Il diritto di avere diritti

Nelle pagine precedenti del cap. VI Rodotà ricostruisce come storicamente il diritto abbia
elaborato vere e proprie figure sociali che hanno avuto di volta in volta persistenza nel tempo. A
cominciare dalla istituzione del cittadino (1789:Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino)
per passare “all’invenzione del soggetto astratto, vero connotato della modernità”. Entrambe
queste figure hanno subito torsioni nel gioco delle relazioni sociali di potere che han fatto
assumere loro connotati limitanti sul versante della libertà e dell’uguaglianza e del reciproco
equilibrio. Le pagine seguenti argomentano intorno al passaggio dal concetto di soggetto a quello
di persona come portato della seconda metà del Novecento.
Da Stefano Rodotà, Il diritto di avere diritti, Laterza, Roma-Bari 2012, pp. 183-188
Si è già sottolineato come l'astrazione del soggetto fosse indispensabile per uscire dalla società degli status e aprire così la via al riconoscimento dell'eguaglianza. Quel che va respinto è un uso politico che
ha via via sterilizzato la forza storica e teorica di quell'invenzione,
riducendo il soggetto a uno scheletro che isolava l'individuo, lo separava da ogni contesto, faceva astrazione dalle condizioni materiali.
Perciò era indispensabile intraprendere un diverso cammino. Da qui
la necessità di riprendere il filo spezzato dell' eguaglianza, sottraendola non ai benefici di una forma che continua a essere strumento
contro l'istituzionalizzazione delle discriminazioni, ma a una indifferenza per la realtà dell' essere, disegnando così nuove gerarchie
e nuovi abbandoni fondati sulla forza politica e la prepotenza del
mercato. Da qui la necessità di costruire un contesto in cui libertà
e eguaglianza potessero riprendere a dialogare dopo le grandi tragedie del Novecento. Da qui la necessità di fondamenti capaci di
dare all'eguaglianza la pienezza richiesta pure dal mutare dei tempi.
Da qui la necessità di passare dal soggetto alla persona, intendendo
quest'ultima come la categoria che meglio permette di dare evidenza alla vita individuale e alla sua immersione nelle relazioni sociali.
Da qui, in definitiva, una nuova antropologia, espressa attraverso la
costituzionalizzazione della persona.
La rivoluzione della dignità
Con questi dilemmi, e con altri che emergono dalla complessità teorica del tema e dall'asprezza di una storia fitta di ammonimenti, si
misurano i costituenti italiani, e con essi tutti gli altri costituenti del
tempo, quelli che mettono mano alla Costituzione tedesca e quelli
presenti nell'Assemblea generale delle Nazioni Unite. Ma non siamo di fronte a una semplice ripresa delle antiche tematiche, quasi
che si dovesse chiudere la lunga e tragica parentesi delle dittature e
della guerra, con una sorta di heri dicebamus che rimetteva al centro
dell' attenzione solo la coppia forte nella Dichiarazione dei diritti
dell'89 e nelle dichiarazioni dei diritti degli Stati americani - il nascere di tutti come «liberi e uguali». Questa attenzione esclusiva
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per libertà e eguaglianza è tornata nei tempi recenti per ricostituire
il legame spezzato dal prevalere dell'individualismo proprietario e
restituire pienezza alla figura del cittadino, coniando perciò addirittura un termine nuovo -l' «égalibertés-12. Tuttavia, pur toccando un
punto rilevante del problema, impostazioni come questa non colgono le novità contenute nel costituzionalismo dell'ultimo dopoguerra.
L'innovazione più significativa è affidata al principio di dignità13.
La Costituzione italiana, approvata il 22 dicembre 1947, fa esplicito
riferimento a esso negli artt. 3, 36 e 41, e lo richiama in particolare
nell'art. 32. Un anno dopo, il 10 dicembre 1948, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite approva la Dichiarazione universale dei diritti
dell'uomo, il cui art. 1 integra in modo significativo l'antica formula
settecentesca della Dichiarazione francese («gli uomini nascono e
rimangono liberi ed eguali nei diritti») affermando che «tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti». E 1'8 maggio
1949 la Legge fondamentale tedesca si apre con le parole «La dignità
umana è intangibile. È dovere di ogni potere statale rispettarla e
proteggerla». Una svolta è compiuta, la dignità si presenta come
un ineludibile denominatore comune, disegna, insieme, un nuovo
statuto della persona e un nuovo quadro dei doveri costituzionali.
Sul terreno dei principi questo è il vero lascito del costituzionalismo del dopoguerra. Se la «rivoluzione dell'eguaglianza» era stato
il connotato della modernità, la «rivoluzione della dignità» segna un
tempo nuovo, è figlia del Novecento tragico, apre l'era del rapporto
tra persona, scienza, tecnologia14. E la rilevanza costituzionale della
dignità ci dà una ulteriore indicazione. Descrivendo il tragitto che ha
portato all'emersione dell'eguaglianza come principio costituzionale, si è parlato di un passaggio dall' homo hierarchicus a quello aequalis15, Ora quel tragitto si è allungato, ci ha portato all'homo dignus, e
12 E. Balibar, La proposition de l'égaliberté, Presses Universitaires de France,
Paris 2010.
