lpsos Retail Solutions The Retail mix Research Specialists Newsletter Settembre 2014 © Ipsos Editoriale di Carlo Oldrini Come argomento centrale del primo numero post-ferie della nostra newsletter abbiamo scelto la «fedeltà». Avremmo potuto scegliere un argomento più controverso ? Difficile, perché la fedeltà è un tema dibattuto e complesso. Ho assistito a numerosi incontri e convegni sul tema, e ogni volta ho ascoltato interpretazioni molto diverse sul concetto di fedeltà, sempre interessanti e motivate. Probabilmente, come spesso accade, tutti gli elementi sono utili e veri ma è l’insieme degli elementi che caratterizza la fedeltà senza che ce ne sia uno che spiega univocamente ogni cosa. Oggi la chiamiamo «loyalty» ma in fondo stiamo parlando di una cosa vecchia come il mondo e che ha a che fare col profondo dell’animo umano. A mio modo di vedere la fedeltà (a un’insegna) è un insieme complesso di motivazioni e di barriere che contemporaneamente esercitano spinte e reazioni alla nostra decisione di continuare a frequentare un negozio rispetto alla motivazione di cambiare. Questo trade-off è inconsciamente presente nel cervello di tutti noi ogni volta che ci muoviamo per andare a rifornirci di qualsiasi cosa e questo rende tremendamente complesso il nostro mestiere che è quello di indagare quali sono queste forze e motivazioni in modo da aiutare i nostri clienti a migliorare gli elementi che sono effettivamente importanti per la loro attività. Poiché però siamo certi di riuscirci su questo numero abbiamo un intervento di Marco Salamon, responsabile di Ipsos Loyalty, che ci fa il punto della situazione; segue il consueto punto di vista di Filippo Genzini e una sintesi sul Wallet Allocator Optimizer e sul Loyalty Index di Ipsos. Buona lettura! [email protected] www.ipsos.it/retailsolutions twitter: @carlooldrini Si fa presto a dire fedeltà a cura di Marco Salamon Il tema della fedeltà del cliente all’insegna e al singolo punto vendita ha assunto negli ultimi anni un’importanza cruciale per i retailer. Se infatti, fino a qualche anno fa, la concorrenza tra insegne era un fenomeno limitato ai grandi agglomerati urbani, oggi è difficile trovare un centro, anche di dimensioni medio-piccole, dove il consumatore non possa scegliere tra almeno due insegne. Una volta si diceva colloquialmente “vado al super” o “vado all’iper”, trascurando l’insegna del punto vendita. Poche erano le eccezioni, ovvero quelle di qualche insegna che è stata capace di costruire una forte equity presso i suoi clienti (per cui si è sempre detto “vado alla Coop” o “vado all’Esselunga”). Oggi si tende sempre a precisare a quale super o iper si va, potendo scegliere tra una ampia gamma di insegne e punti vendita. Questo fenomeno è più accentuato nel food, ma la competizione tra insegne e punti vendita ha raggiunto livelli elevati anche nelle insegne specializzate in beni durevoli. Ovvio che, in uno scenario così affollato e complesso, nel lungo periodo sopravvivano solo quelle insegne capaci di garantirsi un’accettabile grado di fedeltà da parte dei loro clienti. Se agli effetti della concorrenza esasperata tra insegne aggiungiamo quelli della riduzione dei consumi provocata dalla crisi perdurante, le speranze di vita delle insegne nel lungo periodo dipendono davvero dalla forza dell’insegna, anche (o soprattutto) in termini di capacità di generale customer loyalty. Quindi, la fedeltà del cliente è l’ossigeno che alimenta il respiratore del retailer che si immerge nel mare agitato della competizione. Ma cosa significa oggi fedeltà nel retail e cosa può spingere un cliente a essere (relativamente) fedele a un’insegna? La fedeltà assoluta, cioè il rifornirsi presso un solo punto vendita, è un comportamento ormai raro, limitato a nicchie di consumatori troppo anziani per potersi spostare molto da casa o troppo indaffarati per poter dedicare agli acquisti un tempo superiore al minimo indispensabile. Per gli acquisti di beni di consumo, la grande maggioranza dei consumatori (una volta si diceva “delle responsabili acquisto”) frequenta più punti vendita di più insegne, attratti dalle offerte speciali o spinti dalle proprie abitudini di mobilità. Per gli acquisti di tutti i giorni si privilegiano i punti vendita © Ipsos Si fa presto a dire fedeltà a cura di Marco Salamon di prossimità a casa o all’ufficio, per i grandi acquisti si va nelle grandi superfici, spesso legate ai centri commerciali che permettono di concentrare qualunque tipo di acquisti, food e non food. Per i beni durevoli le insegne della grande distribuzione specializzata cercano di mantenere una quota di fedeltà