Annuale della Scuola Media Statale “Tiepolo” di Milano - Anno XXIII n. 1, Maggio 2014 - Distribuzione gratuita LA RAI SALE IN CATTEDRA! A bbiamo avuto nella nostra classe, la 2ªL, una lezione di giornalismo tenuta dalla giornalista Vera Paggi di RAINEWS24, la quale ci ha spiegato che Rainews24 all'inizio era soltanto sulla piattaforma di Sky, nata nel 1999 per dare notizie ogni ora. Poi il nostro compagno Fabio ha domandato quali studi si fanno per diventare giornalista. Allora la signora Paggi ci ha raccontato che non c’è un solo modo per fare questo affascinante mestiere: fino agli anni ‘80 venivi assunto per 18 mesi come apprendista e poi facevi l'esame di stato. Tuttavia, i percorsi per diventare giornalista attualmente sono: la scuola dell’obbligo, la scuola superiore, un diploma triennale e una scuola giornalistica per due anni; o in alternativa alla scuola di giornalismo si fa la “scuola sul campo”, cioè la pratica in un giornale o in un sito. Poi ci ha raccontato che negli anni ’80 si diffusero le televisioni private locali e che ai suoi tempi c'era solo la Rai come televisione italiana e che, da quando lei ha iniziato a fare la giornalista, molti metodi sono cambiati soprattutto per il sopravvento di internet e dei giornali online. Ci ha consigliato di leggere il giornale stampato oltre a quello online se vogliamo davvero approfondire alcuni argomenti di attualità e non solo scoprire le notizie. Inoltre ci ha informati che il Corriere della Sera paga, per articolo online, venticinque euro netti. Dopo ha spiegato che Rai News funziona così: vi lavorano duecento dipendenti per otto ore di lavoro tra turno all’alba, turno di giorno, turno di sera e turno di notte così da monitorare ininterrottamente le nuove notizie inviate dalle agenzie di stampa. Ogni giornalista si specializza in un settore: cronaca nera, cronaca bianca, spettacolo, sport, politica. Per noi è stata una esperienza interessante perché ci ha consentito di conoscere di più il giornalismo. Guido Armando Castiglioni, 2ªL - In Viaggio con lo zaino: seguiteci in Italia e nel mondo - Creativ@MENTE: storie, racconti e disegni ideati da noi Piccoli critici si arricchisce A partire da questo anno scolastico, la Scuola Media Tiepolo si è unita con la scuola Leonardo da Vinci, divenendo così Istituto Comprensivo Statale Piazza Leonardo da Vinci, sotto la Dirigente Scolastica dott.ssa Alessandra Ortenzi. Le due scuole, già da tempo in stretto contatto e accomunate da una lunga tradizione, hanno quindi “mosso i primi passi” insieme, come ci testimoniano alcune immagini dell’Open day di dicembre. Questo, e molto altro in delle recensioni ad album musicali, concerti, oltre che a film e libri Qui Tiepolo, la sezione dedicata agli eventi e alle attività più importanti che ci hanno visti protagonisti quest’anno. Finestra sul mondo: articoli nelle lingue che studiamo:inglese, francese, spagnolo e tedesco A review on Pollock exhibition On Wednesday, February 5th, I went with my classmates to Palazzo Reale to see the picture exhibition about “Pollock and the irascibles”. Mrs Muneroni and Mrs Pimpinelli came with us. We had already seen a film about Pollock in class, so when we went to see the collection we already knew about his life and way of painting. Before we started the visit, Mrs Pimpinelli gave us some information about the pictorial style of the artists that lived in the same period and had his same artistic ideas. After that, we visited the first room that was dedica- ted to Pollock’s different studies of painting. Actually, some of his paintings are quite easy to understand because you can recognize the figures represented on them, while in others this is quite impossible, because it is abstract art. In the first room there was also a very famous picture by Pollock called “Number 27”. In the following room there was a sofa, and lying on it you could see on the ceiling a clip from a film about the life of the artist. In the film you could see from an unusual point of view his typical way of painting. In the rest of the exhibition there were more paintings of artists such as Mark Rothko, Willem de Kooning, Franz Kline and Barnett Newman. Their pictures were unique because they didn’t represent something they could see in real life, but that they felt. In particular Pollock experimented a new kind of painting called dripping. It consists in dripping the colour directly on the canvas. I find this art very interesting. In the show there were many other paints and I was impressed by some of them, while I didn’t like others maybe because I didn’t understand them or what the artist wanted to communicate. But this type of art is really difficult to understand because the artists painted what they felt and so the meaning of their works may be incomprehensible to ordinary people. I really enjoyed the exhibit because some paintings were really interesting and unusual, the colours were bright and beautiful. To conclude this review, I think that Pollock exhibition was very interesting and I would suggest it to anyone who likes abstract art. Alessandro Intropido, 3ªA Nella nuova rubrica Noi tra passato e futuro come ci sentiamo noi adolescenti e come ci vedono gli adulti e uno speciale sui lavori dei nostri sogni. Troverete interviste sulle professioni, tra cui due interviste a un pompiere e a un vigile urbano, qui un’anticipazione, l’intervista a due illustri magistrati. Marito e moglie, uniti dalla legge INTERVISTA AI MAGISTRATI EUGENIO E FRANCESCA FUSCO Come avete deciso di iscrivervi a giurisprudenza? La scelta di Eugenio di frequentare giurisprudenza è stata un po’ casuale ed è maturata solo all’ultimo anno di liceo, mentre il sogno di Francesca era fin da ragazza di fare il magistrato, ed è riuscita a realizzarlo. Quali sono stati i momenti più difficili e quelli che le hanno dato maggiore soddisfazione? Il difficile viene quando bisogna decidere, perché la decisione di un magistrato si riflette sempre sulla vita delle persone e non solamente quelle coinvolte dalle indagini; si pensi ai famigliari ma anche ai dipendenti di un’azienda. La più grande soddisfazione si ha quando anche il condannato comprende che la sanzione che ha ricevuto è giusta. Questo capita raramente, ma quando accade dà grande soddisfazione. Un’altra grande soddisfazione si ha quando un cittadino che si è rivolto alla magistratura ringrazia perché ha ottenuto giustizia. Mi racconta un caso particolare a cui ha lavorato? Il caso Parmalat, in cui tanti risparmiatori avevano perso i propri risparmi. In molti sono riusciti anche ad ottenere un risarcimento attraverso l’azione giudiziaria. Quali sono, secondo voi, le principali regole che deve rispettare un “giovane cittadino” oggi per diventare un adulto consapevole dei suoi doveri? In primo luogo un “giovane cittadino” deve imparare a rispettare le regole, non alcune in particolare, ma tutte. Le regole sono tutte egualmente importanti, perché se ognuno usasse solo le leggi che gli fanno comodo, ciascuno avrebbe leggi diverse. AMERICAN IDIOT, UN ALBUM DA RICORDARE American Idiot è l’album che ha portato all’affermazione dei Grenn Day nella scena punk-rock mondiale. L’album ha segnato il decisivo passaggio della band dallo stile punk anni 90’ al punk-rock moderno. Il settimo lavoro della band di Oakland (California) è infatti una rock opera con protagonista un immaginario alter-ego del leader della band, Billie Joe Armstrong, e attraverso la storia di Jimmy critica l’era Bush dal suo punto di vista. American Idiot non è il primo album dei Green Day, gruppo fondato da Billie Joe Armstrong, chitarrista e voce, Mike Dirnt, bassista e Tré Cool, batterista. Infatti il gruppo ha alle spalle, a partire dal 1987 fino ad arrivare al 2004, anno d’uscita dell’album in questione. Durante questi anni la band ha subito una grandissima trasformazione, come si può intuire dal fatto che il trio sono partiti dal suonare in piccoli club del punk classico fino ad arrivare a suonare il loro rock negli stadi davanti a migliaia di persone. Un aspetto molto importante dell’album American Idiot è certamente costituito dai testi, scritti dal cantante Billie Joe Armstrong, il quale spesso parla implicitamente di se stesso. Essi variano da semplici dichiarazioni d’amore a espressioni di rabbia e di dolore, fino ad arrivare a critiche molto specifiche verso la politica americana di Bush. La maggior parte dei testi dell’album parla di Jimmy,un ragazzo in cerca della propria identità; egli incontra una ragazza, ironicamente chiamata Whatsername, la quale gli darà la speranza di poter cambiare che però lo lascerà con il ricordo dei momenti felici passati insieme. Nel disco sono però affrontati anche altri temi quali le operazioni militari di Bush, oppure fatti personali accaduti nella vita di Armstrong: ad esempio in Wake me up when september ends,dove viene narrata la tragica morte per cancro del padre di Billie, avvenuta nell’infanzia di quest’ultimo. La band è tuttora in tour, riempiendo arene in tutto il mondo, a pubblicizzare la trilogia di album da loro appena prodotta. Antonio Marino, Andrea Lucchini, 3ªC All’interno del Giornale l’inserto Stratiepolo, dedicato a Il Passo, con i temi vincitori del concorso, il logo premiato e le foto vincitrici, seguite quindi i nostri passi… Alberto Puliga, 1ªI Yer Myka Dimacali, 3ªE Federico Di Cola, 3ªB 2 QUI TIEPOLO Un’esperienza davvero benefica L 'open day della scuola è per tutti - insegnati, famiglie e alunni un bel momento di incontro e di conoscenza, ma per noi ragazzi di terza in particolare è un'occasione per “mettersi in gioco”: è per questo che venerdì 13 dicembre anche noi abbiamo dato il nostro contributo alla giornata aperta della scuola. Tornare a scuola il pomeriggio fa un altro effetto, in un certo senso ci si sente “utili”. Il nostro compito era quello di dare una mano al banchetto all’ingresso, per raccogliere fondi da destinare a un’organizzazione benefica. Anche se passare al banchetto tutto il pomeriggio può sembrare un po' noioso, lo abbiamo fatto volentieri pensando che se ciascuno fa una piccola parte, insieme si può arrivare ad una cosa meravi- gliosa. Non si pensi sia stato facile per noi! Molte persone ci evitavano e solo i più gentili si fermavano e compravano. Ma è stato bello perché abbiamo rivissuto l’esperienza di entrare in una scuola media per la prima volta: da una parte ci ricordavamo di quando eravamo ancora in quinta elementare, e dall’altra ci sentivamo grandi e ormai tanto esperti da essere addirittura lì a dare il nostro aiuto. Alla fine eravamo tutti molto stanchi, ma felici di aver partecipato: è in occasioni come questa che si capisce che è bello aiutare gli altri. Filippo Cabras, Caterina Cozzani, Beatrice Minerva, Cecilia Olivieri, Olivia Regoli, Alessandra Sandja keddine, Beatrice Sibani, Classe 3ªB La nostra fotogallery, alcuni momenti della giornata dell’Open day La distribuzione del giornale Prove di canto in Aula Magna con il prof. Mercurio Oggetti realizzati da noi e piantine in vendita per beneficenza I nostri alunni mostrano la scansione orario con la Lim Lezione d'inglese con la prof. Muneroni La recita della 3ªI I prof. si preparano per accogliere gli alunni delle elementari divisi in gruppi con le coccarde colorate La recita della 3ªI per gli alunni delle elementari organizzata dalla prof. Marcandelli Grazie a tutti per aver partecipato Le magie della Lim con la prof. Pimpinelli Lezione di disegno con il prof. Longo 3 QUI TIEPOLO I nostri alunni nel CONSIGLIO DI ZONA 3 per il PROGETTO “RAGAZZI IN ZONA” Parte anche a Milano il Consiglio di Zona dei Ragazzi e delle Ragazze. Partecipa alla “competizione elettorale” anche la S.M.S. Tiepolo e tre alunni vengono eletti. E chi l'ha detto che l'esercizio della politica sia solo affare degli adulti? Come se i ragazzi non fossero cittadini, come se dal loro occhio vigile e critico non potessero sorgere proposte interessanti ed innovative, come se il futuro non partisse proprio da loro. E' con questa idea che i diversi Consigli di Zona di Milano, tra cui quello di Zona 3, hanno deciso di far spazio a loro, ai ragazzi dai 9 ai 14 anni, per la formazione di un Consiglio di Zona dei Ragazzi e delle Ragazze, con l'ausilio dell'Associazione ARCI. Il tutto preceduto da una seria campagna elettorale a scuola che ha permesso di ri- che spiega come si svolgerà la mattinata. Finalmente davanti a noi vedo un'insegna con il logo di Milano e capisco che è lì che dobbiamo entrare, accolti dagli operatori dell'ARCI. Mi guardo un po' intorno: vedo delle scrivanie disposte a semi-cerchio e delle imponenti poltrone rosse. Ecco il momento che aspettiamo tutti con impazienza: ci chiamano uno per volta e finalmente ci insediamo. E' già tempo per ognuno di noi di parlare, di illustrare le nostre idee. Quando tocca a me, le parole all'inizio restano in gola e la testa comincia a girare, ma non è il momento, devo parlare per tutti quelli che mi hanno votato: allora Poi ognuno di noi ha parlato e spiegato perché i compagni di classe lo avevano votato e cosa aveva intenzione di fare per migliorare la città. Alcuni volevano rendere più accessibili i parchi, altri riparare o ingrandire le palestre delle scuole, altri ancora occuparsi di viabilità, rendere più sicure le piazze ed aprire luoghi d'incontro per bambini stranieri. Quando è arrivato il mio turno mi è salita un'agitazione tale da cambiarmi la voce, ma sono riuscita comunque a parlare. Ho detto che mi sarebbe piaciuto rendere più sicure e moderne le scuole, migliorare i parchi e costruire più zone verdi. Quando sono tornata a finalmente riesco a pronunciare il discorso più bello che io abbia mai fatto. Credo che sia stata l'esperienza più significativa ed emozionante di tutta la mia vita. ANDREA SOFIA PONTA - Era il grande giorno. Due miei compagni ed io saremmo entrati a far parte del Consiglio di Zona dei Ragazzi per illustrare le idee nostre e dei nostri compagni, allo scopo di migliorare la Zona 3 di Milano. Noi tre consiglieri eletti eravamo agitatissimi all'idea di partecipare a questo appuntamento. Una volta giunti, un grido di ammirazione è uscito dalle nostre bocche. La sala era stupenda: gigantesche sedie ci aspettavano in ordine davanti ad un palco di legno. Davanti ad ogni poltrona c'era un microfono ed i classici bottoni per le votazioni, nascosti in una piccola cavità del tavolo. Ci hanno spiegato che servono per votare le proposte prima di ogni delibera: verde significa “favorevole”, rosso “contrario”, bianco “astenuto”. Quando anche tutti gli eletti delle altre scuole sono arrivati, gli operatori dell'ARCI ci hanno spiegato come funziona e a cosa serve un Consiglio di Zona: si tratta di un gruppo di persone elette che insieme decidono come migliorare la città e renderla più sicura. Alcuni ragazzi sono stati anche intervistati telefonicamente da “Radio Raga” per raccontare il loro stato d'animo e le loro proposte. E' stato tutto molto emozionante, soprattutto quando abbiamo dovuto trovare posto sulle poltrone su cui compariva il nostro nome e votare l'inizio della seduta. Leo Colonnello, classe IID - Non dirò di avere un sogno, né di voler realizzare una Milano “più pulita”, “più verde”… certo, voglio un futuro del genere, ma sicuramente è un obiettivo molto alto. Perciò, fin dall’inizio della campagna elettorale, mi sono chiesto cosa possiamo fare noi ragazzi per la Zona 3, noi che di solito non siamo nemmeno interpellati. Beh, questa volta ci hanno interpellato, ed è già un passo avanti! La Costituzione Italiana stabilisce dei diritti anche per noi ragazzi, ma solo alcuni di essi vengono rispettati. […] Spero perciò che si possa partire dal Consiglio di Zona dei Ragazzi e delle Ragazze per poi partecipare alla vita politica della città. Questo, sì, è il mio sogno, e vi ringrazio, comunque vada, perché insieme mi aiuterete a realizzarlo! Riccardo Iannotta, classe IID - Avete mai sognato di andare a scuola senza inconvenienti che vi facciano ritardare? Oppure di tornare senza rischiare di perdere il pranzo fumante che vi aspetta? Bene! Semafori troppo lenti e automobilisti impazziti non saranno più un vostro problema! Votate Iannotta e starete sicuri!Proporrò di multare chi non raccoglie i bisognini dei propri amici a quattro zampe e chiederò più vigili negli orari di entrata e uscita da scuola, per garantire sicurezza e per regolare il traffico dove non ci sono i semafori. […] Avete tutti in mente le piste ciclabili che partono da un punto per poi interrompersi in un altro? Ecco, consiglierò di riunire la pista che passa da Corso Plebisciti, si interrompe in Piazzale Dateo, per poi riprendere in Corso Concordia. In più consiglierò alberi al posto degli spartitraffico, più pulizia nei parchi, più cartelloni pubblicitari per la salvaguardia della natura e, per i più piccoli, più alberi nei par- Andrea Sofia Ponta, Filippo Toniolo e Sofia Corradino con la prof. Monaldi al consiglio di zona flettere su temi di educazione alla cittadinanza attiva, come i problemi e le criticità del territorio, la partecipazione politica ed il voto, la rappresentanza democratica ed il funzionamento delle istituzioni. Agli eletti sarà poi data la possibilità di elaborare e presentare delle delibere su temi di interesse condiviso; esse saranno poi esaminate ed eventualmente adottate dal Consiglio di Zona “degli adulti”. Di certo non si può dire che manchino le idee: il 22 novembre 2013, giorno dell'insediamento del Consiglio di Zona dei Ragazzi e delle Ragazze, ne sono state presentate moltissime, alcune delle quali, realizzabili anche con un budget piuttosto esiguo, saranno meglio approfondite nel corso delle successive sedute. Per la Scuola Media “G.B.Tiepolo” sono stati eletti tre alunni della classe II D: Sofia Corradino, Andrea Sofia Ponta e Filippo Toniolo. Ecco qual era il loro stato d'animo quel fatidico 22 novembre, entrando nella sede del Consiglio di Zona 3: SOFIA CORRADINO - Per la prima volta nella mia vita sono più emozionata di quando vado ad un’interrogazione di Geografia senza aver studiato. Succede tutto così: un attimo prima sei in classe col cuore che batte a mille e un attimo dopo sei in cammino verso la sede dei Consigli di Zona, con il cuore che ormai sta per collassare per l'emozione. Ho di fianco la Consigliera Andrea Ponta e il Consigliere Filippo Toniolo, che parlano allegramente e non mi sembrano per niente emozionati; ci accompagna il Vicario Guido Siniscalchi CAMPAGNA ELETTORALE “IN PILLOLE” Piccoli “sognatori” crescono scuola ero ancora emozionata per la bellissima esperienza vissuta. FILIPPO TONIOLO - Avete mai avuto quella sensazione di caldo nonostante fuori ci siano cinque gradi? Ecco, più camminavamo e più questa sensazione saliva. Eravamo tutti col sorriso sulle labbra, ma si vedeva sui nostri volti una nota di pura paura, immaginando ciò che stavamo per fare mentre cercavamo di raffigurarci l'aula che stavamo per raggiungere. Forse ripensavamo al giorno delle elezioni e a quanto era stato emozionante quel momento che tutta la classe aspettava. Quando finalmente siamo arrivati, siamo stati accolti calorosamente: eravamo i primi. Dopo l’arrivo degli altri Consiglieri, ha avuto inizio l’incontro di preparazione all’insediamento guidato dagli operatori dell'ARCI. L'atmosfera si è riscaldata all'arrivo del Presidente della Commissione Decentramento, Caterina Antola, che, fatto l'appello, ci ha invitati a prendere posto sulle poltrone rosse; poi si è votato per aprire la seduta che così ha avuto inizio. Ognuno di noi si è presentato; quando è arrivato il mio momento, ho iniziato a sudare freddo e a percepire un certo tremore alle gambe, ma ho preso coraggio ed ho iniziato a leggere il mio discorso: speravo di non fare brutta figura, e alla fine ho tirato un sospiro di sollievo. Così siamo tornati a scuola felici e entusiasti di questa prima giornata al Consiglio di Zona 3 dei Ragazzi e delle Ragazze. 2ªD chi gioco, perché vedere i bambini più felici rende più felici tutti noi. VOTATE IANNOTTA,VOTATE VOI STESSI. Andrea Sofia Ponta, classe IID - “Io ho un sogno”. Sogno che tutti i ragazzi e le ragazze di Milano possano esprimere le loro idee per migliorare la città. Sogno che gli adulti, anche quelli più "importanti" e più "lontani" da noi ascoltino i ragazzi e ci aiutino a realizzare le nostre idee. Quante volte in piazza o al parco ci siamo resi conto che bisognerebbe migliorare quegli ambienti? E quante volte ci siamo chiesti : "Ma come faremo a far capire agli adulti tutto ciò?". Con questo progetto che riguarda la Zona 3 abbiamo una magnifica possibilità. Finalmente possiamo far capire ai grandi che abbiamo l'urgente bisogno di posti belli e sicuri in cui stare. […] Se approvate quello che ho scritto, vi dico che insieme potremo cambiare le cose affinché Milano diventi una città migliore. Insieme diremo NO ai parcheggi che finiscono per sostituire i nostri parchi, diremo NO al traffico, diremo NO ai tristi colori del cemento. Che voi mi votiate o meno, non fa differenza. Io non faccio questo discorso perché voi mi votiate. Io faccio questo discorso per far capire a voi che bisogna fare qualcosa. […] Se vorrete, io vi aiuterò a realizzare i vostri sogni. I nostri sogni. E ricordate: si inizia migliorando un quartiere e si finisce per migliorare il mondo. 4 QUI TIEPOLO Elio Fiorucci: un genio della moda GIOVANILE L a mattina del 14 marzo la nostra classe ha avuto la fortuna di ospitare lo stilista Elio Fiorucci per un’intervista sul tema della moda. Gli abbiamo posto alcune domande sulla sua vita e del suo lavoro: ecco le sue risposte. Quando era bambino, qual era il lavoro dei suoi sogni? Da piccolo vivevo in campagna, in mezzo alla natura e agli animali, e sognavo di fare il contadino. Ancora oggi conservo questa passione e ho cercato di trasmetterla anche in quello che faccio, utilizzando ad esempio materiali naturali, o facendo riferimento alla natura e agli animali nei soggetti delle mie magliette. Se oggi avesse la nostra età farebbe le stesse scelte di studio? Da ragazzo non amavo studiare e non trovavo molto interessante quello di cui ci si occupava a scuola. La mia grande fortuna è stata quella di poter viaggiare, di scoprire cose nuove andando in posti come ad esempio Londra, che in quegli anni erano ricchi di grandi novità ancora sconosciute in Italia: erano gli anni della beat generation, degli hippies, della rivoluzione della musica e dei costumi giovanili. Oggi nel mio campo le cose sono molto cambiate, oggi ci sono fantastiche scuole per designer e stilisti. Ma il mio è stato certamente un percorso molto fortunato; un’altra grande fortuna che ho avuto è stata che i miei genitori avevano un negozio, nel quale ho cominciato a lavorare avendo così la possibilità di incontrare le persone, i clienti, e capire così che cosa piaceva loro di più. Ecco, questa è una cosa che consiglierei a degli aspiranti stilisti: andare a lavorare a contatto con la gente, in un negozio, in modo da avviare un dialogo con il pubblico, che nella moda è fondamentale. Quali sono state le migliori soddisfazioni e le peggiori delusioni durante il suo percorso lavorativo? Partendo dalle cose peggiori, direi l’avere spesso trascurato i rapporti familiari per il lavoro. Mentre credo che la soddisfazione migliore, che condivido con i miei fratelli, è quella di accorgermi di aver ereditato dalla mia famiglia idee “buone”, nel senso di essere stati educati bene e di esserne fieri. Qual è l’idea che sta dietro al marchio Fiorucci? Elio Fiorucci Dietro ai miei prodotti c’è di certo molta creatività e molta freschezza, data anche dai miei giovani collaboratori. Anche la novità e l’originalità sono importanti per me. Ma soprattutto la comodità e la funzionalità, tali da rendere gli abiti adatti al movimento e alla vita: credo che sia questo il filo principale delle mie idee. Oggi cosa ama e cosa odia di più del suo lavoro? Oggi, come all’inizio della mia carriera, amo le mie idee, ma odio me stesso perché non sempre riesco a sfruttarle. Se dovesse definire con tre parole il suo lavoro, quali sceglierebbe? Direi innanzitutto libertà, il non essere condizionati cioè da schemi preconcetti; poi curiosità, come desiderio di scoprire cose nuove; e infine volontà di fare, o ancora meglio, magia del piacere del fare. E credo che in tutti i lavori questo sia fondamentale. Di cosa si occupa Fiorucci oggi? Oggi mi piace definire Fiorucci “a riposo”, anche se mi sento ancora un ragazzino. E poi oggi ci sono tanti marchi che fanno prodotti bellissimi: la moda ha compiuto dei tali passi in avanti, verso una sempre maggiore libertà, sia nel senso della comodità e della funzionalità, che come rottura degli schemi, delle uniformi, dei canoni. Quando ero giovane bisognava adeguarsi a un certo modello di abito a seconda delle situazioni: oggi invece conta sempre di più come ci si comporta in quelle situazioni, non come si è vestiti! SIAMO giovani… alla moda È inutile negarlo, la moda ci condiziona, ci affascina, ci stuzzica ci gira intorno… o forse siamo noi a girarle intorno! Come dice il signor Fiorucci, che abbiamo avuto il piacere di ospitare in nostra classe per una interessante intervista. Ma noi ragazzi, nel vestirci, scegliamo i “capi alla moda” o cerchiamo di apparire così come pensiamo di essere? Insomma, come si comportano i ragazzi quando si tratta di moda, vestiti, scarpe, felpe, ecc.? Per dare una risposta fondata abbiamo sottoposto ai 750 alunni della scuola un breve questionario in cinque domande, e abbiamo poi diviso i risultati in base all’età. Come cambia il rapporto con la moda nel corso dei tre anni delle medie? A quanto pare i ragazzi di prime fanno di rado acquisti da soli (13%), ma altrettanto di rado lasciano che a comprare i loro indumenti siano i genitori (11%): la maggioranza di loro si reca nei negozi in compagnia di un adulto per scegliere insieme cosa comprare (76%). In seconda e in terza media aumenta invece progressivamente la percentuale dei ragazzi che effettua in autonomia i propri acquisti (29% per le 2e, 38% per le 3e), mentre calano fino quasi a scomparire gli acquisti delegati completamente ai genitori (6% per le 2e, 4% per le 3e). Non meno interessante è il risultato della seconda domanda, a proposito di chi scelga quotidianamente i capi da indossare: pochi risentono infatti ancora dell’influenza dei genitori, e in misura drasticamente decrescente nel corso dei tre anni (dal 10% dei ragazzi di prima, allo 0% di quelli di terza), anche se molti di loro sono ancora disposti ad accettare un “buon consiglio”. Un risultato forse più inaspettato è quello della terza domanda, che mostra come l’attenzione verso le “firme” abbia 1 - Chi compra i tuoi vestiti? un leggero picco verso la seconda media, ma in generale ciò A. Tu che più interessa ai ragazzi è il risultato complessivo del loro B. Tu con un adulto C. Un adulto “look”. La domanda 4 rivela però che alla fine una buona percen2 - Chi sceglie quello che indossi? tuale dei capi presenti nei nostri guardaroba è “firmata”. Sarà perché ci stanno davvero meglio, perché sono di migliore A. Tu B. Tu con un adulto qualità, o perché ci sembrano soltanto più belli per la loro C. Un adulto marca? Cosa ci racconta infine il risultato della domanda 5? Diven3 - Quali sono i criteri utilizzati per l’acquisto dei tuoi vestiti? tando più grandi siamo portati a rinnovare gli abiti sempre A. La marca più frequentemente, anche quando non sarebbe proprio neB. Come ti stanno C. Il costo cessario, ma impariamo ad approfittare dei saldi. La risposta alla domanda iniziale dobbiamo cercarla nella “domanda sottointesa” e nelle domande 3 e 4. La domanda 4 - Quale percentuale dei tuoi vestiti è “firmata”? nascosta infatti è: “I giovani sono interessati alla moda?”. A A. Più del 50% quanto pare la risposta è sì, perché al questionario tutti hanno B. Il 50% risposto più che volentieri! Dalle risposte alle domande 3 e C. Meno del 50% 4, poi, si capisce che quando dobbiamo scegliere cosa indossare pensiamo prima di tutto: “Come mi sta?”, e cioè: “È 5 - Ogni quanto rinnovi i capi del tuo guardaroba? così che voglio mostrarmi agli altri?”