comunicata mediata, gradualmente e in un clima dialogico. Accompagnare con la verità un familiare in fase terminale è un compito arduo ma è il coronamento dei molteplici gesti d'amore, di stima e d'affetto che si sono vissuti insieme 4.2.LA FRAGILITÀ MENTALE Le trasformazioni societarie degli ultimi decenni hanno inciso favorevolmente sull’ immagine di colui che nel passato era ritenuto pericoloso, perciò da tenersi contenuto e custodito in luoghi chiusi ed isolati. Dal 1978, con la “Legge Basaglia”, si è passati dall'internamento, con l'obiettivo di ridurre la pericolosità, alla cura della malattia con la finalità di giungere all'inserimento sociale. Dimostrato che i manicomi non giovavano, si sono progettate delle alternative, anche se in vari casi questi malati non sono stati adeguatamente supportati per la mancanza delle strutture di sostegno previste. Ma anche oggi, pur meno che nel passato, il binomio malattia-psichica e pericolosità sociale è ancora diffuso, e tutto ciò che inizia con il suffisso "ps" incute timore. Scomparsi i 1 2 Cfr.: E. KUBLER ROSS, La morte e il morire, Cittadella, Assisi 2005. J.F. MALHERBE, Per un’etica della medicina, Paoline, Cinisello Balsamo (Mi), pg. 174. 230 manicomi non è sparita la manicomialità come modo e stile di avvicinarsi e rapportarsi con il sofferente di fragilità mentale. Quando si manifestano disturbi psichici la famiglia è smarrita e, il più delle volte, si chiude nella solitudine, con vergogna. A secondo dei casi, la famiglia deve affrontare drammatiche situazioni: la lunga attesa dell’intervento dei servizi territoriali, la mancanza di accompagnamento quando il paziente è dimesso dalle strutture protette, il convivere sotto lo stesso tetto con malati che frequentano il Servizio Ambulatoriale o le Strutture Semiresidenziali. I tragici fatti di cronaca che ci mostrano famiglie drammaticamente distrutte sono il segnale che queste sono spesso abbandonate, ma, d’altra parte, è impensabile fare meglio con le poche risorse a disposizione. E’ fondamentale impostare una cultura che superi gli atteggiamenti emotivi e i preconcetti verso il portatore di handicap psichico affinché possa, gradualmente, essere introdotto nel contesto societario e lavorativo; di ciò ne gioverà anche la famiglia. Nei confronti di questi "strani" si richiede un comportamento positivo, superando la paura che ha radice prevalentemente nella disinformazione, dimostrando disponibilità all'ascolto senza pregiudizi per aiutarli a superare il disagio e la solitudine; infatti, guarire, è anche ritrovare la capacità di relazione con gli altri. 4.3.LA FRAGILITÀ CONSEGUENTE A MALATTIE CRONICO-DEGENERATIVE Il racconto testimonia una delle tante condizioni di grave disagio in cui si trova la famiglia con un membro affetto da S.L.A3. “Gisella, quarantotto anni, vive con il secondo marito Sergio e quattro figli; è malata da cinque anni di S.L.A. Gisella ha iniziato ad avere difficoltà nel camminare; in seguito e gradualmente si è indebolita tutta la sua muscolatura, finché si è ritrovata costretta alla carrozzina e poi a letto immobile. Le crescenti difficoltà respiratorie l'hanno portata a ricorrere alla ventilazione non invasiva, con una maschera sul viso, dapprima soprattutto nelle ore notturne, poi sempre più spesso anche di giorno. Infine, si è dovuto ricorrere alla tracheotomia, con il suo consenso, quindi al supporto continuo con un ventilatore meccanico, da cui dipende per vivere. Ora Gisella non può più scambiare nemmeno qualche parola con i suoi cari, i quali stanno imparando a comunicare con lei attraverso una lavagnetta trasparente su cui stanno in ordine le lettere dell'alfabeto che Gisella indica faticosamente con lo sguardo. Il medico di medicina generale visita periodicamente la sua paziente e il suo intervento è integrato da quello di un infermiere dell'assistenza domiciliare. I figli adolescenti vedono volentieri l'avvicendarsi delle vicine di casa e delle amiche della mamma, che li fanno sentire autorizzati ad uscire con gli amici. Le figlie, quasi trentenni, garantiscono l'assistenza in momenti di particolare necessità. L'incarico di svolgere i numerosi e impegnativi compiti di accudimento continuo, soprattutto di comunicazione, aspirazione delle secrezioni tracheali, di mobilizzazione dal letto, di nutrizione e d'igiene è demandato a una badante. Nei tempi di riposo di questa, Sergio è l'infermiere della sua compagna: le sere e le notti, i sabati e le domeniche sono impegnati per lei. Gisella è cristiana, ha sempre coltivato la sua fede religiosa anche attraverso attività di servizio nella sua parrocchia. Nella comunità parrocchiale la storia di Gisella è sentita da molti, che cercano di sostenere Sergio e i ragazzi in vari modi, con delicatezza. Gisella 3 S.L.A.:sclerosi laterale amiotrofica; patologia neurologica dovuta alla degenerazione delle cellule nervose, quelle che permettono il movimento dei muscoli. 