Comunicare in Condominio

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Giuseppe Rigotti Giuseppe
Comunicare inRigotti
Condominio
Comunicare in Condominio
APPUNTI DI SOCIOLOGIA, PSICOLOGIA SOCIALE E DINAMICA RELAZIONALE
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Il mondo del lavoro, negli ultimi trent’anni, ha subito tali e tanti mutamenti che oggi il fattore
umano nelle organizzazioni, in termini di input e output, è diventato l’elemento centrale.
Per contro, l’attività operativa dell’amministratore immobiliare, dagli anni ’70, da quando cioè è
nata come professione, ad oggi, non è cambiata, fatto salvo che per l’utilizzo delle nuove
tecnologie, che hanno ridotto i tempi di lavoro, e la complessità che è aumentata, soprattutto
dopo la riforma delle regole del condominio.
Una prospettiva utile per capire il lavoro dell’amministratore è quella di considerare il
condominio e l’amministratore non come controparti bensì come parti di uno stesso sistema,
nel quale la relazione è la componente fondamentale.
L’argomento principale di questo lavoro sarà perciò la relazione sociale, riassunta in tre
contesti: il Sé, l’interazione sociale, l’interrelazione, allargando il discorso in particolare su
quest’ultimo aspetto, che è quello che interessa maggiormente e che comprende la
Comunicazione.
Giuseppe Rigotti
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Indice
Capitolo 1 L’Uomo e l’ambiente sociale
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I concetti La persona Il Sé La vita quotidiana La realtà oggettiva La realtà soggettiva Capitolo 2 
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Pag. 5 Interazione sociale, vita quotidiana e
atteggiamenti
Pag. 10 La vita sociale quotidiana La comunicazione non verbale La comunicazione verbale Interazioni Conformità e devianza La malattia mentale Attrazione interpersonale Pregiudizio e discriminazione L’aggressività I Gruppi Capitolo 3 Comunicare Pag. 18  La Comunicazione  Programmazione Neuro Linguistica  Analisi Transazionale Capitolo 4 Comunicare in Condominio
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La Psicologia del Condominio Gestire le riunioni Dinamica dei gruppi Regole pratiche per una comunicazione efficace La motivazione all’ascolto I comportamenti Umorismo ed ironia nella comunicazione Il linguaggio del corpo Pag. 30 Giuseppe Rigotti Comunicare in Condominio
Capitolo 5 La Comunicazione Assertiva
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L’emotività Le radici dell’ansia Ansia sociale Assertività Comportamento passivo, aggressivo, assertivo, competenza sociale Le situazioni critiche I comportamenti di massima sicurezza La comunicazione assertiva Dare e ricevere La critica Accettare le critiche costruttive Proteggersi dalle critiche Parlare in pubblico 4
Pag. 47 Giuseppe Rigotti Comunicare in Condominio
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Capitolo 1
L’Uomo e l’Ambiente Sociale
Questo capitolo riassume alcune nozioni, ispirate alla Fenomenologia Sociale di Alfred Schutz, che offrono una (delle
tante) spiegazioni per capire come l’uomo confronta sé stesso con la realtà che lo circonda e riconosce gli altri.
I CONCETTI
L’utilizzo del pensiero e della parola è prerogativa dell’uomo, che raggruppando i fatti delle varie
esperienze e organizzando una grande quantità di informazioni utilizza concetti.
I concetti ci servono per:
1. semplificare il mondo ed adottare comportamenti più idonei (il bambino controlla l’ambiente
classificando gli stimoli in dannosi e piacevoli);
2. pensare e ricordare in modo più efficace (organizzare l’informazione in parti, come i numeri del
telefono);
3. comunicare meglio gli uni con gli altri;
Alcuni concetti di base sono naturali (caldo e freddo, chiaro e scuro).
Si formulano ipotesi che si confrontano con l’esperienza: se queste ipotesi trovano conferma,
diventano concetti sociali che sono conservati, altrimenti sono rimossi.
Sebbene sia impossibile descrivere a parole taluni concetti (i colori, ad esempio), e sia invece
possibile usare parole prive di significato, il linguaggio è il principale strumento di apprendimento
dei concetti.
In definitiva, l’individuo apprende i concetti fondamentali per comprendere la realtà semplicemente
vivendo, facendo ipotesi e imparando a parlare.
LA PERSONA
Attraverso l’interazione sociale, cioè il rapporto con gli altri individui, si impara come considerare
gli altri ed a valutare le loro azioni.
Per fare ciò, si usa il principio della somiglianza, cioè si valuta se lo sconosciuto che ci sta di fronte
possa assomigliare ad altri a noi noti.
Quindi, percepire un altra persona è un processo di apprendimento per associazioni, cioè non solo
il prodotto di una somma di concetti, ma anche l’associazione tra essi: se consideriamo qualcuno
amichevole dovremo valutare, ad esempio, anche se questi sia affidabile od inaffidabile, cosicché il
giudizio finale potrà essere diverso dalla prima impressione.
Queste associazioni costituiscono lo schema attraverso il quale valutare le persone.
Uno schema è una unità di rappresentazione del mondo di una persona.
L'individuo interagisce con la realtà attraverso gli schemi e non sul modello stimolo/risposta.
Dagli studi di Piaget1 risulta che gli schemi evolvono costantemente sulla base dell'interazione con
la realtà che ci circonda.
IL SE’
L’immagine del sé rappresenta il modo in cui una persona classifica sé stessa.
Se a questa immagine si associano sentimenti positivi, allora si ha un alta autostima.
Questa immagine si sviluppa e cambia continuamente nel corso della vita di un individuo, e serve
alle persone ad imparare chi sono, attraverso il cosiddetto feedback sociale, cioè confrontando
«quello che noi crediamo di essere» con «come ci vedono gli altri».
Questo apprendimento del sé si esprime anche assumendo un certo ruolo, che diventa l’IO reale.
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Jean Piaget psicologo svizzero (1896-1980) [epistemologia genetica e cognitivismo], ha studiato le fasi dello sviluppo mentale.
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LA VITA QUOTIDIANA
Ciò che si presenta alla nostra coscienza appartiene a diversi ordini di realtà: oggetti fisici,
sensazioni, concetti, ricordi.
La realtà per eccellenza è quella della vita quotidiana, che contiene tutte le altre realtà.
La vita quotidiana è allora un insieme di regole che prevedono come ci si debba comportare in ogni
circostanza per ottenere certi risultati.
La conoscenza della vita quotidiana è governata dal principio di importanza, è data per scontata
da noi e dagli altri.
E’ come muoversi in una foresta oscura proiettando un fascio di luce: sarà illuminata solo la zona
circostante, il resto rimarrà al buio.
La forma più importante dell’esperienza degli altri è il contatto diretto faccia a faccia che si
chiama anche interazione sociale.
Queste relazioni seguono schemi condivisi reciprocamente: l’altro (e noi) siamo visti come un
uomo, una donna, un acquirente, un condomino, ecc..
Gli schemi funzionano fintanto l’altro, o una ns. reazione, non ci costringono a modificare lo
schema (ad es. quello che prima definivamo genericamente una persona diventa ora un condomino).
La struttura sociale è la somma dei modelli e degli schemi tipici che governano l’insieme delle
relazioni.
Il più importante dei sistemi di interazione sociale è il linguaggio, con il quale si possono
comunicare e trasmettere significati.
Il linguaggio potenzia la realtà interna degli uomini: parlando, ci ascoltiamo, e così i significati
soggettivi diventano oggettivi, veri.
Il linguaggio ha una funzione pragmatica: serve per risolvere problemi e compiere operazioni.
LA REALTÀ OGGETTIVA
(L’istituzionalizzazione)
Organismo e attività
L’istinto dell’uomo è, per certi versi, sottosviluppato rispetto a quello degli animali, ma ciò
nonostante, egli è riuscito ad adattarsi a tutti i tipi di condizioni ambientali adattando il proprio
bagaglio biologico ed istintivo.
La sua relazione con l’ambiente è fortemente legata e condizionata dall’ambiente, dal quale dipende
la sua sopravvivenza: il bambino dipende dalle condizioni sociali in cui vive.
Si può affermare allora che l’uomo non ha una sua natura, ma la costruisce: in sostanza, l’uomo
produce sé stesso.
Si veda ad esempio la sessualità: ogni cultura ha una sua configurazione sessuale tipica, con propri
modelli di condotta sessuale e presupposti antropologici.
Un singolo uomo non può svilupparsi in condizioni di isolamento perché il suo organismo manca
dei mezzi biologici necessari a dare stabilità alla propria vita: la stabilità è data dal fatto che gli
uomini sono sempre in un mondo sociale ordinato che li precede.
L’ordine sociale è un prodotto umano, i rapporti sociali non sono «leggi di natura» ma prodotti
dell’attività umana.
 L’istituzionalizzazione
Tutta l’attività umana è consuetudine, perché ogni azione o comportamento ripetuti sono
cristalizzati in uno schema fisso: la formazione di questi schemi può essere chiamata
istituzionalizzazione.
Questo comporta l’importante vantaggio di ridurre la gamma di scelte possibili e quindi semplifica
le decisioni che l’uomo deve prendere.
Quando gli schemi di comportamento creati a livello individuale sono condivisi si dicono
istituzioni.
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Le istituzioni risparmiano al singolo tempo e fatica, costituiscono lo sfondo che rende stabili,
precise e specializzate le azioni: si attua la divisione sociale del lavoro dove ognuno ha
competenza in determinati compiti ed i ruoli si cristallizzano.
Le prime forme di istituzioni sociali sono: il linguaggio, la comunicazione, il lavoro, la sessualità e
il contesto ambientale.
L’uomo produce la società e le sue istituzioni, e a sua volta, la società costituisce l’uomo: il
prodotto agisce sul suo produttore.
 I ruoli
Nelle istituzioni, ruoli e funzioni sono indipendenti da coloro che le incarnano: così la funzione del
medico è indipendente da chi la svolge.
I ruoli rappresentano l’ordine istituzionale permettendo all’istituzione di essere presente
nell’esperienza degli individui.
Ad esempio, la legge è istituzione attraverso i codici, cioè il linguaggio giuridico e la
giurisprudenza, ma esiste anche per i ruoli istituzionali del giudice e dei riti nei quali prende forma,
i processi.
Alcuni ruoli rappresentano simbolicamente tutto l’ordine istituzionale: fissando questa unità nella
coscienza dei singoli e nella condotta dei membri, questi ruoli simbolici costituiscono l’apparato di
legittimazione della società (istituzioni politiche e religiose).
LA REALTÀ SOGGETTIVA (L’interiorizzazione della realtà)
Per socializzazione si intende l’insieme di processi attraverso i quali gli esseri umani sono indotti ad
adottare i modelli di comportamento, i valori, le norme della società alla quale appartengono.
La socializzazione avviene in due fasi, quella primaria, nella prima infanzia, e quella secondaria,
che prosegue per tutta la vita.
 La socializzazione primaria
La socializzazione primaria è la più importante per l’individuo, ha luogo nell’infanzia, consiste
nell’ingresso del bambino nel mondo sociale già esistente, avviene in un ambiente carico di
componenti affettive attraverso l’identificazione con le persone influenti.
L’identità del bambino è perciò un’entità riflessa : l’IO del bambino diventa ciò che gli altri lo
considerano, assume il ruolo e l’atteggiamento delle persone significative e si appropria del loro
mondo.
Lo sviluppo di questo processo porta ha due conseguenze importanti:
1. sviluppa il senso delle regole e delle norme2
2. l’identità acquisisce stabilità e coerenza, diventando sempre più indipendente dal mondo che l’ha
prodotta.
Il bambino non ha scelta, deve accettare i propri genitori e le loro regole; l’identificazione
automatica lo porta a considerare il suo mondo come il mondo, unico esistente e concepibile.
E’ attraverso il linguaggio, unica struttura sociale comune in tutte le forme di socializzazione, che il
bambino impara a portare dentro di sé (interiorizzare) vari schemi.
La socializzazione primaria termina quando il concetto dell’altro è ormai acquisito nella
coscienza del bambino, ormai membro della società, che ha coscienza di sé e della realtà quotidiana.
 La socializzazione secondaria
Consiste nell’interiorizzazione delle istituzioni.
I contenuti della socializzazione secondaria, quando vengono messi a confronto con quelli della
socializzazione primaria, possono causare delle crisi, come quella di scoprire che il mondo dei
genitori non è l’unico ma solo un infinitesima parte di una realtà molto più grande.
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con questa progressione: la mamma è arrabbiata con me, ora: la mamma si arrabbia con me tutte le volte che rovescio la minestra - tutti si
arrabbiano con me quando rovescio la minestra =NORMA: non si rovescia la minestra
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La socializzazione secondaria inizia praticamente con la scuola, ed è comunque emotivamente
meno intensa della primaria : il bambino a scuola si rende conto che quello che gli insegna una
maestra può farlo un'altra maestra, che una lingua straniera insegnata a scuola è meno importante
della lingua madre, che non è necessario identificarsi con gli insegnanti per apprendere.
Ma ci sono anche forme di socializzazione secondaria emotivamente molto intense, come l’attività
artistica, la religione, la politica, nelle quali l’individuo si abbandona completamente; questa
intensificazione affettiva è dovuta alla competitività fra coloro che danno interpretazioni diverse
della realtà; ad esempio, il politico rivoluzionario deve dare una forte definizione di realtà da
contrapporre a quella ufficiale.
L’ampliamento della conoscenza ha obbligato alla creazione di agenti specializzati a tempo pieno
per la socializzazione secondaria, dando avvio allo sviluppo dell’educazione moderna (istruzione).
Ma in concreto, alla maggiore importanza della scuola corrisponde il declino della famiglia nella
socializzazione secondaria.
 Dopo la socializzazione
La socializzazione riuscita significa che la realtà concreta dell’individuo coincide senza problemi
con l’immagine che egli ha di sé stesso.
Nelle società nelle quali la divisione del lavoro è molto semplice e la distribuzione della conoscenza
è minima, dove l’ordine istituzionale esercita una pressione uguale su ogni persona, tutti sono (e si
sentono) quello che devono essere.3
Diverso è il discorso nelle società complesse, dove, ad esempio, la versione maschile e femminile
della realtà sono socialmente riconosciute, cioè questo riconoscimento viene trasmesso nella
socializzazione primaria: ecco che il bambino conoscerà la versione appartenente all’altro sesso così
come gli è stata mediata dalle persone significative dell’altro sesso, ma non si identificherà con
essa, a meno che non vi siano stati choc (ad esempio, la mancanza del padre non consente una piena
identificazione con il genere maschile)
Quando due mondi nettamente divergenti sono mediati nella socializzazione primaria, l’individuo
percepisce possibilità di vita alternative, una pubblica e una privata, che dovrà «tradire» a turno, a
seconda di come si identifica.
Ciò produce l’individualista, uno specifico tipo sociale che è riuscito consapevolmente a costruirsi
un IO con materiale fornito da un certo numero di identità disponibili.
 L’identità
L’identità è un elemento chiave della realtà soggettiva, ed è un fenomeno eminentemente
individuale.
D'altra parte occorre sottolineare che i tipi di identità sono sempre prodotti sociali, e cioè sono
elementi relativamente stabili della realtà sociale oggettiva.
Anche le teorie psicologiche sull’identità, indipendentemente dalla loro validità scientifica o meno,
sono teorie che vanno esaminate come fenomeno sociale.
 Considerazioni finali
L'organismo umano, in quanto entità naturale, influisce su ogni fase dello sviluppo e dell'attività
umana, ed è a sua volta influenzato da questa attività.
Nell’uomo, quindi, si ritrovano aspetti biologici e sociali.
Un esempio tipico è il caso della durata media della vita: gli individui delle classi povere rispetto i
ceti superiori sono più spesso malati (e di malattie diverse) ed hanno una vita media più breve,
anche se questo poi è discutibile, in quanto non sempre è così.
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nelle società feudali, il contadino è contadino, il signore è signore, non sono possibili crisi di identità.
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La società influenza direttamente l'organismo soprattutto per ciò che riguarda le pulsioni istintuali,
la sessualità e l'alimentazione: esistono impulsi biologici di tipo sessuale e nutrizionale, ma questi
non indicano dove cercare l'appagamento sessuale e che cosa mangiare.
Su tali campi dominano le forze della socializzazione.
Fra lo sviluppo biologico e quello sociale possono sorgere anche dei conflitti: il bambino piccolo
deve sottomettersi a ritmi del sonno diversi da quelli del suo organismo, e gli adulti sono spesso
socialmente vincolati a tempi ed obblighi che possono non tenere conto delle loro esigenze
biologiche.
Per quanto riguarda la realtà soggettiva, nell'individuo pienamente socializzato c'è un continuo
confronto interno fra l'identità e il suo essere biologico, confronto che si manifesta nel conflitto fra
l'IO superiore, e cioè l'identità socialmente acquisita, e l'IO inferiore che tende costantemente a
debordare dai limiti imposti dal primo.
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Capitolo 2
Interazione sociale, vita quotidiana e atteggiamenti
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Questo capitolo fa riferimento alle opere di Erving Goffman [La vita quotidiana come rappresentazione (1956),
Asylum (1961), Forme del parlare (1981)] ed in generale alla Etnometodologia5, che offrono una prospettiva originale
per vedere noi stessi e gli altri.
Verranno descritti quelli che sono gli atteggiamenti più comuni nella nostra relazione con gli altri. Questi concetti si
prestano a più interpretazioni, interessando la sfera intima delle persone, ma prenderemo in esame il punto di vista
della psicologia sociale che più interessa in questa sede.
LA VITA SOCIALE QUOTIDIANA
Quando due individui si incrociano per strada, si scambiano una breve occhiata, esaminandosi
rapidamente a vicenda il volto e il modo di vestire: nel momento in cui si passano accanto,
distolgono lo sguardo, evitando gli occhi dell’altro.
Questo accade milioni di volte al giorno, dappertutto.
Erving Goffman ha chiamato questa reazione disattenzione civile, cioè quello che ognuno di noi si
aspetta dall’altro, quando non lo conosciamo, non sappiamo chi sia, ma ci dimostriamo consapevoli
della sua esistenza e viceversa.
Anche se apparentemente insignificanti, le forme di interazione sociale come incrociare qualcuno
per strada o scambiare due parole assumono un interesse straordinario per due motivi:
1. Le routine quotidiane rappresentano la gran parte della nostra attività sociale;
2. Le interazioni sociali nella vita quotidiana servono per capire taluni aspetti dei sistemi e delle
istituzioni: l’esempio citato sulla disattenzione civile, di per sé banale, è in realtà un indicatore
della vita nelle grandi città, dove si moltiplicano i contatti fuggevoli ed impersonali e dove
manca la socialità.
LA COMUNICAZIONE NON VERBALE
Avviene attraverso segni, espressioni facciali, gesti o movimenti del corpo, che in realtà sono
utilizzati per smentire, amplificare o arricchire quanto viene detto a parole.
La Teoria dell’Evoluzione di Darwin sosteneva che le emozioni sono espresse egualmente da tutti
gli esseri umani; anche studi recenti hanno dimostrato che felicità, collera, tristezza disgusto, paura
e sorpresa sono manifestate con le stesse espressioni facciali.
E talune di queste espressioni facciali sembra siano innate (il sorriso o il disgusto dei neonati), ma
altre dipendono dalla cultura: muovere la testa dall’alto in basso non per tutti significa annuire,
girare il dito sulla guancia per indicare apprezzamento è un gesto tipicamente italiano.
Talvolta, i segni mostrano il contrario di ciò che diciamo: il fatto di arrossire ne è una
dimostrazione.
 La «faccia».
Con questo concetto si intende la stima che gli altri hanno di un individuo.
Una delle occupazioni più rilevanti nella nostra vita di relazione è quella di salvare la faccia, non
perdere la faccia.
Usiamo allora strategie comportamentali come l’etichetta o la cortesia, il tatto, che in sostanza non
sono altro che rinunce ad aspetti del comportamento che potrebbero far perdere la faccia a
qualcuno (quando siamo assieme ad una persona con la parrucca, si eviteranno battute sulla
calvizie).
Nell’interazione con gli altri, noi manteniamo, anche inconsciamente, uno stretto e continuo
controllo della mimica facciale, del portamento del corpo, dei gesti.
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Sociologo canadese (1922-1982) critico delle istituzioni totalitarie.
Scuola fondata nel 1967 da Harold Garfinkel, sociologo americano, che si occupa delle attività più ordinarie della vita quotidiana, della conoscenza
del senso comune e del ragionamento pratico, regole di base che disciplinano i rapporti quotidiani tra le persone.
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LA COMUNICAZIONE VERBALE
Lo studio della conversazione è stato è stato fortemente influenzato dal lavoro di Goffman, ma
l’autore che più di tutti ha studiato questo aspetto della comunicazione, lo scambio verbale, è
Harold Garfinkel.
I presupposti per la comprensione di un discorso sono, per ognuno degli interlocutori conferire
senso a ciò che si dice e per entrambi, conoscere il contesto sociale nel quale lo scambio verbale
avviene : sarebbe altrimenti impossibile capire una conversazione (senso e significato appaiono
chiari solo nel suo contesto).
Ad esempio, ci sono, nello scambio verbale, le cosiddette aspettative inespresse : se uno ci dice
«Buona giornata!» si comprende immediatamente il significato di augurio, di saluto, all’interno di
un contesto formale; non ci sogneremo mai di rispondere «buona in che senso?» oppure «a quale
parte della giornata ti riferisci?», perché in tal caso avremmo una immediata reazione di
incredulità, di fastidio e con ogni probabilità il nostro interlocutore troncherà la comunicazione.
Ciò significa che una conversazione dotata di senso è possibile solo se gran parte del contesto è
dato per scontato.
 Forme di scambio verbale
Se riascoltiamo una conversazione alla quale abbiamo partecipato, scopriremo che è assai diversa,
scorretta grammaticalmente, esitante, ben differente da quelle che leggiamo nei romanzi o sentiamo
al cinema, che sono grammaticalmente perfette.
Questo dimostra che la padronanza del linguaggio da parte della gente comune, percepita come una
normale attitudine, è in realtà assai complessa.
Ci sono poi espressioni linguistiche che in realtà non significano nulla, ma invece servono a
controllare la situazione: un esempio i gridi di reazione, come l’OPLÀ quando cade qualcosa di
mano o si sta perdendo l’equilibrio (serve a tranquillizzare gli altri che la situazione è sotto
controllo).
Sigmund Freud, nella Psicopatologia della vita quotidiana analizza un’altra forma verbale, il
lapsus linguae, ovvero pronunciare una parola o una frase che ha un significato diverso da quello
che si voleva dire6.
Il lapsus assume connotazioni ridicole quando a commettere errori verbali sono gli annunciatori o
gli insegnanti, dai quali non ci aspettiamo errori.
INTERAZIONI
 Gli incontri, contesti e situazioni
Goffman ha individuato alcune situazioni, a vario livello, nelle quali gli individui entrano in
rapporto.
Quando grandi quantità di persone si ritrovano insieme in una strada affollata, a teatro, ad una festa,
allo stadio, ogni individuo comunica con gli altri attraverso gesti, mimica facciale, movimenti del
corpo, cioè attraverso una comunicazione non verbale (interazione non focalizzata).
All’interno di un interazione non focalizzata avviene l’incontro, cioè l’interazione focalizzata
(quando ad esempio, in un supermercato affollato incontriamo un amico).
Passare da un interazione non focalizzata ad una focalizzata significa superare la disattenzione
civile.
Quando un incontro si discosta notevolmente dalla normale routine quotidiana, per evitare di creare
ambiguità su quanto sta accadendo, si emettono dei segnalatori, si attuano cioè comportamenti
esagerati di rassicurazione.
Un esempio, quando ci si trova assieme ad altri in un ascensore, non si guarda nessuno fisso negli
occhi (perché fissarlo è un segno di sfida), si fa finta di non ascoltare una conversazione in corso,
oppure quando parecchie persone sono sedute attorno ad un tavolo ed una riceve una telefonata, le
altre fanno finta di non prestare attenzione.
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Freud ritiene che i lapsus siano indicatori di un conflitto represso nell’IO, inconsciamente motivati.
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L’interazione sociale quotidiana, secondo Goffman, può essere rappresentata da una metafora,
quella della vita quotidiana come rappresentazione, nella quale ognuno interpreta più ruoli su più
palcoscenici (ci vestiremo e ci comporteremo diversamente a seconda se andremo in ufficio o ad
assistere ad un concerto).
