Il prossimo balzo in avanti del Brasile

Andrea Goldstein e Giorgio Trebeschi
Il prossimo balzo
in avanti del Brasile
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La frenata dell’economia brasiliana dopo il 2010 è una conseguenza sia del mutato contesto internazionale sia dei problemi
strutturali rimasti irrisolti durante la sua precedente crescita.
E che ora vanno affrontati, accantonando la politica di stimoli
alla domanda e al credito e puntando invece ad accrescere la
produttività e il tasso di investimento, specialmente in alcuni
settori strategici.
Per quasi mezzo secolo il Brasile è stato l’unico vero paese emergente, con
un tasso di crescita medio del 7% all’anno e punte “cinesi” oltre il 10% a
cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta. All’alba degli anni Ottanta, il paese
aveva da tempo superato lo status di economia povera (per quanto i poveri
fossero ancora molto numerosi), ma poi la crisi del debito estero si è abbattuta spietatamente sull’economia brasiliana: conti pubblici in disordine,
iperinflazione, scarsi investimenti privati e pubblici – in sintesi la crescita
anemica della década perdida.
È stato necessario un lungo processo di aggiustamento – fatto di “normalizzazione” monetaria e conti
Andrea Goldstein, dell’OCSE, e Giorgio Trebeschi,
pubblici in ordine grazie al
della Banca d’Italia, sono autori del libro pubblicato
Plano Real, e di riforme strut-
nel 2012, L’economia del Brasile.
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turali come l’apertura commerciale, la ristrutturazione del settore bancario
e le privatizzazioni – perché ripartisse il motore della crescita. Ne è stato
artefice il presidente Fernando Henrique Cardoso, che ha anche saputo
consolidare le istituzioni democratiche in un paese che tra il 1964 e il 1985
era vissuto sotto il giogo della dittatura militare, ancorché meno feroce che
in Argentina e in Cile. Il modello di sviluppo ha continuato a fare affidamento sul finanziamento esterno, ma laddove in precedenza si trattava d’indebitamento, negli ultimi 15 anni sono stati gli investimenti esteri a sostenere l’economia. I risultati li conosciamo: la crescita media annua è passata
dal 2,2% nel periodo 1995-2003 al 4,4% nel 2004-2010, grossomodo i
mandati del presidente Lula, proiettando nuovamente il Brasile nel novero
2011 e il 2013 ha visto il tasso di crescita annuo crollare al di sotto del 2%.
Le lancette del tempo sembrano tornate indietro e riecheggia la domanda:
“ma il Brasile diventerà mai un paese ricco?”. Le tensioni sociali e politiche
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Brasile, che era passato apparentemente indenne dalla crisi globale, tra il
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Poi tutto, o almeno molto, è cambiato nel breve spazio di un triennio. Il
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delle economie più dinamiche al mondo.
esplose nel giugno 2013 in occasione della Confederations Cup di calcio
rischiano di riemergere durante la Coppa del Mondo, la prossima estate.
Per capire dove sta andando l’economia brasiliana occorre guardare al recente passato, cercando di capire le ragioni alla base dell’accelerazione
degli anni della presidenza Lula. Allora, ha giocato un ruolo fondamentale
in primo luogo la maturazione dell’ampio processo di riforme avviato già
nella prima metà degli anni Novanta, al quale, all’avvio del primo mandato,
il governo Lula ha contribuito con alcuni interventi finalizzati a promuovere
lo sviluppo del settore bancario (ad esempio con il cosiddetto crédito consignado) e a rendere più snelle e certe le procedure concorsuali per le imprese in crisi. Soprattutto, le maggiori risorse destinate a politiche sociali più
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attive – in particolare Bolsa Família, Minha Casa Minha Vida, e l’aumento
del salario minimo – hanno accelerato l’integrazione dei segmenti mediobassi della popolazione nel mondo del lavoro e dei consumi.
La gestione economica dell’era Lula ha lasciato alla presidenza di Dilma
Rousseff un’eredità sicuramente positiva (l’emersione della classe media e
la migliore redistribuzione del reddito), ma anche una serie di squilibri macroeconomici. L’inflazione, in particolare, appare elevata rispetto agli standard internazionali ed è causa e al contempo conseguenza del progressivo
deterioramento dei conti pubblici e con l’estero.