. E allora apriamo arA. Piuttosto frequentemente madi e cassetti alla ricerca del nostro personaggio! B. C. In occasione di saldi/cambi di stagione Quando non ti vanno più bene Andrea Esposito,2ªB La 2ªB Fidarsi di un altro per arrivare più in alto! L e mie aspettative sull'uscita alla Rockspot non erano molte: mi aspettavo che un paio di istrut- tori ci dicessero come fare e poi ci stessero a guardare. Invece avevano preparato per noi due percorsi diversi: il boulder e la vera e propria arrampicata. Con il mio gruppo abbiamo cominciato dal boulder, che è una piccola montagnetta sulla quale ci si arrampica senza imbragatura. A prima vista non sembrava difficile, ma tra dire e il fare c'è in mezzo il mare, infatti completare l’intero percorso era molto complicato. L'inizio era una semplice, poi però bisognava girare e non c'erano appigli, e poi c'era una parete in pendenza con molti appigli lisci dove arrampicarsi era una vera impresa, e io personalmente mi sono divertita molto a cercare di arrampicarmi su quella parete. Nel tempo a nostra disposizione ab- biamo fatto il percorso due volte, poi ci siamo scambiati con l'altro gruppo e siamo passati alla vera e propria arrampicata. I nuovi istruttori ci hanno mostrato come mettere l'imbragatura, come usare il gri-gri e come fare sicura. Io facevo da sicura alla mia amica Greta e lei la faceva a me. Quando è stato il mio turno, a tre passi da terra mi sono impiantata in un punto e non sono più riuscita a salire ma, dopo un paio di tentativi falliti e una caduta in cui senza sicura mi sarei fatta molto male, sono riuscita ad arrivare fino a metà parete, cosa che mi ha insegnato a fidarmi meno delle apparenze e di più delle mie amiche. Laura Monaco, 1ªI Disegno eseguito dagli alunni della prof. Bertagnoli 5 QUI TIEPOLO “LUCI E OMBRE DAL PALCOSCENICO” L a mia esperienza teatrale passa dall’essere una spettatrice, seduta in platea a osservare uno spettacolo, a interpretazioni molto brevi e quasi interamente improvvisate, un po’ come l’atellana nell’antica Roma, alla rappresentazione di una vera a propria opera di Shakespeare. Da ormai cinque anni, infatti, frequento gli scout e molto spesso i nostri capi ci chiedono di realizzare una scenetta di pochi minuti inventando la storia a partire da un titolo. La maggior parte di queste rappresentazioni è basata sull’improvvisazione: non si ha un copione né delle battute fisse, ma bisogna inventare delle battute al momento, sulla base di una storia e, molte volte, senza neanche una storia. Queste piccole scene insegnano molte cose che non sono poi così distanti dal teatro vero: ad esempio tenere sempre la voce alta, non parlare tutti insieme e non dare mai le spalle al pubblico. Ma, al contrario di una rappresentazione teatrale, insegnano a improvvisare, a inventare sul momento, ad aggiustare la scena in modo che la scenetta sia comprensibile e possibilmente faccia anche ridere. Quest’anno invece la mia la mia classe ha messo in scena la tragedia shakespeariana di Romeo e Giulietta e ho imparato cosa vuol dire andare veramente in scena, su un palcoscenico con luci e musiche e con un copione da imparare. Ho provato l’ansia prima di entrare in scena, ho capito cosa si prova palco i due attori tra loro e con noi pubblico. La mia esperienza teatrale insomma non è molto varia né particolarmente lunga, ma è sufficiente per potere avere un’opinione sul teatro: non tutti i tipi di teatro sono uguali e tutti sono difficili, in un modo o nell’altro; un’esperienza teatrale ti insegna cose che prima non pensavi esistessero o magari non avevi notato, ma nessuna esperienza di questo tipo passerà senza averti insegnato qualcosa. Carola Plebani, 2ªB Quando si va a vedere qualche opera a teatro, spesso si pensa che tralasciando un gesto o una battuta, l'opera possa riuscire comunque; ma non è così, e l'ho scoperto personalmente. Frequentando un corso a scuola ho imparato che quando si è sul palco, se si sbaglia una battuta o un'uscita, l'intera scena è compromessa, perché probabilmente il compagno non avrà l'attacco per continuare a parlare e, se anche continuasse, non si coglierebbe il senso della battuta; ho imparato che non c'è dialogo fra il pubblico e chi recita, bensì fra le persone sul palco, e anche se magari non tutti gli attori pronunciano delle battute, sono importanti tanto quanto il protagonista che recita. Al contrario di quanto si pensi, imparare le battute a memoria è solo il primo passo, ed è anche il più facile, poi bisogna capire da dove entrare e da dove uscire e, specialmente, imparare Andrea Benedetto 2ªG a recitare di fronte a un pubblico numeroso e ho anche confrontato questa mia esperienza con le scenette fatte agli scout, scoprendo che è molto diverso improvvisare piuttosto che andare in scena, anche se a volte anche nel teatro vero e proprio bisogna improvvisare, magari per aggiustare una scena o riempire il buco di una battuta dimenticata. C’è anche un altro aspetto del teatro: il dialogo con il pubblico, perché ciò che il pubblico vede accadere tra due attori in scena è molto importante, come ci ha sempre detto Matteo, colui che ci ha aiutati a preparare il nostro spettacolo. Infine sono stata anche molte volte spettatrice di spettacoli, interpretati da attori professionisti o da ragazzini della mia età. Uno spettacolo recente che sono andata a vedere con la mia classe metteva a tema il bullismo e mi sono accorta di averlo guardato con occhi diversi da tutti gli altri che avevo visto in precedenza: essendo stata su un palcoscenico a rappresentare un’opera importate come Romeo e Giulietta, e avendoci lavorato molto sopra, durante la rappresentazione sul bullismo ho avuto più attenzione ad alcuni particolari che prima non avrei notato, come ad esempio il rapporto che avevano sul come muoversi mentre si è in scena. Personalmente ero molto eccitato per il corso di teatro, ma poi mi sono accorto di non essere portato per questo genere di cose, specialmente perché sono molto timido e mi sentivo a disagio appena entravo in scena, poi perché interpretavo il personaggio di Romeo, che diceva cose a mio parere molto belle, ma che io non riuscivo a dire senza imbarazzarmi molto, e perché il mio personaggio provava sentimenti che io non avevo mai provato, e che io non riuscivo a esprimere; la prima volta che sono salito sul palco è stato terribile: avevo tutte le luci puntate addosso, e appena ho parlato mi sono reso conto che avevo la voce talmente bassa che molte persone non mi avrebbero sentito mentre recitavo la mia parte. Abbiamo fatto due spettacoli, uno aperto ad altre classi ed un altro aperto a tutti, famiglie comprese; abbiamo avuto la fortuna di poter fare prima quello per i nostri coetanei, così abbiamo avuto modo di correggere le parti dove vacillavamo; nonostante la prima volta che ci siamo esibiti il pubblico fosse scarso, la mia reazione è stata la stessa, ossia mi sono vergognato moltissimo e di conseguenza il tono della mia voce è sceso, e questo è valso anche per il secondo spettacolo. Insomma, per me quella del teatro è stata un’esperienza utile, anche se non proprio piacevole, perché mi ha fatto capire che sono molto più portato per fare lo spettatore che non l’attore. Andrea Bagnato, 2ªB Il teatro non mi è mai piaciuto. Ma questa volta ero anche prevenuto, perché pensavo che fosse una delle solite noiose recite scolastiche in cui ero sempre il protagonista, e per giunta questa volta avevo pure una parte secondaria e, diciamo, non ero poi così entusiasta del mio ruolo. Però da quando Matteo, il regista, mi ha detto che dovevo uscire dalla mia “vita normale” ed identificarmi nel personaggio ho preso più sul serio questo “progetto” e ho fatto la mia parte come se fossi davvero il mio personaggio, pensando a delle vicende simili che mi erano capitate o di cui avevo sentito parlare. Così, avendo ascoltato i consigli del regista, sono diventato uno dei più bravi “attori” della nostra rappresentazione. Inoltre sapevo che la mia scena non era delle più importanti, ma comunque dovevo aprire tutto lo spettacolo, quindi il mio contributo era fondamentale per catturare l’attenzione del pubblico. Il risultato è stato oltre ogni mia aspettativa. Ringrazio Matteo di avermi fatto fare questa bellissima esperienza e ringrazio tutti i miei compagni per aver creduto come me nella loro parte. Gianluca Casagrande, 2ªB Alle elementari facevamo delle recite, in genere per Natale, così il tema era sempre attinente a quel periodo. Abbiamo recitato Lo schiaccianoci, Il figlio di Babbo Natale, Natalino il postino magico, ecc... Erano le maestre a farci da regista, e nonostante la loro ignoranza in materia, la classe ristretta e gli sfondi colorati da mani di bambini, lo spettacolo era salvato dalla nostra tenerezza, e devo dire, anche dalla nostra bravura. Quest’anno è stato tutto diverso. Innanzitutto abbiamo recitato sotto la guida di un regista vero, che essendo anche attore ci capiva e ci invogliava a continuare anche se alcuni dei nostri compagni erano imbarazzati dalle scene che dovevano recitare. Matteo è una persona gentile, esperta e soprattutto mette un grandissimo impegno in tutto ciò che fa. Poi per la prima volta, ho recitato in un teatro vero. Era un incanto solo a vederlo, e quando lo abbiamo paragonato al corridoio in cui avevamo fatto le prove ci è sembrato enorme, spaziosissimo e soprattutto magico. Magico, può sembrare una parola inappropriata, ma è proprio così, perché le luci creano un’atmosfera da fiaba e anche le musiche fanno la loro parte. Anche stare dietro le quinte è bello, perché dà una sensazione di complicità e di amicizia come pochi altri posti al mondo. Dietro le quinte tutti sono amici e sono disposti ad aiutare gli altri, che sia per mettere i vestiti di scena o per consolare qualcuno che ha sbagliato la parte. Lo spettacolo è venuto benissimo e tutti hanno recitato con grande impegno Romeo e Giulietta, anche se includeva scene imbarazzanti e difficili da recitare per alcuni compagni, che però hanno superato la prova e hanno sfoggiato una maschera degna di veri attori. Ormai non ci si aspetta più da noi qualche frasettina o le canzon- visto lo sforzo che ho fatto per recitare quelle tre battute, anche devo ammettere che guardando le parti degli altri ero un po’ invidiosa. Secondo me questo lavoro è servito a tutta la classe, soprattutto a quelli che cine natalizie, ma uno spettacolo completo e anche per tanti versi complesso. Pecche? A mio parere ce n’è solo una, che riguarda solo pochi di noi. Le parti infatti avrebbero potuto essere divise più equamente, perché c’erano compagni che dicevano quasi trenta battute e altri (tra cui io) che stavano quasi zitti per tutto lo spettacolo. Nonostante questo è stata una bellissima esperienza, che è piaciuta a tutti, e che mi ha fatto capire il vero senso del teatro, che non è cantare quattro canzoncine, ma far rivivere una vera opera. Francesca Tortini, 2ªB in genere hanno paura ad entrare nel gioco, perché ci ha permesso di sperimentare emozioni e sentimenti che non avevamo mai provato, da dietro una maschera, cercando di mettere in relazione le nostre parti con la nostra vita quotidiana. Il regista ci ha fatto lavorare molto su questo punto, facendoci fare molti esercizi per cercare di pensare alla nostra parte nella vita di tutti i giorni; ci ha ripetuto questo concetto un sacco di volte, e meno male, perché io all’inizio non riuscivo proprio a immaginarmi nella vita la scena dello speziale. Un altro aspetto molto positivo è stato quello di lavorare insieme a tutta la classe, perché lo spettacolo aveva bisogno, per riuscire bene, di persone che non recitavano da sole la loro parte a memoria, ma di attori che si mettessero nei panni del proprio personaggio e parlassero davvero con il pubblico, in caso di monologo, o con il proprio compagno di scena, in caso di dialogo. Un’ultima cosa che questo corso ci ha offerto, che è stata forse quella che mi ha colpito di più, è stata la possibilità di paragonare il nostro lavoro con quello dei professionisti, non più solo immaginando il lavoro di preparazione ad uno spettacolo, ma riuscendo a comprenderlo per averne fatto esperienza. Quindi il nostro timore e quello della prof. di perdere delle ore di lezione per dedicarci al teatro non si è realizzato, anzi non solo non sono state sprecate, ma utilizzate al meglio! Eugenia Ramploud, 2ªB Quel giorno a scuola non si parlava d’altro: io e la mia classe ci eravamo iscritti ad un corso di teatro che avrebbe occupato le ultime due ore di ogni lunedì; anche la prof. era molto curiosa di provare questo nuovo esperimento e vedere cosa avremmo imparato. Quando è arrivato il regista, si è presentato come Matteo, e ci ha annunciato ufficialmente che alla fine del corso avremmo messo in scena uno dei più grandi capolavori di Shakespeare: Romeo e Giulietta. Credo che tutti noi, in quel momento, abbiamo sperato di non dover interpretare né Romeo né Giulietta, o almeno questo era il mio desiderio, che per fortuna si è esaudito: infatti il regista mi ha fatto interpretare lo Speziale, colui che vende a Romeo il veleno con cui si ucciderà. Questa parte era sì molto corta, ma adatta a me Lara Nervetti 2ªG 6 QUI TIEPOLO Alcune delle attività svolte dalle classi seconde A, B, E con la prof. Anna Bertagnolli: lettere miniate e stemmi 7 QUI TIEPOLO Ora sì che mi oriento! L 'orienteering è una disciplina sportiva nata a Stoccolma circa 100 anni fa, precisamente nel 1919. Si pratica all'aperto nei parchi, nei boschi e a volte anche nei centri abitati. I partecipanti, muniti di una bussola e di una cartina topografica, devono svolgere un percorso segnato da punti di controllo chiamati “lanterne”. Se alla gara partecipano più persone si formano dei gruppi suddivisi per categoria chiamati "trenini". I partecipanti devono avere una descrizione della lanterna, che è nascosta ed indica il luogo da visitare. Per dimostrare di aver svolto tutto il giro del percorso il testimone deve essere “pinzato”: oggi si usano metodi moderni chiamati “sport-ident” che permettono la registrazione dei dati che poi verranno scaricati all'arrivo. Tutti - giovani, bambini, anziani, intere famiglie - possono svolgere questo sport che, infatti, prevede tratti di varie lunghezze e difficoltà: quello corto è segnato da 12 lanterne, quello medio da 14 e quello più lungo da 18. Vince chi impiega meno tempo per svolgere l’intero percorso, scegliendo liberamente il tragitto da percorrere. Ho scoperto questo sport grazie al prof. Curtarelli, il mio insegnante di educazione fisica: mi sono talmente appassionato a questa attività che quasi ogni sabato partecipo alle gare con altre tre compagne della classe 3ªC. Ho avuto modo, così, di fare un’esperienza a diretto contatto con la natura che mi ha permesso di migliorare le mie capacità di ragionamento e di orientamento, aiutandomi ad usare sempre meglio strumenti come la bussola e la cartina. Durante le gare mi diverto molto e spesso arrivo primo: spero di vincere anche la prossima gara, che si terrà a Varese, così parteciperò alla finale. Partecipare alle gare di orienteering è molto divertente, è come vivere un’avventura, perché vaghi nella natura, in qualsiasi condizione climatica, anzi quando piove è ancora più divertente perché il gioco si fa più duro. Durante le gare mi è capitato di perdermi perché non trovavo alcune lanterne: durante l’ultima gara, ad esempio, non trovavo la lanterna numero 5 perché era ben nascosta e mi sono anche perso, ma durante il percorso ho chiesto informazioni ad altri ragazzi, mi sono unito a loro e, alla fine, l’abbiamo tro- vata e ho concluso il giro in un totale di 2 ore e 10 min. Un’altra volta mi è capitato di perdere la bussola nel fiume. All’inizio mi sono spaventato, ma poi non mi sono perso d’animo e me la sono cavata con la sola cartina, concludendo il percorso con una soddisfazione ancora maggiore. Mi auguro che l’orienteering si diffonda e venga conosciuto anche da altri ragazzi come me, perché purtroppo è ancora uno sport poco conosciuto, ma vale la pena partecipare almeno una volta. Riccardo Barbiero, 2ªA Da Striscia la notizia ad Haiti: L’INTERVISTA a Corallo Lo scrittore Alessandro Corallo incontra in classe gli alunni della 2ªD I l giorno 18 dicembre lo scrittore Alessandro Corallo è venuto a trovarci in classe. In quest’occasione ci ha mostrato un video-documentario sulla vita dei bambini di Haiti ed è stato disponibile a rispondere alle nostre domande: Come si svolgevano le giornate di animazione al mare di cui parla nel libro? Raggruppavamo i ragazzi, li facevamo pranzare e poi giocare con diverse attività. Tuttavia i bambini, pur essendo degli isolani, temevano il mare, come tutti gli Haitiani: forse c’è in loro il ricordo ancestrale delle deportazioni dei loro avi dall’Africa al centro-America. Qual è la cosa di cui hanno più bisogno i bambini di Haiti? Direi, oltre ovviamente al cibo ed ai beni di prima necessità, di affetto: la cosa che più colpisce è che al primo sorriso che fai ad un bambino, questo ti stringe la mano e non vuole più lasciartela. Perché avete scelto di curare proprio Thèophile nella vostra missione? Perché è entrato in casa nostra…insomma perché lui era lì. Magari potrebbe sembrare ingiusto il fatto che abbiamo accolto lui e non altri ragazzi, ma a volte è il cuore che ti guida in queste scelte. Lei ha preso come un fallimento la morte di Thèophile? Sapendo che era malato di Aids, non ho provato senso di colpa, ma mi sono sentito realizzato nel renderlo felice e farlo sentire amato nel periodo in cui è stato con noi. Perché sulla tomba di Thèophile non vi era neppure una croce? Perché ad Haiti, quando muori, nessuno può più occuparsi di te: anche il lutto è un lusso che non ci si può permettere quando devi risolvere ogni giorno il problema del cibo e dell’acqua. Come si è sentito quando è tornato in Italia? Ero assolutamente stupito, cose che noi diamo per scontate, come accendere la luce, ad Haiti sembrano eccezionali. Anche piccole somme di denaro che noi spendiamo senza problemi, là risolverebbero per un giorno il problema del cibo. Haiti ha subito anche un terribile terremoto: com’è oggi la situazione? Poco è cambiato, sono stati portati via solo cumuli di macerie, ma la ricostruzione è ferma perché gli interessi dei vari stati che avevano promesso fondi per finanziarla mantengono bloccati questi fondi. Perciò le condizioni dei bambini haitiani oggi non sono migliorate rispetto a quanto descritto nel libro. Ha mai pensato che forse il suo compito in Italia è quello di far ridere i bambini grazie a “Striscia La Notizia” [Corallo è uno dei redattori di “Striscia la notizia”]? Sì, in realtà sono stato assunto tanti anni fa a “Striscia La Notizia” in quanto già mi occupavo di volontariato: cercavano qualcuno che fosse disponibile ad ascoltare con pazienza chi contattava la trasmissione. Spesso le capacità che si sviluppano in questi ambiti possono risultare utili anche nel mondo del lavoro. Lavori eseguiti da Melissa Ravazzani, e dalla classe 3ªH della prof. Braghin. Maria Andrea Clerici, Sofia Piccinelli, 2ªD BAMBINI DELL’“ALTRO MONDO” Quando la letteratura racconta la vita: “AD HAITI SI NASCE ULTIMI” di Alessandro Corallo a cura di Maria Andrea Clerici e Sofia Piccinelli 2ªD “Ormai la condivisione la troviamo solo sul tasto CONDIVIDI dei social network”. E’ questo che abbiamo pensato tutti noi ragazzi di “questo mondo” dopo aver letto il libro "Ad Haiti si nasce ultimi " scritto da Alessandro Corallo e pubblicato nel 2006. L'opera, di carattere autobiografico, racconta la storia di Haiti, la perla delle Antille, paradiso caraibico ma con scarso turismo dovuto alla povertà della popolazione. Alessandro, insieme ad un’altra decina di missionari va a Port-de-Paix, dove conosce bambini come Mérisellet, sordomuto o come Téophile che ogni giorno combatte per sconfiggere l’AIDS. Per un mese tutta l'équipe accudisce, cura e nutre i ragazzi dell'isola. Al loro ritorno, l'anno successivo, arriva una terribile notizia: Théophile sta morendo. Alessandro e i volontari riescono solo a battezzarlo e a salutarlo in punto di morte: con un commovente paragrafo di addio ma anche con un messaggio di amore e speranza si conclude il libro. Sicuramente la lettura di questo testo come dimostrano i commenti di alcuni compagni: Andrea Ponta - "Il libro mi è piaciuto moltissimo, in sole 140 pagine Alessandro Corallo è riuscito ad emozionarmi più di quanto si possa immaginare. Una volta iniziato a leggerlo non si riesce più a smettere. Quando ho finito il libro mi sono sentita triste e avrei voluto che la storia continuasse, volevo sapere di più, scoprire che fine avevano fatto i bambini e informarmi in modo più approfondito". Federica Stella – “Una delle cose che maggiormente mi ha colpito è come quest’esperienza abbia segnato i missionari: ad esempio uno di questi racconta che al suo ritorno in Italia è stato in grado di vedere la sua vita sotto un altro aspetto”. Filippo Toniolo – “E’ sconvolgente il fatto che sembrerebbe quasi un libro d'invenzione per le condizioni di vita assurde che vengono raccontate, ma bisogna convincersi che questa è la realtà e non la trovata letteraria di un autore strampalato: anche per questo il testo è molto coinvolgente”. Sara Abdous - “Credo che questo sia il libro più interessante che abbia mai letto perché non ho mai provato sentimenti cosi intensi e profondi, pur non avendo vissuto i fatti narrati di persona”. Leo Colonnello - Fra le parti più suggestive del libro si notano quelle dedicate alle credenze popolari di Haiti, ai mostri, agli zombie e ai riti vudù spesso praticati in quelle zone. Roberto Ardito- “...il tema principale è la vita, perché il libro parla di sorrisi, malattie, morti, bambini, tutto ruota attorno alla VITA che viene presa quasi come un gioco dai bambini di Haiti. Essi sanno di avere poche possibilità di un futuro e per questo decidono di vivere...” Maria Andrea Clerici - Mi è sembrato incredibile che dall’altra parte del mondo ci sia gente che ogni giorno deve lottare per vivere. Sofia Piccinelli - Un libro che dice le cose come stanno, un libro che a noi, gente con la luce accesa ed il rubinetto aperto, ma col cuore spento, apre gli occhi. 8 IN VIAGGIO CON LO ZAINO Una vacanza in camper nel Nord Europa: la Finlandia U na vacanza in camper di per sé è un’avventura. Si viaggia a bordo di quella che per qualche settimana sarà la tua casa. Certo, tutto è un po’ “ristretto”, gli spazi sono ridotti e bisogna andare molto d’accordo per una felice convivenza. Bisogna rispettare alcune regole: ad esempio, durante il viaggio non ci si può muovere (a differenza di quanto qualcuno potrebbe pensare), ma bisogna rimanere seduti con la cintura di sicurezza allacciata. Se si è bene attrezzati si può però guardare un film, sempre rimanendo seduti nei sedili posteriori. Ma io preferisco sedermi di fianco a mio papà che guida, ascoltando la musica, guardando il panorama e chiacchierando; qualche volta ci raccontiamo delle storie che inventiamo al momento. Quando poi si raggiungono posti lontani, come abbiamo fatto la scorsa estate, il senso di avventura è ancora più forte: il traffico si riduce e per facile incontrare le renne. Anzi, bisogna stare attenti mentre si guida, perché questi grossi animali non hanno paura dell’uomo e si incontrano spesso mentre camminano ai bordi delle strade, o persino in mezzo alla strada! Non ci credete? Ho le prove! Quando poi si raggiunge la meta e ci si prepara per la cena e per la notte, può succedere che gli animali vengano vicini; in una di queste occasioni è venuto a trovarci un cucciolo di renna tutto bianco, una vera rarità. In questa parte della Finlandia la natura è protagonista, i paesaggi e i tramonti sono davvero fantastici, anche K con l'Oceano Atlantico, la sua acqua non è salata, perché è alimentata da numerosi fiumi e dallo scioglimento della neve. La Finlandia è anche famosa come terra dei laghi; ce ne sono moltissimi, infatti, con rive circondate da grandi boschi. Per la prossima estate abbiamo già un programma molto interessante: la Sco- Svezia, lago se per vedere un tramonto, in estate, bisogna aspettare mezzanotte! Ma non crediate che lì al Nord d'estate faccia freddo: finché c'è il sole si può tranquillamente stare in maglietta. E se capita l’occasione ci si può mettere in In Svezia, quando è sempre giorno alix è il paese natale di mia mamma e si trova in Svezia, vicino a Stoccolma. Come tutti sanno, da quelle parti in estate il sole non cala mai, perciò c’è luce anche di notte; meno noto è invece che ci sono anche molte zanzare, che danno un gran fastidio; e fa così freddo come si pensa, infatti quando siamo l’ andiamo spesso in un grande parco acquatico proprio come si farebbe in Italia. Il paese è piccolo, ma molto carino, con casette, stradine e qualche negozio, ma soprattutto molto verde. La cosa a cui ogni volta è più difficile abituarsi è il silenzio: passano pochissime macchine, e a volte si ha l’impressione che non succeda niente. Ma in realtà giochiamo molto fuori o facciamo bellis- costume e fare anche il bagno, come ci è capitato quando siamo passati sulla costa del Mar Baltico, nel Golfo di Botnia. Una curiosità: anche se questa parte del Mar Baltico è in comunicazione con il Mare del Nord e quindi Tramonto in Svezia Svezia, renne attraversano liberamente la strada molti chilometri si viaggia immersi nella natura, cercando con lo sguardo gli animali selvatici che vivono in libertà. La Finlandia ci ha regalato tutte queste emozioni; soprattutto al nord di questo paese, in Lapponia, è veramente La 1ªL in gita a Verona sime escursioni nei boschetti. Un’altra ragione di tanto silenzio è che, non parlando lo svedese, sono costretta a comunicare in inglese, e posso parlare italiano solo con la mia famiglia. Ovviamente la Svezia, come tutti i paesi stranieri, offre cibi diversi dai nostri. Il mio piatto tipico preferito sono le polpette con le patate lesse, che cucinano sempre, accompagnate da salmone e varie salse. Oppure njalle, un pane tipico della zona che assomiglia a una piadina, con burro salato: è un pane che a noi tutti piace moltissimo, e siccome si trova solo in Svezia, ogni volta che qualche parente viene a trovarci ce lo facciamo subito portare! Caroline Buzzetti, 1ªC zia. Se sarò fortunata, in futuro potrei raccontarvi del nostro incontro con il mostro di Loch Ness o con il fantasma di qualche antico castello... Martina Zaccaria, 1ªC I l 17 marzo ci siamo recati a Verona per una gita istruttiva e divertente. Una volta salutati i genitori, siamo saliti sul pullman pieni di eccitazione e, dopo due ore e mezza di viaggio e di risate, siamo giunti a destinazione. La prima cosa che ci è saltata agli occhi è stata la mole maestosa delle mura medievali, lunghe 10 km; una fortificazione imponente che ha protetto nel corso dei secoli la città. Davanti a esse ci aspettava Daniele, la nostra guida, che si è dimostrato subito simpatica e coinvolgente. Ci siamo mossi verso l’estesa piazza Bra, dove è situata la famosa Arena, simbolo per eccellenza di Verona e testimonianza unica dell’epoca romana. Piazza Bra, pur non essendo il vero centro della città, racchiude e custodisce tracce e monumenti relativi ad ognuna delle diverse epoche di Verona: quella romana con l’Arena, quella medievale con il Municipio usato come caserma, e quella delle signorie con i palazzi in stile gotico. Continuando il nostro percorso, siamo poi arrivati su un ponte posto sopra il corso dell’Adige, dal quale, aguzzando la vista, si poteva scorgere il celebre Castelvecchio, costruito da Cangrande, uno dei più importanti membri della famiglia degli Scaligeri. Ci siamo quindi spostati verso il vero centro della città: piazza delle Erbe, usata per svolgere i grandi mercati. E di lì ci siamo recati alla famosa casa di Giulietta, dove il nostro pensiero è volato con emozione alla tragica storia dei due giovani amanti. Sempre seguendo Daniele, ci siamo diretti alle Arche Scaligere, tombe edificate dai Signori della Scala per farsi ricordare nei secoli. Curiosa è la storia di Beatrice della Scala che, alla morte del marito, si risposò con un Visconti di Milano: in suo onore infatti venne costruita una chiesa, a Milano, sui cui resti sorge oggi il famoso Teatro della Scala, che da lei prende il nome. Dopo un pranzo veloce e un po’ di riposo siamo ritornati all’ Arena, dove ci aspettava Michelangelo, la nuova guida che ci avrebbe fatto divertire nel pomeriggio. Una volta entrati ci siamo accorti che degli operai stavano montando il palco per i festival estivi che si sarebbero svolti all’interno del teatro. Michelangelo ci ha spiegato che in epoca romana l’Arena veniva usata per i cruenti spettacoli dei gladiatori, ai quali assistevano soprattutto i soldati. C’erano diversi tipi di gladiatori, che si distinguevano per le armi utilizzate e le tecniche di combattimento: tra i più conosciuti vi erano il Sannita, famoso per la sua lunga lancia; il Reziario, noto per il tridente; e il Mormillo, munito di un grande elmo argentato che gli limitava la visuale. Dopo averci illustrato le varie figure presenti nei combattimenti (come l’arbitro e l’editor, che in assenza dell’imperatore decideva della vita e della morte dei gladiatori alla fine della battaglia), la nostra guida ci ha fatto simulare un vero combattimento: eravamo eccitatissimi e, in men che non si dica, tra armature, saluti gloriosi all’imperatore e sfide “all’ultimo sangue”, il pomeriggio è volato via, salvo un’ultima sosta per un gelato e qualche souvenir. Il ritorno in pullman è stato più breve del previsto e verso le 19:15 eravamo già davanti alla scuola, dove ci attendevano i nostri genitori curiosi di sapere com’era andata la nostra avventura. Theodor Leguti e Riccardo Migliorisi, 1ªL I CAPITELLI GRECI 1) Dorico 2) Ionico 3) Corinzio 1) Capitello Dorico = semplice e squadrato, è formato da un elemento tondeggiante in basso (Echino) e da un parallelepipedo sopra (Abaco). 2) Capitello Ionico = elegante ed aggraziato, è formato da grosse spirali ai lati (Volute) e da piccole decora zioni prevalentemente ovali al centro (Ovuli). 