Guarda che luna “Che luna che c’è stasera..”. È questa la prima cosa che pensai appena successe. In questi casi uno potrebbe immaginarsi tutt’altra reazione, che so, fare un commento ironico, pensare tristemente “ma perché proprio a me?”, augurare la stessa cosa a chi ti ha messo in questo guaio; invece no, vidi la luna e pensai a quanto fosse bella. Era lassù, tonda al massimo della sua grandezza, colorata di quel giallo che solo la luna può avere, di quella tinta che non è giallo ma quasi avorio, un colore così etereo.. Quella sera si stagliava pur nella sua delicatezza su un cielo blu petrolio, e tutto intorno a lei si vedeva come un lieve alone; era affascinante ed ipnotica con quel suo pallido bagliore, bella come una donna che non ostenta, ma conquista con soavità. Quella sera mi trovavo come sempre a percorrere il solito viale che sei giorni su sette mi porta in ufficio. Ero di ritorno a casa, e non vedevo l’ora di esserci. Mi sentivo la testa piena dello squillo dei telefoni quasi continuamente in sottofondo, e la gola mi faceva male, stanca dopo ore di chiacchere a vuoto. L’aria fredda che trovai all’uscita mi ridestò un minimo dalla spossatezza; poi, una volta in sella alla bici tutto migliora. D’altra parte non posso farci niente: che sia mattina presto o notte fonda, che incontri un caldo soffocante da phon o un freddo antartico, io una volta in sella mi sento invincibile. Tutto è più veloce, le gambe scattano al verde dei semafori, i quadricipiti si induriscono nelle lievi salite urbane; i polsi ben stretti al manubrio e le braccia in tensione, salgo sui pedali per attraversare più velocemente gli incroci. Muoversi in bicicletta è un piacere per me, ma non tutti sembrano capirlo. Una mattina d’inverno che piovigginava, ad esempio, ero fermo al semaforo e una signora dal vicino marciapiede mi urlò con preoccupazione: “Scusi lei, ma come fa con questo freddo?!?”; mi uscì spontanea una risata, e poi ripresi la scia del semaforo verde, non feci in tempo a dirle altro. Il freddo non può impensierire, quello non si sente nemmeno più se ti copri un po’, e poi pedalando, altro che freddo! Se dopo un po’ che pedali ti fermi, sentirai che caldo avvampa dalla giacca! No, non è il gelo, sono le auto che devono preoccupare. Quella sera non aveva niente di particolare: stesso percorso, praticamente identico orario. Solo una cosa era diversa: proprio lì, accanto al marciapiede, aveva parcheggiato una signora di troppo, e per di più distratta. Lo stress da regali natalizi deve aver contribuito pesantemente, e questo posso anche capirlo. Una volta al Pronto Soccorso, l’operatore dell’ambulanza mi disse che stava discutendo con sua sorella proprio sulle tappe da fare per negozi. Era appena andata a prenderla a casa, ed era di fretta; dovevano giostrarsi in poche ore regali per figli, nipoti, mariti e suocere. Purtroppo però se parli verso destra a tua sorella in preda all’isteria e apri contemporaneamente la portiera con la mano sinistra non si ha una chiara idea di quello che ti circonda; tendersi fuori stando col pensiero ancora dentro è un controsenso. Io stavo pedalando alla mia andatura, cercando di capire quanto tempo sarebbe passato a che il SUV gigante che avevo alle calcagna decidesse a superarmi, quando SBAM! Mi ricordo solo un colpo al fianco destro, ho sentito l’aria del SUV che mi passava vicino, un vento a metà tra il freddo serale e il caldo del radiatore dell’auto. Poi i rumori hanno cominciato ad accavallarsi nella mia testa, tutti insieme in un unico concerto stonato: il tonfo metallico del telaio della bici sull’asfalto, il ticchettio veloce della catena che gira a vuoto, un’esclamazione che faceva tipo “Ma che cosa fai, Luisa?!”, un’auto che mi frena vicino, la nota lunga di un clacson, scarpe che strofinano l’asfalto per avvicinarsi a me.. poi tutto si ovatta. Un lieve frescolino invernale punge le mie guance, tutto il resto invece è molto caldo; la gamba sinistra, la schiena, il fianco destro, è tutto un pulsare dolorante. Però c’è quella luna, che bella che è. Mi dimentico di tutto, l’asfalto mi sembra quasi comodo, sdraiato su quel materasso che poi è la mia giacca. Trovo che questa posizione immobile, a pancia in su, sia tra le migliori per godere di quello spettacolo. “Ma guarda, ci sono anche le lucciole stasera..” pensai, poco prima di svenire. Qualche giorno dopo stavo già meglio, nel giro di poche settimane tornai in sella. Non poteva certo essere una svampita nevrotica a farmi ricredere delle mie convinzioni. Il Natale fu la scusa per sistemare la bici e comprarmi un caschetto. Mancava solo lui in effetti; la mia bici era già abbondantemente addobbata di lucine e placchette rifrangenti. Per il colore del casco non ebbi alcun dubbio: come quello della luna.
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