In secondo luogo, fino all’esplodere della crisi globale, le condizioni esterne
si sono dimostrate favorevolissime. L’aumento del prezzo delle materie pri2014
di valuta, garantendo l’equilibrio esterno anche in una fase di forte espansione della domanda interna (e quindi anche delle importazioni). L’abbon-
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di cui la Cina è stata particolarmente vorace) ha fornito un costante afflusso
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me esportate dal Brasile (in particolare soia e minerali ferrosi, commodities
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dante liquidità sui mercati finanziari internazionali, nonostante la crisi successiva al crollo di Lehman Brothers, ha contribuito a mantenere distese le
condizioni di finanziamento internazionale, alimentando anche la crescita
del credito domestico.
Negli ultimi anni il contesto esterno si è deteriorato per effetto delle tensioni generate dalla crisi del debito sovrano in Europa, del rallentamento della
Cina e più recentemente dell’impatto negativo del tapering della Federal
Reserve americana (il programma di riduzione di acquisti di titoli e conseguente drenaggio di liquidità da parte della banca centrale statunitense)
sulle condizioni finanziarie in Brasile.
Infine, va ricordato che l’impostazione delle politiche economiche – che fino
alla metà del decennio scorso era rimasta restrittiva per assecondare il processo di rientro dall’inflazione e di riduzione del debito pubblico – si è fatta
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via via più espansiva, soprattutto in risposta agli effetti della crisi internazionale del 2008. Il governo ha contribuito a finanziare l’economia reale
attraverso ingenti apporti di capitale al Banco de Desenvolvimento Econômico e Social (bndes) e alle altre banche a capitale pubblico (Banco do Brasil
e Caixa Econômica); intanto i vincoli di bilancio pubblico sono divenuti
meno stringenti per continuare a sostenere la crescita dei consumi, soprattutto quelli di beni durevoli, e degli investimenti.
L’ECONOMIA TORNA COI PIEDI PER TERRA: I NODI IRRISOLTI
DELL’INFLAZIONE E DELLE INFRASTRUTTURE. Nel 2010, quando la crescita ha toccato il tasso record del 7,5%, la fantasia di alcuni ana-
del voo de galinha (volo di gallina), già altre volte intrapreso dalla loro economia. Il fallimento dell’impero petrolifero del magnate Eike Batista (il più
grande mai registrato in America Latina) è stato esemplificativo del “bagno
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che sono dotati di indubbio senso dell’umorismo – hanno iniziato a parlare
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il Brasile. Alla luce del marcato rallentamento che è seguito, i brasiliani –
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listi e imprenditori è arrivata a prefigurare un futuro da “tigre asiatica” per
di realtà” che l’economia brasiliana sta facendo.
Soprattutto, sono molteplici i problemi strutturali aperti. Senza ovviamente
avere la pretesa di farne un’analisi esaustiva, ecco i principali nodi che
vanno risolti per far ripartire il paese.
Il settore terziario impiega oltre 60 milioni di persone, più del triplo rispetto
al settore industriale, e incide sul costo del lavoro e sulla competitività
dell’industria. Il buon andamento dei servizi – protetti dalla concorrenza
estera e favoriti dalle politiche governative di sostegno ai redditi (si pensi al
consistente aumento del salario minimo) – ha sì ridotto il tasso di disoccupazione ai minimi storici, ma ha anche provocato pressioni al rialzo dei salari
in tutta l’economia. In assenza di significativi aumenti di produttività, il costo
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del lavoro per unità di prodotto nell’industria è aumentato in misura sensibile (secondo l’ocse di oltre il 60% in termini relativi tra il 2004 e il 2010),
indebolendone la competitività. L’ambiente del business continua inoltre a
essere penalizzante: il Brasile langue nelle parti basse del “Easy of Doing
Business” della Banca mondiale (al 116° posto su 189 paesi nel 2013) soprattutto a causa del complesso e oneroso sistema tributario (160° posto).
Questa dinamica ha alimentato un processo inflazionistico nel settore dei
servizi che si è riflesso, anche attraverso gli elementi di indicizzazione ancora presenti, nell’aumento dell’indice dei prezzi al consumo, ancora oggi al
di sopra dell’obiettivo del governo. Il forte afflusso di capitali sia di portafoglio (definito dalla presidente Rousseff uno “tsunami monetario”, causato
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prezzamento del cambio nominale che ha contribuito ulteriormente a indebolire le esportazioni.