3) Capitello Corinzio = elaborato e ricco, è formato da una sorta di cesto di foglie, che formano riccioli e bordature ondulate (Foglie d’Acanto). Czerine Macaraig, 1 ª G Christian Zhao, 1 ª G Lavori delle classi della prof. Falciola 9 IN VIAGGIO CON LO ZAINO Il matrimonio in Eritrea Q uest’anno sono stato due volte nel mio paese d’origine, l’Eritrea, in occasione del matrimonio dei miei fratelli e di mio cugino. Il matrimonio nel mio paese è un evento così importante e divertente che ho pensato di scrivere un articolo sul giornale della scuola per far conoscere a tutti i miei compagni e ai professori questa bellissima tradizione, che per alcuni aspetti è simile a quella italiana, ma per altri molto diversa. In Eritrea i preparativi del matrimonio cominciano una settimana prima della data stabilita per la cerimonia. Gli uomini della famiglia, infatti, allestiscono dei tendoni, uno davanti alla casa dello sposo e uno davanti a quella della sposa. Una volta allestite le tende si canta, si balla, e si festeggia con injera (pane rotondo che si prepara con il teff, un cereale che si produce solo in Africa) e zighinì (spezzatino di carne verdura e legumi vari) preparato dalle donne della famiglia per celebrare la nuova unione. Un tempo il giorno dei matrimoni era la domenica, ora non più, ci si sposa anche di sabato. Mese tradizionale per le nozze è gennaio. Prima del matrimonio, a casa della sposa (e a sue spese) si fa la “festa degli amici” (arki halifot) durante la quale gli amici dello sposo “invadono” la casa della futura moglie per “distruggerla” simbolicamente e dare inizio alla nuova vita. La mattina delle nozze lo sposo passa a prendere la sposa per accompagnarla in chiesa, fanno colazione insieme e posano per il servizio fotografico. Ci si sposa di solito nella chiesa più vicina, non da soli, ma insieme ad altre coppie. Prima di entrare in chiesa, nella zona più distante dall’altare, dove un tempo stavano i penitenti, ci si tolgono le scarpe. La sposa è accompagnata sull’altare dalle damigelle che svolgono il ruolo di ancelle della sposa che sceglie per loro colore e stile dell’abito, hanno il compito di aiutarla, animare la festa, condurre le danze. Gli amici dello sposo, invece, hanno un ruolo simile ai testimoni nel rito cattolico e, a fine cerimonia, firmano sul registro della chiesa. Per consuetudine le donne non sono mai testimoni, anche se non esiste un esplicito divieto. In chiesa il prete celebra la liturgia in ghee’z (lingua semitica, oggi estinta, parlata nell’impero di Etiopia fino al XIV sec.), che qualche volta è sostituita dalla lingua tigrina perché per la chiesa copta (chiesa cristiana orientale) è importante la partecipazione dei fedeli e desiderano quindi che tutti capiscano. Fondamentale durante la cerimonia è il canto: i fedeli pregano accompagnati dal coro al suono di triangoli e cimbali. I preti, vestiti di bianco, durante la messa, danzano con lunghi bastoni al suono di canti liturgici. La sposa indossa l’abito bianco con il velo. L’abito generalmente si noleggia, non si acquista perché non c’è l’usanza di conservare l’abito delle nozze. In chiesa, sopra l’abito tradizionale, gli sposi mettono una cappa leggermente diversa per uomini e donne, di velluto nero con ricami oro. In testa è posta una corona, qualche volta uguale al mantello, per simboleggiare la sovranità degli sposi e l’importanza di condividere il futuro. Le invitate si preparano con cura per la festa. Il dorso delle mani è disegnato con tatuaggi colorati all’hennè. Il palmo della mano e i piedi possono essere dipinti solo quando si è già sposate, motivo per cui la sposa lo fa durante il festeggiamento. Bellissima e impegnativa è la cura dei capelli, impreziositi da fili d’oro e pendenti. È usanza che lo sposo regali i gioielli che la futura moglie sfoggerà durante la festa. Alla fine della cerimonia gli sposi si scambiano gli anelli, ma non si baciano in chiesa. All’uscita della chiesa una bambina butta sugli sposi del popcorn in segno di augurio. Gli sposi, poi, vanno in giro per il paese per farsi fotografare con gli invitati. Nel frattempo le donne della famiglia aspettano a casa gi sposi e, al loro rientro, li accolgono con un fischio particolare. Poi cominciano i festeggiamenti: il banchetto nuziale si organizza a casa e non al ristorante come nella tradizione occidentale. Ad animare la festa c’è un cantante accompagnato dagli strumenti, di solito una chitarra e un pianoforte. Durante il banchetto si mangia l’injera accompagnata con carne di pollo, mucca, agnello (non si mangia il maiale perché è un animale sacro), tutto preparato dalle donne della famiglia, e si beve vino e coca-cola. Anche in Eritrea non può mancare la tradizionale torta nuziale con la quale si chiude il banchetto. I festeggiamenti finiscono a notte inoltrata, gli sposi restano a casa dello sposo, dove le donne hanno preparato per loro un letto protetto da tende e la tradizione vuole che gli sposi per venticinque giorni non abbandonino il talamo coniugale. Samuel Negussie, 3ªA La casa delle mie vacanze U n posto che ricordo molto bene è la casa che ho in montagna, i n Tr e n t i n o A l t o A d i g e . Quella casa mi piaceva molto e ci passavo la maggior parte del tempo in estate.Era fatta tutta in legno e aveva terrazzi molto graziosi; il mio era decorato con bellissimi fiori rossi. All'interno era divisa su due piani: al piano terreno c’erano la cucina, il salotto, la camera dei miei genitori e dei miei fratelli, mentre la mia camera si trovava al piano superiore. La cosa che amavo di più, era il terrazzo: se ti affacciavi, si vedevano le casette del paese e un immenso campo dove pascolavano mucche e cavalli, ciò mi emozionava molto. La sera, verso l’ora di cena, uscivo e si poteva avvertire il profumo della legna bruciata, che mi piaceva in modo particolare. Nei pomeriggi piovosi invece si restava a casa, a giocare ai giochi di società e a bere cioccolata calda. Lucrezia Maniero, 1ªA Muse, un modello da seguire I nsieme ai miei compagni e alle prof ho visitato il Muse, un nuovo museo di scienze naturali appena fuori Trento. La cosa che mi ha colpito subito è che la struttura, oltre ad avere una architettura moderna e innovativa, è anche totalmente ecosostenibile grazie a pannelli fotovoltaici e termosensibili e il suo sistema di riscaldamento e raffreddamento è in parte alimentato dalla raccolta di acqua piovana. Il museo è strutturato su vari piani, al centro dei quali si apre una grande sala con moltissimi animali imbalsamati; le pareti erano costituite da pannelli di vetro trasparente. La guida ci ha inizialmente spiegato la parte dei fossili e delle rocce insieme ai dinosauri, accompagnando la spiegazione con numerose domande in modo da coinvolgerci: il risultato è stato molto interessante. In seguito abbiamo avuto quaranta minuti per girare da soli e io ho visitato alcune esposizioni di biologia, tecnologia, fisica e geografia: oltre ai numerosi animali imbalsamati, c’erano diversi display interattivi e divertenti. Inoltre abbiamo visto una stampante 3D in funzione, telecamere termiche, e molti giochi sull’equilibrio e sui moti. Purtroppo non sono riuscito a vedere tutto, e nemmeno tutte le cose che mi interessavano, spero quindi di tornarci per rivivere le stesse emozioni e completare la mia visita. Questo museo mi è piaciuto moltissimo perché non rispecchia solamente il modello dei musei moderni, ma anche della società moderna, cioè ecosostenibile, semplice, diretta. Spero che gli altri musei italiani si muovano in questa direzione, insieme a tutta la società, per restare al passo col mondo e riportare l’Italia ad essere un paese importante. Andrea Galassini, 3ªE Cinque motivi + 1 per amare la montagna d’estate N on tutti conoscono la bellezza della montagna d’estate. Da quando sono piccolo ho imparato a conoscerla e tante volte ho pensato ai motivi per cui mi piace davvero molto. Ve li racconto. 1) Le camminate in montagna sono sempre belle e a me piacciono soprattutto quando si svolgono nel folto di un bosco. Alti larici spiccano sopra le chiome delle betulle dal tronco bianco che, più basse, cercano di farsi posto per prendere un po’ di luce. Alle radici crescono felci e altri arbusti e nel terreno, soprattutto se umido, si possono trovare i funghi: buoni come i porcini e le russole, o velenosi come le amaniti. A volte si possono incontrare alberi secolari con tronchi più larghi di un metro e rami contorti. Una cosa che mi diverte sempre è raccogliere foglie di quella o quest’altra pianta per poi a casa fissarle su un quaderno. 2) Oltre alla flora può capitare molto spesso di incontrare animali. Sulle vette più alte, dove predomina la roccia, è facile imbattersi in stambecchi, giovani con le corna piccoline o più vecchi con le corna lunghe. Spesso gli stambecchi si possono anche vedere con il binocolo sulla cresta di un’altra montagna. Un altro animale che si può vedere spesso è il camoscio che si trova nei boschi più a valle. E’ sempre divertente osservare questi animali nella loro vita quotidiana, oppure avvistarne uno in lontananza e avvicinarsi strisciando per non farsi notare. Le marmotte invece si possono avvistare sui grandi prati ad alta quota: piccole e veloci, a volte si confondono con il terreno. Una cosa che faccio spesso cercando le marmotte è sedermi in un punto del prato a fissare l’erba e i sassi finché non vedo una macchiolina muoversi. Le marmotte salutano con un fischio inconfondibile: forse per loro è un richiamo di allarme, ma a me sembra un saluto scherzoso. Il canto degli uccelli accompagna sempre il cammino e quando riesco a scorgerne uno cerco di riconoscerlo dai colori e dal canto: merlo, fringuello, passero, cincia, pettirosso… Anche il volo dei grandi rapaci mi attrae, mi è sempre piaciuto immaginare la visuale da quelle altezze e pensare come deve essere entusiasmante sfiorare le cime degli alberi per poi risalire fino alle cime più alte. Gli uccelli sono secondo me gli animali più difficili da fotografare perché sono piccoli e si spostano velocemente da un ramo all’altro. Sul terreno si possono trovare anche le loro orme, soprattutto se l’animale è passato quando il terreno era umido. Io le fotografo con una matita accanto, così da poter poi ricostruire la loro grandezza quando riguarderò le foto. 3) Dalle passeggiate in montagna torno sempre a casa con le tasche piene di sassi curiosi. Anche le rocce sono divertenti da osservare nelle loro venature dai diversi colori, e anche da toccare sulle loro superfici ruvide o lisce, immaginando a cosa assomigliano per forma e dimensione. Si possono trovare diverse rocce, dalle arenarie che si sgretolano facilmente al serpentino-scisto di colore verde e molto liscio, ai cristalli di quarzo che sembrano gemme preziose. Delle rocce è sempre impressionante osservare le linee curve degli strati che si sono deformati nel corso dei millenni. Fotografo anche le rocce con la matita accanto, come faccio per le orme. 4) In montagna è affascinante partire per una gita prima dell’alba, quando fa freddo e il bosco è ancora buio. Gli animali a quell’ora girano più sicuri ed è più facile sorprenderli. Alzano la testa, ruotano le orecchie verso di te e ti osservano chiedendosi se non è troppo presto per dei visitatori. Nel naso pizzica un forte odore di pigna e resina e, quando è molto umido, sale dal basso un lieve profumo di funghi. Le camminate sono spesso faticose, soprattutto quando si deve partire prima che il sole sorga in modo da non arrivare troppo tardi alla mèta. Questa fatica è però sempre premiata da spettacolari paesaggi che si aprono da una forcella o dalla cresta di una montagna: una grande pianura, un lago, vette innevate. 5) Quando si fanno gite in montagna è sempre bello camminare in compagnia, purché si sia in pochi. E’ importante camminare in silenzio, scambiando poche parole, per non allarmare gli animali del bosco e per risparmiare il fiato. Bisogna avere un passo regolare, ognuno ha il proprio zaino e la propria borraccia e la riserva d’acqua va gestita bene perché non finisca troppo presto. Si cammina in fila indiana: il primo ha la responsabilità di guidare i compagni sul sentiero. Mi piace camminare guardando gli scarponi di chi ho davanti e sapere che chi mi viene dietro sta facendo lo stesso con me. Poi ci si dà il cambio. +1) Infine, amo camminare nei boschi perché spero sempre di vedere apparire da un momento all’altro un elfo silvano. So che prima o poi accadrà. Sebastiano Vena, 2ªA 10 IN VIAGGIO CON LO ZAINO Ho realizzato alcuni lavori di geografia: ecco quello che mi è piaciuto di più! Joseph Mabiala, 1ªH Torino per la 2ªL I l giorno 21 marzo siamo andati in gita scolastica a Torino insieme alla classe II A, partendo alle 7.00 con il pullman dalla scuola. Siamo arrivati in Piazza Castello verso le 9.30, dove abbiamo incontrato la nostra guida che ci ha illustrato brevemente la storia di Torino: ancor prima dei romani, la zona era abitata dai Taurini, che in celtico significa “ai piedi dei monti”. Successivamente, in epoca romana, vi sorse un accampamento e la zona fu spesso teatro di guerre: sono rimaste solo due porte delle quattro costruite dai romani, una delle quali nel Medioevo divenne un palazzo; oltre alle due porte, si è conservato anche il teatro romano, di cui però non è rimasto molto. A quel punto la nostra visita si è spostata verso il Duomo, costruito nel 1492 dal vescovo della Rovere, in stile rinascimentale, al cui interno è custodita la famosa Sindone. Il duomo fu progettato dall’architetto toscano Meo del Caprina, ed è dedicato a San Giovanni, patrono della città. Un particolare curioso è il campanile, di epoca medievale, con mattoni a vista, sopraelevato nel ’700. La cappella dove si trovava la Sindone, progettata dall’architetto Guarino Guarini, nel 1997 fu teatro di un incendio, ed è ancora in fase di restauro; perciò la Sindone si trova in una cappellina laterale, sotto il palco reale da cui i Savoia assistevano alla messa. Successivamente siamo tornati in Piazza Castello, di fronte al Palazzo Reale. Torino divenne capitale del regno dei Savoia solo nel 1563, quando Emanuele Filiberto, dopo aver riconquistato i territori italiani persi dal suo predecessore Carlo II, vi spostò la capitale da Chambery, in Francia. In onore della battaglia con cui riconquistò i suddetti territori, svoltasi a S. Quintino il 10 agosto 1556, giorno di S. Lorenzo, Emanuele Filiberto dedicò una chiesa a questo Santo. La chiesa, che ovviamente abbiamo visitato, è molto suggestiva: la facciata è quella di un palazzo normale, che riprende lo stile del Palazzo Reale e degli altri palazzi dalla piazza, il cui stile era deciso dai Savoia. Entrando, si rimane stupiti da ciò che ci si trova davanti. La pianta è circolare, con splendidi fasci di luce che dalla cupola, dove è disegnata una stella, arrivano al pavimento, dove è riproposta la stella, simbolo di Guarino Guarini, l’architetto che progettò questa chiesa. Un altro particolare suggestivo è la disposizione dei colori che, partendo dal basso sono il nero, il rosso, il rosa, il giallo e, in alto, il bianco della luce. Un’altra caratteri- stica innovativa e particolare di questa chiesa si può osservare solo il 21 settembre: in questo giorno, infatti, un fascio di luce penetra in uno dei fori del controsoffitto della cappella, alla sinistra dell’altare, illuminando l’affresco del volto di Cristo, che rimane nascosto tutto il resto dell’anno. Abbiamo poi fatto una brevissima visita a Palazzo Madama, dove si riunì il primo parlamento italiano. Era un’antica porta romana, e nel 1400 diventa dimora dei Savoia-Acaja; nel secolo successivo, i reali che vi abitavano lo fecero ristrutturare da Filippo Juvara che però lasciò il lavoro incompiuto; vi si trova anche un busto di Cavour, l’anima politica del nostro risorgimento. Dopo questa intensa e lunga scarpinata, siamo andati a mangiare al Parco del Valentino, sulla cui etimologia si fanno tre ipotesi: una fa risalire il nome ad una parola latina che vuol dire “salute”, perché si trova vicino al fiume. Un’altra attribuisce il nome alla figlia di un generale francese, chiamata Valentina, a cui il padre regalò questo parco dopo aver assediato la città. L’ultima ipotesi si riferisce al santo cui è dedicata una chiesa attigua, dove erano conservate le sue reliquie. Nel Parco c’è anche il borgo medievale, progettato da un architetto portoghese nel 1884 per un’esposizione universale, antesignana dei moderni EXPO. Dopo pranzo siamo andati a visitare la Mole Antonelliana, che ospita il Museo del Cinema. Qui abbiamo preso l’ascensore, completamente trasparente, per salire fino alla terrazza panoramica: la salita, è stata molto divertente ma, per chi soffre di vertigini, anche un po’ paurosa! Dopo una divertente e rilassante mezz’ora nel book shop del museo, ci siamo recati nell’aula-laboratorio: divisi in tre gruppi abbiamo realizzato dei brevi cartoni animati, cosa che è molto meno facile di quanto si possa credere, ma nonostante la fatica, è davvero gratificante vedere su uno schermo qualcosa che hai ideato e disegnato tu! Usciti dal Museo abbiamo fatto alcune interviste ai passanti, chiedendo loro cosa amavano di più di Torino e loro ci hanno risposto: Mole Antonelliana; Museo dell’Automobile; Museo del Cinema; Museo Egizio e Palazzo Reale. E’ stata una gita davvero istruttiva e divertente e auguriamo a tutte le future Seconde di visitare questa bella città! Valeria Bogara, Rossella Ferrara, Giulia Mariano, Davide Zanzi, 2ªL Un posto da ricordare I l luogo che da sempre ha nutrito i miei ricordi è la mia casa al lago, a Gardone Morgnaga sul Lago di Garda, vicino a Salò. Quello è il mio paradiso. La via che costeggia il lago, è piena di fiori rossi, gialli e azzurri; i limoni, caratteristici di quella zona, sono di un giallo chiaro e luminoso. La nostra casa ha tre piani, il cortile non è molto largo, ma ha un praticello ben curato in cui crescono alcuni ulivi. Appena si varca il cancello, si avverte il profumo dei fiori, dei limoni, della resina dei pino. Quando ero piccola, mi divertivo a salire sulla lunga scala accanto all’entrata, che portava direttamente alla grande sala dove di sera si accendeva il camino e si stava in famiglia, mentre l’odore di legno bruciato che si diffondeva nella stanza espandendosi fino a scomparire, quasi fosse spinto dal desiderio di uscire e inondare altre case. Maria Bertozzi, 1ªA 11 IN VIAGGIO CON LO ZAINO Su e giù per il Friuli L a gita di quest’anno in Friuli Venezia Giulia è stata piena di sorprese: chi l’avrebbe detto che una regione così piccola e così periferica potesse custodire tanti segreti di epoche diverse. Appena arrivati a Grado, le nostre simpatiche guide di Panda Trek ci hanno sorpresi con la sfida dei 1000 scalini della Grotta Gigante. Ma il fascino della grotta, ricca di antichissime stalattiti e stalagmiti, ci ha pienamente ricompensato dello sforzo. Dopo questa prima emozionante visita, ci siamo recati alle Foibe di Basovizza. Questa seconda tappa mi ha portato a concludere che l’uomo può essere crudele anche con i suoi simili e che non c’è limite alla follia; in particolare le lapidi delle vittime mi hanno fatto riflettere su come la vita sia attaccata a un filo e su come tutto possa cambiare Lorenzo Cerrini 3ªA da un giorno all’altro. Abbiamo poi visitato la Risiera di San Sabba: la Risiera era un campo di detenzione, smistamento e sterminio. Ogni cella ospitava anche sei o sette prigionieri, nonostante fossero molto piccole. All’interno del museo erano esposte le lettere e testimonianze della sofferenza e delle torture subite in quel triste luogo. Luoghi della memoria A Trieste non ci siamo fatti mancare qualche folata di bora, ma abbiamo comunque potuto ammirare la celebre Piazza dell’Unità d’Italia, che per un lato si affaccia sul mare. Ma ancor più abbiamo ammirato lo splendido Castello di Miramare, di cui potete ammirare le nostre riproduzioni. Il giorno seguente è stato dedicato alla visita di Grado, con le sue splendide chiese, e alla cattedrale di Aquileia, famosa per i suoi mosaici misteriosi. Per l’ultima tappa ci siamo diretti a Redipuglia, sacrario militare dedicato ai caduti della Prima Guerra Mondiale, dove ognuno ha cercato il proprio cognome per scoprire eventuali parenti, morti durante la guerra mondiale. La gita si è infine conclusa in poesia, con un saluto in versi da parte delle nostre guide, che ha ben coronato quei giorni di divertimento e cultura. Alessandro Roversi, 3ªA D urante la gita di classe a Monaco di Baviera abbiamo visitato il campo di Dachau, distante pochi chilometri dalla città. Per rispetto del luogo, gli autobus e le vano i prigionieri. Per arrivare ai forni, il luogo più triste, bisognava attraversare l’intero campo. Molti del nostro gruppo non hanno osato visitare il luogo in cui migliaia di automobili si dovevano fermare in un parcheggio fuori dal campo, pertanto abbiamo dovuto fare un pezzo di strada a piedi. Mentre ci avvicinavamo, anche la natura taceva e sembrava essere triste come i nostri animi; mentre l’aria si faceva pesante abbiamo attraversato il portone di ferro con la scritta “Arbeit macht frei”, ovvero “Il lavoro rende liberi”. All’entrata si apriva un enorme spazio, il luogo di ingresso e di smistamento dove per migliaia di persone aveva inizio la terribile prigionia. Ovviamente era d’obbligo il silenzio, anche se nessuno avrebbe comunque avuto il coraggio di proferire parola; e in quel silenzio sembrava di udire il rumore dei passi delle migliaia di ebrei che all’alba di ogni mattino dovevano presentarsi per l’appello. Superata una porta, si arrivava al centro del campo, dove si potevano osservare resti e ricostruzioni delle baracche in cui, ammassati gli uni sugli altri su letti di legno, dormi- uomini furono cremati vivi dai loro stessi simili. Dietro ai forni si trovava una camera a gas, la prima di una lunga serie, mai utilizzata se non per fare dei test. Questo è ciò che si trova dentro a quelle mura; questo è quello che migliaia di persone hanno visto e provato. E sulla strada del ritorno, coi cuori rotti dalla tristezza e dal dolore, abbiamo condiviso l’invocazione, ripetuta in molteplici lingue, “NEVER AGAIN”, “PLUS JAMAIS”, “NIE WIEDER”. Mai più. Riccardo Provasi, 3ªI Alessandro Intropido, 3ªA Quella giornata, così speciale, me la ricorderò per sempre U na delle avventure più belle della mia vita è stata quella che ho vissuto a Legoland, vicino a Windsor, in Gran Bretagna. Ero a Londra per una vacanza dai miei cugini inglesi: Costanza e Paolo e i loro figli Leo, di otto anni, e Sasha di sette; visto che sia loro sia noi chiedevamo insistentemente di andarci, alla fine siamo riusciti a convincere i nostri genitori. Il viaggio da Londra a Windsor è durato circa un’ ora e abbiamo cambiato diversi mezzi: per arrivare alla metrò di Londra abbiamo preso il bus a due piani, poi il metrò fino alla stazione ferroviaria e abbiamo cambiato tre treni prima di arrivare a Windsor; lì abbiamo fatto merenda. Poi abbiamo passeggiato un po’ per la città, abbiamo ammirato il “Windsor Castle”, una residenza ufficiale della regina Elisabetta, e infine abbiamo preso un bus di Lego che ci ha portato da Windsor fino a Legoland. Il bus ha fatto due fermate: la prima era un albergo a tema, che già ci sembrava era bellissimo, poi è arrivata Legoland: abbiamo varcato i cancelli e finalmente ci siamo scatenati! La prima attrazione che abbiamo provato sono state le montagne russe: erano velocissime, a tema medioevale, con cavalieri, maghi e draghi, tutti fatti di Lego. Poi siamo andati al gioco dei pompieri: c’erano cinque camion di Lego, abbastanza grandi; ogni camion era guidato da tre persone, il camion aveva un motore elettrico e bisognava guidarlo fino all’“incendio” e spegnerlo con un cannone ad acqua montato sul camion. Quando si era domato l’incendio, si tornava indietro; chi arrivava primo, vinceva e noi abbiamo vinto! Tutti soddisfatti siamo passati a quello che ormai ci pareva un “gioco da ragazzi”: ognuno aveva una piccola auto di Lego e potevamo guidarla in una vera e propria città con semafori, precedenze, rotonde. Ed ecco infine l’ultima attrazione della giornata: il laser-game “Egypt Desert”: su una jeep in movimento bisognava centrare con una pistola laser dei bersagli fissi e mobili, ognuno dei quali aveva un punteggio: chi totalizzava più punti, vinceva e io sono arrivato terzo. Prima di andare via, abbiamo anche visto un film di Star Wars in versione Lego, che era veramente bellissimo, e abbiamo fatto qualche acquisto, tornando infine a casa molto soddisfatti. La gita è stata veramente divertente, per tutti: non la dimenticherò mai e mi piacerebbe moltissimo tornarci, perché è stato veramente bellissimo! Alberto Puliga, 1ªI Lavoro eseguiti dalla classe 1ªH della prof. Braghin. Lavori eseguiti dalla classe 1ªE della prof. Braghin. Un’avventura a Bezzecca O gni anno con la mia famiglia trascorro le vacanze di Natale a Bezzecca, un piccolo paese in Trentino Alto Adige, dove i miei nonni hanno una bella casa. A Bezzecca, sì avete capito bene Bezzecca quel paesino in cui Garibaldi ha combattuto. Ci vado da quando sono nata e lì ho delle care amiche che conosco ormai da molti anni: Sofia, che frequenta la prima liceo, Emma, che va in quinta elementare, e la loro sorellina più piccola, Anita, che fa ancora l’asilo. Un giorno dello scorso inverno c’era molta neve e io, mia sorella e le mie amiche siamo scese da un versante di una collina che porta al torrente. Per scendere, siamo scivolate sulla morbida e fresca neve, immaginando di essere esploratrici che dovevano affrontare pericoli per arrivare a conquistare un premio, che nelle nostre menti, consisteva in una buona me- renda preparata dalla mia nonna. Il nostro principale nemico era l’immaginario abitante della casa in fondo al torrente, una casa grigia e sporca, che ci sembrava stregata. Abbiamo attraversato il torrente e, a mano a mano che ci avvicinavamo, incontravamo sempre più alberi fitti e spaventosi, come in una foresta; ma una volta arrivate alla casa stregata nessuna di noi aveva più il coraggio di farsi avanti; alla fine ci siamo avvicinate tutte insieme, ma solo per scoprire che in verità quella era solo una casa abbandonata, senza nessuna strega o nessun mostro che l’abitasse. A quel punto, un po’ deluse ma anche un po’ sollevate, siamo tornate a casa e abbiamo annegato i nostri dispiaceri nella cioccolata calda che la nonna ci aveva preparato: un’avventura emozionante dal finale molto dolce. Cecilia Zambello, 1ªC 12 ATTUALITA’ Come un profugo Il tifone nelle Fillippine: Haiyan F l tifone che ha colpito le Filippine viene chiamato Haiyan in quasi tutto il mondo. Haiyan è una parola cinese, che significa procellaria, un uccello marino. Nelle Filippine invece la tempesta viene chiamata Yolanda. Questo perché dal 1963 l’Amministrazione dei servizi atmosferici, geofisici e astronomici delle Filippine ha cominciato a dare solo nomi femminili alle tempeste tropicali che colpiscono il paese, spiega il “Wall Street Journal”. I nomi sono assegnati usando le 19 lettere dell’alfabeto filippino, che comincia con la A e finisce con la Y. Nel corso degli anni sono state aggiunte anche alcune lettere dell’alfabeto inglese: la lista adesso è formata da 25 nomi più altri dieci di riserva. I nomi si usano a rotazione, a cicli di quattro anni, ma vengono eliminati se fanno più di 23 milioni di dollari di danni o almeno 300 morti. Il tifone Yolanda è il 24° ciclone tropicale che ha colpito le Filippine quest’anno. Nel 2001, il tifone Washi nelle Filippine provocò 1.200 morti e 300 mila sfollati, distruggendo oltre 10 mila case. Le Filippine sono particolarmente vulnerabili a tempeste fortissime, perché l’arcipelago è il primo bastione di terraferma che i tifoni che si formano nell’Oceano Pacifico incontrano nel loro cammino. L’Amministrazione orse non ero la più piccola su quel barcone, ma quella distesa infinita di mare mi faceva sentire più piccola di quanto già non fossi , l'unica cosa che mi faceva stare bene era il contatto con il corpo esile e debole di mia madre. Solo nelle sue braccia mi sentivo veramente al sicuro. In questi giorni trascorsi al Centro di Accoglienza, che sembrano non finire mai, continuavano a riaffacciarsi nella mia mente alcuni momenti del Viaggio, che mi porterò con me per sempre. Il Viaggio non è un viaggio come gli altri. Il Viaggio è l'ultima speranza, qualcosa di così grande che lascia cicatrici per sempre e non si dimentica mai, l'ultima opportunità che può finalmente dare un senso alla vita di persone come me, costrette a vivere in Siria tra la Guerra e il Terrore. Il Viaggio è un qualcosa di talmente incredibile che non lo si riesce ad immaginare finché non lo si vive, finché non ci si trova in mezzo al mare in un barcone che sobbalza onda dopo onda, con gli schizzi salati che bagnano il viso e l'unica cosa che rimane da fare è pregare per la vita, la propria vita. Quella mattina, quando sbarcammo, fui una tra le fortunate: mi salvai. Anche mia mamma e mio fratello ce la fecero, ma, arrivati a Lampedusa, capimmo che anche in Italia non sarebbe stato facile anzi: fin da subito ci accorgemmo di trovarci in un mare di morti, di anime senza nome che ormai appartenevano solamente alle onde del mare. Era pieno di volontari, di gente che ci voleva aiutare; non parlavano la nostra lingua, ma subito si presero cura di noi e riuscivano a capire di cosa avessimo bisogno, guardandoci solamente negli occhi, con un semplice sguardo. Ci diedero alcuni biscotti e coperte termiche, ci caricarono su pullman e arrivammo qui: in un edificio gremito di gente che non sa se sperare o disperare. Anche io, anzi, anche noi, siamo impauriti ed è difficile guardare avanti ed immaginarsi una vita fuori di qui, ma il giorno in cui si inizia a vivere per davvero arriva per tutti e già so che per noi arriverà molto presto, ne sono sicura. Non riesco più a trattenere la voglia che ho di vivere l'Italia e di vedere quant’è bella. Voglio solamente far sentire a tutti la mia Voce, voglio urlare e far vedere al Mondo chi sono: non voglio più essere un fantasma, io voglio Vivere! Benedetta Benvenuto, 3ªC Voci dal Banco Il 30 novembre abbiamo partecipato alla Colletta Alimentare nel supermercato Pam di Via Piccinni. La mattina alle nove ci siamo trovati all'entrata, e la professoressa Merzoni, nostra insegnante di religione e accompagnatrice, ci ha assegnato diversi ruoli: alcuni stavano all’entrata a informare gli avventori dell’iniziativa, altri aiutavano nella scelta degli alimenti più adatti nei vari reparti di spesa, e altri ancora smistavano e inscatolavano gli alimenti da portare via. É stata un'esperienza molto educativa perché il fatto di aiutare le persone più povere e sfortunate di noi è una soddisfazione che ripaga pienamente del lavoro svolto. Federica Andreini e Alessandro Fiorini 3ªB Lo scorso novembre ho avuto l'occasione di partecipare al Banco Alimentare per raccogliere alimenti di prima necessità destinati alle persone più bisognose. E’ stata un’esperienza abbastanza faticosa perché ho dovuto stare anche fuori al freddo per invitare le persone a partecipare; ma nello stesso tempo è stato molto bello fare questa piccola fatica per la mia soddisfazione personale. Ho sempre saputo di cosa trattasse il volontariato, ma solo con questa esperienza l'ho potuto provare personalmente ed è stato molto bello! Cecilia Olivieri 3ªB Avevo partecipato al Banco Alimentare anche l’anno scorso: penso che sia un’esperienza veramente utile e costruttiva! Filippo Gorla 3ªB L'esperienza del Banco Alimentare è stata per me molto interessante e utile: l’anno prossimo vorrei ripeterla perché mi è piaciuto molto incontrare le persone per proporre loro di contribuire con la loro spesa a sostenere il Banco. Beatrice Minerva 3ªB Sabato 30 novembre con alcuni miei amici della Tiepolo ho vissuto un'esperienza bellissima: ci siamo trovati davanti al Pam di Via Piccinni per partecipare alla Colletta Alimentare insieme alla professoressa Merzoni. All'inizio avevo il compito di distribuire i volantini con i sacchetti all'entrata del Supermercato e, anche se non tutti mi ascoltavano, ho cercato di trasmettere l'importanza di fare qualcosa per le persone meno fortunate di noi e questo è stato per me molto emozionante e educativo. Poi mi hanno dato il compito di aiutare le persone a prendere gli alimenti più adatti per la Colletta, come il riso, il tonno, l’olio; anche questa parte mi è piaciuta molto, soprattutto perché era bello sapere cosa stavo facendo e vedere che degli adulti si fidavano di me. Per questo sarei molto felice di rivivere un'esperienza così anche negli anni a venire. Carola Laconca, 3ªB I dei servizi atmosferici, geofisici ed astronomici delle Filippine di solito sceglie nomi tipici filippini, in modo che la popolazione li possa memorizzare e ripetere facilmente. corpi delle vittime sono distesi delle strade, secondo la testimonianza di un ufficiale dell’aeronautica che ha sorvolato Tacloban. Lo ha reso noto il capitano John Andrews, vice direttore generale dell’Aviazione civile delle Filippine. 