«…ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo»

Ascensione del Signore - Mt 28, 16-20
«…ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo»
Introduzione
La penultima tappa del tempo pasquale ci fa vivere il mistero dell’Ascensione di Gesù. Prima
di addentrarci nei versetti del Vangelo che verranno proclamati durante questa domenica
può essere utile scrivere qualcosa sul significato di questo evento, sul suo legame con il
tempo pasquale e sulle ricadute che può avere sulla nostra vita. Nel brano della lettera agli
Efesini che ascolteremo nella seconda lettura San Paolo retoricamente si chiede: “Ma che
significa che ascese se non che prima era disceso?”. È evidente che per tradurre i misteri
divini abbiamo a disposizione soltanto il nostro linguaggio e, con esso, tentiamo di tradurre
quelle realtà che ci superano utilizzando immagini, categorie spazio-temporali e similitudini
che servono a dare un’idea e a cogliere un barlume dell’immensa luce racchiusa nei misteri
divini. Anche per l’Ascensione vale lo stesso principio. La categoria del “salire in Cielo” o dell’
“innalzarsi” non indica fisicamente quello che Gesù vive, quasi a voler esprimere una sorta di
effetto speciale che lascia tutti attoniti. La categoria dell’innalzamento tenta di tradurre il
superamento di una comprensione semplicemente terrena, l’appartenenza alla sfera celeste
che non esclude, anzi comprende, tutto ciò che è della terra. Pertanto con l’Ascensione non
si vuole indicare affatto l’addio di Gesù; come se Egli avesse svolto la sua missione sulla terra
e, adesso, ritorna al Padre. Quanto Matteo e Luca ci raccontano nei versetti conclusivi dei
loro Vangeli con un frasario molto asciutto non è la fine di un’avventura ma l’inizio di un
percorso nuovo; non il lieto fine del Risorto ma la premessa di coloro che crederanno nella
risurrezione chiamati a confrontarsi con un visione altra della loro vita; infatti, non sarà a
partire dalle cose della terra che potremo capire quelle del Cielo ma, al contrario, sarà il
Cielo (Dio) ad illuminare le realtà che appartengono alla nostra umanità pellegrina. Nella vita
di Gesù il mistero dell’Ascensione racconta la sintesi della sua missione salvifica: il Verbo si è
fatto carne, ha assunto la nostra umanità; morendo in croce e risorgendo dalla morte ci ha
redenti, distruggendo in se stesso la forza del peccato; adesso riporta al Padre la nostra
carne in modo che ognuno fissi bene lo sguardo su ciò che davvero lo definisce: non più il
peccato ma la grazia! Allora quella dell’Ascensione non è affatto la festa dell’addio ma è la
comprensione dell’orientamento di ogni vita credente; in Cristo tutti siamo invitati ad
“innalzarci”, a portare in alto la nostra vita a considerare il Cielo non come la tappa
conclusiva del nostro esistere ma come la cifra dei nostri giorni. In Cristo che ritorna al Padre
c’è tutta la nostra umanità. Vista in questo modo la festa dell’Ascensione diventa una festa
importante; una festa che ci riguarda tutti da vicino perché senza questo continuo innalzarci
in Cristo rischiamo di rimanere schiavi delle nostre bassezze e di portare la nostra vita
sempre più verso il basso, verso ciò che non riempie di verità la nostra vita.
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1. «I discepoli andarono in Galilea…»
Il racconto dell’Ascensione si inserisce nella grande pagina della risurrezione. Gesù aveva
chiesto alle donne di dire agli apostoli che lo avrebbero incontrato in Galilea. La Galilea è il
luogo delle origini, della prima chiamata, della vita nascosta e ordinaria; è una periferia, è la
zona nascosta di ogni vita; anzi, è quella vita che noi giudichiamo monotona perché fatta
sempre delle stesse cose, delle stesse persone o orari. Gesù non da appuntamento nella
capitale ma in Galilea. Quasi a dire: “adesso che sono Risorto, ricominciamo da capo!”
L’episodio dell’Ascensione inizia con i discepoli che obbediscono al Risorto che si recano in
Galilea al monte che aveva loro indicato. In questo primo verbo di movimento c’è l’idea di un
cammino che riparte; una sorta di ripresa della propria vita con una consapevolezza diversa.