13 In generale, da ultimo, si veda G. Resta, La dignità, in S. Rodotà e P. Zatti (a
cura di), Trattato di biodiritto, voI. I: Ambito e fonti del biodiritto, Giuffrè, Milano
2010, pp. 259-296.
.
14 «Dopo il 'principio speranza' di Ernst Bloch e quello della 'responsabilità' di
Hans ]onas un terzo principio si è imposto negli ultimi anni al centro del dibattito
filosofico: il 'principio dignità umana'», così P. Becchi, Il principio di dignità umana,
Morcelliana, Milano 2009, p. 5.
15 Il riferimento è alle ben note ricerche di L. Dumont, Homo hierarchicus.
Il sistema delle caste e le sue implicazioni [1966], trad. it. di D. Frigessi, Adelphi,
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la rilevanza assunta dalla dignità induce a proporne una lettura che
la vede come sintesi di libertà e eguaglianza, rafforzate nel loro essere
fondamento della democrazia.
Il cammino costituzionale della dignità è continuato fino all'approdo alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del
2000, che si apre proprio all'insegna della dignità, riproducendo
quasi alla lettera il primo articolo della Costituzione tedesca. Perché
questa scelta, perché si è voluto che proprio la dignità fosse il segno
forte della prima dichiarazione dei diritti del nuovo millennio?
Torniamo agli anni che seguirono quelli drammatici della seconda
guerra mondiale. In un tempo davvero costituente, due costituzioni,
quella italiana del 1948 e quella tedesca del 1949, non si rifanno immediatamente al modello fondato sul codice della libertà e dell'eguaglianza, che aveva accompagnato il costituzionalismo moderno fino a
Weimar e che era stato riconfermato dalla Costituzione francese del
1946. Dignità e lavoro sono i due nuovi punti d'avvio, che non segnano un congedo dai fondamenti della libertà e dell'eguaglianza, ma ne
rinnovano e rafforzano il senso, collocandoli in un contesto nel quale
assume rilevanza primaria la condizione reale della persona, per ciò
che la caratterizza nel profondo (la dignità) e per quel che la colloca
nella dimensione delle relazioni sociali (il lavoro). Il soggetto astratto
s'incarna nella persona concreta. Qui si manifesta una nuova antropologia, che troverà poi molteplici espressioni soprattutto nella nuova
temperie culturale e istituzionale segnata dalla tecnoscienza.
All'origine della scelta dei costituenti tedeschi era, evidentissima, la volontà di reagire alla distruzione dell'umano e alla «morte
di Dio» in un luogo simbolo di quella distruzione, Auschwitz, che
avevano accompagnato l'esperienza nazista e avevano portato alla
«perversione» dell'intero ordine giuridico. Si avvertiva il bisogno di
una fondazione più solida. Da qui il «criptogiusnaturalismo» della
Costituzione tedesca, la consapevolezza «della propria responsabilità davanti a Dio e agli uomini» dichiarata dal popolo tedesco nel
Preambolo di quel testo.
Ma nel momento in cui, nel 2000, si discuteva intorno alle parole
e ai principi ai quali, aprendo la Carta dei diritti fondamentali, doMilano 1991; Id., Homo aequalis, voI. I: Genesi e trionfo dell'ideologia economica.
trad. it. di G. Viale, Adelphi, Milano 1989. Inoltre, Id., Essais sur l'individualisme.
Une perspective anthropologique sur l'ideologie moderne, Seuil, Paris 1983.
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veva essere consegnata la prima immagine costituzionale dell'Europa, la decisione di affidarsi prima d'ogni altra alla parola «dignità»
non voleva esprimere soltanto la rinnovata consapevolezza di rischi
mai del tutto tramontati, la necessità di custodire una memoria dalla
quale la coscienza europea non potrà mai separarsi. L'esperienza di
molti decenni portava oltre il bisogno di un dato di natura al quale
aggrapparsi. Si era ormai di fronte a una costruzione consapevole, storicamente collocata, che rendeva possibile non avere come
orizzonte predominante la logica sostanzialmente «reattiva», «oppositiva», posta all'origine della Costituzione tedesca. La dignità si
presenta ormai come uno strumento che, pur essendo ancora oggetto di diffidenze e critiche, può essere valutato sulla base del modo
in cui è stato concretamente adoperato, e che gli ha consentito una
accettazione anche in ambienti culturali che, come quello francese,
gli erano stati storicamente ostili16. Si era determinata, in sostanza,
una dinamica che sembra inverare quanto è scritto in apertura del
Preambolo della Dichiarazione dell'Onu, riconducendo a verificabili dati di realtà l'enfasi che, altrimenti, la caratterizza: «il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e
dei loro diritti, uguali e inalienabili, costituisce il fondamento della
libertà, della giustizia e della pace nel mondo». Proprio uno sguardo
realistico, tuttavia, obbligava al tempo stesso a rendersi conto che la
dignità conosceva nuove sfide, continuava a essere violata anche in
forme inedite, rendendo così indispensabile non solo una sua riaffermazione d'ordine generale, ma la sua considerazione come un vincolo per la politica e le istituzioni: dal rispetto alla tutela, dal monito
proveniente dal passato all'indicazione per il futuro, dalla statica alla
dinamica. Una dignità non più soltanto oppositiva, ma fondativa. Lo
aveva ben intuito Carlo Esposito, quando aveva sottolineato che il
regime democratico previsto dalla Costituzione repubblicana «non
afferma solo il principio della pari dignità di ogni cittadino, ma della
1(, Si vedano le molte indicazioni di M. Di Ciommo, Dignità umana e Stato
costituzionale, Passigli, Firenze 2010, Per la situazione francese C. Girard e S.