231 stessa con i suoi semplici messaggi a volte vorrebbe incoraggiare chi la circonda. A volte invece è difficile capire cosa pensa e desidera, quando tende a chiudersi e a lasciarsi andare”4. Punti critici. La malattia devastante e inesorabilmente progressiva; il rinnovamento del rapporto dei familiari con l’ ammalata; le scelte terapeutiche legate a decisioni personali frutto di un difficile percorso di consapevolezza della malattia e delle prospettive di vita; le difficoltà del medico di famiglia; l'impegno aggiuntivo dei sanitari ospedalieri in mancanza di "copertura" strutturata nelle fasi critiche; l'impegno economico familiare per garantire l'assistenza continua; le difficoltà di comunicazione e quindi di relazione; la ricerca di senso nella sofferenza e nella precarietà e la difficoltà a vedere prospettive per il futuro Risorse. Il cammino compiuto da Gisella negli anni di malattia con i suoi cari; la presenza di un' assistente familiare affidabile e preparata; la tecnologia al servizio dei bisogni della persona; la presenza di amici e conoscenti disponibili; il sostegno della fede; la comunità portatrice di affetto e vicinanza. 4.4.ANZIANI Mentre il secolo XX fu quello della crescita demografica, il XXI sarà quello dell'invecchiamento della popolazione; il secolo in cui la maggioranza delle famiglie non riuscirà a soddisfare i bisogni che nasceranno nella stessa; pensiamo, ad esempio, alla gestione dei genitori anziani nelle famiglie mononucleali. Vivere con un anziano non autosufficiente determina, in generale, un peggioramento psico-relazionale tanto dell'individuo quanto della famiglia che lo assiste. Perciò, consapevoli dell’oneroso impegno richiesto dall’assistenza all’anziano e anche del costo, la famiglia va aiutata con politiche sociali e fiscali adeguate. E’ indispensabile, inoltre, recuperare i valori del vicinato per creare reti formali e informali legate al piano, al caseggiato, al quartiere, composte da parenti, vicini, amici e volontari. Si pensi al contributo che si potrebbe offrire a chi rimane solo perché i figli sono al lavoro e necessita di chi lo visiti con regolarità, gli procuri la spesa, gli prepari il pranzo. Gli anziani, che per la crescita della società e la gestione della famiglia hanno sostenuto lotte e sacrifici, devono ottenere l'accoglienza e la solidarietà che nel corso del tempo hanno donato, sconfiggendo il paradossale e velato rischio di colpevolizzarli per alcune esigenze che la loro età comporta. 4.5.DIVERSAMENTE ABILI Una testimonianza: “La nostra terza figlia è affetta dalla sindrome di Down, e dal momento in cui è nata, la nostra vita è cambiata profondamente sia sul piano sociale che su quello affettivosentimentale. Quali difficoltà abbiamo dovuto affrontare? L’impreparazione: quando nasce un figlio “diversamente abile” si è completamente impreparati; si sa che capita, ma si pensa sempre che interessi gli altri. La completa ignoranza sulla malattia: non avevamo la minima idea su cosa comportasse l’essere 4 Dal materiale predisposto dall’Ufficio per la pastorale della salute della diocesi di Milano per la Giornata Mondiale del Malato 2012. 232 “down”. Gli aiuti sono stati pochi e rapidi: presto ci siamo ritrovati da soli, con l’ indirizzo e il numero di telefono di un’associazione. Per noi la vita è cambia totalmente, e dopo un certo numero di anni, possiamo affermare che è cambiata “in meglio”. La nostra bimba, oggi ormai cresciuta, si è rivelata un dono di Dio e ci ha aiutato a comprendere le reali priorità della vita. Ci riempie inoltre con l’ affetto, e spesso non ci accorgiamo delle sue differenze. Ma non per tutti è così!”5 Questi eventi, a volte, distruggono le famiglie: mamme e bimbo da una parte, papà dall’altra, oppure, il bimbo è abbandonato dai genitori in ospedale. Ciò è supportato anche da un’azione medica che spesso invita alla pratica abortista nel caso in cui il nascituro sia identificato a rischio. Troviamo, inoltre, il cosiddetto “dopo di noi” che diventa un’emergenza in famiglie con persone disabili, quando le figure genitoriali invecchiano o muoiono. 4.6.EXTRA-COMUNITARIO Il binomio extra-comunitario e malattia mostrano un’emergenza presente nel nostro territorio trovando varie famiglie, soprattutto senza regolare permesso di soggiorno, con un componente malato. Queste famiglie, che non conoscono la lingua, le regole e le norme vigenti, prive di disponibilità economiche, non sanno dove andare e a chi rivolgersi. La presenza di un componente malato porta alla negazione della malattia, al suo rifiuto, a sottovalutarla, con il grosso rischio di trasformare una patologia curabile in incurabile, da lieve a grave. Inoltre, la presenza di un componente infermo può portare al suo abbandono, oppure alla disgregazione della famiglia stessa o all’attuazione di gesti o atteggiamenti impropri. Per questo, nel territorio, sono sorte varie Opere con la finalità di fornire, mediante poliambulatori multidisciplinari, un’assistenza sanitaria gratuita a queste famiglie e alle persone indigenti e bisognose che vivono ai margini della società. La gratuità e l’accoglienza sono i principi fondamentali e la base dell’agire dei medici, dei dentisti, dei farmacisti, degli infermieri professionali e dei volontari, che operano nei poliambulatorio con professionalità altamente qualificata. E così, le famiglie e i loro congiunti, ricevono con amore ed umanità non solo le cure sanitarie ma anche ascolto, attenzione, soluzioni di bisogni immediati. 5 Dal materiale predisposto dall’Ufficio per la pastorale della salute della diocesi di Milano per la Giornata Mondiale del Malato 2012 233
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