Un altro particolare importante, nell’incontro, è quello della distanza tra gli interlocutori, (distanza
prossemica) quello spazio personale che varia da cultura a cultura: nel mondo occidentale, di
norma due persone si mantengono ad un metro di distanza nel corso di un interazione focalizzata,
mentre tale misura è notevolmente ridotta nel Medio Oriente.
Sono state distinte quattro zone7 di spazio privato:
 la distanza intima che arriva fino a 50 cm è riservata a pochissimi contatti sociali (genitori e
figli, amanti, possono violare questa distanza;
 la distanza personale da 50 cm ad un metro e venti, quella normalmente riservata agli incontri
tra amici e conoscenti, con limitata intimità;
 la distanza sociale tra un metro e venti e i tre metri e mezzo, quella riservata alle interviste e agli
incontri formali;
 la distanza pubblica oltre i tre metri e mezzo, quando si agisce di fronte ad un uditorio.
Se queste distanze vengono invase e violate, l’individuo tende a riappropriarsi dello spazio,
allontanando l’intruso con uno sguardo o con una decisa azione fisica (uno spintone); quando
invece si è costretti a subire questa violazione, si delimita fisicamente lo spazio (al bagno con borse
ed asciugamani, in biblioteca, con pile di libri)
CONFORMITÀ E DEVIANZA
 Premessa
La devianza è la non conformità ad una norma o ad un complesso di norme che sono accettate da un
numero significativo di individui all’interno di una società.
Non è possibile distinguere precisamente in una società coloro che rispettano le norme da coloro
che le infrangono: tutti quanti noi abbiamo trasgredito e trasgrediremo (basti pensare a quanti
rispettano rigorosamente i limiti di velocità od i divieti di sosta).
La devianza va riferita non solo all’individuo ma anche a gruppi.
 Norme e sanzioni
Tutte le norme sociali sono accompagnate da sanzioni che promuovono la conformità e proteggono
dalla mancata conformità; la sanzione è una reazione degli altri al comportamento di un individuo o
di un gruppo, reazione che ha lo scopo di assicurare il rispetto di una norma.
Le sanzioni possono essere positive sotto forma di una ricompensa per il rispetto alla norma o
negative, come la punizione.
Le sanzioni formali sono solo negative, sono reazioni di un agente o gruppo incaricato di
assicurare il rispetto della norma (la polizia, i tribunali, le prigioni, le multe), mentre le sanzioni
informali possono essere sia positive, e lo sono gli apprezzamenti (il sorriso, la pacca sulla spalla),
sia negative (l’insulto, il rimprovero).
Le sanzioni formali sono i reati, ossia i comportamenti contrari alla legge.
 La spiegazione della devianza
Neologismo di uso abbastanza recente (dagli anni ’60), che ha assunto come significato i termini
precedenti, quali la patologia sociale, disorganizzazione sociale, problemi sociali.
Alcuni cenni sulle varie interpretazioni.
I primi tentativi di spiegare la devianza sono stati, nel secolo scorso, di carattere biologico (gli studi
di Paul Broca sulla relazione forma del cranio - criminale, o di Cesare Lombroso sulle tendenze
criminali acquisite alla nascita); seppure screditate, queste teorie sono ricomparse negli anni ’40
(Sheldon e le sue tipizzazioni [mesomorfi, forti e muscolosi hanno più probabilità di diventare
criminali degli ectomorfi, magri o endomorfi, grassi], o il cromosoma Y in più).
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Edward T.Hall
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La possibilità dell’influenza dei fattori genetici sulla criminalità può solo essere ricondotta alla
maggiore aggressività od irritabilità di taluni individui.
Anche le teorie psicologiche associano la delinquenza ad un particolare tipo di personalità, definita
psicopatica e determinata, secondo Freud, dal mancato sviluppo delle autolimitazioni causa un
rapporto problematico con i genitori.
Ma gli studi in materia che confermano queste tesi sono stati effettuati su criminali detenuti e non
possono perciò costituire un riferimento teorico valido.
La criminalità va studiata dal punto di vista sociale, cioè sull’influenza che le diverse condizioni
esistenziali producono sugli individui (nelle bande giovanili, rubare è segno distintivo e non viene
visto come un reato ma come prova di coraggio, furti e rapine sono più frequenti nelle classi più
povere, appropriazione indebita e evasione fiscale sono prerogativa di quelle più ricche).
Ma la causa principale viene ricondotta, secondo la Scuola di Chicago8, alla associazione
differenziale secondo cui gli individui diventano delinquenti quando si associano ad altri che sono
portatori di norme criminali, apprese dai genitori o familiari, e l’attività criminale diventa un
occupazione (i contrabbandieri napoletani o pugliesi).
Anche l’anomia, ovvero la perdita dei valori morali e delle norme tradizionali nelle società
moderne non più sostituiti da altri principi guida, sarebbe causa di comportamenti devianti.
LA MALATTIA MENTALE
L’idea che gli alienati siano mentalmente malati risale a due secoli fa: prima di allora, le persone
che si considerano affette da disturbi mentali erano giudicate possedute, intrattabili o malinconiche,
ma non malate.
I disturbi mentali sono a grandi linee suddivisi in due categorie principali:
-­‐ la psicosi,
è la più grave perché comporta un disturbo del senso di realtà.
La schizofrenia e la paranoia sono le forme più gravi e più note, che si manifestano con discorsi
illogici e sconnessi, allucinazioni visive e uditive, manie di grandezza e di persecuzione, mancanza
di reazione alle situazioni e avvenimenti dell’ambiente circostante; anche nelle forme non
conclamate, tali disturbi non impediscono agli individui di condurre una vita regolare.
-­‐ la neurosi,
consiste nella preoccupazione ossessiva per questioni che altri giudicherebbero banali, e si
manifestano con crisi del sistema neurovegetativo (panico, sudorazione, dispnea); possono anche
causare attività compulsive, quelle che l’individuo si sente costretto a fare (fare e rifare il letto trenta
volte prima di sentirsi soddisfatto).
I vari tentativi di ricondurre i disturbi mentali (in particolare la schizofrenia) su basi fisiologiche,
hanno ispirato terapie fisiche come la lobotomia prefrontale o l’elettroschock, peraltro abbandonate
per l’avvento degli psicofarmaci, il cui uso è molto meno distruttivo.
ATTRAZIONE INTERPERSONALE
L’attrazione si definisce un sentimento e si rappresenta come un emozione positiva verso un altra
persona, che aumenta se l’altro ci offre gratificazioni in termini di riconoscimento e diminuisce se
questi ci «punisce», non accorgendosi di noi; in termini economici9, se la relazione con l’altro
produce valore aggiunto, profitto (benefici ricevuti meno i costi).
Ogni relazione, quindi, sarà in equilibrio precario, in quanto ogni fonte di attrazione suscita
sentimenti positivi e negativi.
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Fondata da Robert Park nel 1914 ha affrontato per la prima volta uno studio sistematico della città dal punto di vista sociologico attraverso uno
studio empirico della società urbana
9 La Teoria di Homans: i nostri sentimenti per gli altri dipendono dalla quantità di gratificazioni che riceviamo
Giuseppe Rigotti Comunicare in Condominio
14
L’attrazione è legata al cosiddetto effetto vicinanza; ognuno di noi si espone allo stimolo dell’altro,
più tempo dura l’esposizione, più aumenta la probabilità dell’incontro.
Questo effetto è studiato in USA nelle campagne elettorali, dove la durata media di presentazione
agli elettori dei candidati mette in grado i ricercatori di prevedere l’esito delle elezioni.
La vicinanza fisica favorisce l’attrazione: chi abita nella stessa casa si espone all’altro, che diventa
familiare, e quindi la presenza reciproca riduce l’ansia.
Anche la bellezza fisica è un fattore di attrazione, ma la gente non va sempre alla ricerca di persone
straordinariamente belle: piuttosto, si cercano persone le cui attrattive sono proporzionate alle
proprie.
L’aspetto fisico di un individuo viene usato come fattore indicativo della sua personalità (ai belli si
attribuiscono sia tratti positivi che negativi).
In linea di principio, si è attratti dalle persone le cui opinioni, valori, retroterra culturale sono simili
a noi; si cercano, tuttavia, negli altri anche caratteristiche complementari alle nostre che concorrano
ad aumentare le gratificazioni comuni (somiglianza)
Nella cultura occidentale, una relazione interpersonale si costruisce attraverso fasi: da un contatto
iniziale si sviluppa consapevolezza della presenza fisica, poi si esplorano gli interessi e gli
atteggiamenti, e se la relazione rimane gratificante, allora si arriva alla reciprocità, all’accettazione
reciproca e con essa alla soddisfazione dei rispettivi bisogni.
Le persone si associano alle altre per evitare la solitudine, che può essere considerata come
isolamento emotivo, se manca un’intimità esclusiva, oppure isolamento sociale, quando manca una
comunità solidale.
Se l’individuo ritiene che la propria solitudine dipenda dalla sua incapacità di relazione, allora cade
in depressione.
Essere o sentirsi soli in una comunità di persone e la solitudine degli anziani costituisce uno dei
problemi più difficili da risolvere nel nostro lavoro.
PREGIUDIZIO E DISCRIMINAZIONE
Il pregiudizio è un atteggiamento.
Un atteggiamento è la tendenza a rispondere prontamente, in modo negativo o positivo, a un
particolare oggetto o classe di oggetti.
Quando questo tipo di risposta viene influenzata da una componente culturale e affettiva e da luogo
ad un comportamento, ci troviamo davanti ad una discriminazione.
La discriminazione produce un senso di inferiorità nelle persone cui è diretta.
I pregiudizi possono instaurarsi fin dai primi anni di vita, per imitazione dei genitori; è il caso delle
personalità autoritarie, nelle quali il pregiudizio è una caratteristica; da ciò appare chiaro
come i pregiudizi siano appresi.
Anche i mass media favoriscono il pregiudizio nei bambini, ma in genere questi atteggiamenti
possono insorgere in qualunque momento della vita, in quanto i pregiudizi tendono ad unirsi con
altri pregiudizi: chi li manifesta nei confronti di un gruppo etnico, li manifesterà probabilmente
anche nei confronti di altri gruppi marginali.
 Capro Espiatorio
La gente, molto spesso, rimprovera ingiustamente gli altri delle proprie difficoltà, e allora si ha il
fenomeno del capro espiatorio.
E’ il comportamento successivo al pregiudizio, che viene caricato di un sentimento negativo sempre
presente nella nostra cultura, fin dalle origini dell’uomo.
 Cenni storici
Il C.E. si ritrova nella mitologia Ittita, greca e romana.
Giuseppe Rigotti Comunicare in Condominio
15
Il termine ci arriva dal Vecchio Testamento, lo Yom Kippur, il Giorno dell’Espiazione, dove si
narra dei due capretti sacrificati uno a Jahvè, ucciso secondo il rituale tradizionale, e l’altro a
Azazel, l’angelo caduto in disgrazia che è l’opposto a Dio, il nostro diavolo.
Sulla sua testa, il sacerdote impone le mani e confessa i peccati di Israele, e poi lo affida ad un
uomo che lo abbandona nel deserto (l’opposto al campo coltivato).
Nella Grecia antica, il capro espiatorio è il pharmakòs : nella polis l’individuo più repellente, dopo
essere stato nutrito, blandito e vezzeggiato, viene frustato con rami di fico e cacciato dalla città:
questa procedura è chiamata katàrsis, purificazione.
Questo rituale che scaccia il male attraverso il sacrificio di animali o esseri umani è presente in tutte
le culture.
Per la psicologia del profondo, il capro espiatorio è un sostituto che rappresenta le parti represse
della propria personalità (Neumann), è il meccanismo di difesa10 che la psicoanalisi chiama
dislocazione dell’aggressività, che viene diretta su un altro bersaglio (più accessibile e debole
rispetto alla causa della frustrazione) che diventa il carpo espiatorio.
E’ l’ombra di Jung, la cui radice appartiene sicuramente alla tradizione e diventa lo stereotipo.
Lo straniero, il diverso, il negro, oggetti di pregiudizio, diventano facilmente capri espiatori.
Nella storia, se ne trovano esempi di ogni tipo: gli untori, portatori di peste, i protestanti,
perseguitati dai cattolici, gli ebrei, fin dall’antichità ritenuti i responsabili di tutti i comportamenti
più turpi, e così via.
E’ chiaro come il capro espiatorio sia una necessità sociale, un bisogno.
L’AGGRESSIVITÀ
Jean Jacques Rosseau, filosofo svizzero di lingua francese del XVIII secolo, ha identificato nella
comparsa della proprietà privata (la recinzione del campo è l’affermazione «questo è mio»)
l’origine dell’aggressività dell’uomo e il suo superamento attraverso il contratto sociale.
Prima di lui, Thomas Hobbes (ne Il Leviatano), filosofo inglese del XVI secolo aveva un idea ben
precisa sull’origine dell’aggressività, e cioè che gli uomini vivono «nello stato di natura» con una
naturale tendenza all’aggressività per ovviare alla quale si sottomettono ad un potere esterno.
Sigmund Freud, Konrad Lorenz e altri studiosi affermano che l’individuo è istintivamente
aggressivo, ma l’influenza genetica è indiretta, in quanto l’aggressività deriva dall’apprendimento
sociale e dalla deprivazione affettiva.
L’aggressività è l’intenzione di danneggiare uno o più individui (aggressività e emozioni sono due
cose diverse).
L’aggressività deriva dall’emotività: la frustrazione è sicuramente una delle cause, ma gli studi
attuali tendono ad individuarne la causa nell’eccitazione emotiva.
La connotazione negativa che in generale accompagna l’aggressività, diventa positiva quando
l’individuo è impegnato in una attività fisica o in competizione: in questo caso viene ammirato se è
«duro e aggressivo».
Le emozioni scatenano violenza: gli stimoli erotici, se percepiti come disgustosi, producono una
risposta aggressiva, l’alcool aumenta l’aggressività, la marijuana la riduce.
Lasciare sfogare non garantisce il ripetersi dell’impulso aggressivo, per il quale va opposto un
comportamento alternativo.
Le persone diventano aggressive o per ottenere vantaggi oppure per sfuggire a sanzioni, ma punire
l’aggressività serve solo a facilitarne la ricomparsa.
L’aggressività viene appresa attraverso l’osservazione di modelli.
I mass media diffondono tra i bambini modelli aggressivi facilmente imitabili ed è provato che
osservare la violenza in televisione, oltre a produrre tendenze aggressive, determina anche una certa
10
Il fenomeno è stato studiato negli anni ’30 da John Dollard fondendo nozioni di derivazione psicoanalitiche con schemi comportamentisti
(l’aggressione sulle minoranze razziali)
Giuseppe Rigotti Comunicare in Condominio
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insensibilità (tesi contrarie sostengono che i programmi violenti producono aggressività solo in chi
è naturalmente aggressivo).
I GRUPPI
Quando in un contesto socio-culturale molte persone, se non addirittura la maggioranza, si
comportano in modo simile, spontaneamente e senza alcuna interferenza esterna o interna, possiamo
parlare di comportamento di massa (le mode, i fan club).
Quando invece i comportamenti di tutti i partecipanti all’interazione seguono uno schema unitario
finalizzato al perseguimento di uno scopo comune, parleremo di comportamento di gruppo.
Definiamo gruppo, pertanto, l'insieme di due o più persone interagenti faccia a faccia, che
percepiscono se stesse come facenti parte di un'unità durevole nel tempo e nello spazio, e che
condividono almeno una finalità comune.
La coesione è l’attrazione reciproca tra i componenti di un gruppo, mentre l’attrazione dei
componenti verso il gruppo si definisce come insieme.
La coesione può essere inibita dalla tendenza dei membri del gruppo a formare gerarchie e
sottogruppi, o clan.
L’opinione della maggioranza gode del principio della verità e della norma, in quanto esprime il
sistema sociale nel suo complesso; all’opinione della minoranza, viene dato il marchio di errore o
di devianza: di conseguenza, un individuo, di fronte alla scelta fra due opinioni, quella della
maggioranza e quella della minoranza, opterà spontaneamente per la prima, in quanto unica
scelta normativa.
Nel gruppo, alcuni individui sono destinati alla sottomissione (quelli che hanno più bisogno di
approvazione, i conformisti), altri all’indipendenza o all’opposizione.
I conformisti sono individui cauti, moderati, sottomessi ed ansiosi della considerazione degli altri.
Gli anticonformisti, invece, sono individui con un alto grado di sicurezza, si sentono più
competenti, più potenti, di livello sociale superiore degli altri; trovano il consenso di alcuni membri
del gruppo, in opposizione alla maggioranza, ritengono che per la soddisfazione dei propri bisogni,
ci sia poco da guadagnare dal conformismo.
Un individuo acquisisce autorità sul gruppo quando afferma di aderire alle norme ed ai fini del
gruppo: se egli modifica tali norme e finalità, gli altri lo seguono perché dipendono da lui ed egli
rappresenta il gruppo.
Il leader è l’individuo investito di potere o di competenza, è quello dal quale, paradossalmente, gli
altri si aspettano cambiamenti: dev’essere perciò anticonformista.
 Alcune notazioni dal punto di vista psicoanalitico
Al centro dei fenomeni di gruppo vi è un processo di identificazione di ciascun membro con il
capo; è questo il legame che connette i membri del gruppo, in quanto ognuno di essi ha fatto
proprio lo stesso modello (il capo) e di conseguenza, ognuno si identifica con gli altri in base a
questa caratteristica comune.
Per Freud 11, questa identificazione deriva dalla ripetizione di quella già vissuta, in età infantile,
dapprima con il padre, dal quale il bambino trae forza e sicurezza, e poi da quella con i fratelli
rivali, con i quali deve trovare un accomodamento per condividere l’amore del padre.
 Teoria dei Sistemi Familiari
L’ideatore di questa teoria è lo psichiatra americano Murray Bowen.
Secondo questo autore, la famiglia è un unità emotiva, in quanto nella relazione di gruppo si
ritrovano, con le ovvie differenze, gli stessi meccanismi emotivi che regolano il rapporto tra i
membri di una famiglia.
Va tenuto conto che, simbolicamente, la realtà oggettiva è poco importante, mentre conta di più la
realtà soggettiva, ovvero non è importante ciò che è ma ciò che si crede che sia.
11
In «Pscicologia della masse e l’analisi dell’Io» e «Totem e tabù»
Giuseppe Rigotti Comunicare in Condominio
17
L’interesse per questo approccio è che verso la figura parentale dominante si proiettano gli stessi
sentimenti di disagio, soggezione, oppure di affetto, stima od ammirazione che proviamo nei
confronti del padre.
Questa proiezione si ripropone ogniqualvolta si entra in rapporto con l’autorità: è importante
perciò capire che se il rapporto con il proprio padre è stato nell’infanzia sereno e costruttivo, sarà lo
stesso con colui il quale esprime il potere e l’autorità; viceversa, saremo a disagio e proveremo
insicurezza se il rapporto paterno sarà stato conflittuale.
La Teoria dei Sistemi Familiari considera la famiglia come un insieme di relazioni dipendenti
fra loro, per cui i soggetti non sono autonomi ma sono entità influenzate da pensieri, sentimenti e
comportamenti di tutta la famiglia.
Questi concetti spiegano come in certi gruppi di persone siamo stati molto bene, mentre in altri
meno, in quanto erano i comportamenti e gli atteggiamenti mentali del gruppo a condizionare il
nostro modo di agire.
Allora potremo considerare il gruppo come un sistema, dove agendo su un elemento, si
influenzano anche gli altri.
L’esempio migliore è quello del corpo umano, che quando si ammala il medico partendo dal
sintomo risale alla causa della patologia.
Nel gruppo, il comportamento polemico e ipercompetitivo di un partecipante è la conseguenza
dell’influenza degli altri: ad esempio, un progetto presentato con troppa enfasi o arroganza può
innescare la competitività di alcuni partecipanti e quindi il relatore si troverà in conflitto emotivo
con essi; anche il dubbio e l’incertezza rafforzeranno l’ansia dei collaboratori.
Giuseppe Rigotti Comunicare in Condominio
18
Capitolo 3
Comunicare
La Comunicazione è il processo attraverso il quale gli esseri umani creano, mantengono e alterano l’ordine sociale, la
propria visione del mondo, le relazioni tra loro e la loro stessa identità personale.
La Comunicazione non rispecchia la realtà esterna, ma la crea.
LA COMUNICAZIONE
Comunicazione deriva dal latino communis, che vuol dire mettere in comune, ed una sua definizione
precisa occuperebbe troppo spazio, senza peraltro risultare utile ai fini di questo lavoro. Si parla,
infatti, molto spesso di comunicazione in termini assai tecnici ed astratti, con il risultato di annoiare
i non addetti ai lavori.
Daremo quindi per scontato che la nozione sia nota, mentre sarà più interessante dare un cenno agli
aspetti della comunicazione che più interessano l’interrelazione.
Lo schema classico della comunicazione, definita come «il trasferimento di informazioni da un
emittente ad un ricevente per mezzo di messaggi» è stato costruito da Shannon e Weaver nel 1949,
ed è rappresentato dalla figura12 che segue.
Alcune definizioni:
-
12
Emittente
colui che manda il messaggio, E’ il responsabile dell’avvio della comunicazione.
Messaggio
ciò che il mittente trasmette al destinatario;
Ricevente
colui al quale e’ inviato il messaggio;
Canale
mezzo attraverso il quale il messaggio passa dal mittente al destinatario;
Codice
sistema di segni con cui il mittente formula il messaggio che invia al destinatario.
Ogni CODICE ha un proprio sistema di segni, che è un insieme di significante, ciò che è percepibile, come ad es. il
suono o la forma grafica della parola più il significato, ciò che è traducibile, come ad es. quello che vuol dire la
parola.
Un codice è il linguaggio, che può essere:
gestuale il segno imita l’aspetto esteriore della cosa (il gesto)
iconico il segno è un immagine di una cosa reale (l’immagine)
simbolico tra segno è significato c’è poca relazione (il simbolo)
verbale è il risultato di convenzioni tra persone (la parola)
La figura è tratta dal testo di Stefano Castelli, LA MEDIAZIONE-Teorie e Tecniche, Raffaello Cortina Editore
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Giuseppe Rigotti Comunicare in Condominio
Questo schema è stato poi rivisto da Lasswell e Braddock, nel 1959, i quali hanno aggiunto alcuni
elementi di analisi che hanno introdotto nuovi criteri di valutazione del processo comunicativo,
quali la condivisione culturale, gli stati d’animo, il contesto.
Un ulteriore sviluppo della comprensione della comunicazione è stato dato dalla constatazione che
concetti anche assai complessi sono compresi facilmente quando vi è una relazione fra i
comunicanti, quando cioè le persone condividono il senso di quanto dicono.
Ma la rivoluzione scientifica nello studio sulla comunicazione umana si deve alla Scuola di Palo
Alto ed alle intuizioni e gli studi di Paul Watzlawick, quando si è dimostrato che la comunicazione
non solo passa dall’emittente al ricevente, ma viene in ogni istante modulata dalle risposte che il
ricevente dà.
L’informazione, cioè, genera un feedback, un segnale di ritorno che consente all’emittente di
modificare la comunicazione successiva adattandola a quella che gli pare essere la situazione di chi
riceve.
Si coinvolgono, quindi, più canali di trasmissione e si generano più livelli di trasmissione: entrano
in gioco modalità nuove, quali il non verbale e il paraverbale.
Per dirla con le parole di Paul Watzlawick13 «…il comportamento non ha il suo opposto. In altre
parole, non esiste qualcosa che sia “non comportamento” o, più semplicemente, non è possibile
non avere un comportamento. Ora, se si accetta che l’intero comportamento in una situazione di
interazione (tra esseri viventi, tra persone), ha valore di messaggio, vale a dire che è
comunicazione, ne consegue che, comunque ci si sforzi, non si può non comunicare. L’attività o
l’inattività, le parole o il silenzio hanno tutti valore di messaggio: influenzano gli altri e gli altri, a
loro volta, non possono non rispondere a queste comunicazioni e in tal modo comunicano anche
loro».
LA PROGRAMMAZIONE NEUROLINGUISTICA (PNL)
messaggio
MITTENTE
RICEVENTE
feedback
La PNL utilizza un modello di comunicazione circolare, dove la comunicazione si basa sul
feedback.
Comunicare perciò significa influenzare l’esperienza dell’altro e generare in lui una reazione.
Il significato del messaggio è determinato dalle reazioni del ricevente piuttosto che dalle
intenzioni del mittente: il significato è la risposta che riceviamo, il feedback che influenza la
comunicazione successiva.
Senza feedback, non sappiamo nulla di quello che abbiamo trasmesso.
La PNL nasce negli USA negli anni ’70, quale risultato di una ricerca di un matematico, Richard
Bandler e di un linguista, John Grinder, che rielaborano il lavoro psicoterapeutico di Milton
Erickson, che ha rivisto il ruolo dell’ipnosi nella terapie brevi, Fritz Perls, inventore della Gestaltterapia ma soprattutto dell’opera di Paul Watzlawick e della Scuola di Palo Alto, di cui si è già fatto
cenno nel paragrafo precedente.
13
Watzlawick P., Beavin J.H., Jackson D.D., Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma, 1971
Giuseppe Rigotti Comunicare in Condominio
20
La PNL non è una teoria ma un modello, in quanto descrive il funzionamento di un sistema ma
non si chiede perché questo funzioni.

