Trigger (storia di uno sguardo) - Associazione Culturale Spazio Arte

Claudio Re, anno 1983, è nato e risiede
a Verbania. Chimico di professione,
studia da diversi anni il potente
mezzo comunicativo della fotografia.
Nella sua ricerca artistica, condotta
rigorosamente in bianco e nero e
attraverso apparecchi analogici in
medio e grande formato, si dimostra
profondamente attratto dal tema della
psiche umana, nel difficile intento di
raccontare, attraverso le immagini, i
profondi stati d’animo dell’uomo.
La mostra allo Spazio Arte Carlo
Farioli è la sua prima personale.
Claudio Re
ORARI
giovedì-venerdì-sabato 16.30/19.00
domenica 10.00/12.00 - 16.30/19.00
in altri orari su appuntamento
Ingresso libero
Trigger (storia di uno sguardo)
Via Silvio Pellico, 15
Busto Arsizio (Va)
t. 348 7224557
mostra fotografica di Claudio Re
a cura di Manuela Ciriacono
18 ottobre - 2 novembre 2014
www.farioliarte.it
[email protected]
SPAZIO ARTE CARLO FARIOLI
FESTIVAL
FOTOGRAFICO
EUROPEO
INCONTRO CON L’AUTORE
domenica 26 ottobre, ore 11.00
www.europhotofestival.it
TRIGGER (STORIA DI UNO SGUARDO)
Testo di Manuela Ciriacono
In un’epoca in cui una fotografia può essere creata senza trovarsi necessariamente dietro ad un
obiettivo, addirittura senza nemmeno ricorrere ad un qualsivoglia strumento fotografico, pare
quanto mai strano trovarsi ad esaminare i lavori fotografici di Claudio Re che, a prima vista,
sembrano rientrare a pieno titolo nella brulicante categoria dei fotomontaggi. Viene da chiedersi
se e quale senso possa avere per un autore, nell’era di Photoshop e dei più avanzati strumenti di
foto-ritocco digitale, confrontarsi con questo tipo di tecnica.
E invece possiamo tranquillamente affermare che il percorso di Claudio Re muove in direzione
ostinata e contraria alle estreme manipolazioni digitali tanto in voga oggi, per riportarsi, invece,
agli albori della fotografia, quando il fotomontaggio costituiva una delle pratiche maggiormente
esplorate dalle avanguardie del primo novecento. E’ in quel clima di grande fervore sperimentale
che nacquero le famose solarizzazioni di Man Ray e i primi collage fotografici dei dadaisti George
Grosz, John Heartfield, Hannah Höch.
E con quello stesso spirito di indagine empirica e di approccio genuinamente manuale Claudio
Re concepisce e porta avanti la sua ricerca. Lavorando rigorosamente in analogico, ha messo a
punto un suo personalissimo metodo operativo, che sembra disconoscere totalmente l’esistenza
del digitale, ricorrendo, in modo volutamente anacronistico, a quegli stessi procedimenti scoperti
ed utilizzati dai surrealisti.
In particolare Claudio ha fatto sua la tecnica della doppia o multi esposizione, che si basa sulla
sovrimpressione di due o più immagini, impresse, nel suo caso, direttamente su negativo,
agendo quindi in fase di scatto e non di stampa, come più spesso accade. Chi si cimentò con
questa tecnica fu, ad esempio, Jacques Henri Lartigue che a partire dal 1904 realizza alcune
sovrimpressioni per creare foto di “pseudo-fantasmi”, come lui stesso dichiara. Ma, come già
anticipato, è soprattutto l’universo surrealista quello a cui guarda e in cui trova ispirazione Claudio
Re, dove la doppia esposizione diventa funzionale a raffigurare il tema del doppio e delle libere
associazioni, tanto cari a Brèton e compagni. Quanto più la doppia esposizione è perfettamente
resa e, dunque, la sovrapposizione delle immagini difficilmente distinguibile, tanto maggiore sarà
l’effetto di disorientamento nell’osservatore, provocato dall’accostamento di oggetti e spazi tra
loro apparentemente estranei.
Con “Trigger” l’autore porta a maturazione la sua ricerca artistica dedicata allo studio della psiche
umana, dei suoi meccanismi e dei suoi segreti. Come i testi di Freud influenzarono la produzione
artistica delle avanguardie, così oggi Claudio basa la sua ricerca sulla lettura e l’analisi di testi
scientifici, di ambito psicologico e psicanalitico, da cui estrapola alcuni concetti chiave che traduce
poi in visioni ben precise. Rispetto al primo Surrealismo viene meno il processo di automatismo
psichico: non c’è alcuna casualità nella scelta dei soggetti, non si vuole dare voce all’inconscio
sommerso dell’autore, al libero flusso di pensieri; piuttosto, ogni immagine è concepita secondo
una costruzione consapevole e determinata. Lo scatto fotografico è addirittura preceduto da un
bozzetto, per ridurre al minimo i margini di errore e per aiutarsi nel pre-figurare quella che sarà
la composizione finale.
Da questo punto di vista l’opera di Claudio Re è molto più vicina, infatti, al surrealismo di Renè
Magritte che ai deliri onirici di Dalì. Il pittore belga amava, infatti, giocare con gli accostamenti
inconsueti e gli spostamenti di senso, nel tentativo di svelare i lati indecifrabili dell’universo.
Allo stesso modo lo sguardo di Claudio è uno sguardo lucido sulla realtà che lo circonda: il mondo
esterno è colto dall’autore nella sua disarmante verità, nella sua oggettività apparente e talvolta
banale (una caffettiera, un abito, un uovo), sotto cui però si cela la soggettività di uno sguardo che
interpreta la realtà secondo il proprio vissuto psichico e psicologico.
“Trigger (Storia di uno sguardo)” nasce dallo studio dell’autore intorno alla “psicologia della
paura”. In tale ambito, infatti, si definisce “trigger” (letteralmente “grilletto”) il meccanismo
mentale atto a risvegliare il ricordo di un evento traumatico vissuto nel passato, fino a quel
momento celato abilmente dalla mente. Ecco che all’improvviso un oggetto apparentemente
insignificante diventa la chiave di accesso ad un altro piano della realtà, dove però il confine tra
reale e irreale, conscio e inconscio è quanto mai labile.
Le fotografie di Claudio Re si dispiegano, dunque, come una narrazione intima, scandita
visivamente in capitoli, in cui il protagonista affronta un percorso, non necessariamente risolutivo,
ma di crescente consapevolezza interiore, che si conclude con l’ineluttabile e spietato confronto
con le proprie paure e con il riconoscere finalmente sé stessi in quel volto che ci fissa dall’altro
lato dello specchio.