3.000 i morti e 2.000 i dispersi nell’isola di Samar. Ora l’allarme si sposta in Vietnam, dove sono state evacuate 600 mila persone, e in Cina. Il governo delle Filippine ha ricevuto diverse critiche per la lentezza delle operazioni di soccorso, soprattutto nelle zone più Filippine, albero abbattuto colpite, come Tacloban. dal tifone Haiyan Nella città i cadaveri si sono accumulati per le Il presidente Benigno Aquino, il 13 strade e i residenti, alla disperata rinovembre aveva avvertito che 12 mi- cerca di cibo, hanno cominciato a saclioni di persone erano a rischio, com- cheggiare i negozi. Il 14 novembre un presi gli abitanti di Cebu, la seconda portavoce di Medici Senza Frontiere città più grande del Paese, situata in ha detto alla Bbc che al momento ci una zona che è anche una popolare de- sono grandi problemi logistici nella stinazione turistica, già colpita il mese distribuzione degli aiuti. L’esecutivo scorso da un terremoto di 7,1 di ma- si è difeso dicendo che il tifone Hagnitudo. Intanto sono stati sospesi il iyan è una delle tempeste più potenti traffico dei traghetti, dei bus e l’atti- della storia. Il 14 novembre gli Stati vità ittica, circa 200 voli sono stati Uniti hanno inviato nelle Filippine cancellati. una portaerei, la nave Uss George WaSono 4 milioni le persone toccate a shington, che aiuterà le operazioni di vario titolo dalle devastazioni, mentre ricerca e soccorso e fornirà una piatmezzo milione ha trovato riparo nei taforma per gli elicotteri che trasporcentri di evacuazione. Il maggior nu- tano i rifornimenti, ha detto la Casa mero di morti si è registrato nella città Bianca. di Tacloban, capitale della provincia Leyte, al centro dell’arcipelago. I Anatalie Czarina C. Navarez, 3ªL Alla ricerca della libertà Per me la libertà individuale deve essere rispettata: non ci dovrebbero essere paesi o persone a cui la libertà viene tolta, infatti la libertà è un bene di tutti. Ci sono però paesi in cui l'eccessiva libertà, come, per esempio, ad Amsterdam in Olanda dove il drogarsi non è proibito. Al contrario ci sono paesi in cui invece la libertà è quasi proibita: in alcuni stati dell'Africa, del Medio Oriente o dell’India le persone devono rispettare rigide leggi che secondo me privano le persone, soprattutto le donne, della propria libertà. Ogni stato ha la sua definizione di libertà, ma, secondo me, questo non va bene. L'uguaglianza tra le persone significa anche avere la stessa libertà. Perché allora non è così?! Secondo la mia opinione gli Stati Uniti d'America dovrebbero imporre una legge a tutti gli stati sull'uguaglianza della libertà. Siamo quindi in attesa di un grande personaggio che come Nelson Mandela, Martin Luther King, Abramo Lincoln e come per primo Gesù sono riusciti a comporre un altro tassello verso l' uguaglianza che dà la libertà. Anche Ghandi è stato un grande uomo che attraverso numerose "guerre" pacifiche, è riuscito a dare all'India un "passo" verso la totale libertà. Quest'uomo, come altri, ha dedicato la sua vita al desiderio di pace e libertà. Ghandi ha vissuto a Londra, la città che lui poi combatte per ria- Riconoscete i ritratti dei personaggi famosi? Ritratti eseguiti dagli alunni delle classi, 2ªA, B, E vere la giustizia che ha sempre amato e l’indipendenza del suo paese, l’India. Ghandi è stato un grande esempio, un piccolo uomo che combatte contro un grandissimo impero coloniale che quasi nessuno era mai riuscito a scalfire. Io credo che tutti, nel loro piccolo, dovrebbero avere lo stesso spirito che aveva Ghandi, un uomo che rimarrà nel cuore di decine di popoli. Ogni paese, secondo me, sa che la libertà eccessiva e la mancanza di libertà sono un grande problema, a cui pensare prima che la popolazione arrivi a un punto di non ritorno in cui la libertà non viene rispettata. Alberto Luzzara, 3ªL 13 ATTUALITA’ Verso EXPO 2015 AGRICOLTURA BIOLOGICA Nonostante al mondo ci sia cibo per tutti, 925 milioni di persone soffrono ancora la fame. Alla base di questo problema c’è soprattutto la povertà che ostacola l'accesso ai cibi nutrienti. L'agricoltura è la maggiore fonte di occupazione e fornisce sostenimento al 40% della popolazione mondiale attuale. Si tratta della maggiore fonte di reddito e di lavoro per le famiglie con- tadine povere. La crescita dell'economia mondiale e l'aumento della popolazione del pianeta ( 9 miliardi di persone entro il 2050) sono chiari segnali del fatto che le risorse della terra vengono consumate rapidamente. Risorse come acqua, suolo, aria pulita e servizi sono vitali per la nostra salute e qualità di vita, tuttavia sono disponibili solo in quantità limitate. Da ricerche del 2012 risulta che più di 900 milioni di persone soffrono la fame a causa del degrado dei terreni agricoli dovuto all'uso di OGM oppure dell'inutilizzo di terreni rendendoli così poveri. Si prevede che nel 2050 la popolazione crescerà di un miliardo e mezzo e che la percentuale delle persone che soffrono la fame aumenterà del 10%. Per diminuire questo dato si dovrebbe investire nei piccoli proprietari terrieri che sfamano il 40% della popolazione mondiale e costituiscono un terzo degli agricoltori, anche perché loro stessi, in gran parte (80%) soffrono la fame anche a causa dei cambiamenti climatici. Più della metà di essi vive nelle zone dell'Asia meridionale e nel Corno d'Africa, zone colpite maggiormente dalle carestie e monsoni. Sicuramente un metodo molto efficace e intelligente sarebbero quello di sprecare tutti meno cibo e dare le stesse opportunità di lavoro e tutela a tutte le popolazione senza distinzioni di classe. La biodiversità, l'insieme di piante, animali e microrganismi che coesistono, deve essere considerata la fonte di sopravvivenza della vita sulla Terra. Purtroppo negli ultimi anni si è verificato il fenomeno della perdita di biodiversità, un problema molto serio: l'estinzione di specie animali a causa delle attività umane sta avvenendo molto rapidamente. Tra le cause principali ci sono le distruzione degli ambienti naturali, la crescente urbanizzazione, la deforestazione e l'eccesso di sfruttamento di specie animali e vegetali. Esse portano alla distruzione degli ecosistemi nel mondo. Vandana Shiva, ha deciso di fondare la Navdanya per la salvaguardia del paesaggio e della biodiversità dell'India. Questa associazione combatte contro la Rivoluzione verde, che occupava i terreni dei contadini per la coltivazione di pochi prodotti quali: la soia, il grano, il riso e il granoturco destinati al commercio mondiale eliminando di fatto piante utili a nutrire il suolo, foraggiare gli animali ed essere materiale per la costruzione di capanne. Ciò ha ridotto i contadini autoctoni in povertà. Navdanya aiuta anche i contadini indiani a scambiare tra loro i semi in via di estinzione, per salvaguardarli ha creato una banca dei semi composta da più di 110 tipologie varie di semi in via di estinzione, scambiandoli con oltre 650 mila membri. Questi consumano molta meno acqua degli OGM e Vandana Shiva con essi ha creato una fattoria nella valle del Doon. Abbiamo poi provato ad analizzare tecniche di coltivazioni alternative a quelle tradizionali che potrebbero aiutare a produrre meglio e per un numero maggiore di persone in tutto il mondo AGRICOLTURA SOSTENIBILE L'agricoltura sostenibile è quella che oltre a produrre alimenti e altri prodotti agricoli è anche: -economicamente vantaggiosa per gli agricoltori perché non vengono utilizzate sostanze chimiche, quindi non spendono soldi, e perché mantengono la biodiversità. -rispettosa dell'ambiente perché non ci sono sostanze chimiche. -socialmente giusta, cioè deve contribuire a migliorare le qualità di vita dell'intera società. Chi si occupa di agricoltura sostenibile privilegia quei processi naturali che consentono di preservare la "risorsa ambientale" evitando così il ricorso a pratiche dannose per il suolo e sostanze chimiche utilizzando fonti energetiche rinnovabili. Un progetto sicuramente interessante è quello degli orti scolastici presenti soprattutto in Uganda. Gli orti scolastici insegnano ai bambini a coltivare in modo rispettoso per l'ambiente prodotti agricoli, ma anche le tecniche migliori, la tradizione culinaria del proprio paese e le caratteristiche dei cibi. Il progetto è stato realizzato in più di trenta scuole ugandesi e vanno via via aumentando le adesioni grazie all'entusiasmo di grandi e piccoli nell'iniziativa della Slow Food, l'associazione fondatrice del progetto. Fra gli obbiettivi v’è quello di creare una banca di semi, per conservare le varietà del luogo, fare una biblioteca di testi sull'agricoltura e vari laboratori. L'agricoltura biologica è il modo di produrre cibi senza utilizzare prodotti chimici. L'agricoltura biologica vuole sviluppare un modello di produzione che eviti lo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali, in particolare del suolo, dell'acqua e dell'aria, utilizzando invece tali risorse all'interno di un modello di sviluppo che possa durare nel tempo. Per quanto riguarda i sistemi di allevamento, si pone la massima attenzione al benessere degli animali, che si nutrono di erba e foraggi biologici. Inoltre nell'aziende agricole, devono esserci ampi spazi perché gli animali possano muoversi e pascolare liberamente. L'agricoltura biologica aiuta anche a preservare la biodiversità. Ad oggi l'Italia è uno dei paesi europei con uno dei tassi di presenza di aziende biologiche più alto che impiegano tra l’altro imprenditori agricoli giovani. Se l'Italia saprà sfruttare questo sistema per l'Expo 2015 potrebbe dare una grande spinta all'agricoltura Italiana. PERMACULTURA La permacultura è la disciplina che permette di progettare insediamenti umani dando vita ad ecosistemi. I suoi principi sono basati sulla linea etica e sono: - avere un ambiente sostenibile ed equilibrato - il rispetto per la biodiversità e l'utilizzo di energie rinnovabili - il minimo utilizzo di spazio e di energia - la cura della terra - la cura degli esseri umani e soddisfarne i bisogni fondamentali - le condivisioni delle risorse in eccesso La permacultura è la rivoluzione camuffata da giardinaggio bio L'Hugelkultur è una tecnica di coltivazione che consiste in aiuole rialzate riempite di materia organica, la legna. I suoi principi sono: - coltivare un pezzo di terra senza fertilizzanti - coltivare in ogni tipo di zona climatica - riciclare pezzi di legno e radici di alberi - ridurre il riscaldamento globale - produrre un raccolto sano - evitare di piegare la schiena - eliminare la necessità di arare, zappare e irrigare AGRICOLTURA BIODINAMICA L'Agricoltura Biodinamica viene creata da un filosofo chiamato Rudolf Steiner , negli anni 20 in Polonia. Lui si è basato sull' abbinamento del sapere scientifico con osservazioni spirituali della natura. E' una azienda a stretto contatto con l'ambiente circostante, con la Terra intera e con il cosmo. Negli anni 30 vengono aggiunte le prime esperienze di agricoltura "biologica". • I suoi scopi fondamentali sono: accrescere e mantenere la fertilità del terreno con il fattore fondamentale dell' HUMUS; • I suoi obbiettivi sono: la produzione di alimenti con massima vitalità e qualità - il produrre alimenti che rafforzano il metabolismo umano. Gli strumenti a disposizione per l'agricoltura biodinamica sono: - la rotazione agricola - il calendario lunare e il planetario per semine e operazioni colturali - il compostaggio in cumuli o di superficie - la lavorazione non distruttiva del terreno - la concimazione di qualità attraverso sovesci particolari e con compost trattato con i preparati biodinamici. Stefania Schiavi, Kevin Narvaez, Veronica Guerra, Marco Carini, Gustavo Bonvecchiato, Carlotta Bramante Davide Avallone, Francesca De Felice, Camilla Cavallini, Duane Szaijowski, Benedetta Girotti, Flaminia Bulli Prolo, Mairene Zorilla, 2ªE Disegni eseguiti dalle classi I e III della prof. Bertagnolli 14 ATTUALITA’ “Basta aprire la finestra di casa e guardare fuori per trovare una foto” diceva Paul Strand: partendo da questa frase gli alunni di Alternativa, sotto la guida del prof. Sgrò, nel corso dell’anno scolastico hanno rivolto il loro sguardo alla realtà che li circonda, catturando le sue infinite manifestazioni. Le foto pubblicate sono una piccola selezione di quelle “trovate”. (segue a pag. 32) Anna Privileggio, 1ªC Anna Moneta, 1ªC Bettiba Narducci, 1ªG Giorgia Montacchini, 1ªD Edoardo Bisagno, 2ªC Chiara Anzano, 2ªH Alessandro Grassi, 3ªG Luca Cremonesi, 3ªH Andrea Corsi, 1ªF Bianca Vecchi, 1ªF Vicente Henriquez, 1ªG StratiepolO I passi salienti della carriera della grande attrice Giulia Lazzarini che ha appena compiuto 80 anni festeggiata al Piccolo Teatro per lei “i passi” importanti della sua attività artistica. G Quali sono stati i suoi primi passi nel mondo dello spettacolo? Ognuno nella vita ha un obiettivo, il mio era quello di fare l'attrice. Il mio primo passo è stato Giulia Lazzarini nel 1952, a soli 18 anni: sono andata alla scuola iulia Lazzarini è una grande “Centro Sperimentale di Cinematoattrice di teatro, cinema, tv. grafia”di Roma, che mi era stata fatta Le ho chiesto quali sono stati conoscere dalla madre di una mia amica. Ho dovuto vincere un concorso per essere ammessa e, una volta diplomata, ho fatto pratica nel cinema; poi ho recitato nelle commedie televisive. Ma il mio vero desiderio era fare teatro: ho avuto l’opportunità di fare una audizione al Piccolo Teatro di Milano con il grande regista Giorgio Strehler. Fui accettata nella sua scuola e da lì è iniziata la mia carriera di attrice teatrale, che continua fino a oggi. Quali sono stati i passi più impor- tanti nella sua carriera? Il mio primo spettacolo è stato l’Arlecchino di Goldoni con la regia di Strehler che, dopo il grande successo di Milano, è stato recitato in tantissimi teatri nel mondo, come in Brasile e a New York. L'Arlecchino è stato una degli spettacoli più importanti e significativi della mia vita. Tra i tanti altri che ho fatto, ricordo con particolare soddisfazione i ruoli di Ariele ne La Tempesta di Shakespeare e di Winnie in Giorni felici di Samuel Beckett e i molti sceneggiati televisivi. Un altro grande passo è il film che sto girando in questo momento a Roma con Nanni Moretti, intitolato Mia madre, in cui interpreto la protagonista, la madre appunto: il film è dedicato alla madre di Moretti, morta da poco. Per me Moretti è un regista molto importante ed è un onore lavorare con lui; questo film è quasi un ritorno alle origini, perché il mio primo passo nel mondo dello spettacolo è stato alla scuola di cinema di Roma. Alberto Puliga, 1ªI Il passo in montagna e il lungo cammino verso la vetta I Andrea Ponta, 2ªD “I passi nello spazio” realizzati dalle classe 2ªD del prof. Longo Roberto Ardito, 2ªD o e la mia famiglia amiamo molto la montagna, facciamo passeggiate lunghe anche fino a otto ore e più. Mi piace molto passeggiare con la mia famiglia, mi rilassa e poi posso stare a stretto contatto con la natura e vedere bellissimi paesaggi. Mi piace soprattutto passeggiare nei boschi, prendere i sentierini dove si possono raccogliere mirtilli. In montagna, i boschi assomigliano ai boschi incantati delle favole: le radici sono ricoperte di un soffice muschio, le foglie sono bagnate di rugiada, i sentieri sono pieni di sassi e radici che vanno a formare delle piccole scale. Quando poi si arriva nell’alta montagna, tutto lo scenario cambia ed arriva la vista sulle morene, sui ghiacciai, sulle rocce aguzze. E’ uno spettacolo impressionante. I momenti migliori di queste giornate in montagna sono il percorso di ritorno, che è meno faticoso e più rilassante, e la sera, quando si discute e si commentano le emozioni della lunga giornata. Tante volte quando siamo fortunati e torniamo a casa sul tardi, sulla via del ritorno abbiamo “incontri ravvicinati” con qualche capriolo o camoscio. Sono bellissimi e sembrano così sereni, come se nei loro occhi si riflettesse la libertà e la voglia di vivere. Alcune volte, dopo o durante le nostre passeggiate, mi sento stanchissima e non vorrei più continuare a camminare, ma i miei genitori e mio fratello riescono a darmi forza e grazie ai loro consigli ho potuto assistere allo spettacolo di panorami mozzafiato che mi sarei persa se mi fossi fermata prima, come ghiacciai immensi, valli innevate anche in piena estate e cascate impetuose. Tutto questo mi ha fatto capire una cosa importante: nella mia vita dovrò percorrere un lungo cammino e passo per passo incontrerò vari ostacoli, ma pur con molti sforzi, riuscirò a raggiungere grandi mete se la mia volontà sarà sempre forte. Cecilia Paola Carniti 3ªA Procedere passo passo Oggi vi racconto di un’amicizia speciale, l’amicizia tra me e un mio compagno di un’altra classe, alunno anche lui della prof. Storelli: si chiama Federico e ha la mia età. All'inizio di questa magica amicizia io e lui ci divertivamo un mondo, soprattutto io, che lo rincorrevo per il corridoio mentre lui si rincantucciava in tutti gli angoli possibili. Adesso usciamo insieme e il nostro livello di comunicazione è aumentato moltissimo. Io ora voglio molto bene a Federico e proprio non saprei come ringraziare la prof. che ci ha fatto conoscere. Infatti agli inizi di questa meravigliosa relazione io, lui e la prof. Storelli andavamo ogni tanto al cinema per conoscerci meglio e secondo me è proprio da lì che il legno ha cominciato ad ardere. I passi giusti verso Federico ora sono aumentati, mi ricordo ancora quando il prof. Bray aveva assegnato un compito di storia a sorpresa e Federico era molto agitato per il fatto che di non essersi preparato a dovere; per fortuna c’ero io che gli ho fatto tornare il sorriso sulle labbra! Ho imparato tante cose durante questa grande relazione, come che devo capire i suoi limiti, valutare il suo carattere eccezionale e le sue specialità. Un’altra cosa che volevo dirvi, e che spero faccia ridere voi quanto me, è la seguente: cioè i metodi di comunicazione tra noi, che all’inizio si svolgevano tramite la prof., con bigliettini, in corridoio, per telefono, via mail e attraverso i nostri genitori, vale a dire con un grande dispiegamento di mezzi; ora invece, avendo noi compiuto un grande passo, ci basta incontrarci corridoio e sentirci per telefono; ma la cosa più importante è che ormai tutto ciò avviene solo ed esclusivamente tra me e il mio BFF (Best Friend Forever ®). In poche righe, insomma, si può dire che con Federico siamo passati dal non conoscerci affatto ad una super amicizia, e so che nel futuro farò il massimo per coltivarla da solo, in autonomia, sperando che anche lui accetti e voglia fare lo stesso con me. Giacomo Mancini, 3ªC 16 STRATIEPOLO 17 STRATIEPOLO I vincitori della Stratiepolo 2014 I nostri super temi Tema comune a tutte le classi 1) Quei passi, quelle pagine, quei versi che, leggendo, ti hanno particolarmente colpito e che hai fatto tuoi: illustrali, spiegane il contenuto in relazione al contesto, specifica quali riflessioni hanno suscitato in te e perché sono rimasti così impressi nella tua memoria. Classi prime: 2) Fare “il primo passo” può significare compiere un gesto di riconciliazione verso l’altro. Racconta una storia di perdono che abbia visto protagonista te o qualcuno che conosci. 3) Chi è per te un punto di riferimento, l’eroe o il personaggio del quale vorresti seguire le orme? Spiega il motivo della tua ammirazione ed illustra il percorso da compiere per realizzare il tuo sogno. Classi seconde: 2) Hai mai dovuto prendere decisioni che per te hanno rappresentato “un grande passo”? Quali? In che modo hai maturato le tue scelte? Parlane in una lettera indirizzata a una persona che ti sta vicina. 3) Pensa ad una persona adulta a te vicina e racconta quali sono stati i passi, i momenti, le scelte che hanno reso la sua esi stenza significativa davanti ai tuoi occhi. Classi terze: 2) Ogni relazione armoniosa è ‘un passo a due’, una danza complessa in cui tutto però sembra semplice e spontaneo. Guardando al mondo della famiglia, delle amicizie o degli affetti in generale, racconta e descrivine uno particolarmente riuscito, mettendo in luce quali sono ‘i passi giusti’ che permettono di comunicare in profondità con gli altri. 3) ‘Muovere i primi passi, ‘compiere passi da giganti’, ‘fare un passo indietro’, ‘procedere di pari passo’: i modi di dire legati a questa parola non finiscono certo qui. Il loro grande numero ci fa capire l’importanza di questo gesto per l’uomo, che attraverso passi grandi o piccoli ha costruito la sua storia e il suo progresso. Esponi le tue riflessioni e le tue conoscenze a riguardo. I segnalati di tutte le classi: 1ªA Himaya Mutugala, 1ªB Niccolò Righi, 1ªC Viola Bertoletti, 1ªD Leonardo Murdaca Stadiotti, 1ªG Alessia Bullaro, 1ªH Sonja Hallak, 1ªI Matteo Mainetti; 2ª Francesca Tortini, 2ªC Pawani Kurawalaha, 2ªE Veronica Guerra, 2ªG Aurora Arrighi, 2ªH Silvia Fusar Bassini, 2ªI Livia Martinelli, 2ªL Alessandra Carbone; 3ªB Filippo Cabras, 3ªC Benedetta Benvenuto, 3ªE Yer Myka Dimacali, 3ªG Andrea Martino, 3ªH Elisa Garlanda, 3ªI Giorgio Zambon, 3ªL Elisa Lanocita. Vincitrice classi prime: Sara Jo Agostino, 1ªF; seconda classifivata: Sofia Sanguini, 1ªE; terzo classificato: Leonardo Rilasciati, 1ªL. Traccia n. 3 o pensato molto a cosa scrivere in questo tema ed ora voglio presentarvi una persona che per me ha rappresentato l’eroe degli eroi: il mio papà. Fin da piccola lo stimavo e lo ammiravo fortemente ed il mio sogno più grande era quello di diventare proprio come lui: con una grande personalità, molta pazienza, positività e soprattutto volevo, in futuro, amare la vita esattamente come l’amava lui. Dovevo imparare ad aiutare gli altri, cercare in ogni modo di risolvere i problemi saggiamente e non scoraggiarmi davanti alle difficoltà. Queste erano le tre cose fondamentali del mio percorso. Mio padre riusciva a trasformare ogni problema ed ogni momento buio in luce; insomma era il mio idolo. Già da bambina ho incominciato ad osservarlo, a vedere tutti i gesti e le azioni che compiva per aiutare gli altri e, man H mano, sentivo che crescevo e crescevo con lui sempre al mio fianco, che mi proteggeva e mi aiutava in ogni momento. Arrivata all’età di otto anni, mio padre ha dovuto affrontare un periodo durissimo. Si è ammalato e trascorreva molto meno tempo con me; però, come sempre, lui non si arrendeva e cercava in ogni modo di vedermi e di non farmi soffrire. Quando se n’è andato ho provato una sensazione fortissima, come se fossi sprofondata in una buca buia e senza fine. Poi mi sono resa conto di aver avuto un padre unico a differenza di molti altri che ci sono fisicamente, ma trascurano i propri figli. Quindi in un certo senso mi sentivo felice, orgogliosa e fiera di lui, soprattutto perché ha lottato come un leone per guarire da quella feroce malattia e continuare a vivere ed è proprio questo, oltre a tutte le sue qualità, il motivo di tanta ammi- razione. Per andare avanti ed iniziare il mio percorso, ho cominciato a collaborare insieme alla mia famiglia composta da mia mamma e dalla mia sorellina. Passavano i giorni, le settimane, i mesi ed io mi sentivo fortissima. Sentivo il mio papà più vicino che mai anche se non lo vedevo, mi sentivo sicura del suo aiuto e della sua protezione ancora più di prima! Sono diventata molto più responsabile ed autonoma. Questa esperienza mi ha fatto riflettere, mi ha dato forza e mi ha aiutato a vedere la vita da un’ altra prospettiva. Certo, avrei preferito che non fosse mai accaduto! Il mio sogno è vicino, lo sento e lo raggiungerò presto! Ora sono qui, mi sono ripresa e sono sicura che il mio papà rimarrà sempre nel mio cuore e rappresenterà in ogni momento IL MIO EROE! Allora ho iniziato ad “indagare” e man mano che crescevo cominciavo a capire e, quando l’ho scoperto non ci volevo credere: era per lavoro. Allora non sapevo cosa fosse, quale fosse la sua importanza e cosa riuscisse a fare come, ad esempio, dividere una famiglia. Quando l’ho scoperto non vedevo l’ora di raccontartelo così avresti capito perché siamo partiti e ti saresti “messa l’anima in pace”, ma poi ci ho pensato e ho capito che tu lo sapevi e anche bene. Quindi non so quale sia il vero significato di questa lettera; forse è per rassicurarti e dirti che mi trovo bene a Milano, mi sono fatto tanti amici, vado bene a scuola. O forse è per ringraziarti, perché se potessi tornare indietro nel tempo, anche se a Traccia n. 3 l 'passo' è ognuno delle singole parti del movimento che gli uomini e gli animali compiono per procedere in un cammino. Il 'passo', nel tempo, è stato anche un'unità di misura. Esiste il passo dei romani che corrisponde a circa 75 cm, o quello meccanico, che corrisponde alla distanza tra le filettature di una vite. Passo è, inoltre, anche il percorso che consente all'uomo di passare da una valle montana ad un'altra. Se ci penso, quindi, è un termine che prevede un processo, 'un procedere in avanti' in un percorso, un movimento. E' proprio questo che trovo interessante: l'idea che il passo coincida con un avvicinamento. Accostare il passo dell'uomo all'evoluzione della specie viene spontaneo: ecco perché oltre all'immagine del cammino dal primo ominide all'homo sapiens, che rappresenta l'evoluzione (immagine falsa, secondo uno scienziato che relazionò alla Tiepolo 2 anni fa). Ricordo una frase che mi hanno detto tanti anni orsono, è la frase che Neil Armstrong disse quando mise piede sulla Luna nel 1969: “Questo è un piccolo passo per l'uomo, ma un grande balzo per l'umanità”. Il passo misura il progresso in diversi ambiti: tecnologico, scientifico, economico e sociale. L'uomo ha compiuto diversi passi avanti nella sua storia che ci hanno portato a vivere nella società di oggi. Negli anni 2000 viviamo in un mondo molto diverso da quello in cui vivevano, per esempio, i nostri genitori. Anche se magari hanno vissuto nell'epoca della missione sulla Luna di I cui parlavo prima, da allora più che passi ci sono state vere e proprie “corse” verso il progresso. Per quanto riguarda il progresso tecnologico io e la mia classe abbiamo partecipato ad una conferenza sulla stampante 3D. Tra qualche anno questa potrà essere nelle nostre case e basterà a produrre non solo immagini, ma oggetti. Se la macchina da scrivere, inventata sul finire del XIX secolo, costituiva un grande risultato, come verrà definita una macchina in grado di “materializzare” quelli che prima erano disegni? La mia generazione appartiene ai cosiddetti “nativi digitali” perché siamo abituati ai progressi tecnologici, ma a volte viene la paura di non avere compiuto altri “passi avanti”, che sono necessari per gestire la nostra vita e tutta la tecnologia. Forse ognuno di noi dovrebbe fare una riflessione sul proprio modo di progredire, di fare cioè dei veri “passi avanti”. Da quando siamo nati, anche noi siamo in continuo progresso procediamo “a piccoli passi”. Siamo passati dal gattonare al camminare, dal ciuccio al biberon, al leggere e allo scrivere. Ognuno con i propri tempi, che sono quelli dell'evoluzione biologica. Il mondo esterno, invece, ha accelerato la sua corsa e noi gli corriamo dietro. Forse il passo non basta più come unità di misura, forse dovremmo usare “la corsa”, ma mi domando se sia giusto o se, prima o poi, tutti ci ritroveremo a dover fare... “un passo indietro”. lavoro grafico 1ªG (foto in alto) lavoro grafico 1ªH (foto in basso) Vincitore classi seconde: Roberto Ardito, 2ªD; secondo classificato Rhysel Marcial, 2ªA; terzo classificato Andrea Lucchesi, 2ªF. Traccia n. 2 Cara nonna, ti voglio raccontare di quando ci siamo trasferiti a Milano: non è stata un’ idea mia e non sapevo quale fosse il motivo. Avevo due anni quando siamo dovuti partire per Milano dalla Puglia, ho solo dei ricordi sfocati di quel momento. Anche se ero ancora molto piccolo, la mia decisione era quella di rimanere coi parenti, con le persone care, ma la mia opinione non contava molto, quindi non è stata presa in considerazione. Per me è stata una brutta esperienza, ma solo ora mi accorgo di quanto sia stato doloroso per te! Hai visto andare via tua figlia ed i tuoi nipoti e ora li puoi vedere solo tre volte l’anno. Mi sono sempre chiesto: questa decisione a chi ha giovato? Vincitrice classi terze: Carlotta Rossi, 3ªD; secondo classificato: Alessandro Intropido, 3ªA; terza classificata: Francesca Romano, 3ªF. malincuore, deciderei di partire perché adesso ti scrivo da ragazzo di tredici anni, sono grande e so che alcune scelte comportano dei sacrifici e questo lo so anche grazie a te perché, anche se siamo così lontani materialmente, siamo vicini con il cuore e tramite questo legame mi hai insegnato molte cose. Questo vale per tutte le persone che mi sono care, esse hanno il potere di indurre le persone a fare il PASSO giusto, proprio come tu hai fatto con me e di questo ti ringrazio infinitamente. In più spero un giorno, quando sarò nonno anch’io, di poterlo insegnare ai miei nipoti, per tramandare questo dono speciale, come hai fatto tu con me. Tuo nipote Roberto. 