IL NOSTRO CERVELLO
E’ il luogo più complesso dell’universo, il sistema più
sofisticato e misterioso che il Cosmo nella sua evoluzione
abbia mai prodotto.
Un chilogrammo e mezzo di materia grigia formato da un
incredibile groviglio di cellule, che può compiere 10 seguito
da 3000 zeri operazioni per mezzo di 1012 cellule chiamate
neuroni.
Il premio Nobel Edelman lo ha così descritto: «La parte
superficiale del cervello è come un giornale accartocciato.
Se svolgessimo questo foglio, ovvero distendessimo la corteccia cerebrale, impropriamente definita
la parte pensante dell’encefalo otterremmo una superficie grande come una tovaglia spessa un
millimetro con 10 miliardi di cellule e un milione di miliardi di connessioni (sinapsi). Contando una
connessione ogni secondo, finiremmo tra 32 milioni di anni.»
Questo per capire come l’organizzazione dei circuiti cerebrali di un individuo sia assolutamente
singolare ed irripetibile.
La Mappa non è il Territorio
Ovvero, una carta geografica non è il territorio che rappresenta ma, se è esatta, ha una struttura simile a quella del
territorio e ciò ne giustifica l’utilità.
Questo per dire che la rappresentazione interna che noi facciamo della realtà non è l’esatta riproduzione dell’evento ma
è soltanto un interpretazione filtrata dalle nostre credenze, atteggiamenti, valori personali ed in particolare dai nostri
apparati sensoriali.
 PERCEPIAMO IL MONDO
Come abbiamo visto, ognuno di noi è un essere assolutamente originale ed irripetibile che
interagisce con il mondo circostante attraverso il proprio apparato sensoriale collegato al sistema
nervoso.
La realtà, intesa come percezione di ciò che succede, viene elaborata da ciò che vediamo con i
nostri occhi, percepiamo con le nostre emozioni, ascoltiamo con le nostre orecchie, odoriamo con
il naso, gustiamo con il palato, cioè dal nostro sistema rappresentazionale.
Ma la realtà viene anche elaborata dalle nostre credenze, convinzioni, valori, fabbricati sulla base
delle nostre esperienze di vita.
Ognuno di noi usa preferibilmente un canale sensoriale, alla stregua della lingua madre che si
impara fin dai primi balbettii.
I canali sensoriali sono stimolati da immagini interne, ricordate oppure costruite dall’esperienza,
che sono in deposito nel grande magazzino della memoria; questo materiale viene manipolato,
riorganizzato, ricostruito in qualcosa di assolutamente personale e creativo: il pensiero.
 CONSCIO ED INCONSCIO
I nostri 5 sensi sono come delle finestre che noi apriamo per organizzare dentro di noi le
informazioni che riceviamo.
A livello conscio apriamo in rapidissima successione una sola finestra alla volta, mentre a livello
inconscio le finestre sono sempre aperte, ed immagazzinano molte più informazioni di quante noi
possiamo neanche lontanamente immaginare.
E’ come se disponessimo di un sistema di comunicazione con cinque stazioni che trasmettono in
contemporanea suoni, immagini, sensazioni e emozioni, sapori, odori.
Giuseppe Rigotti Comunicare in Condominio
21
A livello conscio, possiamo accedere ad un solo canale alla volta, mentre la nostra mente inconscia
riceve tutte le stazioni in simultanea e ne registra i programmi, mettendoli a nostra disposizione
quando necessario.
 I CANALI DELLA COMUNICAZIONE
Ci sono comportamenti tipici per ogni canale comunicazionale, che lo caratterizzano e lo
manifestano.
 Il canale visivo
Movimenti involontari degli occhi si dirigono verso l’alto, a destra o a sinistra.
Posizione del corpo un po’ distante, per osservare ciò che accade, respirazione di petto, poco
profonda, postura diritta, spalle erette, gesti verso l’alto, come a disegnare ciò che descrivono.
Raccontano in terza persona, in dissociato, vedendo l’esperienza, parlando velocemente, usando
frasi del tipo:
«Compro solo ciò che vedo» «A prima vista mi sembra…» «Quello che mi dici mi sembra oscuro»
«E’ vero senza ombra di dubbio» «Non riesco a vedere chiaro nel nostro rapporto» «Dai un
occhiata a quello che ho fatto».
 Il canale uditivo
Lo sguardo è di lato, in orizzontale, in ascolto.
I movimenti sono ritmici.
Spalle all’indietro ma un po’ curve (posizione del sassofonista), testa inclinata, respirazione
uniforme e diaframmatica, tono di voce chiaro, voce melodiosa, buona pronuncia.
Usa frasi del tipo:
«Ti ascolto con attenzione» «Quello che dici mi suona bene» «E’ importante essere in armonia
con gli altri» «Ho sentito dire che questo programma…» «La notizia è precisa parola per parola».
 Il canale cenestesico
A guidare queste persone sono le sensazioni corporee o viscerali.
Respirazione profonda, addominale, sguardo rivolto verso il basso, a destra, muscoli rilassati, spalle
curve.
Stanno molto vicini all’interlocutore, sentono il bisogno di toccarlo14
Parlano piano, lentamente, con frequenti pause.
Il colore della pelle si modifica (impallidiscono o arrossiscono a seconda delle emozioni che
vivono).
Usano frasi del tipo:
«Ho la sensazione di essere preso in giro» «Mi emoziona la tua presenza» «Sento di essere
d’accordo».
Una variabile del canale cenestesico è il dialogo interno, quando cioè le persone parlano a sé
stesse, rivolgendo gli occhi verso il basso a sinistra.
La postura è simile a quella assunta quando si telefona, con il capo appoggiato sulla mano sinistra; i
gesti più frequenti sono accarezzarsi il mento o toccare la zona attorno alle orecchie.
Respirazione profonda, frasi del tipo «Me lo sono detto mille volte».
Se volete avere successo in una trattativa e convincere il vostro interlocutore, usate lo stesso canale
sensoriale.
Non fate come quel venditore d’auto visivo che con voce alta e stridula magnificava la gamma dei colori
dell’auto e la bellezza delle rifiniture al cliente auditivo e si meravigliava poi di non averlo interessato
affatto: se avesse esaltato il canto del motore e la silenziosità degli interni avrebbe avuto sicuro successo.
14 L’antropologo Edward Hall ha elaborato una teoria secondo cui le popolazioni diverse hanno un canale sensoriale particolare: i mediorientali sono
cenestesici, prediligono il contatto fisico e la vicinanza, al contrario dei nord europei che sono prevalentemente visivi e rifiutano delle volte anche la
stretta di mano.
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Giuseppe Rigotti Comunicare in Condominio
 Una chiave di lettura
Negli anni ’80, studi scientifici hanno provato che i movimenti oculari riflettono le diverse funzioni
degli emisferi cerebrali impegnati ad elaborare in ½ secondo le informazioni che vengono loro
fornite dai sistemi rappresentazionali.
Vi sono modalità e combinazioni diverse per ogni individuo, dei segnali di accesso che si possono
osservare, per comprendere quale sistema rappresentazionale egli sta usando, ossia se sta pensando
in termini di immagini, suoni o sensazioni.
Prima di entrare nel merito dei movimenti oculari, ritorniamo brevemente al funzionamento del
nostro cervello, osservando questo schema.
Vediamo che gli emisferi hanno
funzioni diverse: quello sinistro è
logico, ovvero presiede le funzioni
fondamentali per la vita di relazione:
leggere,
parlare,
ragionare
logicamente, fare calcoli, usare la
mano destra.
Le funzioni dell’emisfero destro
invece sono più raffinate: creatività,
memoria, pensiero, immaginazione,
introspezione.
Possiamo
ora
passare
in
breve
rassegna i segnali di accesso attraverso i movimenti oculari.
 Occhi rivolti in alto a destra
Immagini create sul momento costruite con l’archivio dell’emisfero sinistro, piatte, con pochi
colori.
 Occhi rivolti in alto a sinistra
Sono immagini ricordate tratte dall’archivio dell’emisfero destro, sogni o avvenimenti reali,
colorate e profonde.
 Occhi rivolti in orizzontale a destra
Esperienze uditive costruite con l’emisfero sinistro, di solito associate al processo di
verbalizzazione, a ciò che si vuol dire dopo.
 Occhi rivolti in orizzontale a sinistra
Esperienze uditive ricordate dall’emisfero destro, suoni ricordati come canzoni, proverbi, numeri
di telefono, messaggi memorizzati nell’inconscio.
 Occhi rivolti in basso a destra
Esperienze riferite a sensazioni corporee (cenestesiche).
Accesso sia alle emozioni che ai ricordi sensoriali del passato.
Se mantenuta a lungo è tipica delle persone depresse.
 Occhi rivolti in basso a sinistra
Indicano il dialogo interno.
Si commenta ciò che accade tra sé e sé.
 Per una comunicazione felice
Abbiamo visto come (con molta pratica ed allenamento) sia possibile scoprire i canali sensoriali del
nostro interlocutore.
Ma non basta: è necessario intervenire ancora usando alcune tecniche per entrare in relazione, cioè
in rapport.
Giuseppe Rigotti Comunicare in Condominio
23
Prima però dovremo chiarire questo concetto, e per questo basterà immaginare due innamorati
seduti al ristorante o al bar: essi compiono inconsapevolmente gli stessi movimenti, in sincronia,
respirano allo stesso ritmo, hanno la stessa postura, parlano con lo stesso tono e lo stesso volume.
Sono cioè entrati in rapport, e questa condizione dipende dalla cornice entro la quale si è definita la
relazione: se questa cornice si modifica, si modifica anche il rapport.
Entrare in rapport con una persona vuol dire comunicare in modo funzionale all’obiettivo che ci si
è posti (sedurre, motivare, persuadere, etc.).
 La calibrazione
Calibrare significa raccogliere le indicazioni, a livello di comportamento, di quanto avviene
nell’esperienza interna della persona, per utilizzarle come feedback.
Quindi, osservare l’interlocutore ed accorgersi di ciò che sta avvenendo in lui attraverso segnali
non verbali, quali i cambiamenti fisici.
Questi segnali minimi sono : la comparsa di macchie sul viso e il cambiamento del colorito della
pelle, la focalizzazione degli occhi, voce, ritmo e tono della voce, dilatazione delle narici,
contrazioni muscolari, variazione del ritmo della respirazione.
 Rispecchiamento/ricalco
E’ un processo mediante il quale si stabilisce uno stretto contatto con il livello conscio e inconscio
dell’interlocutore.
Se ascoltiamo un amico depresso, che ci parla un po’ ripiegato su sé stesso, non l’ascolteremo di
certo con il sorriso sulle labbra e le mani intrecciate dietro la nuca, perché non si sentirà molto
compreso; il rispecchiamento è dunque inviare segnali verbali e non verbali di rassicurazione
all’altro di essere accettato così com’è, di accettare la sua mappa sensoriale, la sua visione del
mondo.
Il rispecchiamento/ricalco indica perciò come, nei limiti del possibile, ci si adegui all’altra
persona, imitando il suo comportamento verbale e non verbale.
E non si creda che questa sia una tecnica sofisticata: gli amici in fondo si ricalcano a vicenda,
naturalmente, proprio perché entrano in rapporto intimo.
Ricalcare perciò, vuol dire imitare l’altro, la sua posizione del corpo, il ritmo della sua respirazione,
il ritmo e il tono della sua voce, i suoi predicati verbali; anche se dapprincipio in tutto appare
fastidioso, affinando il metodo, si potrà ricalcare l’altro in maniera impercettibile, per lui
inconsapevole e quindi efficace.
Il rispecchiamento/ricalco è quindi una tecnica di comunicazione che avviene nel territorio
dell’altro, cioè nella sua mappa.
Una volta stabilito un ricalco efficace si entra in rapporto con l’altro e quindi è possibile guidarlo
verso una nuova esperienza.
 Guida
E’ una modalità interattiva attraverso la quale un soggetto induce nella mappa dell’altro elementi
ulteriori, con l’obiettivo di allargarne la gamma esperenziale e quindi le opzioni comportamentali.
La dinamica del ricalco e della guida è il perno di ogni modello di cambiamento.
Alcuni esempi: il ballo, dove due persone con caratteri e personalità diametralmente opposte riescono a
muoversi benissimo ricalcandosi istintivamente.
Arti marziali come lo Judò e Aikido sono fondate sul principio che scontrarsi con una forza usando una forza
ancora maggiore non è la sola alternativa desiderabile.
 Il metamodello
Le persone formano dalla loro esperienza della realtà una rappresentazione linguistica completa che
viene chiamata struttura profonda; nel parlare quotidiano, gli esseri umani utilizzano una
struttura più ridotta, più pratica e funzionale, utilizzando generalizzazioni, cancellazioni,
deformazioni, che semplificano la rappresentazione linguistica completa, perdendone il contenuto:
quindi, l’interlocutore riferirà sempre questa semplificazione, la struttura superficiale.
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Il Metamodello è quello strumento linguistico di precisione che ci consente di pervenire alla
struttura profonda, interpretando e utilizzando la struttura superficiale
ANALISI TRANSAZIONALE (AT)
 ANALISI STRUTTURALE: IL RAPPORTO SOCIALE
Se l’individuo viene sottoposto per un certo tempo a privazione sensoria (emotiva) come nel caso
dei detenuti in isolamento, subisce un danno psichico e modificazioni organiche.
Pertanto, come i neonati privati delle carezze materne, così gli individui in queste situazioni
soffrono della fame di stimolo.
La psichiatria sociale si occupa di ciò che accade all’individuo dopo che da bambino viene separato
dalla madre.
L’individuo è dibattuto tra l’attrazione delle forze sociali, psicologiche e biologiche che si
oppongono alla perpetuazione dell’intimità fisica di tipo infantile; ricorre allora ad un
compromesso, imparando ad accontentarsi di forme di contatto sottili e quasi simboliche: il sorriso
elargito agli adulti è una di queste.
Ma il compromesso condurrà l’individuo maturo a trasformare la fame di stimolo in fame di
riconoscimento: l’attore famoso per muoversi tronfio e sicuro di sé ha bisogno delle carezze
continue dei suoi ammiratori, mentre all’uomo di scienza ne basta una ogni tanto, purché
proveniente da un maestro.
La carezza perciò non è solo contatto fisico come indica il termine ma anche ogni atto che implichi
il riconoscimento della presenza di un altra persona, ovvero è l’unità fondamentale dell’azione
sociale: lo scambio di carezze costituisce la transazione, l’unità del rapporto sociale.
 ANALISI STRUTTURALE: GLI STATI DELL’IO
In ogni persona coesistono tre realtà fenomenologiche: GENITORE - BAMBINO – ADULTO
Genitore (G)
insieme di pensieri, stati d’animo, sensazioni, emozioni
ricevute dai familiari importanti, che si modificano nel
corso della vita.

STATI FUNZIONALI
GENITORE NORMATIVO (GN)
Dà l’indirizzo, è un insieme di assetti mentali che si sono
aggregati e sovrapposti nel corso della nostra vita e che
rappresentano il nostro patrimonio esperenziale, che si
incrementa in quanto vi è la necessità di controllare sempre
la realtà; la funzione normativa non sempre si traduce in
comportamento.
GENITORE AFFETTIVO (NUTRITIVO) (GA)
Dà protezione, sostegno; se iperprotettivo è negativo,
altrimenti ha sempre valenza positiva.
Adulto (A)
è la parte della personalità in contatto con la realtà esterna e interna.

STATI FUNZIONALI
E’ quello stato che analizza la realtà interna e la mette in relazione con la realtà esterna; è negativo solo se è iperanalizzante nella
relazione interpersonale (come va? in che senso, da che punto di vista?); vi risiede la serenità o la preoccupazione.
Bambino (B)
insieme di pensieri, stati d’animo, sensazioni, emozioni, originali; in esso si ritrova la felicità o la paura.