Aver fatto l’esperienza del Risorto non ci può far vivere isolati in contesti ideali e chiusi ma ci
deve spingere a tornare ai nostri ambienti comuni; a quegli spazi che fanno parte del nostro
vivere abituale; alla nostra quotidianità. È lì che dovremo sperimentare una continua
“ascensione”. Come? Il brano evangelico all’interno di un unico versetto mette due verbi che
potrebbero sembrare contrapposti: “si prostrarono….essi però dubitarono”. Appena i
discepoli vedono il Risorto si inginocchiano. È il gesto di chi adora Dio. Davanti al Risorto i
discepoli si mettono in ginocchio e mettono davanti a Lui tutta la loro vita. Lo riconoscono
Signore e si prostrano perché sanno che tutto dipende da Lui. Ma subito dopo scatta la molla
del dubbio. Lo adorano e dubitano. Sanno chi è ma non sanno cosa fare e quale rapporto vi
sia tra tutto ciò che è accaduto in precedenza e quello che dovrà avvenire da li in avanti. Il
dubbio dei discepoli è lo spazio dell’incertezza, della non comprensione piena e, quindi, di
una vita bloccata. Sembra, quella del dubbio, la condizione di chi ancora non avendo
sperimentato l’Ascensione si trova in quello stato di confusione che è fatta di conoscenze ma
non ancora di maturità e di consapevolezza. È come se i discepoli sapessero chi era il Risorto
ma non sapessero ancora cosa loro erano chiamati a fare.
2. «Andate e fate discepoli tutti i popoli»
Dopo il dubbio dei discepoli il Maestro prende la parola e spiega esattamente in cosa
consista l’Ascensione e quale missione è affidata ai suoi seguaci. Come prima cosa si avvicina
(v. 18). Colui che si è incarnato si è avvicinato per sempre alla nostra umanità. L’Ascensione
non è il saluto di Gesù ma il suo nuovo e definitivo modo di starci vicino. E avvicinandosi fa
sentire la sua voce. La prima parola ha a che fare con la forza: “Mi è stato dato ogni potere in
cielo e sulla terra”. La condizione del Risorto è quella del Dominus che ha forza e dà forza.
Gesù rende partecipi i suoi della Sua stessa forza. A partire da questa forza S.Paolo arriverà a
dire: “Tutto posso in Colui che mi dà la forza”. Nell’Ascensione la forza del Risorto viene
come travasata nei discepoli in quali, da quel momento in avanti, agiranno con la forza
ricevuta dal loro Maestro. Il termine “forza” o “potere” è strettamente legato allo Spirito
Santo che, nel racconto di Atti si manifesterà con il fuoco e il vento, entrambi elementi
naturali che esprimono molto bene l’idea della forza. Il Cristo Risorto, attraverso il dono
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dello Spirito, comunica ai suoi discepoli la sua stessa forza. Il Risorto vive e vivrà nella vita dei
discepoli per mezzo dello Spirito di fortezza che condurrà alla verità tutta intera. E gli effetti
di questa forza vengono subito specificati nella frase che segue: “Andate…fate
discepoli…battezzandoli…”. I discepoli che ricevono la forza e la potenza del Risorto devono
riversarla nella gioia della missione; dovranno arrivare fino agli estremi confini della terra per
dire la Buona Notizia che Dio, in Cristo Gesù e per mezzo dello Spirito, ci ama ed è sempre
accanto a noi. Questo ultimo invio coincide con i discorsi (in particolare quello missionario
raccolto da Matteo) nei quali Gesù affidava ai suoi il compito specifico di andare per le
strade del mondo per annunciare il Regno senza temere le ostilità o i tribunali degli uomini.
Adesso, mentre sale al Padre, chiede ai suoi di continuare la missione evangelizzatrice che
Lui stesso ha compiuto durante gli anni della vita terrena. “Andate e fate discepoli”. Alla
missione è legata la finalità. Non è un “andare a vuoto”; l’annuncio ha lo scopo di fare
discepoli, di rendere conformi al Figlio tutti i figli di Dio, di suscitare in tutti il desiderio di
seguire l’unico Maestro, di camminare sulle orme da Lui lasciate e di imitarlo in ogni cosa
poiché Lui è l’uomo perfetto e – come ci ha ricordato il Concilio Vaticano II – se vogliamo
essere più uomini e pienamente persone abbiamo bisogno di guardare Lui e di “fare” quello
che Lui ha fatto. “Andate, fate discepoli, battezzate”. L’ultimo aspetto della missione è quello
di battezzare. La formula qui ascoltata è quella che la chiesa ha utilizzato da sempre per il
rito del battesimo ma, di certo, non si tratta di una formula “rituale” (nel senso peggiorativo
del termine). Se “battezzare” vuol dire “immergere”, mandare i discepoli a battezzare nel
“nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” vuol dire consentire a tutti di immergersi
nel mistero d’amore trinitario, fare in modo che tutti “sprofondino” negli abissi di questo
mistero perché ne risalgano totalmente rinnovati. Solo “in” questo mistero noi troviamo
pienezza di vita; è il nostro spazio vitale, l’ambito nel quale sorge e si sviluppa la vita. In quel
momento il Risorto chiede ai suoi di avere coraggio e intraprendenza per dire che nel Dio
Uni-Trinità “noi ci muoviamo ed esistiamo”; da quel Mistero d’Amore noi proveniamo e
verso quel Mistero noi siamo orientati attraverso il nostro incedere, a volte, insicuro.