sufficiente per difendersi dall’assalto dei grandi merchant online. La fedeltà del cliente è quindi relativa; per il retailer tutelare (o magari incrementare) la fedeltà del cliente significa quindi tutelare (o magari incrementare) la “Share of Wallet” del cliente: fare sì che il cliente continui a rifornirsi regolarmente (anche) presso la propria insegna, destinando a questa una quota rilevante dei propri acquisti. Insomma, che faccia la spesa il più spesso possibile presso quell’insegna e non solo nei periodi promozionali, una spesa il più possibile completa e non limitata ad alcune categorie di prodotto. Tutelare e migliorare la fedeltà del cliente è per l’azienda una impresa complessa, ma necessaria. E’ un compito difficile perché la fedeltà a una determinata insegna dipende sia da ciò che fa (e non fa) quell’insegna, sia da ciò che fanno (e non fanno) le insegne concorrenti. Se, per esempio, un’insegna di beni durevoli offre ottimi prezzi, ma ha personale di vendita demotivato e incompetente dovrà soccombere all’arrivo di un nuovo concorrente che offra prezzi simili ma personale capace di orientare e rassicurare il cliente, per sua natura incerto di fronte a una spesa importante in momenti di crisi. Nei beni di consumo, dove sempre più difficile appare per il consumatore riconoscere differenze di prezzo medio tra le insegne, elementi d’innovazione nel servizio e nell’offerta possono avvantaggiare nella costruzione della fedeltà per l’una o per l’altra insegna. Quindi, cosa fare? Tenere sotto controllo la Customer Satisfaction, per capire se il cliente è davvero soddisfatto dalla shopping experience presso l’insegna, perché un cliente insoddisfatto difficilmente resta fedele. Misurare l’attrazione esercitata dalla concorrenza sulla propria customer base, perché anche un cliente soddisfatto da un’insegna, ma molto attratto da quella concorrente può diventare infedele. © Ipsos Fedeltà all’insegna: un rapporto sinallagmatico? a cura di Filippo Genzini Era la metà degli anni ’90 e da qualche tempo, su sollecitazione di alcuni distributori illuminati, in Information Resources eravamo impegnati a realizzare un data warehouse basato sulle transazioni delle carte fedeltà presentate alle casse di super e iper. Uno dei primi gestiti da ‘terze parti’. Insieme a questo servizio fornivamo ai clienti delle aziende di distribuzione anche un corso sul loyalty marketing impostato raccogliendo il poco materiale allora a disposizione. La principale fonte di ispirazione era senz’altro Brian Woolf ma, immancabilmente, il seminario iniziava riprendendo una simpatica citazione tratta dalla rivista americana Progressive Grocer che più o meno suonava così: If you want loyalty buy a dog. Sono passati più o meno vent’anni da allora ma la situazione non è cambiata di molto. Traendo ispirazione dall’articolo di Marco Salamon, dal quale si evincono in modo estremamente chiaro i motivi per cui la clientela è più o meno fedele ai propri punti vendita di riferimento, mi soffermerò su alcuni punti che considero di particolare rilievo. 1) Il concetto di fedeltà è legato in modo intrinseco a soddisfazione ed equity, che contribuiscono entrambe a creare un rapporto duraturo tra insegna e clientela. Più alta è l’equity più il cliente probabilmente è disposto a sopportare qualche piccolo incidente di percorso in termini di soddisfazione del rapporto ‘contingente’ con il punto vendita. Troppi incidenti di percorso, tuttavia, significano altrettanti segni meno che finiscono per incidere sull’equity. 2) Esistono differenze di sostanza tra retail monomarca e non. Una prima conseguenza del punto precedente è rappresentata dalla rilevanza dell’identità tra insegna e brand. Quando ci si reca in un negozio monomarca è l’equity della brand a indirizzare la scelta. L’esperienza in-store, così come poi la soddisfazione per la performance del prodotto acquistato, contribuiscono alla fedeltà all’uno e all’altro. Non a caso molta parte della comunicazione fatta dalle aziende per prodotti durevoli e semidurevoli, comunque con atti d’acquisto non frequenti, ha lo scopo di rinforzare la convinzione della buona scelta effettuata, così come l’immagine del prodotto e del © Ipsos Fedeltà all’insegna: un rapporto sinallagmatico? a cura di Filippo Genzini brand (modello «do, like, learn»), ancora prima che stimolare un nuovo acquisto. vendita, in grado di ancorare i clienti nel grocery. 