STATI FUNZIONALI
BAMBINO LIBERO (BL)
E’ quello stato che ci spinge a fare le cose con entusiasmo, è la voglia di vivere; diventa negativo quando è incontrollato.
BAMBINO ADATTATO (BA)
Nel senso che rispetta le regole ed obbedisce, senza discutere; in senso negativo, visto dall’esterno, è sottomesso.
La versione negativa è il BAMBINO ADATTATO RIBELLE, quello sempre contrario, al quale non va mai bene niente.
25
Giuseppe Rigotti Comunicare in Condominio
Riassumendo:

Indizi comportamentali per la diagnosi degli stati dell’IO
Parole
GN
GA
A
BL
BA
Voce
Gesti e espressioni
Postura
Atteggiamento
dito puntato, fronte
accigliata, arrabbiato
spalle alzate, mani sui
fianchi
sentenzioso, moralistico,
autoritario
braccia aperte, accettante,
sorridente
chinato in avanti, testa di
fronte al corpo
comprensivo, premuroso,
oblativo
buono , bello, ti amo,
intelligente, splendido,
tenero
critica,
condiscendente,
disgustata, dura
amorevole,
confortante,
preoccupata, melliflua
Corretto, come, che cosa,
perché, pratico, quantità
uguale, precisa,
monotona
pensoso, attento, aperto
eretto
interessato, osservante,
valutante
urrah!, divertente, voglio,
non voglio, accidenti,
ahimè!
libera, forte, energica,
felice
disinibito, sciolto, spontaneo
sciolto, agile, rilassato
curioso, spiritoso, mutevole
non posso, vorrei, tento,
spero, per piacere, grazie
piagnucolosa,
insolente , conciliante,
esigente
imbronciato, triste, innocente
sprofondato, chiuso,
stretto
esigente, compiacente,
vergognoso
cattivo, devi, dovresti, hai
l’obbligo, sempre, ridicolo
 PATOLOGIA DEL SÈ: COME CI DIFFERENZIAMO
Tutti gli individui possiedono un Genitore, un Adulto e un Bambino, ma si differenziano per il
contenuto e per il funzionamento di queste entità.
Contaminazione
La contaminazione dei dati antiquati del Genitore con l’Adulto crea
pregiudizio, atteggiamento che si forma fin dai primi anni
dell’infanzia, quando i genitori chiudono al bambino l’accesso a
taluni argomenti.
La contaminazione dei sentimenti e delle esperienze arcaiche del
Bambino con l’Adulto è rappresentata dalle illusioni che sono
radicate nel timore (il mondo è cattivo) o nelle allucinazioni.
Queste situazioni si verificano in condizioni di stress.
 Contaminazione con esclusione
Quando l’Adulto contaminato dal Genitore esclude il Bambino:
avremo un individuo dominato dal senso del dovere, insofferente
verso chi lo vuole distrarre dai suoi compiti, come se sia stato
soggiogato da genitori seri e severi, che ignoravano il Bambino;
quindi questo individuo ha poche registrazioni felici nel suo
Bambino.
Giuseppe Rigotti Comunicare in Condominio
26
Quando l’Adulto contaminato dal Bambino esclude il Genitore: i genitori reali
sono stati talmente brutali o stupidamente indulgenti che il Bambino per non
soccombere li ha esclusi. Questo individuo non ha appreso nulla dai genitori e
quindi è privo di norme e di regole, privo di una coscienza ed agisce in balia del
suo Bambino, con un Adulto che si limita a limitare i danni.
Quando l’Adulto è escluso: ci troviamo davanti ad un individuo
psicotico, privo di rapporto con la realtà; Genitore e Bambino si
alternano alla ribalta con le loro registrazioni arcaiche, caotiche.
 ANALISI TRANSAZIONALE: LA COMUNICAZIONE
Lo scopo dell’AT è quello di realizzare una comunicazione il più possibile aperta ed autentica fra
gli aspetti emozionali e intellettuali della personalità.
La teoria di Eric Berne prevedeva quattro filoni : analisi strutturale (l’analisi del Sé), l’analisi
transazionale (la comunicazione), l’analisi dei giochi psicologici e l’analisi del copione.
Di questi, la comunicazione resta l’aspetto più importante, ed è perciò che la teoria ha preso il nome
di Analisi Transazionale.
Quando due o più persone di incontrano in un determinato luogo ed in un determinato momento,
primo a poi qualcuna di esse darà segno di accorgersi della presenza degli altri (stimolo
transazionale); la risposta a questo segnale, qualsiasi essa sia, sarà la reazione transazionale
(risposta).
L'AT si occupa di stabilire quale stato dell’IO ha provocato lo stimolo transazionale e ha messo in
moto la reazione transazionale.
Con ciò, possiamo denominare transazione l’unità di comunicazione.
Le transazioni possono essere di tre tipi:
 Transazione complementare (semplice o parallela)
E’ caratterizzata da una risposta dallo stesso stato dell’IO A cui è giunto lo stimolo.
E’ una transazione prevedibile.
Le transazioni si succedono a catena e la
comunicazione procede all’infinito fintanto esse
sono complementari.
Vi possono essere fino a 9 tipi di transazioni
complementari.
Giuseppe Rigotti Comunicare in Condominio
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 Transazione incrociata
La comunicazione si interrompe quando si verifica una
transazione incrociata, quando cioè la risposta non
proviene dallo stato dell’IO stimolato; quindi per essere
ripristinata bisognerà che uno o entrambi gli interlocutori
cambino lo stato dell’IO riproponendo una transazione
complementare.
Può essere utile per spostare l’argomento della
conversazione

Transazione ulteriore (o complessa)
In ogni transazione sono sempre presenti due livelli: quello
manifesto, cioè il contenuto del messaggio, di tipo verbale
(messaggio sociale) e quello psicologico, (messaggio psicologico)
di tipo non verbale (tono della voce,
comportamento/atteggiamento).
In questo tipo di transazione entra in gioco la motivazione
nascosta, cioè livello manifesto e livello psicologico sono in
contraddizione.
Tra i due, è il messaggio psicologico il più importante e
determinante ai fini della comunicazione.
I due livelli sono presenti sia nelle transazioni complementari
che in quelle incrociate, ma sono condivisi, mentre nelle
ulteriori sono discordanti.
Il messaggio sociale, di solito, avviene tra l’Adulto e l’Adulto: quello psicologico invece, quando
viene inviato dal Genitore al Bambino o viceversa, oppure tra Bambino e Bambino o Genitore e
Genitore, la transazione si definisce duplice.
Quando invece a livello psicologico il
messaggio va dall’Adulto al Bambino, la
transazione si chiama angolare.
 SEGNI DI RICONOSCIMENTO (CAREZZE)
Possono essere esterni od interni.
 Sono positivi quando trasmettono un messaggio del tipo «TU SEI OK» è determinano una
sensazione di benessere in chi li riceve.
 Sono negativi, dolorosi, e se non comprendono un alternativa, una via d’uscita, e sono dati con
uno stato dell’IO negativo, conferiscono uno stato di malessere in chi li riceve.
 Sono incondizionati quando sono centrati sulla persona o su soggetti che si possono cambiare,
sono centrati sull’essere, cioè su caratteristiche presenti per natura (essere vivo, maschio,
femmina, alto, basso, bruno, biondo, ecc.);
 Sono condizionati quando sono rivolti a ciò che facciamo ( o non), e possono essere:
condizionati positivi, consistono in gratificazioni per «ciò che è stato ben fatto»:
Giuseppe Rigotti Comunicare in Condominio
28
condizionati negativi, consistono in penalizzazioni per qualcosa «che è stato mal fatto», ma
possono essere costruttivi, quando lo stato dell’IO positivo dà un opzione, oppure distruttivi
quando lo stato dell’IO negativo non consente scelte alternative

LE TEORIE DELL’ANALISI TRANSAZIONALE
La Teoria dei Giochi
Dal punto di vista della Teoria dei Giochi, l’educazione del bambino è il processo attraverso il quale
esso impara a scegliere e a giocare i suoi giochi, impara le procedure, i rituali, i passatempi adatti
alla posizione che occuperà nel contesto sociale.
I giochi faranno parte del piano di vita che egli avrà progettato, determinando il suo destino.
I bravi genitori insegnano al bambino le procedure, i rituali e i passatempi più adatti alla loro
posizione, ma trascurano i giochi che i bambini apprendono sin dai primissimi mesi di vita
attraverso le esperienze quotidiane, impostandoli con premeditazione .
Una volta diventati schemi fissi di stimolo e reazione, le loro origini si perdono, che si possono
estrarre solo attraverso una terapia analitica.
Siccome l’esperienza di vita quotidiana offre pochissime occasioni di intimità, di cui certe forme
sono negate ai più, sono i giochi ad occupare la gran parte della vita sociale.
Si scelgono perciò i più produttivi, in termini di pagamento: ad esempio, nel «combinare guai e poi
chiedere scusa», lo scopo è quello di estorcere il perdono con le scuse, anche quando i danni sono
rilevanti.
Il gioco, quindi, oltre a consentire una soddisfacente strutturazione del tempo, serve a taluni
individui alla loro stabilità psichica, al punto che la privazione, in situazione estreme, conduce alla
psicosi.
I giochi sono componenti dell’inconscio piano di vita di ogni individuo, finalizzati al
raggiungimento della conclusione definitiva, a seconda che il piano sia costruttivo o distruttivo.
I giochi si trasmettono da una generazione all’altra.
Educare i figli vuol dire anche insegnare loro a quali giochi giocare.
I giochi sono compresi tra passatempi e intimità: i primi alla fine annoiano, mentre l’intimità è assai
difficile perché la società non ama la spontaneità se non in privato, e in ogni caso Il Bambino la
teme perché lo espone. Con ciò, per evitare la noia dei passatempi e il rischio dell’intimità, la
grande maggioranza degli individui si rivolge ai giochi disponibili nei quali sviluppano le relazioni
sociali.
Per rimanere nello stesso ambiente sociale, i giochi devono essere gli stessi degli altri: per cambiare
ambiente, basta cambiare i giochi.
La Teoria del Copione
Ogni persona, oltre alla necessità di strutturare il proprio tempo per evitare la noia e trarre la
massima soddisfazione possibile da ogni situazione, possiede uno schema di vita preconscio, o
copione, per mezzo del quale struttura periodi di tempo più lunghi (mesi, anni o tutta la vita),
riempendoli di attività rituali, passatempi e giochi.
I copioni si basano su illusioni infantili, che possono durare tutta la vita; in alcune persone, più
sensibili e percettive, le illusioni si dissolvono ad una a una, provocando le crisi esistenziali.
Mantenere le illusioni a tutti i costi conduce alla depressione o allo spiritualismo, abbandonarle
significa finire nella disperazione.
Il destino di ogni essere umano viene deciso da quanto succede nella sua testa, confrontando ciò che
avviene all’esterno di essa.
Ogni persona pianifica la propria esistenza: ha la forza di realizzare i propri progetti e di interferire
in quelli altrui, ma il finale verrà deciso da altri, da persone che non conosce o da virus che non può
vedere, cosicché solo coloro che l’hanno conosciuta saranno in grado di comprendere il suo
messaggio, mentre gli altri lo traviseranno.
Giuseppe Rigotti Comunicare in Condominio
29
Ogni individuo decide nella sua prima infanzia la propria vita e la propria morte e questo
programma sarà il suo copione.
Gli aspetti meno importanti riuscirà a deciderli autonomamente con la ragione, ma le decisioni
fondamentali sono già state determinate: è già deciso che sposerà, quanti figli avrà, come morirà e
chi sarà presente in quel momento.
Può non essere ciò che vuole, ma è ciò che vuole che sia.
Un copione è un piano di vita che continua a svilupparsi, dopo essere stato strutturato nella prima
infanzia sotto l’influenza dei genitori, è la forza psicologica che spinge ogni individuo verso il
proprio destino, sia che lo combatta sia che sostenga trattarsi di una sua libera scelta.
I copioni della vita reale che quelli teatrali si basano su rapporti e somiglianze.
I temi sono di numero limitato (il più diffuso e noto è la tragedia di Edipo) e sono quasi tutti
descritti nella mitologia greca.
Quando si analizza il copione, si parte dal presupposto di conoscere già la trama, i personaggi ed
anche il finale.
Certe esistenze hanno conclusioni prevedibili se non avvengono dei cambiamenti, attraverso
l’introduzione di un preciso tipo di dialogo che prevede una risposta diversa.
Come in teatro un copione si prova e riprova, si riscrive prima di essere pronto per la
rappresentazione, così nella vita reale, l’embrione di copione, il protocollo viene steso in forma
rudimentale nella prima infanzia.
Il protocollo si struttura nella mente del bambino molto presto, quando la sua realtà è vissuta da
giganti, orchi e streghe, da figure gigantesche rispetto a lui, un mondo quasi magico, che poi troverà
nelle fiabe.
Nel copione, ci sono le parti per i «buoni» e per i «cattivi», per i «perdenti» e per i «vincitori».
Le scene dei copioni di vita devono essere programmate e prestabilite: infatti, non si può rimanere
senza benzina, a meno che l’indicatore non funzioni o non si conosca l’auto; quindi è una scena
programmata in un copione del perdente, in quanto il vincente non resterà mai senza.
I copioni sono basati sulla programmazione che i genitori impongono e che il bambino accetta
perché:
1. E’ in grado di avere uno scopo nella vita, cioè di compiere quelle azioni che producono
ricompense (amore);
2. Struttura il suo tempo in modo accettabile, per sé e per i suoi genitori;
3. E’ meglio farsi dire come fare le cose, costa meno fatica; i genitori programmano i bambini
trasmettendo loro le cose che hanno, o meglio, credono di avere, imparato: se sono perdenti, il
copione sarà perdente.
Il copione è quindi condizionato dalla programmazione dei genitori e il bambino può scegliere
tuttalpiù la trama.
Giuseppe Rigotti Comunicare in Condominio
30
Capitolo 4
Comunicare in Condominio
LA PSICOLOGIA DEL CONDOMINIO
La psicologia è la scienza che studia il comportamento ed i processi mentali degli individui in
relazione agli stimoli interni e all’ambiente in cui manifestano la loro attività.
La psicologia del condominio considera pertanto il modo di pensare e di sentire degli individui
all’interno dell’ambiente condominiale, il loro modo di agire e reagire nelle interazioni.
La pratica condominiale porta a rilevare che la relazione tra amministratore e amministrati e tra gli
stessi amministrati viene frequentemente complicata da comunicazioni che non sempre sono
facilmente comprensibili: ne consegue che è rilevante l’identificazione del ruolo
dell’amministratore, che implica talune limitazioni, necessarie ad individuare le caratteristiche e le
funzioni degli attori.
Ogni interazione stimola impressioni, sensazioni, idee, genera aspettative o speranze che danno vita
ad un «modo di vedere» le cose, al quale bisogna prestare ascolto se si vuole stabilire un contatto
soddisfacente.
Nell’assemblea del condominio, momento topico della vita nel condominio, giocano diversi fattori:
il ruolo dei condomini e quello dell’amministratore, che sono le parti, i cui ruoli vengono vissuti
quasi sempre come controparti.
L’amministratore svolge una funzione, un ufficio, inteso come dovere morale derivato
dall’assunzione del mandato, di un compito contrattualmente definito e riconosciuto.
Il frame, ovvero la cornice comportamentale in cui si svolge anche l’azione dell’amministratore, ha
limiti precisi, che sono ben precisi: è il contratto che regola la natura del rapporto tra
amministratore e amministrato.
la conflittualità tra condomini e amministratore deriva proprio dal non conoscere fin dove arrivano
questi confini.
L’amministratore, nell’ambito delle proprie funzioni, regolate dalla legge, gode di un certo potere,
che gli consente di fare, di agire per conto dei condomini e nell’interesse dei condomini; l’azione
comporta una responsabilità, per la quale l’amministratore deve rispondere, giustificare, garantire.
Per questo, è necessaria una chiara motivazione professionale e competenza.
E’ necessario progettare la gestione del condominio, tenendo conto della capacità contributiva dei
condomini: solo così sarà possibile mantenere in seno alla comunità un clima sereno e di civile
collaborazione.
L’assemblea, considerazioni pratiche
Il termine assemblea deriva dal latino ad-similare, mettere insieme, nel nostro caso, elementi tra
loro simili per appartenenza.
In assemblea sono riunite persone ideologicamente diverse, per estrazione e ceto, che però in questo
ambito si assomigliano, diventano simili, hanno le stesse motivazioni, in una parola, sono
condomini.
La diversità delle persone, seppure condomini, si manifesta nell’atteggiamento che viene
mantenuto: dal leader contrapposto all’amministratore o suo portavoce, al gregario che segue ed
acconsente.
Prima dell’incontro, è bene che l’amministratore prepari il suo piano di lavoro e gli argomenti in
esame.
Prima dell’inizio della riunione, l’amministratore deve prestare attenzione alle richieste dei
condomini, alle loro aspettative, alle loro motivazioni.
Lo scambio di esperienze individuali tra i condomini è un momento importante e necessario per
l’avvio dell’assemblea, in quanto la compartecipazione consente di impostare un progetto comune
di soluzione dei problemi, tenendo ben presente che i condomini accolgono più volentieri i
suggerimenti dei loro simili piuttosto che quelli degli esperti.
Giuseppe Rigotti Comunicare in Condominio
31
L’amministratore perciò deve proporre l’argomento in esame facendo attenzione a:
 mantenere un atteggiamento spontaneo di collaborazione e disponibilità nell’esposizione;
 richiamare ed indicare sempre i limiti del suo intervento e le regole condominiali;
 esporre l’argomento sulla base della propria esperienza e delle proprie conoscenze, tenendo
conto che le costrizioni possono far fallire il suo lavoro.
L’amministratore dovrebbe evitare un atteggiamento difensivo o, peggio, aggressivo, in quanto
diventa immediatamente per i condomini la controparte: deve perciò assumere un atteggiamento
aperto e convincente.
E’ essenziale che nell’ambito dell’assemblea l’amministratore utilizzi il suo ruolo come modello
comportamentale, in quanto i condomini tendono, inconsapevolmente, ad imitare il suo stile: avere
coscienza di questo potere e gestirlo correttamente significa avere concrete possibilità di influire
positivamente.
Ad esempio, è bene sollecitare le persone che assistono alla riunione in silenzio a prendere la
parola, perché questo è un gesto di apertura e di compartecipazione, utile a stabilire un clima di
fiducia reciproca.
Altrimenti, i condomini che agiscono con atteggiamenti di chiusura possono contagiare gli altri,
influendo negativamente.
Gesto, tono della voce, l’espressione, la gestualità, rafforzano e colorano il messaggio.
L’assemblea riassume e rappresenta l’essenza del rapporto tra amministratore e condomini, è un
unità nella differenza, un insieme di persone che danno vita a qualcosa di diverso, di nuovo, che non
è la somma degli individui che vi partecipano.
L’amministratore è parte di tutto questo: rappresenta uno dei due poli, e spetta a lui garantire
l’attrazione di questi estremi.
La comunità dei condomini presenta sempre alcuni sottogruppi, i conformisti, propositivi, e i
contestatori, sempre in opposizione.
Di solito, sono questi ultimi che si fanno sentire, a scapito di quella parte di condomini silenziosa e
conformista che rappresenta la funzione vitale della comunità.
Attenzione però a quei condomini che in apparenza sembrano distratti, parlottano fra loro,
osservano chi parla, annuiscono: sono la parte più vitale dell’assemblea.
Il loro parlottio di sottofondo, è un segnale positivo, che conferma che i vari argomenti proposti e le
delibere assunte sono «digerite»: assai più grave sarebbe un glaciale ed imbarazzante silenzio, prova
evidente di un opposizione latente.
Infine, un accenno allo stereotipo del buon padre di famiglia.
Il carico di lavoro dell'amministratore è spesso accresciuto dalle richieste di essere come un padre, o
un fratello, un amico, un confessore, un buon psicologo.
Tra questi ruoli, l'amministratore può stentare talora a ritrovare il proprio ruolo contrattuale.
Proviamo allora a proporre una metafora: la famiglia, gruppo primario per eccellenza, diventa il
condominio, l’amministratore diventa i genitori e i condomini amministrati sono i figli.
La funzione dei genitori offre spunti di riflessione interessanti: devono essere dotati di tatto e di
intuito psicologico, ad essi sono richieste prestazioni amplissime, da quelle di guida a compagni di
gioco, sono attaccati a volte duramente e proditoriamente, sono amati e odiati, ma un genitore per lo
più sa queste cose, sta al gioco e lo regge, è lui che guida, che ascolta, che dialoga, che stimola il
dialogo, che dà un limite al proprio intervento e a quello dei figli, seguendone il gioco, ma anche
avviando l'esperienza di altri giochi, la scuola, il lavoro, la vita con tutti i suoi intrecci..
Un genitore non è l'amico; ma può, e talora deve, saper fare anche questo.
E’ una persona con cui il figlio sa di poter comunicare, di essere ascoltato, ma a cui può anche
rivolgere il suo pensiero, anche diverso e contrastante, talora con rabbia e impazienza.
L'amministratore con la sua azione di guida e di mediazione, ha il compito di stimolare la
comunicazione a tutti i livelli, curando che avvenga nei limiti della correttezza e del rispetto, con
Giuseppe Rigotti Comunicare in Condominio
32
pacatezza ma con fermezza,
Gruppo e individuo non si escludono, non c’è dicotomia, bensì compenetrazione, in quanto è
sempre l’individuo la forza creativa del gruppo.
L’individuo maturo è consapevole che per accrescere e potenziare la propria individualità deve
interagire con gli altri individui, ad ogni livello istituzionale, dal più semplice come la famiglia, la
compagnia di amici, la scuola (e anche la casa - condominio), fino ai più complessi, come
l’ambiente di lavoro e il mondo esterno condiviso.
DINAMICA DEI GRUPPI
Alcuni degli scopi per i quali ci riuniamo assieme alle altre persone sono chiari ed espliciti, altri
hanno a che fare con bisogni ed ansie di cui non siamo consapevoli. Ci rendiamo conto di questo
quando scopriamo inaspettatamente in noi stessi o negli altri delle resistenze al cambiamento.
Spesso riteniamo che esista un solo modo giusto di comportarsi o una serie di regole: in realtà si
tratta di convenzioni che abbiamo creato collettivamente e che vengono poi usate per mascherare
rapporti di potere e di autorità che passano inosservati.
L’individuo, così come il gruppo o l’organizzazione, può essere considerato come un sistema che si
mette in relazione con l’ambiente circostante attraverso una sequenza di scambi in ingresso (input) e
in uscita (outcome): in effetti, noi sopravviviamo e ci sviluppiamo grazie alle nostre relazioni col
mondo esterno.
Due definizioni:
 Conduttore
E’ il soggetto che ha la responsabilità formale del mandato che gli è stato affidato dal Committente;
è perciò colui che organizza e dirige il Gruppo di Lavoro.
 Leader
E’ il soggetto di riferimento emotivo per il Gruppo; può essere o meno in competizione con il
Conduttore.
Il leader è la persona determinata, assertiva, che ha capacità di convincimento.
Nel Gruppo, vi sono due tipi di bisogni: affettivi e operativi : il leader sa rispondere a più persone a
questi due livelli.
Compito del Conduttore è saper gestire la leadership, circoscriverla o isolarla in funzione
dell’economia del Gruppo.
L’ideale, è Conduttore = Leader
NOTE:
Il rispetto dei ruoli nei Gruppi è molto importante: i partecipanti devono contribuire ma non
sovrapporsi al Conduttore o condividere i suoi problemi.
Il Conduttore deve riferire la consegna, ma può chiedere al Gruppo di collaborare sulla
competenza tecnica.
Il clima può essere sacrificato per privilegiare l’obiettivo.
Il Conduttore deve intervenire solo sulla dinamica e non sulla situazione dei componenti, cioè il
Conduttore non deve salvare un partecipante dall’aggressione di un altro, in quanto squalifica il
suo ruolo.
Con ciò la gestione dei conflitti non lo riguarda, in quanto devono essere i partecipanti a risolverli;
l’intervento del Conduttore è giustificato solo se viene messo in discussione l’obiettivo.
Lasciare manifestare le divergenze vuol dire favorire le dinamiche.
 I GRUPPI (Wilfred BION)
Il Gruppo è un insieme, un entità (CONCEZIONE OLISTICA).
Giuseppe Rigotti Comunicare in Condominio
33
In ogni fase della sua vita, il Gruppo ha degli assunti di base, dei …come se.., che costituiscono la
mentalità del gruppo, originale.
DIPENDENZA (es. la Chiesa, nella quale i partecipanti hanno fiducia cieca)
Il Conduttore è il punto di riferimento del Gruppo: tutto dipende da lui, dalla sua capacità e bravura,
il Capo sa e provvede.
Il Gruppo è inconsapevole di questo, è un atteggiamento generalizzato, del quale il Conduttore si
rende conto solo a livello percettivo.
Le comunicazioni avvengono esclusivamente tra Conduttore e Partecipante
ATTACCO (es. l’Esercito) E FUGA
ACCOPPIAMENTO
Il Conduttore non è più riconosciuto, coppie o sottogruppi aspettano un nuovo Capo. Il Gruppo
vegeta in uno stato di apatia ed inutilità operativa
Quando il Conduttore non soddisfa le aspettative del Gruppo di dipendenza, questo passa alla fase
successiva, Attacco e Fuga e poi ancora nella fase di Accoppiamento, nella quale il Gruppo come
tale non esiste più e dev’essere ricostituito.
NOTA:
Se uno parla, bisogna capire se a parlare è lui, per conto suo, oppure dà voce al Gruppo.
Fase della Dipendenza: …ora potete decidere da soli…
Fase dell’Attacco e Fuga: dirigere l’aggressività su soggetti esterni, fuori dal gruppo …facciamo
qualcosa per risolvere questo problema…
Fase dell’Accoppiamento: in presenza dell’apatia, bisogna ricominciare di nuovo:rivoluzioniamo
le modalità di lavoro, facciamo qualcosa di diverso…
Il Gruppo attraversa sempre alcune fasi che vanno dalle aspettative verso il Conduttore fino alla
maturazione.
Una risposta di tipo operativo e non emotivo mantiene il gruppo nella fase di dipendenza.
Il Conduttore è uno del gruppo, può condividere i compiti ma non le responsabilità.