Hennette- Vauchez (a cura di), La dignité de la personne humaine. Recherche sur
un processus de juridicisation, Presses Universitaires de France, Paris 2005; S. Hennetre-Vauchez, Une «dignitas» humaine? Vieilles outres, uin nouueau, in «Droits»,
48,2008, pp. 59-85.
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sovrana dignità di tutti i cittadini»17. Sovrana, dunque, la dignità:
come appunto «virtù sovrana» apparirà più tardi l'eguaglianza a Ronald Dworkin18.
È in questo clima che si compie la scelta che porterà all' art. 1
della Carta dei diritti fondamentali: la persona inseparabile dalla
sua dignità. Questa conclusione richiama una storia lunga, davvero
l'invenzione di un'altra umanità attraverso la dignità dei cristiani
e quella dell'uomo moderno, rinascimentale, con una scoperta che
fece esclamare «magnum miraculum est homo»19. Ma il modo in
cui il tema della dignità è stato riproposto nel tempo che viviamo si
è sempre più identificato non tanto con una essenza o una natura
dell'uomo, quanto piuttosto con le modalità della sua libertà e eguaglianza. Non è certo un caso che il principio di dignità sia giunto alla
ribalta del costituzionalismo nel momento in cui è apparso ineludibile il rifiuto della imposizione esterna, della costrizione in ogni sua
forma - addirittura della negazione stessa dell'umano.
Bisogna ripetere che «per vivere occorre un'identità, ossia una
dignità»20. Lo stesso deve dirsi per i sistemi giuridici. Se la persona
non può essere separata dalla sua dignità, neppure il diritto può
prescinderne, o abbandonarla. Proprio questa consapevolezza è alla
base di un'altra scelta rinvenibile nella Carta dei diritti fondamentali dove, nel Preambolo, si afferma che l'Unione europea «pone la
persona al centro della sua azione».
Una ricostruzione complessiva del sistema costituzionale italiano
consente di giungere a conclusioni analoghe, nella sostanza anticipatrici, e persino più nette per quanto riguarda la centralità della persona. Se questa consapevolezza ha tardato a manifestarsi, ciò si deve a
quell'insieme di fattori culturali e politici sui quali già si è richiamata
l'attenzione. Il punto significativo, ad ogni modo, è rappresentato proprio dal fatto che la rilevanza attribuita alla persona, anzi la sua vera e
propria costituzionalizzazione, trovano un fondamento essenziale nel
rapporto istituito con il principio di dignità, evidentissimo nella trama
17 C. Esposito, La Costituzione italiana. Saggi, Cedam, Padova 1954, p. 9.
1& R. Dworkin, Virtù sovrana. Teoria dell'eguaglianza, trad. it. di G. Bettini,
Feltrinelli, Milano 2002.
19 E. Garin, L'uomo del Rinascimento, in Id. (a cura di), Luomo del Rinascimento, Laterza, Roma-Bari 1988 (8a ed. 2008), p. 2.
20 P. Levi, I sommersi e i salvati, Einaudi, Torino 1986, p. 103.
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costituzionale, e che conferma la necessità di una lettura dell'art. 3 che
vada oltre la dialettica tra eguaglianza formale e sostanziale.
Sul modo in cui questa lettura deve essere condotta è chiarissima
l'indicazione che viene dallo stesso incipit di questo articolo: «Tutti
i cittadini hanno pari dignità sociale». Proprio qui, nella rilevanza attribuita alla dignità prima ancora dell'elencazione tradizionale
delle cause di non discriminazione, e nella sua qualificazione come
«sociale»21, cogliamo non solo una novità, ma il tratto unificante
dell'intera norma. Non possiamo più dire che si tratta di una norma a
due facce: l'una volta verso la conservazione dell'eredità, l'eguaglianza formale; l'altra rivolta alla costruzione del futuro, l'eguaglianza
sostanziale. La sottolineatura della dignità sociale ci porta oltre questo schema, dà evidenza a un sistema di relazioni, al contesto in cui
si trovano i soggetti dell'eguaglianza, poi esplicitamente considerato
dalla seconda parte della norma. Questa lettura unitaria dell'articolo
non ne depotenzia la forza «eversiva», ma dice che la stessa ricostruzione dell'eguaglianza formale non può essere condotta nell'indifferenza per la materialità della vita delle persone, per la loro intatta
dignità, per i legami sociali che le accompagnano.
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