3) Esistono differenze significative tra retail alimentare e specializzato non food. Nel caso del retail grocery la clientela compie atti di acquisto ripetitivi con modesto coinvolgimento emotivo, se non addirittura un certo fastidio. Tutti i fattori che rendono l’esperienza il meno ‘faticosa’ possibile contribuiscono in modo positivo a comportamenti abitudinari che possiamo anche confondere con la fedeltà. A partire dalla vicinanza del punto di vendita, la facilità di parcheggio, l’affollamento delle corsie, la coda alle casse, la gentilezza del personale, per finire con le leve più ‘hard’ del retail mix: l’assortimento, i prezzi, le promozioni. Diverso il discorso nell’area ‘non alimentare’, dove il successo dipende dalla capacità di influire sul processo decisionale d’acquisto fin dalle prime fasi e in modo più efficace dei concorrenti, che comprendono in questo caso anche gli eretailer, ormai molto importanti in alcune aree merceologiche. Assortimento, supporto a livello informativo, servizi ancillari in questo caso sono più importanti della vicinanza e comodità del punto 4) Se fedeltà, soddisfazione e customer experience non rappresentano l’obiettivo finale del distributore, quanto il mezzo per ottimizzare indicatori economici quali il fatturato, i margini e la market share, i retailer non possono prescindere dalla realtà di fatto che i clienti non sono tutti uguali. Innanzitutto, quasi in ogni ambito, il 20 – 30% del numero di clienti rappresenta il 70 -80% del fatturato e una quota anche superiore dei margini. Da ciò discende che lo sviluppo o almeno la difesa di quote di mercato, volumi, fatturato e utili dipende più dalla capacità di trattenere e sviluppare la propria clientela che non da quella di attrarre nuovi clienti. Due le linee di azione. Innanzitutto difendere il fatturato generato dai clienti migliori, rinforzando nel tempo il loro convincimento sulla qualità del servizio complessivo e del valore ricevuto. In secondo luogo sviluppare il fatturato della clientela ‘regolare’ dove l’insegna ha una ‘share of wallet’ bassa. Due direttrici che, nei mercati maturi e saturi, rappresentano un’opportunità di crescita © Ipsos Fedeltà all’insegna: un rapporto sinallagmatico? a cura di Filippo Genzini del fatturato senz’altro meno aleatoria della speranza di aumentare il traffico attraendo nuovi clienti. Ad arricchire la complessità del quadro aggiungo che recenti studi hanno rilevato come uomini e donne abbiano una percezione piuttosto differente di fedeltà nei confronti di insegne e marche. Uno di questi, per esempio, ha scoperto che i primi tre attributi associati dalle donne sono fiducia, dedizione e impegno. Mentre per gli uomini si tratta soprattutto di ottenere la soddisfazione dei termini di un contratto di dare e avere, una questione di parola d’onore, in funzione dei quali marca e insegna fanno le cose giuste, come promesso. Una differenza di cui tener conto quando si comunicano delle ‘storie’ ai due differenti target. Da un punto di vista attitudinale, poi, il medesimo studio individua 6 segmenti, ovvero: Trend Setters (14%), Prestigious Loyalists (25%), Quality Seekers (21%), Non Shoppers (20%), Deal Hunters (11%), e Dollar Stretchers (9%). Ovviamente i primi due sono quelli più sensibili alla proposta di una relazione emotiva con l’insegna. Prescindendo da definizioni e percentuali rappresentate, i clienti non sono tutti uguali nemmeno per quanto riguarda il loro atteggiamento nei confronti della fedeltà. 5) Soddisfazione ed equity (e di conseguenza fedeltà) sono concetti dinamici nel tempo e trasversali. Esiste un comun denominatore per fenomeni spesso repentini a cui assistiamo ogni giorno. Perché Blockbuster è andato in crisi rapidamente, mentre GameStop sembra resistere alla minaccia del digitale quale veicolo di prodotti di intrattenimento? Perché negli Stati Uniti Borders ha chiuso e Barnes & Nobles versa in serie difficoltà, mentre le librerie indipendenti sembrano in ripresa? Perché a Chicago il panorama della distribuzione grocery è stato rivoluzionato nel corso degli ultimi vent’anni con Dominick’s che è sparita, mentre Jewel è in grave difficoltà dopo esser passato di mano 3 volte nel corso degli ultimi 14 anni? E, invece, Aldi continua a crescere, rappresentando oggi la prima insegna in termini di numero di punti di vendita mentre anche Whole Foods, con un posizionamento opposto, ha raddoppiato la propria presenza? La concorrenza diretta e indiretta cambia nel tempo, spesso a una velocità tale da rendere difficile una risposta, soprattutto © Ipsos Fedeltà all’insegna: un rapporto sinallagmatico? a cura di Filippo Genzini se non si è in grado di cogliere i segnali deboli. Cosa che riesce difficile ai responsabili marketing delle aziende di prodotti di marca, delle imprese distributive e di quelle di servizi, spesso concentrati