LA GESTIONE DEL TEMPO
-­‐
Puntualità (secondo le consuetudini)
Attendere eventuali lassi di tempo (il ¼ d’ora, i 20 minuti) per evitare il disappunto degli astanti.
-­‐
Indicare, subito e rispettare poi, l’orario di prevista chiusura
Dare precisi riferimenti temporali consente di orientarsi meglio sulla discussione e autoregolare gli
interventi; anche se sapere quando si finisce può favorire gli ostruzionisti, i vantaggi sono superiori
ai rischi.
-­‐
Iniziare dagli argomenti più importanti e/o urgenti
Di solito si tende a discutere i primi punti che sono più semplici proprio per dedicare maggiore
spazio a quelli più importanti; purtroppo così facendo si perde più tempo, in quanto gli intervenuti,
non ancora pressati dal tempo, tendono a discutere in modo approfondito e ampio anche le banalità,
esasperando su sciocchezze gli atteggiamenti.
-­‐
Il Conduttore ha il dovere di gestire attivamente il tempo

ALCUNE REGOLE PER NON PERDERE TEMPO
L’Ordine del Giorno
Di solito si citano gli argomenti in modo generico, del tipo:
1. Approvazione rendiconto spese es. dal..al..
2. Amministrazione del condominio
3. Preventivo spese ordinarie es. dal..al…
Giuseppe Rigotti Comunicare in Condominio
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4. Altre eventuali.
Un modo più funzionale di presentare gli argomenti, a seconda delle situazioni, delle circostanze e
delle opportunità, è quello di citarli in modo esteso, indicando i contenuti più rilevanti.
Ad esempio:
1. Approvazione rendiconto spese es. dal..al…
Valutazione degli interventi di ricostruzione delle colonne di scarico, opportuni provvedimenti preventivi
2. Amministrazione del condominio
Le nuove regole per il condominio
E così via.
In questo modo, si fissa preventivamente l’attenzione solo su alcuni temi dell’argomento da
discutere, dando per scontato il resto; in mancanza di indicazioni, la discussione si disperde su
argomenti di secondaria importanza.
Gli interventi
Succede spesso di venir interrotti durante la relazione di presentazione del rendiconto o di un altro
argomento importante.
La scelta, cioè se sia meglio favorire le domande durante la riunione oppure rinviarle alla fine della
relazione, dipende dai casi: se riteniamo che il pubblico non sia pregiudizialmente contrario alla
proposta e vogliamo anche farla approvare, allora rispondere alle domande di volta in volta è un
rinforzo, altrimenti, se riteniamo che il pubblico sia contrario oppure se il nostro scopo è solamente
informativo, è meglio spostarle alla fine.
Gli intervenuti
Se i partecipanti sono tanti, come capita, dare per scontato che la riunione sarà di fatto una
conferenza, con scarsa partecipazione attiva.
Se i partecipanti sono oltre le 15-20 persone, diamo per scontato un clima freddo.
Cerchiamo per quanto possibile di spiegare le cose più chiaramente possibile, evitando il ricorso di
termini e di concetti troppo tecnici; quando le persone sono 6-7, se uno non capisce una cosa, è
quasi certo che chiede un chiarimento, ma con un uditorio di 20-30 persone, prevale la timidezza.
Se possibile, quando ci sono preventivi o relazioni tecniche da illustrare oppure rendiconti
particolari, è meglio utilizzare sussidi visivi, come una lavagna luminosa, in modo da mostrare i
dati.
Un alto numero di partecipanti impone, per una questione di opportunità, di lasciare le domande alla
fine.
Come iniziare
(a) Leggere l’Ordine del Giorno e commentare e presentare le domande alle quali si darà risposta;
(b) Per rompere il ghiaccio, scegliere un argomento di attualità (nel nostro caso, la Finanziaria ’98
diventa un classico);
(c) Oppure, citare un aneddoto avvenuto in condominio o un condomino;
(d) Iniziare con fatti e cifre, confrontando i dati dell’esercizio precedente e portando eventuali
economie in %.
Le cose da evitare
(a) Le nostre opinioni sulle decisioni da prendere non contano. Non dobbiamo avere opinioni.
Dobbiamo ricordare che siamo i Conduttori della riunione, il nostro compito istituzionale è
quello di presentare gli argomenti e di gestire il dibattito, e mai quello di decidere per gli altri o
con gli altri.
Perciò, dobbiamo:
garantire quanti vogliono dire la loro opinione, evitando sopraffazioni e sovrapposizioni,
facendo rispettare, con garbo, i tempi di intervento;
bloccare decisamente gli attacchi personali, per non alzare troppo i toni;
ricordare spesso l’obiettivo che ci si è posti, la decisione da prendere.
Giuseppe Rigotti Comunicare in Condominio
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(b) Ricordiamo che le persone devono comunicare la loro insoddisfazione: quindi bisogna
incoraggiare la comunicazione e la partecipazione.
 LEADER E CONDUTTORE
Le qualità di un buon leader:
 Essere orientati alle persone
Non parlare male degli altri, avere fiducia nelle persone, stabilire buoni rapporti.
 Capacità di facilitare
Lasciare scoprire le cose, evitare di far pesare il vostro sapere, evitare di strafare.
 Saper organizzare
Avere chiari gli obiettivi, avere sempre sottomano dati e informazioni, ammettere i propri limiti.
 Avere entusiasmo
Mostrare entusiasmo nel proprio lavoro
Nei gruppi di lavoro tradizionali, il conduttore è colui il quale ha la responsabilità formale
dell’organizzazione e della conduzione del gruppo.
Il leader è invece il soggetto di riferimento emotivo, è una persona determinata e assertiva, ha
capacità di convincimento, in quanto risponde a due bisogni essenziali del gruppo: quello affettivo e
quello operativo.
Qualche volta, il leader è in competizione con il conduttore.
LEADER = CONDUTTORE è la condizione di massimo potere in un gruppo, ma qualche volta è
meglio tenere separate le due funzioni.
 PRENDERE DECISIONI
Nella maggioranza dei casi, se i condomini devono decidere su un lavoro di manutenzione
straordinaria, che comporta un grosso onere finanziario, l’amministratore raccoglie i preventivi di
spesa e li propone all’assemblea affinché decida l’assegnazione dell’appalto.
La decisione ha sempre una forte componente di incertezza, perché entrano in gioco tre variabili:
 QUALITÀ
Anche se qualche volta costa di più, è meglio sempre consigliare la qualità tecnica migliore rispetto
alla scelta meramente economica;
 TEMPO
Certe decisioni hanno bisogno di essere digerite, se sono troppo affrettate, di solito i condomini non
si sono ben resi conto della spesa e dei sacrifici che la realizzazione dell’intervento comporterà; è il
caso di tener ben presente questo aspetto e farlo notare;
 MOTIVAZIONE-ACCETTAZIONE
L’accettazione è legata al coinvolgimento delle persone interessate alla decisione: più vengono
richieste informazioni e chiarimenti, maggiore sarà la motivazione al lavoro.
Quando si decide, ci sono alcune regole che vanno osservate, e più precisamente:
REGOLA 1
REGOLA 2
REGOLA 3
REGOLA 4
Non decidere senza sufficienti informazioni
Tenere in considerazione le opinioni degli altri
Evitare di esercitare l’autorità se non avete sufficiente carisma
Evitare di insistere troppo sulle vostre scelte preferite
Giuseppe Rigotti Comunicare in Condominio
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REGOLE PRATICHE PER UNA COMUNICAZIONE EFFICACE
 Premessa
In ogni messaggio si trovano due componenti: il contenuto, cioè le informazioni trasmesse, i dati, le
notizie, e i fattori relazionali cioè quelle cose che influenzano l’ascolto dell’interlocutore, come le
aspettative, il comportamento, l’interpretazione che egli dà.
I fattori relazionali si presentano spesso in forma non verbale o sono determinati dal contesto nel
quale si sviluppa la comunicazione.
Ad esempio, rispondere in modo tecnicamente appropriato ma facendo trasparire un
atteggiamento di sufficienza, scortesia o altro, rende insoddisfatto l’interlocutore.
L’impatto relazionale è quindi determinante per la qualità della comunicazione.
Rivediamo gli elementi costitutivi della comunicazione non verbale:
 MODALITÀ PARALINGUISITICHE
Intonazione ed inflessione della voce
Volume e intensità della voce
La pronuncia
Il ritmo dell’eloquio
Quantità e qualità delle pause
 MODALITÀ PROSSEMICHE
Distanza spaziale tra gli interlocutori
Orientamento spaziale
Lo spazio occupato
Quantità e qualità dei contatti corporei
La postura
Comportamento motorio
 MODALITÀ CINESICHE
Movimenti delle braccia e delle mani
Movimenti del capo
 MODALITÀ MIMICO-ESPRESSIVE
Azione integrata della muscolatura facciale ed oculare
Stabilite le regole, riassumiamo ora alcuni aspetti della comunicazione verbale.
 SUGGESTIONE DELLA PAROLA
Ogni volta che viene pronunciata, la parola crea nella mente degli interlocutori un immagine di
significato.
Se qualcuno ci chiede di non pensare ad un elefante, la prima cosa che si delinea nella nostra mente
è proprio l’immagine di un elefante.
Ciò per dire che ogni espressione verbale tende a produrre le corrispondenti immagini mentali e
ciò avviene indipendentemente dalla nostra volontà.
Quindi, dovremo utilizzare espressioni linguistiche che favoriscano nel nostro interlocutore la
costruzione di immagini e rappresentazioni positive, evitando per quanto possibile concetti orientati
a situazioni negative.
 Valenza negativa
Ad esempio, all’inizio di un discorso, vanno evitate frasi del tipo:
Le rubo un minuto
Quello che mi dice non è corretto
Non l’annoierò
Non vorrei disturbare, disturbo
Ha un momento da dedicarmi?
Non se la prenda se le dico..
Non è colpa nostra se…
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Giuseppe Rigotti Comunicare in Condominio
Non che non le creda, ma…
Durante il discorso:
- Termini quali problema, difficoltà, carenze, sacrifici, sbagli se inseriti troppo spesso ci fanno
apparire noiosi e insicuri;
- Non usare il pronome IO o il TU, sono segno di un ego infantile e di una personalità insicura che
cerca di difendersi esaltando la propria identità per compensazione;
- Uso impulsivo del NO, perché squalifica l’interlocutore, lo mortifica e lo fa reagire;
- Congiunzioni avversative quali ma, però, tuttavia, quantunque, ecc.;
- Non usare valenze negative dubitative: spero di riuscire, forse, se, magari, vedremo, si
potrebbe, chissà se
- Verbi incongruenti:
Uso del condizionale, verbi quali riuscire, arrivare, superare, vincere denunciano falsi
obiettivi.
 DALLA VALENZA NEGATIVA ALLA VALENZA POSITIVA
Come fare per cambiare la valenza:
Usare il NOI
Un esempio di dialogo tra marito e moglie:
«Tuo figlio questa volta l’ha combinata proprio grossa!»
«Nostro figlio è stato promosso!»
Oppure riferendosi alla squadra di calcio preferita:
«Oggi hanno perso proprio malamente!»
«Siamo stati grandi, li abbiamo stracciati!»
Usare parole a valenza positiva:
crescita,
opportunità,
sviluppo,
obiettivi comuni,
sempre,
sicuramente,
soluzione positiva;
Usare il PRESENTE e il FUTURO
Faccio, farò, piuttosto che farei
Usare PAROLE CHIAVE
termini o locuzioni ricorrenti, familiari, modi di dire, perché sono carichi di valenze affettive,
oppure espressioni idiomatiche che sono condivise con l’interlocutore.

LA PERSUASIONE
Persuadere non significa vincere le resistenze dell’interlocutore fino a fargli compiere l’azione da
noi desiderata.
Persuadere significa invece utilizzare i processi psicologici già presenti in lui in modo da fargli
desiderare come non mai quanto gli proponiamo.
Il concetto va inteso nella sua accezione positiva, etica, come influenza, convincimento.
Nell’antichità, la persuasione coincideva con la retorica (Platone diceva che la retorica era
negativa perché faceva apparire buone le cose cattive e viceversa - Cicerone e Aristotele invece
erano più interessati ai metodi per raggiungere la persuasione).
15
 L’Ascolto
Ronald Barthes, semiotico e linguista francese, diceva: «Udire è un fenomeno fisiologico, ascoltare
un atto psicologico».
Le funzioni principali dell’ascolto attivo sono:
- Comprendere i bisogni dell’interlocutore;
15
ETHOS, la forza morale dell’oratore, LOGOS, la logica delle argomentazioni, PATHOS, il richiamo all’emotività. Queste forme devono stare assieme,
integrandosi una all’altra, altrimenti la comunicazione perde efficacia.
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- Comprendere le sue modalità interpretative;
- Gratificarlo e instaurare con lui una relazione positiva;
- Dimostrare che lo stiamo ascoltando con segni concreti.
Saper ascoltare garantisce di essere ascoltati.
 Le obiezioni
L’obiezione è un normale riflesso di difesa dell’interlocutore, un atto di resistenza all’azione che
richiediamo o proponiamo.
Dall’obiezione, le persone si difendono in due modi, secondo diversi gradi di consapevolezza:
- attaccando, l’interlocutore se la prende con noi e con tutto ciò che rappresentiamo;
- fuggendo, l’interlocutore prende tempo, accampa scuse;
In ogni caso, va tenuto conto che l’obiezione è più che legittima, non è una minaccia ma un
opportunità: le obiezioni sono in stretta relazione con le motivazioni.
Bisogna però scoprire, attraverso l’ascolto, il tipo di obiezione, se è motivata o immotivata.
Le obiezioni vanno convertite in domande alle quali l’interlocutore viene invitato a dare la
risposta.
- Gestire le obiezioni
Vi sono cinque azioni necessarie per gestire efficacemente le obiezioni:
 ASCOLTARE, incoraggiare l’interlocutore ad esprimere le sue opinioni;
 RICONOSCERE, fargli capire che lo stiamo ascoltando e comprendendo;
 CHIARIRE, riprendere i suoi concetti, riformulandoli sotto forma di domanda;
 ESPORRE, (soluzioni), dare cioè risposte in termini di idee, contenuti, opzioni;
 AGIRE, chiedere all’interlocutore di prendere una decisione sulla base delle soluzioni che avete
prospettato.
- Metodi per gestire le obiezioni
Metodo dell’indebolimento
Consiste nel riprendere l’argomentazione prodotta dall’interlocutore, utilizzando però termini più
positivi. Ad esempio:
 Lui «Io non ho assolutamente intenzione di pagare con questo sistema!»
 Noi «Posso capire la sua perplessità, ma è bene che le ricordi i vantaggi di questo metodo…»
L’espressione posso capire la sua perplessità possiede un valore suggestivo meno negativo rispetto
a posso capire la sua intenzione di non pagare…che è la replica più spontanea.
Metodo dello sfaldamento
Consiste nel porre domande specifiche ed orientate allo scopo di contenere al massimo l’effetto
della marcata tendenza all’iper generalizzazione che l’interlocutore tende a mettere in atto con
l’obiezione.
Si tratta cioè di circoscrivere e scomporre il problema in piccole unità in modo da farle percepire
come meno importanti. Ad esempio:
 Lui «Così come avete impostato il rendiconto, non si riesce a capire più niente!»
 Noi «E’ strano: potrebbe dirmi più precisamente quale parte ha trovato meno comprensibile?»
In questo modo, oltre capire la natura reale del problema, si rende più evidente, ove presente,
l’esagerazione dell’obiezione proprio perché generalizzata.
Metodo della compensazione
Consiste nell’ammettere l’obiezione (se proprio non se ne può fare a meno), ma si compensa
attraverso la dimostrazione che i vantaggi sono superiori agli inconvenienti. Ad esempio:
 Lui «Non mi sembra possibile che questo servizio possa costare tanto!»
 Noi «Capisco che il prezzo possa apparire elevato, ma se tiene conto della qualità, della
disponibilità che viene offerta da questi tipi di interventi, si renderà conto di quanto alla fine
risulti conveniente anche da un punto di vista economico».
Giuseppe Rigotti Comunicare in Condominio
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Metodo della limitazione
Quando ci troviamo di fronte ad obiezioni complesse o a più obiezioni simultanee, è opportuno
rispondere prima a quelle sulle quali siamo sicuri di poter avere argomenti validi da opporre. Ad
esempio:
Poniamo che ci venga contestato nello stesso tempo la qualità del servizio, il prezzo, i tempi di
intervento e la ripetitività del disservizio, mentre siamo certi che i tempi di intervento sono buoni e
che il guasto si ripete solo ogni tanto, potremo scomporre l’obiezione partendo da questi dati sui
quali siamo sicuri; con ciò il più delle volte l’interlocutore si rende conto di aver generalizzato
troppo.
 FRASI E PAROLE DA EVITARE
«Ho un grosso grattacapo con un cliente. Richiami più tardi»
«Sfortunatamente, la mia impiegata è malata»
«Domani non ci sono perché sono in ferie»
«Mi spiace, ma il nostro tecnico non è ancora reperibile»
«Dovrei arrivare da lei più o meno venerdì»
«Penso che il suo problema sia finalmente risolto»
«…Non so proprio che cosa dirle…»
«Non sono io che mi occupo di questi problemi: deve richiamare il mio collaboratore»
Espressioni da non utilizzare:
Che è meglio sostituire con :
Lei deve
Potrebbe
Lei avrebbe dovuto
Per favore, farebbe
Proverò
Farò
Ha commesso un errore
Per favore, dovrebbe
La sua lamentela
La sua richiesta
Il suo problema
Questa situazione
Lei non può
Lei può
Noi non possiamo
Voi potete
Il più presto possibile
Prima delle ore
Non c’è niente che io possa fare
Farò (elenco di azioni in positivo)
Posso aiutare
Posso essere utile
Ritorniamo ora alla funzione pragmatica del linguaggio, cioè al momento in cui dalla parola
scaturisce un comportamento.
 IL LINGUAGGIO
Tipi di linguaggio
IL LINGUAGGIO INDICATIVO
descrive, è privo di valore suggestivo, non influenza;
IL LINGUAGGIO INGIUNTIVO
prescrive, ordina un esperienza di una realtà;
IL LINGUAGGIO EVOCATIVO
persuade, cattura l’attenzione dell’interlocutore con metafore e aneddoti, opera attraverso
la proiezione e l’identificazione.
La proiezione avviene quando attribuiamo un nostro desiderio o impulso ad un altro (i detti
popolari , i proverbi spiegano il fenomeno come ad esempio: il peccato è negli occhi del
peccatore);
L’identificazione si ha quando noi diventiamo gli altri (i fans dei cantanti, i tifosi di calcio, il
leader politico), ci immedesiamo nel nostro tipo ideale.
Giuseppe Rigotti Comunicare in Condominio
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Elenchiamo di seguito le costruzioni verbali più frequenti.
 La metafora
La metafora è la forma verbale in assoluto più utilizzata nel discorso comune; si potrebbe dire che
noi parliamo per metafore.
La metafora trasferisce ad un oggetto, concetto od animale, le caratteristiche proprie di un altro
oggetto, concetto od animale.
E’ il miglior modo per trasferire un informazione (si vedano la mitologia greca, le parabole di
Gesù, le favole) ma serve anche a stemperare una critica.
Vanno utilizzate conoscendo l’interlocutore.
Ad esempio, se chi ci ascolta è un patito della musica, le metafore musicali troveranno facile
riscontro, …«Vede, nel progetto che esamineremo avremo il modo di dare il la, a tutta una serie di
interventi che interagiranno, ognuno con modalità differenti, ma come un accordo armonico, simile
alla melodia prodotta dagli strumenti dell’orchestra»; se invece l’interlocutore è appassionato di
corsa…«Vede, ora con questo nuovo prodotto la nostra azienda sarà in in pole position rispetto ai
concorrenti e sorpasseremo quelle aziende che non ci hanno dato strada»
Ma vediamo perché la metafora funziona.
Il nostro cervello è diviso in due emisferi, separati dal corpo calloso; gli emisferi cerebrali
interagiscono tra loro, e la metafora è il linguaggio dell’emisfero cerebrale destro.
Milton Erickson, psichiatra americano che abbiamo già incontrato trattando della PNL, ha
inventato una terapia basata sulla metafora, attraverso la quale entrare nel paziente dall’emisfero
destro ed arrivare a quello sinistro e vincere la sua resistenza.
Chi ascolta una metafora può far uso del contenuto della comunicazione a suo modo,
personalizzando i significati, cogliendo quelli che più si adattano alla sua situazione.
La comunicazione per metafora, affrontando i problemi per via indiretta, viene vissuta con più
serenità, ed anche le ingiunzioni sono recepite come non aggressive o minacciose.
Nel suggerire soluzioni ai problemi, questo tipo di comunicazione consente anche di presentare
opinioni diverse.
 Le similitudini
A differenza della metafora dove il riferimento è simbolico, indiretto e implicito, nella similitudine
il riferimento all’evento od all’oggetto è diretto ed esplicito: è furbo come una volpe, è solido come
una quercia.
 Gli aneddoti
L’aneddoto è una risorsa di grande effetto per catturare l’attenzione dell’interlocutore, così come i
proverbi, che rappresentano il collegamento tra il patrimonio culturale ed affettivo del gruppo,
della regione o nazione d’origine.
Dopo aver accennato all’organizzazione del linguaggio, proviamo ad adattare queste indicazioni ad
un particolare tipo di comunicazione, la comunicazione strutturata, che rappresenta il modo
ideale di proporre gli argomenti.
 LA COMUNICAZIONE IN PRATICA
Abbiamo riunito i condomini in assemblea, e dobbiamo informarli della necessità di procedere
alla ristrutturazione delle facciate dell’edificio, in quanto c’è stato un crollo di intonaci sulla
strada ed il Comune ci ha imposto l’intervento.
Ordinando quanto sopra espresso, possiamo individuare tre strutture:
 stato mentale
 contenuto
 costruzione verbale (metafora, aneddoto, similitudine)
ognuna delle quali potrà avere diversi contenuti espressi con diverse metafore.
Giuseppe Rigotti Comunicare in Condominio
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Nel nostro caso, utilizzeremo la sequenza proposta.
La prima struttura, lo stato mentale deve evocare l’appartenenza comune, e cioè siamo tutti
dalla stessa parte, premessa importantissima: quindi, presenteremo il problema come un fatto
indipendente dalla nostra volontà, che va affrontato e risolto assieme, pur tenendo conto dei
sacrifici finanziari che comporta.
La seconda, il contenuto, farà riferimento alle modalità dell’intervento, ai criteri con i quali
sceglieremo le imprese cui affidare l’appalto dei lavori, guardando sia alla competenza che al
prezzo.
Nella terza, la costruzione verbale, potremo utilizzare una metafora, una similitudine o un
aneddoto riferendoci all’esperienza ed al vissuto dei nostri interlocutori, affinché questi possano
identificarsi meglio nei personaggi del nostro racconto.
LA MOTIVAZIONE ALL’ASCOLTO
La matrice di Rollo May
Su questo schema, si possono rappresentare quattro tipologie
di ascoltatore, a seconda della sua autopercezione della
conoscenza dell’argomento trattato e della sua soddisfazione
per la conoscenza, non necessariamente reali ma come sono
vissute dal soggetto.
Di seguito, descriveremo queste tipologie, facilmente
individuabili nelle riunioni di condominio: il presidiatore,
l’alieno, l’arrabbiato, il masochista.
 Il presidiatore (quello che sa tutto)
E’ ostinato e mantiene le proprie convinzioni anche davanti all’evidenza.
E’ conflittuale e supponente nei confronti degli
interlocutori.
Con serenità e garbata ironia, evitando atteggiamenti di
scherno, bisogna mettere in crisi le sue conoscenze: la
maieutica (l’arte della levatrice, aiutare l’interlocutore a far
uscire alla luce la verità).
Porre domande sull’argomento della discussione in buona
fede, rispettando la sua conoscenza, per un confronto sereno
e amichevole.