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nomie centrali) che per investimenti diretti, ha altresì determinato un ap-
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dalle politiche monetarie eccessivamente accomodanti praticate dalle eco-
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Un altro problema strutturale ereditato dalla nuova amministrazione – e
tuttora irrisolto – riguarda l’arretratezza delle infrastrutture brasiliane. Secondo la classifica di competitività del World Economic Forum (wef), il
Brasile occupava nel 2013 il 114° posto a livello globale, con particolari
carenze nelle infrastrutture di trasporto. Si stima che lo stock di investimenti in infrastrutture in Brasile sia tra i più bassi al mondo (16% del pil, rispetto al 58% in India, 76% in Cina e 87% in Sud Africa). Come indicato
dall’Executive Opinion Survey del wef, le infrastrutture sono il secondo fattore tra i più problematici per “fare impresa” in Brasile (19,7%), precedendo anche i problemi relativi al sistema tributario. Approfondendo la composizione degli investimenti, si nota che il ritardo del Brasile si concentra nel
settore delle costruzioni (edilizia residenziale e commerciale), oltre alle già
citate infrastrutture. Gli investimenti in edilizia residenziale (3,5% del pil)
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appaiono modesti nel confronto internazionale: per esempio, risultano inferiori a quelli effettuati in Spagna anche dopo la recente crisi. Per le altre
tipologie di investimenti (in particolare in macchinari e mezzi di trasporto),
il Brasile negli ultimi dieci anni appare in linea con la media mondiale
(9,9% del pil, rispetto a 9,5%).
Per raggiungere gli standard della Corea del Sud – dove trenta anni fa i livelli delle infrastrutture erano peggiori di quelli odierni del Brasile – l’investimento in infrastrutture dovrebbe essere compreso tra il 6% e l’8% del pil
per altri vent’anni, mentre nell’ultimo anno in Brasile è stato del 2,3%. Agli
attuali tassi d’investimento, la crescita potenziale del paese si colloca al
massimo intorno al 3,5% per cento annuo. Solo con un tasso prossimo alla
Durante la fase di accelerazione la domanda interna si è fortemente espansa, soprattutto i consumi privati e la spesa pubblica; meno gli investimenti.
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COME E DA DOVE POTRÀ RIPARTIRE L’ECONOMIA BRASILIANA.
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parità di dinamica della produttività – potrebbe raggiungere il 5% annuo.
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media mondiale (oltre il 23%, rispetto al 18% del Brasile), la crescita – a
Sul fronte della dotazione di capitale, il Brasile registra un tasso di investimento in relazione al prodotto tra i più bassi al mondo (si trova al 142° posto
su 174 paesi analizzati dal World Economic Outlook dell’fmi).
Dal lato dell’offerta ne hanno beneficiato soprattutto i settori produttori di
beni non tradable e dei servizi, cioè quelli più al riparo dalla concorrenza
estera e in grado di intercettare la crescente domanda di consumi proveniente dalla nuova classe media emergente. Si tratta in particolare dell’intermediazione finanziaria (cresciuta dell’8,9% all’anno tra il 2004 e il 2010),
del commercio (5,8%) e dei servizi di pubblica utilità (4,8%). Tra i settori
industriali si è registrata una buona dinamica dell’edilizia (5,2%) e, grazie
alla forte domanda estera, dell’industria estrattiva (5%).
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Gli sviluppi recenti dell’economia brasiliana e il mutato contesto internazionale hanno posto al centro del dibattito i problemi strutturali legati alle
strozzature dal lato dell’offerta. È ormai chiaro alla maggior parte degli osservatori e degli economisti che ulteriori stimoli alla domanda e al credito
– che sono diventati tanto di moda nel governo come risposta alla crisi internazionale – non sarebbero in grado di accelerare il tasso di crescita ma si
tradurrebbero, viceversa, in ulteriori pressioni inflazionistiche. La priorità è
invece quella di accrescere la produttività e aumentare il tasso d’investimento. Da questo punto di vista i fronti su cui lavorare sono molteplici: il
terreno è quello delle riforme strutturali, un termine certamente abusato e
che va riempito di contenuti.
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glia esistenti nella pipeline logistica), a quella di affrontare i nodi della riforma tributaria (per semplificare gli adempimenti, ridurre la pressione fiscale
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citati investimenti in infrastrutture (per eliminare i numerosi colli di botti-
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Nel caso brasiliano, in concreto, si va dalla necessità di accrescere i già
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e rendere il sistema più equo), delle pensioni (per venire incontro ai mutamenti demografici e accrescere la propensione al risparmio) e della pubblica amministrazione (per modernizzarla e ridurre i rischi di corruzione). Non
si devono poi dimenticare i necessari sforzi per migliorare il sistema dell’istruzione, pilastro chiave per qualsiasi paese di reddito medio che ambisca
a fare il salto nella categoria di paese avanzato.