18 STRATIEPOLO I Vincitori del Concorso IL LOGO Stratiepolo 2014 La commissione Logo Stratiepolo 2014 ha selezionato i seguenti loghi: 1° classificato: Tommaso Baresi 1ªE 2° classificato: Alessandro Fiorini, 3ªB 3° classificato: Leonado Bracchetti, 2ªB I Vincitori del Concorso fotografico Stratiepolo 2014 La commissione Foto Stratiepolo 2014 ha selezionato le seguenti foto con le seguenti motivazioni: Primo classificato: Luca Rosati, 1ªF Motivazione: Il passo di una vita Secondo classificato: Alessandro Nardone, 2ªC Motivazione: “Un piccolo passo per l’uomo, un grande passo per l’umanità.” La conquista della luna è stata una dei più grandi passi per l’umanità, un passo che ha lasciato una grande impronta in tutta la storia. Attraverso i mattoncini lego ho voluto rappresentare questa meravigliosa ed eroica impresa. Terzo classificato: Cecilia Valentini, 2ªC Motivazione: Giochi d’Autunno I “Giochi d’Autunno” organizzati dal Centro Pristem dell’Università Bocconi consistono di una serie di giochi matematici che gli studenti partecipanti devono risolvere individualmente nel tempo di 90 minuti. Alcuni nostri alunni hanno concorso in entrambe le categorie (C1, per gli studenti di prima e seconda media, e C2 per gli studenti di terza media e prima superiore) e si sono così classificati: Classi Prime: primo Jacopo Di Benedetto, 1ªA; secondo Daniele Vanzan, 1ªH; terzo Alessandro Corso 1ªL. Classi Seconde: primo Marlon Rodriguez, 2ªG; seconda Camilla Cavallini, 2ªE; terzo Filippo Toniolo, 2ªD. Classi Terze: primo Gianluca Canzi, 3ªH; secondo Davide Duva 3ªC; terza Caterina Cozzarini, 3ªB. 19 STRATIEPOLO Fab Lab e la stampa in 3 D F ab Lab è un’azienda che conta circa 600 laboratori in tutto il mondo che utilizzano stampanti 3D per realizzare oggetti progettati tramite un programma per computer. Al Fab Lab ogni prodotto costruito è raggruppato nella ‘digital fabbrication’. Fab Lab Italia da tempo organizza incontri nelle scuole per raccontare ai ragazzi tutto ciò che hanno bisogno di sapere per potere utilizzare le stampanti 3D nell’immediato futuro. Il cambiamento più radicale sarà il passaggio dalla produzione in serie a quella personalizzata, che risponde più precisamente ai bisogni di un singolo individuo. La nostra classe, 3B, e le altre terze hanno assistito ad uno degli incontri proposti da Fab Lab Italia. Massimo Temporelli, esperto del Fab Lab Italia, nonché professore e storico della tecnologia, ha partecipato in qualità di rappresentante e ci ha spiegato in cosa consiste la stampa 3D e un laboratorio Fab Lab. In un laboratorio Fab Lab sono presenti: una stampante 3D, una fresa cnd, una laser cutter, un computer e il software Arduino che trasforma il file dal ‘linguag- gio’ del computer e dei programmi al ‘linguaggio’ della stampante 3D. La stampa 3D avviene attraverso il riscaldamento di un filo che, portato a temperature elevate, si fonde. Il materiale ottenuto viene depositato a strati su una base di gomma, in modo da creare l’oggetto graduatamente. Gli oggetti creati da Fab Lab possono essere prodotti in ABS, PCA, nylon, gomma e gesso. Le più famose stampanti 3D sono quelle di Markerboot, Share Bot e Wasp. Altre marche hanno creato delle Desktop 3D Printers che sono già di- sponibili all’acquisto anche in Italia. Esistono migliaia di programmi per la modellazione 3D, i migliori costano anche centinaia di euro. Un’alternativa gratis scaricabile attraverso internet è 123D Design, una delle tante applicazioni di Autodesk. Fab Lab organizza anche dei corsi sulla stampa 3D a cui possono partecipare persone di tutte le età. I progetti realizzati da Chiara Levy e Michele Scattola comprendono il logo Apple, una puntina da disegno, due tazze tazze e una lampada. Il programma è relativamente facile da usare e l’ unica conoscenza richiesta è quella della lingua inglese che ormai nella società moderna non è poi un c o s ì grande problema. Come si può vedere dalle immagini sono presenti funzioni di “svuotamento” dei solidi e dello smussamento degli angoli; è anche possibile tracciare una linea a mano libera e poi decidere di farla diventare un solido scegliendo di quanto estenderla in altezza. La creazione di oggetti richiede una buona parte di un pomeriggio ma il divertimento è tanto e si hanno sempre nuove idee. 123D Design è un programma abbastanza pesante, per fortuna è utilizzabile anche su internet senza doverlo scaricare e i propri progetti si possono salvare in rete in modo che tutti vi possano accedere e modificarli a proprio piacimento. Dopo aver fatto un po’ di pratica, avrete una gran voglia di stampare i vostri progetti, ci auguriamo che questo argomento vi appassioni come ha fatto con noi! Chiara Levy e Michele Scattola, 3ªB Più che un passo, un balzo: Giaime, il rapper venuto dalla Tiepolo P er la Stratiepolo, noi classi seconde, avremmo inizialmente dovuto partecipare ad una conferenza sull’orientamento scolastico, ma per fortuna è avvenuto un imprevisto e il rapper diciannovenne Giaime, ex studente della nostra scuola, ci ha salvati da un'ordinaria conferenza. Durante l’incontro Giaime ci ha raccontato come ha fatto a diventare quello che è oggi, superando le difficoltà, soprattutto iniziali: ha iniziato facendo rap con degli amici, con canzoni a suo parere improponibili; e poi, man mano che andava avanti, si è reso conto che la musica era la sua passione e così l’ha coltivata senza lasciarsi scoraggiare dalle critiche e dalle difficoltà. Un elemento fondamentale è stato avere accanto a sé persone che l’hanno aiutato e hanno creduto in lui, il suo manager e amico, fin dai tempi della Tiepolo, Simone. E ci ha assicurato che, tra le soddisfazioni migliori, non è mancata quella di far vedere dove era riuscito ad arrivare a tutti quelli che invece in lui non avevano creduto affatto. Infine ci ha raccontato come prosegue oggi il suo lavoro, rispondendo a tutte le nostre domande e facendoci ascoltare alcune delle sue canzoni più popolari, come Solitudine e Adolescenti sui trampoli. Volete una prova che questa conferenza è piaciuta ed ha lasciato il segno? A quante conferenze è capitato che tutte le classi seconde, dalla A alla L, si sono volute fare un selfie con la persona che la teneva? Maria Sole Di Capua, 2ªB Arianna Zancuoghi, 3ªA “I passi verso la torre” da Bruno Munari, Elementi di architettura, realizzato dai ragazzi della 2ªH Alessandro Fiorini, 3ªB Lavoro delle classi III della prof. Pimpinelli Lavoro eseguito dalle classi 1 e 2ªC con la prof. Rovetta 20 NOI TRA PASSATO E FUTURO Inauguriamo una nuova rubrica, “Noi tra passato e futuro”, in cui oltre a parlare di noi e della nostra adolescenza, raccontiamo le professioni più amate da noi ragazzi e intervistiamo chi lavora in alcuni ambiti. Iniziamo con le forze dell’ordine, dopo l’intervista in prima pagina a due magistrati, abbiamo immaginato la giornata tipo di un commissario di polizia, inventando storie e cercando di capire le tecniche e le mansioni svolte quotidianamente dai commissari di tutta Italia. Poi abbiamo riflettuto sul ruolo civile e sulle responsabilità del commissario. Infine abbiamo intervistato un vigile del fuoco e un agente della polizia municipale. E noi cosa faremo da grandi? La 1ªI Io commissario per un giorno Eleonora Frabasile, 1ªI Q uando arrivo al commissariato, devo ascoltare il racconto di un miliardo di testimoni a vari delitti, poi però appena comincio le indagini, vengo interrotto dalla segnalazione della scomparsa improvvisa di una ragazzina, poi dalla notizia di un quintuplo omicidio in cui erano rimasti uccisi il presidente e sua moglie. Come un fulmine mi dirigo sul luogo del delitto e comincio le complesse indagini. Appena finita la giornata di lavoro, torno a casa, ma appena mi addormento, squilla il telefono e uno dei miei poliziotti mi dice di ritornare subito al commissariato. Io mi precipito e vedo il poliziotto che mi aveva telefonato ad aspettarmi per annunciarmi che hanno ucciso il commissario di turno che mi sostituiva per la notte. Mentre penso da dove iniziare le indagini arrivano tre individui che mi dicono che sanno cos'è successo. Mi fanno un racconto sbalorditivo: loro fanno parte della banda che ha compiuto l'omicidio obbligati a ciò dalla mafia che tiene prigionieri i loro figli. Stendo il mio verbale della loro deposizione e decido di inserirli in un programma di protezione per farli fuggire con le loro famiglie in Canada e attendo la prossima avventura! vedo la sua faccia terrorizzata. Gli chiedo cosa diavolo è successo e lui mi conferma il mio peggior timore: un terribile criminale che cerchiamo da tempo ha agito ancora rapinando un portavalori. Oggi doveva partire un carico da un milione di euro da Roma a Genova, nessuno lo poteva sapere, neanche gli addetti al trasporto, era stata sparsa la voce falsa che il convoglio sarebbe partito giovedì alle 16,30, mentre oggi è martedì e sono le 12,30. Esco e prendo la mia macchina accompagnato da due agenti, altre due macchine mi seguono a ruota per raggiungere il luogo dell’agguato; mentre corriamo, con la radio i colleghi ci comunicano che l’hanno preso a 25 chilometri davanti a noi. Raggiunto il luogo dell’arresto, vediamo tutti gli agenti per terra e i soldi sparsi sull’ asfalto. Ora capisco, il criminale si è fatto catturare volontariamente, i soldi erano falsi e in mezzo a questi c’era una polvere narcotizzante, mentre i soldi veri li aveva nascosti addosso a lui, e, in questo modo, si è tolto qualche agente di torno. Chiamiamo l’ambulanza, saliamo in macchina e ci mettiamo le maschere anti-gas nel caso riservi lo stesso trattamento anche a noi. Partiamo a massima velocità. Lo raggiungiamo al casello. Prendo il megafono e comunico: “Esci con le mani dietro la testa e disarmato, hai le pistole di tutti gli agenti puntate alla nuca, una mossa falsa e sei morto!” Il criminale scende disarmato con le mani dietro la testa; per lui è proprio la fine della carriera. Gli mettiamo le manette, gli leghiamo i piedi e lo carichiamo sull’ auto. Arrivati in caserma lo mettiamo in una cella di sicurezza, da adesso in poi ci penseranno i giudici. Luca Pezzera, 1ªI Laura Monaco, 1ªI Camilla Petrillo, 1ªI U Sofia Gentile, 1ªI M i trovo nel mio ufficio alla centrale di polizia di Roma. Suona la sirena dell’allarme e un agente entra di corsa, quasi buttando giù la porta. Sono arrabbiatissimo, dov’è finito il rispetto? Però n bel giorno d’estate, ero seduto alla mia spaziosa scrivania piena di documenti da firmare, mi stavo bevendo un caffè in santa pace quando, ad un certo punto, suonò il telefono rosso, quello delle emergenze!!! Allora risposi: “Ciao Carlo, cosa c’è?” e lui mi disse:” C’è stato un altro omicidio in via Travolta al numero 2, in un vicolo cieco.” Presi la mia P99, 2 caricatori e un AK-47 da 90 colpi, salii in macchina, accesi le sirene e andai a tutto gas verso il luogo del delitto. Lì vidi due poliziotti che da soli non riuscivano a sfondare la porta della stana in cui si era nascosto l’as- sassino, ma pensai che fosse scappato sul tetto, allora presi l’elicottero “parcheggiato” in doppia fila e salii sul tetto, scorsi l’assassino e gli sparai circa cinquanta colpi addosso con la mitragliatrice montata sull’elicottero, ma lui li schivò tutti con incredibile agilità; ma alla fine lo presi e lo sbattei dietro le sbarre, finalmente era finita !!! Questa finta avventura se fosse stata vera mi sarebbe piaciuta molto, anche se, secondo me, fare il commissario di polizia è un lavoro che comporta molte responsabilità ed altrettanti impegni. Matteo Mariano, 1ªI Laura Monaco, 1ªI E ntro in centrale. “Buongiorno commissario”. Grugnisco. Benché fuori ci sia il sole, dopo un interminabile periodo di pioggia, io non ci vedo niente di buono. E di solito il mio sesto senso non sbaglia. Entro in ufficio, sbattendo la porta, e comincio a leggere alcuni fogli: perso gatto…. “Chissà com’è finita qui questa roba” penso. Chiamo la segretaria:” Buongiorno commissario!” “Ciao Marisa. Senti, oggi non voglio vedere nessuno. Mandami qualcuno solo in caso di emergenza.” “D’accordo signora” Chiudo gli occhi “Devo calmarmi. Magari non succederà niente.” mi ripeto poco convinta. Come non detto. Mi chiama Marisa. È sempre diligente, non mi chiama mai per nulla. “Cosa c’è?” “Una denuncia anonima, commissario... ho cercato di...” “Non ti preoccupare. Che linea?” “8.25”. Alzo la cornetta: “Pronto?”. Le denunce anonime mi preoccupano sempre. Potrebbe essere uno scherzo da ragazzini, ma anche qualcosa di grave. Dall’altra parte si sente: “Commissario, commissario, all’ospedale c’è un uomo che vuole ucciderci tutti!” “E dove……”. Ha riattaccato. Meglio mandare una pattuglia. Poco dopo mi fanno il loro rapporto: “C’è un uomo con una mitragliatrice. Ha fatto mettere contro il muro tutte le persone”. Un tuffo al cuore. Cerco di tenere la voce ferma: “Descrizione?” “Alto e decisamente robusto. Purtroppo non riusciamo a vederlo bene”. “Ha ucciso qualcuno?” “No. Interveniamo?” “No, aspettate, potrebbe essere pericoloso. Arrivo io con delle volanti. A dopo.” In men che non si dica sono alla guida di una macchina, seguita da altre tre auto. Arrivati all’ospedale, entriamo il più silenziosamente possibile e saliamo le scale. Il nostro uomo è al primo piano. E’ un pazzo. Ha numerosi tic facciali e si muove in modo strano. “State indietro, qui nascosti” dico ai miei uomini e mi avvicino all’attentatore. Lui mi colpisce con un proiettile al braccio sinistro. Vedo tutto confuso, sto per svenire. Devo farmi forza, non posso abbandonare tutte quelle persone. “Ascoltami, tu non puoi uccidere tutte queste persone. Tu non vuoi!”. Silenzio. Il dolore al braccio è lancinante. L’uomo risponde. “Si…io…voglio!”. “No” rispondo con calma “tu non vuoi. Dammi una buona ragione sul perché devi farlo”. Scoppia a piangere: “Perché il mondo mi odia!”. “Ha una crisi”, penso. Ad un certo punto però, si asciuga violentemente le lacrime e urla: “Ma io ti ucciderò!” e punta a me il mitra.“ È finita” penso, ma non perdo la calma e mi gioco il tutto per tutto. “Senti, ci occupiamo tutti e due di crimini, di delitti, ma io guadagno molto di più, sono stimata e rispettata. Allora, chi è più intelligente?!” Arrossisce violentemente. Temo di averlo fatto arrabbiare. Invece lascia cadere il mitra e le gambe non lo reggono più. Ce l’ho fatta! Alcuni uomini lo ammanettano mentre qualcuno chiama l’ambulanza per me. Sulla porta dell’ospedale sento l’urlo della sirena dell’ambulanza. Sono sulla barella e dico flebilmente: “Ispettore, ci sono morti?” “No commissario, no. Ora riposi”. Mi portano via e io mi addormento. Cado in un sonno nero e profondo. Sono troppo stanca anche per sognare. Amalia Benassi, 1ªI nella casa del signor Gheretti, per aspettare ed intercettare la chiamata dei rapitori alla signora Gheretti per chiedere il riscatto in cambio della liberazione del marito. È importante, prima di fare qualsiasi cosa, capire bene la situazione. h.9.30 La telefonata arriva e, come mi aspettavo, è fatta da una cabina telefonica pubblica per cui riusciamo solo a registrare la chiamata: chiedo alla signora Gheretti di abbassare la cornetta a metà frase, così il rapitore sarà obbligato a chiamare nuovamente. Io, intanto mi reco alla centrale di polizia, per far analizzare ai miei tecnici la registrazione. Una cosa importante è utilizzare tutti i mezzi che si hanno a disposizione nei migliori dei modi ed indurre i malintenzionati a compiere le azioni che li possono smascherare. h.11.00 Chiamo la ditta telefonica cittadina e mi accordo di comunicarmi, alla chiamata, da dove proveniva . Per fortuna i telefoni pubblici sono usati molto poco e quindi la centralina della zona interessata mi rassicurò che capire da dove veniva la telefonata sarebbe stato facile. h.12.30.Tutto è pronto, la signora Gheretti è stata avvertita di trattenere al telefono a lungo il malfattore, la centralina ci avrebbe avvertito qual era il telefono da cui chiamava il malfattore, quindi la squadra mobile sarebbe partita e avrebbe raggiunto il criminale. Alberto Puliga, 1ªI Q uesto caso, il caso Gheretti, me lo ricorderò per tutta la vita. h.7.00. Sono nel mio ufficio, entra da me una signora che, sulla faccia, aveva dipinto il terrore. Io cerco di mantenere la calma e le chiedo perché fosse venuta da me, lei risponde che due o più malviventi avevano rapito suo marito: il famoso imprenditore milanese Gheretti. Io le offrii un caffè e una brioche, la mia colazione, per farle mantenere la calma e far recuperare al corpo della signora un po' di energie: poi passai ad organizzare un piano d'azione: prima di tutto chiamai il prefetto per chiedergli l'autorizzazione ad agire, lui dovette consultare alcune carte e poi mi comunicò che potevo agire. Nel mestiere del commissario bisogna saper organizzare il tutto, mantenere la calma e avere le autorizzazioni necessarie. h.9.00 Mi reco con alcuni agenti ed il materiale per intercettare le telefonate h.13.00 Arriva la chiamata, la centralina ci avverte da dove proviene, la squadra mobile parte e raggiunge il criminale ancora al telefono, quest'ultimo scappa allarmato, ma aspettandosi questa mossa i motociclisti lo inseguono fino alla sua casa dove trovano un uomo pieno di botte, stanco ed affamato; vengono arrestati i rapitori che poi subiranno un processo. Ognuno in Italia ha diritto di difendersi davanti al giudice, anche il peggior criminale. Frattanto io feci tanti interrogatori e risolsi le questioni burocratiche, ma la mia soddisfazione più grande è stata quando il signore e la signora Gheretti mi vennero a ringraziare. Nel mio lavoro di commissario la più grande soddisfazione è aiutare, sostenere le persone bianche o nere, sempre rispettando le leggi ed i diritti di tutti che sono, secondo me, le cose più importanti. Andrea de Curtis, 1ªI 21 NOI TRA PASSATO E FUTURO Sabrina, la nostra principessa L’ESPERIENZA ITALIANA IN ERITREA Dalla storia dei singoli alla grande Storia: memorie di una famiglia. M i chiamo Sabrina Milleo, sono nata a Milano il 19 febbraio del 2001, vivo in via Ciro Menotti a Milano con mio padre Giuseppe , mia mamma Anna e mia sorella Cristina. Frequento la scuola media Tiepolo e le mie professoresse sono Paola e Viviana La storia di mio nonno M i o n o n n o To n y o g g i ha settantotto anni. Nacque a Napoli, prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, nel 1936. Al termine della guerra aveva solo nove anni, infatti i suoi ricordi dell’infanzia sono legati principalmente ai bombardamenti, o ai pianti di vicini e conoscenti per lutti familiari. Per circa due anni la famiglia subì i problemi legati alla mancanza di viveri (che a quel tempo riguardava quasi tutta la popolazione italiana e non solo). Il nonno era il secondo di cinque figli, tre maschi e due femmine. All’età di circa due anni, si ammalò di asma bronchiale, che gli impedì di frequentare regolarmente la scuola, ma riuscì a completarla ugualmente con l’aiuto di scuole ecclesiastiche e insegnanti privati. La malattia del nonno si risolse con il trasferimento a Melfi (città sul mare in Basilicata). Questa cittadina, posta a circa seicento metri d’altezza sul livello del mare, non aveva problemi di cibo, come Napoli, e i n o l t r e o ff r i v a u n c l i m a o t timo per la guarigione dell’asma. Nel 1952 il padre di mio nonno intuì che rimanere a Melfi presentava tanti vantaggi, ma non q u e l l o d i o ff r i r e p o s s i b i l i t à d i lavoro a tutti e cinque i figli che, nel frattempo, erano cre- s c i u t i . Av v e n n e così “lo sbarco” a Milano, città che mio nonno considerava e considera tutt’ora la più moderna e vivibile città d’Italia. Racconta il nonno che Milano fu per loro una vera scoperta: la piscina coperta Cozzi, il Palazzo del Ghiaccio, le fabbriche, il Vigorelli col suo circuito per il ciclismo… Le scuole serali comunali, quasi gratuite, permisero a n o n n o To n y d i c o n s e g u i r e i n tre anni il diploma in ragioneria, lavorando contemporaneamente in banca. Anche gli altri quattro fratelli trovarono lavoro a Milano. Il nonno, quando racconta queste cose, parla con nostalgia ed entusiasmo di quegli anni, e ripete sempre che sia lui sia tutti i suoi amici non hanno mai rinunciato a nulla e che quindi la sua infanzia e la sua gioventù sono state felici e formative. Parlando spesso con mio nonno, mentre giochiamo a carte o guardiamo insieme eventi sportivi, mi sono accorto della grande ricchezza, saggezza ed esperienza che le persone anziane possono trasmettere a noi ragazzi oltre che rappresentare fonti di conoscenza per chi li ascolta, col loro nitido e profondo ricordo della storia, che raccontano con entusiasmo e semplicità. Tommaso Rossi, 2ªA N el 1937 il bisnonno Guido Faré, padre di mio nonno Paolo decise di trasferire la sua famiglia all’Asmara, in Eritrea, allora colonia italiana. Il Paese offriva delle ottime possibilità lavorative, ma purtroppo il progetto del nonno si realizzò in modo diverso da com’era nato: la bisnonna Ida, infatti, morì di parto dando alla luce la sorella di mio nonno, che fu chiamata Ida come la madre. Il bisnonno Guido si trasferì ugualmente in Africa nel 1938 con il primogenito Paolo, che allora aveva 3 anni, la sua sorellina Ida di poche settimane, e le balie per accudire i bambini. Presero casa nel centro dell’Asmara e là il bisnonno lavorava come direttore di una ditta genovese di import-export. Sono tantissime le avventure che mio nonno racconta di quegli anni: dal traffico di tante e strane merci, che transitavano dal magazzino della ditta situato alle spalle della casa, ai viaggi che faceva con suo padre per i suoi contatti commerciali, in cui poteva contattare l’ ‘Africa vera’, con gli animali feroci, i paesaggi bellissimi, le persone così diverse e ospitali. Mio nonno all’Asmara non andava a scuola, ma suo padre gli insegnava la scrittura, la lettura e la matematica con delle lezioni serali. Per tutto il giorno era quindi libero di giocare, scorrazzare e curiosare nel quartiere e nei ma- gazzini delle merci. L’atmosfera serena, nonostante la mancanza della mamma, di quegli anni ‘coloniali’ iniziò a cambiare con il progredire della Seconda Guerra Mondiale e con l’arrivo degli Inglesi. Tutti i viaggi furono sospesi per il pericolo dei predoni (sciftà), forse fomentati dagli Inglesi contro gli Italiani, e anche nella tranquilla Asmara, che era stata occupata dagli Inglesi nel 1942, ormai si viveva chiusi in casa e i rapporti dapprima ottimi con la popolazione locale si deteriorarono. Sulla città ci furono anche dei bombardamenti dell’aviazione inglese. Il bisnonno decise così di imbarcare i bambini con le balie su una nave per rimpatriarli: il Giulio Cesare, nato come transatlantico per le rotte verso l’America, fu così letteralmente riempito di donne e bambini, mentre gli uomini non potevano lasciare l’Eritrea. Ci vollero 52 giorni per raggiungere Venezia, poiché il canale di Suez era chiuso per questioni belliche, quindi la nave dovette fare il periplo dell’Africa ed entrare nel Mediterraneo dallo stretto di Gibilterra. Il nonno Paolo e sua sorella, partiti nel dicembre del ’42, arrivarono così a gennaio del ’43 dalle zie, trasferendosi dal bel clima dell’Asmara al freddo inverno della provincia di Varese. Il bisnonno, bloccato all’Asmara, attese invano di tornare a guerra finita, ma purtroppo venne a mancare per una peritonite. il tumore. Lei è cosciente di averne uno al cervello. Cerca di non nominarlo spesso e neanche io lo faccio. Continuiamo la ricerca. Scavalcata una radice, passo dopo passo, arriviamo ad un praticello. Federica urla di gioia e sta quasi piangendo dalla felicità. Il “tesoro di Lalla”. Io lo so, il tesoro non esiste, ma voglio darle qualche speranza. Mi fa segno di scavare e io comincio a farlo in fretta. Scava, scava, troviamo una scatolina. L’ho messa io. E’ la vecchia custodia di un orologio in cui ho infilato un bicchierino pieno di acqua zuccherata. La beve immediatamente e salta come un grillo, pensando di essere salva. Torniamo in casa, lei è al settimo cielo, io triste di averla ingannata. Salta in collo a sua madre e urla: ”Il tesoro di Lalla! L’ho trovato! Sono salva!”. Sua madre sospira e fa un sorriso, uno dei più falsi che abbia mai visto. Federica chiede: “Mamma, ma devo fare lo stesso la chemio”. “Meglio di si!”. Ci rimane malissimo. Piange e si butta fra le braccia di sua madre. A me scappa una lacrima. Andiamo a dormire e quando sorge il sole non c’è più. E’ in ospedale. Lo leggo da un bigliettino che mi ha lasciato sul comodino, c’è scritto che c’è stata un’emergenza. Ricordo solo che sono corsa da mia madre e le ho chiesto cosa fosse successo. Non mi risponde, quindi ho capito. Federica è in Paradiso. E’ un dramma per me. E’ il mio idolo, la mia eroina. Adesso, Fede, ti prometto che il tesoro di Lalla proverò a inventarlo io, con tanto studio, quando diventerò grande. Riccardo Daniello, 3ªF La promessa N on è un’eroina. E’ poco più alta di me. Non è una semidea. E’ una ragazza. Non ha poteri. E’ solo coraggiosa. Non è particolarmente forte. E’ forte psicologicamente. Il suo nome? Federica. Il suo sogno? Sopravvivere al tumore. La sua storia? Forse è meglio che cominci a raccontare. In Costa Azzurra, nell’entroterra, sorge una villa. Lì c’è la mia famiglia e, come ospite, quella di Federica. Ogni mattina, andiamo nel boschetto, lei dice che lì c’è un tesoro: il “tesoro di Lalla”. “Appoggia il piede lì!”, sussurra Federica. “Dove?” rispondo io. “Shht! - mi interrompe lei - siamo vicini al posto giusto…lo sento!”