L’alieno (quello che sa poco ma gli basta)
Il nostro interlocutore si rende conto di conoscere poco
sull’argomento trattato, ma è altrettanto convinto che ciò gli
basta.
In questo caso, bisogna far diminuire il grado di soddisfazione
della sua competenza, esagerando l’importanza dell’argomento
che si sta trattando.

Il masochista (quello che sa ma non è contento)
Giuseppe Rigotti Comunicare in Condominio
42
Questo individuo è convinto di conoscere molto bene un
argomento, ma è poco soddisfatto del proprio grado di
competenza.
I masochisti, in effetti, sono molto competenti, e bisogna
riconoscere questa qualità; bisogna porgere l’informazione
con empatia e con partecipazione.

L’arrabbiato (quello che non sa ed è arrabbiato per questo)
Il nostro interlocutore è convinto di conoscere poco un
argomento, e questo lo fa arrabbiare, perché vorrebbe
imparare e le sue aspettative nei confronti dell’emittente sono
troppo elevate.
Bisogna dare molte informazioni, con disponibilità,
approfondendo sempre, se richiesto, l’argomento trattato.
Ora, dopo aver definito i comportamenti dell’ascoltatore e le strategie per mantenere
positiva ed efficace la sua attenzione, sempre utilizzando la matrice di Rollo-May,
prenderemo in esame il comportamento del comunicatore.
Va tenuto conto che in generale nessun comportamento è positivo o negativo, ma diventa
utile e produttivo o dannoso a seconda del contesto nel quale avviene.
I COMPORTAMENTI
- Comportamento remissivo
Vi è un alta considerazione per gli altri e molto poca per sé stessi.
Si fugge davanti alle difficoltà e si dà ad altri le proprie
responsabilità, cercando giustificazioni e non proponendo
soluzioni, che spettano agli altri.
Giuseppe Rigotti Comunicare in Condominio
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- Comportamento autoritario
Quando abbiamo un alta considerazione di noi stessi e poca per
gli altri, mettiamo in atto questo comportamento.
Siamo autoritari e pieni di noi stessi, irascibili, prevedibilmente
ostili, non teniamo conto delle opinioni degli altri, che umiliamo
e disprezziamo; interferire nelle scelte altrui è abitudine, non
deleghiamo mai ma accentriamo, chi ci aiuta è destinato ad
abbandonarci oppure a diventare un incapace.
Quando mettiamo in atto questo comportamento, non
riconosciamo i nostri errori e diventiamo solo abili inquisitori
poco efficienti e capaci di trovare soluzioni.
Questo comportamento ci rende antipatici e dannosi, sia per noi stessi che per gli altri.
- Comportamento manipolatorio (finto autoritario)
La bassa considerazione di sé e degli altri porta a gestire
indirettamente l’aggressività utilizzando gli altri per propri fini,
senza responsabilizzarli, mascherando l’autoritarismo (mi spiace
dirtelo, se dipendesse da me ne farei a meno, ma.....).
Una volta scoperto, il manipolatore suscita disagio e rancore,
diffidenza e sfiducia.

Comportamento relazionale positivo
Quando vi è alta considerazioni di noi stessi ma anche degli
altri.
Questo comportamento si basa sulla verifica del feedback,
consente di delegare e favorire la crescita degli altri, si dà
evidenza ai fatti e non alle opinioni, non si critica la persona
ma solo ciò che dice.