su se stessi nello sforzo quotidiano di migliorare dal proprio punto di vista ciò che hanno da offrire, con un orientamento volto a processi e prodotti più che non ai bisogni della clientela. La cui soddisfazione sfugge alle regole anguste imposte da definizioni restrittive delle categorie di offerta. Tuttavia con l’offerta cambiano i bisogni, le aspettative, le percezioni e i gusti dei clienti. La fedeltà, quindi, intesa come preferenza accordata dal cliente a un punto di vendita, è un fenomeno dinamico e trasversale, destinato a modificarsi ogni giorno, anche se in modo impercettibile, in funzione delle esperienze a cui ciascuno è esposto. Di qui la necessità di confrontarsi non solo con chi eccelle nella propria arena competitiva ma anche con chi, al di fuori di questa, ha una leadership riconosciuta per alcuni aspetti specifici. I migliori nell’assistenza del personale di vendita, in quella telefonica o online, i più efficaci nella consegna a domicilio, i più bravi nel gestire le procedure di reso, quelli che comunicano meglio in modo personalizzato, cogliendo o addirittura anticipando i bisogni dei clienti. In conclusione, per difendere e sviluppare la propria quota di mercato, il consiglio è di ascoltare la propria clientela effettiva e potenziale, mettendo da parte gli orientamenti al prodotto e ai processi che ci inducono spesso a sopravvalutare la nostra eccellenza, sulla base di ragionamenti sviluppati da chi fa lo stesso mestiere da 10 o anche 20 anni e, oggettivamente, fa sempre più fatica a comprendere come ragiona il mercato che serve. Sapendo che il premio non sarà la fedeltà dei clienti, merce rara nella natura umana, quanto piuttosto un rapporto duraturo di reciproca soddisfazione, basato ai tempi del digitale e dell’informazione distribuita, su una relazione di sempre maggiore parità tra azienda e singolo individuo. © Ipsos Strumenti di ricerca: WAO, Loyalty Index L’analisi dei dati di vendita registrati grazie alle carte fedeltà fornisce sì molte informazioni utili, ma ha il grande limite di non dirci nulla sull’attrazione verso la concorrenza. Ipsos Loyalty, la business unit di Ipsos specializzata nelle analisi di Customer Satisfaction e di Loyalty ha sviluppato a livello internazionale WAO – Wallet Allocator Optimizer, una metodologia particolamente potente capace di stimare il vero grado di fedeltà del cliente. Perché nei mercati competitivi la fedeltà dei Clienti non è sufficiente: occorre incrementare la propria share of wallet. Ciò che conta non è la valutazione di un’Azienda in assoluto, ma il ranking relativo a confronto con i concorrenti. Loyalty Index Il modello Ipsos per la stima della Loyalty si basa su variabili quantitative che fanno riferimento a diverse aree, permettendo di ottenere un indicatore estremamente affidabile e predittivo nell’individuare i clienti a rischio abbandono. Il modello si integra facilmente all’interno di sistemi di CS già in essere, semplicemente introducendo gli indicatori aggiuntivi necessari. © Ipsos Ipsos opera nel segmento delle ricerche di mercato "survey based", ovvero ricerche condotte raccogliendo informazioni direttamente dagli individui. Raccogliamo, elaboriamo e analizziamo informazioni riguardo i valori, le attitudini e i comportamenti. La nostra missione è aiutare i nostri Clienti a capire meglio i loro mercati, i loro clienti e i cambiamenti del mondo. Ipsos nasce in Francia nel 1975 ed è oggi presente in 85 paesi, tra i quali l’Italia, con uffici a Milano, Roma e Bari dove 250 professionisti gestiscono più di 2.000 progetti all’anno. Ipsos Retail Solutions nasce dall’esperienza del Gruppo Ipsos nella collaborazione con i Retailers e dalla profonda conoscenza della realtà socio-culturale del Paese, delle tendenze e prospettive future. Ci proponiamo di supportare gli attori del settore nel: Anticipare e interpretare le tendenze del mercato Prendere decisioni strategiche coerenti Definire le modalità ottimali di implementazione sul punto vendita Il nostro obiettivo ultimo è contribuire alla crescita dell’Insegna agendo su tutte le leve del retail mix che determinano la customer experience: format, assortimento, percezione posizionamento di prezzo, servizio, personale, iniziative marketing, loyalty, comunicazione. Contatti: Inviate una mail a: [email protected] Carlo Oldrini, Direttore Ipsos Marketing Marco Salamon, Direttore Ipsos Loyalty Nikos Kotoulas, Ipsos Retail Solutions, Dir. commerciale Filippo Genzini, Ipsos Retail Solutions, Senior consultant Zaira Licciardello, Ipsos Retail Solutions, Dir. commerciale © Ipsos
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