. Lei dice che il “tesoro di Lalla”, contiene una medicina in grado di guarire Le nostre interviste sui lavori Ho realizzato il mio sogno di bambino: essere un pompiere! Come ha deciso di entrare nelle forze dell’ordine? Ero un bambino di 7 anni quando mi hanno portato con la scuola in visita alla caserma dei pompieri e mentre li vedevo salire sulle scale, mi dicevo “che bello, anch'io vorrei salire in alto come loro”, poi anziché fare il militare per un colpo di fortuna sono riuscito ad entrare nei vigili come ausiliario, dopodiché ho partecipato ad un concorso e l'ho vinto, dopo varie selezioni sono diventato un pompiere o vigile del fuoco che dir si voglia.” Quali sono stati i momenti più difficili e quelli che le hanno dato maggiore soddisfazione? Momenti difficili per mia fortuna ce ne sono stati pochi e quei pochi sono sempre legati ad incidenti dove sono coinvolti adolescenti piuttosto che bambini; per mia grande fortuna, i momenti di grande soddisfazione invece nell'arco di questi 18 anni sono stati tanti; tra i più belli da ricordare la dimostrazione di affetto che ci ha trasmesso la gente dell'Aquila dopo il terremoto, quando siamo partiti da Milano per andare a dar loro un aiuto. Ricordo due casi all'apparenza sciocchi che, invece, a noi pompieri hanno gratificato molto: andare prima in una palazzina di 3 piani che stava per crollare per recuperare una dentiera di nessun valore per noi, ma indispensabile per una nonna di 79 anni che senza non riusciva a mangiare e, sempre per una signora anziana, andare a scavare tra le macerie di casa sua, per ritrovarle la parrucca, senza la quale non aveva il coraggio di uscire dalla tenda in cui era costretta a vivere. Il bello del mio lavoro è che quando la campana suona e noi usciamo è sempre per qualcosa di diverso e sempre perché qualcuno ha bisogno di noi... Beatrice Gianoli, 1ªD Quali sono, secondo lei, le principali regole che deve rispettare un giovane cittadino oggi per diventare un adulto consapevole dei suoi doveri? Per me un giovane, come del resto un adulto o un anziano, prima di tutto deve rispettare chi gli sta davanti che sia più grande o più piccolo, maschio o femmina, bianco, nero, rosso o giallo di pelle; dopodiché, dobbiamo tutti aver cura delle cose che maneggiamo, che siano nostre o della comunità. Non è necessario conoscere a memoria tutte le leggi, l'importante è che ci comportiamo sempre nel miglior modo possibile, secondo la nostra sensibilità. .Edoardo Cernuschi, 1ªI Su di voi vigilo io! Come ha deciso di entrare in polizia? All'inizio volevo far parte della squadra speciale della polizia, ma, in seguito, visto che non sono risultato idoneo, ho deciso di partecipare alla polizia stradale”. Ricorda alcuni casi del suo lavoro? Un caso che mi ha dato molta soddisfazione è stato quando abbiamo sbloccato il traffico che si era creato a causa di un incidente sul lago di Como. Un caso particolare a cui ho lavorato è stato arrestare un venditore abusivo di birra in piazza Duomo, ne aveva vendute talmente tante che erano rimaste centinaia di bottiglie vuote in piazza. Il caso è stato raccontato anche sui giornali. Quali regole deve rispettare il cittadino? Un cittadino, secondo me, deve trovare un suo modo di essere utile agli altri. Francesco Fossati, 1ªI 22 NOI TRA PASSATO E FUTURO Con la prof. Bertagnolli ci siamo immaginati “Come saremo tra 20 anni?”, guardate alcuni dei nostri sogni Classi 3ª A, B, E PENSIERI DI UNA NEOADOLESCENTE Oggi, mentre tornavo a casa da scuola, ho riflettuto molto. Praticamente tutto quello che vediamo intorno a noi è stato creato da noi: palazzi, strade, negozi, zaini, scuole, giacche, chiavi... Noi abbiamo dato un nome alle cose: la pioggia si sarebbe potuta chiamare felicità, il sole treno, l'amore caffè... E’ veramente una cosa pazzesca. Noi abbiamo creato tutto. La nostra immaginazione. I soldi sono solo pezzi di carta. Se non li avessimo inventati non ci sarebbe crisi. Se non avessimo dovuto creare un modello di “vita realizzata” non avremmo dovuto nemmeno pensare ai risultati scolastici, al nostro aspetto, alla famiglia, ai problemi... Non dovremmo soffrire per tutte quelle stupidaggini che ci sembrano tanto importanti. E poi. Ho immaginato la scena della mia morte. Immaginavo cosa sarebbe successo in quel momento, mentre la pioggia cadeva sottilissima, io ero sola a tornare a casa perché le mie due amiche erano entrambe malate, una signora prendeva il caffè al bar, il solito barbone se ne stava accucciato a prendere il freddo fuori dal supermercato, i miei compagni erano in piazza a chiacchierare perché loro hanno una “vita sociale più attiva”. Cosa sarebbe successo se in quel momento mi fossi buttata sotto un’auto? Sarebbe cambiato qualcosa? Il mondo si sarebbe fermato? La signora avrebbe smesso di starsene seduta? Il bar- bone che mi guardava sempre e mi sorrideva, si sarebbe almeno alzato da terra? E gli altri? Avrebbero pianto un po’ e poi basta? O avrebbero continuato? Per tutta la vita? No. La signora avrebbe prima finito il caffè. Il barbone avrebbe girato un po’ la testa, e poi si sarebbe riaccomodato al suo posto. E gli altri? I miei genitori, i miei parenti, gli amici, i miei compagni, i professori, i conoscenti... Cosa sarebbe cambiato? Cosa cambia se non c’è più una come me, una che ascolta troppa musica, che prende bei voti, che adora la scuola perché a casa si annoia; una che ama paesi lontani, che ama dormire e che sogna di tutto; una che è negata in disegno, che a volte vorrebbe spettegolare ma che odia le pettegole; una che vuole far sorridere quelli davanti a sé, e ha sempre una battuta pronta; una che sa di non avere un gran fisico ma che continua a mangiare normalmente, che va in palestra e non si sente più magra, che si veste da OVS, che non passa al Leonardo, che non si fa il letto alla mattina, che dorme a mezzanotte; che si emoziona troppo se deve parlare di cose serie e allora rischia di scoppiare a piangere, una che magari sembra sicura di sé e forte ma che in realtà piange di notte, una che ama le storie d’amore e non ne ha mai avuta una vera; una che guarda Don Matteo da nove anni, che frequenta l’oratorio ma ha mille domande su Dio a cui non riesce a rispondere; una che si sente così egocentrica da stilare questo lungo elenco, che ora, in questo momento, vorrebbe capire se può servire al mondo la sua personalità, il suo stile, le sue idee, se può piangere di fronte a tutti, se può amare con libertà le persone. Non capisco a cosa serve questa vita. Tanto finisce. Non riusciremo mai a provare tutto. Scommetto che non farò mai il salto nel vuoto con l’elastico. Bene. Ora lo metto al primo posto nella lista dei miei desideri. Io sono una briciola in confronto a tutto il resto. Siamo tutti delle briciole in confronto al resto. Quale resto poi. Mi chiedo troppe cose ma non posso farne a meno. Oggi mi sento così. Un’alunna di terza 23 NOI TRA PASSATO E FUTURO La nostra è una generazione di ragazzi sdraiati? Così la pensa Michele Serra nel suo libro uscito recentemente. E noi come ci sentiamo? U n libro spiega che i ragazzi di questa generazione sono abituati ad avere tutto. Se si chiede loro qualcosa, non hanno voglia di fare nulla per guadagnarselo, perché credono che tutto gli sia dovuto. Ragazzi abituati a non sentirsi dire mai no; le poche mete che hanno sono incentrate su fini personali. Secondo me è vero, però è relativo, perché i ragazzi e le loro famiglie non sono tutti uguali e queste critiche non valgono per tutti. Gli insegnati devono contribuire, trasmettendoci valori umani e lezioni di vita, oltre alle materie che devono insegnarci. In altri casi è colpa dei genitori perché insegnano al ragazzo che per avere qualcosa basta chiederla e al massimo frignare un po’, invece dovrebbero guadagnarsela dimostrando ai genitori di meritarla, ad esempio impegnandosi a scuola. Di conseguenza si rovinerà la vita al ragazzo, perché, quando non ci sarà più nessuno a dargli ciò che vuole, dovrà cavarsela da solo e magari non avrà neanche voglia di provarci. Quindi tutti i genitori dovrebbero abituare i propri figli a guadagnare quello che vogliono e prepararli a ciò che li aspetta nella vita. massimo mezz’ora se no stanno tutto il tempo sul divano con la televisione accesa aspettando che arrivi il sabato e la domenica per poter fare niente. Però a scuola ci sono anche dei ragazzi che sono molto interessati agli argomenti che ogni giorno si affrontano e che hanno la voglia di stare attenti ad ogni ora del giorno per imparare cose nuove e imparare come comportarsi nella vita, perché la scuola ti apre un mondo davanti per fare qualsiasi scelta tu voglia e per farti crescere meglio, riuscendo a capire quel che è giusto e quel che no da fare nella vita. Molti ragazzi si sprecano, alcuni hanno un talento in qualcosa che poi mandano all’aria per stupidaggini. Io non mi inserirei mai nella “categoria” dei ragazzi “spiaggiati” e “sdraiati”, perché io ho la voglia di imparare a crescere, a prendere le scelte giuste e mi sento anche originale, diverso dagli altri. Io credo che la vita sia qualcosa di infinito che nessuno è ancora riuscito a capire come funziona e che non si deve mai sprecare ma tenersela ben stretta perché è la cosa più bella che ci sia in assoluto. Alessandro De Crinito, 3ªL Andrea Razzoli, 3ªL Io non mi sento sdraiato! “ Sdraiati” oppure “spiaggiati”, è proprio così che molti adulti chiamano i ragazzi di oggi, forse li chiamano così perché pensano che non possono essere “utili” per la società, oppure perché li considerano tutti “omogenei”, ma secondo me è esattamente il contrario, noi ragazzi di oggi saremo il futuro della nostra società e siamo molto originali, con molte idee. È vero che ogni ragazzo è diverso da un altro, ma come ogni cosa, ci sono diverse “categorie”, ci sono quelli che pensano solo a se stessi, al proprio stile, a come devono apparire davanti agli altri per essere belli, mentre ci sono quelli che pensano anche agli altri, agli studi, cercando di arrivare al punto che fin da piccoli sognavano di arrivare. È anche vero che a scuola esistono i ragazzi che stanno come delle balene spiaggiate sul banco, come dice lo scrittore e prof. Alessandro D’Avenia sul suo blog, e aspettano che la campanella dell’uscita suoni e che al rientro a casa mangiano e studiano C i chiamano “sdraiati”, “spiaggiati”, “nuova generazione”, “menefreghisti”, “cellulari-dipendenti”e tanto altro, ma come possono farlo quando non sanno niente di noi? Perché fondamentalmente nessuno riesce a comprendere appieno un adolescente, concentrato non sul suo futuro ma sul suo presente, preoccupato non di quello che è ma di quello che gli altri pensano che sia, convinto di doversi adeguare per essere accettato. Michele Serra ci ha definiti “sdraiati”, senza spina dorsale, comodamente seduti a guardare la nostra vita che va senza fare niente per portarla dove vogliamo. Spettatori, niente di più, niente di meno. E molti pensano che abbia ragione, perché anche per loro non ci impegniamo abbastanza, siamo senza prospettive, senza voglia e l'unica cosa che sappiamo fare è stare davanti ad uno schermo a costruirci una vita virtuale. Ovviamente c'è anche la controparte, come sempre, che invece sostiene che possiamo permetterci di essere “sdraiati”. Ci sono stati forniti i mezzi per esserlo, quindi perché no?! “Cara Infanzia, dove sei finita?” Cara Infanzia, perché te ne sei andata così presto? Dove sono finiti quei giorni in cui ero una fata, una maga e una ballerina tutto nello stesso momento? Quei pomeriggi passati senza preoccupazioni, nei quali tutto era possibile? In cui ogni compagno di giochi diventava il tuo amico inseparabile, dove non avevi nemici, ma solo amici? Non ti sento, non ti vedo da tanto tempo, ma percepisco che tu sei qui da qualche parte, che quella bambina che amava correre e giocare è ancora qui e vuole uscire da quest’armatura che la rinchiude. Non ero pronta a diventare grande, beh... chi lo è? Non mi hai salutato, non abbiamo discusso, te ne sei andata e basta, una mattina mi sono alzata e mi sono sentita diversa. Un tempo amavo correre e sentirmi libera, ora invece passo la mia vita in una stanza chiusa a leggere libri; prima era così facile avere amici e Perché non possiamo. Certo, abbiamo bisogno di perdere un po' di tempo davanti ad uno schermo, ma non tutti sono in balia di questo, anzi. Molti ragazzi pensano al loro futuro e si impegnano per ottenerlo, perché sanno di dovere e di potere fare qualcosa della loro vita. E poi, anche se i tempi cambiano, gli “sdraiati” ci sono e ci saranno sempre. Anche quando i nostri genitori, i nostri nonni, bisnonni, trisavoli ecc. erano giovani, anche “ai loro tempi” ci saranno stati i ragazzi-spettatori e i ragazzi intraprendenti. Ogni “sdraiato” sarà stato criticato al suo tempo e magari crescendo è diventato un grande uomo e tutti quei giorni passati a fare lo spettatore gli saranno sembrati persi o magari utili per diventare quella persona che è riuscita ad essere ricordata. C'è quel periodo della vita durante il quale la voglia di fare qualsiasi cosa sparisce e in questo momento, sì, hanno ragione a chiamarci in tutti quei modi. Ma quando questo periodo finisce possiamo fare due scelte: continuare ad essere “sdraiati” per tutta la vita, lasciando che siano gli eventi a plasmarci e non il contrario, oppure alzarci e darci da fare per recuperare il tempo perso. Sta solo a noi scegliere. Le difficoltà dell’adolescenza C iao Ade, mi fa piacere che tu mi abbia chiesto cosa non va, e io ti rispondo con questa lettera. Questo per me è un periodo molto difficile, sono molto confusa sulla scuola, gli amici e la famiglia. Sono in terza media e a gennaio ho dovuto decidere che scuola frequentare, ti dico la verità è da quando ero piccola che aspetto questo momento, ma poi ho cambiato idea molte volte. Prima volevo fare la veterinaria, poi volevo intraprendere il liceo linguistico, poi il liceo scientifico, l'alberghiero, scienze umane-socio sanitario, classico ed infine ho pensato al liceo artistico, ne ho parlato molto con i miei genitori, e mio padre è d’accordo con me, mentre mia madre non è molto convinta, ma non per le mie capacità, ma per l'ambiente dal liceo artistico. Sono anche preoccupata perché i miei genitori stanno attraversando un momento difficile e per me l’unica via di fuga è la musica. Ma in questo momento gli altri problemi mi sono sembrati tutti minori: sto vivendo un momento ancora più difficile perché Rebecca, la sorellina di otto anni della mia amica Aurora è morta a dicembre per un tumore inoperabile. Io la trovo una cosa ingiusta perché Rebecca ha iniziato la terapia con altri sei bambini e nessuno di loro ce l’ha fatta…io penso che se gli uomini sono riusciti ad andare sulla luna, a costruire palazzi altissimi, a inventare robot, è impossibile che non abbiano ancora trovato la cura per alcuni tumori! Martina Autiero, 3ªL Alcuni lavori eseguiti dalle classi della prof. Gorini Camilla Pulzoni, 3ªL S econdo me gli adulti ci vedono sempre molto rilassati o, come diremmo noi, molto SWAG. In realtà dietro la nostra tranquillità ci sono molte cose. Lo studio: si sa, la nostra professione è imparare e conoscere nuove cose, essere tranquilli e preparati per eventuali interrogazioni o verifiche a “bruciapelo”. Gli ordini: le mamme, quando escono per andare al lavoro ci lasciano sempre qualcosa da fare e spesso, ce lo dimentichiamo. La camera: noi siamo molto disordinati, al contrario dei nostri genitori che io definisco maniaci dell'ordine. La nostra cameretta deve sempre essere ordinata e pulita. Solo dopo tutto ciò possiamo rilassarci la sera davanti alla TV o al computer. La sera, quando mamma e papà tornano dal lavoro, dicono di trovarci sempre davanti alla TV, senza pensare a cosa abbiamo fatto durante il corso della giornata. E cosa abbiamo fatto? Il nostro lavoro, proprio come loro. Maria Chiara Onorato, 3ªL Luca Pezzera, 1ªI Ivan Francipane, 2ªI Caterina Dallera, 2ªI ora faccio fatica a fidarmi di chiunque. I miei genitori, che una volta erano compagni di giochi, ora sono nemici, non capiscono, sembra che non siano stati mai ragazzi. Ero così felice quando in prima elementare andavo a scuola, adoravo i compiti: ora ne sono sommersa. Io che incalzavo mia madre perché si alzasse, che facevamo tardi e ora... non vedo l'ora di tornare in quel comodo letto. Tutte le fatiche mi si riversano contro soffocandomi, tutto questo è solo colpa tua, Infanzia, che sei andata e non tornerai più; dovevo godermi di più quella gioia, perché ora che l’ho perduta mi sembra la cosa più importante. Però mi hai lasciato una parte di te, dentro di me, che a volte esce e allora ritorno la bambina di quel tempo. Grazie di tutto quello che mi hai fatto passare e qualche volta fatti sentire, va bene? Mi manchi tanto! La tua cara Sofia Sofia Corradino, 2ªD Alessandro Vincenti, 1ªL 24 FINESTRA SUL MONDO A SCHOOL TRIP TO MUNICH 3rd G/I A step forward to lose your identity: our visit to Dachau SHOES…shoes…shoes… The following people want to find the right pair of shoes for them. Below the people there are descriptions of ten pair of shoes. Can you find the most suitable for the following people? 1. Jack Brown is from New York and he is a businessman. He’s brilliant and lively. He likes his job because it is very interesting and because he makes a lot of money. When he goes to work he wears smart clothes and he often wears striped ties. He enjoys playing sport with his friends too so he sometimes wears casual clothes. It was 7.00 a m It was so early! We were so sleepy, but excited when we left for Munich, we woke up so early but it was worth while. We went to Munich for 3 days. From 7 am to 7 pm we had a hard journey by coach, but we were so happy that we didn’t get bored. During the journey we stopped at Innsbruck, a fantastic city in Austria When we arrived at Munich, we went straight to the hotel because we were tired and hungry. In the evening we had dinner in a typical German restaurant, but we missed Italian food… We slept in a hotel situated in the centre of the city, in fact we went for a walk after dinner, we spent the first night chatting and singing, but in the morning we were a bit tired. The following morning we went to see the concentration camp in Dachau. Like other camps, in Dachau there were barracks, and a gas chamber that had never been used. This place is very big .A guide told us about the life of the prisoners in the camp and this was very touching, the prisoners lost their identity as soon as they went into the camp and they became just numbers,(that were imprinted on their arms.).We also visited the prison for priests, they could not live with the other prisoners because they would have given hope to them and prisoners could not hope. At the end of this visit we could not believe how men can be so cruel. The following day we went to see the Science and Technology museum, where there was an interesting exhibition about the cell. In the afternoon we went to see the castle of Neunschwestein: we had to walk up to a hill but the castle was beautiful and enchanting. 2. Caroline is from Manchester and she’s ten. She’s funny, confident and nice. Her favourite colour is light blue and her favourite animals are big cats with light blue eyes. She can skate very well and she likes going to the park and skate with her friends. She prefers to wear comfortable flat shoes but she also likes sports shoes. Riccardo Matarazzo and Leonardo Ravioli, 3ªG Gustav Klimt Typisch für die Jugend-Künstler, läβt sich Klimt von der Natur inspirieren. Seine Werke sind von floralen Motiven und Ornamente geprägt. Seine zweidimensionale Flächenkunst wird durch flieβende Linien, Ornamente und geometrisch-spiralförmige Formen charakterisiert. Traum und Symbolbilder kommen in seinen Bildern Der Kuss – 1907 – 1908 zum Auzdruck. Am liebsten malt er Menschen und ganz besonders die Frauen. In vielen seiner Bilder stehen erotisch dargestellte Frauen im Mittelpunkt. 3. Sophia is an English teacher. She’s young and dynamic. She likes classical music very much and she goes to dance classes in her free time because she really loves dancing. She doesn’t like very smart and expensive shoes, she prefers comfortable shoes in particular when she goes to school. 4. Anna is a grandmother. She has got white hair and blue eyes. She isn’t very tall but she’s slim. She loves children and sweets. Anna lives in New York. She loves New York, but her real passion is rock music. She’s got four rock Isabella Daino, 3ªL 5. Rachel is twenty-one years old and she’s a model. She loves fashion and she enjoys shopping for clothes and of course… shoes! She likes going to parties and meeting her friends. She loves reading fantasy books. She’s from Paris, but her mother is from England and her father is from Italy. Her favourite colour is purple or bright pink. 6. Frank is a policeman. His job is to protect the city. He wears a black uniform with a yellow badge on his jacket. Sometimes he must run after the criminals and sometimes he must climb a tree to save a kitten. His job is complicated and a bit dangerous but it is very important. 7. Antony is a sportsman. He likes running, jumping and boxing. His favourite colour is red but he hates red shoes. When he has a competition he wears his favourite blue trainers. He loves them but they are quite old! At home he wears a pair of red slippers but he doesn’t like them. He has very big feet and his shoe size is 44! A. FREECOM These trainers are blue and white. They come in different colours and different sizes, also very big sizes! They are strong but soft and comfortable and they are good for a person who plays many sports. They are good in every season. B. FULOON These boots are made of black leather. They are very strong but comfortable, they are very good for running and to walk in the rain. They are cheap and they are perfect for a person that has a hard job. C. MIRAGE/BUFF These shoes are black, polished and elegant and they are perfect if you work in an office or for an important occasion but they are also a bit uncomfortable and very expensive of course. They are also available in large sizes for people with big feet! D. DOTTY These flat silk shoes have got a beautiful bow. They are very comfortable but they aren’t very expensive. You can wear them every day, in the morning at work or in the evening at a party, because they are beautiful but not too elegant. E.BELKIN These trainers are very big. They are bright pink and very comfortable. They aren’t chic but they are strong and very good for running and jumping F. CHIPIE These high heels suede shoes are very elegant and expensive. They are purple with a black stripe and many golden studs on the heels. They are very high. It isn’t easy to walk in them because you need a very good balance! G. PEARL These velvet flat shoes are very comfortable but they are also very smart. They haven’t got any bows or ribbons but they have got small silver glitters. They are quite expensive and they aren’t for everyday use. They are perfect on a very special occasion. H. SWANKY These fantastic slippers are made of black velvet with gold studs and a pink fashionable skull. They are very comfortable and warm especially in winter because they have a black and soft fur inside. They are so cool you can even wear them to the disco! I. MESLACETS In summer children like to wear this kind of shoes because they are light and you can wear them without socks. These shoes have got a lace with a pink flower on the ankles, they are flat and they are very comfortable. J. BLAZE These roller shoes are fashionable and very popular among children. They are small with many decorations: a yellow thunder because you can run very fast with them, and a light blue tiger eye. Roller shoes are great fun but a bit dangerous if you can’t skate. 1ªA IT’S TEA TIME in 1st G/I DO YOU LIKE TEA? Golden im Licht seiner Braut In seiner goldenen Schaffensperiode malt Gustav Klimt einer seiner berühmtesten und mit Gold geschmückten Bilder: „der Kuss“. In diesem hat sich der Künstler mit seiner Geliebten Emelie Flöge ein Denkmal gesetzt. Das Paar ist durch eine goldene Aura von der Umwelt abgeschieden, in einander intim versunken. Die verführerische Frau, in einem schimmernden gekleidet, gibt sich dem Mann hin. Der erotische Ausdruck des Bildes wirkt jedoch nicht direkt. guitars at home. She loves leather and dark clothes but at home she wears comfortable slippers. Her grandchildren play in a rock band and when she was young she sang in a rock band too. T o tell the truth, we prefer coke, but tea is very important in British life. At school with our teacher and the classmates, we organized a tea party in February: for an hour we became perfect Englishmen and Englishwomen. We had a teapot, cups and biscuits, digestive biscuits, toasts with jam and marmalade and very good honey… We drank typical English tea: not with lemon but with milk. Everything was ready to start our teatime. First of all we laid our desks, then our teacher boiled water; after that, she poured the water into the teapot and finally she put the teabags in the teapot. We were all very busy in serving tea with milk… At last we sat down and tasted our hot tea: it was delicious. Tea time was a beautiful experience and we hope to do it again soon. Now we are ready for wurstel time, because we also learn German! Alessandro Allegri, Camilla Petrillo, 1ªI FINESTRA SUL MONDO 25 26 FINESTRA SUL MONDO La Comida Española, entre Tradición y Fast Food L a gastronomía española es muy variada y cada región tiene sus proprias especialidades. Entre los platos más conocidos y apreciados se destacan la paella y la tortilla. La paella, típica de Valencia, consiste en una base de judías, conejo, caracoles y arroz cocidos con pescado (paella marinera), carne y pescado (paella mixta) o verduras, según la zona en la que se cocina. La tortilla de patatas o tortilla española - llamada en Argentina y Uruguay tortilla de patas - es una tortilla preparada con huevos batidos y patatas. Es uno de los platos más clásicos de la cocina española. ¿Y cómo olvidar el gazpacho? Se trata de una sopa hecha con pedacitos de pan seco, tomates, ajo, pimiento, pe- pino, cebolla, aceite, vinagre, agua y sal. Se sirve bien frío y se suele tomar en verano. Se puede comer como primer plato o se puede beber en un vaso. Pero en España hay también locales de comida rápida donde se toman tapas y otras especialidades tradicionales de todo el mundo hispanico. ¿Queréis conocer algunas? Los tacos méxicanos, por ejemplo, son tortillas de maís o de trigo que se rellenan con un preparado de carne y/o verduras y se toman con las manos. Solitamente van acompañados con una salsa picante y se pueden comer en cualquier parte, desde el restaurante Notre voyage à Naples hasta el lugar improvisado. Muy famósos son el Barro Luco y el Barro Jarpa, o sea dos bocadillos “inventados” en el Club de la Unión en Santiago, donde el presidente del Chile solía pedir que entre dos rodajas de pan tostado colocaran una rodaja de carne a la plancha y queso (el Barro Luco) y, por otro lado, un abogado y abogado y político chileno, Ernesto Barro Luco, comía también un sandwich, pero con jamón. Los otros clientes empezaron a pedir cada vez más estos sandwiches y así nacieron los populares bocadillos chilenos. Y tú, ¿cúal plato prefieres? 2ªF Notre voyage à Trieste (ce n’était pas la France, mais…) C ette année nous sommes allés à Trieste dans le mois de mars. J’étais avec ma classe et la classe 3ª B. Les profs qui sont venues avec nous étions Mme Pimpinelli, Mme Muneroni, Mme Bertagnolli et Mme Schiavo. Nous y avons été pour trois jours. Le voyage a été très fatigant, parce qu’ il a duré cinq heures et un peu ennuyeux. Le premier jour nous sommes allés à la Grotte Géante. Elle est la plus grande grotte du monde. Au dedans est très magnifique et extraordinaire. Après ce tour nous sommes allés aux Foibe. Là nous avons vu une vidéo qui racontait ce que sont les Foibe. Puis nous avons vu divers monuments à propose de ça. Après ce nous sommes allés à Grado, où se trouvait notre hôtel. Le soir nous avons mangé à l’hôtel et puis les accompagnateurs nous ont apporté visiter la ville pendant la nuit. Le jour suivant nous sommes allés à la ville de Trieste. Nous l’avons visitée en marchante de Colle San Giusto, où se trouvaient l’ancienne ville, à Piazza Unità d’Italia, la place la plus importante de la ville. Dans la place nous avons mangé et nous avions du temps libre. Après nous sommes allés visiter le château de Miramare. C’est un château vraiment beau et il est tout blanc. Au dedans il est magnifique et pendant les leçons de technologie nous sommes en train de le dessiner. Après la visite nous avons été un peu dans le parc du château. Nous sommes rentrés chez nous dans l’après-midi. Le soir les accompagnateurs nous ont proposé des jeux très amusants, surtout le dernier parcequ’il fallait prendre une chanson et changer les mots avec des autres sur le voyage. La chanson la plus belle a été celle des profs, qui ont chanté la "Vecchia fattoria". Le dernier jour nous sommes allés vi- siter Grado et là nous avons vu deux églises du temps des anciens romains. Après nous sommes allés à Aquileia et nous avons visité sa basilique avec ses célèbres mosaïques. Pendant la visite à la ville nous avons pu manger et jouer un peu. Puis nous sommes allés à Redipuglia, où nous avons visité des trincee et les tombes des soldats morts pendant la première guerre mondiale. Après les accompagnateurs nous ont demandé ce que nous avions aimé davantage. A’ la fin nous sommes rentrés chez nous après un voyage de cinq heures. Le voyage a été fantastique, mais la durée du voyage en autocar était trop long et ennuyeux et je regretté que nous n’avons pas pu aller en France. Mais il a été aussi amusante parceque j'ai pu passer du temps avec mes amis. On va parler du voyage qu’on a fait à Naples avec notre classe, la 3 C, les jours 14-15-16 avril 2014. Nous sommes partis à 07h15, donc j'étais très fatiguée et en train il était impossible de dormir avec mes amis qui m'entouraient et parlaient à haute voix... Le voyage a duré cinq heures et enfin nous sommes arrivés à Naples. Nous sommes allés jusqu’à Posillipo, une colline avec une vue magnifique sur la ville et son golfe. Tout de suite après nous avons visité la ville avec le guide qui nous a montré quelque chose du centre: le Théâtre San Carlo, la place du Plébiscite, la Galleria Umberto I et des églises. Puis nous sommes arrivés à l’hôtel et je suis allée en chambre avec ma meilleur amie Francesca et nous nous sommes amusées beaucoup, en particulier le soir. Le deuxième jour nous ne sommes pas allés au Vésuvio à cause de la pluie et nous sommes allés directement à Pompéi vieux: une ville magique qui me surprend chaque fois que je la vois; je reste stupéfiée et fascinée toujours pour l’histoire qui parcourt ces murs et qui nous fait remonter dans le temps passé. Le soir la III C et la III F ont vu un film proposé par les profs, « About a boy ». Le dernier jour nous avons visité encore la ville et Naples souterrain et nous avons acheté beaucoup de souvenirs. Nous sommes allés en train à Milano, j’ai rencontré de nouvelles personnes très sympathiques et nous sommes devenues amies. Revenir à Milan? Je l’ai aimé: Milan est toujours Milan, ma ville préférée! J'ai aimé beaucoup de choses pendant ce voyage: avant tout la compagnie de mes amis, une chose qui rend tout plus amusant et intéressant; puis j’ai tellement aimé aller à Pompéi, un lieu magique qui surprend toujours, même si j'aurais aimé voir plusieurs villas de Pompéi; c'était aussi amusant de passer la soirée avec mes amis, et même si la nuit nous avons été fermés dans la chambre avec du ruban adhésif à l'extérieur de la chambre, nous avons étudié tout pour sortir... Personne ne peut savoir si nous sommes arrivées à le faire… c’est notre secret! Il y avait aussi des choses que je n'ai pas aimées: nous avons visité presque seulement des églises et je crois qu'il ya aussi d'autres choses à Naples ; puis le guide parfois parlait en dialecte et je ne comprenais rien; je n’ai pas aimé la division entre les garçons et les filles et je n'ai pas trouvé la raison; alors l'extrême gravité des