Le regole per imparare ad utilizzare questo comportamento:
Argomentare chiaramente le nostre opinioni;
Riconoscere e rispettare quelle degli altri;
Esprimere dissensi, desideri, richieste e sentimenti;
Orientare su un obiettivo;
Assumersi le proprie responsabilità;
Cercare sempre di risolvere il problema
Criticare solo ciò che può essere modificato.
Giuseppe Rigotti Comunicare in Condominio
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UMORISMO ED IRONIA NELLA COMUNICAZIONE
L’umorismo serve per rompere il ghiaccio, perché prende in giro i sentimenti e crea
immediatamente un clima amichevole allentando le tensioni.
Attenzione invece all’ironia, che è giudicativa e mette in ridicolo l’altro, diventando così un
affermazione di superiorità.
Si tratta, in questo caso, del sarcasmo, che possiede una forte connotazione negativa; significa,
nell’etimo, lacerare, spaccare, e crea sempre conflitto, mascherando i propri sensi di inferiorità,
perché abbassa gli altri per farci sentire più in alto.
L’ironia, allora, va utilizzata solo ed esclusivamente come autoironia, e allora diventa uno
strumento di auto formazione umana e professionale, perché consente di giocare con noi stessi, di
uscire da forme di presuntuosa superiorità, ci libera dall’arroganza e dall’intolleranza, ci consente di
governare la realtà e non di essere governati.
IL LINGUAGGIO DEL CORPO
La chiave di interpretazione del senso di un discorso è l’interpretazione dei segni che l’interlocutore
invia accompagnando alla parola il gesto.
Se la parola fa parte della comunicazione logica, verbale, nel senso che essa ha la funzione di
descrivere le cose ed affermare dei concetti, attraverso l’uso di simboli, cioè le parole, coordinate da
precise regole, variabili da cultura a cultura, e necessarie per la comprensione dei messaggi, la
comunicazione analogica, non verbale, agisce sul principio della analogia, cioè in associazione a
qualcosa.
Il presupposto fondamentale è quello già incontrato accennando alla Programmazione Neuro
Linguistica, è cioè l’assunto di Paul Watzlawick: non si può non comunicare.
L’interesse per i gesti che accompagnano le parole deriva dalla possibilità di interpretare il
feedback della comunicazione logica e quindi modificare il nostro comportamento e la nostra
azione.
Come già osservato trattando della comunicazione in generale, bisogna sempre tener conto del
contesto entro il quale avviene la comunicazione analogica, per carpirne il significato corretto e
non incorrere in errori di interpretazione.
Il linguaggio del corpo serve essenzialmente a metterci in relazione con gli altri, ma non solo, serve
anche a rassicurarci e confortarci, a ridurre la tensione, richiamando, in modo illusorio, le attenzioni
dei genitori nella nostra infanzia.
Il dato più importante è che il corpo non può mentire: cioè i gesti non possono venir manipolati
come le parole e sono le donne, più degli uomini, ad utilizzare al meglio i segnali del corpo,
ricavandone una maggiore efficacia nei rapporti umani.
Sul rapporto tra gesto e parola citeremo solamente alcune situazioni, quelle più comuni e cusiose,
rinviando l’approfondimento ai testi che trattano nello specifico l’argomento.
- La stretta di mano
E’ il rituale più usato per toccare l’altro, e serve ad autorizzare l’interazione.
E’ una forma di comportamento prevalentemente maschile, in quanto le donne, a parte la
presentazione, tendono a non usarla più nei successivi incontri, mentre resta prassi anche quando
l’uomo saluta l’amico più caro.
Tra uomo e donna un tempo avveniva il baciamano, poi sempre più stilizzato, ma comunque
rimasto un gesto di sottomissione.
Il dominante, nel dare la mano, appoggerà l’altra mano sulla spalla dell’altro e la stringerà con
forza.
Dimostrare affetto, ammirazione o riconoscenza è stringere la mano e coprirla con l’altra oppure
toccare il braccio o l’avambraccio dell’altro.
Giuseppe Rigotti Comunicare in Condominio
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Chi invece non gradisce il contatto, invece, porge la mano con il palmo verso il basso lasciandosi
stringere solo l’estremità delle dita e senza esercitare pressione con il pollice, oppure dà una stretta
troppo debole.
La mano morta o a buccia di banana, cioè la mano molle e sudaticcia, stretta blandamente, mostra
l’individuo sfuggente, con lo sguardo evasivo e che bisbiglia o parla in modo poco chiaro e
frettoloso.
Anche la posizione del braccio che accompagna la stretta di mano è importante: anche se la stretta
di mano è forte e decisa, il braccio teso allontana l’altro; piegando il gomito e tenendo la schiena
eretta, invece, si costringe l’altro a piegarsi in avanti, ad assumere una posizione di inferiorità.
- I segnali di tensione (e che cosa significano)
Pizzicarsi il volto
 Escludendo il tirare i peli della barba o i capelli oppure le sopracciglia, che sono dei tic e quindi
azioni autopunitive, il pizzicare le guance o il labbro inferiore, è un segnale di forte disagio, il
desiderio di trovarsi altrove, di fuga, voler tirarsi fuori da una situazione sgradevole e non
poterlo fare.
Deglutire
 Indica ansia, tensione negativa, e quando è frequente rivela il timore di essere scoperti per aver
mentito.
Mordicchiarsi le unghie
 Mostra uno stato di nervosismo, mentre se è troppo veemente si tratta du autolesionismo o
pesante senso di colpa.
Schiarirsi la voce e tossicchiare
 E’ un messaggio intenzionale, che usiamo quando vogliamo essere notati, ma se è isolato, senza
motivo apparente, allora dimostra un aumento di tensione, soprattutto se associato ad un
argomento di conversazione oppure ad un immagine o ad un rumore, mostra apprensione o
paura.
Tirare la cravatta, mettere un dito nel colletto
 Mostra un nervosismo crescente ed incontrollabile, indicano il bisogno di prendere aria
- I segnali di gradimento (e che cosa significano)
Passarsi la lingua sulle labbra
 Si osserva quando chi lo esegue trova gradevole una situazione o un argomento o una parola.
E’ un gesto che richiama all’infanzia ed è poco usato nel suo contesto originario, cioè a tavola.
E’ soprattutto un segnale di corteggiamento.
Mordicchiarsi il labbro inferiore
 E’ un segno di interesse quando uno ascolta od osserva qualcosa, oppure prova una sensazione
molto forte, come nell’atto sessuale.
Anche questo gesto si richiama all’infanzia, essendo l’adattamento del mordicchiare il seno
materno.
Portare le labbra all’interno, protendere le labbra.
 Segnalano parole, argomenti , azioni piacevoli, stimolanti.
Giocherellare con l’anello, con la collana, manipolare un dito, accarezzare una matita,
carezzare il bordo di un libro.
 Mostra un coinvolgimento in relazione ad un argomento che affascina.
E’ un autostimolazione che richiama l’autoerotismo infantile, ed è la rappresentazione fisica del
prolungamento del piacere che le parole, o la vista, procurano
Accavallare le gambe nella direzione dell’interlocutore.
 E’ una sorta di freccia direzionale che indica la posizione da cui proviene lo stimolo interessante
e condiviso.
Ancora, altre importanti situazioni comunicazionali che vengono espresse attraverso gesti.
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- I segnali di apertura
Levarsi la giacca ed il cappotto
Disincrociare braccia e/o gambe
Spostare un oggetto che si trova tra noi e l’interlocutore
Togliersi gli occhiali
- I segnali di rifiuto
Sfegarsi il naso
Togliersi qualcosa dall’occhio
Grattarsi il sopracciglio o la fronte, grattarsi (in genere)
Sollevare gli occhiali
Togliersi qualcosa di dosso (peli, capelli)
Pulire il tavolo davanti all’interlocutore
Allontanare un oggetto o spingerlo verso l’interlocutore
Premere la lingua contro l’interno delle guance
Accavallare le gambe in senso contrario dell’altro
Incrociare le braccia
- I segnali di aggressività repressa
Mordersi l’interno delle guance
Sollevarsi le maniche della giacca o della camicia
Stringere qualcosa con forza
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Giuseppe Rigotti Comunicare in Condominio
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Capitolo 5
La Comunicazione Assertiva
Introduzione
Gli altri sono un grande specchio nel quale la persona può vedersi normale o deformata, a seconda
che la percezione di sé corrisponda o meno: sono queste risposte che concorrono a costruire la
propria immagine.
Lo sviluppo relazionale consiste nella dinamica dei rapporti che si stabiliscono con le persone, gli
animali e gli oggetti del nostro ambiente di vita.
Ogni individuo sviluppa attorno a sé uno spazio vitale in cui esprime la propria personalità, a
seconda delle proprie esigenze e di quelle degli altri, facendo conoscenze, affrontando le situazioni,
chiedendo e dando aiuto, prende coscienza dei propri limiti.
 LA FRUSTRAZIONE
Più o meno consapevolmente, ogni nostra azione trova la sua spinta nel desiderio di soddisfare un
bisogno. In tali circostanze, quando tutto va bene, la tensione che ci carica si risolve in una naturale
soddisfazione.
Al contrario, quando incontriamo degli ostacoli, la tensione che sino a quel momento ci ha sorretto
e trasportato si scontra con l’ostacolo stesso, fermando la sua corsa.
Tutto ciò si ripercuote sul nostro stato d’animo, generando frustrazione.
Questo sentimento negativo può indurre pessimismo, impedendo una corretta visione delle cose e
viziando le nostre azioni successive.
In definitiva, l’impatto con un ostacolo genera un’ulteriore barriera che, per quanto possa risultare
antipatica, fa parte della nostra vita quotidiana: la frustrazione.
E vero che talvolta essa suscita reazioni esagerate, ma è altrettanto vero che disponiamo di
un’infinità di espedienti per farvi fronte e, molto spess6, anche per volgerla a nostro vantaggio.
Come le vaccinazioni ci hanno immunizzato nei confronti di talune malattie, così le esperienze
vissute sin dai primi anni di vita ci possono aver preparato nei confronti delle frustrazioni proprie
dell’età adulta.
A conferma di ciò, è sufficiente osservare i bambini che per un malinteso senso di protezione hanno
sempre avuto tutto ciò che potevano desiderare: il loro impatto con la frustrazione, inevitabile negli
anni successivi, può risultare durissimo e dare luogo a reazioni esagerate.
 LE CAUSE
Le barriere che non permettono all’individuo di raggiungere un obiettivo sono di numerosissimi
tipi, ma possono venire raccolte in tre gruppi fondamentali da cui derivano: ambiente fisico,
ambiente sociale e cause personali.
L’ambiente fisico
Rientrano in quest’ambito tutti gli ostacoli che si oppongono concretamente alla soddisfazione dei
bisogni dell’individuo.
L’automobilista che ha fretta si sentirà frustrato ogni qual volta incontrerà un ingorgo, così come il
bambino piccolo sperimenterà un sentimento analogo tutte le volte in cui il recinto del box che lo
racchiude gli impedirà di partire all’esplorazione dell’ambiente circostante.
Gli ostacoli determinati dall’ambiente fisico di solito vengono tollerati senza eccessivo sforzo
dall’individuo, poiché sono anonimi, privi di significato personale e di intenzionalità.
Per esempio, quando vorremmo procedere velocemente alla guida della nostra automobile e tre o
quattro semafori rossi ci bloccano, sopportiamo il conseguente sentimento di frustrazione in virtù
della consapevolezza che non sono stati messi lì apposta per intralciare il nostro cammino.
Giuseppe Rigotti Comunicare in Condominio
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L’ambiente sociale
Al contrario delle precedenti, le frustrazioni derivanti dall’ambiente sociale sono più difficili da
accettare, in quanto sono dovute alla presenza e all’azione di altri individui vicini a noi.
Così, per esempio, il lavoratore non è tanto suscettibile alle frustrazioni derivanti dall’ambiente
fisico (rumori molesti, spazio limitato, scarsa luminosità ecc.) quanto a quelle determinate dalle
persone che lo circondano: il suo diretto superiore che afferma di non potergli concedere le ferie nel
periodo richiesto, alcuni colleghi che tendono a escluderlo dal loro gruppo durante la pausa pranzo e
cosi via.
In questo quadro le maggiori fonti di frustrazione sono rintracciabili nei riti, nelle consuetudini, nei
doveri e nei divieti impliciti ed espliciti di cui la nostra vita è costellata.
Le cause personali
L’individuo stesso può racchiudere in sé le cause della propria frustrazione; alcune di queste
possono essere psicologiche, altre legate alla costituzione fisica.
Un esempio delle prime può essere individuato in un’eccessiva timidezza che non permette di
parlare con quella persona particolarmente simpatica, oppure in una spiccata emotività che,
trasformandoci in una sorta di duplicato fantozziano, rende disastroso il nostro colloquio di lavoro.
La situazione diviene intollerabile quando siamo consapevoli delle nostre potenzialità e del modo in
cui il limite riesce a comprimerle.
Fra le cause del secondo tipo vengono individuate come fonte di frustrazione tutte le limitazioni
determinate dall’organismo che, per immaturità fisiologica o alterazione funzionale, impediscono il
soddisfacimento di un bisogno.
Ecco allora come la statura troppo bassa del bambino, nonostante sia legata a una normale fase
dello sviluppo, possa diventare una fonte di frustrazione, impedendogli di raggiungere un giocattolo
sul tavolo; allo stesso modo, un adulto che presenti un difetto all’udito (alterazione funzionale)
porta in sé la causa di frustrazione che gli impedisce di partecipare alla conversazione dei familiari.
 L’EMOTIVITA’
L’aspetto più importante della vita affettiva e di relazione è l’emotività.
Non vi è stimolo di qualsiasi genere che non provochi reazioni emotive, che facilitano
l’adattamento dell’individuo all’ambiente.
L’emozione è la reazione ad uno stimolo che tende ad adattare un individuo ad una situazione che
per lui è diventata insicura, critica; è una risposta immediata, incosciente e momentanea.
Le emozioni si manifestano attraverso stati d’animo.
La reazione emotiva diventa sentimento quando comprende la memoria della situazione precedente
in cui si è manifestata, che l’emozione attuale ha modificato.
Bisogna riconoscere i sentimenti per sentirsi persone, attraverso l’educazione sentimentale (letture
per cogliere i modelli, l’arte, l’educazione musicale).
Riconoscendo i sentimenti, che hanno valore personale e soggettivo, ci si accorge che gran parte dei
disagi derivano da eventi legati a situazioni e/o persone ben precise, in presenza dei quali scattano
le reazioni emotive.
Emozioni e sentimenti si manifestano attraverso il sistema motorio (camminare e spostarsi,
gestualità e mimica).
Quando ad uno stato d'animo di preoccupazione, apprensione, timore, si associa a reazioni
fisiologiche si induce l’ansia
Un soggetto in ansia non è in grado di esprimersi al meglio nel rapporto con gli altri.
Il soggetto ansioso tende a cogliere l’ambiente circostante, i fatti da gestire, gli interlocutori
sproporzionatamente minacciosi, riducendo con questo drasticamente il livello della sua
prestazione.
Il processo segue questo schema:
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SITUAZIONE
DIFFICILE
ANSIA
PRESTAZIONE
INADEGUATA
SFIDUCIA
IN SE’
PRESTAZIONE
PESSIMA
 LE RADICI DELL’ANSIA
I principali fattori che provocano l’ansia sono:
-­‐ Il timore della critica
Il soggetto teme di ricevere dagli altri valutazioni negative, critiche, giudizi, obiezioni, espressioni
di disinteresse e esclusione, espressioni ironiche, l’essere messo in ridicolo, non essere compreso.
-­‐ Il timore della perdita
Il soggetto teme di non riuscire a consolidare un rapporto sociale importante oppure teme
l’interruzione di rapporti già consolidati.
-­‐ Il timore dell’intimità e del calore interpersonale
Il soggetto teme di ricevere o di esprimere manifestazioni di sentimenti, emozioni di tipo positivo,
oppure teme di venir coinvolto emotivamente in problemi personali.
-­‐ Il timore di trovarsi al centro dell’attenzione
-­‐ Il timore dei confronti e dell’ira
Il soggetto teme di confrontarsi con altri soggetti, di dover scegliere tra alternative proposte dagli
altri, di esprimere agli altri valutazioni negative.
 ANSIA SOCIALE
E’ un ansia indotta dalla presenza di altre persone.
Ci sono delle persone che si trovano a disagio in certe situazioni perché non sanno come fare, non
conoscono le regole del gioco, e quando se ne rendono conto, si trovano in imbarazzo e provano un
senso di impotenza.
Questo stato non aiuta a capire la natura dei problemi, e quindi si tende ad attribuirli ad entità
astratte, indefinite, che si esprimono con espressioni del tipo: «Capitano tutte a me….questo
proprio non ci voleva». Si tratta di pregiudizi o miti sociali, forme di pensiero con cui l’individuo si
ritiene vittima della sfortuna, oppure della sua troppa indulgenza e bontà, contro l’incomprensione,
la furbizia e l’aggressività altrui.
Vi sono persone che pur possedendo adeguate abilità sociali, in determinate situazioni si trovano lo
stesso a disagio (di fronte a un pubblico, nei rapporti con le autorità, in intimità, nell’interazione con
gli sconosciuti, con le persone interessanti dell’altro sesso).
Il disagio è causato da reazioni emotive condizionate che si attivano automaticamente,
ulteriormente aggravate dalle reazioni cognitive dell’individuo che tenta di giustificare
razionalmente queste emozioni che non controlla.
L’ansia va prima di tutto riconosciuta attraverso l’individuazione di segnali, quali preoccupazione,
distraibilità, confusione, irritabilità (sintomi cognitivi), palpitazioni, sudorazione (sintomi
emozionali), respiro affannoso, tensione muscolare, tremori, senso di debolezza (sintomi somatici).
 GLI STILI COMPORTAMENTALI
Le principali categorie di comportamenti sono il passivo, l’aggressivo e l’assertivo.
Passività ed aggressività sono comportamenti inadeguati e pericolosi, in quanto:
 rendono difficile se non impossibile il raggiungimento degli obiettivi relazionali e delle
ricompense sociali; adottarli significa rendersi sgradevoli, antipatici, poco convincenti;
Giuseppe Rigotti Comunicare in Condominio
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
inducono uno stato di malessere nei soggetti che li adottano, rendendo difficile il loro rapporto
con sé stessi, con l’ambiente, con il lavoro.
Anche se apparentemente diverse, passività ed aggressività simili, in quanto le cause che li
determinano sono le stesse:
 insoddisfazione
 sfiducia in sé
 timore del futuro
 timore che le situazioni negative si ripetano, in quanto già esperite (profezia autoavverante)
Per contro, lo stile assertivo non è né passivo né aggressivo, ma si trova su un'altra dimensione, in
quanto suscita nell’altro analogo comportamento, cosa che non succede nel comportamento
aggressivo, che viene rifiutato o subìto, né in quello passivo, che è improduttivo o diventa
prevaricante se l’altro è aggressivo.
IL COMPORTAMENTO PASSIVO
Comportarsi in modo lodevole, voler piacere a tutti indistintamente, frenare ogni manifestazione di
disappunto o disaccordo, sono gli atteggiamenti tipici che caratterizzano chi teme di non essere
accettato.
Cercare indicazioni sul proprio operato allo scopo di migliorare è senz’altro utile, ma la paura del
giudizio può divenire una trappola che ostacola ogni naturale esigenza di cambiamento.
La paura dell’insuccesso è tipica della tipologia passiva, poiché il rischio di sperimentare il
fallimento porta a sfuggire ogni confronto: in questo modo l’individuo evita di mettersi in
discussione, ma tende piuttosto ad assumere un atteggiamento che causa sempre più
l’allontanamento degli altri.
Di fatti sotto questo tipo di comportamento si nasconde il timore di scontrarsi con i propri limiti:
«per non rischiare di perdere preferisco, non giocare».
Per la preoccupazione di non essere ascoltati né visti da chi li circonda, per la paura di non essere
abbastanza incisivi e considerati, molti individui adottano ogni volta un linguaggio e dei
comportamenti che non hanno nulla a che fare con quello che provano in quel dato momento e che,
sulla distanza, li allontanano sempre più da ciò che realmente sono.
Queste persone temono di impegnarsi, in quanto mostrerebbero agli altri, e quindi a loro stesse, la
loro vera natura.
Ma così facendo riescono a non mettersi in gioco in prima persona e finiscono col sottomettersi
immancabilmente agli altri.
Nel lungo termine il comportamento passivo può arrivare a generare una degradazione dei rapporti
con gli altri, che diviene del tipo sfruttatore-sfruttato.
Attraverso un processo psicosomatico, questa situazione relazionale incide sulla postura fisica,
traducendosi in ripercussioni fra le quali lo schiacciamento delle vertebre a livello lombare e la
tensione dei muscoli cervicali: in definitiva, l’individuo assume globalmente le modalità di chi è
schiacciato dal peso che porta.
Uscire da questa situazione non è semplice, poiché la paura che caratterizza i passivi ha
un’implicazione particolare: riesce a frenarli davanti a qualunque prospettiva di cambiamento,
compresa quella di vincere, di avere successo, di raggiungere un risultato in grado di aprire le porte
di un mondo sconosciuto che, in quanto tale, fa ancora più spavento di quello conosciuto.
Fermo restando che ognuno di noi è unico e irripetibile, sono varie le cause che caratterizzano la
storia di questa tipologia (figure genitoriali attente sola alla parte formale dell’educazione e non ai
contenuti, allontanamenti improvvisi senza motivo, ed altro) la cui trattazione non compete in
questa sede.
Giuseppe Rigotti Comunicare in Condominio
51
Caratterizzati da una spiccata sensibilità che li rende estremamente permalosi, i passivi finiscono
per rimanere intrappolati nel vortice della loro stessa tipologia.
La passività tende infatti a rinforzarsi in un circolo vizioso generato e mantenuto dall’accumulo di
frustrazione.
Il passivo, nonostante i suoi modi accomodanti, vive molte situazioni come oltraggiose.
Ciò che per altri è una battuta di spirito per lui è spesso vissuta emotivamente come un insulto. Non
parliamo delle offese vere e proprie, delle effettive prevaricazioni, delle reali mancanze nei suoi
confronti: poiché non ha la forza di opporsi immediatamente a esse le porta con sé per giorni e
giorni. In tal modo non solo gli oltraggi subiti, veri o presunti, si sommano, ma a essi si aggiunge il
senso di inettitudine per non aver saputo reagire al momento giusto.
Questa situazione può sfociare in manifestazioni aggressive dell’individuo contro sé stesso, come
mangiarsi le unghie oppure tormentarsi le orecchie.
Quando la miscela raggiunge il livello di guardia, l’aggressività esplode verso l’esterno. Purtroppo
questo avviene quasi sempre nel luogo e nel momento sbagliati e, soprattutto, verso le persone che
meno hanno a che fare con la sua situazione.
Inoltre, la reazione sarà tanto più facile quanto più i soggetti contro cui è rivolta sono deboli, gentili,
ignari o addirittura normalmente solidali con la persona che improvvisamente e apparentemente
senza motivo si rivolta loro contro.
IL COMPORTAMENTO AGGRESSIVO
«Il mondo è di chi se lo prende»: con questo concetto alcuni si avventano attraverso le vicende della
vita ben decisi a conquistare quello che ritengono essere un loro indiscutibile diritto.
Queste persone rifiutano decisamente i concetti di sfortuna e malasorte, ritenendo di poter
dimostrare che ognuno ha quel che si merita e cambiano idea solamente quando incontrano
qualcuno effettivamente più forte di loro, che li sbalza di sella, ma se non si fanno abbastanza male
rimontano subito a cavallo.
Comportarsi in modo autonomo e deciso, apparentemente coscienti del fatto che non possono e non
hanno la pretesa di essere simpatici a tutto il mondo, è ciò che contraddistingue le persone
aggressive. Se di fronte a una situazione inestricabile il passivo afferma che evidentemente «così
deve essere e non ci si può fare nulla», per cui lascia perdere, l’aggressivo «spacca tutto» , senza
neanche cercare una possibilità di gestione incruenta degli eventi.
Socialmente tollerata, se non addirittura ben accolta e presa come esempio, questa tipologia viene
ricercata dagli altri per il senso di sicurezza che riesce a infondere.
Giuseppe Rigotti Comunicare in Condominio
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Di fatto non fa niente di speciale per conseguire questo obiettivo: davanti ai suoi «non c’è
problema» e «che ci vuole a farlo?», gli interlocutori leggono una possibilità di liberarsi dalle
proprie responsabilità.
Invece, non fanno altro che legittimare la sua posizione per cui «alla gente piace farsi dominare da
un carattere forte».
Poiché le regole e i valori sociali non approvano l’aggressività scoperta, questa tipologia ha la
necessità di individuare le persone comunque disposte ad accettarla o, quanto meno, a subirla senza
eccessivi clamori. Impara così a interpretare i segnali emessi da coloro che incontra, e a individuare
quelli più funzionali.
L’aggressivo ha la capacità di attrarre i propri simili per avere la certezza dello scontro: in questo
modo però, non conoscendo la forza dell’avversario, la sua pretesa sicurezza potrebbe entrare in
crisi, in quanto non è sicuro di vincere, ed allora evita accuratamente il contatto e si attiene ad una
stretta formalità, rinunciando così a sperimentare i propri limiti e a comprendere effettivamente la
propria vera forza.
Ecco perché non sempre l’aggressività si manifesta attraverso grida e sguardi di fuoco: talvolta può
essere agita anche attraverso un rimarcato eccesso di buona educazione, tanto più insidiosa in
quanto meno contrattaccabile.
Per far questo abusa dei propri diritti, ignora le manifestazioni positive degli altri e, non appena gli
è possibile, li svaluta evidenziandone le mancanze.
Sono un esempio di questa impostazione certe figure che si incontrano nelle riunioni di lavoro.
Non appena il relatore distribuisce il proprio materiale, costoro se ne impadroniscono, dando così
l’impressione di essere interessati al tema in questione.
In realtà vanno immediatamente alla caccia di un errore qualsiasi, fosse anche di battitura: trovatolo,
lo correggono, vi fanno una croce o una freccia accanto, appongono un cerchio intorno al numero
della pagina, chiudono il fascicolo e lo riappoggiano sul tavolo davanti a sé, bene in vista, in modo
apparentemente casuale, ma badando bene di farsi vedere da tutti, segnano un punto a loro favore
attraverso la stigmatizzazione dell’operato altrui.
Da notare che si sono attaccati alla parte formale, evitando così di entrare nel merito, dove forse la
loro preparazione è più debole di quella del collega.
Naturalmente le modalità cambiano a seconda che l’aggressivo si trovi in una situazione gerarchica
o in un gruppo di pari. Nel primo caso tende ad assumere due atteggiamenti diversi a seconda della
posizione che occupa. Nel secondo caso la sua modalità è costante.
Quando l’aggressivo ha una collocazione dominante mostra autoritarismo, freddezza, intolleranza
per gli errori e disprezzo per le persone che li hanno commessi.
Quando si trova in un ruolo subordinato attua comportamenti di contestazione sistematica verso
tutto ciò che proviene dall’alto. Tuttavia non si dichiara mai in presenza dei superiori, ma preferisce
agire in privato con i colleghi, ai quali è solito ricordare: «Qui lo dico e qui lo nego».
Nel secondo caso, quando cioè si trova all’interno di un gruppo di pari, l’aggressivo si fa
riconoscere per la presenza invadente. La sua tendenza a schiacciare gli interlocutori emerge sempre
puntualmente, sia travestita dietro la maschera della simpatia («Mica ti sarai offeso per uno
scherzo?») sia incartata in affermazioni formalmente inattaccabili («Ma certo che rimani, sei
membro... di diritto»).
Raramente ricambia i comportamenti che esige dagli altri: suscettibile alle interruzioni («Sto
parlando io!»), interrompe sistematicamente l’interlocutore per impedirgli di concludere i
ragionamenti.
Geloso del proprio lavoro, indaga nelle attività altrui alla ricerca di punti deboli o spunti da rubare.
Tanto più ostenta amicizia e condivisione, quanto più occorre stare in guardia.
Giuseppe Rigotti Comunicare in Condominio
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Generalmente questa tipologia deriva da un’educazione molto rigida, in cui è stata data
un’importanza eccessiva alle regole e ai valori dei genitori, con la pretesa di un’obbedienza cieca e
con frequenti punizioni.
Spesso questa severa disciplina è stata accompagnata da un atteggiamento di rifiuto: come
conseguenza, il bambino sviluppa una forte sottomissione all’autorità dei genitori, che poi estenderà
a tutti i personaggi che occupano una posizione autorevole.
In età adulta questa modalità si mantiene formalmente nei confronti del potere: ad essa si aggiunge
il disprezzo per tutto ciò che è debole, fragile, influenzabile, instabile.
In pratica, gli aggressivi non hanno potuto sviluppare strategie atte a maturare una propria
personalità, sperimentarle e verificarne gli effetti, sia nel successo che nel fallimento.
Mancano pertanto di una solidità di fondo, alla quale sopperiscono aggrappandosi con forza alla
parte esteriore dei rapporti con sé stessi e con gli altri, perdendo così la capacità di valutare criticamente la realtà, con le sue contraddizioni e le sue molteplici sfaccettature, ed anche la possibilità di
realizzare progetti concreti e soprattutto duraturi, che richiedano un certo grado di elasticità
mentale.
In sintesi, non hanno capacità di analisi costruttiva della realtà, per cui, più che non voler
sperimentare il fallimento, non possono permetterselo; se ciò accadesse, vedrebbero crollare le
uniche mura in grado di farli sentire al sicuro, quelle della loro prigione.
Per questo hanno la necessità di rimanere rigidi sulle proprie posizioni, tanto che se si cerca di metterle in discussione replicano regolarmente: «Deve essere così: è una questione di principio»16.
A differenza della tipologia passiva, quella aggressiva non si dedica a previsioni e congetture, ma si
concentra sugli effetti ottenuti con il proprio comportamento; estremamente fiduciosa non tanto
delle proprie possibilità quanto dell’inettitudine che caratterizza gli altri.
Gli aggressivi amano infatti definirsi provocatori e, implicitamente, invitano gli altri a dare una
risposta.
Se ne ottengono una di tipo passivo, la
utilizzano per spiegare a sé stessi ed
eventualmente agli altri due fenomeni: da una
parte l’efficienza e la funzionalità del loro
metodo, dall’altra la legittimità e l’opportunità
delle mancanze di rispetto e di riflessione che
hanno dimostrato.
Ecco allora come la vittoria conseguita venga
rafforzata
dall’umiliazione
del
passivo,
sottolineata da frasi come: «Hai avuto fortuna a
trovare uno come me, che non ha paura di dire la verità anche se scomoda». L’aggressivo è dichiaratamente vincitore e la sua modalità ne esce rafforzata.
Le cose cambiano se la reazione dell’interlocutore è di tipo aggressivo.
Inizia allora una vera e propria battaglia
per la sopraffazione. Se il provocatore
supera la prima difficoltà determinata
dalla sfrontatezza di chi ha osato
replicare, riuscendo comunque a vincere,
trova di nuovo conferma e fiducia nel
metodo adottato: il suo modo di essere
1
Questa figura ricorda quella del CAVALIERE INESISTENTE, personaggio centrale dell’omonimo romanzo di Italo
Calvino. Questo cavaliere, che pure parla, si muove e combatte, esiste solo come armatura. Per tale ragione risulta
inattaccabile ed esce sempre letteralmente senza un graffio o un’ammaccatura dalle battaglie. Se l’armatura venisse
danneggiata, non rimarrebbe niente.
Giuseppe Rigotti Comunicare in Condominio