Proprio in quest’ultimo caso qualche progresso si intravvede già. I dati relativi all’ultimo
pisa
(Programme for International Student Assessment)
dell’ocse mostrano che – pur in un contesto in cui la performance brasiliana
è complessivamente al di sotto della media ocse – i risultati in matematica
sono ampiamente migliorati, facendo del Brasile il paese con il progresso
più significativo in quella materia. Sviluppi positivi si sono registrati anche
nelle scienze e nella lettura.
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Non è troppo difficile farsi un’idea di quali siano i settori che potranno trainare l’economia. Per accrescere il tasso d’investimento sul pil il paese dovrebbe puntare sul settore dell’edilizia civile, in particolare quello delle
infrastrutture, piuttosto che sullo stimolo alla produzione e acquisto di macchinari e mezzi di trasporto. Ed effettivamente, dal 2013 maggiore enfasi è
stata data ai programmi volti ad accrescere l’investimento nell’edilizia popolare (come Minha Casa Minha Vida) e nelle infrastrutture. Per quanto
concerne questi ultimi, il governo ha recentemente lanciato un programma
di concessioni ai privati per 235 miliardi di dollari (di cui la metà da effettuare nei prossimi cinque anni) così suddivisi: 121 miliardi per i trasporti;
74 miliardi nell’energia; 40 miliardi nel settore oil & gas. Per rendere più
Commissione economica per l’America Latina (cepal) dell’onu mostra la
divaricazione che si è prodotta nel settore industriale tra il 1996 e il 2010.
Investimenti e aumenti di produttività si sono concentrati nell’estrazione di
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Uno studio dell’ipea (l’Istituto di ricerca economica del governo) e della
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erogate dal bndes.
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attraenti gli investimenti, il governo interverrà attraverso linee di credito
materie prime e nella produzione di beni intermedi (raffinazione del petrolio, estrazione di minerali, metallurgia di base, fabbricazione del legno, della cellulosa e della carta), ma anche in alcuni segmenti della produzione di
beni di consumo durevole e di capitale (fabbricazione di veicoli da trasporto, automobili e aerei della compagnia embraer). Le perdite di produttività
(e di investimenti) si sono invece concentrate nei settori produttori di beni
di consumo non durevole (in particolare nell’alimentare e nel tessile).
Nell’intento di diversificare e ammodernare la struttura dell’economia, il
governo ha lanciato nel 2012 il “Programa Start-up Brasil”, mirato ad appoggiare le nuove imprese nei settori tecnologici più avanzati tramite incubatori e acceleratori. Nonostante questo sforzo, è da attendersi che gli stessi
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settori che hanno registrato risultati positivi in anni recenti saranno ancora
i cavalli di battaglia dell’economia brasiliana; soprattutto perché nell’economia nel suo complesso è stato il progresso tecnologico nei settori consolidati, piuttosto che la ricomposizione tra settori, a produrre i guadagni di
produttività registrati negli ultimi dieci anni.
È infine necessario inserire nel mix dei fattori strutturali anche l’agricoltura
brasiliana, che continua a vivere un momento felice nonostante la recente
flessione dei prezzi sui mercati internazionali. Nei primi nove mesi del
2013, il settore agricolo è cresciuto a un ritmo tre volte superiore rispetto
alla media dell’economia (7,5%, rispetto a 2,4). Il segreto dell’agribusiness
sta proprio negli aumenti di produttività: tra il 2008 e il 2013, a fronte di un
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50% nei prossimi dieci anni, portando il Brasile a contendere all’India il
terzo posto tra i produttori agricoli mondiali (dopo Cina e Stati Uniti). Dietro
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margini rimangono immensi: il raccolto potrebbe ancora espandersi del
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aumento dell’area coltivata del 7% la produzione è cresciuta del 30%. I
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a questi progressi vi sono ingenti investimenti, sia privati sia pubblici, nelle
più avanzate tecnologie: trattori di ultima generazione che consentono di
lavorare anche di notte, nuove tipologie di sementi adatte al clima brasiliano e che consentono due raccolti all’anno, sistemi satellitari per decidere
dove piantare ecc. È proprio dalla dinamicità del settore primario, e dai
guadagni di efficienza in esso registrati grazie allo sforzo coordinato di settore pubblico e grandi imprese private, che l’intera economia brasiliana
potrebbe prendere spunto per compiere il tanto ambito salto in avanti.
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