professeurs dans la nuit... le ruban adhésif pour nous empêcher de sortir: quelle exagération! Mais ça a été quand même magnifique! Maria Bassani, 3ªC Quand nous sommes allés visiter Naples souterrain ça a été une expérience passionnante! Il est étrange de penser que sous la ville avec ses rues, ses bâtiments, son histoire, il y avait une autre ville avec d’autres rues, d’autres bâtiments et une autre histoire. Puis, nous sommes allés à la gare où nous avons pris nos sacs et nous avons sauté dans le train. C’est sans aucun doute la meilleure expérience de trois années de collège, nous avons eu beaucoup de plaisir et nous avons aussi appris des choses intéressantes. Nous avons réussi à mieux nous entendre entre nous et nous avons appris à partager les bonnes et les mauvaises expériences et beaucoup d’émotions positives avec les autres. Caterina Magnani, 3ªC Alessandro Intropido, 3ªA Disegno realizzato dalle classi III della prof. Bertagnolli Disegno realizzato dalle classi III della prof. Bertagnolli Piccoli Critici 27 X Factor C he Michele Bravi fosse “il favorito tra i favoriti” si sapeva. Certo, mezza Italia tifava per gli Ape Escape e per Violetta, ma i cinque milioni di voti del giorno della finale hanno dec r e t a t o vincitore il diciottenne della squadra di Morgan. Oggi però una parte del pubblico mette in discussione la vittoria di Michele. Tuttavia Michele questo trionfo se l’è guadagnato per molti e svariati motivi: ha carisma, personalità e sa stare sul palco come un professionista. Quando canta brani di altri nomi, non imita: lui prende le canzoni e le fa sue. Non è un clone e ha un talento innato per la musica. In più è umile, il che non guasta. Vittoria meritata quindi. Lo si capisce rileggendo il suo percorso a X Factor sotto la guida di Morgan. Per capire il senso e la logica della sua vittoria è bene riascoltare quel che ha fatto nel corso delle puntate. La chiave del suo trionfo è racchiusa in quattro canzoni: la prima è Carte da decifrare di Ivano Fossati, pezzo difficilissimo reso speciale da un’interpretazione superlativa. La seconda è God Only Knows, il capolavoro dei Beach Boys. Anche in questo caso il Laura Pausini: il concerto rischio di una figuraccia era dietro l’angolo. Ma non è andata così, anzi. Misurarsi con la penna e la voce di Brian Wilson fa tremare i polsi, ma lui, sereno si è appropriato di un evergreeen e ha strappato applausi a s c e n a aperta. Il terzo mattone della vittoria è stata See Emily Play, capolavoro dei primi Pink Floyd, nella quale Michele si è superato con una performance eccezionale. Infine l’inedito, La vita e la felicità, brano scritto da Zibba e Tiziano Ferro. Dei brani composti per l’occasione era decisamente il migliore, ma la differenza si è vista nell’interpretazione, adulta e perfettamente “a fuoco”. Tutto questo per dire che al di là delle simpatie e dei gusti, le performance del giovane di Città di Castello sono state in media superiori a quelle degli altri talenti. Che Michele avesse una marcia in più in fondo si era intuito quando, con una classe e un senso dello show più unici che rari, aveva riletto in chiave punk Dreams are not reality da Il tempo delle mele. Roba da grandi. Ludovico Forte, Jacopo Ungarelli, 3ªF One Direction – You & I Y ou & I è la quinta traccia dell’album Midnight Memories dei One Direction, uscito sul mercato il 25 novembre scorso. Midnight Memories è il terzo album della band anglo-irlandese, dopo Up All Night e Take Me Home, che ha raggiunto il primo posto in classifica in molti paesi, fra cui l’Italia, l’Irlanda e la Gran Bretagna. È un pezzo straordinario, dal testo dolce e romantico ma allo stesso tempo coinvolgente, che spinge ad ascoltarlo tutto con il fiato sospeso. Genere? Pop, sicuramente. We don't wanna be like them We can make it till the end Nothing can come between You & I Not even the Gods above us can separate us No, nothing can come between You & I Oh You & I Io e te/Non vogliamo essere come loro/Possiamo farcela fino alla fine/Niente può mettersi in mezzo/Io e te/Neanche gli dèi sopra di noi/No, niente può mettersi in mezzo/Io e te/Oh io e te… Francesca Romano, 3ªF You & I Robinson Crusoe N elle ultime vacanze ho avuto modo di leggere due classici intramontabili: Robinson Crusoe di Daniel Defoe e Il Milione di Marco Polo, del viaggiatore veneziano del Medioevo. Tutti e due i libri mi sono piaciuti, ma in particolare mi ha colpito Robinson Crusoe: non è strano, visto che fa quest’effetto a migliaia di lettori da alcuni secoli! Daniel Defoe lo ha scritto infatti nel lontano 1673 ed è stato il primo romanzo d’avventura di tutta la storia della letteratura. Questo libro ha come protagonista Robinson Crusoe, un giovane uomo nato a Hull in Inghilterra, molto amante dell’avventura, che, contro il volere della sua famiglia, s’imbarca per il Brasile per allestirvi una piantagione. Durante un viaggio in mare, però, la fortuna gli volta le spalle: si scatena una bufera che farà naufragare l’imbarcazione su un’isoletta nel bel mezzo dell’Oceano Atlantico e Robinson sarà l’unico sopravvissuto. Durante la permanenza sull’isola lui non Dopo una lunga attesa da parte dei suoi fan, Laura Pausini arriva finalmente a Milano, dove si esibisce il 16 dicembre al Forum, per celebrare i 20 anni di carriera; l’evento ospiterà anche altri nomi del panorama musicale italiano, tra i quali Emma Marrone e Biagio Antonacci. L’orario pomeridiano della manifestazione (ore 17.00) è stato scelto da Laura per permettere a tutti di partecipare. Costo del biglietto: € 44.00, ma i bambini sotto i 12 anni entrano gratis. “Sarà una data speciale, dedicata alla famiglia”, ha affermato la cantante. Andrea Ponta, 2ªD Ligabue - Mondovisione Dopo anni di inattività, il cantautore emiliano pubblica Mondovisione, un nuovo album che racconta i contrasti e il disappunto verso il mondo della politica italiana contemporanea. L’album contiene successi come Il Sale della Terra o Arrivederci Mostro. Il tour per presentare il nuovo album partirà a maggio 2014 e porterà il contante in giro per l’Italia per più di due mesi. Riccardo Daniello, 3ªD Novità da Alessandra Amoroso Alessandra Amoroso presenta il suo nuovo singolo: Fuoco d’artificio. Per il lancio del disco la cantante concede un’anteprima di Amore puro Tour; ad applaudirla ci sono Tiziano Ferro, Marco Mengoni e Gigi D’Alessio. Al momento né Sanremo né il serale di Amici rientrano tra i suoi progetti, perché la cantante è interamente concentrata sui suoi concerti. Ha rifiutato perfino il posto come giudice ad Amici, perché si sente ancora troppo giovane. Si commuoverà come sempre? Lo saprete solo se andrete al concerto. Eliana Pifferi, 2ªD Passione in movimento M olti di voi, come me, avranno visto in televisione i giochi olimpionici invernali, che in questa edizione si sono tenuti in una città russa: Sochi. Per me è stata la prima occasione per ammirare e anche scoprire degli sport diversi da quelli che vengono solitamente tra- smessi in televisione. Quest’anno gli atleti italiani sono stati molto bravi e si sono distinti in molte discipline: nella classifica generale si sono classificati al 22° posto con 8 medaglie (2 argento e 6 bronzo). Soprattutto mi sono appassionata del pattinaggio artistico, dove la nostra campionessa nazionale, Carolina Kostner, è arrivata terza: è stata bravissima. Quando faceva i salti si muoveva con molta grazia, e anche il sottofondo musicale era perfetto per la sua performance. Non è mai caduta e aveva sempre il sorriso sulle labbra, anche negli esercizi e nelle figure più difficili. Secondo me dava un senso di leggerezza e armonia che la differenziava da tutte le altre. Mi sono accorta che molti sono gli sport praticati in Italia dei quali televisione e giornali non parlano quasi mai, se non in occasione delle Olimpiadi. Invece da parte di chi li pratica c’è un grande lavoro, che cambia la vita di tanti ragazzi che hanno il talento e la passione per lo sport. Per far conoscere meglio questo grande impegno mi piacerebbe che si parlasse di più anche di tante discipline poco conosciute, come il nuoto, la ginnastica, la scherma, la pallavolo, l’atletica... Per questo mi è piaciuta tanto l’iniziativa della nostra scuola, la “Stratiepolo”, perché è un modo divertente per farci conoscere meglio l’atletica. Giorgia Pagnotta, 1ªC Jona che visse nella balena perde la speranza e la ragione, ma addirittura riesce a recuperare armi, viveri e utensili dal relitto, alleva e addomestica delle capre selvatiche, si costruisce varie abitazioni, non perde la cognizione del tempo e riesce anche a salvare un prigioniero dai cannibali. Chiamerà l’uomo Venerdì, gli insegnerà l’inglese e la religione cristiana. Dopo alcuni anni, con l’aiuto di alcuni marinai sfuggiti ad un ammutinamento, riesce ad impossessarsi di un’imbarcazione che servirà poi loro per far ritorno in Brasile. Dopo una ventina d’anni circa Robinson rivede la sua piantagione e scopre di essere diventato ricco. Farà poi ritorno in Inghilterra, ma il suo spirito avventuriero non lo abbandonerà: tornerà alla “sua” isola per colonizzarla e qualche anno dopo morirà di vecchiaia durante un viaggio nell’Oceano Indiano. Questo libro era, è e sarà uno dei più letti di sempre per la trama davvero avvincente ed il ritmo sempre incalzante. Filippo Arnaboldi, 2ªL J ona che visse nella balena è un bel film, tratto dal romanzo di Jona Obersky Anni d’infanzia. La regia e la sceneggiatura sono di Roberto Faenza, in collaborazione con Filippo Ottoni. Pubblicato per la prima volta in italiano nell’aprile del 1993, il racconto ha come argomento principale la tragedia della Shoah. La storia comincia nel 1942 ad Amsterdam e finisce nel 1945 sempre nella capitale olandese. Jona Obersky è un bambino ebreo di quattro anni che vive tranquillamente con la sua famiglia, ma ad un certo punto giungono soldati che cominciano ad imporre leggi razziali: il padre perde il lavoro e alla madre non è più permesso comprare generi alimentari. Un giorno vengono portati in un campo di smistamento, ma qui la loro permanenza è breve e, grazie ad un permesso per andare in Palestina, tornano a casa. Poco tempo dopo, però, vengono sbattuti su un camion e mandati in un altro campo di smistamento, dove il famoso visto non riesce a salvarli. Una mattina trovano dei camion con la scritta “Per la Palestina”. In realtà è un inganno dei soldati, perché gli autocarri non sono diretti verso la salvezza, bensì al campo di concentramento di Bergen-Belsen . Una volta arrivato lì, Jona si trova davanti un mare di difficoltà, che è costretto a superare da solo. In quel brutto periodo perde suo padre, che muore stremato dai lavori forzati. Poco tempo dopo gli ebrei vengono trasferiti in treno in un altro campo, ma un’imboscata tesa dai Russi ferma il convoglio e le persone al loro interno vengono liberate e trasferite in un paesino. Hanna, la madre di Jona, è in condizioni gravissime a causa dei numerosi traumi subiti e muore, lasciano il piccolo Jona orfano. Il ragazzo viene adottato dai Daniel, una coppia che lo tratta come un principe, ma lui inizialmente è disperato, si rifiuta di mangiare e disobbedisce. Pian piano, ritorna ad essere il solito bambino vivace che era, anche se ricorderà per sempre questo tragico pe- riodo della sua vita. Mi hanno colpito le numerose scene nelle quali Jona guarda fuori dalla finestra: secondo me è un modo del regista per far capire la crudele realtà di quel tempo vista attraverso gli occhi di un bambino. La frase “Guarda sempre il cielo e non odiare mai nessuno” mi è penetrata nel cuore: significa che, anche quando ti trattano male e non ti considerano uomo, bisogna guardare in alto ed essere sempre disposti ad amare il prossimo. Ho apprezzato molto il personaggio della madre, che rappresenta la gentilezza e la bellezza, sempre pronta ad abbracciare, proteggere e rassicurare Jona, anche nei momenti più critici. Jona che visse nella balena è un film semplicemente unico, commovente, che rispecchia perfettamente tutta la drammaticità di quel periodo, senza scene “forti” o “cruente”. Un’opera cinematografica che fa pensare e ti resta nel cuore per sempre. Leonardo Rilasciati, 1ªL Piccoli Critici 28 Io non ho paura di Ammaniti Wonder gni libro, sia quello che ha conquistato il tuo interesse e la tua immaginazione, che quello che non rappresenta i tuoi gusti, fa parte di te ed è un piccolo passo verso la tua crescita, la tua maturazione. Un libro che mi ha innervosito, ma allo stesso tempo appassionato e fatto riflettere, è stato “Io non ho paura”. Il racconto si svolge in un piccolo paese della Puglia, isolato dal resto del mondo, durante un’estate caldissima, in cui l’aria calda e secca opprime e le forze sembrano mancare. Tuttavia Michele e i suoi amici esplorano la campagna in bicicletta. Tutt’intorno solo un mare dorato di grano. I ragazzi arrivano a una casa abbandonata che, per una penitenza, Michele deve esplorare. La casa è diroccata, le stanze buie e le assi cigolanti. In una buca, scavata nel pavimento, Michele vede un bambino pallido e magro, avvolto in una coperta. All'inizio è immobile e sembra morto, un corpo senza vita, ma dal buio sorgono dei rumori silenziosi e Michele intuisce che il ragazzino è vivo. Michele cerca di dimenticare la casa, la buca e il bambino ma quando, dalla TV, scopre che il bambino è stato rapito, decide di aiutarlo. I due diven- onder è un libro coinvolgente e commovente scritto nel 2012 da R.J. Palacio, pseudonimo di Raquel Jaramillo, e pubblicato in Italia nel maggio del 2013. L’autrice ha scritto questo romanzo per saldare un debito morale, in quanto tempo prima si era resa protagonista di una reazione eccessiva e offensiva nei confronti di una bambina affetta dalla sindrome di Treacher-Collins, una rara malattia che rende viso di chi ne è affetto mostruoso. Inventando il personaggio di August, la Palacio ha chiarito a sé e a tutti i lettori quanto sia importante superare i pregiudizi. La storia parla di August Pullman, detto Auggie, un ragazzino della nostra età perfettamente normale, tranne per il fatto che ha una faccia fuori dal comune. Non possiede zigomi e al posto di questi ultimi ha gli occhi. Il naso è piccolo e deforme, ha un buco nel palato e gli manca la parte esterna delle orecchie. Per il resto August è vivace, intelligente e in gamba. A causa degli infiniti interventi chirurgici a cui ha dovuto sottoporsi per migliorare l’aspetto e la funzionalità della sua faccia, però, non è mai potuto andare a scuola e ha sempre studiato a casa. A 11 anni i suoi genitori decidono che ormai è in grado di frequentare una scuola media normale e quindi Auggie, per la prima volta, entra in una vera aula con banchi, professori che spiegano e, soprattutto, tanti compagni. È terrorizzato dalla loro probabile reazione alla vista del suo volto, che cerca in tutti i modi di nascondere. Nel corso dell’anno scolastico si trova ad affrontare molte difficoltà e a superare tantissimi ostacoli con l’aiuto di quelli che scoprirà essere veri amici. La famiglia Pullman è molto unita nell’accompagnare August in questa avventura. Un ruolo particolare è svolto dalla sorella Via; infatti, è proprio assistendo al suo spettacolo teatrale che Auggie vede per la prima volta a una “standing ovation” e pensa: “Che bello! Magari anche io un giorno ne riceverò una!”. O tano grandi amici e Michele ogni giorno, la mattina presto, va a trovare il ragazzino nella buca. Per Michele sarà un vero sgomento scoprire che i rapitori sono suo padre e gli altri adulti del villaggio. Questo libro rappresenta il passaggio di Michele dall’infanzia all’età adulta. Michele scopre infatti un nuovo mondo, quello degli adulti, che è per lui un mondo nuovo, che non aveva mai osato violare: da piccolo aveva sempre seguito gli adulti e non si era mai messo contro di loro. Il bambino scopre invece che gli adulti non sono solo le persone che ti hanno cresciuto e guidato, ma anche degli estranei e delle persone crudeli. Perfino l’adulto di cui si è sempre fidato nasconde un lato spaventoso, addirittura mostruoso. Michele deve quindi scegliere tra i suoi genitori, le persone che l’hanno sempre guidato e protetto, e ciò che la sua coscienza gli dice è giusto fare. Questo libro mi ha appassionata, perché ho vissuto l’esperienza con Michele. Ho vissuto con lui l'ansia e la paura. Non ho semplicemente letto queste pagine, le ho vissute. Come Michele, ho scoperto che l’adulto può essere crudele. Che perfino gli adulti di cui mi fido, che mi hanno cresciuto e W insegnato, possono avere, al contrario di noi bambini che abbiamo un solo carattere, degli aspetti caratteriali inaspettati e terribili, con più sfumature, a noi bambini nascoste. Il ricordo di questo libro e le riflessioni che mi ha regalato adesso sono parte di me e del mio carattere. Ogni parola di questo libro l’ho impressa nella mente e la porterò con me, in ogni mio passo. Sara Goldstein, 1ªF Nella steppa di Checov E gòruska è un ragazzo di nove anni, orfano di padre, che viene mandato a studiare in Ucraina dalla madre poiché vuole che diventi una persona istruita. Il romanzo racconta il viaggio affrontato dal ragazzo per raggiungere il ginnasio dove studierà. Lo accompagnano durante il viaggio lo zio, un mercante di lana ed un prete protestante. Egòruska attraverserà l’affascinante steppa russa in un viaggio pieno di emozioni, nuovi incontri e scoperte. Il romanzo è ambientato nei primi anni del 1900. Alcune parti del viaggio vengono descritte in modo simile a quelle di Tol- kien nel suo libro “il signore degli anelli” per l’accuratezza delle descrizioni e dei particolari. Il libro di Cechov mi è piaciuto per il modo in cui vengono descritti i paesaggi e le caratteristiche psicologiche dei personaggi. Il personaggio che ho preferito è il protagonista per le sue capacità intuitive e di osservazione; il passaggio che mi è rimasto più impresso è la descrizione di un violento temporale che ha sorpreso i personaggi nella steppa. Andrea De Curtis, 1ªI Boy "Boy" è la biografia di Roald Dahl in cui narra tutti i ricordi o le testimonianze della sua vita da prima che nascesse fino ai vent'anni, quando ottenne il suo primo lavoro. L'episodio che mi è piaciuto di più del suo racconto è quando, con alcuni suoi amici, mettono un topo morto in un barattolo di caramelle della negoziante di dolciumi, l'odiosa signora Pratchett.... Ma lei si vendica e li denuncia al direttore, che li picchia con una canna da passeggio. Questo libro ha episodi talvolta divertenti, talvolta commoventi, ma la narrazione è per lo più allegra e Roald Dah racconta tutto con ironia e divertimento. Amalia Benassi, 1ªI Alla fine questo suo desiderio viene esaudito, perché nel corso della cerimonia di fine anno scolastico, quando vengono premiati gli alunni che si sono distinti per qualche motivo, August viene chiamato sul palco e premiato per aver reso migliori tutti (o quasi) gli studenti della scuola. La vicenda è narrata dai differenti punti di vista dei principali protagonisti: August, sua sorella e gli amici più importanti. Tra le pagine si alternano gioia, tristezza, dolore, rispetto e commozione da parte del lettore. Questo romanzo tratta il tema della diversità e fa capire con qualche lacrima, ma anche molti sorrisi quanto sia difficile convivere con quei problemi fisici. Siamo tutti come una famiglia: ognuno ha bisogno di affetto e non deve essere escluso dalla vita comune quotidiana. Wonder è un libro che ti rimane impresso nel cuore, ti mette di fronte ai tuoi pregiudizi e alle tue paure e fa riflettere veramente su concetti importanti e reali. Molto significativa è la frase riportata sul retro della copertina del libro: “non giudicare un libro dalla copertina” che, dopo la lettura, diventa “non giudicare una persona dalla faccia”. Tommaso De Rienzo, Riccardo Migliorisi, Leonardo Rilasciati, 1ªL Il terzo occhio Mago Merlino e la Spada della Luce Il libro di Mary Pope Osborne, pubblicato nel 2005 da Piemme, racconta la storia di Jack e Annie, due fratelli che vivono a Frog Creek, in Pennsylvania, e un giorno scoprono per caso una strana casa su un albero. Incuriositi, salgono e si trovano in una piccola stanza piena di libri. La casa appartiene a Morgana, una fata che viaggia nel tempo e nello spazio raccogliendo libri per la biblioteca di Artù, re di Camelot. Anche Jack e Annie scoprono di poter viaggiare nel tempo e nello spazio, basta indicare un'immagine sui meravigliosi libri contenuti nella casa. Qualche volta anche Mago Merlino usa la casa sull'albero; il primo giorno d'estate manda un gabbiano a chiamare i due fratelli perché deve affidare loro una missione importante: recuperare la Spada della Luce per salvare il Regno di Camelot. Merlino lascia, come sempre, delle indicazioni nella casetta a Jack e Annie che si ritrovano così su un’isola dove incontrano il Cavaliere delle Acque, il quale, senza parlare, li accompagna all’entrata di una caverna. La caverna è spaventosa, buia e piena di strani rumori; dopo essere caduti in un fiume, Jack e Annie incontrano la Regina dei Ragni, che nonostante l’aspetto terrificante, è buona e li aiuta a salvarsi. Usciti dalla caverna, incontrano due foche giocherellone e poi, stanchissimi, si addormentano sulla spiaggia. Quando si svegliano, al posto delle due foche, ci sono Teddy, un giovane mago loro compagno di avventure, e Kathleen, una creatura magica amica di Teddy. Kathleen insegna loro come trasformarsi in foche e così, dopo aver attraversato la Grotta delle Meduse, trovano la Spada della Luce. Riescono a prenderla, ma vengono fermati da un enorme serpente, protettore della spada, che pone loro il quesito: "A cosa serve la Spada della Luce?". Jack e Annie rispondono che serve per mantenere la pace e il serpente consente loro di portare via la spada. I due fratelli tornano così alla casa sull'albero dove li aspetta Mago Merlino, che dovrà restituire la spada alla Regina del Lago; sarà lei a consegnarla ad Artù. Questo è un libro semplice, ma ricco di avventura e fantasia; mi è piaciuto perché parla del legame tra fratelli, di coraggio e di amicizia. I protagonisti sono molto simpatici e mi piace molto quando si trovano in difficoltà e, unendo le loro forze e le loro intelligenze, riescono a cavarsela. Anche gli ambienti descritti sono molto belli, anche se irreali. Mi piacciono molto le avventure fantastiche perché tutto può accadere, basta immaginarlo. Matteo Valtolina, 1ªI I l libro, scritto da don Mario Longo, parla di un luogo chiamato Oasi di David, dove vengono ospitati molti ragazzini della mia età, che per tutto il soggiorno vengono trattati come dei re: ci sono stanze dove alloggiare, una sala in cui vengono serviti buoni pasti, e tutto favorisce la scoperta e la conoscenza del cammino di David; infatti nella cappellina della chiesa i dipinti sulle pareti raccontano la sua storia. Lo scopo è far scoprire il senso di questa meravigliosa avventura che è la vita, senza dimenticare tutti quelli che soffrono, perché il Signore li ama e anche loro devono sapere che in questo bel paese c’è un’oasi tutta per loro dove potranno sperimentare, con la nostra accoglienza, l’amore del Signore. Il libro parla in particolare di questo “terzo occhio”, che tutti hanno ma pochi sfruttano, perché non lo sanno usare: uno dei personaggi, Jacques, spiega infatti che tutti dovrebbero fare come Salomone, che chiese al Signore di dargli la capacità di usare questo terzo occhio per scoprire il segreto più profondo della vita, per dargli la vera sapienza, cioè lo sguardo di Dio su tutte le cose. È un’esperienza da provare: e si sco- prirà che tutto quello che ci circonda, se osservato con attenzione, diventa qualcosa di meraviglioso da scoprire. Questo terzo occhio infatti è la Fede; proprio di Fede si parla, quel dono prezioso che il Signore ci ha dato il giorno del Battesimo, rappresentato dalla candela accesa nelle mani del nostro papà, che noi dobbiamo usare per fare luce nella nostra vita, per capire e conoscere meglio quanto ci circonda. Per chi ha la Fede (e la usa) è proprio come avere un occhio in più: avere Fede vuol dire vedere le cose con gli occhi di Dio, capire che tutto ci parla di Lui, che ogni cosa, persona, avvenimento, ci conduce a Lui e contiene un suo messaggio. La Fede ci aiuta a capire il senso di tutte le cose perché le vediamo con gli occhi di chi le ha create, di Colui che conosce il segreto profondo di ogni cosa, anche della nostra vita. Anche se è solo un piccolo e semplice libretto, con una copertina strana, è molto bello e mi ha fatto riflettere molto, in particolare sulle buone e cattive amicizie. Ma il cammino continua: buon viaggio! Anatalie Czarina C. Navarez, 3ªL 29 Creativ@MENTE Il lupo sbruffone Robin Hood ai giorni nostri Che atmosfera! E quanta gente: come sempre è pieno di persone che entrano ed escono dal grande magazzino multimarca di Piazza V Giornate, il Coin. Il Coin attrae molti passanti grazie alle sue ampie vetrine disposte su ben nove piani di un grande palazzo che occupa un intero angolo della piazza. La sua modernità è forse in contrasto con il vero simbolo di Piazza Cinque Giornate: il grande obelisco circondato da un giardino che celebra appunto le Cinque Giornate di Milano. Al Coin in questo periodo si sono verificati eventi strani; ben tre furti in soli dieci giorni nonostante l’attenta sorveglianza dei sistemi di sicurezza e l’allerta della polizia. I rapinatori sono stati scaltri e attenti, infatti nessuno è riuscito a identificarli nonostante le telecamere di sicurezza della banca di fronte li abbiano ripresi mentre scappavano durante la notte. Erano cinque la prima notte, sei la seconda e la terza notte. Questi furti, piuttosto insoliti, hanno suscitato scalpore tra la gente; tutti si chiedevano come fosse potuto accadere e chi avesse potuto realizzare una rapina come questa, non di gioielli o di abiti sfarzosi, ma di oggetti di prima necessità, come calze, coperte, scarpe, magliette, pantaloni di tutte le taglie, per bambini e per adulti e anche qualche pacco di biscotti e di pasta dal reparto biologico che si trova al piano terra. La polizia intensifica le ricerche perlustrando la zona. Le indagini si concentrano sul mercatino di Piazza Tricolore, nella piazza vicina a quella del Coin, proprio di fronte all’Opera di San Francesco, che offre un pasto caldo a tutti coloro che si presentano; lì sono esposti vestiti di tutti i tipi, non in vendita, ma destinati ad essere distribuiti a una lunga fila di persone. Qui gli agenti notano che molti dei capi distribuiti hanno le caratteristiche degli indumenti rubati, descritti dai responsabili del Coin dopo aver fatto l’inventario della merce. La polizia, insospettita, decide di agire e così, controllando capo per capo, appura che la maggior parte ha sull’etichetta la sigla del Coin. I vestiti sono stati quindi rubati dal Coin e portati ai poveri dell’Opera di San Francesco: ma quale moderno Robin Hood ha rubato per aiutare i più bisognosi? Le indagini sono complicate, ma tra i partecipanti al piccolo mercatino la polizia trova alcuni ragazzi che hanno l’andatura, l’altezza e altre caratteristiche simili a quelle dei rapinatori che si sono potuti osservare nelle riprese. Si decide quindi di portare in caserma questi ragazzi che dopo un lungo interrogatorio decidono di confessare: colpiti dalla terribile povertà di chi faceva lunghe code per ottenere anche solo un pezzo di pane o un panno per coprirsi avevano deciso di aiutare a loro modo. Le autorità non puniscono questi ragazzi, perché il Coin ha deciso di non sporgere denuncia, ottenendo così, dopo grazie a questa storia apparsa ovunque sui giornali, una grande pubblicità positiva. Silvia Chieppi, 2ªF Un negozio molto speciale C appellini, scarpe, felpe e magliette. Ero molto attirato da questo negozio del centro, in una via importante di Milano, un posto dove si possono trovare tutti i più bei capi di abbigliamento che un dodicenne possa desiderare. Avendo io appunto dodici anni, quel pomeriggio non potei resistere alla tentazione e decisi di entrare per comprarmi un berretto. Una volta dentro rimasi letteralmente incantato, e seguendo la scia infinita di scarpe salii al piano superiore. Ad un certo punto, però, mi accorsi di essermi allontanato troppo dai miei amici e di avere il cellulare spento. Scesi velocemente, ma al piano terra trovai tutto chiuso. Mi ricordai allora di aver sentito dire da due turisti inglesi che erano le 19 e 30, e il negozio chiudeva proprio a quell’ora. Ero molto impaurito all’idea di dover passare tutta la notte lì dentro, al buio, senza né cibo né acqua, ma quello che mi spaventava più di tutto molto erano i miei genitori che mi aspettavano a casa per le 8. Mi sedetti in un angolino e cominciai a piangere. Nel frattempo calava il buio e improvvisamente sentii una voce abbastanza spaventosa. Corsi allora alla ricerca di un interruttore della luce, ma mi ci volle un po’ per trovarlo. Quando finalmente riuscii ad accendere la luce, vidi un’ombra che si muoveva rapidamente. Nonostante il pianto di poco prima, sapevo di essere un ragazzino coraggioso, così decisi di scoprire di che cosa si trattava. Scesi al piano sotterraneo e mi trovai di fronte uno spettacolo inaspettato: le scarpe e i cappellini “passeggiavano” allegramente, parlando fra loro in una lingua molto strana. Anche loro notarono la mia presenza e decisero di venire a parlarmi. Per fortuna nelle lingue straniere me la sono sempre cavata bene e compresi subito quello che mi stavano dicendo: con un cenno del capo accettai la proposta di giocare a nascondino con loro. Andai subito a nascondermi insieme a delle magliette e scoprii che in uno stanzino c’era un distributore di merendine e di bevande diverse. Con i 10 € che mi erano avanzati presi ben tre pacchetti di patatine e una lattina di tè, coi quali risolsi il problema della cena. Continuai a giocare fino alle 7 di mattina, quando una scarpa mi disse che era arrivato il momento di smettere e di rimettere tutto a posto; si raccomandò anche di non dire a nessuno della notte trascorsa a giocare con loro. Alle 8, subito prima dell’apertura del negozio, tutte le scarpe e tutti i cappellini tornarono al proprio posto; io mi nascosi dietro uno scaffale e, mentre la gente cominciava ad entrare, uscii senza che nessuno si accorgesse della mia presenza. Tornai rapidamente a casa e trovai i miei genitori in preda alla disperazione. Mi chiesero dove fossi stato. Raccontati loro che per sbaglio era rimasto chiuso in un negozio, ma fui fedele alla parola data alla mia amica scarpa e non rivelai niente del resto. Ora ho trent’anni, sono sposato e ho due figli. Lavoro da ormai dieci anni in un negozio di scarpe dove faccio il guardiano di notte. Ho mantenuto fino ad oggi il mio segreto e tutte le sere mi diverto a parlare e a giocare con le mie scarpe. Non potrei mai lasciare per nessun motivo questo negozio. Mara Pedrazzoli, 2ªF U n vecchio lupo maschio viveva in un bosco chiamato Bosco Verde con la moglie e i suoi nove figli. La coppia aveva cacciato per tanti anni in una grande radura ma, diventando vecchi, si stancarono di passare le notti a rincorrere selvaggina. Per un po’ di notti, quindi, non si udirono più i loro ululati sotto le stelle, quegli spaventosi lamenti che facevano rabbrividire gli abitanti dei villaggi vicini. Ora era giunto il momento che fossero i figli ad andare a caccia durante la notte, mentre i genitori restavano nella tana a riposare. Il padre spiegò ai figli che non poteva accompagnarli nelle cacce notturne perché doveva fare la guardia alla tana, per impedire a qualche altro animale di intrufolarsi nella loro caverna. Il capofamiglia amava insegnare ai figli come cacciare e raccontava con orgoglio le avventure stupefacenti della sua gioventù e delle prede che aveva catturato grazie al suo grande coraggio e alla sua astuzia. La sera i figli andarono a caccia verso l’argine del fiume e, mentre camminavano silenziosamente, incontrarono un orso enorme disceso dalle montagne. Quest’incontro spaventò molto i giovani lupi, che decisero di andare a cacciare in un’altra zona; ma il grande orso, che li aveva visti, disse loro di avvicinarsi e li invitò a cacciare assieme a lui per riuscire a catturare più prede. Loro accettarono, anche se non si fidavano molto dell’orso. Cacciarono con fatica tutta la notte e, infine, catturarono dieci lepri. I lupetti erano tutti eccitati pensando a quanto sarebbe stato fiero il padre e chiesero all’orso di spartire le prede. Il grande orso però disse: “Bene, ora dividiamo il bottino: nove lepri a me e una a voi!”