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ne viene così ancora una volta rinforzato e legittimato.
Un cambiamento radicale si verifica invece quando l’aggressivo esce sconfitto.
Non solo egli non tollera perdere ma, come abbiamo detto, non può permetterselo, in quanto la
frustrazione potrebbe metterlo di fronte alla sua condizione di essere umano, fallibile e debole, ed
egli rifugge da questa possibilità con tutte le sue forze, aumentando l’aggressività e dispensandola a
piene mani, cogliendo ogni pretesto possibile oppure creandone appositamente, se non ne trova.
Ecco allora che qualunque sia la risposta dell’ambiente, il circolo vizioso dell’aggressività avrà
trovato modo di perpetuarsi ed alimentarsi.
IL COMPORTAMENTO ASSERTIVO
Una delle differenze fondamentali tra gli animali e gli esseri umani può essere rintracciata nei
diversi modi di affrontare situazioni negative o problematiche.
In genere, gli animali sono capaci di sviluppare solo due comportamenti: la fuga o l’aggressione.
Per contro, l’umano è capace anche di un terzo comportamento: la negoziazione.
Così, quando un familiare si trattiene troppo a lungo al telefono, invece di andare a cercare una
cabina pubblica (fuga) o strappargli di mano la cornetta (aggressione), possiamo cercare di farlo
ragionare trovando un’intesa tra le rispettive esigenze: «Devo fare una chiamata urgente. Digli di
ritelefonare tra poco e appendi, per favore».
Potremmo comportarci allo stesso modo anche durante una riunione: invece di rassegnarci al
silenzio o acciuffare per il bavero chi ci interrompe sistematicamente, possiamo dimostrare
l’importanza di un ordine negli interventi, eventualmente contenendo i nostri.
Già questi esempi possono essere sufficienti per individuare l’essenza dell’assertività.
Essere assertivi significa sostituire comportamenti passivi o aggressivi con modalità comunque
funzionali a prevenire la frustrazione, a contenere e a non farsi sopraffare dalle emozioni e risolvere
i conflitti, fornendo al contempo un valore aggiunto alle situazioni della vita.
Giuseppe Rigotti Comunicare in Condominio
55
Essere assertivi non è certo semplice, e lo dimostra già la scarsa diffusione del termine.
Molti ritengono che il termine derivi dall’inglese assertiveness, ma invece veniva già usato dagli
antichi romani per indicare una modalità di comportamento sovente praticata, tanto che una delle
più classiche opere dell’antichità, i RICORDI di Marco Aurelio è un vero e proprio trattato di
assertività.
Assertivo è colui che asserisce, che afferma decisamente in modo costruttivo poggiando le sue
argomentazioni su fatti certi e ragionamenti validi. (dal latino assertum, neutro del participio
passato di asserere, affermare).
Se per lungo tempo le tracce dell’assertività erano andate perdute, gli americani le hanno ritrovate
nel 1949, codificando la moderna elaborazione del metodo usato dai nostri progenitori.
Visti dall’esterno gli assertivi appaiono come persone spontanee e genuine, mediamente rilassate,
che affrontano al meglio le situazioni critiche senza perdere la loro stabilità e, soprattutto, senza
alterarsi. Questa impressione ha tutte le ragioni di sussistere: gli assertivi sono proprio così.
La loro non è tanto una costruzione comportamentale quanto una modalità di pensiero.
In primo luogo il rapporto con il proprio divenire ha dei termini ben chiari. Il passato non ritorna e
non si può cambiare, può tuttalpiù costituire un magazzino di ricordi piacevoli da rispolverare in un
giorno di pioggia o di esperienze significative da ricordare in caso di esame.
Il futuro non è scritto: sta a ognuno di noi fabbricarlo giorno per giorno in modo che sia il migliore
possibile, ma non certo il migliore in assoluto.
L’assertivo vive quindi nell’unico luogo possibile, il presente, ma usa le proprie esperienze per fare
progetti.
Inoltre, egli sa che la frustrazione esiste, e l’accetta come dato ineliminabile della vita, ma non
intende certo rassegnarsi a essa o trarne continui spunti per sfidare il mondo.
Cerca invece di prevenirla e, quando non è possibile, si adopera per gestirla.
In entrambi i casi, tiene conto del fatto che il più delle volte è opportuno venire a patti cercando
soluzioni soddisfacenti per tutti.
Infine, l’assertivo sa bene che non sempre le cose vanno nella direzione voluta, nemmeno
l’assertività stessa.
Per questo, è cosciente della propria umanità ed accetta serenamente i limiti che questa talvolta gli
impone, facendo emergere quelle parti passive e aggressive che comunque sono retaggio di
ciascuno di noi.
Da autentico assertivo non avrà neanche bisogno di perdonarsi per queste trasgressioni, poiché non
ravviserà in queste una colpa: non si perdonerebbe invece la mancanza di sforzi per migliorare.
Al pari della buona educazione o dello stile di guida, anche l’assertività può essere appresa.
Quando si dice ai bambini «saluta per bene» o si sente ripetere da un istruttore di guida «prima
metti la freccia e poi svolta», ci si aspetta che con il tempo debbano diventare comportamenti
spontanei, senza che la persona debba ogni volta richiamarli coscientemente dalla memoria.
Allo stesso modo, la modalità assertiva risulta tale se fa parte dell’individuo, non se costituisce un
copione da recitare.
Come per lo stile passivo e quello aggressivo, anche l’assertività ha un suo circolo di
autoalimentazione, connotato dal fatto di essere positivo.
La tipologia assertiva sa bene che la maggior parte dei fraintendimenti, degli equivoci e delle
distorsioni nasce da una comunicazione inefficiente, che conduce a un’interpretazione inadeguata.
Allo stesso modo è cosciente che queste difficoltà, pur non potendo essere eliminate del tutto, sono
però controllabili.
Ecco allora che inizialmente la sua attenzione è tutta concentrata sulla ricerca del valore attribuito
dal suo interlocutore a parole e sequenze logiche.
Il suo obiettivo è capire cosa l’altro gli sta comunicando, per cui domande come «cosa intendi
per...?» o «cosa ti ha portato a pensare questo?» divengono gli elementi che connotano questa
tipologia.
Giuseppe Rigotti Comunicare in Condominio
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Il suo operato non è indirizzato a raccogliere informazioni sul modo di essere dell’altro per
schiacciarlo, bensì per verificare l’esistenza o meno di una funzionalità reciproca.
Per questo l’assertivo nella prima fase della
comunicazione va alla ricerca di quegli
elementi che indichino le reali possibilità
d’intesa; una volta trovati, li riepiloga
tranquillamente e di solito, soprattutto
quando il suo interlocutore non è
marcatamente aggressivo, ottiene una
risposta positiva. In tal modo si rafforza la
sua modalità di pensiero e di azione.
D’altro canto, va anche detto che le persone assertive sono generalmente vissute dagli altri come
dotate di un forte carisma, e per questo sono particolarmente osteggiate da quelle aggressive.
Queste infatti hanno nei confronti degli assertivi un sentimento misto di disprezzo e rispetto.
Disprezzo in quanto sono la dimostrazione vivente e tangibile di qualcosa che loro non sono e non
riescono a essere, rispetto per il timore suscitato dalle loro capacità logiche, che comunque possono
tornare utili.
Per queste ragioni, la tipologia marcatamente aggressiva è quella che entra per principio in conflitto
con l’assertivo.
Quando questo si trova a sperimentare una situazione simile, forte della convinzione che un affare è
buono quando lo è per entrambi, apre il negoziato.
Nella trattativa, l’assertivo cercherà
tutti gli elementi disponibili per
definire i limiti della questione, si
impegnerà ad individuare quelli nei
quali è possibile trovare un
accordo, proporrà la ratifica dei
punti di intesa.
L’aggressivo distruttivo arriverà a
negare l’aspetto vantaggioso del
possibile accordo, ma nel riconoscimento e nella consapevolezza che questo era invece possibile,
l’assertività individua due aspetti: la bontà del metodo e la libertà di occuparsi di altri obiettivi.
Durante la negoziazione può anche
accadere che i punti di accordo siano
meno rispetto a quelli di disaccordo.
Nel caso in cui la trattativa non possa
essere interrotta perché comunque
l’obiettivo da raggiungere non può
essere abbandonato, la tipologia
assertiva si concentra su questi
ultimi, ricercando gli elementi
funzionali insiti in essi che possono
portare dalla ricerca di ulteriori informazioni, posticipando la decisione finale in attesa di qualche
evento ulteriore. In ogni caso la risposta ottenuta conferma la validità del metodo, permettendo di
non abbandonare il rapporto.
Giuseppe Rigotti Comunicare in Condominio
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Questo metodo, che ai passivi
appare come troppo difficile e
complicato ed agli aggressivi come
una maniera per giustificare lo
spreco di tempo, rappresenta un
modello funzionale per gestire la
frustrazione, regolare l’emotività e
l’ansia, prevenire le possibili
conflittualità.
ISTRUZIONI PER L’USO
Abbiamo già accennato che la modalità assertiva è una categoria di pensiero che permette di cercare
le risposte non solo nelle proprie percezioni ed esperienze, ma anche in quelle degli altri.
Dal confronto successivo emergono così nuovi elementi che, pur permettendo la costruzione di
mappe sempre più definite della realtà, ne evidenziano anche i limiti.
Se questo offre la possibilità di sapere dove siamo e in quale direzione andare, è altrettanto vero che
la modalità assertiva non rappresenta una pozione magica capace di risolvere tutte le situazioni:
esistono infatti occasioni in cui è bene metterla da parte e chiamare in aiuto ciò che di passivo o
aggressivo è in noi: sono quelle circostanze in cui il potere è chiaramente nelle mani dell’altro.
Per esempio, quando ci troviamo di fronte a un aggressore armato di coltello che ci ordina di
consegnargli il portafogli, l’assertività è utile solo per comprendere velocemente quanto l’altro sia
deciso e/o disperato e decidere quale comportamento tenere.
I problemi di riorganizzazione e di controllo di gestione aziendale rappresentano altri casi in cui la
modalità assertiva non serve, in primo luogo perché generalmente i tempi da rispettare sono molto
stretti, poi perché il tipo di relazione necessario dipende da modalità rigide.
Fra tante situazioni che l’essere umano si trova a sperimentare, vi è una in cui l’assertività può
essere utile solo per limitare i danni: un ambiente decisamente anassertivo.
Questo è generalmente composto da persone che fanno dell’ossequiosità e della deferenza gli
strumenti di comunicazione primaria, accompagnata dalla tendenza a creare dicerie e calunnie. In
tale atmosfera, l’assertività dovrà fare leva solamente sulla chiarezza degli obiettivi.
Talvolta si incontrano persone che sembrano avere un comportamento assertivo.
Pacatezza, eloquio fluido, gestualità contenuta e rilassata, ragionamento coerente: tutto è perfetto,
forse un po’ troppo.
Qui, in effetti, sta il problema: il vero assertivo è tale anche con se stesso, tanto che i suoi
interlocutori si trovano serenamente a proprio agio con lui.
Le persone di cui stiamo parlando generano invece una sensazione di artificioso, di falso.
Traspare che questa ricerca di perfezione è forzata, ci si sente giudicati, si sospetta un epilogo
inoppugnabile dal punto di vista formale ma una qualche fregatura appare scontata.
Evidentemente non è la forma a fare l’assertività, tanto più che, proprio per sua natura, l’assertivo
tende a non avere modalità di comportamento rigidamente codificate.
Proprio quest’ultimo punto può essere utilizzato per chiarire l’essenza dell’assertivo.
Quando egli dice «non mi sono spiegato bene» è perché comprende che effettivamente può essere
così e non per affermare una pretesa superiorità.
Di conseguenza si sforzerà di esporre nuovamente le proprie idee mutando l’ordine in cui le espone,
il linguaggio e gli esempi, alla ricerca di quelle modalità che siano più familiari al proprio interlocutore. Per contro, il falso assertivo userà la stessa espressione al solo scopo di far scattare un
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Giuseppe Rigotti Comunicare in Condominio
comportamento automatico di risposta, determinato dalla buona educazione e ripeterà tutto
esattamente nello stesso modo.
Ogni rapporto umano può essere portatore di vantaggi e svantaggi, distribuiti in maniera più o meno
uniforme fra le parti in causa.
Fra le molte sfumature possibili, prendiamo in considerazione le quattro combinazioni che l’essere
umano percepisce più facilmente e che, soprattutto, possono aiutarci nel chiarire l’idea di fondo che
muove l’assertivo.
Caso 1: PIRATERIA.
Siamo nella condizione in cui uno, pur
di procurarsi un vantaggio, danneggia
qualcun altro.
La pirateria non riguarda solo i beni
materiali. Esistono per esempio pirati
d’affetto, che in ogni rapporto
prendono tutto quello che possono
senza dare niente in cambio.
Caso 2: IDIOZIA.
Qualcuno, pur di provocare un danno ad altri, non esita a danneggiare anche se stesso.
Caso 3: EGOISMO.
Cerchiamo il nostro vantaggio, indipendentemente dalle conseguenze negative che i nostri atti
possono avere su terzi incolpevoli. Da notare che, vista dall’esterno, questa modalità non differisce
molto da quella del caso 1, almeno dal punto di vista concettuale.
La differenza si rende evidente soprattutto in funzione del punto di vista da cui lo si guarda.
Caso 4: INTELLIGENZA.
In una cultura prevalentemente competitiva, l’idea che uno scambio possa offrire vantaggi per tutte
le parti in gioco sembra difficile da raggiungere.
In realtà si verifica quotidianamente, per esempio ogni qualvolta compriamo una cosa utile
pagandola il suo giusto prezzo, mentre il venditore riceve il dovuto come misura del suo lavoro.
-­‐
Le situazioni critiche
Quando parliamo di conflittualità interpersonale facciamo riferimento a tutte quelle situazioni
sociali che sono caratterizzate da crisi.
Una situazione critica è una situazione relazionale caratterizzata da una minaccia e una pressione
temporale.
La minaccia si avverte quando ci sono eventi improvvisi, sconosciuti ed imprevedibili che
impediscono di raggiungere gli obiettivi che ci siamo posti.
La pressione temporale ci dà la sensazione che il tempo a disposizione per analizzare la situazione e
scegliere una strategia di comportamento adeguata è insufficiente.
Perché si manifestano le crisi?
Per vari motivi: vediamo quali.
 Manifestazione di eventi improvvisi, imprevedibili;
 Carenze comportamentali individuali;
 Identificazione confusa del rapporto causa – effetto nei comportamenti sociali;
Molto spesso si crede che ad un interlocutore arrabbiato bisogna opporre pari aggressività,
dimenticando che gli effetti conseguenti saranno disastrosi.
Giuseppe Rigotti Comunicare in Condominio
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Bisogna invece rimanere calmi, tranquilli, controllati, dando un chiaro segnale di non
belligeranza.
 Distorsione culturale delle informazioni
Si ha quando un individuo assume esperienze, stati d’animo, motivazioni personali quali unico
veicolo di interpretazione della realtà circostante.
Questo comporta varie distorsioni culturali, del tipo:
Illusione di invincibilità, il soggetto è sicuro di non sbagliare mai, tuttalpiù se qualcosa non va
è causa degli altri;
Sottovalutazione delle informazioni negative, che potrebbero mettere in discussione l’azione
in corso o quella che sta per iniziare, giustificandola con frasi del tipo : «io ho fatto del mio
meglio…non avrei potuto fare di più»;
Considerazione stereotipata degli altri, classificando e categorizzando gli interlocutori;
Tendere al conformismo, «se lo fanno gli altri, posso farlo anch’io», senza chiedersi se il
comportamento sia corretto o meno;
Autocensura, inibire comportamenti che inducono reazioni negative, anche se sono previsti dal
ruolo;
Equivoco del silenzio, interpretare il silenzio come consenso.
 Individualismo morale valoriale
Quando si assume per corretto e morale il comportamento del proprio gruppo di appartenenza. Vi è
di conseguenza una scarsa disponibilità a recepire le esigenze dei nostri interlocutori se discordanti
dal nostro modello.
I COMPORTAMENTI DI MASSIMA SICUREZZA
Ognuno di questi comportamenti risolve una singola causa di ansia:
Rassicurazione razionale
Fornire all’interlocutore dati, spiegazioni e ragioni logiche sulle cause che hanno portato ad una
certa situazione; questo comportamento è particolarmente efficace quando gli interlocutori
esprimono critiche rispetto sul nostro operato.
Sostegno
Bisogna garantire all’interlocutore assistenza e disponibilità per creare un duraturo rapporto di fiducia e
dipendenza, soprattutto nei confronti degli utenti disorientati o intimoriti.
Seduzione
Dimostrare disponibilità personale ed interessamento dei problemi altrui oltre al semplice rapporto
professionale. E’ indicato soprattutto quando l’interlocutore affronta problemi della sfera dell’intimità emotiva
ed affettiva.
Informazione
Utilizzare a nostro favore le affermazioni, tesi, valori ed opinioni del nostro interlocutore [si tratta
di ripetere parole o frasi pronunciate dall’altro, adattandole alle argomentazioni che vogliamo
sostenere.
E’ utile quanto l’interlocutore concentra la sua attenzione su di noi, attribuendoci comportamenti, poteri o
responsabilità che non ci competono.
Comando
Esprimere chiaramente. In modo chiaro e semplice, senza ambiguità, ciò che vogliamo l’altro
faccia.
E’ un comportamento efficace quando l’altro è indeciso e fa continui confronti tra scelte diverse.
LA COMUNICAZIONE ASSERTIVA
La comunicazione assertiva è:
Diretta, ferma, il messaggio è chiaro, coerente, i segnali corrispondono: parole, gesti, sentimenti
comunicano la stessa cosa.
Considera anche i diritti e i sentimenti degli altri.
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La comunicazione assertiva è interattiva.
Si comprendono i messaggi degli altri, si ascoltano delusioni, dilemmi, aspettative, sfoghi o critiche
senza reagire allo stesso modo (collera suscita collera) o con rifiuti difensivi, ma utilizzando
atteggiamenti efficaci di tipo verbale (parafrasare) e non verbale (sguardo, postura).
La capacità di comportarsi in modo assertivo può essere appresa, come qualsiasi tecnica, è un
abilità.
 Comunicazione non verbale
Trasmette messaggi riguardo a:
lo status, cioè se vi sentite dominante o sottomesso rispetto al vs. interlocutore;
il gradimento, cioè se l’interlocutore vi piace o meno;
il livello della risposta, cioè la reazione che l’altro vi suscita.
Canali
Comportamento Assertivo
Tono della voce
Ferma, calda, ben modulata
Velocità delle parole
Costante, non affrettato o esitante
Sguardo
Aperto, franco, diretto, non fisso
Espressione viso
Appropriata
Postura
Gesti affabili, bilanciati, rilassata
Distanza
Un metro circa
Essenziale che tra comunicazione verbale e non verbale vi sia coerenza.
 La Comunicazione Verbale
Il timing
E’ la capacità di cogliere il momento più opportuno per inserirsi in una conversazione, è la capacità
di sincronizzarsi agli altri interlocutori.
Tecnicamente, l’inserimento in una conversazione può avvenire mediante il gesto delle mani o del
capo, il tono e il volume della voce.
L’abilità riguarda anche la spontaneità di dire in modo diretto quello che si pensa.
Fare domande
-­‐ Domande aperte
Sono quelle più coinvolgenti, in quanto consentono di approfondire un pensiero.
Come mai non è andato a vedere che cosa stava succedendo?
-­‐ Domande chiuse
Sono limitanti per la conversazione in quanto ottengono solo una risposta e non la spiegazione.
E’ andato a vedere cosa stava succedendo? Si/No
Parafrasi
Consiste nel ripetere il contenuto informativo del messaggio verbale con parole differenti
mantenendo lo stesso significato.
Conferma all’altro ciò che abbiamo capito del suo discorso e rende più accettabile ciò che gli
diremo in risposta.
Va utilizzata quando la conversazione si trasforma in disputa e serve per mettersi d’accordo sui
termini e sui concetti, correggendo accuse generiche, stemperandole e riportandole su un piano di
critica costruttiva.
A: «Lei non capisce proprio niente!»
B: «Lei vuol dire che in questo caso non ho capito come dovevo procedere»
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Riflessione
Questa procedura riguarda i sentimenti: con le parole, i gesti, il tono della voce, rendiamo
consapevole l’altro, in tempo reale, delle emozioni che traspaiono dai segni che accompagnano il
suo messaggio, mostrandogli di aver capito che cosa prove e con quale intensità (…sei molto
irritato…, ti vedo afflitto…mi sembri preoccupato).
Giustificazione
Nasce dalla valutazione delle condizioni particolari o negative che hanno determinato il
comportamento scorretto dell’altro, ed esprime la nostra comprensione di tali meccanismi
(…capisco che tu sia molto irritato con me…)
Autoapertura
Risolve molte situazioni difficili mantenendo sotto controllo l’ansia.
Consisti nell’aprirsi, sottolineando l’importanza di un particolare momento oppure rivelando una
personale difficoltà.
L’ansia di parlare in pubblico può essere ridotta dichiarandola apertamente.
Il silenzio
E’ una forma di comunicazione, serve a raccogliere le idee, far riflettere gli altri.
Concludere la conversazione
 Conclusione cognitiva
Sintetizzare gli argomenti trattati e verificare la loro comprensione: ad es., invitare a fare domande
al termine di un intervento.
 Conclusione sociale
Si gratifica i partecipanti, ringraziandoli per l’attenzione e l’impegno; deve seguire la precedente.
«Molto bene! E’ stato molto chiaro!»
«Grazie per essere venuto!»
 Conclusione motivante
Quando si invitano i partecipanti a continuare per proprio conto l’approfondimento degli argomenti
trattati, anche dopo la conclusione delle conversazione.
«Sta a voi approfondire questo argomento»
«Che accadrebbe se utilizzaste il nostro programma senza gli aggiornamenti?»
«Quando vi troverete davanti ad una situazione analoga, cercate di ricordare quanto abbiamo
discusso oggi!»
 Conclusione percettiva
La conclusione si indica con segnali mimici o posturali (guardare l’orologio, chiudere l’agenda,
alzarsi); l’abilità è quella di non farlo troppo esplicitamente.
DARE E RICEVERE
DARE vuol dire:
-­‐ Fornire informazioni:
Essere diretti (dire le cose come stanno)
Descrittivi (dare molti dettagli)
Evitare pregiudizi
Non dare consigli.
-­‐ Esprimere le proprie opinioni:
Non avere timore a farlo, è un nostro diritto, dobbiamo conoscere bene i nostri punti di vista
Dire il vostro punto di vista
Rafforzarlo usando l’IO
Evitare scuse
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Non essere intimidatori nel farlo
-­‐ Affermare le proprie necessità:
Mettere bene a fuoco ciò che si vuole ottenere
Rendere esplicite le premesse (non dare per scontato che l’altro sa quello che vogliamo)
Incoraggiare le reazioni (fare una piccola pausa dopo aver espresso le proprie richieste)
Non sottostimare sé stessi ( non iniziare un discorso tipo «questa è una cosa stupida da chiedere»
oppure «so che probabilmente non mi risponderete»).
-­‐ Rendere partecipi i nostri sentimenti:
Essere consapevoli dei propri sentimenti
Personalizzarli con l’IO (mi sento…)
Descrivere il proprio stato d’animo e non esprimerlo
Evitare il vittimismo
-­‐ Comunicare le proprie decisioni: dire si dire no:
Prendere una posizione (mettere a fuoco quello che si vuole dire, si o no) e mantenerla
Essere concisi (al rifiuto si può risponde: «Mi piacerebbe darvi…Sono contento di…»
Non esagerare con i no
-­‐ Esprimere critiche e/o riconoscimenti:
Descrivere il comportamento con esempi, non fare paragoni, etichettare o categorizzare
Esprimere un opinione sull’effetto che un dato comportamento ha su di voi
Scegliere il tempo giusto per i complimenti o le critiche
Non esagerare nelle critiche o nei complimenti
Usare onestamente i complimenti, non manipolare
RICEVERE vuol dire:
-­‐ Ricercare informazioni:
Aggiornarsi ed informarsi prima
Fate le domande giuste: chi, che cosa, dove, quando, come mai
[evitare perché? 17]
-­‐ Rispecchiare il contenuto:
Ascoltare in modo non critico
Interpretare il significato (sguardo attento, atteggiamento rilassato, espressione del viso, non
tamburellare le dita ma stare fermi)
L’Ascolto Attivo trasmette la volontà di comprendere:
Sembra proprio che…
Intende dire che…
Quindi…
Mi sembra di capire che…
In altre parole…
Pensa che..
Quindi, sta dicendo…
Per verificare ciò che sta dicendo l’altro:
E’ giusto?
E’ questo che vuole dire?
E’ questo che sta dicendo?
-­‐ Rispecchiare i sentimenti:
Riconoscere i sentimenti dell’altro senza dare giudizi, ascoltandolo
Interpretare il tono e la definizione [«Si sente abbastanza incerto riguardo a…, non è vero?] non
rispondere con capisco…, si lo so…, no non deve….
Non usare trucchi per evitare i sentimenti
17
Le domande con il perché implicano una valutazione e chiudono il processo di raccolta dei dati: l’altro si mette in difesa e
risponde giustificandosi o discutendo.
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-­‐
Valutare correttamente le critiche:
Capire la critica: se è diretta al ns. ruolo, è legittima [è utile andare a fondo con domande tipo
«qual è il problema…?» «come potrei…?»
Cercare suggerimenti dopo aver esaminato le critiche
Riconoscere i propri errori chiaramente senza ambiguità
Se la critica è manipolatoria, non è pertinente, ignoratela
-­‐ Capire i complimenti:
Lasciatevi convincere che il complimento è vero e mostrate di apprezzarlo [«quale parte vi è
interessata di più?», «anch’io sono soddisfatto del lavoro…»
Non affannatevi a restituirlo, fatelo solo spontaneamente, non perché vi sembra dovuto
ricambiarlo
-­‐ Modellare la flessibilità:
Adattate il vostro comportamento
Modificate le vostre opinioni in relazione ad una migliore informazione
Condividete la soddisfazione dell’altro quando vi fa cambiare opinione
LA CRITICA
La critica è una comunicazione centrata di parole, aspetti, atteggiamenti, comportamenti di una o
più persone, ritenuti inadeguati.
Dal punto di vista assertivo il ricorso alla critica può essere segno di atteggiamento positivo per
mantenere buoni rapporti.
Vi sono critiche costruttive quando segnalano in modo utile, efficace e positivo quello che non
funziona; vanno espresse in termini concreti, con riferimenti precisi per risolvere difficoltà e
problemi, per modificare un comportamento.
Le critiche sono aggressive o manipolative quando in esse prevale l’intenzione di aggredire, in
modo più o meno palese, l’interlocutore.
Mentre la critica aggressiva è una forma di violenza vera e propria, quella manipolativa è un
aggressione che agisce sulla vittima dal di dentro, anche senza violenza vera e propria.
Queste critiche colpiscono l’individuo nella sua persona; adottano termini come
«sempre..mai..tutto..ogni volta.., niente..», oppure frasi del tipo «Sei sempre il solito…non
cambierai mai…mi hai rovinato tutta la vita».
La critica genera un senso di colpa se si attribuisce a qualcuno una responsabilità che non ha.
Il senso di colpa sembra coinvolgere la sfera morale o giuridica, ma ha un valore esclusivamente
psicologico.
La colpa psicologica è legata ad un sentimento di disagio, in quanto si è convinti che esista una
colpa, che invece non c’è.
La persona passiva accetta il senso di colpa e si lascia manipolare, pagando per gli altri.
I moralisti dogmatici sono quegli individui che hanno l’abitudine di suscitare negli altri il senso di
colpa per il solo motivo che agiscono in modo diverso da loro.
Anche frasi in apparenza innocue, considerate come principi sociali o valori, tipo «Da che mondo e
mondo….ma tutti fanno così, solo tu…» sono manipolative.
Accettare le critiche costruttive
Alle critiche costruttive si risponde in modo semplice e diretto, riconoscendone la validità senza
cercare scuse.
Scusarsi, riconoscere i propri errori semplicemente, è assertivo.
Sono da evitare frasi del tipo «E’ vero, ho sbagliato: d’altronde capita a tutti di sbagliare!», in
quanto fanno intendere che non verrà fatto nulla per evitare in futuro di commettere lo stesso errore.
In situazioni difficili (in pubblico), l’asserzione negativa annulla sentimenti difensivi e ansiosi e
riduce l’ostilità di chi critica.
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Proteggersi dalle critiche
Bisogna fare attenzione ad usare queste tecniche, in quanto se usate male, possono risultare
gravemente frustranti, soprattutto nelle situazioni familiari e di amicizia, quando devono essere
considerate come ultima risorsa.
Si può abusare di queste tecniche per raggiungere un vantaggio personale, ma così facendo si
mantiene l’interazione su un piano superficiale e impedisce che diventi costruttiva.
 Disco rotto
Ripetizione calma e sistematica del proprio punto di vista; è efficace quando gli altri cercano di
distrarre la nostra attenzione, con altre domande.
E’ opinione diffusa che sia cortesia rispondere sempre a tutte le domande, ascoltare tutto ciò che ci
viene detto e dare giustificazioni: non c’è alcun valido motivo per doverlo fare!
 Annebbiare
Consiste nel rispondere «Forse…può darsi..» quando vengono rivolte critiche manipolative
mettendo in evidenza poca disponibilità al dialogo; anche se appare non assertiva, ribadisce un
opinione evitando lo scontro con altre.
Va inteso comunque come premessa ad una chiarificazione successiva. A chi dice «Con te non si
può discutere!», si risponde «Può darsi, ma perché dici così?», mostrando che l’accusa è
inconsistente in quanto siamo disponibili.
 Ignorare selettivamente
Significa rispondere solo a quelle parti della critica che si possono accettare, ignorando quelle che
sembrano sgradevoli o manipolative.
 Separare gli spunti
Serve ad evitare la confusione di chi per raggiungere lo scopo sposta l’attenzione sui sentimenti o su
altri aspetti «Se tu fossi più responsabile…se mi amassi veramente…è il primo favore che ti
chiedo..»: sono sottili manipolazioni che fanno cadere nella trappola del senso di colpa.
Una buona difesa richiede capacità dialettica: «Vuoi che parliamo della tua richiesta oppure
dell’amicizia che c’è fra noi?»
 Disarmare la collera
Si attua lasciando da parte inizialmente l’oggetto del contendere, per risolvere prima l’irritazione e
capire che cosa ha prodotto la collera: «Capisco che questa cosa ti preoccupa molto….».
Se la situazione trascende, si propone il contratto: discutiamo della questione ma solo se l’altro
assume un atteggiamento più calmo. «Parlerò di tutto ciò che vuoi, ma dopo che ti sarai calmato!»
PARLARE IN PUBBLICO
Le regole
 Bisogna concentrarsi più sul che cosa dire che sul come dirlo.
 Bisogna lasciar stare la forma e privilegiare il contenuto, la chiarezza.
 Bisogna identificare interessi e motivazioni degli ascoltatori.
 Entrare subito in argomento
 Osservare i segnali di ritorno del pubblico (attenzione, interesse, stanchezza, noia), fare
domande dirette e concrete.
 Sicurezza e competenza: voce chiara e altisonante, gestualità pertinente, sguardo esplorativo.
 Fermezza e rigore: gestualità contenuta, voce cadenzata, sguardo fermo.
 Essenzialità: separare l’essenziale dal secondario.
 Efficacia: formulare proposizioni brevi seguite da esempi.
 Proprietà di linguaggio: non usare «entro certi limiti, nella misura in cui, più o meno,
probabilmente, un certo genere di cose, non necessariamente, praticamente, sostanzialmente,
cioè, quindi, allora»
 Enfasi: serve a sottolineare i punti più importanti. Si precede con dei marcatori del tipo:
innanzitutto, secondariamente, attenzione, prendete nota, oppure ripetendo sistematicamente
quanto già detto.
 Brevità: l’attenzione degli ascoltatori varia da venti a quaranta minuti, dipende dall’argomento.