Battezzare “nel nome di..” vuol dire che abbiamo un’identità precisa, che apparteniamo a
Qualcuno che ci definisce.
3. “Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine dei tempi”
Arriviamo così alle ultime parole del brano e di tutto il Vangelo di Matteo. Quel racconto che
in apertura ci aveva fatto conoscere l’Emmanuele – il Dio-con-noi – adesso, alla fine sembra
farci la stessa consegna; in mezzo, tra queste due affermazioni identiche vi è stata tutta la
vita di Gesù, le sue azioni prodigiose, il suo parlare pieno di verità e bellezza ma, soprattutto,
la sua morte e risurrezione. In virtù di quest’ultima l’Emmanuele può dire che sarà con noi
tutti i giorni. Anzi, “è”! Che bello questo presente! Non il futuro che può dare l’idea di
qualcosa che si rimanda, che è sempre davanti a noi senza mai entrare nella sfera ci ciò che
viviamo “qui e ora” ma un presente che sà di presenza! Lui c’è sempre, è a nostro fianco, è
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con noi ed è per noi; è dalla nostra parte. Qualcuno – magari sfiduciato da una prova che
dura da tanto tempo o provato a motivo di qualche lutto – potrebbe chiedersi: “ma quando
Lui c’è?” Oppure: “Ma se Lui c’è perché mi accadono cose tristi?”. È vero, lo scandalo della
sofferenza a volte si frappone tra noi e Lui e ci fa dubitare del Suo esserci. La sfida che ci
lancia il Risorto è di vederlo non “nonostante” le prove ma “nelle” contraddizioni della
nostra vita. Quando noi piangiamo Lui è li accanto a noi a piangere con noi perché le nostre
lacrime non vadano perdute; quando noi siamo tristi e stanchi Lui è li a condividere la nostra
tristezza perché anch’essa trovi un senso nella nostra vita…Ognuno di noi applichi il principio
della presenza di Cristo a tutto ciò che vive in questo preciso momento e, alla fine, dica con
coraggio: “Io credo che Lui è con me fino alla fine dei tempi”. L’Ascensione, allora, non
decreta la partenza di Gesù ma, al contrario, il suo esserci in modo nuovo ed eterno. Da qui
potremmo sollevare l’interrogativo retorico di S.Paolo: “Ma se Lui è per noi chi sarà contro di
noi…in tutte queste cose (tribolazioni, guerre, persecuzioni….) noi siamo più che vincitori in
virtù di Colui che è morto ed è risorto per noi”. Ecco il risultato dell’Ascensione: noi siamo
più che vincitori. Possiamo affrontare le prove della vita con lo spirito dei vincitori; e anche
se perdiamo qualche battaglia (e tante le perdiamo) abbiamo la ferma convinzione di avere
in tasca la vittoria finale non perché bravi o migliori degli altri ma, semplicemente perché
uniti al Vincitore, a Colui che ha sconfitto la morte attraverso la sua morte e si è assiso alla
destra del Padre per indicare a tutti la rotta giusta e l’esito finale.
Alla luce di questa Parola proviamo a vivere l’Ascensione con lo spirito giusto. Proviamo ad
innalzare la nostra vita (in tutti i suoi ambiti) unendoci a Gesù che ha voluto prendere con sé
la nostra umanità e, dopo averla purificata, l’ha condotta in Cielo. Viviamo la missione con la
potenza del Risorto, con lo Spirito che ci dà forza e abita sempre in noi. Sperimentiamo la
presenza di Gesù come in ogni istante e dentro tutto quello che noi viviamo. Se ci riusciremo
anche noi ci sentiremo un po’ più “ascesi” verso l’alto. E, di certo, vivremo meglio!
don Baldo Reina
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