. I nove lupacchiotti cominciarono a lamentarsi, allora l’orso rispose: “Cosa c’è che non va? La matematica non è un’ opinione: nove lepri ed un orso fanno dieci e nove lupi e una lepre fanno ugualmente dieci, quindi siamo pari!”. I lupetti tornarono così a casa tristi e scoraggiati. Quando il padre li vide con una sola lepre dopo una intera notte di caccia, si infuriò e diede loro degli incapaci. Per discolparsi uno dei lupetti raccontò quello che era accaduto con l’orso. A quelle parole, il padre disse ai figli di seguirlo fino alla tana dell’orso, dove avrebbe mostrato loro il suo enorme coraggio da prendere come esempio. Ma quando arrivarono a destinazione e il lupo vide quanto era grosso l’orso, invece di protestare per l’inganno fatto ai suoi figli, regalò all’orso anche la loro unica lepre per paura di essere attaccato. Mentre la famiglia di lupi tornava a casa, uno dei figli commentò: “Grazie papà, adesso abbiamo davvero capito quale sia il vero coraggio: quello che tu non hai!” Sara Gervasoni, 1ªL La Giraffa vanitosa C ’era una volta una bellissima giraffa che viveva in una immensa savana africana. Era un animale vanitoso ed un po’ altezzoso, ma anche molto solo e senza alcun amico. La giraffa era orgogliosa del suo lungo ed elegante collo e guardava veramente tutti dall’alto in basso; questo suo atteggiamento però, la rendeva sempre più sola e scontrosa: nel suo cuore allegria e buon umore non erano mai di casa! E spesso prendeva in giro gli altri animali, perché non li riteneva “alla sua altezza”: nessuno come lei riusciva a prendere le foglie più verdi e i germogli più saporiti sui rami alti degli alberi. In particolar modo la giraffa era solita prendere in giro un goffo e pacifico ippopotamo, che viveva in un laghetto fangoso lì vicino. Questo tozzo animale, però, era molto saggio, paziente e amato da tutti gli abitanti della sa- vana; spesso sopportava gli insulti della giraffa con il sorriso sulle labbra. Diceva con ironia la giraffa: “Ué! Pachiderma, sposta le tue chiappe fangose dalla mia strada!”; oppure: “Ma ti sei visto? Tutto il giorno a rotolarti nel fango e a mangiare roba sporca e maleodorante!”. “Cara giraffa” replicava l’ippopotamo, “non mi trattare così male. La natura mi ha fatto in questo modo, ma se un giorno ti degnerai di venire quaggiù vedrai che non si sta poi così male e si passano le giornate in compagnia ed allegria”. La giraffa, però, non si curava di lui e, ondeggiando, se ne andava verso i suoi amati alberi. Accade una notte che una tremenda tempesta colpì violentemente la savana. La mattina seguente tutti gli alberi erano stranamente spogli e le foglie ricoprivano il suolo e il laghetto fangoso. La giraffa inizialmente fu titubante, poi, affamata, decise di ab- bassare il collo e di nutrirsi umilmente come gli altri animali. Nel far questo, però, alcuni schizzi di fango le colpirono per caso il muso e l’ippopotamo, con un dolce sorriso, le disse: ”Oh cara Giraffa, sembri quasi una di noi!”. La giraffa, dopo un attimo di imbarazzo e di rabbia, si specchiò nelle acque del laghetto e, vedendo il suo viso buffo tutto infangato, iniziò a ridere a crepapelle, come mai aveva fatto nella sua vita. Capì così quanto il suo atteggiamento fosse stato sciocco e sbagliato. Tutti gli animali allora la circondarono allegramente e lei divenne la migliore amica dell’ippopotamo e una buona compagna per gli abitanti della savana. Questa storia dimostra che non bisogna essere vanitosi e superbi, perché si finisce soltanto per rimanere da soli. Riccardo Migliorisi, 1ªL I tre porcellini reloaded C ’era una volta un lupo mite, buono e gentile, che amava più di ogni altra cosa la lettura. Può sembrare strano, ma questo lupo era il bersaglio preferito degli scherzi di tre porcellini, animali prepotenti, antipatici e dispettosi. Il lupo aveva un desiderio: costruire una casetta dove avrebbe potuto leggere in pace, senza i fastidiosi porcellini tra i piedi. Così fece: andò nel bosco e con legno, chiodi e paglia si costruì un rifugio; era di dimensioni ridotte, ma dentro c’era tutto il necessario per vivere tranquillamente. I porcellini, purtroppo, non ci misero molto a scoprire il nascondiglio del lupo e, per fargli uno scherzo, gli buttarono giù la casa, soffiando fortis- simo. Il lupo, la cui quiete ormai era distrutta, se la diede a zampe levate spaventato, cercando un altro posto calmo e accogliente dove dedicarsi alla sua passione. Non troppo distante trovò una capanna di legno e vi si rifugiò. I porcellini pestiferi, però, lo avevano seguito di nascosto e, armati dei loro piedi di porco, con tanti calci demolirono anche la seconda speranza di tranquillità del lupo. Disperato, in un battibaleno questi se la filò, riuscendo a mettere in salvo una delle sue letture preferite, una raccolta delle fiabe più famose. Questa volta il lupo cercò pace in una casa vera e propria, fatta di mattoni e cemento e sostenuta da solide fondamenta; i maiali, decisi a tormentare lo stesso il loro bersaglio preferito, iniziarono a scervellarsi per trovare il modo di continuare ad infastidirlo. Soffi e calci non sarebbero di certo bastati per abbattere quel solido rifugio; ed ecco che uno dei tre ebbe un’idea sensazionale, subito approvata dagli altri: entrare dal camino. Con un po’ di fatica si infilarono nel comignolo ma, una volta arrivati in fondo, trovarono una bella brace ad aspettarli! Era stata preparata dal lupo, che aveva preso spunto proprio dal suo libro! Per festeggiare l’avvenuta liberazione, venne organizzata una grande festa, dove tutti ebbero l’opportunità di assaggiare il miglior arrosto di maiale mai cucinato da un lupo. Leonardo Rilasciati, 1ªL Disegno realizzato da Esteban Iglesias, 1ªE 30 Creativ@MENTE Spolvero Miracolo alla Scarioni S polvero è il cane di mia zia, è nero, grosso e coraggioso, ma allo stesso tempo tenero e coccolone. Le sue caratteristiche che però mi affascinano di più sono la sua intelligenza e la sua saggezza. Ho scoperto questa sua particolarità un giorno in cui pensavo di non rivederlo più: avevo lasciato aperto il cancello del giardino e Spolvero era scappato. Io stavo dormendo e me ne accorsi molto dopo, non ebbi il coraggio di spiegarlo a mio cugino, con il quale ero solo in casa, ma gli proposi di andare a fare una passeggiata. Intanto si faceva sera: gironzolammo per un tempo che non potrei definire e, quando stavamo per tornare a casa, avvistammo il furgoncino di mio zio. Ora a voi sembrerà una cosa normalissima, ma il fatto è che dietro al furgone c’era una scia di cani, capitanata da Spolvero. Il camioncino si fermò e Spolvero lo fece a sua volta, poi abbaiò agli altri come per dir loro che dovevano fermarsi lì, cosa che capii dalla pronta reazione degli altri e che mi stupì molto. Poi andò da mio zio e con la zampa indicò il retro del furgone. Anche questo mi stupì e mio zio aprì il retro, scoprendo dei contenitori con il cibo per il buffet di una festa. In una di queste scatole c’era della carne già cotta lasciata a temperatura tiepida, che fu subito preda dei cani. Spol- vero prendeva i pezzi di carne e li distribuiva, calmava i litiganti che volevano rubarsi la carne a vicenda e impediva a tutti di salire sul camioncino. Le sue capacità di leader, la sua saggezza e giustizia nel dirigere la spartizione sono ancora oggi impressi nella mia mente. Dopo questo buffet “canino” arrivarono le altre casse di cibarie e il furgone ripartì. Spolvero abbaiò e allora gli altri cani tornarono dai loro padroni e Spolvero rientrò in casa. Quella sera tutti i cani del paese rifiutarono croccantini e biscotti perché avevano già fatto una bella cena. Jacopo Di Benedetto, 1ªA L a Scarioni. La famosa società calcistica milanese fondata nel 1925 dove ho cominciato a giocare a calcio. Proprio qui, un giorno, si è verificato un fatto veramente strano. La Scarioni ha il secondo campo più grande della città, malridotto però, soprattutto quando piove. Era una giornata buia e molto nuvolosa. Cominciammo la partita. I nostri avversari erano nettamente più forti di noi. Ci trovavamo già 2-0 per loro, quando all’improvviso… cadde una piccola roccia dal cielo. Nessuno sapeva che cosa fosse, ma immaginammo fosse un frammento di meteorite. Cadde al centro del campo, tutti si allontanarono impauriti, ma dopo alcuni istanti cominciò a crescere un’erba stupenda e come per magia un tendone per la pioggia coprì tutto il campo! Eravamo molto stupiti per ciò che era successo, ma capimmo che questo era un segno per la nostra squadra. Così, tra gli applausi del pubblico, ricominciammo la partita con il pezzo di meteorite in mezzo al campo. Ci sentivamo pieni di energia e subito rimontammo da 2-0 a 2 pari, ma non fermammo. La partita finì 2-5 per noi. Ma non era ancora finita: gli effetti magici sono durati per cinque lunghi anni, nei quali giocare lì è stato ogni volta meraviglioso! Andrea Lemus, 2ªF La storia di Swan M Disegno realizzato da Stacey De La Vina, 2ªA i piacciono molto i cani, sono animali che danno affetto, fanno compagnia e sono sempre fedeli al proprio padrone: i migliori amici dell’ uomo. Io ho un cane di nome Jack, un jackrussel di dieci mesi, che accompagno spesso al parco vicino a casa. In questo luogo incontro a volte un doberman di cinque anni di nome Swan che mi ha colpita molto. È di media taglia, pelo raso e nero, zampe lunghe e snelle; la sua coda è stata tagliata perché fino a poco tempo fa venivano praticate queste barbarie sui cani di alcune razze. Ha il muso sporgente sul quale è visibile un naso nero e lucido, ma gli mancano completamente le orecchie e l’occhio destro. Ha un comportamento pacifico e socievole, gioca volentieri con cani grandi e piccoli, e quindi anche con Jack; quando il padrone lo chiama, obbedisce prontamente al suo richiamo. Incuriosita, ho chiesto informazioni sull’animale e il suo padrone mi ha raccontato che l’ha preso al canile dove era arrivato dopo molte sofferenze. La sua storia è molto triste: era stato acquistato per i combattimenti ma lui, non essendo aggressivo, non ne voleva sapere di combattere. Per renderlo feroce, allora, gli hanno tagliato completamente le orecchie e tolto un occhio; nonostante ciò l’animale è rimasto docile e così è stato abbandonato. Successivamente è stato recuperato sulla strada e condotto al canile. Sono molto contenta che ora il cane abbia trovato persone che gli vogliono bene e lo compensano del male ricevuto. Quando lo incontro al parco, lo accarezzo sempre volentieri e lui, riconoscente, mi lecca la mano. Carlotta Greppi Cappa, 1ªA Aiuto! La 2ªL è infestata! Mr Johnson. Mr Johnson è il fantasma di un famoso avvocato londinese, che in vita si trasferì a Parigi per lavoro. Indossa ancora gli abiti con cui andava al lavoro, è molto elegante e porta con sé la cartella portadocumenti. E’ triste, malinconico, ma anche chiacchierone: stando solo tutto il tempo qualunque rapporto è importante! È morto una sera di primavera investito da un tram, il 45. È un fantasma molto professionale, infesta il tribunale dove lavorava: aiuta, dando consigli, gli avvocati troppo incapaci per vincere un caso. Appare alla gente con la lettura dell’articolo della sua morte. Si sposta volando, oppure con la limousine di Ms Monroe. Ms Monroe. Ms Monroe, in vita, era una famosa attrice. Veste un abito rosso con una sciarpa di pelliccia, è elegante, allegra e molto educata. E’ morta mentre recitava, adesso abita al Louvre, gira tra i quadri e socializza con i soggetti dei dipinti. Appare ai turisti per tener viva la sua fama; si manifesta accompagnata da brani di musica classica. Si muove a piedi o in limousine, spesso in compagnia di Mr Johnson. Mike e Bill. Mike era un bambino che andava solamente alla scuola elementare. Ora veste con jeans e maglietta e sta sempre insieme al suo cane Bill. È vivace e giocherellone, come molti della sua età. E’ stato investito, insieme al suo cane, da un pirata della strada; ora vivono insieme in un luna park e si divertono a fare scherzi ai bambini; in questo modo passano il tempo tutti i mercoledì sera, quando il luna park è aperto. Mike e Bill si fanno vedere dai ragazzini preceduti e seguiti da risate minacciose. Si spostano a bordo di autoscontri, sembrano giochi tra i giochi. Alice Tassinari, 2ªL Ginger Braede. Ginger Braede, giullare di corte morto per indigestione di dolci ad un banchetto del re, ora ama ritornare soprattutto alle feste dei bambini, perché, essendo veramente goloso, ha scoperto il cioccolato che alla sua epoca non c’era ancora. Ginger Braede è un fantasma magro e di bassa statura, con i denti tutti cariati, e indossa abiti variopinti, fatti di pezzi di stoffa colorati che, nonostante il tempo, riescono a rimanere ancora cuciti tra loro; naturalmente è molto sporco e pieno di macchie appiccicose. Al suo arrivo, si sente il rumore dei campanelli legati alle caviglie e dei sonagli attaccati al cappello, accompagnati da una risata terrificante e un forte vento, che però dura solamente pochi secondi e non si riesce mai a distinguere da dove provenga e dove si trovi precisamente il fantasma. In sua presenza si scatena il panico, soprattutto tra le mamme, perché se ci sono bambini con le dita sporche di cioccolata, come spesso accade, il giullare non esita a mangiarsele e, siccome è velocissimo, non si fa nemmeno in tempo a nasconderle o a metterle in tasca. Matilde Gianoli. 2ªL I Paramavasindra: Mr Avarizia e Mrs Malinconia. I Paramavasindra sono una coppia di spettri spaventosa e pericolosa, soprattutto il marito. Mr Avarizia in vita era un importante commerciante indiano. Aveva successo negli affari, ma era anche tremendamente avaro e possessivo. Indossa un enorme turbante, ormai marcio e sbrindellato, e una lunga tunica piena di ciondoli e specchietti. Ha un pugnale nel cuore, e il sangue che sgorga dalla ferita continua a macchiare la tunica. Mr Avarizia è stato assassinato dalla moglie, stanca di stare in casa segregata dal marito, e di non poter fare niente per i poveretti che chiedevano loro aiuto. Mr Avarizia si comporta in modo molto strano quando incontra degli umani: prende un sacco d’oro dalla sua tomba e lo offre alla persona che ha davanti. Il mese dopo si presenta al signore a cui aveva donato il sacco d’oro e ne pretende il doppio. Se entro una settimana lo sciagurato non paga, Mr Avarizia lo perseguita fino alla fine dei suoi giorni, che di solito si avvicina velocemente, e poi passa a perseguitare i figli e i nipoti del malcapitato. Quando appare si sentono grida disperate e fumi verdi si alzano tutt’intorno a lui. Quando scompare si sente un grande botto, e subito dopo scoppia un incendio nel preciso punto dove era il fantasma. Si muove in portantina, trasportato dai malcapitati che hanno ricevuto il sacco d’oro e non sono riusciti a restituirlo. Mrs Malinconia, la moglie, è molto meno pericolosa del marito, ma se la si incontra mette subito paura e cattivo umore. In vita era una signora gioiosa, caritatevole, bella… tutto ciò prima di sposarsi. Dopo il matrimonio il marito l’ha rinchiusa in casa, e lei ne è uscita solo dopo la morte del marito, ma per andare incontro alla propria sul rogo. È avvolta in bende, legate e fissate così strette che le sue ossa sono rotte, perciò si muove tutta rattrappita, stentatamente, gridando di dolore, cosa che mette subito paura. È morta bruciata viva accanto al marito, come si usava all’epoca in India. Mrs Malinconia lo aveva assassinato perché lo odiava con tutto il cuore, infatti si era sposata con Mr Avarizia solo per volere dei suoi genitori. Ora ama apparire nel punto in cui è morta, che ai suoi tempi era una foresta, e adesso è un campo di riso. Mrs Malinconia vorrebbe donare l’oro di suo marito ai poveri contadini che lavorano nel campo dove lei appare, ma quando si avvicina loro fuggono spaventati dal suo aspetto. Lei allora urla più di quanto non faccia normalmente, e insegue i contadini, che scappano ancora più lontano, terrorizzati. Quando appare si odono i terrificanti rumori della sua morte: le urla di dolore, il canto assordante dei bramini, il crepitare delle fiamme. E infine si sentono solo paurosi lamenti. Rossella Ferrara, 2ªL 31 Creativ@MENTE Papaya Il cane che vorrei descrivere è Papaya, il Lagotto Romagnolo dei miei nonni. L’episodio che mi ha colpito di più di lei si è svolto quando io ero appena nata. I miei genitori mi avevano portata a Incisa nel Monferrato, dove abbiamo una grande casa. All’inizio Papaya era molto gelosa dell’attenzione che i miei nonni e i miei genitori mi riservavano, perché lei si riteneva un membro della famiglia ed essere esclusa per lei non era bello. Ma quando mi hanno messa vicina alla sua cuccia, lei mi ha conosciuta meglio e, la sera, quando ero nella mia culla, mi ha portato la sua palla, segno che mi aveva ammessa nella sua cer- Un nobile sacrificio chia di famiglia. Da allora la nostra amicizia è cresciuta fino a diventare fortissima, legandoci ancora di più quando lei, nonostante la paura dell’acqua, si è tuffata in piscina per recuperare la mia bambola. Mi dispiace tantissimo che in ottobre sia morta, ma era ormai tempo per lei: aveva 17 anni, era sorda e aveva la cataratta. Mi manca tantissimo e non riesco ad immaginarmi le vacanze a Incisa senza di lei. Sarà triste non poter più vedere il suo sguardo profondo negli occhi marroni e il suo pelo ormai grigio, morbidissimo da accarezzare Olimpia Ferrari, 1ªA Sprazzi dal futuro M i sveglio alle 6:30 e vado pigramente in cucina a fare colazione. Alzo tutte le tapparelle e vedo che la giornata fa già schifo: pioggia e cielo grigio. Mi lavo e mi vesto frettolosamente, per arrivare in redazione in tempo. Oggi devo tradurre quasi quattro volumi di fumetti appena arrivati dal Giappone e non ne ho tutta questa voglia. Mentre esco trovo sul pavimento un volume di Bleach insieme a una decina di altri fumetti. Raccolgo solo Bleach e lo metto in borsa. Noto che sul divano sono sparsi dei vestiti da stirare e penso che dovrei chiamare mia madre per farmi aiutare. Ma poi mi viene in mente che se facessi venire mia madre, lei mi farebbe una ramanzina sull’ordine. Quindi ci ripenso e non la chiamo. Esco di fretta dimenticandomi la luce del bagno accesa. Alle sette sono in metropolitana. Il mio “ufficio” è in Bicocca, a Milano, e ci vuole un po' per arrivarci, dato che abito dall'altra parte della città... Sul treno mi metto le cuffiette e ascolto una canzone di Tori Amos, Garlands, almeno dieci volte. Alle otto devo essere in ufficio e, come al solito, arrivo alle otto e dieci perché mi fermo a prendere un caffè con la mia amica Camilla. Con lei ricordo i nostri anni alle medie, noiosi e monotoni. Ripensiamo alla nostra amica Angelica, che veniva presa in giro da molti e che ora è diventata una star internazionale. Arrivo in ufficio e trovo “Jack” con i piedi sulla scrivania che al posto di tradurre il fumetto giapponese lo sta leggendo, Mary che fuma una sigaretta e litiga con il suo ex marito già alle otto di mattina, e Carlo che pensa a come impostare la copertina del nuovo fumetto. Il direttore mi vede, mi fa un sorriso a trentadue denti e mi saluta con la mano. Ricambio il saluto. Mi lascio cadere sulla sedia e Jack si mettere a ridere, quasi cadendo dalla seggiola: starà ridendo per il fumetto... Alza lo sguardo dal fumetto e mi metto a ridere anche io pensando alle facce buffe che fa quando sorride. La giornata passa in fretta e riesco a tradurre soltanto tre fumetti. Finalmente si torna a casa. Dato che dal cielo stanno venendo giù ettolitri di pioggia fin dalla mattina, approfitto del gentile passaggio che mi offre Carlo, così arrivo a casa relativamente asciutta, ovvero con solo i piedi zuppi d’acqua. Arrivo al portone di casa e lui se ne va in macchina. Ora inizia la parte più difficile della giornata: la caccia alle chiavi di casa. Dovete sapere che la maggior parte dei mazzi di chiavi sono specializzati in “nascondino” e quindi una povera donna che torna a casa distrutta dal lavoro deve pure mettersi a giocare con loro. Dopo aver scavato nella borsa per più di dieci minuti mi accorgo che dalla tasca dei miei jeans sporge una punta metallica. Con l’agilità di un elefante entro nel mio palazzo fradicia dalla testa ai piedi. Arrivo nel mio appartamento e subito mi tolgo i vestiti bagnati correndo in bagno per una doccia rilassante. Dopo una buona ora riemergo pulita come se mi avessero lavata con lo Chante Clair [citazione dedicata alla 3L, N.d.A.], mi metto un pigiamone lungo e soffice (ma soprattutto caldo) e mi butto sul divano facendomi posto tra i panni da stirare. C’è un silenzio tombale e sento la vibrazione del cellulare che è in cucina. Mi alzo svogliatamente a rispondere. Sopra vecchio catorcio appare la scritta “papà”. Rispondo. È mia madre. Mi chiede come sto e mi dice che mi saluta la zia. I miei vivono a Sesto San Giovanni da quando sono in pensione (strano ma ci sono arrivati!). Io le parlo un po’ e poi chiudiamo la chiamata con un “a presto”. Mi ributto sul divano e chiamo il ristorante giapponese SushiMaSushi, quello che hanno aperto da un mese e che io frequento regolarmente. Arriva il solito filippino della consegna a domicilio che mi sorride e mi porge il sacchetto contenente la mia cena. Pago e rientro in casa sbattendo troppo forte la porta. Appoggio il sacchetto sul tavolino davanti al divano e apro la graziosa scatolina del ramen come se fosse oro. Inizio a mangiarlo e intanto chiamo mio marito su Skype. Lui è americano ma si è trasferito in Italia da un bel po’. Ieri è tornato in America perché è morto il suo cane e torna tra qualche giorno. Mentre assaporo il mio ramen e parlo con mio marito mi ricordo che non do da mangiare al pesce da tre giorni. Vado a controllare la sua graziosa e accogliente boccia in camera mia e lo trovo stecchito. Finalmente, costava troppo il cibo per pesci. Isabella Daino, 3ªL Sono una vecchia casa diroccata e mi trovo nella campagna di Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta. Intorno a me le terre sono deserte, desolate e aride da quando i miei proprietari, persone rispettabili e oneste, se ne sono andati. Loro avevano anche dei bambini e io ero una casa piena di vita e di felicità. Fuori c’era una fattoria con molti animali ben curati, mentre ora riesco solo a vedere campi abbandonati. Ormai i mobili e le suppellettili che mi arredavano non esistono più, e i pochi rimasti sono rotti o ammuffiti. Tutti in paese mi considerano come una casa fantasma e per questo nessuno è più venuto ad abitare qui. Da quando i miei proprietari sono andati via mi sento sola e da quello che ho capito non compaio neanche più sulle mappe: ho paura che prima o poi! Non sono proprio sola, per la verità, però credo che le riunioni che si tengono al mio interno siano losche e poco raccomandabili. Vorrei che quella gente se ne andasse, perché come dice il detto “meglio soli che male accompagnati”. Sento voci di gente strana, con l’accento del posto… mi fanno venire i brividi! Parlano di soldi e di affari, di rifiuti tossici e di assalti, rapine e morti. Una volta hanno addirittura giustiziato un giovane e perché? Perché aveva idee diverse da quelle del boss, perché qui stiamo parlando di camorra! Inizio ad avere paura, gli spari sono frequenti e queste faccende non mi piacciono per niente: non voglio diventare il nascondiglio di gente come questa, sporca e irrispettosa. Non so cosa ne sarà di me, ma penso che presto smetterò di vedere queste terre. Ormai sono diventata un bunker, tanto vale morire. Al prossimo incontro scatenerò su questa gente tutta la mia furia: i loro verdoni finiranno nel forno, che è ancora attivo, e ribalterò loro addosso i resti dei miei mobili. Così ho fatto. Ora i camorristi sono fuori con dei contenitori di benzina, mi vogliono bruciare: dicono che sono una casa stregata, ma io so che morirò per la giustizia, e sono intervenuta contro la malavita al posto della polizia. Non ho paura di morire: il mio ultimo desiderio è che questo luogo migliori e che possa uscire da questa brutta situazione. Alberto Accornero, 2ªF Disegno realizzato dalle classi III della prof. Bertagnolli Notte di fuoco L a vita è una cosa importante, a cui si deve tenere più di ogni cosa. Questo è quello che ancora non sapevo prima di quella notte incandescente. Ero ancora piccolo, e mi trovavo in vacanza con i miei genitori a Marina di Campo, un paesino dell’isola d’Elba, sul litorale sud: avevamo affittato un casetta ai piedi del monte più imponente di tutta l’isola, il monte Capanne. Era una tranquilla sera d’agosto, e dopo cena andai a letto piuttosto presto: ricordo che avevo la pancia veramente colma, perciò mi serviva una bella dormita. Quando mi svegliai la notte sembrava quasi finita: faceva un caldo torrido. Non capivo bene cosa stesse accadendo, ma sentivo continue fitte allo stomaco; allora decisi di andare a fare qualche frigna da mamma e papà, al fine di passare la notte con loro: con gli occhi colmi di lacrime, iniziai ad urlare più forte che potevo e andai in camera loro. I miei genitori stavano dormendo tranquilli, quando mi sentirono arrivare: mio padre si tirò su per prendermi in braccio, quando gli cadde l’occhio sulla finestra che, malgrado il clima cocente, era ricoperta di condensa; immediatamente saltò giù dal letto e mormorò qualcosa all’orecchio della mamma. Ed allora sì che lo vidi: una enorme massa di fuoco che si avvicinava a vista d’occhio, inseguita da gli elicotteri. “Wow!”, pensai fra me e me. Ne ero totalmente affascinato: volevo toccarlo, volevo entrarci, mi immaginavo lì dentro, il ‘’bambino di fuoco’’. La mamma voleva scappare, ma si calmò quando papà rispose alla sua richiesta con un solenne rifiuto. Era l’alba quando l’incendio smise di espandersi e cominciò a ritirarsi; ci vollero tre giorni e tre notti per spegnerlo. Tempo dopo ho sentito raccontare dai miei genitori una storia alquanto diversa da quella che avevo immaginato io: una piromane tedesca si era incamminata nel bosco con il suo cane e aveva appiccato quel maledetto fuoco; erano morti entrambi. Pensai che se lo fossero meritato: questo fu il mio secondo e ultimo errore rispetto all’importanza della vita. Matteo Mainetti, 1ªI Disegno realizzato dalle classi III della prof. Bertagnolli Valentina Quaranta, 1ªD Valeria Vitali, 3ªD Ravidu Buddhakorala, 1ªG Roberta De Francesco, 2ªH Alessandro Micheli, 1ªF Giovanni Zapelloni, 1ªG Stefano Carra, 1ªB Martina Zocca, 3ªB Annuale della Scuola Media Statale “Tiepolo” di Milano Anno XXIII - Maggio 2014 Redazione Albarosa Camaldo (Ordine Nazionale dei Giornalisti, Tessera n. 102661) Silvia De Pol Realizzazione grafica Claudio Cazzolla - [email protected] Stampa Elegraf - Arti Grafiche - Via Gallarata, 92/94/96 - 20019 Settimo Milanese (MI) [email protected] - www.elegraf.it Matteo De Rienzo, 3ªL
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